Grandi Danni |
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Secondo statistiche delle Nazioni Unite circolano nel mondo 500 milioni di armi leggere, una ogni dodici abitanti. Proliferano in moltissimi Paesi "poveri" e costituiscono l'arma preferita di eserciti irregolari, gruppi armati o bande, quasi sempre con forte presenza di bambini e ragazzi, al soldo dei vari "signori della guerra". La loro diffusione alimenta una spirale di violenza che a sua volta fa aumentare la domanda e gli enormi profitti di fabbricanti e trafficanti.
Le ragioni del loro "successo"
Basso costo: con soli 50 milioni di dollari, l'equivalente di un moderno aereo da caccia, è possibile equipaggiare un piccolo esercito con circa 200000 fucili d'assalto. In alcune zone dell'Africa il famoso kalashnikov Ak47 si compra a 6 dollari. Ampia disponibilità e facile trasporto dal 1947 ad oggi sono stati prodotti 70 milioni di kalashnikov, il simbolo della violenza di massa a bassa tecnologia. Terminata la "Guerra Fredda", immensi arsenali sono stati dismessi e le armi sono affluite nelle zone "più calde" del pianeta. Le piccole dimensioni ne consentono un facile trasporto, anche clandestino, e la vendita sul mercato nero, difficile da controllare. Facile manutenzione: sono sufficienti semplicissimi metodi di manutenzione e pochissimi pezzi di ricambio. Per dare un'idea delle proporzioni tra armamenti pesanti e leggeri, mentre un aereo da caccia F-5 ha circa 60000 pezzi di ricambio, il kalashnikov ne conta solo 16. Facile impiego: si montano e si smontano con tale facilità da consentirne l'uso anche ai bambini soldato di 10 anni. Lunga vita: restano in circolazione e in perfetta efficienza per decenni, tanto che vengono tuttora utilizzate armi della seconda guerra mondiale. Armi che vengono abbandonate al termine di un conflitto civile finiscono sul mercato nero per poi ricomparire in un'altra area di guerra.
L'Italia e il commercio mondiale di armi
L'Italia è uno dei principali esportatori mondiale di armi leggere, dopo USA e Gran Bretagna, ed è anche uno dei maggiori produttori. Queste esportazioni sono classificate nella maggior parte dei casi sotto la voce "armi civili", vale a dire armi comuni da sparo, da caccia o da tiro sportivo. Così pure gli esplosivi, ufficialmente esportati "per uso industriale". 2596 miliardi di lire per quanto riguarda i sistemi d'armi, questo il valore delle esportazioni nel 1999, il 41% in più rispetto al 1998. Negli ultimi anni i maggiori importatori di armi italiane sono i paesi del Medio Oriente e dell'Africa settentrionale. Nel 1994 verso il Congo e nel 1997 verso l'Eritrea massicce esportazioni di armi hanno preceduto lo scoppio dei conflitti. Fino al 1990, l'esportazione di armi non era soggetta all'applicazione di rigidi divieti e l'acquisto e la vendita di armamenti erano coperti da segreto militare. Negli anni '80, quando l'Italia esportava armi per 4000 miliardi, i principali "clienti" erano i paesi coinvolti in situazioni di conflitto e di violazione dei Diritti Umani. In Italia l'approvazione della legge 185 del 1990 ha introdotto un sistema normativo che favorisce maggiore trasparenza ed impone il rispetto di specifici obblighi come, ad esempio, quello di non esportare armi verso paesi violatori di Diritti Umani o coinvolti in conflitti armati. Il fatto che, da allora, ogni richiesta di esportazione sia sottoposta ad autorizzazione governativa ha consentito di operare un distinguo tra mercato lecito e traffico illecito. Il Presidente del Consiglio è tenuto a presentare una Relazione annuale al Parlamento, che informi sulle singole autorizzazioni all'esportazione, importazione e transito di materiale militare, sul nome delle aziende produttrici, sui materiali esportati e sul loro valore, nonché sul paese destinatario. Purtroppo, nel corso degli anni, l'applicazione della legge si è fatta sempre meno rigorosa. La dimostrazione più evidente è che sono state classificate come "civili" la maggior parte delle armi leggere destinate in Sierra Leone e nella ex- Jugoslavia, nonostante questi paesi siano stati sottoposti a embargo dalle Nazioni Unite. I trasferimenti verso paesi in conflitto salgono dal 3,1% del 1990 al 14,5% nel 1997. I paesi nei quali si esercita sistematica repressione dei Diritti Umani passano dallo 0,4% nel 1991 al 2,35% nel 1997. Quelli dove la repressione è frequente assorbono il 22,6% nel 1997 rispetto al 7% del 1991.
"Negli anni '90 è cambiata la natura dei conflitti. Dopo la crisi del Golfo nel 1990-91 pochissime guerre hanno opposto due o più stati come in passato... I conflitti più gravi e cruenti hanno assunto la forma di guerre civili o di operazioni di guerriglia contro il potere costituito... combattute soprattutto con armi leggere, a buon mercato, facili da trasportare e trasferire da un conflitto all'altro. Armi utilizzate in Libano sono state riciclate nella ex Jugoslavia e poi in africa. Oltre a distruzioni e danni incalcolabili, possono produrre effetti devastanti. E' bastato un lancia missili per abbattere, il 6 aprile 1994, l'aereo del presidente ruandese Juvènal Habyarimane e scatenare un genocidio. Il costo umano di questi conflitti è enorme. Il 90% delle vittime sono civili. La logica delle armi è spesso incompatibile con qualsiasi negoziato di pace e la comunità internazionale si trova impreparata quando invia sul campo le forze preposte a mantenerla. Quasi tutte le missioni in Africa sono fallite per la proliferazione delle armi leggere e quasi sempre le "forze di pace" si sono viste puntare contro le armi leggere vendute dai loro stessi paesi."
Orrori in Sierra LeoneTratto e rielaborato da un contributo di Bernard Adam, direttore del gruppo di ricerca e informazione sulla pace e la sicurezza di Bruxelles pubblicato sul briefing di Amnesty International "Armi convenzionali e leggere" che è possibile richiedere presso gli uffici della sezione italiana. Di quali armi parliamo?
Sono armi leggere e piccole tutte quelle che possono essere facilmente trasportate da una o più persone su veicoli come la jeep e fuoristrada. Gli esperti delle Nazioni Unite hanno individuato tre categorie di armi piccole e leggere, che possono essere utilizzate come strumenti di guerra:
1) Armi di piccolo calibro
revolver, pistole, fucili, carabine, pistole mitragliatrici e mitra.2) Armi Leggere
Mitragliatori pesanti, lancia-missili e lanciagranate portatili, pezzi di artiglieria e mortai portatili antiaereo e antimissile, con un calibro inferiore ai 100 mm.3) Munizioni ed esplosivi
Usati per le armi e gli armamenti sopra elencati, comprese le mine antiuomo (già messe al bando in Italia)La posizione di Amnesty
Amnesty International riconosce che tutti i paesi hanno diritto alla legittima difesa e all'acquisto di armamenti che la garantiscano. E' inoltre consapevole che le armi e gli equipaggiamenti di sicurezza possono svolgere una funzione essenziale nel proteggere le popolazioni civili dalle violazioni dei Diritti Umani. Amnesty International non è quindi contraria al commercio di armi in quanto tale, si oppone però ai trasferimenti di armi, equipaggiamenti e personale militare che potrebbero contribuire a violazioni dei Diritti Umani. La Sierra Leone, ad esempio, è uno di questi paesi. Onde evitare che armi non vendute dall'Italia siano fornito siano fornite da altri paesi, Amnesty International e altre organizzazioni, hanno fatto pressione sui Governi per l'elaborazione di un Codice di Condotta Europeo, adottato nel 1998, che impone agli Stati membri la consultazione preventiva per il trasferimento di armi negate da un altro paese.
Amnesty International difende la legge 185/90
Per le sue caratteristiche, la legge italiana rappresenta un modello nel panorama internazionale, in particolare per quanto riguarda le misure di trasparenza e divieti di esportazione di armamenti espressi dall'articolo 1 comma 6; tali divieti si dovrebbero applicare verso i paesi: in stato di conflitto e in contrasto con i principi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che vieta l'uso della forza armata a scopo di aggressione; la cui politica contrasti con l'articolo 11 della Costituzione: quindi verso i paesi che si dimostrino propensi a metter in atto aggressioni; nei cui confronti sia dichiarato un embargo dalle Nazioni Unite; i cui governi siano responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di Diritti Umani; che, ricevendo aiuti dall'Italia, destinino al bilancio militare risorse eccedenti rispetto alle esigenze di difesa del paese.
Il 29 dicembre 1999 il Governo Italiano, con alibi della "europeizzazione" del mercato e delle regole, ha presentato un disegno di legge che se approvato, sottrarrebbe all'applicazione della legge 185/90 le coproduzioni di materiali di armamento con paesi membri della Unione Europea e della NATO. I vari pezzi e componenti d'arma fabbricati in Italia sarebbero infatti esportati sotto la responsabilità dei partners che li assemblano, con il fondato rischio di consegnare armi e soprattutto tecnologia a paesi instabili che non danno alcuna garanzia sul rispetto dei Diritti Umani e che potrebbero riesportarle a terzi destinatari. Oltre a ridimensionare il ruolo del Ministero degli Affari Esteri a vantaggio del Ministero della Difesa, si vuole anche eliminare il ruolo consultivo che possono svolgere le organizzazioni non governative, come Amnesty International, rispetto alla situazione dei Diritti Umani nei paesi importatori di armi.
L'impegno di Amnesty International
Amnesty International è tra le 200 maggiori Organizzazioni Non Governative che hanno fondato "the international NGO Action Network on small arms" (IANSA). Consapevoli dell'estensione e della complessità del fenomeno, che tocca tutti i livelli della società in ogni parte del mondo, le Organizzazioni che vi aderiscono si prefiggono di individuare una strategia coordinata e globale che coinvolga la società civile ed i governi attraverso un'azione a livello locale, nazionale, internazionale, il cui obiettivo è di fermare il ciclo del sottosviluppo, della violenza e dei conflitti, alimentato dalla proliferazione di armi leggere. A questi temi si ispira anche la Campagna italiana sulle armi leggere, promossa da Amnesty International e da altre importanti e prestigiose organizzazioni, laiche e religiose.
"Meglio accendere una candela che maledire l'oscurità"
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Pagina inserita il: 16 luglio 2000
Ultima modifica: martedì 01 ottobre 2002 15.58