|
continua:
Rischio di reati di serie B
in Italia? Ovvero, i morti sul lavoro sono meno importanti di altri?
Il magistrato torinese Raffaele Guariniello, autore di indagini note
come le farmacie negli spogliatoi del calcio italiano o i decessi
alla multinazionale Eternit, alza la mano e accusa certi pm:
sarebbero troppo pigri con le morti sul lavoro. E non vi sarebbe la
necessaria comunicazione fra le procure europee dove, mentre le
aziende si parlano alla velocità supersonica di email e social
network, i tribunali fanno ancora i conti con la carta e le lunghe
attese.
Argomento delicato,
questo, non poco ingarbugliato, specie dalle nostre parti. Ignorando
per una volta il monito di Sun Tzun - «non bisogna mai accamparsi su
di un terreno pericoloso» - sarebbe molto utile fermarsi invece a
riflettere su quei morti e su quelle cause, anche a rischio di
impattare su realtà crudeli. Le settemila vittime sul posto di
lavoro degli ultimi cinque anni non rappresentano una cifra da poco.
E se anche lo fossero ciò non giustificherebbe certa approssimazione
nell’affrontare la questione, anche da parte di alcuni media.
Il procuratore aggiunto di Torino ha ragione quando sostiene che in
Italia si assiste a una diseguaglianza di «trattamento giudiziario a
danno dei lavoratori e delle stesse aziende». I processi in piedi
per infortuni sul lavoro e per malattie professionali corrono il
rischio di essere prescritti in Cassazione. Pochi quelli che si
celebrano, anche con il corollario di tempi biblici. Il risultato
non è soltanto il mancato riconoscimento di un diritto previsto
dalla legge al lavoratore, ma anche uno squilibrio evidente per
l’intero sistema economico-professionale. Perché si produce un
innegabile corto circuito tra operaio, impresa e welfare. Perché
quell’operaio che ha sacrificato tempo e salute per il proprio
lavoro non uscirà dal tribunale con una coscienza rafforzata. Si
vedrà invece dimezzata la fiducia nella giustizia e anche in se
stesso, dal momento che, come accade in molti casi, non potrà più
riprendere il precedente ritmo di lavoro, oppure, come purtroppo
accade in altri più tristi casi, non avrà nemmeno la possibilità di
riprendere la precedente esistenza. Vengono in mente le parole di
Leonardo
Sciascia,
quando affermava: «Si suol dire che l’Italia è culla del diritto,
quando evidentemente ne è la bara».
Perché non approfittare, allora, della riforma della giustizia in
cantiere, per prevedere misure risolutive, accelerando così l’iter
delle cause per le morti sul lavoro? Perché non inserire norme che
tutelino maggiormente il lavoratore monoreddito, magari con più di
due figli? Intervenire insomma concretamente sul welfare, sui
bisogni reali e concreti di un operaio, la cui esistenza dipende da
quel posto di lavoro, da quel salario e della sua salute nel
conservarlo al meglio.
Le morti bianche. Dove il bianco appare un colore smunto, pericoloso
perché indefinito, non sufficientemente rassicurante, privo di
certezze. Un bianco dove lo Stato deve impegnarsi a puntare dei
paletti, severi e duraturi. Come ha sottolineato il ministro
Maurizio Sacconi in occasione della giornata del volontariato, non è
più sufficiente circoscrivere gli incidenti sul lavoro a eventi
racchiusi nel circuito della legge e della relativa applicazione.
Urge una rivisitazione del problema, magari analizzandolo da una
prospettiva meno giurisprudenziale e più sociale. Intendendo creare
un dialogo più intenso tra imprese, lavoratori e Stato, con una
formazione che sia finalmente all’altezza, con provvedimenti
invasivi da avviare anche all’interno dei cicli scolastici.
Spazzando via l’attuale geografia nazionale con tante Italie,
ciascuna dotata di tempi e modi diversi, come testimoniato dalle
sole ventuno denunce di incidenti sul lavoro in dieci anni,
segnalate alla procura di Vibo Valentia. Un’assurdità.
Bene prevenzione e formazione, dunque, ma si potrebbe anche andare
oltre: la sicurezza dovrebbe essere una cultura, e non solo un
diritto o un obiettivo, per quanto nobile esso sia. Una vera
educazione alla sicurezza, come intima convinzione civica ad
appannaggio dei lavoratori e degli imprenditori. E dove le imprese e
la politica dovrebbero sforzarsi di portare il peso maggiore,
venendo incontro alle esigenze dei più deboli.
«La repubblica è la nostra famiglia - diceva Calamandrei - la nostra
casa. Un senso di vicinanza e di solidarietà in cui ci
riconosciamo». Proprio quella solidarietà che trasuda, copiosa, dal
parco inaugurato l'altro giorno a Torino dedicato alle vittime della
Thyssen, a due anni dalla tragedia che costò la vita a sette operai.
Un segno - verde - dagli spiccati connotati di speranza. Perché chi
deve garantire l’equilibrio della giustizia si impegni a farlo sul
serio, lasciando da parte luci e palcoscenici. E concentrandosi un
pizzico di più su certe zone tristemente grigie, dove la vita umana
troppo spesso conta meno di un tot.
di Francesco De Palo
********************************************
Cari amici, ad appena un anno dalla sua emanazione il D.Lgs. 81/08
ha subìto 5 interventi di modifica; la cosa non agevola certo il
lavoro di chi opera nel mondo della sicurezza sul lavoro, tanto che
in rete si assiste spesso alla pubblicazione di articoli ormai
superati nei contenuti.
In particolare, l'ultimo intervento di modifica (il D.Lgs.
106/2009) ha modificato oltre la metà degli articoli del "Testo
Unico" ed i due terzi degli allegati, introducendo importanti novità
per gli RLS, come il divieto di portare il Documento di Valutazione
dei Rischi (DVR) al di fuori dei locali di lavoro. Inoltre, anche i
lavoratori si trovano di fronte a numerose innovazioni legislative,
far questi in materia di sorveglianza sanitaria, è stata introdotta
la possibilità di essere sottopostri ad una visita medica
finalizzata a confermare l'idoneità fisica alla mansione al rientro
al lavoro dopo 60 giorni continuativi di malattia.
Siamo di fronte quindi non ad una modifica del Testo Unico in
materia di sicurezza sul lavoro, ma ad un Nuovo Testo Unico, in
quanto ad entità ed incisività degli interventi apportati dal
Legislatore del 2009, interventi che richiedono un intenso lavorodi
approfondimento, al fine di evitare di prendere "cantonate" in
questa materia, così velocemente mutabile.
Michele D'Apote
|