Porretta Soul Festival 2002: non solo Corna...
C'ero anch'io, reduce da alcune serate jazz a Verona, e con tanta voglia di Soul, come spesso mi viene nei mesi estivi.
Sarà che il Soul mi riporta indietro negli anni, quando con un mangiadischi portatile ballavo sulla scogliera con Aretha Franklin e Otis Redding, ma poi ci penso, e non è solo quello. E' che il Soul ha sempre quel "non so che", da negro innamorato e deluso, da povero diavolo ultimo nella scala sociale, senza una lira in tasca, che persino un chinotto al chiosco della spiaggia era un lusso insostenibile.
Vabbè, io quella musica me la sono sudata ai juke box in riva al mare. Aspettavo che qualcuno infilasse le monetine, poi lo consigliavo: metti questo questo, metti quello. Metti Wilsson Picchéét.
Ed anche se usciva l'Equipe 84 faceva niente, anche loro erano soul, con la s minuscola, ma soul ugualmente, negri promossi alla classe superiore, meno negri, ma non per questo wasp.
Intanto il flipper girava, ed il meglio in assoluto era fare un record al flipper a ritmo di soul. Sempre che qualcuno ti facesse fare un doppio con lui, perchè le monetine mancavano sempre, come ai negri.
Può essere che chi non è stato adolescente alla fine dei sixties non riesca ad apprezzare il Soul. Ma, ne ho parlato con chi se ne intende, forse più di me, se ti piace Battisti, sei ad un passo dal Soul, anzi, hai già un piede dentro.
Fai che provare: ascolta Otis Redding e Solomon Burke e vedrai se non ti prende anche il Soul.
Poi, l'anno prossimo vieni a Porretta e così ti immergi nel clima giusto, tra panciuti cinquantenni in bermuda e signorotte che non sai bene se son lì per le cure termali o per muovere le chiappe al ritmo di quand'erano vergini immacolate, e facevano la coda al Covo di NordEst per vedere Maurizio dei New Dada o Rocky Roberts.
Ma questa è vita, anzi è la vita: il tempo passa, non si vive di ricordi, ed allora tanto vale ritrovare quello che abbiamo perso, immergendosi nell'evergreen. Il Soul parla alla nostra parte for ever young, dove noi stessi siamo rimasti tali e quali, ci sorprende a fantasticare di occhiate furtive, ammiccamenti, cotte improvvise per la ragazzina coi capelli ramati e tanta voglia di andare.
Andare dove? A N D A R E.
Porretta ha questo di bello: la notte si dorme bene anche nel fuoco di luglio, e nonostante tutti ci marcino, i prezzi sono abbordabili. 25 euro per dormire, una ceres a prezzi da supermercato o giù di lì.
Non ci sono fiumi di invasati per la rockstar di turno e bande di moods incazzati. C'è gente che viene per ascoltare musica e non per fare casino. Gli artisti sono a portata di mano, da Syl Johnson a Marva Wright, da Ann Peebles a Carl Whetersby, li hai sotto il naso anche sul palco, ma potresti sederti con loro al bar, e persino sentirli provare.
Questo fa la differenza.
Quest'anno l'apertura era riservata in tutte e quattro le serate ad un ensemble di ragazze australiane composto di 27 elementi 27 con tanto di trombettiste, saxofoniste e tromboniste. Uno spettacolo nello spettacolo vedere faccine da "Picnic ad Hanging Rock" suonare, ballare e cantare classici come "Everybody Needs Somebody To Love". Qualcuna era anche deliziosamente graziosa e la cosa non guastava. Puro divertimento.
Ma io ero presente solo alle serate di sabato e domenica, ed a queste mi limito.
Syl Johnson ha una voce che ricorda Robert Cray, ed il suo attuale repertorio non è che vada poi molto lontano. Però si sente che vive a Chicago e che macina quel tipo di blues, che rispetto a Robert Cray (per quello che si sente nei dischi), sembra avere una marcia in più. E che, soprattutto, sa usarla, al contrario degli incensati Johnny Lang e Keyne Wayne Shepard, angeli biondi ed un po' scipiti imitatori di Steve Ray Vaughan.
Non posso dire che mi abbia entusiasmato, però mi è piaciuto, ed il miglior commento mi sembra essere questo: lo rivedrei volentieri, magari con a disposizione un set più lungo di quello offerto dal festival.
Come chitarrista è ok, prende riff brevi e non ridondanti, non gioca a fare il Clapton o il Freddy King. Se vuoi ha preso qualcosa da Magic Sam. Ma c'è un solo chitarrista blues che non ha bevuto alla fonte del magico?
In questi giorni sto ascoltando Robben Ford; persino lui ha pescato nella zona.
Però Robben è davvero un po' freddo, mentre il signor Syl Johnson ha un suono bollente ed una voce da vero soulman. Sa stare in buon equilibrio tra il blues ed i soul, in una zona di confine, alla maniera, ripeto di Robert Cray.
Il bello del set di Syl Johnson è che si è trovato costretto a suonare con la band di Ann Peeble, con cui ha trovato un affiatamento provvisorio ma, intrigante. Ovviamente non tutto ha girato alla perfezione, ma nelle imperfezioni potevi notare quei guizzi e quegli aggiustamenti che solo chi sa suonare on stage, cioè musicisti veri, riesce a realizzare sul momento. Ripeto: niente male.
Con Ann Peebles il prezzo del biglietto, 20 euro, nè troppo, nè poco, era interamente pagato, ma ad essere sinceri lo era già con la Michael Allen Band. Che come band non è davvero un granchè. Ma lui al piano elettrico vale un'orchestra da solo, suona pochissime note, ma sempre giuste, e canta uguale, tra un silenzio e l'altro, sillabando con un fortissimo senso del soul e dello swing. E' un perfetto animale da palcoscenico, in grado di catturare l'attenzione di chiunque, anche il turista distratto capitato per caso al festival. Lo avverti dal silenzio magico che percorre la platea, da come strappa l'applauso, non "dovuto" ma sentito. Quello che non capisci è come un talento così, che ha lavorato con Al Green, non riesca ad emergere dal gradino appena superiore al livello del piano bar in quanto a successo di pubblico. Potrebbe essere il Fiorello nero per i prossimi dieci anni se solo qualcuno se ne accorgesse.
Comunque sia, il simpatico Michael è partito con una sorta di ripasso generale, l'ABC del Soul, infilando una serie di medley accattivanti e da standing ovation.
Quando Syl Johnson è salito sul palco, l'atmosfera era "calda" al punto giusto, o forse troppo. Non proponendo immediatamente gli hits che tutti conoscono, e che tutti gradiscono, Syl ha faticato un po' a trovare la sintonia con la platea più calda e tradizionale, ma, alla fine, i consensi non sono mancati, alcuni coretti botta e risposta sono partiti, insomma: anche il pubblico più ostile alle novità del repertorio si è fatto trascinare.
Di Ann Peebles parlerò presto in un articolo. Qui mi pare necessario solo ricordare che si tratta di un'eccellente interprete (la parola straordinaria mi pare eccessiva) che a Porretta ha confermato tutto quanto di buono aveva mostrato lo scorso anno a Bologna, e tutto quanto di bello era stato scritto su di lei dai massimi esperti americani di Soul Music.
Purtroppo questa ragazza manca di un "qualcosa" che la caratterizzi in senso forte ed immediatamente riconoscibile. Non ha il sex appeal provocatorio di Millie Jackson, o la turbolente presenza scenica di Aretha Franklin ai tempi d'oro. E nemmeno, per fortuna, la mammosa e sghemba figura ripiegata di Marva Wright, che ti strappa di per sè una sincera commozione. E' semplicemente una bella voce, Ann, una voce che ascolti volentieri anche e soprattutto dal vivo. Se apprezzi le sfumature, le variazioni e persino qualcosa sulla soglia del melismo, ci siamo. Nessuna stecca, nessuna forzatura; il tutto presentato con garbo, forza, equilibrio.
La serata di domenica è stata decisamente superiore, anche sotto il profilo del richiamo commerciale.
Accompagnata dalla generosa band di Michele Torpedine, forse il miglior ensemble di Soul esistente in Italia, si esibita, pensate un po', Luisa Corna e la ragazza ha fatto vedere di avere la stoffa per stare in scena e cantare i classici del Soul come pochi in Italia. Ci fosse stato Fausto Leali al suo fianco, come a Sanremo, l'enplein sarebbe stato completo. Magari con Deborah e qualche duetto alla Otis-Carla Thomas.
Ma non si può avere tutto, si sa.
Il meglio della serata è poi venuto dall'ingresso in scena della band di Carl Whetersby, un chitarrista blues che mi aveva grandemente deluso quando sentito su cd, e chi mi ha entusiasmato sentito dal vivo.
I dischi ingannano? A volte sì, e se più spesso in meglio, cioè, fan sembrare oro il metallo più vile, a volte ingannano anche al contrario, ovvero riducono il valore reale di un artista, lo riducono a merce.
Il punto forte di Carl Whetersby è lo stesso di Michael Allen, suona ed incanta allo stesso tempo. La musica ti prende per i capelli ed il cuore e ti trascina nel "suo" mondo.
Ecco perchè bisogna andare ai concerti e, magari, comprare qualche cd in meno. Il rischio di delusioni è fortissimo, ma le esperienze fondamentali rimangono, per tutta la vita.
Io visto Dee Dee Bridgewater dal vivo e non me la posso dimenticare.
Sul più bello del set di Whetersby arriva in scena Trudy Lynn, vocalist texana di grande impatto, compatta, robusta, quadrata, quasi un Honky Tonk Girl, se non fosse che il country non girava che per poco sul tessuto filato dalla band di Carl.
Trudy mi ha convinto e miglior complimento potrebbe essere questo: cerco i suoi cd.
Infine Marvona Wright e grandiosa chiusura per il festival.
Ho bevuto la quarta birra e sono leggermente incatramato. Ed anche predisposto alla migliore recezione.
Non posso che dire: travolgente. Ti viene di alzarti in piedi, battere le mani al ritmo, danzare.
Aggiungerei che Marva Wright è davvero la novità del Soul, l'interprete che può raggiungere una relativa popolarità e quindi rialzare le quotazioni del genere, attirando pubblico ben oltre la ristretta cerchia dei fedelissimi appassionati di Soul. Il tutto, ricordiamolo, intinto nello swamp della Lousiana e nelle magie di New Orleans, una parola questa, che fa immediatamente scattare qualcosa in più.
Se ascolti Heartbreakin' Woman o The Sky Is Crying ti rendi conto del calore e della ruvida bellezza di questa voce e di quali profonde sensazioni sia in grado di comunicare. Che altro?
Si esibisce a Camogli il 25 luglio. Ci vediamo tutti lì?
gm - 17 luglio 2002 -