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a cura di Vincenzo de Simone

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Santa Maria dei Barbuti

 

La chiesa di Santa Maria dei Barbuti, certamente molto più antica, compare nella documentazione giunta fino a noi soltanto nel marzo 1301, in relazione a suoi beni siti in ruga Palmentariorum. Del 6 novembre 1495 si conserva la bolla di nomina di un parroco. Il 4 febbraio 1566 ad essa è annessa la parrocchia di Santa Maria de Capite Platearum. Nel corso della visita pastorale del 9 ottobre 1685 si rileva che nella chiesa esercita la cura delle anime dei propri parrocchiani il parroco di San Grammazio.

Agli inizi del Settecento, presumibilmente fra il 1707 e il 1717, la tipologia originaria a tre navate, essendo crollata la settentrionale già nella seconda metà del secolo precedente, è sostituita dall’impianto a navata unica che tutt’ora osserviamo.

Il 19 settembre 1860 l’arcivescovo monsignor Salomone dispone che la sede parrocchiale di Santa Maria dei Barbuti passi nella chiesa del Carmine Nuovo, ex del Gesù, attualmente della Santissima Addolorata, rimasta senza culto dopo la rinnovata soppressione della compagnia di Gesù. Quello stesso giorno il parroco, d. Matteo Pironti, esegue quanto disposto. Rimane nella nuova sede fino al 31 dicembre 1867, quando è costretto, dopo inutili resistenze, ad abbandonarla perché il comune intende ospitarvi i soldati. Il parroco ritorna all’antica sede, intanto tenuta dalla confraternita di San Filippo Neri. Nel 1868, dopo tre mesi di occupazione militare, la chiesa del Carmine Nuovo rimane libera; l’arcivescovo invita di nuovo il parroco di Santa Maria dei Barbuti ad utilizzarla quale sede parrocchiale, facendogli, presente, però, che il comune si riserva il diritto di riprenderla ogni qual volta dovesse servire per uso di pubblica utilità. Naturalmente, il parroco preferisce rimanere nell’antica sede.

Con decreto arcivescovile del 21 ottobre 1935 il territorio e i parrocchiani di Santa Maria dei Barbuti vengono annessi a Sant’Andrea de Lavina, mentre il beneficio e il titolo passano alla erigenda parrocchia del rione Fratte, poi nota come della Sacra Famiglia.

 

La chiesa, sconsacrata e chiusa a qualsiasi fruizione fin dal 1935, è stata sottoposta a restauro con il contributo della Conferenza episcopale italiana. L’intervento, iniziato nel 2002 e che ne ha permesso l’apertura al pubblico in occasione della manifestazione Salerno porte aperte del 2005, ha riguardato la parte in elevazione dell’edificio, portando alla luce, sul lato destro dell’aula, inserita in un arco a sesto acuto, una parete in laterizi ad archi intrecciati (secondo la descrizione del relatore del restauro), comprendente un vano di passaggio verso la zona dell’antica sagrestia. Sul fondo della chiesa, sul lato sinistro della navata, è stato anche individuato e portato in evidenza un antico passaggio verso settentrione e tracce di una scala, forse accesso ad ambienti ipogei. Liberando la zona absidale da un manufatto posticcio è stato rinvenuto l’altare settecentesco con residui di decorazioni a stucco. L’edicola attualmente presente nell’abside nasconde l’originaria parete di fondo, sulla quale sono stati rinvenuti i sostegni di un quadro di grande dimensione. La pavimentazione settecentesca è stata riconosciuta in piccoli frammenti di maioliche smaltate dal fondo verde, bianco e giallo con motivi geometrici perimetrali e con motivi floreali in una probabile pannellatura centrale.

Nella relazione sui lavori di restauro è stata avanzata, senza portare a sostegno elementi tangibili, la singolare ipotesi che la chiesa avesse in origine una disposizione planimetrica sull’asse nord-sud e che assumesse l’orientamento attuale, est-ovest, in occasione della riedificazione settecentesca. Si tratta di una illazione assolutamente priva di fondamento, poiché tutta la documentazione notarile seicentesca la descrive con la zona absidale ad oriente, secondo i canoni dell’edilizia sacra altomedievale; fatto confermato dalla circostanza che nella seconda metà del Seicento risulta crollata la navata settentrionale.  

 

Per saperne di più. G. Crisci, Salerno Sacra, 2a edizione postuma a cura di V. de Simone, G. Rescigno, F. Manzione, D. De Mattia, edizioni Gutenberg 2001, I, pp. 85-86.

La relazione sul restauro a firma dell’ing. Matteo Adinolfi si legge in Salerno porte aperte, 2005, pp. 44-46.

 

Parete in laterizi ad archi intrecciati (?)

la cui funzione e datazione rimane indeterminata.

 

Se hai la fortuna di trovare l'ex

chiesa aperta, circostanza altamente

improbabile, non sperare di vedere

questa parete, poiché, con bella pensata, essa è stata nascosta dietro un pannello in cartongesso.

 

 

Aggiornamento. 7 settembre 2010. Gradino di accesso a Santa Maria dei Barbuti.

 

Aggiornamento. 19 marzo 2013. la Città.
L'intervento della Soprintendenza ha bloccato lo sciagurato progetto distruttivo dei restauri effettuati, sebbene pedestramente, fra il 2002 e il 2005. Nell'impossibilità di accedere all'aula, ove sarebbero stati realizzati tramezzi divisori e istallati servizi igienici, constatiamo (immagini in basso) i danni arrecati all'esterno.

 

 

 

In alto: (volutamente alterata nei colori) la cementificazione del graffito sotto il gradino di accesso.

A lato: uno scavo per l'inserimento di una cassetta contenente il contatore dell'acqua ha tagliato il punto di intersezione del pannello interno in laterizi traforati con la parete esterna, alla destra della porta della chiesa.