il sito di storia salernitana

a cura di Vincenzo de Simone

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Rassegna Storica Salernitana, 15, 1991, pp. 179-184

L’UBICAZIONE DELL’ANTICA CATTEDRALE DEI VESCOVI SALERNITANI

 

Le indubbie suggestioni di un antico luogo di culto, tornato alla luce nell’area di San Pietro a Corte, indussero d. Arturo Carucci alla pubblicazione di un opuscolo in cui il sito veniva identificato con la chiesa di Santa Maria Dei Genitricis, antica cattedrale dei vescovi salernitani1; in effetti, tale identificazione non resiste ad una analisi critica sulla scorta delle fonti scritte, che portano all’ubicazione dell’antica cattedrale in tutt’altra zona della Salerno longobarda, nell’area dell’Orto Magno.

Un documento del novembre 10642 è il solo, fra quelli giunti fino a noi, che ci fornisca un riferimento utile a determinare tale ubicazione: esso ci informa che l’archiepiscopio era posto davanti alla cattedrale. Da tale assunto, considerando che certamente la chiesa ebbe l’orientamento canonico dell’epoca sull’asse est-ovest con ingresso verso quest’ultima direzione, si evince che l’archiepiscopio, per essere davanti alla cattedrale, non poteva che essere posto sullo stesso asse, avendo la chiesa ad est3; ove, quindi, fosse possibile determinare il sito dell’archiepiscopio, evidentemente avremmo anche l’ubicazione della cattedrale.

Un documento del marzo 9904 ci permette di restringere l’area di ricerca: esso, infatti, tratta di un terreno sito nella città di Salerno, in Orto Magno, al di sotto dell’archiepiscopio salernitano, prospettando con il proprio lato est su una strada, con andamento sud-nord, che portava alle case e al cortile del conte Alfano; ma i documenti che ci permettono una ubicazione addirittura approssimata alle decine di metri sono due atti rispettivamente del marzo 10405 e del marzo 10586, quest’ultimo con inserti del giugno 971, del novembre 976, del giugno 1055, del luglio 1056 e del febbraio 1058.

Il primo di tali documenti è relativo ad una chiesa sotto il titolo di San Matteo e San Tommaso, sita nella città di Salerno, al di sotto e vicino all’archiepiscopio, di pertinenza di Ademario conte e giudice, figlio del fu Pietro conte, e dei nipoti dello stesso Ademario, conti Adalberto e Guaimario, fratelli, figli del fu Alfano7. Il secondo è relativo ad una sentenza con la quale era stata composta una lite fra Giovanni, sacerdote e abate della chiesa di San Matteo apostolo, sita nella città di Salerno, in Orto Magno, al di sopra e vicino la chiesa di San Gregorio, e Alfano conte, figlio del fu Ademario conte e giudice, patrono della stessa chiesa, da una parte, e Leone atrianense, figlio del fu Pietro, dall’altra parte; tale causa era stata discussa nell’atrio della citata chiesa di San Gregorio, costruita lungo la chiesa che conduceva alla porta di Elino8.

Nel secondo di tali documenti, l’inserto del novembre 976 rappresenta l’atto di dotazione a favore della chiesa di San Matteo e San Tommaso da parte dei fondatori coniugi Pietro conte, figlio del fu Landolfo, e Aloara detta Fasana, figlia del fu Leone napoletano. Da tale inserto in particolare, con l’ausilio del contesto generale del documento, si apprende che al di sopra della chiesa di San Gregorio correva, con andamento ovest-est, un andito che, attraversando beni appartenenti al conte Alfano, zio del fondatore della chiesa di San Matteo e San Tommaso, congiungeva una via con andamento sud-nord, posta ad ovest sia della stessa chiesa di San Matteo e San Tommaso che di quella di San Gregorio, con beni degli eredi del clerico Giovanni. Al di sopra di tale andito era posto il terreno sul quale era edificata la stessa chiesa di San Matteo e San Tommaso, detta anche semplicemente di San Matteo apostolo, fra il cui abate ed il cui patrono, da una parte, e Leone atrianense, dall’altra, sussisteva la lite che si discuteva nel 1058. Tale terreno aveva una lunghezza, sull’asse nord-sud, di circa ventisette metri sul lato ovest e di circa ventotto metri sul lato est, con una larghezza di circa undici metri sul lato meridionale e di circa sedici metri sul lato settentrionale9; esso confinava ed est con gli eredi di Mastalo atrianense, con Reginulo ebreo, con Mundulo e con gli eredi di Sellitto de Aunito; verso ovest, non giungeva alla strada con andamento sud-nord che abbiamo visto, ma a questa era collegato tramite un altro andito attraversante altri beni del conte Alfano e beni degli eredi del conte Pietro, altro zio del fondatore della chiesa. Al di sopra di quest’ultima vi erano le case ed il cortile dello stesso conte Alfano ed un’altra chiesa sotto il titolo di Sant’Andrea.

Dal contesto dei due documenti e dai personaggi che compaiono, è evidente che la chiesa di San Matteo e San Tommaso del primo e la stessa detta anche semplicemente di San Matteo apostolo nel secondo, mentre è altrettanto evidente che la via con andamento sud-nord sulla quale prospettava con il proprio lato est il terreno sito al di sotto dell’archiepiscopio salernitano, di cui al documento del marzo 990, e che portava alle case e al cortile del conte Alfano e la stessa che compare nell’inserto del novembre 976 facente parte del documento del febbraio 1058, per cui si evince che l’archiepiscopio era al di sopra della chiesa di San Matteo e San Tommaso, anche se nel 976 fra questa e l’archiepiscopio stesso troviamo l’altra chiesa di Sant’Andrea. In effetti di quest’ultima esiste anche un’altra citazione, del dicembre 97010, nell’atto con il quale il vescovo Pietro esonera dal potere della sede vescovile salernitana la stessa chiesa di San Matteo e San Tommaso, costruita da Pietro castaldo, figlio del fu Landolfo, in terreno suo, in Orto Magno, appunto al di sotto della chiesa di Sant’Andrea soggetta all’episcopio pestano11.

Ora, dunque, partendo dal sito certo della chiesa di San Gregorio, lungo l’attuale via Mercanti, considerando che a nord di questa vi erano i beni del conte Alfano attraversati da un andito che congiungeva la via con andamento nord-sud ai beni degli eredi del clerico Giovanni, che a nord di tale andito vi era il terreno sul quale era edificata la chiesa di San Matteo e San Tommaso per una estensione di circa ventisette o ventotto metri, che ancora più a nord vi erano le case ed il cortile dello stesso conte Alfano e, almeno nel 976, la chiesa di Sant’Andrea ed infine l’archiepiscopio con ad est l’antica cattedrale di Santa Maria Dei Genitricis, si evince che l’archiepiscopio era, in pratica, sulla parte occidentale dell’area che occupa anche attualmente e l’antica cattedrale era verso l’angolo nord-est della stessa area, che è, come è noto, quella dell’antico tempio di Pomona.

L’antica cattedrale, dunque, oltre a non essere la chiesa indicata dal Carucci, non fu demolita per la costruzione dell’attuale duomo, come sostenuto da vari autori fra cui, prima della scoperta del sito nell’area di San Pietro a Corte, lo stesso Carucci12, per il semplice fatto che non era eretta sull’area che sarà utilizzata per la costruzione del duomo stesso; semplicemente andò in disuso e, quindi, fu incorporata negli ampliamenti successivi dell’archiepiscopio. 

 

1A. Carucci, La chiesa più antica di Salerno: l’ecclesia Dei Genitricis, Salerno 1981; la stessa identificazione il Carucci la ribadisce in Opulenta Salernum, Salerno 1990, pp. 95-96. Vari autori (M. A. Marsilio Colonna, De vita et gestis beati Matthaei apostoli et evangelistae, Napoli 1580, p. 69; G. Paesano, Memorie per servire alla storia della Chiesa Salernitana, parte prima, Napoli 1846, p. 62; A. Capone, Il duomo di Salerno, Salerno 1927, p. 9 e p. 15; C. Carucci, Un comune del nostro Mezzogiorno nel Medio Evo: Salerno, Subiaco 1945, p. 43; M. Fiore, La Badia di S. Pietro a Corte, in «Rassegna Storica Salernitana», 1945 nota 1, pp. 144-145; G. Bergamo, Il duomo di Salerno, Battipaglia 1972, p. 22, p. 40 e pp. 93-94) scrivono, senza citare fonti, che l’antica cattedrale aveva il titolo di Santa Maria degli Angeli; in effetti, ciò non risulta dai pochi documenti che citano la chiesa, ove essa è indicata con il titolo di Santa Maria Dei Genitricis o di Santa Maria sede dei vescovi salernitani.

2Archivio della Badia di Cava, pergamena XII-19; edita in M. Morcaldi, M. Schiani, S. De Stefano, Codex diplomaticus cavensis, VIII, Milano-Napoli-Pisa 1893, pp. 320-332.

3Il Carucci, La chiesa cit., p. 36, nota 33, sulla scorta di questo documento, convinto di vedere l’antica cattedrale nel sito tornato alla luce nell’area di San Pietro a Corte, pensa di poter identificare l’archiepiscopio nel palazzo Fruscione, sfuggendogli il fatto semplicissimo che, anche se la chiesa tornata alla luce fosse effettivamente l’antica cattedrale, essendo questa orientata sull’asse est-ovest, il palazzo Fruscione non le è ubicato di fronte, ma di lato ed a settentrione, per cui il documento, ove il palazzo stesso fosse stato l’archiepiscopio, non avrebbe riportato «ante aulam sancte semperque virginis Dei genetricis Marie», ma «a latere», «a super», «iuxta» o altra espressione equivalente.

4Archivio della Badia di Cava, pergamena IV-46; edita in M. Morcaldi, M. Schiani, S. De Stefano, Codex cit., II, Milano-Pisa-Napoli, 1875, pp. 295-296.

5Archivio della Badia di Cava, pergamena IV-46; edita in M. Morcaldi, M. Schiani, S. De Stefano, Codex cit., II, Milano-Pisa-Napoli, 1875, pp. 295-296.

6Archivio della Badia di Cava, pergamena XI-21; edita in M. Morcaldi, M. Schiani, S. De Stefano, Codex cit., VIII, pp. 51-59. Tale edizione, erroneamente, indica come data del documento il marzo 1057.

7Il Carucci, La chiesa cit., p. 19, interpreta il passo di questo documento, che egli trascrive in modo difforme dall’originale, ove si legge «situm intus anc salernitanam civitatem a suptus et propinguo harchiepiscopio» supponendo che «a suptus» si riferisca a «civitatem», per cui si intenderebbe «nella parte bassa della città»; la nostra opinione è che «a suptus» e «propinguo» si riferiscono ad «harchiepiscopio», per cui si intende «al di sotto e vicino all’archiepiscopio». Da notare che ove si volesse applicare l’interpretazione del Carucci, ad esempio, ad un documento del dicembre 1062 (Archivio della Badia di Cava, pergamena XI-95; edita in M. Morcaldi, M. Schiani, S. De Stefano, Codex cit., VIII, pp. 202-204) in cui si legge: «ecclesia intra hanc predictam civitatem suptus et prope acquam que vocatur de la palma ad honorem beati confessorisadque pontificis Nicolay» si dovrebbe concludere che la chiesa di San Nicola della Palma era sita nella parte bassa di Salerno. Inoltre, il Carucci, La chiesa cit., pp. 19-20 e Opulenta Salernum cit., p. 96, sfuggendogli, evidentemente, altri documenti relativi alla chiesa di San Matteo e San Tommaso che, come vedremo, ne fissano il sito in Orto Magno, identifica questa con San Matteo Piccolo. La stessa confusione fra queste due chiese si legge in G. Crisci e A. Campagna, Salerno Sacra, Salerno 1962, p. 119, nota 8 e pp. 162-163, che pur rilevando come San Matteo e San Tommaso fosse in Orto Magno, non rilevano l’incongruità del loro assunto, visto che San Matteo Piccolo è nell’area della Corte.

8Molto si è discusso intorno all’origine del nome ed all’ubicazione della porta detta comunemente «Elina» (M. de Angelis, La porta Elina de Salerno, in «Archivio Storico della provincia di Salerno», 1924, pp. 99-135; M. de Angelis, Conferme sulle antiche cinte di Salerno e il Labinario di S. Maria de Domno, in «Archivio Storico per la provincia di Salerno», 1932-1933, pp. 111-125; A. De Crescenzo, La Porta Helina di Salerno, in «Archivio Storico per la provincia di Salerno», 1934, pp. 31-32; M. de Angelis, La via Popilia in medio Salerno, in «Rassegna Storica Salernitana», 1938, pp. 267-282; V. Bracco, Salerno Romana, Salerno 1979, note 72 e 73, pp. 164-167). Noi, senza esercitarci in ipotesi più o meno fantasiose, preferiamo rendere il latino medioevale «porta elini» con «porta di Elino». Per quanto riguarda l’ubicazione, ci limitiamo a constatare come l’appellativo di «via che conduce alla porta di Elino» veniva utilizzato per indicare l’attuale via Mercanti; tale identificazione si ricava non solo dal documento del fabbraio 1058 qui citato, ove viene fatto riferimento alla chiesa di San Gregorio costruita lungo questa via, ma nache da altri due documenti, rispettivamente del maggio 1058 (Archivio Archidiocesano di Salerno, pergamena XXIV; edita in G. Paesano, Memorie cit., parte prima, pp. 115-117) e del luglio 1071 (Archivio di Stato di Salerno, pergamena V; edita in L. E. Pennacchini, Pergamene salernitane, Salerno 1941, pp. 37-39) che fanno riferimento alla chiesa di San Vito, costruita lungo la via che portava alla porta di Elino, di cui attualmente vediamo le colonne superstiti lungo via Mercanti, nei negozi dell’isolato fra via Duomo ed il vicolo San Bonosio.

9Le misure indicate sono state ottenute convertendo in metri i piedi riportati dal documento, rendendo trentadue centimetri per un piede e procedendo a lievi arrotondamenti.

10Archivio della Badia di Cava, pergamena A-10; edita in M. Morcaldi, M. Schiani, S. De Stefano, Codex cit., II, pp. 64-66.

11C. Carucci, Un comune cit., p. 43, nota 2, interpretando erroneamente questo documento, scrive che era la chiesa di San Matteo e San Tommaso ad essere soggetta al vescovo di Pesto e non la vicina Sant’Andrea; inoltre, supponendo che San Matteo e San Tommaso fosse eretta sul luogo ove sarà edificato il duomo, scrive che essa fi demolita per la costruzione di quest’ultimo. Naturalmente così non fu: non soltanto perché la chiesa non era edificata ove suppone il Carucci, ma anche perché essa esisteva ancora nel dicembre 1149, quando Gemma, figlia del fu Guaimario, ne cedeva la propria parte al cugino Mansone, figlio del fu Leone (Archivio della Badia di Cava, pergamena XXVII-57); questo documento ribadisce anche il sito della chiesa: in Orto Magno, al di sopra della via che portava alla porta anticamente detta di Elino e al di sotto dell’archiepiscopio.

12A. Capone, Il duomo cit., p. 9 e pp. 15-16; C. Carucci, Un comune cit., p. 43; N. Acocella, La traslazione di san Matteo, Salerno 1954, p. 56; G. Crisci e A. Campagna, Salerno sacra cit., p. 119; A. Carucci, Il duomo di Salerno e il suo museo, Salerno 1962. Quest’ultimo scrive anche, senza citare fonti, che oltre l’antica cattedrale furono demolite altre tre chiese, di cui, però, non indica i titoli.

Vincenzo de Simone