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BRUCE CHATWIN


«La vera casa dell'uomo
non è una casa, è la strada.
La vita stessa è un viaggio
da fare a piedi».











IN PATAGONIA
Edizioni Adelphi
Pagine 264
Lire 28.000












UTZ
Edizioni Adelphi
Pagine 129
Lire 22.000
















ANATOMIA DELL'
IRREQUIETEZA
Edizioni Adelphi
Pagine 221
Lire 25.000




IL VICERE' DI OUIDAH
Edizioni Adelphi
Pagine 149
Lire 12.000
















RITORNO IN PATAGONIA
Edizioni Adelphi
Pagine 77
Lire 10.000












CHE CI FACCIO QUI?
Edizioni Adelphi
Pagine 444
Lire 34.000









Questo era Bruce Chatwin, stivali al collo e addosso una giacca a vento stropicciata. Di quelle che si piegano e occupano poco spazio dentro allo zaino, accanto ad una penna e ai "cahiers" per gli appunti di viaggio. Bruce Chatwin è morto di Aids il 18 gennaio 1989, poco prima di compiere cinquant'anni. Le sue passioni? I viaggi «che non arricchiscono la mente, la creano», la scrittura, una precoce predilizione per il bello e l'esotico, l'ascetismo e la ricerca spirituale. Le sue vicende personali inquadrano, da sole, il personaggio. Figlio di un ufficiale inglese di marina, gli anni della sua fanciullezza sono costellati da continui spostamenti e dal gusto irresistibile per le letture e gli atlanti. Dopo gli studi una folgorante carriera da Sotheby's ne educa "l'occhio brillante"; ma proprio agli occhi, Chatwin, si ammala, rischiando addirittura la cecità. E fu lo stesso scrittore a spiegare - in un'intervista - che l'oculista lo aveva convinto a staccarsi dall'osservazione di quadri per cercare "più vasti orizzonti". Detto fatto, ecco il primo grande viaggio: in Sudan. Sudan che fu seguito dal Marocco, dall'Afghanistan, dalla Patagonia, dall'Himalaya, dall'Australia... I più svariati "altrove" grazie ai quali Chatwin diede libero sfogo alla sua irrequietezza e al suo desiderio di vedere e scrivere del mondo. Viaggi che Chatwin, con sottile autoironia, spiegò così: «... raccontare storie era l'unica occupazione concepibile per una persona superflua come me». L'elogio del viaggio e dello spostamento continuo e la teoria sulla felicità dei popoli nomadi sono i temi più ricorrenti nei suoi scritti. In particolare, ne "La Via dei Canti", dedicato alle credenze dei popoli aborigeni australiani, forse il più riuscito. Il libro che decretò il suo successo fu però "In Patagonia". Opera che nel 1978 fu giudicata "miglior libro dell'anno" dal "New York Times Book Review". Paul Morand volendo spiegare le ragioni profonde che spingono un viaggiatore a partire ha proposto una teoria che, per Chatwin, calza a pennello. Il viaggio, secondo Morand, è un riflesso di difesa dell'individuo, un gesto antisociale. Il viaggiatore, per non sottomettersi, scappa. Scappa dallo Stato, dalla famiglia, dal matrimonio, dal fisco, dalle costrizioni, dai tabu... Nel suo "essere in movimento" si scorge un gesto di protesta simile a quello degli Ugonotti. La loro parola d'ordine fu , infatti, rifugiarsi: rifugiarsi, fuggire, viaggiare, essere liberi, raggiungere qualcuno o qualcosa... tutto va bene. Basta partire. Quello che conta è essere lontano da...Viaggiare per esistere, per sorridere, per sfissarsi, sbloccarsi, disancorarsi. Il viaggiatore vuole così affermarsi per non dissolversi, fantasma gassoso, nel magma sociale quotidiano. Non è un caso che il mito di Chatwin si sia affermato alla fine del XX secolo. Nei paesi ricchi, infatti, il viaggio, massificandosi, si è viepiù banalizzato. La sua durata media si è accorciata. La massa, infatti, va in vacanza solo per una o due settimane. Pochi fanno ancora quello che Jaques Lacarrière ha chiamato il "tredicesimo viaggio": quello di lunga durata. Il solo che valga la pena. Il solo che permette al viaggiatore di raggiungere l'intimità con il mondo visitato. E il mito di Chatwin è nato proprio grazie agli scritti tratti dai suoi innumerevoli "tredicesimo viaggio". Fatto, questo, che sommato alla sua penna, ne ha decretato il successo e che ha fatto di lui una figura emblematica e assolutamente cruciale nel panorama della letteratura post-moderna. «Viaggiamo - ha scritto - perché non possiamo passare troppo tempo nelle nostre camerette d'appartamento, nelle quali viviamo solo grazie al riscaldamento d'inverno e all'aria condizionata d'estate». Ma il viaggio, per Chatwin, aveva soprattutto un senso molto più profondo. Era una sorta di spostamento reale accompagnato da un viaggio interiore che ne raddoppiava la valenza. Un'infiltrazione d'"altrove". Un viaggio che implica un cambiamento. Un rito d'iniziazione che permette di accrescere la propria esperienza vitale e di innalzare la propria anima: di andare sempre un po' più in là. Chatwin, nei suoi scritti, tracciava delle piste, delle linee di fuga che aprono il lettore a nuovi spazi. Cercava nuove energie, per entrare in un uno spazio non repertoriato: quello dell'impensato, della realtà rinnovata in movimento. La sua "traveling litterature" è viva, suscita emozione, è... letteratura lievitata. Letteratura, cioè, che ci permette di partire restando sdraiati sul divano di casa. Un va e vieni dal reale al letterario, da sé all'altro, magistralmente fuso in un legame indissolubile alla ricerca di «quella calma primitiva che è forse la stessa cosa che la pace di Dio».








SULLA COLLINA NERA
Edizioni Adelphi
Pagine 290
Lire 30.000







LE VIE DEI CANTI
Edizioni Adelphi
Pagine 390
Lire 35.000

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L'ultimo libro (fotografico) sui viaggi di Chatwin in Afganistan scritto da Maurizio Tosi (insegnante di paleontologia all'Università di Bologna) e Franco La Cleca (ricercatore ed insegnante di Antropologia all'Università di Bologna e Lyon)






BRUCE CHATWIN:
VIAGGIO IN
AFGANISTAN
Bruno Mondadori
Editore
Pagine 61
Lire 28.000
A cura di M. Tosi e
P F. La Cecla

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