Le origini zelote del Cristianesimo

 

Le lotte tra indipendentisti  zeloti e occupanti romani nella Palestina del                            I secolo d.C. come  possibile contesto della nascita del Cristianesimo

                                                                                           

 

“Il Regno dei Cieli è preso con la forza

e i violenti se ne impadroniscono”

 

( Vangelo di Matteo )

 

“In realtà, i delitti di Barabba e del Nazareno

                                                       non erano confrontabili. Se il secondo,                                             evidentemente un pazzo, era colpevole di aver pronunciato

discorsi assurdi in Gerusalemme e in altri luoghi, il primo aveva colpe

ben più rilevanti. Non solo incitava apertamente alla rivolta, ma aveva

anche ucciso una guardia quando stava per essere catturato.

Barabba era infinitamente più pericoloso del Nazareno”

 

( M.Bulgakov, Il Maestro e Margherita )

 

“Ci basta notare che, come ci fu un legame tra gli Zeloti

e i membri della comunità di Qumran, così un vincolo

di comprensione reciproca unì sicuramente Gesù e i suoi discepoli

a quanti cercarono di custodire e tramandare gli ideali di Giuda di Galilea”

 

( S.G.F.Brandon, Gesù e gli Zeloti )

 

 

 

 

 

PREMESSA

 

 

 

Nel 1983 il pubblico italiano potè finalmente usufruire , attraverso la traduzione edita dalla casa editrice Rizzoli , del lavoro più interessante mai prodotto dal sacerdote anglicano –e studioso delle origini del Cristianesimo- Samuel Brandon ( 1907-1971) : Gesù e gli Zeloti. Questo lavoro  si presentava unico nel suo genere nel panorama editoriale storico-religioso d’Italia. Difatti, le pubblicazioni al merito dall’immediato dopo-guerra fino agli inizi degli anni Ottanta sono state prevalentemente a scopo apologetico e/o dottrinale: ciò si spiega per il semplice fatto che gli autori italiani spesso ponevano i propri presupposti di ricerca sul Cristo e il Cristianesimo non tanto nell’analisi critica delle fonti ( i vangeli ), quanto in certe verità accettate come dogmi statici dalla dottrina cattolica ufficiale, che è sempre stata molto restia ad accettare che la stratificazione delle fonti stesse potesse aver distorto o cambiato certi caratteri all’origine della tradizione. Certo, naturalmente vi erano state le debite eccezioni: tra gli anni Sessanta e Settanta vennero pubblicate alcune delle opere dello studioso Marcello Craveri ( Vita di Gesù , Gesù di Nazaret dal Mito alla Storia, ecc. ), che si mostra distante da qualsiasi dogmatismo; Luigi Moraldi, il grande studioso di filologia semitica dell’ Università di Pavia, nel 1978 curava l’ed.UTET e TEA dei Manoscritti di Qumran, ove trattava ogni eventuale congruenza tra pensiero esseno e pensiero cristiano antico con un’onestà “laica”; come pure scrivono sul Cristianesimo nell’immediato dopo-guerra pensatori radicali come P.Orano e P.Martinetti.; e infine, non sono rare pubblicazioni di opere straniere che si discostano dalla “scuola italiana” nel metodo e nello scopo. Tuttavia, la spinta innovativa presente nelle opere di Brandon è notevole, ed un’esposizione del contenuto del Lavoro di lui più importante, Gesù e gli Zeloti, è necessaria ai fini del Presente Articolo,  che si propone , oltre la semplice esposizione , una vera e propria riscoperta delle teorie che Brandon espresse , operando un severo confronto tra queste e nuove tesi odiernamente accreditate negli ambienti accademici.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

7-08-04

 

Graziano Mazzocchini, Castelfidardo ( AN )

 

 

 

 

 

 

 

                                               

 

INTRODUZIONE

Un breve profilo dell’opera Gesù e gli Zeloti  di Samuel Brandon

 

Sia detto per inciso che le tesi di Brandon non sono nuovissime: già nel 1750 il filosofo e teologo razionalista Hermann Samuel Reimarus nel suo opuscolo The Goal of Jesus and his disciples , e poi nel più recente 1930 lo studioso Robert Eisler nell’ imponente studio The Messiah Jesus and John the Baptist esposero teorie ove Gesù e i suoi discepoli erano visti essenzialmente come ebrei del loro tempo che parteciparono alla lotta jahvista di Israele contro Roma.

 Samuel Brandon, al contrario di questi autori ( soprattutto di Eisler),ha basato la propria ricerca non su fonti esterne ai vangeli, ma su di un’analisi critica interna a questi, e per ciò  è stato uno dei primi  a servirsi abbastanza spregiudicatamente dei risultati delle due principali correnti di studio del Nuovo Testamento : la Storia delle forme, che analizza per l’appunto la stratificazione delle fonti , e la Storia della redazione, che risalta il Sitz im Leben ( = posto nella vita ) proprio di ciascun vangelo, il quale a propria volta ha connotato fortemente la posizione di ciascun Evangelista verso Gesù e la sua dottrina. Ne è risultato un quadro omogeneo, che vede confluire nelle informazioni a noi pervenuteci sulla vita di Gesù e sul suo insegnamento tre filoni principali:

 

1)                          La visione che di lui avevano gli originari discepoli ebrei di Palestina, che basavano la propria condotta su ciò che si ricordavano della dottrina del Maestro e sulle esperienze della Resurrezione;

2)                          Le esigenze particolari di ordine teologico e politico di ciascun Evangelista, che rimaneggiarono le notizie a loro disposizione proprio sulla base di queste esigenze;

3)                          Il pensiero “paolino” , il quale discende direttamente da Paolo di Tarso  ,che rielaborava il credo cristiano nell’ambito della cultura ellenistica e dell’Impero romano, rendendolo sottomesso politicamente all’imperatore.

 

Potendo distinguere tra questi tre strati, Brandon è risalito a quello più vicino a Gesù, ovvero quello rappresentato dai suoi discepoli diretti  che, sotto la guida di Simone detto Kepha prima ( meglio noto come Simon Pietro ), e sotto la guida di Giacomo fratello di Gesù poi, mantennero la propria sede a Gerusalemme, formando così quella che gli studiosi definiscono la “Chiesa Madre della Cristianità”, che andò persa nella catastrofe ebraica del 70 d.C.  Analizzando il loro pensiero mettendo al vaglio fonti ad essi ostili, quali le Lettere di Paolo o a lui attribuite e gli Atti degli Apostoli, scritti da un cristiano paolino,  Brandon ha constatato che i cristiani ebrei mantennero ottimi rapporti con il Tempio di Gerusalemme, cuore del culto ebraico, e gli altri connazionali, da cui si distinguevano solo per il loro credo messianico particolare. Difatti, essi continuarono certamente a considerare il Giudaismo la loro fede ancestrale, e anzi il credo nella messianicità di Gesù il Nazareno rese loro ebrei ancor più devoti, visto che lo concepivano come colui che sarebbe tornato a “restituire il Regno a Israele”. Ciò lo testimonia talaltro lo scritto cristiano dell’85 d.C. ca. a noi noto col nome di Atti degli Apostoli. Brandon raggiunse perciò la conclusione che dovevano esserci affinità tra quel movimento e quello di resistenza anti-romano degli Zeloti, visto che non esisteva, a priori, nessun motivo particolare per il quale quegli ebrei devoti non dovessero detestare i metodi dell’amministrazione romana nella regione della Giudea , amministrazione che spesso si mostrava irrispettosa verso le credenze ebraiche e che imponeva un tributo di per se oltraggioso per un ebreo pìo, visto che si trattava di dare “ciò che è di Dio “, ovvero la “Terra Santa di Yahvè “ e le sue risorse, ad un sovrano straniero. A riprova di questo, Brandon analizza le cause che portarono alla lapidazione di Giacomo fratello di Gesù : queste andavano ricercate nell’affiliazione del basso clero , composto da Farisei, all’originario movimento giudaico-cristiano. Difatti, il basso clero già prima del 62 d.C. , data della lapidazione di Giacomo , veniva contagiato dall’ideale zelota; e fu proprio il basso clero nel 66 d.C. a far scoppiare la rivolta ebraica contro Roma, smettendo di offrire sacrifici all’imperatore. La lapidazione di Giacomo fu dunque dettata dal motivo di mantenere lo status quo nell’amministrazione romana da parte dell’aristocrazia sacerdotale ebraica; status quo che Giacomo tendeva a compromettere, agli occhi delle autorità, visto che alimentava le attese messianiche riguardo Gesù e accettava tra le file del suo movimento esponenti del basso clero contagiati dallo Zelotismo . Sempre a proposito dei rapporti tra giudeo-cristiani e Zeloti, Brandon fa risaltare la loro comune escatologia e la loro comune simpatia verso i meno abbienti. Giunge così a due principali conclusioni :

 

1)      Se gli appartenenti all’originario movimento giudaico-cristiano non parteciparono ad azioni di guerriglia anti-romana , fu soltanto perché mantenevano la loro sede a Gerusalemme, e non vi è prova che Zeloti e Sicarii agissero al di fuori delle aree rurali vicine Gerusalemme prima della prefettura di Gessio Floro ( 52-60 d.C.);

2)      Se questi erano i programmi e gli ideali della Chiesa di Gerusalemme, allora occorre tener presente che questi poterono essere dettati dai ricordi che i primi discepoli ebrei  avevano di una qualche azione o insegnamento di Gesù prima che venisse giustiziato dai Romani.

 

Riguardo a quelli che furono i reali rapporti tra gli Zeloti e lo stesso Gesù, Brandon li ricava attraverso una complessa smussatura dagli scopi apologetici particolari di ciascun vangelo, soprattutto da quelli del  Vangelo di Marco, da lui definito un’Apologhìa ad Christianos Romanos ( = Apologia rivolta ai Cristiani di Roma ). Il Vangelo di Marco è difatti di origine certamente romana, visti suoi certi latinismi altrimenti inspiegabili. Ed è sicuramente stato redatto successivamente al 70 d.C., come ricavabile da quella che gli studiosi del Nuovo Testamento chiamano  la Piccola Apocalisse di Marco ( Marco,cap.XIII ): sono difatti presenti alcuni accenni alla distruzione di Gerusalemme e alla violazione del Tempio. Brandon dimostra, attraverso l’episodio ove  Gesù  si pronuncia sul tributo e quello della lacerazione del velo del  Tempio al momento della crocifissione, che il Vangelo di Marco fu redatto subito dopo la presa della Giudea da parte delle truppe di Vespasiano e Tito , precisamente tra il 70 ed il 71 d.C., e che da questo avvenimento la stessa produzione di questo vangelo fu determinata ed influenzata. Così , risulta chiaro che un episodio altrimenti religiosamente irrilevante come quello della sentenza di Gesù sul tributo da versare a Roma assume proporzioni enormi di fronte allo scopo particolare di Marco di presentare Gesù innocuo dinanzi ad ascoltatori romani ( e genericamente non-ebrei), visto il pericoloso frangente dove si trovavano i cristiani di quella nazionalità a causa del triumphum celebrato dalla futura dinastia imperiale dei Flavii, ove venivano pittorescamente dipinte le immagini dei vittoriosi legionari contro i resistenti Zeloti. I cristiani di Roma, dunque,a differenza dei cristiani ebrei non potevano più condividere l’idea di Gesù come martire per Israele giustiziato dai Romani per sedizione contro il loro protettorato nella Giudea. E per questo il Vangelo di Marco si presta a dimostrare l’innocenza di Gesù verso eventuali accuse di sedizione contro Roma, presentandolo nell’atto di avvallare il tributo e come vittima dell’odium teologicum dei capi ebrei e del popolino di Gerusalemme, che lo conducono dinanzi al prefetto ( o procuratore ) di Giudea Ponzio Pilato, il quale si mostra reticente a condannarlo, e si vede costretto a fare ciò dalla folla di Gerusalemme e dai membri del Sinedrio ebraico. Brandon  mostra come questo schema narrativo si presenti credibile di per se, ma che alla luce di incongruenze interne al racconto stesso si mostra, nei fatti, totalmente inattendibile.  A questa conclusione sono decisivi due elementi contenuti nella narrazione del processo a Gesù:

 

1)      La supposta reticenza di Ponzio Pilato nel condannare Gesù al supplicium non è  credibile, visto che il Sinedrio ebraico dipendeva dalla sua diretta autorità. Oltretutto,  se il Sinedrio sottopose il verdetto finale alla sua sentenza, egli dovette essere stato ben informato delle accuse per sedizione e pretese di tipo regali mosse a Gesù prima; risulta dunque chiaro che ,nei fatti ,l’interrogatorio dinanzi a Pilato fu soltanto una formalità per permettere al procuratore di  accertarsi totalmente della veridicità delle accuse; Pilato , evidentemente, le trovò fondate, e pertanto condannò Gesù alla morte per croce;

2)      Nell’ offrire alla folla di Gerusalemme una scelta ( che come consuetudine romana non è attendibile ) tra Gesù, presentato prima da Marco come consenziente al tributo , e Barabba, un guerrigliero di ispirazione zelota che si era battuto contro la guarnigione romana,Ponzio Pilato  è presentato come un totale stupido, visto che il favore del popolo sarebbe andato certamente a Barabba.

 

E’ chiaro, dunque , che lo schema narrativo offerto da Marco non regge. Analizzando altre informazioni deducibili dagli altri tre vangeli alla luce del loro Sitz im Leben e di ciò che si conosce delle opinioni politiche e religiose dei diretti discepoli di Gesù , Brandon arriva a fissare  con certezza alcuni punti sui rapporti tra Cristo e la fazione degli Zeloti, punti che comprendono sopratutto le azioni di Gesù nella sua ultima settimana,il suo arresto e la sua condanna :

 

1)      Tra i suoi discepoli era sicuramente presente uno Zelota , e non è escludibile che altri appartenenti al suo discepolato abbiano simpatizzato per gli Zeloti e avuto comportamenti similari;

2)      Nei vangeli non sono mai presenti sue accuse di alcuna sorta verso gli Zeloti  ( argumentum ex silentio );

3)      Compì un’entrata trionfale a Gerusalemme di significato messianico, accolto dalla folla con acclamazioni politiche.

4)      Compì un’azione contro il Tempio che aveva anche un significato politico oltre che religioso ;

5)      L’azione contro il Tempio fu quasi sicuramente connessa ad un’atto di guerriglia anti-romana di pochi giorni prima ( o di pochi giorni dopo );

6)      La sera dell’arresto permise ai suoi discepoli di armarsi per una resistenza armata contro i soldati del Tempio o del procuratore romano, e non si può escludere che suoi discepoli avessero già prima portato armi;

7)      Avvenne effettivamente un tentativo di resistenza armata da parte di uno o più discepoli al momento dell’arresto;

8)       Le accuse mosse contro di lui dal Sinedrio e presentate a Ponzio Pilato furono per sedizione e per pretese di tipo regale;

9)      Venne condannato alla croce col titulus di “Re dei Giudei”, che è un appellativo di natura essenzialmente politica., accanto a due personaggi quasi sicuramente coinvolti nell’atto di guerriglia anti-romana di cui sopra.

 

 

Il nostro scopo ora è di verificare ciascuno di questi punti ( i punti 4-5 e  6-7 verranno trattati insieme) alla luce dei nuovi studi condotti sul “ Gesù storico” e la sua predicazione , sui suoi diretti discepoli , e sul ruolo che entrambi giocarono nel panorama ebraico dell’epoca. Sarà anche necessario tenere conto degli ultimi sviluppi raggiunti sulle fazioni ebraiche ostili alla leadership del Tempio di Gerusalemme ( soprattutto grazie alla recente  pubblicazione di tutti i Manoscritti di Qumran) , e soprattutto su quelli relativi agli Zeloti, che oltre a costituire una fazione politico-religiosa definita furono soprattutto gli esponenti di una corrente di pensiero del Giudaismo non meglio definita tra le varie sette di “opposizione”.Questa verifica si impone come conseguenza del fatto che negli studi recenti sulle origini del Cristianesimo le teorie di Brandon, che sono poi quelle di un’intera ala di studiosi, sono state scartate all’unanimità senza, apparentemente, un motivo preciso. Si tende così a declassare Brandon definendolo uno dei tanti studiosi delle origini cristiane che riflessero problematiche dei loro tempi sulle loro ricerche, peccando così di faziosità e di unilateralità nelle conclusioni finali. La Nostra opinione è che se anche Brandon fu parzialmente contagiato dal clima culturale del suo tempo, tuttavia è assolutamente aberrante non considerare la sostanziale validità di molti suoi ragionamenti e di alcune delle sue conclusioni.

Come, speriamo, riusciremo a dimostrare qui di seguito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1. I discepoli di Gesù e gli Zeloti

 

 

 

Sapere se tra le file degli originari discepoli di Gesù esistessero uno o più esponenti del movimento zelota è per chiunque  voglia giungere all’origine della tradizione cristiana un fatto importantissimo. Difatti, ciò ci permette di delineare meglio la natura stessa dell’originario messaggio cristiano nella terra di Palestina tra le due tendenze principali di allora : la leadership sacerdotale fedele ai Romani, composta principalmente da Sadducei , ma anche da Farisei, e tutto il gruppo di sette a quel sistema avverso, perché considerato fonte di impurità e di ostacolo all’èra messianica, che ogni gruppo interpretava avverarsi con mezzi e tempi diversi, ma comunque accomunati dall’idea di una figura messianica e/o escatologica dai connotati regali. Risulta subito chiaro che gli Zeloti appartenessero alla seconda tendenza. Una compatibilità di fondo con ciascuna di queste sette dimostrerebbero che il Cristianesimo palestinese faccia parte anch’esso di questa tendenza, qualora sia provato che degli Zeloti vi fossero entrati senza dover prima abbandonare il loro credo.  E per il Presente Lavoro ciò è primario per capire se esistesse una “simpatia” di Gesù per gli Zeloti, e dunque un modo comune di pensare e di intendere.

                                                                                                           

Come abbiamo già affermato, è provato oramai senza repliche di sorta che vi era uno Zelota nell’originario discepolato di Gesù, e per l’esattezza nel collegio ( se così si può definire ) dei cosiddetti “Dodici Apostoli”. Occore precisare che recenti studi hanno rivelato che il collegio dei Dodici Apostoli era più simbolico che reale, e che era per così dire “vacante”. E’ simbolico per il fatto che doveva rappresentare il tribunale delle dodici tribù di Israele , è “vacante” per il fatto che, essendo il dodici un numero simbolico,potevano rientrare nelle liste di questo uno o due discepoli di eccesso provenienti dai comuni discepoli, pronti a sostituire qualcuno degli “apostoli “ originari ( come poi risulta dalla sinossi tra i vangeli e dalla scelta di Mattia come successore di Giuda Iscariota negli Atti degli Apostoli ).

Questa premessa è necessaria, qualora si valuti l’importanza della presenza di uno Zelota come “apostolo” sulla base della presunta superiorità del collegio apostolico rispetto al comune discepolato. Nei fatti, la presenza di uno Zelota tra i discepoli originari di Gesù, sia esso “apostolo” o comune discepolo, resta comunque un dato di estrema importanza.

 

Lo Zelota che Gesù scelse tra i suoi collaboratori è un certo Simone ( da non confondersi con il più noto Simon Pietro), ed è definito “Zelota”( Zelotes ) solamente dal Vangelo di Luca ( VI: 15) e dagli Atti degli Apostoli ( I: 13).

Sia il Vangelo di Marco( III: 18) che quello di Matteo ( X: 4 ) hanno, invece che “Zelota”, il poco chiaro appellativo di “ Cananeo “ (Kananaios ), che veniva tradizionalmente interpretato con “abitante di Canaan”o “di Cana”. Tuttavia, è stato fatto notare che kananaios poteva essere un participio predicativo derivante dal verbo aramaico qanan, “ avere zelo , essere zelante “.

Dunque, se questa interpretazione è esatta, come è praticamente certo, kananaios sinifica “ colui che ha zelo”, ovvero “ Zelota”, e avremmo finalmente la prova di un contatto diretto tra Gesù e la resistenza anti-romana.

 

Una volta accertati del fatto che uno Zelota facesse parte del discepolato di Gesù, dobbiamo ora chiederci come mai il Vangelo di Marco, che spiega abitualmente nomi ed usanze ebraiche ai suoi lettori di lingua latina e di cultura gentilizia, non traduca invece il termine aramaico kananaios al momento di fare il nome del discepolo . La risposta è molto semplice: come sopra riportato dalle tesi di Samuel Brandon ( vd. Introduzione ), il frangente nel quale il Vangelo di Marco veniva redatto imponeva il silenzio riguardo qualunque opinione di Gesù sui rapporti ebraico-romani che potessero presentarlo ostile al protettorato romano nella Giudea. Ammettere che uno Zelota, categoria di resistenti anti-romani ebrei considerati alla stregua di comuni briganti dalla maggior parte dei cittadini romani, facesse parte della schiera dei suoi più intimi collaboratori era sconveniente, se non addirittura politicamente pericoloso. Pertanto, l’autore del Vangelo di Marco evita di tradurre il termine aramaico kananaios, il cui significato reale era sicuramente sconosciuto ai Cristiani di Roma.

La nostra ricerca permette già di compiere una conclusione notevole: non vi è, apparentemente, nessun motivo di ritenere che uno Zelota dovesse abbandonare il proprio credo per far parte del discepolato di Gesù . Questa conclusione la si trae dal fatto che se Simone il “Cananeo” avesse dovuto abbandonare la precedente vocazione, il Vangelo di Marco lo avrebbe riferito: non vi era, difatti, miglior modo di discostare Gesù dalla causa di Israele contro Roma se non quello di dimostrare una “incompatibilità” di fondo tra il primo e i fautori della resistenza armata.

 

Abbiamo appena visto che vi era sicuramente uno Zelota tra i diretti discepoli di Gesù.

Ma siamo sicuri che fosse realmente l’unico?

Siamo capaci di rispondere affermativamente a questa domanda , visto che se il Vangelo di Luca riporta il vero nome di Simone il “Cananeo”, essendo questo vangelo redatto almeno quindici anni dopo la rivolta degli ebrei contro Roma e non avendo dunque gli stessi scopi apologetici di Marco, non si capisce il motivo per cui non avrebbe menzionato altri Zeloti tra i discepoli originari di Gesù.

Tuttavia, esistono motivi seri per ritenere che altri suoi discepoli abbiano avuto comportamenti similari ai membri della resistenza anti-romana.

Nella lista che Marco fa dei primi discepoli di Gesù ( Marco, cap III ), sono presenti i due figli di Zebedeo, i pescatori di condizioni agiate Giacomo e Giovanni. Marco riferisce il fatto che Gesù li chiamasse col soprannome di Boanerghes, un termine aramaico di origini tuttora  misteriose che egli traduce con “ Figli del Tuono. Se Marco traduce per i suoi lettori questo appellativo ,a differenza del pericoloso  kananaios ,  significa che non riteneva implicasse necessariamente un riferimento agli Zeloti. Tuttavia, appare subito chiaro il fatto che “Figli del Tuono” sia una sorta di nome di battaglia, atto a designare la natura violenta dei due fratelli. Questa natura violenta dei due figli di Zebedeo è illustrata da un episodio contenuto nel Vangelo di Luca, ove Giacomo e Giovanni chiedono a Gesù il permesso di invocare contro il villaggio di Samaritani che li ha appena sfrattati il castigo divino, rifacendosi all’immagine del fuoco che discende dal cielo di cui si era servito il profeta Elia.

Un discorso a parte merita l’episodio del Vangelo di Marco ove Giacomo e Giovanni chiedono a Gesù di poter occupare una posizione di rilievo nel futuro Regno di Dio, episodio di cui tratteremo più avanti.

 

Un particolare interessante riguardante il più famoso degli apostoli, Simone detto Kepha, è contenuto nel Vangelo di Matteo ( XVI: 17 ) laddove , chiedendo Gesù ai discepoli di esprimergli la loro idea riguardo il suo preciso ruolo, egli risponde dicendogli :“ Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente ( O Xristos, o uios tou theou zontos )” . A quel punto, Gesù si rivolge a Kepha con queste parole: “ Beato te , Simone barjona…”. Il particolare interessante sta proprio nel misterioso appellativo, barjona, che Gesù applica a Simon Pietro. Secondo la maggior parte dei critici del Nuovo Testamento, l’appellativo costituirebbe una traduzione ebraica del greco uios tou Ioannou, “figlio di Giovanni”. Tale interpretazione poggia sul fatto che il Quarto Vangelo riferisce che sia Simon Pietro che suo fratello Andrea erano figli di un certo Giovanni. Ma vi sono delle serie obiezioni a questa interpretazione:

 

1)      Innanzitutto, barjona è riportato nel testo greco tutto attaccato, e non come bar Jona, secondo lo schema tipico della lingua ebraica;

2)      Anche ammesso che si debba intendere bar Jona e non barjona , resta comunque il fatto che nessuna fonte a noi pervenuta riporta il nome Giona ( Jona ) come abbreviazione  di Giovanni;

3)      Ultima cosa, è appurato che il Vangelo di Matteo , ogniqualvolta debba riferire la discendenza di un personaggio , non usa mai la desinenza ebraica bar, ma sempre la formula greca uios tou…,”figlio di…”

 

Vista questa serie di obiezioni, risulta molto difficile credere che barjona  stia per “figlio di Giovanni”, anche se non è propriamente impossibile. Così come per l’appellativo kananaios riferito all’altro Simone, anche qui esiste un’alternativa sensata che può sciogliere l’enigma. Si può ipotizzare che barjona sia un termine di origine accadica, , utilizzato già prima dell’epoca di Gesù nella lingua ebraica per designare un “terrorista” o un “partigiano”, come attestato dalle fonti rabbiniche . In tal caso, avremmo qui un altro termine, come kananaios, per designare un’area radicale e militante del Giudaismo contemporaneo a Gesù. Quale sia esattamente tale gruppo, ci è difficile stabilirlo. Potrebbe anche designare gli stessi Zeloti.L’unica cosa certa è che barjona sta a designare un soggetto estremista, fanatico.

E difatti Simon Pietro è lo stesso discepolo di Gesù che tutti e quattro i vangeli riferiscono aver tentato una resistenza armata nel Gethsemani al momento dell’arresto del Maestro,anche se a riportarne il nome è solamente il Vangelo di Giovanni.

Se la nostra traduzione dell’appellativo barjona è esatta, allora si può ipotizzare, alla luce di questo, un significato non convenzionale per l’altro appellativo di Simone, kepha, ovvero “la roccia”. Gli esegeti cattolici del Nuovo Testamento sono propensi a ritenere che questo appellativo stia a designare il ruolo-cardine dell’apostolo nelle origini della Cristianità, sulla base del discorso di investitura a capo della Chiesa che Gesù rivolge a Simone nel Vangelo di Matteo, cap.XVI. Ma è realmente questo il suo significato originario?

Nei fatti, una simile interpretazione non trova riscontro negli altri vangeli , ove Gesù chiama si Simone “ Petros”( Marco e Luca ) o “Kepha”( Giovanni ), ma il significato di una simile scelta non è precisato. Tuttavia, occorre escludere dal discorso la tradizione al riguardo del Vangelo di Marco perché, come avremmo modo di dimostrare, tende a voler offuscare l’immagine di Pietro e della Cristianità ebrea, e avrebbe dunque evitato di riferire un significato di “petros” simile a quello formulato dal Vangelo di Matteo.

Restano comunque due altri Evangelisti che non riportano il significato della scelta di Gesù nel fregiare Simone dell’appellativo di “roccia”. L’interpretazione che vogliamo proporre è questa: Kepha potè essere all’inizio della tradizione un titolo che designava la natura guerriera di Simone, che è testimoniata sia dall’appellativo barjona, sia dal fatto che fu uno di quei discepoli che tentarono una resistenza armata al momento dell’arresto di Gesù sul Monte degli Ulivi. Dunque la roccia sarebbe un nome di battaglia, che ha il suo analogo nel soprannome Boanerghes riferito ai due fratelli Giacomo e Giovanni…

 

Per cause di forza maggiore,non si è potuto terminare questo – si spera -interessante  articolo sul rapporto tra il Cristianesimo primitivo e gli Zeloti; L’Autore si auspica, comunque, di aver reso un servizio ai lettori e alla memoria del genio di Brandon. Grazie.

 

Graziano Mazzocchini