E' l'uomo divenne Dio a Qumran

Gli studi di Morton Smith ed Alan F.Segal su 4Q491 dimostrano che a Qumran il processo di deificazione, filiazione ed assunzione al trono di Dio da parte di un uomo era di casa.

Solitamente si crede che l'elemento che fa del cristianesimo un unicum nella storia, sia la deificazione di Cristo ed il fatto che un uomo possa essere considerato uno con Dio.

Ebbene questa peculiarità che si crede unica e che il cristianesimo si attribuisce era un elemento estremamente comune nella teologia Qumramiana, anzi esistono numerosi elementi che portano a credere che l'intera comunità di Qumran o una parte di essa si ritenesse congiunta al Trono di Dio come una sorta di organo decisionale e consultivo.

Questa affermazione secondo cui il processo di deificazione non riguarda un solo uomo ma é un percorso destinato ad una intera comunità di uomini che "si fanno "angeli e che sconvolge l'essenza stessa del credo cristiano, non proviene da studi isolati di qualche accademico "eretico", ma dalla analisi di studiosi del calibro di Morton Smith e Alan Segal[1] che hanno evidenziato come questo elemento che si credeva caratteristico della gnosi cristiana e si riteneva frutto di una degenerazione postuma della teologia paolina era, in realtà, preesistente al cristianesimo e profondamente radicato nella cultura qumramiana.

Ma veniamo al dunque partendo dai testi che portano a questa sensazionale conclusione, a partire da 4Q491 nella traduzione di Morton Smith.

[El Elyon mi diede un seggio tra] coloro che sono perfetti in eterno, un trono potente nell'assemblea degli dei. Nessuno dei re di oriente vi si assiederà
e i loro nobili non [vi si accosteranno].Nessun edomita mi uguaglierà nella gloria, e nessuno sarà esaltato tranne me, nè muoverà contro di me.
Poichè ho assunto il mio seggio nell'[assemblea] nei cieli. E nessuno[trova a ridire di me].
Sarò ascritto nel novero degli dei e riconosciuto nella santa assemblea. NOn desidero [oro]mcome desidererebbe un uomo carcale, tutto ciò che é prezioso per me stà nella gloria del [mio Dio].
[La condizione di un tempio santo] che non deve essere violato mi é stata attribuita e chi può paragonarsi a me nella gloria?
Quale viaggiatore farà ritorno e narrerà [di qualcuno come me] che [rida] delle afflizioni come io faccio?
E chi é come me [nel portare] il male?
Inoltre, se enuncio la legge in un pronunciamento [la mia direttiva] é senza paragone [con quella di alcuno].
E chi mi attaccherà per le mie parole?
E chi mi conterrà il flusso del mio parlare
E chi mi citerà in giudizio e mi sarà pari?
Nella mia sentenza [nessuno] mi [si opporrà]
Sarò ascritto nel novero degli dei e la mia gloria, con [quella dei] figli dei re.
Nè l'oro fino, nè l'oro di Ofir [possono stare a pari della mia sapienza]

Scrive Morton Smith criticando la interpretazione e traduzione forntita in precedenza da Baillet, il quale aveva associato la figura che appare nel testo a l'Arcangelo Michele:

"Un arcangelo si sarebbe forse abbassato a vantarsi che nessuno dei re di oriente di assiederà sul suo trono celeste, nè i nobili vi si accosteranno?Quando prosegue dicendo che nessun edomita potrò rivaleggiare con lui nella gloria, l'edomita che ha in mente é probabilmente Erode il Grande. DI conseguenza i nobili dei re dell'oriente, che prcedevano l'edomita, erano probabilmente i PArti di Antigono, che venne prima di Erode e venne spodestato nel 37 a.c..Il fatto che colui che parla consideri opportuno contrapporsi a loro, data probabilmente, questo pezzo d'oratoria ai primi anni del regno di Erode. In base all'esame paleografico Baillet sosteneva che il manoscritto andasse ascritto o al periodo tardo-erodiano o all'inizio del periodo erodiano.

Michele non avrebbe bisogno di sottolineare la propria indifferenza al danaro. COlui che parla fa intender che la propria indifferenza gli ha ottenuto la condizione di un tempio che non deve essere depredato, un onore assai ambito in epoca repubblicana, ma non dagli arcangeli che non ne avevano certo bisogno.

Colui che parla si contrappone al Tempio di Gerusalemme...Dai naviganti si ci attendeva che narrassero degli arcangeli che incrociavano?Quest'essere ride di fronte alle afflizioni e possiede una capacità unica di portare il male, ma gli unici angeli che potevano voler fare affermazioni simili erano gli angeli del male.Colui che parla é senza paragone come insegnante della legge nè alcuno osa citarlo in giudizio.Quando mai viene che gli arcangeli vengano citati in giudizio?Egli é ascritto <<nel novero degli dei>> di conseguenza originariamente non era uno di loro.Nella gloria é annoverato con i figli del re, non, appunto, con il re....Vien subito fatto di pensare agli Inni di rigraziamento..."

E' proprio da questo spunto offerto da Smith che proseguiamo nella Ns carrellata di testi che narrano di processi di Deificazione[2] .

Riprendiamo, quindi, con gli Inni, testo che si ritiene in gran parte scritto dalla mano del Principe della Comunità che con intenzioni autobiografiche (vedi anche commento di L.Moraldi ma ancor più di F.G.Martinez), sostiene:

Hai puriticato lo spirito perverso  dal grande peccato perchè possa far parte della Schiera dei Santi e possa unirsi alla congregazione dei figli del Cielo. Hai stabilito per l'uomo una sorte eterna insieme agli spiriti di conoscenza..." 1QH 3, 22-23

E  ancora, sempre dagli Inni, il Principe, parlando della sua resurrezione dai morti, indica la sua riunificazione con i santi che sono di fronte al trono di Dio:

Con la tua gloria hai purificato l'uomo dal peccato affinchè si santifichi per te da ogni impuro abominio e iniquità colpevole per riunirlo a coloro che partecipano della tua verità e nella parte dei tuoi santi; per sollevare i vermi dei morti dalla polvere a una comunità eterna e da uno spirito malvagio alla conoscenza di te affinchè prenda il suo posto di fronte a te. 1QH 11,11 e seg.

Questo processo di deificazione non é, quindi, affatto un fenomeno isolato come non lo é la resurrezione dai morti e la assunzione in cielo per aver parte del Consiglio di Dio. Ecco, infatti, sempre dagli inni, un brano in cui l’intera comunità degli Eletti Qumramiani assurge a tribunale che giudica le opere della creazione di Dio prima di crearle ed ha, quindi, parte nella creazione stessa:

Questi sono quelli che hai sta[bilito nei secoli dei] secoli per giudicare con le tutte le loro opere prima di crearle, insieme con l’esercito dei tuoi spiriti e la congregazione degli [angeli], con il firmamento santo dei tuoi eserciti, con la terra e tutti i suoi prodotti nei mari e negli abissi, secondo i tuoi piani per tutti i periodi eterni e la visita finale 1 QH 13,14 e seg.

Allo studio di Smith, già di per se sbalorditivo, si aggiunge quello di Segal che, se possibile, proprio a partire da quello di Smith approfondendone i contorni con la restante letteratura qumramiana e veterotestamentaria, rincara la dose affermando:

“La resurrezione e l’ascensione erano già penetrate nel pensiero ebraico nel secolo precedente a quello di Gesù, ritenute la ricompensa per i giusti martirizzati nelle guerre dei Maccabei…Dal momento che Gesù morì martire, le aspettative d’una sua resurrezione sarebbero state, nell’ambito di alcuni gruppi giudaici, normali”

E’ ancora Smith che ci offre una ulteriore riflessione sul metodo del rapimento estatico:

“Una quanità di prove secondarie- non probatorie ma di certo non prive di valore- tende a corroborare l’ipotesi che Gesù durante la sua vita asserisse d’esser asceso al cielo.

Queste storie di ascensione erano popolari nel pensiero dell’epoca in particolare tra i giudei. Una mezza dozzina di pseudoepigrafici dell’Antico Testamento attribuiscono ai loro eroi di averi visitato i cieli. Non vi sono pertanto dubbi che l’idea fosse ben nota a Gesù. Più importante è il fatto che un metodo per conseguire l’esperienza tramite auto-ipnosi (presentata come magia, ma che comportava l’attesa di eventi, la recitazione di formule ripetitive, il guardare fisso il sole (forse) la regolazione del respiro (cfr. Papiro Magico di Parigi secialmente 530-40). Lo stesso rito include istruzioni per <<valersi di un altro iniziato così che lui solo possa udire le cose che gli vengono dette… e se desideri mostrargli (le cose viste) >>… abbiamo qui il tipo di mezzi coi quali Gesù potrebbe aver introdotto i propri iniziati nel Regno di Dio e potrebbe aver dato loro esperienze come la trasfigurazione che li preparavano a vederlo risorto dai morti e, colla loro venerazione, a far lui <<Salvatore del mondo>>”

Di fronte a queste affermazioni, dure ma meditate e docuemntatissime di Smith e tutt’altro che isolate in ambito accademico, risulta evidente che la versione protognostica dei Vangeli di Tommaso, Filippo, Maria e Verità, non appare affatto come una rielaborazione postuma del messaggio di Gesù ma come una testimonianza diretta del suo insegnamento, o comuqnue il frutto di una cultura dei rapimenti estatici e della autodeificazione già presente a Qumran e ben prima della apparizione di Gesù .

E’ evidente che c’è ancora molto da fare ma è altresì evidente che alcune posizioni strombazzate anche nella rete italiana da alcuni “pseudoaccademici” per tacitare voci come quelle del nostro sito, sono anacronistiche e frutto di un disperato tentativo di salvare la ricostruzione storica tradizionale cristiana che è (lo mostrano in piccolissima parte i Ns 64 MB di documenti su questo sito, ma ancor più gli studi internazionali tacitati nelle accademie italiane) totalmente insostenibile.



[1] Quanto proponiamo è consultabile in lingua Italiana ad esempio, in negli articoli dei due autori pubblicati in “Gesù e la Comunità di Qumran” ed.PIEMME curato da J.H.Charlesworth

[2] Per la praduzione adoperiamo quella italiana di F.G.Martinez curata da C.Martone in “Testi di Qumran” ed. PAIDEIA