Indagine sui resti del più antico monastero d’Europa sopravvissuto alla azione del tempo

Il monastero di Cimitile fondato nel 395 d.C. dal vescovo Paolino di Nola non nacque sui resti di un cimitero pagano ma probabilmente a partire da una sinagoga ed un piccolo cimitero ebraico poi trasformato in luogo di culto cristiano da Felice

Sabato Scala

Il lavoro che presentiamo in anteprima, avrebbe dovuto trovar posto sul n.9 di Episteme del prof. Umberto Bartocci della Università di Perugia: questo numero purtroppo non uscirà mai avendo il professore, con sofferta decisione, stabilito di chiudere la sua straordinaria creazione.Con la chiusura di Episteme scompare la sponda accademica per i ricercatori non accademici che non temono l'impopolarità di una nuova idea.

A Bartocci ed a Episteme dedichiamo quest'ultima Ns fatica con la nostra eterna stima ed amicizia.

Premessa

Localizzazione delle celle dell’antico monastero paoliniano

Problematiche connesse alla tesi del “coemeterium” pagano

Origine colonica del fabbricato che abitò Paolino

Individuazione dell’antico sistema viario_

L’ evoluzione cronologica della Basilica Vetus

La struttura del complesso basilicale nei carmi di Paolino

Proprietà del suolo e dell’abitazione pre - paoliniana

Origini ebraiche della villa rurale poi divenuta  Domus Ecclesiae

 Motivi commerciali che giustificano la presenza di ebrei siriaci nel territorio nolano: la pista del vetro

Note bibliografiche

Premessa

Il complesso delle basiliche paleocristiane di Cimitile nei pressi di Napoli, rappresenta un patrimonio storico archeologico di valore inestimabile essendo uno dei primissimi insediamenti monastici d’Europa.

La sua fondazione risale al 395 d.C. a pochi anni di distanza dalla edificazione del primo monastero d’Europa realizzato da Martino di Tours a Ligugè in Francia nel 361 d.C..

A differenza, però, di altri primitivi complessi oggi scomparsi, l’insediamento cimitilese é l’unico conservatosi fino ai giorni nostri, sebbene in forma che non si può certo definire ottimale. Esso costituisce, quindi, terreno di studio diretto di quelle che furono le prime sperimentazioni architettoniche di edifici adibiti al culto cristiano.

Le numerose lettere dell’epistolario del vescovo Paolino di Nola artefice primo della ideazione, edificazione e riadattamento del precedente complesso basilicale a nucleo monastico contribuiscono, da sempre, ad agevolare e stimolare tale fondamentale ricerca.Il numero di studi compiuti su questo plesso di straordinaria importanza storico - archeologica è, rispetto a casi analoghi o anche di minore importanza, tutto sommato estremamente ridotto.

Fin troppo scarse sono state le indagini archeologiche serie iniziate, con metodo scientifico e meticolosità, solo nell’ultimo decennio partendo, purtroppo, da scavi condotti con eccesso di disinvoltura  a partire dagli anni 40, dall’architetto Gino Chierici.

Il risultato di quelle opere di scavo ci impedisce oggi, in molti casi, di eseguire approfondimenti completi per l’oggettivo stravolgimento del sito e per la perdita definitiva di svariate testimonianze.

Alla meritoria opera della scuola tedesca iniziata già negli anni 60 dal Belting e proseguita, di recente, dagli archeologi e professori Korol e Lehmann, si è affiancata anche una, non affollata schiera di studiosi italiani .

Nonostante tutto, soprattutto, per il numero non certo grande di studi prodotti e per la valenza degli studiosi che hanno pubblicato i primi e principali lavori sul sito, in questi anni è mancato un contraddittorio scientifico serrato e si è, quindi, prodotto un precoce unanimismo sulle prime autorevoli conclusioni.Pur nei miei oggettivi e cospicui limiti, ho segnalato negli scorsi anni, alcune possibili alternative a tesi dominanti, relative, principalmente, alla identificazione della funzione originaria del sito e delle costruzioni che precedettero l’arrivo di Paolino.

Il questo lavoro intendo approfondire il discorso iniziato con i precedenti articoli [2][10] proponendo a titolo di mero ma documentato suggerimento agli studiosi, una alternativa alla tesi universalmente accettata, secondo la quale il complesso basilicale, prima dell’arrivo di Paolino e prima della edificazione delle 5 basiliche che precedettero l’arrivo del santo, fu un cimitero pagano con tanto di imponenti mausolei funerari.

Concentreremo l’attenzione su un fondamentale studio prodotto dal prof. Dieter Korol dal titolo “I Sepolcreti Paleocristiani e l’aula soprastante le tombe dei Santi Felice e Paolino a Cimitile” in Didattica e Territorio 30mo distretto scolastico – Nola.[8]

Localizzazione delle celle dell’antico monastero paoliniano

I dubbi che esporremo riguardano la funzione degli edifici che delimito in rosso nella figura seguente e che nel lavoro  dell’eminente archeologo tedesco, vengono definiti “complessi tombali” riprendendo le ipotesi del Chierici e del Testini .

 

 

Figura 1: pianta del complesso basilicale nel IV sec d.C.

Le nostre osservazioni partono dalla lettura di alcuni brani dell’epistolario del vescovo Paolino, con particolare riferimento alla lettera 32 in cui, il Santo, descrive l’abbattimento dell’abside (riquadro al centro) di un monumento sepolcrale per creare il nuovo ingresso principale della Basilica Vetus e fronteggiarlo a quello della Basilica Nova (a destra nell’immagine) da lui fatta edificare in aggiunta alle 5 basiliche preesistenti.

Ecco il brano di Paolino [12]:

“Alterae autem basilicae qua de ortulo uel pomario quasi priuatus aperitur ingressus…” che il Santaniello traduce:

“ Nella seconda basilica (la Vetus), poi, la dove si apre l’ingresso quasi privato dall’orticello o frutteto, i seguenti versi spiegano il significato di questa porta più segreta: O adoratori di Cristo, entrate, nelle stanze del cielo attraverso gli ameni luoghi verdeggianti; conviene entrare dai ridenti giardini donde si apre a quelli che lo meritano la via per il santo paradiso” (Paolino Ep., 32,12)

In buona sostanza Paolino fece sfondare la parete nord della basilica Vetus, aprendo un vasto nuovo ingresso pubblico e facendo in modo che le due basiliche, quella da lui realizzata detta Nova e quella già contenente la tomba del santo detta Vetus, si compenetrassero.

Cerchiamo, ora, di comprendere ove poteva essere ubicato quello che Paolino chiama “ingresso quasi privato dall’orticello o frutteto”.

L’arch. Arcangelo Mercogliano, nella sua spettacolare ricostruzione 3D del complesso basilicale, interpreta i due ingressi come mostrato in figura [13]:

Figura 2: ricostruzione 3D dell'atri di separazione tra la Basilica Vetus e la Basilica Nova nel complesso cimitilese

Le posizioni possibili per l’”ingresso privato” cui accenna Paolino, potrebbero essere due: o quella indicata dal Mercogliano collocata sulla parere ovest o quella sulla parete sud.

Le pareti nord ed est sono da eludersi poiché la prima era è quella sfondata in corrispondenza dell’ingresso alla basilica Nova, mentre la seconda era occupata dall’abside della Basilica Vetus di cui parla Paolino nella medesima lettera.

Sebbene ai fini della trattazione che segue, nulla cambi scegliendo l’una o l’altra soluzione, va detto che la identificazione proposta dal Mercogliano, che appare come la più logica, indicando un apertura nella parete ovest opposta all’abside della basilica e corrispondente, a quello che, potrebbe essere stato, il vecchio ingresso della chiesa preesistente, non necessariamente è quella più attendibile. In un contesto aperto, sperimentale e pressoché privo di riferimenti precisi qual’era, al tempo di Paolino, la realizzazione architettonica di edifici sacri, nulla può esser dato per scontato.

Figura 3: ingresso "quasi segreto" oggi semi - murato

E’ possibile, ad esempio, che tale ingresso fosse correlato ai resti dell’arco identificato da Chierici e richiamato nel lavoro del Korol [8].

Di fronte all’ingresso presunto, all’orticello privato, insistevano i fabbricati indicati dal riquadro 2 nella Figura 1, mentre a destra di esso vi era il percorso di accesso principale al complesso di basiliche: se ne desume che l’orto non poteva che essere a sinistra dell’ingresso alla Basilica Vetus e quindi a sud e di tale edificio ove giustamente è stato collocato nella ricostruzione del Mercogliano.

La centralità dell’orto nell’epistolario Paolino e l’importanza che la relativa coltivazione aveva per lo svolgimento della vita dei monaci è segnalato dal Santo fin dalle prime lettere del suo epistolario.

Nella quinta epistola, ad esempio, Paolino scrive a Severo, chiedendo quando e se verrà ad infoltire, con i suoi monaci, il monastero nolano [12] adoperando le seguenti parole:

“Allora io ti collocherò non solo nel monastero come inquilino del Martire che abita vicino ma anche nell’orto come colono “(Paolino Ep. 5,15)

Questa epistola viene spedita da Paolino alla fine del 395 e quindi pochi mesi dopo il suo insediamento definitivo in Cimitile di Nola, per la realizzazione del progetto monastico.

Il questo periodo le uniche basiliche presenti erano le 4 di cui parla nella 32ma lettera e nel carme 27mo (27, 177-179), 3 minori più quella Vetus che circondava la tomba di Felice.

Scrive, infatti, Paolino che riportiamo nella traduzione di Santaniello:

Ebbene, quella basilica, che, già dedicata nel nome di Cristo, Signore e Dio nostro, è frequentata per il culto del nostro comune protettore e padrone della nostra casa, essendo stata aggiunta alle sue quattro basiliche è veneranda non solo per il culto reso al santo Felice, ma per el reliquie degli apostoli e dei Martiri custodite sotto l’altare all’interno dell’abside divisa in tre parti. (ep::32, 16-20)

Se la basilica cui fa riferimento Paolino, fosse quella denominata oggi Vetus e già presente prima dell’arrivo del Santo, le basiliche preesistenti all’intervento costruttivo di Paolino sarebbero 5, mentre se, come noi riteniamo, Paolino si stà riferendo alla Basilica Nova con abside trifora ancora visibile all’interno della Chiesa di San Giovanni esse sarebbero solo 4., ad ogni modo, l’identificazione di tali Basiliche è stata oggetto delle approfondite e contrastanti analisi [1]che, però, non hanno ad alcuna collusione definitiva.

A questo punto emergono alcuni elementi, a mio avviso, di particolare rilievo relativi all’orto, alla sua funzione e collocazione:

·        Paolino da all’orto una importanza particolarissima: i monaci dovettero coltivarlo, probabilmente, a fini di sostentamento (Paolino parla più volte della dieta vegetariana a base di cereali vedi ad esempio lettera 23,8),

·        stante la nostra riflessione dedotta a partire dalla lettera 32, l’orto era collocato dal lato della Basilica dei Martiri e quindi la circondava occupando lo spazio tra il decumano, di cui parleremo in seguito, e la Basilica Vetus

·        nel 395 a nord della basilica Vetus non doveva esserci nulla visto lo spazio cospicuo che successivamente, Paolino adoperò per la edificazione della Basilica Nova. Inoltre tale spazio non poteva essere occupato dall’orto che, altrimenti, sarebbe andato perduto con i lavori di edificazione di tale nuova costruzione a differenza di quanto, invece, traspare dalle lettere del santo

A nostro avviso è più che probabile, stante quanto osservato, che Paolino decidesse di costruire le celle dei monaci intorno all’orto favorendone la coltivazione oltre che l’ammirazione da parte dei monaci.

Per farlo, dovette, probabilmente delineare un area chiusa, quell’area chiusa che egli chiama “quasi privata” realizzando il frutteto insieme all’orto.

Se così stessero le cose è interessante notare come questa sua scelta architettonica opportuna fu poi ripresa nella edificazione di vari successivi monasteri medievali.

Un esempio campano di monastero misto (maschile e femminile) che riprende l’architettura proposta per il complesso cimitilese, sebbene successivo di svariati secoli, è il monastero annesso all’abbazia del Goleto presso Sant’Angelo dei Lombardi  in provincia di Avellino.

Figura 4: vista in pianta della abazia del Goleto in Sant'Angelo dei Lombardi (av)

Nel caso di questo complesso monastico, l’abbazia separava il chiostro del monastero femminile, circondato dal porticato con annesse celle per la clausura, dal monastero maschile.

Ma torniamo al complesso cimitilese.

Nella mappa precedente, gli edifici ad ovest (1,2,3 della Figura 1), sembrano proprio delineare quell’area chiusa o privata di cui Paolino parla nella epistola 32, chiudendo l’orto a nord nei pressi dell’”ingresso privato” e ad ovest  in corrispondenza di quello pubblico.

Vari sono gli elementi che, a nostro avviso, avvalorano la nostra tesi, partiamo, in questo paragrafo, col delineare quelli di più immediata comprensione.

Cominciamo con l’osservare che tutti gli ingressi a tali edifici danno sull’orto di Paolino.

La stratificazione che si nota in situ ed il livello di profondità delle basi murarie sono compatibili con la nostra ipotesi configurando tali costruzioni tra le parti più antiche del complesso tanto da essere identificate dal Korol come appartenenti a monumenti funerari pagani precedenti alla edificazione del complesso paoliniano.

Alcuni di questi edifici, come quelli nella foto seguente, corrispondenti ai numeri 1 e 2 nella mappa, non mostrano alcun segno visibile di deposizione funerea.

Figura 5: interno della cella 2 ripartizione interna in due stanze / porta di ingresso e spessore murario

Nella foto si notano mura perfettamente lisce e pavimentazione priva di elementi murari o altro che possa far pensare alla presenza di sepolture.

Si notano, invece, l’ingresso particolarmente curato e la presenza di una ripartizione ulteriore in due sottostanze, che lascia pensare ad un ambiente abitativo singolo ripartito in camere, proprio ciò che ci si attende da una cella di un monastero.

Il modo in cui Paolino, inoltre, parla degli “adoratori di Cristo” fa  ritenere che egli si stia riferendo proprio ai monaci che, attraverso quell’ingresso “quasi privato” o “segreto” ad ovest della basilica Vetus  accedevano ad essa per le celebrazioni liturgiche.

Nella epistola 11 Paolino scrive, rispondendo a Severo:

Infatti non abbiamo abbandonato Ebromago per l’orticello, come tu scrivi, ma abbiamo preferito il giardino del Paradiso sia al patrimonio che alla patria, perché ivi piuttosto è la vera casa dov’è la nostra dimora eterna; ivi è la nostra patria più autentica, dove è la terra di origine e la principale abitazione.

Perciò se credi che ci sia stato propizio Cristo, per mezzo del quale pur non avendo nulla possediamo in Lui, allora il fango della terra non ci trattiene nemmeno nella piccola zolla del campiello in questa terra piena di spine e fatiche”(ep.:11,14)

Nella lettera Paolino paragona la scelta di vita nel suo piccolo orto e nell’annessa abitazione al Paradiso; la metafora è descritta con forza e convinzione e, a nostro avviso, è stata ripresa nella iscrizione sulla porta di ingresso alla Basilica Vetus.

E’ interessante anche notare che, con la configurazione dell’orto che si deduce dalla epistola 32, la Basilica dei Martiri, certamente una delle 5 di cui parla Paolino e che preesistevano al sui intervento edificativo, veniva a trovarsi al centro dei quello che presumiamo essere il complesso monastico e del suo orto.

Data la posizione e le dimensioni estremamente ridotte, essa poteva benissimo configurarsi come una tipica cappella privata adibita al ritiro in preghiera dei monaci, in analogia a quelle presenti in molti monasteri di epoche successive.

Questa particolare collocazione spiegherebbe anche i cospicui investimenti in denaro sostenuti per le costose pitture veterotestamentarie identificate ed analizzate dal Korol nel suo lavoro [8] e presenti nell’ala est del piccolo edificio.

Anche la tesi da noi proposta, inerente la vetustà degli affreschi di Sant’Eusebio e della Maddalena, che si trovano in due cappellette interne alla Basilica, parrebbe ancor più probabile vista  la centralità della basilica e il particolare rilievo che, per motivi differenti, come illustrato nel nostro precedente lavoro [2], Paolino dette alle figure dei due santi, nel suo epistolario.

L’elemento documentale che, però, crediamo renda più che plausibile la nostra proposta interpretativa, é tratto dalla lettera 29 di Paolino, in cui il santo stesso descrive, sebbene in maniera succinta, la struttura degli edifici monastici annessi al complesso delle basiliche.

In tale lettera Paolino ci narra dell’arrivo di Santa Melania e del suo numeroso seguito di fanciulle e ricchi possidenti, presso il complesso cimitilese.

Paolino, ospitò il cospicuo numero di persone, in una apposita ala del monastero che egli descrive come segue:

Tugurioum uero nostrum, quod a terra suspensum cenaculo una porticu cellulis hospitalibus interposta longius tenditur, quasi dilatatum gratia domini non solum sanctis <cum> illa plurimis, sed etiam diuitum illorum cateruis non incapaces angustias praebuit, in quo personis puerorum ac uirginum choris uicina dominaedii nostri Felicis culmina restabant. (Ep.29,13)

Il Santaniello traduce il controverso brano nel modo che segue:[12]]:

In verità, la nostra povera casa, che a piano rialzato si estende abbastanza in lungo con la sala da pranzo e un solo colonnato che la divide dalle cellette degli ospiti, quasi diventata più grande per grazia del signore, offrì alloggio modesto, ma non insufficiente, non solo alle moltissime sante donne che erano con Melania, ma anche ai ricchi che la scortavano. Inoltre i cori dei ragazzi e delle fanciulle, che si svolgevano in questa casa, facevano risuonare le volte del vicino tempio del nostro padrone di casa, Felice.

Se volessimo tener presente la struttura tipica di una villa romana, l’atrio a peristilio prevedeva, a lato del porticato che contornava il giardino centrale e lungo esso, una serie di piccole camere spesso prive di finestra o dotate di piccole aperture, dette “cubicula” adibite a camere da letto.

Il caso in esame è, però diverso in quanto non stiamo, evidentemente, parlando di una villa privata ma di una modesta casa che Paolino non esita a chiamare “tugurium”.

E’ difficile credere che un “tugurium” possa disporre di porticati e di ampie sale al piano superiore magari corredate da porticato che le separa dal cenacolo.

Le dimensioni che si desumono e le caratteristiche del “tugurium”, nella pur breve descrizione che ne fa Paolino, ci portano a desumere che il termine sia riferito più allo stato di conservazione della struttura e quindi alla sua fatiscenza, che non alle dimensioni ed alla architettura complessiva.

Ad ogni modo, riteniamo che le “cellulis” di cui parla Paolino non fossero ubicate lungo il porticato come lascerebbe intendere la traduzione del Santaniello; riteniamo, inoltre, assai improbabile la collocazione di dette celle e dell’annesso porticato con cenacolo al secondo piano dell’edificio poiché, a quanto ne sappiamo, tale configurazione risulterebbe alquanto inusuale.

Le celle, con la principale funzione di “camere da letto”, fossero state disposte lungo il porticato, anche ipotizzandone la collocazione al secondo piano della abitazione, potevano essere assimilare ai tipici “cubicula” romani, ma Paolino non ha usato questo termine.

Il termine “cubicula” viene, invece, adoperato dal santo nella lettera 32, ove descrive le 4 cappelle che egli fece ricavare nelle due navate laterali della basilica Nova, ancora oggi parzialmente visibili[12]:

Cubicula intra porticus quaterna longis basiliche lateribus inserta secretis orantium uel in lege domini meditantibur.. (Ep. 32,12)

Santaniello traduce il brano come segue:

All’interno dei portici quattro cappelle per parte, collocate sui alti longitudinali della basilica, offrono luoghi adatti a coloro che desiderano pregare in privato oppure meditare sulla legge del signore

Nel brano il termine cubicula è associato, non al camere da letto, ma a cappelle, evidentemente perché, al tempo, l’idea architettonica innovativa introdotta da Paolino, non aveva ancora un nome ed il Santo dovette adoperare una parola in grado di evocare elementi architettonici già noti al lettore.

Il “cubicula” adoperato da Paolino è, evidentemente, stato scelto poiché tali stanze, nelle case romane, erano ubicate lungo i porticati, ed erano, quindi, assimilabili alle cappelle disposte lungo le navate laterali della Basilica Nova identificati come “porticati” con annessi “cubicula”.

L’assenza di tale denominazione nel brano della epistola 29 ci porta ad escludere che l’”una porticu”  fiancheggiasse e percorresse l’esterno delle “cellulis” dal lato delle aperture, e di conseguenza crediamo si possa escludere anche l’interpretazione implicita fornita con la traduzione del Santaniello e quindi il fatto che queste stanze si trovassero al secondo piano dell’edificio insieme alla sala da pranzo definita da Paolino, “cenacolo”.

Il termine  “cenacolo” adottato da Paolino fa, quasi certamente riferimento implicito alla struttura dell’edificio di cui si parla nei Vangeli: la stanza e la sala a piano rialzato in cui Gesù celebrò l’ultima cena.

Esclusa, quindi, tale interpretazione, il testo:

“Tugurium uero nostrum quod a terra suspensum cenaculo una porticu cellulis hospitalibus interposta longius tendibur

in riferimento alla posizione delle celle degli ospiti rispetto all’edificio a due piani, riteniamo vada tradotto nel seguente modo:

“Il nostro tugurio, che sospeso da terra con il cenacolo (sala da pranzo), si estende abbastanza in lungo con un solo porticato che lo divide dalle celle degli ospiti”

Nella traduzione la variazione principale è relativa alla termine “interposto” che a nostro avviso non si riferisce alla separazione tra le celle ed il cenacolo, ma tra le celle e l’intero edificio.

In pratica ci troveremmo di fronte a tre corpi di fabbrica disposti a formare una “C”:

§         l’edificio a due piani con sala da pranzo al piano superiore e con estensione longitudinale

§         le celle degli ospiti disposte dall’altro lato dell’orto parallelamente al fabbricato

§        un porticato perpendicolare ai due edifici che li separava a separarli con funzione di passaggio coperto e che, come vedremo oltre, forse proseguiva sotto l’edificio a due piani fungendo da rifugio ed alloggio per i poveri

A nostro avviso, quindi, Paolino, sebbene in forma ambigua, parla di un porticato ad un solo colonnato o forse meglio, singolo, che separava l’edificio principale dalle celle degli ospiti.

A fare parziale chiarezza sulla struttura del monastero interviene nuovamente Paolino con il seguente brano tratto dal carme 21, in cui descrive i primi lavori effettuati in Cimitile sia prima che dopo il suo insediamento nel 395 d.C.:

(390) iam tunc praemisso per honorem pignore sedis Campanias metanda locis habitacula fixi, te fondante tui ventura cublilia serui, cum tacita inspirans curam mihi mente ferentem adtiguumque tui longo consurgere tractu culminibus tegumen, sub quo prior usus egentum incoluit. Post haec geminato tegumine crueit structa domus, nostris quae nunc manet hospita cellis; subdita pauperibus famulatur porticus aegris, quae nos inpositis super addita tecta colentes sustinet hospitiis inpumque salubria praestat uulneribus nostris consortia sede sub una comoda praestemus nobis ut amica uicissim, fondamenta illi confirment nostra precantes, nos fraterna inopum fouemus coprora tecto.(carme 21, 379-394)

Nella traduzione del Ruggiero [19] il brano viene così interpretato:

Avendo già allora assunto l’impegno di stabilire la sede in tuo onore, decisi di porre la mia dimora nelle terre della Campania, mentre tu ponevi le fondamenta della casa futura del tuo servo, al quale ispirando il proposito nel silenzio del cuore, comandasti di costruire e lastricare, attiguo al tuo tempio, su vasto spazio, un tetto sotto il quale per primi trovarono rifugio i poveri. Dopo di ciò aggiunto un secondo tetto crebbe la casa costruita che ora accoglie gli ospiti nelle nostre celle. Il portico sottostante serve i poveri ammalati e sostiene noi che abitiamo le camere aggiunte agli alloggi sovrastanti e in una sola dimora rende possibile la vita comune con i poveri, salutare per le nostre ferite, affinché ci procuriamo a vicenda i vantaggi della amicizia essi rafforzino con la preghiera le nostre fondamenta, noi aiutiamo i corpi dei fratelli indigenti con l’abitazione.

Il testo non lascia dubbi sul fatto che un portico fu aggiunto a pian terreno e non al secondo piano: esso ospitava i poveri. Più difficile, invece, appare la ricostruzione da noi proposta anche se, a nostro avviso é, nel complesso, ancora compatibile con la testimonianza del santo.

Paolino, a nostro avviso, descrive il porticato sud e quello che proseguiva sotto le celle al secondo piano come un unico edificio chiuso successivamente dalla aggiunta di un ulteriore “tetto” nel lato ovest con le celle degli ospiti. Terminata la descrizione del piano inferiore, Paolino ritorna al lato est della struttura, per descrivere il secondo piano aggiunto solo in questa zona, a completamento dell’atrio chiuso del monastero.

La struttura muraria non eccessiva degli edifici che ho identificato come celle, e che si nota anche dalla foto precedente, non sembrerebbe, infatti, far propendere per l’esistenza di un secondo piano sopra di essi, ma va, detto che la legislazione romana in periodo augusteo, aveva imposto dapprima un limite all’altezza massima degli edifici (21 m) e successivamente uno spessore murario obbligatorio massimo di soli 45 centimetri anche per le abitazioni a più piani. Tale spessore si rivelo, ben presto, insufficiente ad assicurare solidità strutturale ed è, quindi, probabile che, ad oltre 300 anni da tale discutibile legge, si fosse già fatto tesoro della triste esperienza dei crolli che essa aveva necessariamente provocato, specie nelle case a piano rialzato o a piani multipli.

Ebbene, se gli edifici che stiamo analizzando fossero le celle degli ospiti narrate da Paolino, l’edificio principale a due piani si sarebbe trovato dal lato opposto e quindi ad est allineato con la parete ove era ubicata l’abside della Basilica Vetus.

Nella immagine seguente descriviamo quella che riteniamo essere la struttura del monastero di Paolino.

Sul modo in cui si è pervenuti al tracciamento del sistema viario che doveva esistere al tempo torneremo in un apposito successivo paragrafo.

Figura 6:ricostruzione della struttura della ala abitativa del monastero paoliniano

Lo spazio rimanente a sud dovette, quindi, essere occupato dal porticato chiudendo, così. l’orto in un quadrilatero.

Il questo modo il porticato stesso si allineava al decumano ancora visibile nel tracciato viario attuale rimasto, da allora, pressoché immutato e che è divenuto il Corso principale di Cimitile (tracciato 1 in figura).

Nella nostra proposta grafica abbiamo scelto di allineare il muro ad ovest del corpo di fabbrica principale, con il cardo della centuriazione (punto 7 in Figura).

L’edificio a due piani, quindi, avrebbe occupato lo spazio ora coperto dal sagrato della parrocchiale di San Felice

Questa fortunata situazione ambientale renderebbe possibili eventuali scavi atti a verificare la nostra ipotesi a differenza, invece, di quanto , accade in corrispondenza del probabile porticato, il cui suolo è oggi interamente occupato da varie unità abitative.

Il porticato era, quindi, come sottolinea Paolino, “unico” occupando uno solo dei 4 lati del rettangolo che racchiudeva l’orto con al centro la Cappella dei Martiri, e separava l’edificio principale dalle celle degli ospiti.

Al centro di esso doveva, opportunamente, trovarsi l’ingresso al monastero facendo in modo che il porticato collegasse le celle degli ospiti, probabilmente occupate solitamente dai monaci, con l’edificio principale che, al secondo piano ospitava il cenacolo e che, a piano terra, ospitava il proseguimento del portico sud collegandolo alla basilica Vetus.

Problematiche connesse alla tesi del “coemeterium” pagano

Cerchiamo, ora, di approfondire alcune anomalie e dubbi che emergono accettando l’interpretazione tradizionale che identifica le celle come monumenti funerari pagani.

Paolino, nel suo epistolario, appare sempre estremamente schietto e, come hanno rivelato gli scavi, anche affidabile. E’ oggettivamente strano che egli taccia al riguardo di tali sepolture e sepolcreti, peraltro pagani, collocati intorno al suo orticello.

Perché Paolino, pur così prodigo di particolari non fa alcuna menzione del cimitero pagano magari sfoggiando una delle sue ardite metafore per giustificare il cambiamento d’uso di quei luoghi?

Accettando la interpretazione tradizionale ci pare, altresì,  strano che già nel 395, quando furono edificate le prime costruzioni, gli alloggi dei monaci fossero stati collocati lontano dall’orto la cui coltivazione occupava il ruolo centrale che si evince nella quinta epistola di Paolino.

Se, infatti, supponiamo che le celle non fossero ubicate nei pressi dell’orto, l’accesso ad esso sarebbe dovuto avvenire attraversando le basiliche: è, oggettivamente, difficile credere che, con i calzari imbrattati di terra, si consentisse ai monaci l’attraversamento quotidiano dei luoghi sacri.

Non dimentichiamo, infatti, che lo stesso Paolino fece collocare, come narra la lettera 32ma, una vasca tra le due basiliche, atta a nettare le mani dei fedeli perché non entrassero sporche in chiesa.

Ma andiamo oltre.

Perché Paolino, che pure non s’era fatto scrupoli nell’abbattere e rimuovere un edificio funerario certamente cristiano, all’interno della basilica Vetus, non rimosse gli edifici funerari pagani che la fronteggiavano, per realizzarvi gli alloggi dei monaci?

Sarebbe, infatti, bastato eliminare le sepolture e riutilizzare, come spesso si faceva al tempo, direttamente gli edifici così come essi erano già stati realizzati adibendoli a celle.

E’ indubbio che Paolino desiderava abitare vicino la tomba del Martire Felice, come egli stesso afferma nella lettera 5 ed in tutto il suo epistolario; stante la posizione dell’orto, ed il fatto che la maggiore concentrazione di luoghi sacri era a sud della Basilica Vetus,  pare assai probabile che egli scegliesse tale zona per edificare le prime celle del monastero.

Il ulteriore dubbio sollevato dalla ricostruzione tradizionale riguarda la piccola Basilica dei Martiri al centro dell’orto.

Tale edificio viene considerato, nel lavoro del Korol, come realizzato a partire da un precedente mausoleo funerario pagano almeno relativamente al corpo centrale di fabbrica.

Stante l’interramento della basilica e le cospicue dimensioni dell’edificio oltre che la particolarità con cui è stata realizzata la volta a crociera, dovette trattarsi, ammettendo l’ipotesi del Korol, della sede funeraria di una famiglia di estremo rilievo.

Vedremo, in seguito, gli elementi che ci hanno consentito di ricostruire il tracciato viario della centuriazione, ma anticipiamo sin d’ora, che mentre per i decumani 1,3 e 5 in figura come per i cardi 6 e 7 esistono chiari elementi che ne identificano il percorso non si può dire altrettanto per i decumani 2 e 4 .

Il decumano intermedio (punto 2 nella Figura 6) avrebbe dovuto attraversare la basilica dei Martiri fiancheggiandola e rendendo ancor più evidente la sua anomala inclinazione.

Nelle mappe annesse al lavoro del Korol [8] si notano due ulteriori celle che proseguono verso sud oltre quelle visibili nelle mappe da noi riportate e che ostruiscono il percorso del decumano 2 lasciando desumere che le due celle di centuriazione a sud della Basilica Vetus appartennero, all’atto della costruzione delle stesse e quindi anche della Basilica Vetus, ad un unico proprietario che poté interrompere il percorso del decumano della centuriazione.

Il presunto mausoleo funerario annesso alla Basilica dei Martiri, fu, quindi, realizzato con una orientazione anomala rispetto alla direzione del decumano e lontano sia dal decumano 1 che dal 3.

E’ credibile che un edificio così imponente ed importante fosse stato realizzato ad oltre 30mt dal decumano che, come vedremo, era anche una importantissima arteria viaria? Perché si decise di orientarlo non rispettando la direzione del piano stradale ma imponendo una vistosa inclinazione rispetto agli assi viari?

I mausolei romani di dimensioni paragonabili a quelle che dovette avere il monumento funerario che precedette la Basilica dei Martiri, generalmente erano vicinissimi alla sede stradale principale e ne riprendevano l’orientazione.

Comparando il presunto mausoleo con altri mausolei realizzati a pochi km da Cimitile, quali i tre monumenti funerari di Avella (AV), si evince evidente l’anomalia.

La posizione di tali complessi si pone, infatti, a ridosso del decumano che rappresenta la continuazione di quello che attraversa Cimitile collegando Avella a Napoli.

Osservando l’allineamento di tali edifici e dei i blocchi laterali che delimitano il bordo della carreggiata, è possibile ricostruirne la esatta direzione del vano stradale che terminava il lungo tratto rettilineo, passando a sinistra dell’anfiteatro di Avella.

Non va, inoltre, dimenticata l’anomalia stratificazione segnalata dallo stesso Korol in [8]: il presunto mausoleo funerario si colloca su uno strato costruttivo più alto delle parti considerate più recenti dell’edificio quali la annessa cappella di San Giacomo.

La stessa localizzazione dell’”orto o frutteto” individuata a sud della piccola basilica dei Martiri, tra essa ed il decumano, pone un ulteriore problema sfuggito, sino ad oggi, alle analisi degli studiosi.

All’interno della basilica dei Martiri, ma anche nelle immediate vicinanze di essa intorno le pareti esterne, sono state ritrovate svariate tombe terragne; è evidente, però, che la tumulazione dovette limitarsi alle sole aree fino ad ora sottoposte a scavo visto che la parte rimanente dello spazio a sud era occupata dal frutteto e che eventuali presenze precedenti di tombe terragne o comunque di sepolture in terra in quest’area erano incompatibili con esso: le radici degli alberi, infatti, avrebbero ben presso riportato in superficie i cadaveri.

Origine colonica del fabbricato che abitò Paolino

Esempi di case con estensione longitudinale e con annesso orto sono presenti ad esempio, nella città colonica romana di Ansedonia Cosa [17].

Nel caso di tali edifici, la situazione si presentava identica a quella da noi prospettata: l’edificio colonico con annessa insula rettangolare contenente l’orto, era disposto perpendicolarmente al percorso viario come nel caso della configurazione da noi ipotizzata per l’edificio principale del monastero, che Paolino chiama “tugurium”.

Nella lettera 23ma (8-9), Paolino parla di un vecchio contadino accolto nel monastero, che insieme all’amico Vittore, coltivava l’orto e aiutava in cucina per la preparazione della polenta e di cibi unicamente vegetali ed estremamente poveri, composti per lo più di legumi, ortaggi e farina.

Inoltre, il territorio cimitilese ed i suoi dintorni ha mantenuta immutata una vocazione principalmente agricola, tanto che ancora oggi si conservano, ben visibili, i tracciati delle centuriazioni che dovettero essere occupate da case coloniche del tipo da noi indicato.

La stessa direzione nord-sud dell’edificio a due piani avrebbe impedito, viste anche le ridotte dimensioni dell’orto, che questo fosse oscurato dall’ombra dell’edificio durante il periodo di insolazione principale in cui il sole si muoveva verso sud.

Il porticato a sud, da noi ipotizzato, e gli edifici delle celle a singolo piano, avrebbero generato un ombra irrisoria se dotate di tetti con unico spiovente verso l’orto.

Si potrebbe pensare che la collocazione dell’edificio a nord dell’orto, sarebbe stata quella ottimale ma non era possibile stante la presenza della Basilica Vetus.

Tanto meno era opportuno collocare l’orto ove fu poi posta la Basilica Nova, poiché l’alto edificio della Basilica Vetus trovandosi a sud rispetto all’orto collocato in tale posizione, lo avrebbe oscurato per gran parte del periodo di insolazione.

La collocazione che abbiamo desunto, quindi, è anche quella migliore quanto ad illuminazione, stante la conformazione del sito, inoltre,  la scelta di povertà operata da Paolino ben si adatterebbe alla casa colonica romana che costituiva un esempio tipico di alloggio umile.

Figura 7: plastico e ricostruzione della città di Ansedonia

La tesi ora formulata può essere approfondita analizzando le dimensioni centuriazioni romane ed alcune testimonianze provenienti dai carmi di Paolino: è ciò che ci proveremo nei paragrafi seguenti.

Individuazione dell’antico sistema viario

Una centuriazione è costituita da 100 parti di 2 ugeri l’una. Essendo lo ugero=2500 m2 se ne desume che ogni parte di 5000 m2 costituiva la dimensione minima assegnabile ad un colono e, spesso, i coloni possedevano ben più di 2 ugeri (1 ugero = 71m * 35,5)

Il problema che si pone, a questo punto, è comprendere fino a dove giungeva la proprietà di Paolino e se essa comprendeva o meno il territorio delle basiliche.

Va subito osservato che l’area delle Basiliche si estende, attualmente, per circa 9000 metri quadri e quindi circa 4 ugeri (10.000 m2), ma in realtà si nota facilmente come, fatta eccezione per le Absidi della basilica di San Tommaso e Santo Stefano, tutte le basiliche insistano all’interno di soli 3 ugeri.

Considerando un fronte strada di circa 71 metri tipico delle centuriazioni e riportandolo sulla pianta dello stradario intorno le basiliche si evidenziano subito i tracciati dei cardi e dei decumani (vedi anche [18])

Figura 8: tracciato delle centuriazioni nei pressi del plesso paleocristiano

Il percorso maggiormente evidente è quello del decumano che coincide con il tracciato del Corso Umberto I di Cimitile.

Questa strada è, a nostro avviso, quella che Paolino chiama “Appia” nella sua epistola 29ma (29,12) e che dovette essere percorsa da Santa Melania e dal suo seguito, quando, giunta a Napoli, si recò ospite nel monastero.

Tale strada che da Napoli, attraverso Acerra, Suessola e Avella conduceva in Irpinia e in Puglia ed era di straordinaria importanza costituendo uno dei tre fondamentali sistemi viari che attraversavano il territorio cimitilese/nolano insieme [18]:

Il tracciato del decumano principale, subisce un restringimento ed una deviazione proprio di fronte al sagrato della parrocchiale di San Felice e del fronte strada delle basiliche, per poi riprendere il percorso  del decumano.

La strada parallela al decumano del Corso è quella su cui insiste l’ingresso alle Basiliche, anch’essa descrive visibilmente gran parte del tracciato del primitivo decumano.

Il decumano centrale, invece, è delineato dalla direzione dell’atrio fatto realizzare da Paolino che fiancheggiava la parte nord della Basilica Vetus.

Relativamente ai tracciati dei decumani intermedi indicati con tratto più sottile verde essi sono segnalati da due elementi poco evidenti: il punto 1 in figura  ove la strada cieca che passa sotto il cosiddetto Arco Santo, presenta una rientranza ad angolo retto appena visibile nella immagine, e il punto 2 ove la strada che fiancheggia l’ingresso delle basiliche, dirigendosi con percorso irregolare vero piazza Filo della Torre, per pochi metri si rettifica divenendo parallela ai decumani.

La posizione dei decumani intermedi desunta da tali, quasi impercettibili, testimonianze, concorda con la posizione calcolata desumibile dalla dimensione tipica della cellula di centuriazione o iugero: 71m x 35,5m.

Relativamente, invece, alla localizzazione dei cardi (strade perpendicolari al decumano), essa è facilmente determinabile dagli spezzoni di tracciato (punti 1,2,3,4 in figura) ancora visibili in alcune sezioni dell’attuale sistema viario; a confermare la correttezza della identificazione interviene, ancora una volta, il fronte strada complessivo che possedevano le cellule di centuriazione (71 m) e la distanza tipica minima tra i cardi (35,5 m).

Nel caso in esame, i cardi che ci interessano sono: quello che attraversa l’abside delle Basiliche di San Tommaso e Santo Stefano e quello che delimita ad est, il limite del sito archeologico.

Questo secondo cardo cammina lungo il muro est della parrocchiale e prosegue lungo il percorso da noi ipotizzato per la parete est dell’edifico principale a due piani del monastero.

Dalla configurazione emerge evidente il fatto che tutte le basiliche insistono all’interno di tre cellule di centuriazione (fatta eccezione per le sole absidi delle basiliche più recenti: San Tommaso e Santo Stefano)

Veniamo, quindi, ad particolare caratteristica delle presunte celle che si evince osservandole in pianta.

Figura 9:dettaglio della basilica Vetus (destra), dei Martiri(sinistra) e delle celle (sopra)

 

Le celle sono disposte in sequenza longitudinale, ma l’asse della struttura non è rettilineo e si curva partendo dall’abside ovest della Basilica Vetus (parte superiore in figura edificio al centro) man mano che esse si avvicinano alla Basilica dei Martiri (a sinistra).

Questo particolare va correlato al fatto che il piano di calpestio della Basilica dei Martiri è lo stesso di quello osservabile nelle celle, ciò lascia presumere che gli edifici siano stati realizzati contemporaneamente.

Nell’edificazione e nell’allineamento delle celle, si è, quindi, tenuto conto nella parte a destra, del decumano che fiancheggiava la Basilica Vetus, mentre a sinistra dell’asse inclinato della Basilica dei Martiri, da ciò si deduce quanto segue:

·        Le celle, insieme alla Basilica dei Martiri, sono state edificate di certo in periodo romano visto che tengono conto della centuriazione (in particolare del decumano che attraversava in origine lo spazio dell’atrio tra la Basilica Vetus e la Nova. Su questo punto concordano i principali studi compreso [8])

·        L’edificazione delle celle è contemporanea o di poco successiva (vedi insistenza sullo stesso piano di calpestio)

·        L’inclinazione della basilica dei Martiri è stata voluta dai costruttori che hanno deciso di non allinearla con il decumano

Torniamo, quindi, al sistema generale delle Basiliche.

Le basiliche pre - paoliniane occupavano, come mostrato, la parte centrale di tre cellule di centuriazione su due delle quali (quelle a sud) era annessa la casa colonica di proprietà del vescovo Paolino.

La estensione della casa colonica di Paolino, infatti, non poteva occupare tutte le cellule (iugeri), come accade per le celle del monastero, poiché vi era interposta la grande Basilica Vetus.

L’ evoluzione cronologica della Basilica Vetus

Le tre cellule (iugeri) dovettero essere considerate come parte di una sola proprietà quando fu edificata l’abside ovest della Basilica Vetus, in quanto tale abside, poi abbattuta da Paolino ostruiva il percorso del decumano centrale di fatto abolendolo.

Nella ricostruzione della evoluzione cronologica del complesso cimitilese, proposta dal T.Lehmann [1], che pare non tener contro della centuriazione, viene avanzata l’ipotesi che l’abside abbattuta da Paolino appartenesse all’edificio che fu creato per proteggere la tomba di San Felice.

La tesi del Lehmann considera questo edificio precedente alla edificazione della Basilica Vetus con la sua abside ad est (c in Figura 9).

Partiamo proprio dal brano adoperato dal Lehmann tratto dalla epistola 32 di Paolino, che ha consentito la scoperta della terza abside (b in Figura 9) originariamente inclusa nella parete poi abbattuta da Paolino:

“Nam quia nouam a ueteri paries abside cuiusdam monumenti interposta obstructus excluderet, totidem ianuis patefactus a latere confessoris, quot a fronte ingressus sui foribus noua reserabatur, quasi diatritam speciem ab utraque in utramque spectantibus praebet, sicut datis utrasque ianuas indicatur”.

Nella traduzione del Santaniello il brano viene così letto:

“Infatti, poiché la nuova chiesa era separata da quella vecchia da  una parete costruita di traverso, essendoci di mezzo l’abside di un monumento funebre, il muro fu aperto sul lato della chiesa del Confessore, da altrettante porte quante ne ha di rimpetto la nuova basilica dalla parte del suo ingresso principale” (ep.:32,13)

E’, quindi, evidente che l’abside b (in Figura 9) era occupata da un monumento che il Santaniello interpreta come funebre mentre il Lehmann, rendendo il senso letterale, interpreta come “un qualche monumento”.

Comunque sia non siamo di fronte ad un altare, e riteniamo si possa escludere l’ipotesi avanzata dal  Lehmann in [1] e dal Korol in [8], in relazione alla possibilità che il presunto edificio, terminato da tale abside, fosse una delle 5 Basiliche che precedettero l’edificazione della Basilica Vetus.

La epistola 32 di Paolino, infatti, non lascia dubbi in relazione alla funzione dell’abside nord della Basilica Vetus, essa era parte di un monumento funerario e non di una delle Basiliche menzionate dal Santo nella medesima lettera.

Nella ipotesi del Lehmann l’abside (b in Figura 9) dovette precedere la costruzione della Basilica Vetus ostruendo il decumano fin dal IV secolo.

Prima della edificazione di questo presunto primitivo edificio, la tomba di Felice era collocata, come ricorda Paolino e richiama il Lehmann, in un “orto” (car. 18, 131/7; 27,360; 28,266) confermando la posizione da noi proposta per l’orto di cui lo stesso Paolino parla nella lettera 32.

Dalla ricostruzione del Lehmann si evince che, fino al IV secolo, il decumano che fiancheggiava la Basilica Vetus era ancora percorribile e che fu successivamente ostruito dall’abside b (in Figura 9) dell’edifico eretto a protezione della tomba di Felice.

Una volta costruita l’abside ed ostruito il decumano si poté, sempre nella ipotesi del Lehmann, realizzare l’edificio a due navate allineando la navata nord alla estensione massima dell’abside b (in Figura 9) occupando il suolo impegnato, in precedenza, dal decumano.

Nella ricostruzione del Lehmann, la Basilica Vetus fu a sua volta corredata di una ulteriore abside (c in Figura 9) orientata verso est che andò ad ostruire il cardo viario.

Possiamo, però, immaginare una diversa evoluzione e configurazione rispetto alla proposta del Lehmann?

Il nostro primo dubbio riguarda l’estensione della navata nord della Basilica Vetus (quella dal lato dell’abside (b in Figura 9).

Secondo il Lehmann, come detto, la navata occupò tutto il decumano allineandosi alla massima estensione dell’abside, in questo modo si sarebbe venuto a creare un inspiegabile vuoto tra la curva dell’abside ed il muro terminale ad ovest della navata.

Molto più probabilmente, invece, la navata si estese seguendo il percorso limite del decumano terminando proprio in corrispondenza del punto il cui il muro fuoriusciva sul decumano a formare l’abside nord (h in Figura 9).

In questo modo la navata sud, di pari estensione rispetto a quella nord si allineava in corrispondenza dell’estremo sud dell’area e che ospitava il colonnato circondante la tomba di San Felice.

Un fondamentale elemento, fornito da Paolino, che avvalora quanto da noi teorizzato, è relativo alla sostituzione dei “deformi pilastri in rozza serie” con “ colonne erette in migliore successione” (Carme 28, 200).

Le parole di Paolino non lasciano dubbi sul fatto che la sostituzione portò anche ad un riallineamento e forse ad una traslazione del sistema di colonne. Evidentemente Paolino fece mantenere, per motivi di stabilità dell’edificio, le vecchie colonne durante l’apposizione delle nuove spostate verso l’esterno della navata centrale. Tali vecchie e deformi colonne dovettero essere, poi, rimosse quando il nuovo sistema di sostegno fu completato.

Questo apparente dettaglio porterebbe come conseguenza che l’anomala posizione di “ostruzione” del decumano, verrebbe limitata alla sola abside b e non alla coppia abside e navata nord della Basilica Vetus.

Diventa, quindi, plausibile che l’abside sia stata costruita successivamente alla navata e quindi alla intera Basilica Vetus poiché questa fu edificata rispettando il decumano mentre l’abside lo invase ostruendolo.

L’ostruzione diviene plausibile nel quadro di una maturata fama delle basiliche e nella annessione del territorio circostante comprensivo del decumano e dell’area poi occupata dalla Basilica Nova, a patrimonio ecclesiastico e di conseguenza necessariamente dopo l’editto di Costantino del 312 d.C.).

Un discorso simile ma non identico può essere fatto anche per l’abside ad est (c in Figura 9).

Il muro che la conteneva era perfettamente allineato al cardo e quindi fu edificato rispettando la centuriazione, mentre l’abside fuoriesce, sebbene con meno prominenza rispetto all’abside b, e senza occupare l’intero cardo consentendone, sebbene in forma ridotta, la percorribilità almeno fino a quando non fu costruito lo spazio posteriore all’abside stessa che, questo si, occupò interamente il cardo bloccandone la percorribilità.

Ulteriore elemento che ci pare di non poco rilievo, riguarda la posizione e l’ampiezza dell’abside c.

Osservando l’edificio a in Figura 9, si nota come l’abside è stata costruita, non solo rispettando l’anomala inclinazione dell’edificio non allineato con decumano, ma anche rispettandole l’ampiezza tanto da far supporre che la navata centrale della Basilica Vetus sia stata realizzata seguendo lo spazio occupato da una precedente serie di edifici che proseguiva lungo tutto il lato nord dall’edificio a fino al cardo (quello descritto dalle linee di proiezione in che in Figura 9,da a alla abside c).

La serie di edifici da a a c, da noi ipotizzata, finiva per chiudere l’orto a nord delimitando l’area in cui fu posta, all’aperto, la Tomba di Felice.

L’anomala posizione della tomba collocata al centro dell’orto verrebbe, invece, a spiegarsi poiché essa appare, ora, come un monumento all’aperto appoggiato, però, al muro sud del corpo di edifici a-c in Figura 9.

Figura 10: ricostruzione del complesso basilicale prepaoliniano

Nel rapporto sugli scavi della Tomba di Felice incluso nel lavoro [8] del Korol si riportano varie informazioni di rilievo per la definizione della architettura del complesso prepaoliniano.

La Tomba di Felice con orientazione est-ovest, era affiancata da altre due tombe, probabilmente quelle dei Vescovi Quinto e Massimo.

La tomba, originariamente posta all’aperto nell’orto già menzionato (come segnalato nel carme 18 da Paolino), fu successivamente inclusa in un piccolissimo edificio insieme alle tombe dei due vescovi Quinto e Massimo come segnalato nella Figura 10 al punto a in figura.

L’apertura di questa piccola stanza era rivolta a sud sull’orto. Il muro sud, come mostrato in figura, era allineato a quello dell’ultima cella della sequenza di celle ad ovest.

Con tale configurazione la piccola stanza si posizionava nell’angolo terminale destro del percorso di ingresso che riteniamo essere stato originariamente aperto sul decumano centrale.

Già il Chierici, come fa notare Korol in [8] segnalò la strana presenza dei resti di un imponente arco da lui proposto come accesso al presunto cimitero.

A nostro avviso, l’anomala posizione interna dell’arco è spiegabile con la necessità di collocare l’ingresso nei pressi delle tombe più venerate (Felice, Quinto e Massimo), isolando il resto del complesso delle basiliche che, prima dell’arrivo di Paolino, dovevano insistere unicamente sui due iugeri interessati dalla basilica di san Calionio e dei Santi Martiri.

E’ interessante notare come l’antico ingresso a sud della Basilica dei Martiri fosse stato volutamente aperto nell’ala interna e, quindi, verso la parte maggiormente isolata del complesso quasi a voler accentuarne la separazione dall’afflusso  dei pellegrini cristiani.

Tale isolamento fu rafforzato dalla edificazione dei muri m e p in figura.

Lo stesso spazio ristretto in q lascerebbe pensare alla possibilità di un ulteriore ingresso ad ovest che, a questo punto poteva essere stato realizzato per separare del tutto, (attraverso il muro di continuazione della parete p fino alla cappella di San Calionio f ipotizzato con linea sottile in figura) l’ala destinata alla venerazione del Santo a quella occupata dalle Basiliche di San Calionio e dei Martiri. Il perché di un tale isolamento dei luoghi di preghiera come la Basilica dei Martiri e, forse, anche quella di San Calionio, da quelli di venerazione dei defunti Felice, Quinto e Massimo è difficilmente spiegabile nel quadro di un sito con vocazione religiosa univoca.

In questo scenario lo spazio a nord, poi occupato dalla Basilica Nova, non apparteneva al complesso ed era, probabilmente, adibito ad area coltivabile.

Lo stesso è presumibile per le aree ad ovest e a nord ovest.

E’, quindi, possibile ma improbabile, che la Chiesa di San Tommaso, priva di abside e comunque più piccola della attuale, esistesse prima dell’arrivo di Paolino come è da escludere che in quel tempo esistesse anche una qualche chiesa o cappella laddove oggi è la chiesa di Santo Stefano.

A questo punto riteniamo possa essere poco probabile l’ipotesi della insistenza delle basiliche su una proprietà imperiale originaria  risultando il terreno originariamente occupato dalle basiliche pre - paoliniane (almeno fino alla edificazione dell’abside nord nella Basilica Vetus), chiaramente centuriato ed essendo l’itero complesso, stato costruito tenendo conto delle delimitazioni dei due iugeri a sud e nel rispetto della transitabilità del decumano centrale e del cardo ad est.

Se l’acquisizione imperiale vi fu dovette provenire da una requisizione di terreni di proprietà privata ed in particolare di tre cellule di centuriazione poi considerate come un unicum consentendo la realizzazione della Basilica Vetus e delle due Basiliche di Santo Stefano e  San Tommaso.

La struttura del complesso basilicale nei carmi di Paolino

Fortunatamente i brani delle lettere che abbiamo analizzato nel primo paragrafo del presente lavoro non sono gli unici in cui Paolino descrive la struttura degli edifici intorno alle 5 Basiliche. Una trattazione ben più ampia si trova nel carme 27mo e 28mo che riportiamo nella traduzione di Andrea Rugiero [19]:

Abbiamo riportato i brani indicando i riferimenti alla pianta della ricostruzione del complesso basilicale al tempo di Paolino da noi proposta nella immagine seguente:

Paolino, nel carme 27, ci propone un tour che parte dal porticato che supponiamo si trovasse all’esterno del complesso basilicale nell’ala ovest indicato con A4.

Il punto d’ingresso crediamo corrisponda alla prima porta sotto il porticato a sinistra per chi proviene dai cardi 2 e 3 :

(360)Vieni, dunque, o padre, e unisciti a me con passo fraterno, mentre ti accompagnano conducendoti intorno tra le singole costruzioni. Ecco vedi questo portico attraverso il quale la prima porta ci accoglie; un tempo era un portico schiacciato da un tetto senza luce; ora lo stesso si eleva rinnovato nei colori e nel soffitto. Ma dove ora nel mezzo della campagna si schiude al cielo un vestibolo circondato intorno da un portico quadrato, una volta era un orticello con terreno mal coltivato, la superficie di poco valore offriva scarsi ortaggi di nessuna utilità(carme 27,360-370)

Il portico quadrato cui si riferisce Paolino schiude sull’ala già in precedenza descritta ove, evidentemente, all’atto della stesura del documento non era più presente l’antico orto o frutteto che, chiuso tra gli atri e privo di luce aveva finito per produrre pochi ortaggi. In questa ipotesi, ovviamente, andrebbero riviste anche la data di composizione proposta per il carme.

La forma quadrata è quella centrata sul vestibolo A2 fatto costruire da Paolino perché si elevasse al di sopra del porticato esterno A4 e, formata dalle celle per gli ospiti che insistevano oltre detto porticato e dagli atri B2 e A1 .

(370)Intanto ci venne il desiderio di costruire questo edificio; infatti ci sembrava che il luogo stesso richiedesse questo ornamento affinché, più luminoso splendore ravvivasse da lontano la veneranda aula de martire attraverso le porte aperte nella facciata di rimpetto, e la facciata resa luminosa per l’apertura di archi bifori,  inondasse l’interno di luce abbondante, rivolta alla vista della tomba ben evidente da cui è ricoperto il martire addormentato nel corpo sepolto. Questo Felice guarda gioioso i suoi atri dinanzi alla soglia del suo sepolcro fulgente attraverso l’apertura di due porte a doppio battente e gode che le sue mura siano sufficienti a contenere le folle e le ampie basiliche a contenere le moltitudini festose e i pellegrini in dense schiere che attraversano le numerose uscite….(Carme 27,370-380)

Figura 11: ingresso doppio ad ovest alla basilica vetus con porte a doppio battente

L’alto vestibolo consentiva l’accesso alla facciata aperta nella parete sud della Basilica Vetus.

Quando Paolino parla di “facciata di rimpetto” si riferisce alla parte frontale a sud della Basilica Vetus posizionata, “di rimpetto” alla tomba ed opposta all’abside di detta basilica.

Essa, aprendosi con due porte a doppio battente e possedendo, in cima, due finestre con archi bifori consentiva, dalla tomba di Felice (T in figura), di avere la visione anche dell’atrio A2 oltre che di quello B2 che fronteggiava il vestibolo e A1 che, a sua volta, divideva in due le basiliche.

E’ questa singolare posizione centrale della tomba che consentiva, da essa, di avere la visione completa del transito delle folle dei pellegrini.

Terminata la descrizione dell’atrio di ingresso Paolino passa a descrivere l’ala B degli edifici ed in particolare la zona B1 dove si estendevano le camere costruite sulla copertura dei portici ad est e che consentivano la visione, dall’alto, di tutto il complesso e degli annessi altari contenenti le reliquie dei santi, protetti, a loro volta, dai tetti degli edifici sacri. Tali cellee, come vedremo nel carme successivo, verranno indicate come “quasi unite” alla struttura delle basiliche.

(395) Ma di nuovo ritorniamo agli atri. Guarda in alto le camerette costruite con una seconda copertura sui lunghi portici; sono le abitazioni destinate ad essere occupate dagli uomini santi che qui avrà condotto il desiderio della preghiera per la giusta gloria di Felice, non il desiderio di bere. Infatti le piccole stanze, quasi congiunte al sacro tempio, guardano dalle finestre superiori, gli altari ben protetti sotto i quali nell’interno hanno dimora i corpi dei santi… [segue l’elenco delle reliquie dei santi sepolti nelle basiliche]…

 (450) A questi [gli apostoli ed i Martiri sepolti], dunque, sarà vicino chiunque vivrà santamente nelle stanze superiori e lo straniero che di lontano mosso da giusto affetto, si sarà accostato al santo tempio…

A questo punto Paolino passa a descrivere l’ingresso dal Vestibolo A3 che si apriva con tre porte riprese anche nella facciata di rimpetto nell’atrio A1 cui fa seguire una descrizione delle fontane ed in particolare di quella centrale presente nell’atrio A1 segnalando anche il modo in cui aveva provveduto al reperimento dell’acqua: il rifacimento dell’acquedotto che attingeva dal fiume Clanio con le sue sorgenti erano in Avella (AV).

(455)Ammira anche questo: il tempio sublime del martire in armonia con la legge del ministero si apre con tre porte (egli infatti, professo la fede nell’unico regno sotto il nome della Trinità) e le case unite insieme, essendo le costruzioni congiunte tra loro, hanno un significato per santa legge, poiché, pur essendo molti i tetti per gli edifici innalzati, tuttavia una sola è la casa della pace santa e l’armonia fa di molte membra un corpo solo, per il quale al vertice sta la forza del Cristo… [segue la trattazione relativa alle varie fontane che ornano gli atri ed alla provenienza della cospicua acqua che le irrorava]…(Carme 27,445-464)

Terminata la descrizione delle opere create per condurre acqua alle Basiliche, Paolino torna proprio sull’atrio A1 descrivendolo come aperto da ambo le parti a con 3 archi che separavano le due Basiliche in analogia a quanto già visto nella epistola 32ma. Tale atrio era aperto al cielo, come vedremo, da una grata.

(480) Garda ora l’altro lato: come vi è un solo porticato e la parete costituita dalle colonne che stanno nel mezzo, fiancheggiate da uno spazio aperto da ambo le parti, unisce a se attraverso un passaggio le basiliche che in alto sono separate. (Carme 27,480-484)

A questo punto Paolino analizza la Basilica Vetus che ospitava il fulcro del complesso, la Tomba di felice (T in Figura). Grazie alle arcate che si aprivano a sud sull’atrio B2 ad ovest sull’atrio A2 e a nord sull’atrio interno A1 si otteneva la visione completa del sistema di fontane facendo apparire gli atri come un “campo irriguo”. Nonostante, comunque, questa apertura sull’esterno, il vestibolo, il relativo tetto e quello che proteggeva le due basiliche custodiva alla vista esterna, l’area sacra interna ai due templi.

(484)E’ tempo ora, mentre i nostri occhi si muovono in giro, di passare in questo tempio [la basilica di Vetus], che aperto sul lato lungo, raggiunge insieme con la luce del cielo lo spazio del soffitto, che si estende sugli atri uniti tra loro congiungendoli, sebbene separati, con le arcate inserite ed offre alle assemblee dei fedeli la vista di un campo irriguo. Tuttavia le mura innalzate d’intorno lo racchiudono con la costruzione di un recinto, affinché il sacro tempio non sia aperto aglio occhi dei profani (490) e il vestibolo aperto all’aria protegga le parti segrete.Né ti meravigliare che i sacri recinti si allarghino in altri spazi…

La descrizione iniziata nel carme 27mo prosegue più approfondita in quello 28mo che, ancora una volta, ci propone l’accesso da ovest e ci mostra due sezioni del complesso, quella che dal centro si estendeva verso nord lungo lo spazio occupato dalla Basilica Nova e quella che, sempre dal centro, si allungava in direzione sud lungo lo spazio occupato da quello che riteniamo fosse il vero e proprio monastero con il suo atrio centrale.

La descrizione riposta nell’area A, la presenza dei lunghi portici riferiti  sia alle navate della Basilica Vetus sia al portico più lungo esterno che abbiamo indicato con A4 e che consentiva l’accesso al complesso. Lo spazio tra essi racchiuso viene definito “interno” perché, più angusto rispetto alla estensione maggiore dello spazio nella zona definita con B in figura.

Il muro che unisce le basiliche “dall’atra parte” è il lungo muro che circonda in complesso a sud, mentre le piccole stanze sono riferite alle celle degli ospiti tra cui si aprono le porte che sotto il lungo porticato danno accesso al complesso.

(5)Da questa parte i vestiboli, circondati per largo tratto da lunghi portici, si aprono in uno spazio interno racchiuso tra le case ed insieme mostrano le stelle allo sguardo ed aprono gli atri agli ingressi. Dall’altra parte le basiliche sono unite insieme mediante i muri che vi sono stati aggiunti e, distendendosi in uno spazio aperto e nello stesso tempo convergente, congiungono i tetti gareggianti tra loro con travi intrecciate e si elevano variamente abbellite con eguali ornamenti di marmo, di pittura, di soffitti a riquadri e colonne tra cui la leggiadria è variata anche da piccole stanze. (Carme 28, 5-15)

E’ proprio da questo lungo portico esterno che Paolino riprende la descrizione indicandoci, appunto, la presenza di tre ingressi chiusi da cancellate.

La posizione di questi ingressi è, a nostro avviso, determinata dalle singolari pitture che li sovrastano e che vedono al centro immagini di Martiri mentre a destra ed a sinistra immagini di santi rispettivamente di sesso maschile e femminile.

Sono proprio queste pitture e la presenza della piccola Basilica dei Martiri al centro con la conseguente separazione degli atri B2 e B3 che ci spinge a credere che Paolino abbia voluto indicare con la separazione dei sessi sulle porte di accesso al complesso, anche la divisione in due nel monastero con le celle femminili nell’atrio B2 e quelle maschili nell’atrio più ampio B3

(15)Nei portici, laddove un unico porticato si estende ininterrottamente per più lungo tratto intorno allo spazio interno, tre ingressi vicini tra loro schiudono queste celle addossate ad un lato e tre aperture le aprono con cancelli scorrevoli. Nomi santi adornano quella centrale con immagini di martiri, che una gloria uguale coronò pur nella diversità dei sessi. Una pittura di argomento religioso adorna poi con due storie ciascuna le due porte che si aprono a destra e a sinistra. La sacre gesta di uomini santi ne riempiono l’una: Giobbe provato dalle piaghe, Tobia malato agli occhi; ma il sesso più debole occupa l’altra, dove è raffigurata la famosa Giuditta ed insieme a lei anche al potente regina Ester. (carme 27, 15-25)

Anche in questo caso Paolino non si sofferma a descriverci lo spazio riservato all’ala maschile del complesso monastico, chiuso, evidentemente, all’accesso dei pellegrini ma comunque adibito ad ospizio per i poveri almeno relativamente al porticato inferiore.

Il santo, entrando dalla porta che nel carme 27mo era già stata definita la “prima porta” e quindi la porta contrassegnata da dipinti di sante, passa a descrivere, nuovamente, l’interno degli atri.

Il percorso parte dall’atrio interno che a nord separava le due Basiliche. Paolino ci descrive la fontana bronzea già segnalata nella lettera 32, chiusa alla sommità da una grata.

Passa poi, a descrivere le cinque fila di vasi che non sarebbero, chiaramente, potuti essere collocati all’interno dell’atrio A1 eccessivamente angusto,  e che, quindi,  si trovavano “innanzi” nell’atrio A2 .

L’atrio A2 infatti, che viene indicato  come “questa superficie”, aveva una pavimentazione in marmo e consentiva l’ingresso non solo alle due basiliche le due porte che fronteggiavano la tomba di Felice, per l’accesso alla Basilica Vetus, ed attraverso l’ingresso che si apriva a nord sull’atrio A1 per l’accesso alla Basilica Nova, ma anche all’atrio B2 con il conseguente lungo tratto di accesso alla piccola Basilica di San Calionio.

E’ proprio la descrizione dell’accesso a tre e non a due basiliche, cui solitamente si fa riferimento sia nelle lettere che nei carmi che ci fa, da un lato escludere che si stia parlando dell’atrio A1 e dall’altro ci conferma come la Basilica dei Martiri (a nostro avviso una di quele preesistenti) fosse,stata esclusa del circuito di visita aperto ai pellegrini includendola nell’area privata dell’ala maschile del monastero.

La descrizione prosegue segnalando la vasta possibilità di passeggio evidentemente resa possibile dalla terna di atri A1, A2 e B2 con la possibilità di sedersi sotto le balaustre delle colonne dei portici e di godere della vista delle fonti zampillati degli atri proteggendosi sotto i portici sia dal sole estivo che dalla pioggia invernale.

(26) Lo spazio interno sorride per vari ornamenti, in alto abbellito dai soffitti e dalle facciate luminose sotto l’aperto cielo e in basso coronato da bianche colonne. Nella parte scoperta in quest’area si innalza un vaso splendente con fontana che una struttura di bronzo protegge con la sommità chiusa di una grata. Gli altri vasi stanno innanzi a piccole fontane disposte sotto il cielo aperto; in esse, variamente ordinate in piacevole successione, è diversa l’opera dell’arte, ma uguale è la materia del marmo e una sola acqua scorre per diverse bocche nei capaci recipienti. Questa superficie si stende unita a tutte e tre le basiliche e da un solo punto apre a tutti i diversi ingressi e insieme spaziosa nel suo pavimento centrale in un solo grembo accoglie le diverse uscite alle tre basiliche. Tuttavia una serie continua in cinque gruppi di splendenti vasi costruiti e disposti in file apre allo sguardo questo pavimento mirabile per il marmo che vi è in abbondanza raccolto, lo delimita per quelli che vi passeggiano.

Tuttavia vi è ampia possibilità di muoversi sotto i porticati circostanti e di sedere quando si è stanchi sulle balaustre poste tra le colonne e di osservare i vasi traboccanti e a piedi asciutti guardare senza calcarlo il suolo bagnato e ammirare le fonti zampillanti con placido mormorio in piacevole gara tra loro. E’ offerta questa possibilità gradita non solo nel tempo invernale, perché l’ombra del tetto è piacevole durante il caldo estivo allo stesso modo come sono graditi i luoghi soleggiati durante la fredda stagione e quelli asciutti durante la pioggia. (carme 27,26-50)

La descrizione del complesso termina con la vista dello spazio maggiormente esteso formato dalla coppia di atri B1 e B2 che nell’area est ospitavano il secondo piano del monastero come le celle ed il cenacolo già descritto nella lettera 29ma.

La posizione ad ovest del punto di osservazione e la possibilità di vedere, da questo punto, sia l’alto vestibolo che il lungo muro che si veniva a determinare a sud –est con il secondo piano delle celle ci conferma che questo doveva trovarsi nell’area già da noi identificata attraverso la testimonianza della lettera 29.

Se, infatti, il secondo piano si fosse elevato direttamente sopra il portico A1 il Vestibolo sarebbe apparso coperto da esso lasciando intravedere, da lontano, solo la cima del tetto.

(51) Dall’atra parte si estende uno spazio esterno che è ugualmente circondato da portici, meno ricco di ornamenti, più grande per estensione. Davanti al sacro tempio esso apre un vestibolo visibile da lontano con le celle costruite in due piani, mediante le travi convergenti delle costruzioni unite tra loro, con lo spettacolo del muro da l’impressione di un castello e da luogo ad una piazza per le riunioni in cui è possibile passeggiare per largo tratto.

Proprietà del suolo e dell’abitazione pre - paoliniana

Un tema non eludibile per la corretta comprensione dell’evoluzione del complesso è quello della definizione della proprietà del suolo e degli annessi edifici.

Sappiamo che Paolino era un ricco dignitario romano nominato Governatore della Campania, ma sappiamo anche che, dopo la conversione vendette tutti i suoi beni, come era tipico della prima tradizione monastica, dando tutto ai poveri e conservando, forse, per se il solo edificio in cui eresse il monastero:quello a due piani di cui parla nella lettera 29ma.

Ma che dire della proprietà dell’orto e ancor di più del terreno su cui Paolino edificò la Basilica Nova?

Sia nella già menzionata  lettera 11ma (11,14)  del 397 che nella precedente lettera 5 scritta nell’ stesso anno dell’avvio della sua vita monastica, Paolino definisce l’edificio, la “sua casa”, in quest’ultima epistola si esprime come segue:

“…mi dedicai alla pace della campagna e al servizio della Chiesa vivendo con piacevole tranquillità nella intimità della mia casa” (ep.5,4)

L’espressione lascia pensare ad una vita ancora solitaria, come del reso è desumibile dal fatto che a pochi mesi dal suo insediamento, nel monastero non dovevano esserci altri monaci.

La casa, quindi, abitata da Paolino, sembrerebbe essere di sua proprietà, proviamo, però a verificare una ipotesi alternativa.

Con l’editto di Costantino, si instaurò l’uso di trasferire ex proprietà imperiali, solitamente collocate in zone periferiche, alla Chiesa; tali terreni furono usati, specie nei primi anni che seguirono l’editto, per la edificazione di basiliche e luoghi di culto.

Lo stesso Paolino nella lettera 12ma chiede ad Amando di intercedere presso il prete Essuperio affinché egli conceda a Sanemario un piccolo terreno tratto dalla proprietà rurale della Chiesa, perché provveda al suo sostentamento.(ep.12,12)

Se, però, ammettiamo questa ipotesi e quindi il fatto che il terreno ove sorgevano le 5 basiliche di cui parla Paolino, era di proprietà imperiale, va anche detto che la sepoltura in territorio imperiale era, in periodo pre - cristiano, fatto possibile ma non certo frequentissimo oltre che riservato a pochi privilegiati. :[15]

Sappiamo, ad esempio, che tale privilegio era riservato al corpo scelto degli  “Equites singulares”, soldati di cavalleria addetti alla guardia dell’imperatore: si veda, ad esempio, il cimitero vicino al mausoleo  di Elena nei pressi di via Labicana in Roma. [16]

Nel caso, però, di tale cimitero, sotto Costantino si decise la totale distruzione della necropoli a “Damnatio memorie” con la fondazione della nuova chiesa.

Prima di approfondire il tema della proprietà del suolo cerchiamo di comprendere se l’orto facesse parte del probabile territorio imperiale o se, invece, era parte della proprietà di Paolino.

In questa ipotesi egli avrebbe dovuto edificare, in pochissimi mesi (i pochi che separano la stesura della quinta lettera dal suo insediamento in Nola), la casa colonica in cui andò ad abitare e ciò pare oggettivamente poco probabile salvo che non vi fossero ruderi di qualche precedente abitazione, ciò spiegherebbe anche il termine “tugurium” relativo non al modello abitativo ma alle sue condizioni esteriori.

Se, invece, riteniamo come solitamente si pensa, che Paolino possedeva già la proprietà del terreno su cui erano le 5 Basiliche non si comprende come queste potettero essere state realizzate su un suolo adibito ad uso agricolo, abitativo  e di proprietà di un  pagano.

Negli anni che precedono l’editto di Costantino, era uso comune adibire alloggi civili ad uso religioso, questi edifici erano le cosiddette domus ecclesiae, ma Paolino era un pagano prima della sua conversione.

Ancor meno si capisce perché, questo pagano, in un terreno ad uso agricolo ed in cui vi era un edificio colonico abitato, avrebbe dovuto consentire sepolture cristiane, almeno stando alla tesi ufficiale.

Esiste una possibilità che spiegherebbe l’anomalia: il terreno e l’annesso edificio colonico, poteva essere stata proprietà non di Paolino ma del prete Felice che vi fu, poi, sepolto.

Sappiamo, infatti, che Felice nato a Nola da un ricco uomo di origini siriache e, come vedremo innanzi, era un giudeo (Carme 15,71) poi trasferitosi in Campania, fin da fanciullo scelse di divenire un presbitero a differenza del fratello Ermia che aveva scelto la carriera militare.

Il terreno potrebbe, quindi, essere stato proprietà del cristiano Felice e non del pagano Paolino, ma quando e perché furono edificate le basiliche sulla terra del santo?

Durante l’ultima persecuzione contro i cristiani, i beni di Felice furono confiscati e egli, cacciato da Nola, vi fece ritorno solo al termine delle persecuzioni, rifiutando la restituzione delle terre che gli erano state tolte e scegliendo una vita di povertà e sacrificio (carme 25).

E’ estremamente probabile che un cristiano, specie se presbitero, adoperasse i suoi possedimenti per fondare una Domus Eccliesiae e per riconvertire, poi, questa a basilica, anche se qui il numero di edifici eretti prima dell’arrivo di Paolino, pare oggettivamente eccessivo.

Almeno stando a quanto noto su Felice, quindi, i beni del santo e di conseguenza anche il terreno con annesse basiliche, furono requisiti divenendo patrimonio imperiale (Carme 15,255-259) ed aprendo alla possibilità di una donazione alla Chiesa dopo l’editto di Costantino.

Un elemento davvero singolare, in favore di questa ipotesi, ci proviene dai Carmi di Paolino:

“Fermo restando il proposito egli stesso [Felice], senza servo, possedendo un povero orticello, come colono coltivò col suo lavoro tre iugeri di un modesto campo presi in affitto, senza tenerli in proprietà (carme 15,284-289)

Si noti come i “tre iugeri” corrispondano esattamente ai due su cui insistevano le 5 basiliche pre - paoliniane e quello ulteriore su cui fu costruita la Basilica Nova da Paolino.

Si ripropone così, in un quadro più chiaro, la possibilità che il terreno fosse di proprietà imperiale, e che fosse, nel contempo, in precedenza appartenuto allo stesso Felice. Il Santo, pur avendone diritto, non ne rivendicò la proprietà e continuò a lavorarlo come colono ed affittuario.

Su tale terreno, doveva gia insistere, probabilmente, almeno uno dei 5 luoghi di culto, la chiesa in cui officiava Felice prima della persecuzione.

Stante la presenza del luogo di culto, fu pressoché naturale la cessione alla Chiesa di Roma dopo la emissione dell’editto di Costantino, ma è anche possibile che Paolino abbia acquistato il terreno quando ancora esso era di proprietà imperiale.

E’ evidente, infatti, che le 5 Basiliche sopravvissute alla persecuzione, ospitarono il sentito culto per il defunto Felice con l’enorme afflusso di pellegrini: qualunque altro uso al di fuori di quello religioso, era quindi improponibile.

Del resto è probabile che, essendo la casa adoperata da Paolino, già esistente quando avvenne il suo definitivo insediamento, questa possa esser stata l’alloggio che ospitò San Felice.

Se ciò fosse vero Paolino scelse di abitare nella casa del santo e vicino alla sua tomba e fu, quindi, a seguito della cessione dei suoi beni che dovette riscattare il terreno e l’abitazione di Felice acquistandolo dalla Chiesa.

La ipotesi dell’acquisto ci pare maggiormente probabile rispetto alla volontaria concessione di tale terreno poiché, quando Paolino giunse a Nola, egli era particolarmente inviso all’allora Papa Siricio (Ep.:5 13-14) e questi difficilmente avrebbe consentito ai suoi vescovi, la cessione di un bene così prezioso gratuitamente, lasciando che Paolino lo adoperasse come suo e che costruisse edifici e strutture a suo piacimento.

Lo stesso Paolino, sebbene sempre così moderato e restio a parlare di proprietà, ama riferirsi all’edificio che abitava con il termine “mio” denunciando indirettamente una sul legale proprietà del sito.

Un brano che ci pare emblematico a testimonianza della “Proprietà” legale di Paolino sul territorio edificato e della insistenza sulla precedente proprietà di Felice poi requisita a bene imperiale, è il seguente, tratto dal Carme 21 che riportiamo nella traduzione del Ruggiero [20]:

(469) Né vi è luogo alcuno confinante o inserito nella casa di lui (Felice) che non mi sia aperto come mio possesso. Ma a che vantarmi di questo dono se, come ospite nella condizione di servo nato in casa, in una visibile dimora di pietre posseggo ciò che appartiene all’amato Felice? (carme 21, 469-472)

Siamo, a questo punto, pressoché certi che almeno una delle Basiliche precedeva l’editto di Costantino essendo quella presso cui officiava il prete Felice, ma quanto tempo prima fu edificata e quale dei quelle note era?

Origini ebraiche della villa rurale poi divenuta  Domus Ecclesiae

Il dipinto di Adamo ed Eva presente nella basilica dei Martiri è stato datato alla seconda metà del terzo secolo, sappiamo anche che la data proposta per la edificazione della prima struttura muraria di questa basilica precede certamente l’editto di Costantino.

Un elemento ulteriore di rilievo è il pregio delle pitture veterotestamentarie presenti nella piccola chiesa, compresa quella di Adamo ed Eva che il Korol non esita ad attribuire all’opera di un finanziatore estremamente ricco quale risultava essere, appunto, il padre di Felice (anche se i dipinti, o meglio il pochissimo che ne resta, viene dal Korol datato al IV sec.)

E’ chiaro, quindi, che, stando almeno alla datazione proposta per alcuni degli elementi archeologici della basilica dei Martiri, l’edificio fu costruito prima della nascita del Santo su un terreno che San Felice dovette ricevere in eredità dal padre.

Nel precedente lavoro [8] abbiamo avanzato la tesi che la piccola basilica dei Martiri fosse in origine una sinagoga e che, quindi, le pitture vetero - testamentarie che occupano la sala ad est della chiesetta, adornassero il Sancta Sanctorum di tale edificio.

La nostra tesi ha generato un cordiale accademico dissenso da parte dei sempre attenti studiosi tedeschi, mentre è stata ufficialmente ignorata e segretamente denigrata in alcuni ambienti italici.

Da nessuna parte ci è, però, pervenuto alcun elemento o riflessione che smentisse gli argomenti da noi usati, né, e ciò è ancor più preoccupante, alcuna risposta alle forti obiezioni da noi sollevate relativamente alla esistenza di elementi dubbi nelle tesi riguardanti la piccola Basilica dei Martiri ed alle segnalazioni da noi ripetutamente effettuate, inerenti l’esistenza di problematiche serie che minacciano l’esistenza stessa dei dipinti del piccolo edificio sacro.

La tesi proposta nel nostro lavoro [8] ci pare offrire, ad ogni modo, una risposta esaustiva ai dubbi che abbiamo sollevato ed all’analisi compiuta fin qui: cerchiamo, quindi, di verificare la compatibilità del contesto delineato.

Cominciamo con l’osservare che l’appellativo basilica dei “Martiri”, a questo punto, può essere ragionevolmente connesso ai proprietari cristiani ed alla persecuzione da essi subita insieme al santo Felice.

Abbiamo, però, segnalato come la costruzione della Basilica appaia precedente all’insediamento di Felice e che, quindi, doveva essere stata realizzata dal padre. Ma, a questo punto perché un uomo ricco come il padre di Felice, avrebbe dovuto edificare nella sua terra un edificio di culto: era, forse, anch’egli cristiano? La sua casa era, forse, una Domus Eccliesiale?

Se così fosse, il padre di Felice poteva ragionevolmente essere un prete ed aver scelto di divenire prete dopo il matrimonio e dopo la nascita dei figli, ma questo non corrisponderebbe alla scelta di povertà tipica operata, peraltro, anche da suo figlio.

In buona sostanza , se il padre di Felice fosse divenuto prete cristiano, si sarebbe liberato di tutti i suoi beni difficilmente conservando l’eredità che poi trasferì al figlio Felice (Felice, infatti, aveva ancora proprietà personali che gli furono confiscate durante l’ultima persecuzione contro i cristiani).

Eppure è evidente che il Padre di Felice fece edificare sulle sue terre edifici di culto: perché?

Prima di affrontare questo problema torniamo ad analizzare l’ipotesi della insistenza sul terreno delle Basiliche, di un precedente cimitero pagano.

Ci pare, prima di tutto, opportuno ribadire che la sepoltura, soprattutto di pagani, parrebbe del tutto  incompatibile col contesto che stiamo delineando.

Ma analiziamo un possibile diverso punto di vistae diversa suggerito dal seguente brano tratto dal libro primo dedicato a Cesare nella  “Vita dei 12 Cesari” dello storico romano Svetonio:

Ma la morte imminente fu annunciata a Cesare da chiari prodigi. Pochi mesi prima, i coloni condotti a Capua, in virtù della legge Giulia, stavano demolendo antiche tombe per costruirvi sopra case di campagna. Lavoravano con tanto ardore che scoprirono, esplorando le tombe, una gran quantità di vasi di antica fattura e in un sepolcro trovarono una tavoletta di bronzo nella quale si diceva che vi era sepolto Capi, il fondatore di Capua. La tavola recava la scritta in lingua e caratteri greci, il cui senso era questo: «Quando saranno scoperte le ossa di Capi, un discendente di Iulo morrà per mano di consanguinei e ben presto sarà vendicato da terribili disastri dell'Italia.»

Il brano si riferisce, quindi, alla situazione determinatasi nella vicina Capua a seguito della legge Giulia. Tale legge offriva la possibilità, alle genti che si fossero integrate con l’Impero fornendo servigi a Roma, di ricevere la ambita cittadinanza insieme, a terre di proprietà imperiale che, nel caso in esame, furono poi destinate ad uso agricolo.

Le terre cui si riferisce Svetonio, erano occupare da un antico cimitero risalente all’insediamento greco, almeno stando alla lingua in cui era scritta la tavola bronzea ritrovata, e non da un cimitero Romano: sarebbe, infatti, parso ben strano un così scarso rispetto verso la propria storia ed il proprio passato. La distruzione di un cimitero romano è, come detto, a nostro avviso possibile solo dopo l’editto di Costantino come accaduto per  il cimitero romano degli Equites singulares” e non è questo il caso cimitilese.

Vi è, quindi, a pochi chilometri da Nola, una antica testimonianza documentale che potrebbe spiegare l’anomala presenza di sepolture pagane, ma va anche osservato che Svetonio parla di “demolizione” delle antiche tombe e che queste, ripeto, non erano di certo mausolei funerari romani.

In pratica, come osservato in precedenza, se anche si vuole ammettere la cessione di un territorio imperiale che comprendeva una probabile antica necropoli e gli annessi edifici funerari, magari in virtù della legge Giulia,  non si tratterebbe, comunque, di monumenti funerari romani e qualunque fosse l’origine di tali ipotetici monumenti, essi sarebbero stati certamente distrutti per far spazio all’orto e consentire la necessaria coltivazione.

Va sicuramente riconosciuto che la indipendenza della inclinazione sia di quelle che noi abbiamo identificato come celle e che il Korol ritiene essere monumenti funerari pagani, sia della Basilica dei Martiri e quindi del corpo centrale che, sempre il Korol, pensa essere un monumento funerario pagano, farebbero ritenere che questi edifici fossero preesistenti alla centuriazione e quindi che fossero pre - romani.

Non è possibile, infatti, escludere che alcune ipotetiche tombe pre - romane, specie se interrate a particolare profondità, siano sfuggite alle demolizione, né possiamo escludere che un imponente edificio funerario pre - romano ed altri edifici, quali quelli che abbiamo identificato come celle, esistesse prima del riadattamento ad uso colonico del sito, né ancora che questo, anziché essere demolito, sia stato riadattato ad altri usi, ma alcuni elementi ci fanno ritenere la cosa assai improbabile: vediamo quali.

Il fondamentale problema è costituito, come più volte segnalato, dalla stratigrafia che vede il corpo centrale che il Korol attribuisce all’antico monumento funerario, più alto delle parti più moderne dell’edificio. Se ciò è difficilmente spiegabile nel caso di monumenti che precedono l’edificazione della basilica di poche decine di anni, diviene ancor più difficile da comprendere se si parla di monumenti pre - romani che precedono la costruzione di centinaia di anni.

Lo stato stesso di prevedibile cattiva conservazione ed abbandono avrebbe consigliato l’abbattimento e non il riadattamento, tantomeno se, come nel caso in esame, l’edifico, peraltro di notevoli dimensioni, si trovava giusto al centro del terreno lavorabile costituito da due cellule di centuriazione.

Nel citato lavoro abbiamo ipotizzato che l’edificio da noi ritenuto una sinagoga, abbia subito una evoluzione architettonica identica a quella vissuta dalla sinagoga di Bova Marina: l’edificio trasformato dovette essere, in origine, parte della abitazione del rabbino della comunità.

Il primo elemento di verifica archeologica è legato alla preesistenza, alla Basilica dei Martiri di un edificio romano, probabilmente una villa rurale, che doveva costituire la dimora del ricco padre di Felice.

L’edificio doveva insistere, a questo punto, su ben più di una cella di centuriazione, come in realtà avviene, per il plesso da noi ipotizzato per il monastero, e doveva possedere l’ala principale nella cellula contenente la basilica dei Martiri.

La presenza delle costruzioni longitudinali identificate come celle, poteva essere precedentemente legata ad un atrio con peristilio, e lo stesso edificio a due piani, probabilmente degradatosi quando Paolino vi andò ad abitare cento anni dopo, doveva essere parte dell’ala principale della villa.

Le osservazione da noi effettuate inerente:

sono elementi coerenti con la nostra ipotesi e che l’avvalorano.

A questo punto se si procedesse ad una attività di verifica archeologica, lo scavo nell’area sud dovrebbe, rivelare elementi di tessitura muraria pregiati, costose decorazioni, o pavimenti mosaicati incompatibili con il sobrio e povero complesso monacale di Paolino che, invece, dovrebbe essere rivelato dalla povertà di materiali e strutture negli già menzionati ipotetici scavi da eseguire sotto il sagrato della chiesa di San Felice a sud-est del sito.

La fortunata  vicinanza del Vesuvio e le periodiche eruzioni potrebbero, inoltre, consentire la corretta datazione dei reperti con una precisione e livello di certezza che va ben oltre quello della datazione delle monete o della dubbia datazione delle finiture e dei reperti, se il lavoro stratigrafico verrà accompagnato, come sarebbe dovuto essere anche in passato, da una meticolosa analisi dei sedimenti geologici.

Ma torniamo alla nostra ipotesi.

Le origini siriache del padre di Felice, il lungo viaggio fatto dalla Siria in Italia e la ricchezza dell’uomo ben si sposano con la fisionomia del rabbino ebreo e di una famiglia di ricchi mercanti, inoltre, la sinagoga di Dura-Europos presenta notevoli similitudini con il caso cimitilese soprattutto per la presenza di pitture analoghe nel Sancta Sanctorum: tale edificio sarebbe stato di certo un riferimento forte per il siriano padre di Felice nelle ipotesi che questi fosse anche un ebreo.

Anche l’aspetto cronologico appare davvero singolare. Se si colloca la persecuzione di Felice nel 250 e quindi sotto Decio, supponendo che non fossero trascorsi più di 20-30 anni dall’arrivo di Felice e del padre Ermia in Nola, ci troviamo a poca distanza dall’interva,,o di composizione indicato per i dipinti di Dura Europos e della stessa sinagoga: 231 d.C. – 256 d.C. (anno della invasione di Seppur I con il conseguente abbandono della sinagoga) ci ritroviamo esattamente nello stesso periodo.

E’ lo stesso Paolino che nel carme 15mo avvalora la nostra ipotesi; scrive infatti Paolino:

Nessun’altra terra[l’Oriente che poi preciserà essere la Siria], infatti, fu conveniente che fosse la patria di Felice più che quellache aveva dato i natali ai patriarchi e ai santi profeti… la mistica stirpe mandò a noi Felice. La fede perfetta lo mandò proveniente da quella discendenza perché a noi fosse santo canale della Fede (carme 15 54-65)

E ancora, riferendosi  ai rapporti tra Ermia ed fratello Felice:

Infatti già fremeva nel seno della madre santa quella discordia che ora incrudelisce nell’utero del mondo: poiché i Giudei destinati a servire il popolo più giovane, seguono l’aspra perfidia dell’irsuto Esaù, mentre noi con migliore discendenza seguiamo il liscio Giacobbe attraverso le dolcezze della pace per i luoghi in cui ci guida la via della luce. Fu dunque, diverso il sangue dei fratelli discesi dallo stesso sangue; Ermia, come l’irsuto Edom [e l’altro nome di Esaù], avendo cercato i beni terreni visse oscuro prigioniero del padre Idumeo, vivendo sul diritto della propria spada w sopportando la sterile fatica di una inutile milizia, nella quale fu sottoposto alle armi di Cesare, in privato operando secondo i precetti di Cristo. (Carme 27, 95-99)

Ruggiero sottolinea come presso i romani il termine Idumeo equivalesse a Giudeo, a tal proposito cita Virgilio (Georg. 3,12) e, comunque, lo stesso contesto e le metafore adottate da Paolino confermano l’origine ebraica del padre.

E’, però, interessante notare come Paolino sembra voler sottolineare anche una distanza religiosa tra il due fratelli senza però negare la religiosità di Ermia (“operando secondo i precetti di Dio”).

Tale distanza religiosa viene associata alla distanza tra i Giudei ed i Cristiani ed affiancata alla ebraicità del padre di Felice; non ci pare, a questo punto, affatto peregrina l’ipotesi che il padre di Felice, stante anche la diversa religiosità dei due figli ed il fatto che uno di essi scelse il sacerdozio cristiano, possa essere stato un rabbino ebreo o, a nostro avviso, giudeo-cristiano.

Un ulteriore dubbio sulla origine del sacerdozio di Felice, ci viene sempre dal medesimo carme di Paolino ove egli afferma:

Di là (dall’Oriente) venne Felice, a Dio consacrato, non ancora nato quando il padre partì per alla volta dell’Italia. (carme 15 56-57)

Infatti, se si interpreta il verso come una consacrazione al sacerdozio che precedette la nascita, Felice stesso sarebbe potuto essere un rabbino ebreo o al più giudeo-cristiano e non un sacerdote cristiano - Paolino. E’ emblematico, infatti, che Paolino parli la consacrazione a Dio e non a Cristo.

In ambito ebraico, infatti, i figli primogeniti (Esodo 13, 1-10) venivano consacrati a Dio. Durante la cerimonia di consacrazione,  il sacerdote chiedeva se si voleva o meno procedere al riscatto (Numeri 18:15-16)., in caso affermativo attraverso il versamento di un obolo il padre poteva richiedere la liberazione dal vincolo di servizio del primogenito come assistente al sacerdozio.

Una ulteriore singolarità, fino ad oggi non spiegata, è l’uso del termine “infula” associato al ruolo sacerdotale di Felice che si legge nel carme XV, 114. L’infula viene associata dal Ruggiero [19], alla benda sacerdotale pagana dimenticando però, di effettuare un opportuno raffronto con la produzione letteraria di Paolino che nella lettera 29, 7 e seg., adopera nuovamente il termine infula associandolo, però al sacerdozio ebraico commentando il motivo per il quale l’evangelista Luca sottolinea la discendenza del sacerdote Zaccaria dalla classe di Abia.

L’assistenza al sacerdozio esattamente ciò Felice farà durante i primi anni della sua vita operando, prima come, lettore e poi come esorcista e lasciandoci sospettare che, anche per la predestinazione evidenziata da una consacrazione precedente alla nascita, il riscatto non ebbe luogo.

E’ proprio, la coesistenza di una Domus Eccliesiae con l’anomala ricchezza di quello che dovette essere il sacerdote, cioè il padre di Felice, e la incompatibilità di tale ricchezza con il costume tipico di povertà dei presbiteri cristiani che ci fa ritenere probabile la  nostra ipotesi.

Saremmo, quindi, di fronte ad un rabbino giudeo-cristiano il cui figlio, già consacrato al sacerdozio rabbinico, forse aderendo successivamente alla Fede cristiana romana, fece voto di povertà ricevendo e dal padre i possedimenti su cui edificò la sua basilica: la Basilica Vetus e in cui celebrò messa insieme al Vescovo Massimo.

E’ interessante notare che una medesima trasformazione e commisura tra la sinagoga e la Domus Ecclesiae oltre che un notevole apparentamento stilistico tra questo edificio ed il caso della Chiesa dei Martiri,  si nota proprio nei resti della sinagoga siriana di Dura – Europos, terra da cui proveniva la famiglia di Felice.

Non va, infine, dimenticato quanto abbiamo già segnalato nel nostro lavoro [10] sulla probabile Sinagoga dei Martiri paragonata alla sinagoga di Bova Marina.

Quest’ultimo edificio ha evidenziato una serie di sepolture terragne di origine ebraica nelle vicinanze della sinagoga, in posizione protetta alla vista dei fedeli che entravano dall’ingresso sud dell’edificio.

Nel nostro lavoro sulla presunta sinagoga dei Martiri, abbiamo proposto come possibile, che alcune sepolture ebraiche insistessero nell’area maggiormente nascosta dall’ingresso sud di tale edificio e quindi a nord di esso, proprio dove fu sepolto San Felice insieme ai vescovi Quinto e Massimo.

Motivi commerciali che giustificano la presenza di ebrei siriaci nel territorio nolano: la pista del vetro

Vogliamo, in questo paragrafo, proporre quello che, a nostro avviso, fu uno dei motivi commerciali ed economici principali che giustifica la presenza di ebrei provenienti dalla Siria nel territorio nolano.

Una fondamentale testimonianza di Plinio, nella sua Storia Naturale, riferisce di una importante presenza di abili vetrai sulle rive del Volturno [8] Scrive Plinio:

Ora invece, anche nel Volturno, un fiume dell'Italia, su una striscia di costa di sei miglia fra Cuma e Literno, si trova una sabbia bianca la cui parte più tenera viene pestata nel mortaio o nella mola, poi si mescola con tre parti di nitro (in rapporto al peso oppure in rapporto alla quantità) e, liquefatta, viene passata in altre fornaci. Lì si forma una massa nota come «ammonitro», che viene fusa di nuovo e dà luogo a del vetro puro e a una massa di vetro bianco

E’ sempre Plinio, che, come del resto ampiamente dimostrato, ricorda come la culla del vetro e delle più pregiate lavorazioni nell’antichità fosse la Siria.

Le testimonianza di Plinio sulla importanza della sabbia del Volturno nella produzione del vetro, è stata confermata dalla scoperta di una delle più antiche ventriere oggi note in Italia: quella di San Vincenzo al Volturno, ove si producevano lampade in vetro.

Reperti costituiti da lampade con appendice cava con corpo a coppa emisferica,  sono stati rinvenuti, nell’Italia centro-meridionale, a San Vincenzo al Volturno e, guarda caso, a Cimitile insieme anche a reperti vitrei ritrovati nei pressi delle sepolture [23][24]

Sempre a San Vincenzo si preparavano, insieme alle lampade vitree, vetri per finestra e, stranamente, sono state ritrovate 144  tessere musive non prodotte in loco ma adoperate come materiale riciclato estraendone il colorante.[25]:tessere a pasta vitrea colorata (rosso, arancio, blu, marrone verde azzurro) ornano l’edicola mosaicata attorno la tomba di Felice nelle basiliche di Cimitile  (484-523) [26]

Non può, a questo punto, sfuggire la onnipresenza nei Carmi di Paolino delle, almeno ai tempi, non comunissime lampade vitree tipiche, però, degli arredi delle sinagoghe oltre che delle antiche chiese. Paolino le descrive ripetutamente ed accuratamente ( carme XIV 100, VVIII,35 ;XXIII,111) costruendo la prima testimonianza documentale di oggetti di questo tipo [24].

Recenti scavi hanno identificato ulteriori coeve aziende artigianali per la produzione del vetro a Mirabella nell’avellinese, al tempo nota come Heclanum. Ad Heclanum,, è stata ritrovata una villa rurale con annessa officina vetraria e, non a caso, ad Atripalda, nei pressi di Abellinum non lontano dalla strada di collegamento a Nola, è stata rinvenuta una lampada ebraica in creta, di tipo palestinese oggi conservata al Museo di Gerusalemme, ed Atripalda.

Ulteriori scavi hanno rivelato la presenza certa di artigiani del vetro a Pontecagnano in un contesto del V secolo.

Ma se per le vetrerie di Pozzuoli, la via Domiziana era il percorso obbligato, il percorso obbligato per raggiungere dalle zone interne e da Capua, anch’essa ricca di artigiani ebraici, al Salernitano, era la Popilia che collegava Capua, guarda caso, a Nola, Nocera e Salerno puntando poi verso la Lucania e la Calabria.

E’ naturale, quindi, desumere che la via Popilia fungesse non solo da percorso commerciale per il prodotto finito, ma , probabilmente, anche per il transito la materia prima: la sabbia del Volturno. Infatti sempre per Nola,transitava il percorso verso Abellinum e verso l’Irpinia attraverso una diramazione dell’Appia.

Artigiani del vetro v’erano sicuramente a Pozzuoli, guarda caso città con un documentata presenza ebraica fin dall’antichità [21], non va, infatti, dimenticato che lo stesso San Paolo fu accolto a Pozzuoli, da un cospicuo numero di Parenti quasi certamente ebrei (Atti 28,13).E’ quindi possibile desumere che anche nelle città di Nola e Nocera, peraltro più vicine al Volturno sebbene in territorio interno, sorgessero vetrerie ebraiche.

Questo quadro crea un contesto socio economico sufficiente a giustificare il trasferimento di un siriano ricco, come il Padre di Felice in un territorio riccamente popolato di ebrei artigiani ed in una zona di ricco traffico commerciale e di transito obbligato per tutte le principali strade di collegamento verso il meridione, l'Irpinia, la Puglia, la Calabria e la Basilicata come Nola.

 

Note bibliografiche

[1] Lehmann T. - Lo sviluppo del complesso archeologico a Cimitile, Boreas, 1990, 13, 16, pp. 123-134.

[2] Scala S. - Il culto gnostico della Maddalena dal mosaico di Otranto alle basiliche paleocristiane di Cimitile, Episteme n. 6, ed. PORZI, 21 dicembre 2002.
rif. on-line: http://www.robotics.it/episteme

[3] Ebanista C., Fusaro F. - Cimitile: guida al complesso Basilicale e alla città, Comune di Cimitile, 2001

[4] Korol D. - Il primo ritrovamento di un oggetto sicuramente giudaico a Cimitile: una lucerna con rappresentazione della menorah, Boreas, 1990, 13, pp 94-102.

[5] Belting H. - Die Basilica dei SS.Martiri in Cimitile und ihr frumittelalterlicher Freskenzlus, Wiesbaden, 1962.

[6] Testini P. - Note per servire allo studio del complesso paleocristiano di S.Felice a Cimitile (Nola), MEFRA Antiquitè 97, 1985, 329-371 - menzionato in [1].

[7] Krautheimer R. - Architettura paleocristiana e bizantina, 1986, 140, 221-223 - menzionato in [1].

[8] D. Korol - I Sepolcreti paleocristiani e l'Aula soprastante le tombe dei santi Felice e Paolino a Cimitile/Nola, Didattica e Territorio, 30mo distretto scolastico, 30 marzo-8 giugno 1988.

[9] Della Nolana Ecclesiastica Storia -  1747. Gianstefano Remondini

[10] Un'antica sinagoga nel cuore paleocristiano di Cimitile? Episteme N. 8 - 21 settembre 2004 / 21st Sep. 2004.

[11] L’Urbanesimo di Adriano Roberto http://www.andriaroberto.com/L'Urbanesimo.htm

[12] Paolino di Nola, Le Lettere, a cura di Giovanni Santaniello, edito da "Istituto Anselmi" - Piccola Opera della Redenzione, Marigliano, NA, 1992.

[13] Il complesso basilicale di Cimitile CD-Rom ed annesso software di proprietà del Comune di Cimitile(NA) distribuito presso il sito archeologico paleocristiano cimitilese.

[14] Sito ufficiale della abbazia del Boleto http://www.goleto.it/

[15] “Ansedonia - L'antica città romana di "COSA" Fabio Montagnani

http://www.girando.it/ansedonia/index.php

[16] La storia antica del quartiere Lauretum”

http://www.romacivica.net/quadraro/Quartiere/storia_a/storia_a.htm

[17] “Cosa - Ansedonia e il suo territorio” Dr. Maria Grazia Celuzza

http://www.gol.grosseto.it/puam/comgr/stor/archeo2/cosa.htm

[18] NOLA, L’AGRO E CICCIANO  di Domenico Capolongo –  Tipografia Istituto Anselmi Marigliano - anno 1979)

[19] I CARMI di Paolino vol.1 e 2, traduzione di Andrea Rugiero ed. LER 1996

[20] “Breve storia di Nuceria dalle origini al XII secolo” -Anna Sellitto, edito dalla Associazione Socio Culturale “Il Cortile dei Tigli” 2003

[21] “Antichità Giudaiche” di  Giuseppe Flavio Torino 1998 cap. XVII, cap XIV cit. da N.Ferrorelli, Gli ebrei nell’Italia meridionale a sua volta citato in –“ Gli ebrei a Trani e in Puglia nel medioevo” Tesi di laurea in Filosofia  di Emanuele Gianolio 1999

[22] La novella 37 è inserita nella collezione di Novelle che costitu iscono il complesso delle leggi emanate da Giustiniano e fanno parte del Corpus iuris civilis. citato in “ Gli ebrei a Trani e in Puglia nel medioevo” Tesi di laurea in Filosofia  di Emanuele Gianolio 1999

[23] Marina Ubaldi “Diffusione delle lampade vitree in età tardoantica e medievale e spunti per una tipologia” Archeologia Medievale XXII, 1995, 93-145

[24] STIAFFINI D., 1993/b, I materiali vitrei, in PANI ERMINI L. e Al.,Recenti indagini nel Complesso Martiriale di S. Felice aCimitile, «RACr», LXIX, pp. 304-313.

[25] MARJA MENDERA, Produzione vitrea medievale in Italia e fabbricazione di tessere musive.in E. BORSOOK, F., GIOFFREDI SUPERBI, G. PAGLIARULO, Medieval mosaics, light, color, materials, Milano 2000, pp. 97-138.

[26] Carlo Ebanista, Filomena Fusaro “Cimitile: guida al complesso basilicale ed alla città” Comune di Cimitile 2001



[1] Testini, Krautheimer che propongono per la identificazione della Basilica dei Martiri all’interno del gruppo delle 4 e i tedeschi Korol e Lehmann che, invece, ritengono si tratti di un monumento funerario, riadattato da precedente mausoleo con medesima funzione.