Prima dare inizio al mio intervento desideravo fugare subito un legittimo dubbio legato al modo in cui ho voluto intitolarlo.

Il “Da i Vangeli gnostici alle lettere di Paolino” va inteso non come la volontà di un accostamento o addirittura di concordanza tra le diverse opere letterarie, ma proprio come un da-a cioè come  proposta di un viaggio tra due estremi in apparenza opposti ed inconciliabili, separati dalla secolare barricata del pensiero gnostico. La Gnosi, che costituisce il primo dei due estremi di questo anomalo percorso logico, fu notoriamente la più duratura delle eresie che la Chiesa Cattolica si trovò ad affrontare per oltre mille anni, mentre Paolino, vescovo di Nola a cavallo tra il 300 ed il 400 d.C., fu uno degli uomini simbolo e dei padri del pensiero cristiano: Paolino vescovo di Nola (IV-V sec.).

Nel pur vasto repertorio dell’epistolario Paoliniano ricco di metafore talora temerarie e straordinariamente innovative, nulla consentirebbe di ricollegare il suo più profondo pensiero alla gnosi o a qualche tendenza ereticale del tempo. Lo stesso Agostino, censore e talora “inquisitore” durissimo del suo tempo,  che pure non si fece scrupoli nel mettere alla gogna vecchi e stimati amici come Pelagio, seppe trovare alcunché che potesse far pensare a qualche forma di deviazione teologica dalla ortodossia cattolica nel pensiero del vescovo Paolino.

Segnalata doverosamente la distanza della teologia di Paolino dalle eresie del tempo e dalla gnosi va anche detto,  che la straordinaria spontaneità ed arguzia del Paolino, combinate con la capacità innata di proporre ragionate e saggie mediazioni tra le diverse forme del pensiero cristiano, lo portarono, forse più di tutti gli altri Padri della Chiesa, ad assorbire numerosissimi elementi del pensiero gnostico, metafore, espressioni che egli seppe ben amalgamare con l’ortodossia cristiana rivalutandone la forza e rinnovandone l’efficacia.

Questi elementi egli, quasi certamente, li apprese grazie alla sua origine francese ed alla vicinanza della sua città natia (Bordeaux) ai luoghi che, per secoli in Europa, videro il florido evolversi della Gnosi fino al tragico epilogo ed al sacrificio eroico di una intera popolazione, quella catara, sterminata dalla mano degli inquisitori della Chiesa di Roma nell’ultima sanguinosa e fratricida crociata.

Fino agli anni 50 ciò che si sapeva della gnosi proveniva o dalla voce distorcente e scarsamente attendibile dei Padri della Chiesa, o, peggio ancora, dai resoconti degli interrogatori cui erano sottoposti coloro che venivano accusati di eresia. Sappiamo bene a quali inimmaginabili sevizie erano sottoposti questi uomini colpevoli di aver scelto una fede diversa da quella della Chiesa di Roma. E’ ovvio che in queste condizioni, le testimonianze rese fossero null’altro che ciò che veniva detto loro di confessare in cambio del privilegio di una morte più rapida.

Alcune straordinarie scoperte avvenute quasi contemporaneamente  tra il 1945 ed il 1946 hanno radicalmente cambiato la situazione e ci danno, oggi, l’opportunità di conoscere non solo ignoti pezzi di storia che si credevano perduti nel tempo bruciati sul rogo delle eresie, ma anche di ricostruire una nuova interpretazione della storia del cristianesimo primitivo totalmente diversa da come la conosciamo.

Nel corso del mio intervento cercherò di far saggiare la portata di queste scoperte applicandol,e quale esempio, alla analisi di una donna simbolo di straordinaria importanza ed interesse: la Maddalena.

Presso il complesso basilicale paleocristiano di Cimitile é presente uno straordinario affresco da me riscoperto e riletto. Tale opera sarà il pretesto ed il punto di arrivo della analisi che intendo proporre.

L’obiettivo che mi pongo e farne comprendere, alla luce del vasto repertorio delle recenti scoperte documentali sulla Gnosi, la straordinaria valenza simbolica dei tratti iconografici che lo rendono un caso unico.

Partiremo, quindi, proprio dalle scoperte del 1945-46 che hanno sconvolto la interpretazione storica del cristianesimo.

Ci soffermeremo, in particolare, sulla scoperta di 4 Vangeli sconosciuti e, tra essi, sul Vangelo di Filippo, da me adoperato per l’analisi simbolica di alcune opere artistiche ed architettoniche medievali.

Vedremo quale contributo questo testo da alla analisi ed alla lettura simbolica della figura di Santa Maria Maddalena facendo emergere tutti quegli aspetti che hanno reso questa donna, un simbolo potente e dal significato talmente centrale e dirompente che fu presto necessario, per la Chiesa di Roma, sostituirlo e successivamente quasi cancellarlo dalle raffigurazioni sacre.

Mostreremo, quindi, come gli scritti di Paolino intervengono a chiarire l’ambiguità del simbolo e la enorme valenza che esso aveva anche per la chiesa cattolica primitiva. Proprio dagli scritti di Paolino e dal confronto tra questi e quelli gnostici con particolare riferimento al Vangelo di Filippo, faremo emergere le pericolose concordanze interpretative che, portate alle estreme conseguenze, avrebbero potuto in breve tempo, scardinare i fondamenti stessi della ortodossia cattolica.

Mostreremo, quindi, i passi attraverso i quali si è svolta, a nostro avviso, la transizione iconografica che ha portato la figura della Maddalena, dal suo ruolo centrale ed in apparenza ineliminabile alla successiva quasi totale scomparsa dalla iconografia cristiana.

L’affresco delle basiliche di Cimitile assume, in questa analisi di transizione, un ruolo assolutamente centrale e diviene prova e testimonianza della importanza unica assunta dalla Maddalena ma anche della ambiguità  che tale simbolo costituiva tanto da renderlo teologicamente pericolosissimo e da giustificarne l’accantonamento.

E’ proprio l’importanza che questo dipinto riveste attraverso la intrinseca valenza simbolica, iconografica e storica, che ci ha spinto e ci spinge ad una strenua battaglia per salvarlo da alcuni sciagurati recenti interventi della mano dell’uomo che lo stanno facendo scomparire rapidamente ed inesorabilmente.

Partiamo, quindi, con il nostro viaggio alla scoperta della Maddalena.

Nel 1945 e 46 avvennero due straordinarie ed irripetibili scoperte archeologico- documentali, il cui valore ed i cui effetti ancora non si sono manifestati in tutta la loro dirompenza.

Cercheremo, nella slide che mostriamo, di illustrarne in estrema sintesi, i contenuti e la portata.

Nel 1945 a Qumran vengono scoperti, all’interno di 11 grotte, oltre 800 manoscritti risalenti a 2000 anni fa taluni dei quali in ottimo stato di conservazione, che ci parlano di una comunità sconosciuta ed unica nata all’interno dell’ebraismo tra il secondo secolo prima di Cristo ed il primo dopo Cristo.

L’importanza di questa comunità sta nella sua straordinaria affinità con la cultura ed il pensiero della prima comunità cristiana, ma anche nel fatto che questa comunità, dalle caratteristiche chiaramente monastiche, precedette la nascita del cristianesimo sviluppandosi unicamente all’interno dell’ebraismo come setta.

Grazie alle scoperte di Qumran oggi siamo in grado di leggere la biografia ed il pensiero di Gesù non come una anomalia o una eccezione all’interno dell’ebraismo, ma come la naturale conseguenza e sviluppo di qualcosa che era già profondamente vivo e radicato nel pensiero di una parte del popolo ebreo.

Siamo, inoltre, in grado per la prima volta, di comprendere quale potesse essere il pensiero della più antica delle tre correnti che formarono il cristianesimo delle origini: il Giudeo-Cristianesimo.

Tale corrente non costitui mai una nuova religione e si mosse, sebbene osteggiata, sempre nell’ambito del pensiero ebraico costituendosi come setta.

Essa non riuscì mai a prendere piede all’interno dell’ebraismo decimata e cancellata dai tragici eventi che seguirono la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C.. Alla avversione del mondo ebraico si unì anche quella del mondo cristiano che ben preso etichettò il pensiero Giudaico-Cristiano come eretico identificandolo con il termine di Ebionitismo.

Passiamo, quindi, alla seconda grande scoperta.

1945 tra le sabbie del deserto di Nag Hammadi in alto Egitto, in una giara vengono scoperti 52 codici risalenti al III e IV sec. d.C. Con il termine “codice” si intende riferirsi a quello che può essere considerato il prototipo dei moderni libri costituito da pagine di pergamena scritte su entrambe i lati e rilegate insieme.

 

Come ci potessero stare ben 52 codici in una giara, per quanto grande essa fosse, resta per me un mistero, come misteriosa ed incredibile resta la coincidenza di due così importanti scoperte in un periodo breve e particolare.

In quegli anni, infatti termina il secondo conflitto modiale, si scopre l’orrore dei campi di concentramento ma, soprattutto, si pongono, dopo 2000 anni, le basi per il nuovo stato di Israele.

Ma torniamo alla nostra scoperta ed alla importanza che essa riveste.

I nostri 52 testi contengono una vera e propria biblioteca selezionata di documenti gnostici che, oggi, ci consente di conoscere in dettaglio quale fosse realmente il pensiero gnostico e soprattutto come straordinariamente avanzata fosse la sua evoluzione già nel II secolo (la datazione reale dei contenuti di alcuni di questi documenti, infatti, viene collocata non oltre il 200 d.C.).

E’ proprio dai contenuti di questi testi, dalla complessa e coerente teologia che in essi viene esposta e dalle affinità di tale pensiero con alcuni dei documenti qumramiani, che possiamo oggi affermare con relativa certezza, che lo gnosticismo non fu un fenomeno successivo alla nascita del cristianesimo ma fu una delle tre correnti in cui si sviluppò fin dall’inizio il pensiero cristiano.

A render ancor più ricco il panorama delle scoperte di quegli anni va doverosamente ricordato anche il ritrovamento, da parte di un monaco dominicano, in una biblioteca nel 1939, di sue antichi trattati cataro : il “Libro dei due principi” ed il rituale Cataro che ci consentono oggi di conoscere anche quale fosse il pensiero dei Catari che espressero una forma, se vogliamo, più popolare e meno sofisticata del pensiero gnostico, ma non per questo meno interessante.

Allo gnosticismo come seconda grande corrente del pensiero cristiano va aggiunta, ovviamente, quella Paolina che andò a costituire l’ortodossia cristiana.

Con tale termine si intende la corrente teologica che fa capo a Paolo di Tarso meglio conosciuto come San Paolo, straordinario genio, ideatore e fondatore del pensiero e della teologia della Chiesa di Roma.

Il Cristianesimo Paolino entrò praticamente subito in conflitto con le altre due correnti che non ne riconoscevano il diritto storico alla esistenza essendo l’unica delle tre forme del cristianesimo, che non si ricollegava in modo diretto alla predicazione di Gesù (Paolo, infatti, non era un discepolo di Gesù e forse non lo incontrò mai da vivo)..

Nonostante tutto, grazie al genio tattico-logistico di Paolo, il “suo” cristianesimo ebbe la meglio e ben presto da perseguitato divenne perseguitante.  Il giudeo cristianesimo, scomparve, come già osservato, in meno di un centinaio di anni. Molto più dolorosa fu, invece, la lotta contro lo gnosticismo per sconfiggere il quale si dovette attendere il XIII secolo e la Crociata sanguinosa, contro i Catari e gli Albigesi.

In realtà questa corrente di pensiero non scomparve mai del tutto e, a nostro avviso, anche dopo la crociata contro gli Albigesi continuò a sopravvivere all’interno di alcune frange dell’Ordine del Tempio. Fu forse per questo che la Chiesa fu costretta alla seconda dolorosa epurazione con la cancellazione dell’Ordine con l’accusa di eresia anche se mai, durante il processo, fu pronunciata la parola “Gnosi”.

A nostro avviso, comunque, una fede così radicata come la gnosi non poteva essere estirpata nemmeno con l’eliminazione fisica di coloro che la professavano. Esistono elementi evidenziati da alcuni miei studi, che mostrano come le persecuzioni produssero non la scomparsa del pensiero ma solamente la “sommersione” di esso facilitato dalla innata forma criptica, ma non è questo l’argomento che intendo approfondire questa sera.

Tra i testi di Nag Hammadi furono rivenuti ben 4 Vangeli sconosciuto: Tommaso, Maria, Verità e Filippo.

Tali documenti sono tutti di estremo interesse storico.

Il Vangelo di Tommaso, ad esempio, con i suoi 114 detti di cui un buon 30% assolutamente sconosciuti, ha una importanza straordinaria per la conoscenza della possibile personalità del Gesù storico. I detti, sebbene privi di narrazione, sono in apparenza, più vicini alla espressione primitiva dei detti che troviamo nei Vangeli privi come sono delle spiegazioni che solitamente li accompagnano nei testi canonici. Essi e ci mostrano, spesso, possibilità interpretative inattese e talora o soffocate da alcune edulcorazioni in apparenza successive, intervenute nella stesura dei Vangeli sinottici.

Il Vangelo di Verità costituisce una straordinaria esposizione della teologia Valentiniana e ce ne fa comprendere il senso.

Quello su cui soffermeremo, però, la nostra attenzione è il Vangelo di Filippo.

Il codice risale al 330-340 d.C., ma, secondo il Moraldi autore di uno stupendo studio pubblicato, prima dall’UTET e poi in formato economico da Adelphi ( “I Vangeli gnostici” a cura di L.Moraldi ed.: Adelphi 1999), esso risalirebbe agli anni compresi tra il 120 ed il 200 d.C.

Non si tratta di un Vangelo tradizionale e quindi non contiene narrazioni sulla vita di Gesù, ma spiega le radici della teologia gnostica senza fare un uso sfrenato di metafore e riferimenti criptici (che, pure non mancano) come quelli che ritroviamo nelle forme deteriori e barocche del pensiero gnostico quali quello della “Pistis Sophia”.

Ma, a questo punto, è necessaria una breve digressione che, da un lato, ci consenta di comprendere le basi del pensiero gnostico e dall’altro ci introduca, finalmente, al tema della serata: la Maddalena.

Sebbene sia pressocchè impossibile sintetizzare gli elementi fondamentali del pensiero gnostico in una sola slide, ho voluto provare a farlo come una sorta di esperimento, in quella che vi mostro.

Se riuscirò nell’intento capirete anche la profondissima valenza del simbolo della Maddalena e del messaggio che essa trasfrerisce.

Il cuore della Gnosi è une speranza di libertà e di liberazione basata su una singola idea: nell’uomo è nascosta una scintilla divina. La Gnosi è il processo di “ricordo” e di “ricostruzione” che porta l’uomo a riscoprire questa scintilla superando le nebbie dietro cui si nasconde.

Un dio malvagio, il Demiurgo, il Dio creatore del mondo materiale che si crede onnipotente e vero Dio, ha generato alcuni esseri malvagi: gli Arconti. Questi esseri sono quelli che combattono contro l’uomo e cercano di ingannarlo per nascondergli la sua origine divina che lo rende superiore al Demiurgo stesso e figlio del Padre del mondo spirituale: il vero Dio.

Il processo di riscoperta è anche una guerra di astuzie e di inganni, in cui l’uomo combatte per non essere soggiogato e per non “farsi scoprire” nel suo processo di “ritorno” al Padre.

Il Vangelo di Filippo ci descrive le fasi di questo processo di progressivo avvicinamento, assolutamente personale ed autonomo del singolo uomo al Padre. Tale processo viene sancito, in ambito gnostico, da alcuni riti di iniziazione che segnano l’inizio di ogni nuova fase e ne sintetizzano simbolicamente, la valenza.

Si parte dalla prima iniziazione: il Battesimo.

Il Battesimo gnostico non è affatto, una forma di purificazione dal peccato.

Per la gnosi non c’è peccato poiché se peccato vi fu esso è da addossare interamente al Demiurgo, il Dio malvagio che creò il Mondo.

In pratica il presunto peccato di Adamo ed Eva diviene in ambito gnostico, il momento del riscatto e l’inizio della salvezza. E’ nella disobbedienza al Demiurgo che l’uomo dichiara la sua indipendenza ed apre la battaglia per la riconquista della sua scintilla divina.

Tale battaglia contro il Demiurgo ed i suoi Angeli sarebbe impari ed impossibile se l’uomo non avesse un alleato sovrannaturale, il Cristo-Gesù che sebbene non possa intervenire nella materia poiché non appartiene ad essa, né nella storia e nel tempo, poiché anche questi sono una invenzione del Demiurgo, interviene a mostrare la strada all’uomo che deve autonomamente e senza scappatoie affrontare da solo la sua battaglia.

E’ chiaro, quindi, perché Sant’Agostino, che in origine era uno gnostico, temette e combattè con forza l’eresia Pelagiana in apparenza così innocua. Tale eresia, infatti, metteva in discussione proprio i battesimo e portata alle estreme conseguenze si configurava chiaramente, come gnostica.

Ecco perché, temendo una possibile deviazione dello stesso amico San Paolino, ed essendo fortemente preoccupato che la rinuncia al mondo ed alla ricchezza di Paolino potesse nascondere molto più che un eroica scelta di vita esemplare, Agostino ammonì il suo amico consigliandogli di sospendere il suo rapporto di amicizia con Pelagio.

Ma se il battesimo con acqua non è un momento di purificazione cosa in realtà rappresentava?

Qui si esalta l’importanza di Filippo. L’uomo di fronte all’acqua è come di fronte ad uno specchio e grazie all’intervento attivo della luce (sapienza) e passivo dell’acqua, egli è messo come di fronte alla sua vera immagine. Ecco perché l’immersione totale dell’uomo nell’acqua e quindi nella propria immagine gli consente di svestirsi dalla veste mortale del mondo demiurgico e di rivestirsi del suo vero vestito spirituale iniziando il percorso di iniziazione.

Ma in cosa consiste tale percorso. Ebbene questo percorso non ha nulla di trascendente almeno nella prima parte.

L’oggetto della analisi gnostica è l’uomo, il mezzo è l’allontanamento dei “rumori” del mondo. In pratica per lo gnostico la vita monastica e mistica è uno strumento indispensabile per iniziare l’analisi. Il ritiro ascetico e monastico è quindi il primo strumento per lo gnostico e ciò spiega perché proprio in questo ambito si è sviluppata maggiormente l’eresia e perché Agostino indagava proprio lì dove in apparenza, si era più vicini alla essenza del pensiero cristiano con l’imitazione della vita di Gesù  in povertà e rinuncia del mondo.

Gli gnostici, concentrati su se stessi, probabilmente furono i primi a scoprire ciò che Freud scoprirà agli inizi del 900: la divisione dell’Uomo in se.

In pratica, l’Uomo di fronte agli orrori della vita e a vicende tristi del proprio passato (come in casi estremi quali lo stupro in età infantile), fugge da essi e li relega nei posti più nascosti della propria coscienza sperando di esserne liberato.

In questi posti, però, comincia a nascere, vivere e prender forma una parte non conscia e ciò che Freud chiama il Subconscio. Questa parte diviene un vero e proprio essere che per sopravvivere deve “nascondersi” all’Io cosciente, ma che per vivere, deve agire nel reale costringendo l’Io cosciente ad una inconscia azione di servizio.

Nascono quindi la schizofrenia e le nevrastenie.

Il Subconscio deve sviluppare uno strumento di comunicazione e controllo simbolico, ecco perché comincia a dialogare con la parte conscia attraverso immagini ispirate, spesso, nei sogni ed ecco perché nella sua “Interpretazione dei Sogni” per Freud il sogno e la metafora diviene lo strumento attraverso cui l’analista scopre la radice dell’errore e l’interpretazione del messaggio subconscio. In questa scoperta e rivelazione dell’IO nascosto c’è l’automatica guarigione poiché “ciò che è nascosto viene rivelato” e ciò che è “celato” viene “scoperto”.

Sono queste le parole messe in bocca a Gesù con cui si apre il Vangelo di Tommaso.

La rivelazione della radice dell’errore, se da un lato sancisce la scoperta e la gioia per essa, dall’altro porta l’uomo a conoscere i bassifondi del sui Io e a comprendere quanto egli sia meschino e capace di orrende azioni.

Questa dolorosa discesa è sancita simbolicamente in ambito gnostico dalla “unzione” che segna la scoperta dell’errore iniziale ma anche l’infusione di quella forza spirituale che il Crisma, frutto dell’albero – Gesù, da all’uomo. E’ il momento della morte in se stesso della parte nascosta e della rinascita a nuova vita.

Inizia l’ascesa e la parte puramente spirituale che porta l’uomo alla ricongiunzione con il proprio angelo e con la propria scintilla divina. Da due esseri scissi l’uomo diviene uno e ciò è sancito dall’ultimo rito gnostico: quello della camera nuziale.

Questo è il processo nel microcosmo umano, a questo processo microcosmico la gnosi ne fa corrispondere uno macrocosmico che spiega il perché della nascita del mondo e dell’errore.

Secondo al gnosi, quando la Sophia(Sapienza), uno dei 12 Eoni che componevano il Nous o mente di Dio e l’unità iniziale  (Pleroma) iniziò a desiderare ardentemente di conoscere il Padre, tentò l’impossibile: cercò di comprendere il Nous, cioè la stessa mente di Dio.

Essendo questa una azione impossibile ella generò un pensiero distorto e mostruoso. Ma nella mente di Dio ogni pensiero diviene, nello stesso momento in cui viene alla esistenza, una entità e così il mostro allontanato dalla Sophia per la sua bruttezza, divenne un aborto vivo.

Tale aborto, fu scaraventato dalla Sophia nella zona più lontana possibile: l’Abisso.

Ma lì, nell’abisso, l’Aborto cominciò a crescere e a svilupparsi. Privo com’era della parte spirituale (Pneuma) che era sola di Dio, era cieco ed incapace di sapere che egli era stato generato da una componente spirituale.Conscio della sua potenza iniziò a creare il Mondo credendo di essere il vero Dio.

La Sophia scoperta a causa dei suoi lamenti, divenne oggetto di una estrema azione di Salvataggio che Dio affidò al Cristo nel mondo Pneumatico, e a Gesù in quello reale e demiurgico.

Tale azione non poteva essere semplicemente il cancellare ciò che era stato fatto, ma doveva essere un processo di ricostruzione progressiva della unità originaria che doveva vedere autori ed interpreti tutte le parti del sistema.

E proprio ingannando il Demiurgo che la Sophia, con l’aiuto del Cristo mette nell’Uomo, la più ambiziosa creazione del Demiurgo, una scintilla divina, causa del suo grande dolore generato dalla invidia degli esseri arcontici per la indubbia superiorità di questo.

Ma quel dolore, paradossalmente, è anche lo strumento e la prova che l’uomo si può salvare e si deve salvare contribuendo al progetto divino della ricostruzione del Pleroma (unità originaria).

Sophia è quindi, l’emblema della caduta mentre la Maddalena è l’emblema della Donna che si fece uomo ricostruendo la prima unità e divenendo esempio vivente di qual è il percorso da seguire insegnatole direttamente dal suo compagno Gesù.

Ed ecco, quindi, la sintesi estrema della funzione straordinaria della Maddalena nella gnosi, ma per comprenderla a fondo dobbiamo partire con il nostro approfondimento.

Riprendiamo da dove avevamo lasciato: il Vangelo di Filippo, cercando di comprendere cosa di importante e profondo, ci dice in più sulle forme del dialogo simbolico così importante per il modo con cui il nostro Subconscio dialoga con l’IO cosciente.

In pratica è forse questo il principale contributo di questo documento, o almeno quello che mi ha consentito di rivelarne gli importantissimi e vasti campi di applicazione.

Ebbene il Vangelo di Filippo rivela, tra i sui svariati contenuti, l’impostazione di un modello teorico della simbologia gnostica e diviene uno straordinario strumento per la decifrazione dei messaggi simbolici celati nelle opere medievali che in maniera diretta o indiretta, ma quasi sempre inattesa e sconosciuta, sono nascosti all’IO cosciente ed all’uomo moderno.

Il Vangelo di Filippo non è, quindi, una enciclopedia del simbolo ma espone quella che potremmo, senza eccesso di enfasi, definire una sorta di “matematica” del simbolo.

Ciò che questo testo spiega è, prima di tutto, il perché del simbolo.

Come già anticipato, gli Arconti sono nemici dell’uomo e cercano di nascondergli la sua origine divina. Lo strumento degli arconti è la parola. E’ nei nomi delle cose, nella parola e nel discorso che gli arconti celano l’inganno adoperandoli come strumenti del loro perverso progetto di distruzione della memoria.

Il Vangelo di Filippo, infatti, afferma che i nomi sono stati attribuiti dagli Arconti invertendone il senso: Alle cose buone sono stati attribuiti nomi cattivi e viceversa. L’inganno delle lingue o se si vuole la “Babele” delle lingue, altro simbolo caro alla gnosi, è la causa della confusione: ecco perché non va adoperata mai la parola ma il simbolo per esprimere la verità “La verità è venuta al mondo in simboli ed immagini e solo così è possibile afferrarla” queste sono le parole del Vangelo di Filippo.

Proviamo, ad esempio, ad applicare questo principio con un esempio che ci viene proprio dal Vangelo di Filippo: il simbolo della Croce.

Secondo questo Vangelo quando Gesù morì sulla croce egli scese nell’abisso aprendo e segnando la strada di quel processo di autoanalisi che ciascun uomo deve compiere in maniera autonoma alla scoperta dell’Errore nel suo Subconscio.

Quella discesa fu segnata simbolicamente dallo strappo nel velo del Tempio che si aprì dall’alto verso il basso “perché qualcuno potesse salire dal basso verso l’alto”, queste le parole di Filippo.

Questo squarcio e questa apertura è segnata, stranamente, in maniera straordinaria come in un dipinto, osservando il lembo inferiore a coda di rondine, che compone la croce Templare.

Ma anche la parte superiore segna uno squarcio che rappresenta il percorso della ascesa. Insomma il braccio orizzontale della croce Templare rappresenta in maniera straordinaria la sovrapposizione dei due squarci gnostici.

Ma non è finita qui.

Sempre secondo il Vangelo di Filippo, lo squarcio consente di unire con un analogo squarcio orizzontale, la destra e la sinistra, la parte maschile e femminile nell’uomo creando l’ardogino tanto caro ai processi alchemici che altro non solo che la rappresentazione materiale e simbolica di questo processo di “comprensione orizzontale del tutto” attraverso la fusione mistica.

Il tutto è, ovviamente, bilanciato e simmetrico e termina nel fine ultimo della gnosi secondo i 4 Vangeli di Nag Hammadi: il riposo al centro della croce.

Il Vangelo di Filippo ma la stessa gnosi, sono stati,purtroppo, fino ad oggi troppo poco studiati. E’ difficile comprendere come si possa sperare di interpretare un epoca complessa come quella medievale ignorandone una parte così rilevante del pensiero.

E’ evidente che se la parola è ingannevole lo è anche quella scritta, ma ciò non significa che manchi una cultura. In realtà tutti noi possiamo oggi scoprire quanto fosse complessa e moderna questa teologia-filosofia e quanto hanno da dirci i “documenti” medievali, poiché tali davvero sono, che questi uomini perseguitati dalla Chiesa ufficiale, ci hanno lasciati celati nell’arte: ma dove?

Io cominciato con il proporre una nuova chiave ed un nuovo strumento di lettura dell’arte medievale con tre lavori che illustro brevemente tra pochi istanti.

Tale interpretazione è inquadrabile come approccio scientifico e metodico al simbolismo medievale perché documentalmente e metodicamente fondata su un algoritmo interpretativo fornito dal Vangelo di Filippo.

Esiste un unico presupposto a questa applicazione, che da un lato ne è il postulato, ma dall’altro è dimostrato valido dalla stretta validità dei risultati raggiunti: il Vangelo di Filippo, che noi abbiamo conosciuto solo con le scoperte del 1945, era noto agli uomini che realizzarono le opere artistiche ed architettoniche in cui esso viene applicato.

Ebbene vediamo in sintesi il lavoro che ha preceduto temporalmente, l’articolo da cui è tratto il mio intervento di stasera e quello che successivamente lo ha seguito.

Il punto da cui sono partito è il mosaico di Otranto. A suo tempo mi sono reso conto che tutta quest’opera è totalmente e completamente interpretabile attraverso i diversi livelli di lettura, solo adoperando un approccio gnostico ed in particolare quello suggerito dal Vangelo di Filippo.

Ciò che ho notato è che il principio della anomalia come chiave e del filo di lettura che illustro brevemente, è lo strumento  intepretativo unico di questa straordinaria opera di 16 metri di lunghezza che funge da tappeto alla Cattedrale di Otranto.

Ebbene i simboli e le metafore care alla gnosi sono tutte presenti in questo documento che è possibile interpretare attraverso vari livelli di lettura.

Ve ne è uno diretto che sembra funzionare bene fino a che non ci si trova di fronte ad elementi che non possono essere inquadrati in alcun modo nella interpretazione che funziona per tutto il resto(es.: Re Artù); è attraverso elementi come questo che si passa alle interpretazioni più interessanti di livello superiore.

Come nella Pistis Sophia o come accade per altri versi, anche per la “Divina Commedia”, ritengo che solo i primi 3 livelli sui 7 possibili, siano interpretabili e trasferibili, mentre gli altri sono, invece, non trasferibili  perché non più comuni, ma frutto di personali letture tutte parimenti valide poiché quello che il mosaico adopera è l’archetipo universale.

La possibile interpretazione gnostica di opere artistiche medievali non è suggerita solo da me ma, ad esempio, da uno studioso cui “non son degno di sciogliere i calzari” (direi con metafora evangelica): il compianto Luigi Moraldi che in una delle sue ultime opere, la traduzione e commento della “Pistis Sophia”, fondamentale testo gnostico (scoperto alla fine dell’800 in una biblioteca), suggeriva come, a suo avviso, il mosaico di Acquileia nascondesse, una interpretazione gnostica dietro il vasto bestiario che lo caratterizzava.

Il mio successivo studio è stato, appunto, quello relativo alla Maddalena ed alle sue rappresentazioni nell’arte medievale.

Il passo è stato, direi, quasi obbligato non solo dalla rilevanza che questo simbolo celato nel mosaico ha, ma soprattutto dalla rilevanza che questo simbolo ha per tutta la gnosi.

Infine ho applicato il Vangelo di Filippo ad un altro enigma simbolico: l’orientazione delle cattedrali medievali.

Ebbene nel pezzo presente nella slide tratto dal Vangelo di Filippo, si svela il perché di quella orientazione.

Il pezzo solo in apparenza parla del Tempio di Gerusalemme riferendo dei tre atri e degli orientamenti della aperture, in realtà utilizza il principio della inversione simbolica (chiaramente spiegato dal Vangelo di Filippo) che si riconosce subito osservando l’anomalia principale: il Tempio di Gerusalemme apriva ad est mentre la  prima “casa” che nel testo di Filippo che dovrebbe identificare il muro esterno, apre ad ovest.

In pratica il testo non ci stà parlando del Tempio di Gerusalemme ma di come devono essere costruiti i nuovi templi gnostici.

Ecco quindi, che collegando l’unzione alla “Santo del Santo” ed affermando che il Battesimo rappresentato dalla prima casa, contiene l’unzione, il testo ci stà dicendo che la camera dove si celebrava l’unzione è interna a quella in cui si celebrava il Vangelo.

Questa camera è la cripta visibile che troviamo in tutte le chiese.

In realtà il testo ci dice anche che questa camera è sotterranea, poiché per il principio di inversione quando dice che ,”Unzione” è “Superiore” al battesimo ci dice in realtà che la camera si trova sotto di esso e quindi è scavata nel terreno.

Ciò che questo testo ci dice in più è che le cripte voltate a botte, solitamente chiuse cui si accede con una botola situata al centro della chiesa, e nella quali ci sono solitamente seggi destinati alla inumazione di cadaveri seduti, non sono semplici tombe ma avevano una funzione rituale per gli gnostici: in queste si celebrava il più importante e segreto rito di iniziazione: quello della camera nuziale.

Nel mio studio ho dimostrato come questo rito si sia conservato identico a quello descritto in Filippo, nel rito di iniziazione del 30mo grado della Massoneria di rito scozzese, peraltro dichiaratamente, il più “templare” dei riti massonici.

Che i massoni abbiano davvero conservato un rito di iniziazione Templare come essi sostengono, ereditandone il pensiero nascosto? Questo non è possibile dirlo, ciò che è, invece, certo, è che il rito del 30mo grado è straordinariamente affine a quello descritto nel Vangelo di Filippo e, almeno sulla carta, nessuno conosceva questo Vangelo, insieme agli altri documenti di Nag Hammadi prima della loro scoperta nel 1945.

Insomma dai miei tre studi (sono solo agli inizi) risulta che il Testo di Filippo era noto non solo in epoca medievale ma che è stato conservato anche in alcuni ambiti iniziatici.

Con ciò sembra ancor più difficile credere alla casualità della scoperta di Nag Hammadi, ma questo non è argomento del mio intervento.

A questo punto entriamo nel cuore del tema di questa sera, la Maddalena, partendo da un testo fondamentale, vuoi per la sua vetustità, vuoi perché fu riferimento iconografico privilegiato per  il tardo medioevo, vuoi perché è una raccolta particolareggiata ed ampia di tutte le leggende sui santi che circolavano fino al 1260, anno in cui il Voragine lo scrisse.

Il primo interessante elemento che ci viene dalla “Leggenda Aurea” del Voragine, è l’origine del nome “Maddalena” che sempre secondo il Voragine, proviene dal Magdal che in ebraico significa torre o castello.

Il modo più corretto, quindi, di appellare la Maddalena è Magdalena.

Il Voragine, poi, descrive una serie di eventi che la vedono protagonista nei Vangeli canonici. Qui l’elemento di novità e nella mescolanza di episodi che non sarebbero ricollegabili in alcun modo alla Maddalena se non con un po’ di fantasia ed “assonanza”.

La Maddalena è, quindi, la peccatrice liberata dai 7 spiriti o demoni, colei che lavò i piedi di Gesù con le sue lacrime  asciugandoli con i suoi capelli, colei che unse il capo di Gesù sancendone la regalità.

Gli scritti di Nah Gammadi, e quelli di Qumran in particolare, a questo proposito di danno una mano enorme nel comprendere la rilevanza di questo gesto.

Cominciamo subito con lo smentire una leggenda nata dal una cattiva informazione dello storico ebreo dell’imperatore Tito: Giuseppe Flavio.

Ebbene Falvio, parlando degli Esseni, ci dice che essi non adoperavano profumi e quindi non adoperavano mai l’olio sostanza con cui erano composti i profumi o altri tipi di unzione in quanto ritenevano impura questa sostanza.

In realtà l’olio, a differenza dell’acqua che era sostanza purificatrice, era ritenuta dagli esseni, portatrice sia di purezza che di impurità dipendentemente dalle sostanze con cui veniva a contatto.

Cosa di estrema rilevanza è il fatto che nei testi Qumramiani (i qumramiani erano sicuramente esseni) l’olio viene adoperato essenzialmente i rituali di consacrazione ed in particolare per la consacrazione dei sacerdoti, oltre che essere adoperato per unzione collettiva durante la omonima “festa dell’olio”.

L’unzione o, in greco Crisma, è, quindi, secondo i testi qumramiani, lo strumento di consacrazione del sacerdote.

Sempre dai testi qumramiani si sa che i Messia attesi erano 2, uno sacerdotale appartenente alla stirpe di Aronne e l’altro regale appartenente a quella di Davide.

Il primo avrebbe sancito la regalità del secondo durante una cena messianica nella quale avrebbe spezzato il pane offrendolo per primo al Messia di Davide e successivamente, avrebbe benedetto il vino passandolo sempre al Messia di Davide.

In pratica a Qumran troviamo descritti gli eventi dell’ultima cena cento anni prima che accadessero, a meno di un importante particolare:  nella Ultima Cena evangelica manca il messia di Aronne.

In effetti il Messia di Aronne a ben guardare c’era ed aveva annunciato la venuta del Messia di Davide come previsto nelle scritture qumramiane: costui era Giovani il Battista.

Giovanni, infatti, era di stirpe sacerdotale essendo figlio di Zaccaria che, appunto apparteneva alla stirpe di Aronne. E’ proprio Giovanni che presenta al popolo il Messia con il Battesimo in acqua.

Purtroppo al momento della unzione Giovanni era morto e, di conseguenza, se supponiamo l’essenismo di Gesù, egli avrebbe ricoperto o dovuto ricoprire entrambe i ruoli se non fosse stato per la presenza di una donna: la Maddalena.

E’ chiaro che, in questa ottica, è corretto leggere nel mantello purpureo con cui essa è solitamente raffigurata, un segno sacerdotale, ma non solo.

L’olio adoperato dalla Maddalena è profumato, ma sappiamo anche che olio profumato era adoperato per la unzione rituale dello sposo da parte della sposa: l’evento è segnalato nel Cantico dei Cantici proprio in relazione alla unzione con oli profumati che la promessa sposa preparava appositamente per la cerimonia nuziale.

Con quegli oli la sposa avrebbe unto lo sposo.

Questo, chiaramente, introduce un elemento dirompente ma che, come vedremo, non è estraneo ai diversi “volti” della Maddalena: la Maddalena come sposa di Cristo.

Ci sarebbe da aggiungere anche l’associazione che alcuni studi, tra cui anche uno personale, propongono tra Simone il Lebbroso, la sua possibile paternità di questi rispetto alla Maddalena ed e la possibilità di identificare questi come un sacerdote esseno, ma il discorso ci potrerebbe abbondantemente fuori dal tema ed dai tempi imposti al mio intervento.

Torniamo, quindi, alla Maddalena nella visione del Voragine.

La Maddalena viene identificata come sorella di Marta a sua volta associata alla emorroisa del famoso episodio evangelico.

Ella è anche sorella di Lazzaro resuscitato da Gesù. In questo caso si associa alla Maddalena un primo legame indiretto tra ella e la resurrezione.

Il Voragine ricorda come la famiglia della Maddalena, lei stessa e suo fratello fossero cari a Gesù.

Si passa  quindi al episodio della sua presenza sotto la croce ed infine a quello più importante e controverso che la ricorda come “Apostola degli apostoli” cioè superiore agli stessi apostoli: l’apparizione di Gesù risorto.

In famoso episodio la Maddalena è la prima a vedere Gesù risorto e a non riconoscerlo immediatamente scambiandolo per il giardiniere.

Molto ci sarebbe da dire sul perché di questa incapacità nel riconoscere Gesù ed è proprio Paolino che nella penultima lettera pone ad Agostino il dilemma.

E’ sempre Paolino che chiede ad Agostino il perché della strana risposta che Gesù dà alla Maddalena che cerca di toccagli il Vestito: “noli me tangere” ossia “non mi toccare perché non sono salito ancora al Padre mio”, prosegue Gesù.

Paolino giustamente si chiede il perché di un tale atteggiamento: perché la Maddalena non lo riconosce e perché Gesù non si fa toccare: era in corso una trasformazione? E se c’era un cambio di sostanza come si giustifica teologicamente la trasizione?

Il Voragine procede quindi con la narrazione illustrandoci una serie di episodi leggendari estremamente interessanti ma assenti dai Vangeli.

A detta del Voragine che, evidentemente, attinge a piene mani da antiche tradizioni, la Maddalena, dopo la morte di Gesù, insieme a 70 cristiani, a San Massimino, alla sorella Marta e a Lazzaro fu messa su una barca senza remi e mandata alla deriva.

Dopo un viaggio periglioso la barca naufragò in Francia nei pressi del luogo che da allora si chiamò Santa Maria del Mare (Marsiglia).

A Marsiglia conobbe un principe che non aveva avuto figli e che gli chiese, in cambio della conversione, di averne.

La Maddalena intercesse con la preghiera e dopo poco la moglie del principe si trovò incinta.

Come aveva promesso, il principe si convertì ed intraprese il primo pellegrinaggio in Terra santa passando per Roma.

Purtroppo prima di giungervi la moglie morì portando il bimbo in grembo e fu lasciata su un isola che il Voragine descrive come ricca di pietre e priva di terreno tanto che non fu possibile seppellirla ma solo portarla in una grotta.

Quell’isola, forse non a torto, è stata di recente associata dal Frau ad una delle isole dell’arcipelago della Maddalena sulla quale pare vi fosse una antica cappella da secoli dedicata alla Santa.

Di ritorno dal pellegrinaggio dopo due anni, il principe tornò a rendere omaggio alla sua donna, ma ebbe una gradita sorpresa: vi trovò un bimbo della apparente età di due anni che lo condusse dalla mamma, proprio la moglie del principe, che risorse davanti ai suoi occhi.

Ancora una volta il mito della morte e resurrezione che sembra richiamare un’altra antica leggenda quella di Melchisedeck e della sua nascita miracolosa dalla madre morta descritta nel Libro di Enoch. Molto ci sarebbe da aggiungere in relazione  questa nascita miracolosa, alla associazione di Melchkisedek fanciullo che dopo 40 giorni salì al cielo e della sua incarnazione in Gesù come affermato dalla Lettera agli Ebrei. Questo episodio paragonato alla leggenda della origine della stirpe Merovingia ed alla sua connessione con la stirpe di Davide rivela paralleli straordinari che, però, ci porterebbero , questi si, molto fuori i limiti e gli scopi del mio intervento, ma mi sembrava giusto sottolinearlo rimandando al mio articolo da cui è tratto l’intervento di questa sera.

Il Voragine termina la sua narrazione ricordando come la Maddalena si ritirò in preghiera in una grotta rimanendovi nuda fino alla sua ascesa morte ed alla sua ascesa al cielo.

Ricorda poi, come il corpo da Marsiglia fu portato, sotto il regno di Carlo Magno, nella Abazia di Vessoul.

A questo punto possiamo ricapitolare gli aspetti essenziali della figura della Maddalena che poi hanno costituito i tratti iconografici tipici con cui essa viene, da sempre, rappresentata.

In generale, come giustamente afferma il Reau, esistono due momenti della rappresentazione: la Maddalena viva e quella Morta, ma il tratto iconografico più forte che si mantiene in entrambe le rappresentazioni, è la carica sensuale e talora sessuale, nel caso di alcune raffigurazioni estreme..

Stranamente la Maddalena appare più “provocante” da morta che da viva.

La Maddalena morta, infatti, è sempre rappresentata nuda mentre risale al cielo coperta solo dalla lunga capigliatura bionda.

Da viva, invece, la Maddalena appare spesso in vesti da cortigiana, in pose sensuali accompagnata quasi sempre, da un vaso di diverse fogge, ma solitamente di alabastro che rappresenta il vaso della unzione destinato a contenere oli profumati.

I capelli lunghi e biondi con cui asciugò i piedi di Gesù sono un altro tratto tipico, come tipico è il manto purpureo sacerdotale  solitamente appoggiato su una veste scura.

Più criptico appare il teschio che ha tra le mani in alcune raffigurazioni, solitamente connesso alla morte della vita passionale ed alla resurrezione a nuova vita.

In relazione alla corona, mai essa appare in raffigurazioni della Maddalena viva, rarissimamente appare in quelle della Maddalena morta mentre sale al cielo e mentre gli viene posta sul capo da angeli.

Del resto la corona, in genere iconograficamente associata o alla reale regalità della santa come avviene per Santa Elena, o ancora alla verginità e alla consacrazione a Cristo attraverso il matrimonio mistico o al morte per martirio connessa, in tal modo, ad una regalità acquisita successivamente alla morte.

E’ evidente che la Maddalena non rientra in alcuna di queste categorie. A questo punto comincia ad esser chiaro l’enorme valore che ha il l’affresco presente presso le Basiliche paleocristiane di Cimitile ove una Maddalena, viva, è raffigurata con una con una enorme corona.

Ma per comprendere meglio portata e significato di tale raffigurazione dobbiamo passare alla analisi dei testi di Nag Hammadi.

Partiamo dal seguente brano del vangelo di Filippo:

“Tre persone camminavano sempre con il Signore: sua madre Maria, sua sorella, e la Maddalena, che è detta la sua compagna : infatti si chiamava "Maria” sua sorella, sua madre e la sua compagna”. Vang.Fil v.37

Pur nella brevità, come accade per ogni breno del questo documento, anche questo è pregno di significati che si leggono andando appena oltre la superficie.

Le “compagne” di Gesù sono la madre la sorella e la consorte (il termine “compagna” è tradotto talora come consorte ma preferiamo compagna per quanto siamo per dire).

E’ chiaro che con questo si riassume l’importanza che le figure femminili hanno per la costruzione della personalità di un uomo: la madre nella fanciullezza, la sorella compagna di giochi nella adolescenza e la compagna della vita, la consorte, nella maturità.

Già da questi elementi si capisce che, in ambito gnostico, il rapporto di “matrimonio” o quantomeno un rapporto affettivo che andava al di là della semplice amicizia tra Gesù e la Maddalena, era ritenuto un fattoscontato.

Ma stiamo guardando le cose con superficialità- Per comprendere il significato vero di questo rapporto al di là delle apparenze è necessario andare oltre.

Questo passo ci suggerisce anche un altro rilevante fatto: l’etimologia del termine Maria, che non proviene, come si è sempre pensato, da Miriam, ma da Meryah che in ebraico è compagna (almeno nel suggerimento che si evince dalla insistenza di Filippo su questo termine e dall’uso che ne fa in questo brano).

Altro interessante apporto dei testi gnostici di Nag Hammadi alla conoscenza della Maddalena, ci viene da quello seguente tratto dal Vangelo di Tommaso:

“Gesù disse: “Ecco io la guiderò in modo da farne un maschio affinché ella diventi uno spirito vivo uguale a voi maschi. Perché ogni femmina che si fa maschio entrerà nel Regno dei cieli” Vag.Tom. v.144

Anche qui le riflessioni possibili sono numerose.

La Maddalena era depositaria delle parti più segrete del messaggio di Gesù che ella comprendeva a fondo tanto da essere invidiata dagli altri discepoli ed in particolare da Pietro: da qui la leggenda della sua superiorità rispetto agli apostoli ricordata soprattutto nella Chiesa di rito ortodosso.

Ma il testo ci dice qualcosa in più, la Maddalena, donna che si fa uomo, racchiude in se il mito gnostico dell’androgino che meglio di ogni altro esprime al fusione, la ricongiunzione, il ristabilimento dell’equilibrio e il  riposo  finale gnostico cui si giunge superando e vincendo le passioni e ed il Mondo.

Ecco, infine, il brano che meglio di ogni altro esprime il profondo valore del simbolo della Maddalena nella gnosi:

“La Sofia (Conoscenza) , chiamata sterile, é la madre degli angeli. La compagna del Figlio é Maria Maddalena. Il Signore amava Maria più di tutti i discepoli e spesso la baciava sulla bocca. Gli altri discepoli, vedendolo con Maria, gli domandarono “Perchè ami lei più di tutti noi?”. Il Salvatore rispose “Com’è ch’io non vi amo quanto lei?” Vang. Fil.v.62

Il richiamo alla Sophia e l’enfasi che ho dato all’inizio della mia presentazione a questo personaggio, é qui spiegato e chiarito.

L’accostamento Sophia – Maddalena, è tutt’altro che casuale, come accade per tutti i brani di questo Vangelo.

La Maddalena è la soluzione terrena al danno prodotto da Sophia ma è anche la sua contro – immagine: la Sophia è l’emblema della caduta, la Maddalena è quello della risalita al Padre.

Entrambe hanno una caratteristica che le accomuna: la sterilità. Entrambe sono appellate dalla gnosi come prostituite e forse, nel caso della Maddalena, la sterilità era considerata in ambienti gnostici, un fatto reale che ben si sposava con un mestiere quale quello della prostituta evitandone i possibili “effetti collaterali”.

La cosa interessante è, però che la Sophia, come la Maddalena, in apparenza sterile in realtà è la madre degli Angeli o meglio della scintilla spirituale che è negli uomini e quindi di tutti gli uomini che ritrovano la propria parte spirituale. Ella come la Maddalena, è la Madre del “Vero Uomo” ovvero dell’uomo spirituale che diviene tale (viene generato nella Camera Nuziale) proprio quando si riappropria della sua parte spirituale che gli era stata negata dalla dimenticanza stimolata dagli Arconti.

Arriviamo, quindi, al più controverso e mal usato dei brani apocrifi: il bacio sulla bocca che Gesù dà alla Maddalena.

E chiaro che la separazione dal mondo ed il superamento delle passioni come frutto malvagio del Demiurgo mal si sposano con il presunto rapporto “particolare” tra Gesù e la Maddalena, se con questo si intende, come fanno alcuni, la possibilità di un rapporto sessuale tra i due.

Tale interpretazione è frutto della ambiguità fortemente voluta dai testi gnostici per ingannare gli arconti e coloro che sono si lasciano ingannare dagli Arconti divenendone inconsapevole strumento.

L’accoppiamento fisico tra Gesù e la Maddalena , per la gnosi, è quindi, totalmente da escludere.

Sempre seguendo la teologia della gnosi di Nag Hammadi la possibilità che da questo rapporto sia nato un qualche figlio è , addirittura, impossibile. In conseguenza di ciò la legenda moderna leggenda poi “antichizzata”, che vuole che il figlio nato da tale rapporto abbia generato la stirpe Merovingia è teologicamente da eslcudere almeno nella visione gnostica da cui si suppone che tale leggenda possa aver avuto origine.

Allora che senso ha il bacio? Bisogna escludere un rapporto particolare tra Gesù e la Maddalena?

Assolutamente no, anzi la gnosi lo sottolinea con forza, ma tale rapporto non è un rapporto sessuale ma puramente mistico: la Maddalena è la sposa mistica di Cristo che ritrova in questo legame, se stessa e la sua purezza e traccia la strada per tutti gli uomini che vogliono riscoprire il Padre.

Il bacio sancisce questo legame, e non escludo che gli gnostici avessero la certezza che questo bacio o questi numerosi baci (come sostiene Filippo) ci siano stati davvero.

Il bacio è il trasferimento della conoscenza senza parola, è l’unione di intenti, è il segno della compenetrazione mistica di due persone.

Non a caso anche nel processo ai Tempari, un bacio sulla bocca ritenuto omosessuale ed osceno ma che in realtà aveva un fortissimo valore simbolico, veniva scambiato tra l’iniziando ed il maestro.

A questi se ne univano forse davvero altri in altre parti del corpo. Sebbene però i Templari, come io ritengo anche dalla lettura dei capi di accusa e delle loro risposte agli inquisitori, furono, almeno in parte, degli gnostici puri, è assolutamente da eslcudere che potessero davvero dare vita agli accoppiamenti contro natura di cui venivano accusati semplicemente perché questi erano contrari al principio primo ed all’obiettivo primo della gnosi: il superamento delle passioni e l’abbandono del mondo e dell’inganno arcontico.

A questo punto il legame Maddalena – Sophia -Sposa Mistica di Gesù, ma anche quello di Regina quale sposa di Gesù è più che mai evidente, come evidente è il ruolo guida che la Maddalena assume e la sua importantissima funzione sacerdotale che la costituisce come erede diretta del Messaggio di Gesù.

In pratica è evidente che per la gnosi la Maddalena è il simbolo stesso della eredità di Gesù ed è la guida da seguire: ella è la Chiesa gnostica.

Compreso il senso del valore teologico della Maddalena grazie ai brani della biblioteca di Nag resta da comprendere se tale valore simbolico apparteneva solo alla gnosi.

Stiamo per analizzare quello che per me è l’aspetto più importante che intendo sottolineare stasera: il trasferimento di questo carico di significato dalla gnosi alla ortodossia cristiana.

Questo trasferimento emerge, come cercherò di dimostrare, chiarissimo, diretto e direi in forma davvero singolare e potente proprio negli scritti del vescovo Paolino.

La cosa che ho trovato assai singolare è, a mio avvio, proprio il Fatto che questo trasferimento emerga in forma così chiara in un uomo di origini provenzali e quindi in un uomo che, come Paolino, nato ed ha vissuto parecchi anni proprio in quei luoghi che più di ogni altro in Europa, videro il fiorire della gnosi.

Questa singolare coincidenza mi porta a ritenere che la leggenda della Maddalena in Francia rispecchi, in realtà, la presenza di una folta comunità gnostica in epoche antichissime e quindi già nel V secolo, periodo in cui Paolino nacque.

Ma andiamo in dettaglio.

Per Paolino due sono i simboli vivi e femminili della Chiesa: la Maddalena, appunto, e la Regina di Saba. Per entrambe questi simboli, come vedremo proprio analizzando gli scritti di Paolino, si può riscontrare una fortissima influenza delle metafore care alla gnosi, anche se Paolino fa di tutto (ed ci riesce a mio avviso in maniera egregia) per portare questi simboli nell’ambito della ortodossia cristiana privandoli della loro ambiguità pur senza snaturarli.

Ed ecco il primo brano, a mio avviso, davvero straordinario.

Prima di tutto è interessante soffermarsi sul perché Paolino sceglie (o forse è meglio dire riadatta) la Maddalena come simbolo della Chiesa.

Per Paolino la Maddalena, come la Chiesa, è la peccatrice redenta che, però, ha un privilegio ambitissimo: ella può gustare il corpo eucaristico di Cristo prima che egli sia morto e piangerlo quando ancora egli e vivo.

Ecco il senso, ancora una vola solo in apparenza ambiguo, con cui la Maddalena “gusto Cristo nella carne”.

E’ in questa sede che desidero ribadire la mia più ferma protesta e dissenso nei confronti di quanto scrive sull’ultimo numero di Hera l’amico Francesco Garufi firma per altri prestigiosa di questa rivista. Egli, estrapolando il verso da me segnalato, lo ha identificato come prova di un rapporto sessuale tra Gesù e la Maddalena o almeno del fatto che tale rapporto fosse ritenuto reale da Paolino.

Il senso, del messaggio di Paolino è chiaro, ma è evidente che, un po’ come per i testi gnostici, se si ci sofferma alle apparenze (come alla singolarità del fatto che lo stesso Paolino pur sposato con Terasia, si ritirò a vita monastica, guarda caso costruendo un monastero misto che, per la parte femminile, era guidato proprio da Terasia) si ci perde nelle più oscene insinuazioni.

Credo che il nostro Paolino, per i sacrifici e l’impegno, per il fervore religioso che prorompe da ogni sua lettera, per la volontà continua di rimanere all’interno della Chiesa, per le mortificazioni cui egli stesso si sottoponeva, e per il grandioso progetto di quella che a ragione, l’amico prof.Felice Verde chiama “la cittadella di Dio a Cimitile” che egli realizzò attorno le sue Basiliche, non meriti di essere infangato in questo modo per una frase, peraltro, chiarissima se contestualizzata correttamente.

Ma torniamo a Paolino e a quello che per lui è il secondo simbolo della Chiesa (temporalmente il primo visto che ne parla poco dopo il trasferimento a Nola nella sua quinta lettera e quindi molto prima della ventitreesima in cui parla della Maddalena): la Regina di Saba.

Questo brano ha, per me, un valore straordinario anche perchè, essendosi Paolino trasferito da poco ed essendo questa una delle sue prime lettere da convertito al cristianesimo, essa risente meno di alcuni appesantimenti o eccessive accortezze che Paolino metterà in alcune lettere successive (specie nelle ultime) limitando la vulcanica spontaneità delle sue metafore.

Innanzitutto Paolino fa, in questo brano, in chiaro riferimento alla “Regina del Sud” presente nella profezia narrata nel Vangelo di Matteo e messa in bocca a Gesù, con cui viene annunciato il ritorno di una misteriosa donna che verrà a giudicare i pagani.

Singolari sono le parole adoperate da Paolino per descrivere l’obiettivo che si poneva la Regina di Saba correndo verso l’agognato “sposo” Salomone.

Paolino parla di “spirito di sapienza” un termine che ben si adatta alla funzione che la gnosi attribuiva alla Maddalena. Sempre Paolino parla di sapienza che salva, di ricezione di qualcosa che manca attraverso tale sapienza attingendo alla “luce della conoscenza”.

Tutti termini che sembrerebbero tratti da un testo di Nag Hammadi se non fossimo sicuri della ortodossia tolate del Paolino.

Ma Paolino ci dice molto di più: egli parla di “desiderio del suo sposo” Saolomone, e della Regina che simboleggia la Chiesa  così come Saolomone simboleggia il Cristo.

In pratica Paolino ci stà dicendo che la Chiesa è sposa mistica di Cristo come la Regina di Saba è sposa di Salomone.

Egli ci descrive anche la Regina di Saba come vestita d’oro facendo cenno all’”odore” di Cristo, brano questo che sembra quasi richiamare il Cantico dei Cantici e l’unzione con il olio di Nardo che la sposa versa sul capo dello sposo.

Ma a questa Regina egli assegna la “potestà sugli apostoli” potestà che, in realtà, per la gnosi e non solo, aveva la Maddalena.

In pratica ciò che Manca è solo la metafora della Maddalena ed un legame diretto che, comunque, riscontriamo subito in modo indiretto osservando che il precedente brano è seguito da uno in cui Paolino, pur descrivendo la Chiesa, la menziona come sposa e la paragona ad proprio ad un passo del Cantico dei Cantici, notoriamente il più sensuale dei testi biblici, nel quale, non a caso, c’è il famoso brano della unzione dello sposo con olio di Nardo da parte della sposa.

Quindi Paolino propone nelle due uniche grandiose immagini della Chiesa una chiara sovrapposizione dei due personaggi la Regina di Saba e la Maddalena come metafora unica della Chiesa sposa mistica di Cristo.

Ciò che manca è solo una affermazione esplicita e diretta che, però, gli sarebbe fruttata sicuramente l’accusa di eresia da parte dell’accorto amico Agostino.

Eppure, a mio avviso, quell’accostamento Paolino lo fece non con le parole ma nei fatti raffigurandolo nello straordinario dipinto presente presso le Basiliche di Cimitile solitamente datato al XII-XIII secolo.

Che il dipinto sia collocabile in questo periodo o che, come afferma la Marina Falla Castelfranchi contrarissima alla mia ipotesi, sia un dipinto tardo medievale, la cosa è certa esso è unico per la vistosissima corona e per quanto abbiamo detto, ma soprattutto esso sintetizza meglio di ogni parola, la naturale conclusione che Paolino non potè scrivere nelle sue lettere ma che si limitò a suggerire con forza.

Eccola la Maddalena-Regina di Saba- Simbolo della Chiesa.

Un enorme nimbo sulla testa esalta la straordinaria grandezza della corona. Il volto volutamente brunito la ricollega al colore bruno della Regina del sud, ma il Vaso di alabastro e la scritta che campeggia alle sue spalle la qualificano indiscutibilmente, coem la Maddalena.

Una cintura dorata cinge il ventre ed un mantello purpureo le copre le spalle, non sappiamo cosa fuoriesca dalle due braccia. Sotto di esse sembrano esserci due rotoli.

Vorremmo approfondire la conoscenza di questo dipinto e vedere da vicino gli oggetti che sembrano esserci sotto le braccia della Santa ma purtroppo non possiamo più farlo e forse nessuno potrà più farlo poiché quella che mostriamo è una immagina rara tratta da un testo, quello dell’amico arch. Arcangelo Mercogliano, che ha solo 15 anni ma che ci descrive la situazione di un quadro che oggi appare come mostrato di seguito.

In verità la situazione, dal sopralluogo che abbiamo effettuato durante la visita guidata che nella mattinata ha preceduto il convegno, è ancora peggiore ci come appare in questa foro scattata solo un anno fa.

Un cospicuo deposito di sali e copiosi fenomeni di efflorescenza hanno deturpato in maniera forse irrecuperabile, l’affresco facendo scomparire pezzi interi di intonaco distaccatosi e caduto, sfigurando il volto brunito della santa, facendo scomparire le mani ed il vestito: in pratica un disastro che sarebbe inspiegabile se si tiene conto solo del breve tempo trascorso rispetto ai secoli in cui il dipinto ha retto senza alcun problema, alla usura del tempo tanto che fino al 1988 manteneva ancora vivissimi colori quasi fosse stato appena disegnato.

Cosa, allora, ha sfigurato in questo modo la Santa? Cosa stà cancellando per sempre questa testimonianza unica?

Nel 2000, in occasione del giubileo, è stato completato in maniera lodevole e per diversi aspetti pregevole, il lavoro di sistemazione, iniziato nel 1994, che oggi consente a tutti di ammirare la straordinarietà del complesso basilicale di Cimitile.

Lavori di pulizia lo hanno liberato dalle erbacce, una sistemazione dei viali di accesso con pietriccio che non deturpa il senso di antico che si respira nelle basiliche, è stata applicata lungo i viali.

Molti sono stati i lavori di protezione e consolidamento, vari gli scavi approfonditi eppure non tutto si è svolto in maniera così encomiabile e la basilica dei Martiri, che contiene la Maddalena, che è la più antica del complesso, che contiene dipinti riconosciuti come tra i più antichi della storia della cristianità (come Adamo ed Eva o Giona che risalgono al II III sec.), ne è triste la prova.

Per non far soffrire ulteriormente coloro che hanno sensibilità artistica e rispetto della memoria, non mostreremo lo stato in cui versa l’affresco, anch’esso singolarissimo, che raffigura Sant’Eusebio e che ormai è quasi del tutto scomparso pur partendo da una situazione di conservazione complessiva, nel 1988 paragonabile se non migliore rispetto a quella della Maddalena.

Vediamo, quindi, raffigurate nella slide che segue, le cause del degrado.

L’apposizione di un intonaco cementizio sul muro posteriore al quello in cui appare l’affresco della Maddalena è la causa prima del disastro.

La Basilica dei Martiri, come tutte le Basiliche di Cimitile, è soggetta ad un copioso fenomeno di umidità cui si unisce il ristagno delle acque piovane che talora entrano all’interno della basilica.

Ebbene l’umidità risale lungo il muro e non potendo fuoriuscire attraverso l’intonaco cementizio notoriamente non traspirante fuoriesce dalla parte superiore del muro e principalmente da quella più sottile, quindi dall’interno dell’incavo in cui è dipinta la Maddalena.

Da qui il deposito di sali ed i fenomeni di efflorescenza che portano alla decoloritura ed all’inesorabile distacco finale dell’intonaco.

Il motivo principale per cui siamo qui stasera è proprio un appello per salvare questo straordinario dipinto e tutti i dipinti della basilica dei martiri da questo inesorabile degrado.

A questo punto non ci resta che chiudere il nostro percorso mostrando quale è, almeno a mio avviso, la transizione iconografica che ha portato gradatamente alla scomparsa della figura della Maddalena.

Per farlo mi avvarrò, ancora una volta, di un affresco presente sempre nella basilica dei Martiri accompagnato dalle lettere di Paolino.Da questo ci sposteremo verso alcune rappresentazioni similari scoprendo gli elementi di passaggio iconografico.

Partiamo quindi dalla seconda Maddalena della Basilica dei Martiri.

Ebbene si, nella Basilica c’è quella che ho riconosciuto come una seconda Maddalena. Essa è raffigurata impiedi e destra della Maddalena incoronata.

La professoressa Castelfranchi esclude in maniera assoluta che possa trattarsi di una seconda Maddalena ma, sebbene priva di volto, è davvero difficile sostenere che il dipinto non rappresenti nuovamente la santa.

A testimoniarlo c’è il nimbo identico e la corona non più presente ma che il Mercogliano descrive come esistente in origine. Si ripete il medesimo disegno della cintura, lo stesso ricamo nelle maniche, il medesimo ricamo a quadroni della veste che si intravede ancora nel vestito della Maddalena incoronata, il mantello rosso: insomma tutto lascia intendere che qualcuno volle rappresentare la santa a busto intero, forse in epoche successive, per esaltare qualche ulteriore aspetto mancante nella precedente raffigurazione della Maddalena: ma quale?

L’unica vera differenza tra le due Maddalene è nell’oggetto che la seconda Maddalena sembra avere nelle mani: ebbene si, dobbiamo ancora una volta dire sembra poiché anche questo dipinto che nei ricordi di chi lo aveva visto, sembrava essersi conservato bene, ora è ricoperto di evidenti e copiosi schizzi di calce e depositi salini che lo rendono irriconoscibile.

L’oggetto, a nostro avviso, ha due estremità che sembrano rappresentare due spirali ,’una chiara e l’atra scura. Il modo in cui la santa lo porta, quasi fosse qualcosa di delicato ed importante, ci fa pensare ad un rotolo: il Rotolo sindonico? Nessuno può dirlo se non si procederà al restauro forse ancora in grado di restituirci la maestosità di questa donna senza volto.

Ciò che, invece, possiamo fare è paragonarla ad un’altra raffigurazione presente, stavolta, a Roma sulla facciata della basilica di Santa Maria in Trastevere.E’ una delle cinque vergini savie che adornano tale facciata.

Il vestito è simile a quello della nostra santa senza volto, poiché di santa si tratta come si nota dalla aureola rotonda che si intravede intorno al volto.

Anche nel caso della Vergine di Santa Maria in Trastevere, abbiamo un vestito a quadroni, stavolta disposti romboidalmente, lo stesso ricamo nel fondo della veste, una cintura simile, un mantello che copre le spalle, che qui è verde anzicchè rosso, la corona nimbata e l’aureola.

Cosa singolare è che questa raffigurazione è associata alla famosa parabola delle Vergini savie e di quelle stolte. Nella parabola le vergini conservano l’olio per la lampada e meritano di celebrare il “rito della camera nuziale” al ritorno dello sposo.

Anche qui le donne reggono, non a caso, un contenitore pieno d’olio e l’olio bruciato è lo “spirito” che alimenta la “luce della conoscenza”

Insomma siamo di fronte ad una vera e propria metafora della Maddalena, ma è davvero così ardita la nostra sovrapposizione iconografica, è davvero così assurdo pensare ad un parallelo tra la lampada ad olio e l’olio della unzione segno della conoscenza che caratterizza l’iconografia tipica della Maddalena?

E’, ancora una volta, uno straordinario verso di Paolino che ci da ragione e che ci spiega in maniera unica il senso inatteso di questa parabola ed il segreto della raffigurazione sulla facciata di Santa Maria in Trastevere.

Paolino parla dei 5 sensi e della necessità di superare le passioni rappresentate dai sensi umani per giungere alla castità fruttuosa.

E’ proprio Paolino che parla di “olio di verità” e lo associa allo “spirito di verità” ed all’”occhio interiore”.

In pratica se non fossimo certi che chi scrive è Paolino potremmo certamente associare ancora una volta questo testo ad uno scritto gnostico in cui si sostiene la necessità di lasciare il mondo (per la gnosi demiurgico) e di rifugiarsi nella ricerca della sapienza.

E’ singolare il fatto che Paolino parli di castità sapendo che ciò che attende le Vergini è la “Camera Nuziale” in cui incontreranno lo sposo.

E’ interessante notare come  unicamente la corona differenzi le vergini savie da quelle stolte suggerendoci, quindi, che in questo caso, come nella Maddalena, la corona è acquistata dal matrimonio mistico con lo sposo. A rafforzare la nostra visione del mosaico romano si aggiunge l’assenza della corona sulla testa della Madonna che pure campeggia al centro della raffigurazione.

All’interno della chiesa un enorme mosaico absidale, una gigantesca raffigurazione di una donna in trono insieme a Gesù sembra voler dare la definitiva risposta ai nostri dubbi e confermare le nostre deduzioni.

Chi è la donna giovane dal volto brunito vestita d’oro? Tutta la scena sembra richiamare la metafora di Paolino relativa alla Regina di Saba e la giovane donna altri non può essere che la Chiesa-Regina, ma anche la Maddalena-Regina di Saba.

Una mano ambigua le cinge la spalla e due scritte mantenute tra le mani danno voce ai personaggi.

I brani sono tratti dal Cantico dei Cantici ma ecco che, come anticipato, proprio in Cantico dei cantici conclude la Metafora Paolina della Maddalena nella lettera ventitreesima. In essa, lasciata la Maddalena, Paolino parla della Chiesa Sposa collegandola, appunto, al Cantico Cantici ed autorizzando le successive raffigurazioni della sposa Chiesa come quella absidale che abbiamo illustrato.

Fondamentale è, in questo contesto, la sottolineatura della “rugiada” che bagna il capo di Cristo e che la collega in maniera definitiva, alla Maddalena che unse il  Suocapo.

Questa è, a nostro avviso, la chiusura del cerchio.

Manca, a questo punto, solo una raffigurazione che faccia da ponte e che ci consenta di escludere, definitivamente, che nelle raffigurazioni, la donna non sia la Maddalena ma che, come si sostiene solitamente ed in maniera palesemente errata, la Vergine Madre.

Basterebbe osservare che nella medesima chiesa romana la Vergine è senza corona proprio dove servirebbe di più: nel confronto con le vergini savie sulla facciata.

Eppure una simile ambiguità era presente anche nelle basiliche di Cimitile almeno fino al 1346, anno in cui fu dipinta la Madonna incoronata della basilica degli Angeli.

L’ambiguità è nel fatto che presso le basiliche, fino a quell’anno, l’unica donna incoronata era la Maddalena mentre tutte le Madonne risultavano prive di corona.

A questo punto è legittimo chiedersi cosa rappresentasse la Madonna per Paolino e quale importanza avesse.

Ebbene dall’analisi delle lettere paoliniane si evince subito che la Madonna è una figura ideale di straordinaria purezza, Madre di Gesù che mai Paolino avrebbe accostato alla Chiesa poiché per Paolino la Chiesa è peccatrice mentre la Vergine è purissima ed è lo strumento di Dio per la salvezza dell’uomo.

Singolare è l’uso del termine “ritrovati” che richiama l’uomo gnostico che ritrova se stesso e la scintilla divina che è in lui attraverso il Cristo.

Altra cosa, però singolare è che, nonostante l’importanza di questa figura ,Paolino ne parla davvero poco e l’unica volta che lo fa in maniera ampia è per porre una serie di dubbi, peraltro legittimi, ma davvero singolari come il rapporto tra vero tra la Maddalena e Gesù.

Strano è che questo accada in quella che può essere considerata l’ultima lettera, la cinquantaduesima non considerando la breve cinquantatreesima lettera, e ancor più strano è che queste domande vengano rivolte ad Agostino.

Conosciamo, fortunatamente, anche l’evasiva risposta che Agostino diede a queste domande come sappiamo che, per qualche motivo, Paolino no scrisse più.

Che sia stata la successiva lettera di Agostino che Paolino riteneva un amico ed un maestro, in cui gli suggerì di tenersi alla larga da Pelagio? O è stato semplicemente il lungo periodo di prigionia?

Non avremo, forse, mai risposta a queste domande ma di certo ciò che Paolino ci ha detto e che, sono certo, continuerà a dirci con le sue lettere a patto di studiarle anche nella nuova ottica che ho cercato di proporre stasera, sarà sempre di estremo interesse e ci aiuterà a capire la sua epoca con gli occhi di un uomo intelligente e schietto.

Per chiudere il mio intervento, comunque, non posso lasciavi privi di quel legame che avevo detto esistere nella transizione iconografica che, a mio avviso, ha portato dalle due distinte figure, la Madonna, inizialmente priva va di corona e dalla Maddalena Incoronata ad un'unica figura: quella della Vergine Incoronata.

Ecco, quindi, l’affresco recuperato nel 2000 e trovato nella basilica di Santa Susanna a Roma

Nel dipinto sono raffigurate le tre Marie.

Solo la Madonne che la Maddalena hanno la corona. La Madonna ha quella Bizantina del vecchio impero, mentre la Maddalena ha quella francese a Fleurons del nuovo Impero.

Altro elemento distintivo è la veste azzurra che caratterizza la Vergine e quella rossa che caratterizza la Maddalena, e infine, il Bimbo che tiene tra le mani la Vergine ed il Vaso dell’unzione che tiene tra le mani la Maddalena.

In pratica vi è quasi un passaggio di consegne tra la madre e la futura compagna, che, se avessimo ragionato privi del bagaglio che ho cercato di fornire, sarebbe sfuggito, ma che credo non sfugga a nessuno dopo quanto ho provato ad illustrare.

Termino il mio intervento con la doverosa segnalazione della bibliografia di riferimento anche se tengo a segnalare che quanto ho esposto stasera aggiunge molto a quanto da me già scritto specie in materia di approfondimento simbolico e di paralleli tra le epistole di Paolino e le la gnosi di Nag Hammadi.

Credo, quindi, che questa analisi possa considerarsi come il naturale compendio all’articolo apparso su Episteme nel 2002 e che serva a completare ed approfondire alcune tematiche che erano state unicamente accennate in quel contesto in cui si era dato maggiore rilievo agli aspetti storici ed iconografici e meno a quelli simbolici e teologici su cui mi sono stasera soffermato.