Riporto un brano sul formatore "ideale" che condivido in pieno.

<< Ecco, per cercare di identificare il mio formatore, io cercherò di dire chi "non è", sperando che cosi mi salti fuori quello giusto.

I1 mio formatore non è quello descritto dall'articolo (anche se non vedo nulla di male se terrà i suoi corsi nel moderno falansterio dove qualcuno ha speso miliardi per far star comodo l'allievo): non pub essere quello perch6 si troverà davanti allievi sempre più preparati, sempre meno imbrogliabili. Non pu6 essere quello al quale l'azienda ha consegnato il pacco delle cose da raccontare e lui, prescindendo da quanto le condivida, si limita a ripeterle meccanicamente. Ma non è neppure il suo opposto, ossia quello al quale l'azienda dice "Va', e siccome sei un bravo formatore, forma secondo le tue idee, la tua cultura e la tua sensibilità aziendale". I1 primo non è "formatore", il secondo non è "aziendale".

Non è formatore quello che sa tutto nel modo più perfetto, ha preparato gli audiovisivi pi/l efficaci per presentarlo, dispone di un vocabolario e di una mimica efficacissima, e con tutto questo va in aula a "insegnare" la sua scienza meravigliosa: costui è un addestratore, oppure un informatore; il risultato del suo lavoro sarà stato quello di arricchire il bagaglio culturale dell'allievo, mai la "formazione" di un suo nuovo modo di essere che, con la sua novità, sia suscitatore di azioni innovative, come in realtà vogliamo ottenere dalla nostra attività formativa.

Non è formatore il grande leader, pieno di carisma fino a scoppiare, che, disdegnando ogni schema ed ogni struttura, riceve dalla direzione il messaggio di fondo da diffondere, che si vuole sia generatore di nuovi comportamenti negli allievi, e realizza l'obbiettivo, o tenta di realizzarlo, portando in aula la sua grande personalità, e con essa agita il gruppo, scomponendolo e ricomponendolo, mortificandolo e risuscitandolo, ottenendo, alla fine, un conclamato, entusiastico, accordo di tutti. Non 1o è ,perché io, un tipo cosi, 1o conosco bene: è quello che il successo 1o ottiene a brevissima scadenza, e basta. Successivamente, l'allievo, che, ricordiamocelo, non è un fesso, ripenserà alla sua esperienza, riconoscerà che il suo entusiasmo è stato abilmente "estorto", e sarà pinto verso la direzione opposta a quella che, truffaldinamente, era stato spinto ad apprezzare.

L'ultimo dei formatori è quello che si è rimpinzato di libri, manuali e teorie per 1o più americane, ed ora viene a proporre, in pillole, metodi e stratagemmi per leggere nel pensiero e nel cuore del dipendente o del collega, per comunicare efficacemente, per operare in gruppo, per avere successo: io credo che queste cose siano efficacissimi strumenti di formazione, ma pesantissimamente condizionati dalla cultura nella quale si opera. Il portare questi discorsi in Italia sarà come insegnare "Mare chiaro" all'eschimese o proporre il "Discorso della Montagna" all'High Business School per superexecutives: ci sghignazzeremmo sopra.

E non è formatore il bravo ragazzo che si è fatto spiegare per bene come debbono andare le cose, e va in aula senza trucchi o presunzioni e riporta nel modo pia piano e semplice i concetti che ha imparato: costui non è "motore'' e il formatore deve pur essere un "motore".

E Dio ci guardi infine da chi vuol formare usando il suo potere: è il caso in cui in aula a "formare" va il grosso direttore a fare la predica. Apparentemente l'obbiettivo raggiunto: gli allievi, che, essendo furbi, tengono a non perdere la pagnotta, faranno subito dopo il corso tutto quello che lui vorrà. Ma è questo che si voleva veramente? Si può essere soddisfatti? Non è il caso di spendere troppo tempo per la critica a questa ipotesi.

Infine, pur sapendo di andare controcorrente, a me non piace, come formatore, neppure Io psicosociologo metafisico trascendentale (lo si sarà già capito): i troppo difficile che costui riesca a conciliare la stratosfera in cui vagola con la dura terra su cui deve operare. I suoi discorsi e la sua azione tenderanno ad essere poco concreti, e quello che si dovrà ottenere è, certamente, qualcosa di concreto, anche se la via che si dovrà percorrere è quella dei modi di essere e delle buone intenzioni. Una cosa, per6, è certa: se 1o psicosociologo metafisico trascendentale ci sa fare, ottenere, in aula, un grosso successo; gli allievi resteranno contentissimi per essere, se pur temporaneamente, usciti dalla palude delle rogne quotidiane, per spaziare nei firmamenti delle Scienze Umanistiche. Ma è necessario domandarci: questo che l'Azienda voleva?

E allora? Vediamo cosa ci è rimasto. Cominciamo dalle caratteristiche personali. Ci vuole cultura, molta cultura, di cui si vedano i due effetti più significativi: anzitutto la modestia, in secondo luogo la capacità di vedere le cose in un'ottica critica, ossia non viscerale, ossia non personalistica, ossia senza verità predefinite. Questa modestia e questa capacità dovrebbero rendere l'istruttore, in aula, sia apprezzato che accettato.

Ora veniamo a quello che sa e che deve dire o fare. Lui deve avere ben chiaro quello che l'Azienda vuole ottenere con la sua azione formativa (ricordiamoci che stiamo parlando di formazione "aziendale"), e a questo si dovrà attenere nel modo più rigoroso. Dove dovrà sentirsi libero di agire è nel "modo" con il quale raggiungerà l'obbiettivo che gli è stato dato. In questo compito dovrà impegnare la sua professionalità al massimo: è evidente, da quanto s'è detto, che il suo valore non sta nel "cosa" dovrà ire (che altri avranno definito nelle linee fondamentali), bensì nel "come". Questo "come", infatti, dovrà essere tale che l'allievo, alla fine, si senta convinto, spinto ad operare nel senso voluto. Digli niente! Ora è chiaro che nessuno opera volentieri per costrizione: il fine da raggiungere è quindi il convincimento, l'accordo, l'adesione dell’allievo a quanto proposto (ma questo presuppone, come condizione irrinunciabile, che lui, il formatore sia, a sua volta, perfettamente, completamente convinto di quello che va insegnando). Per l'ottenimento del risultato voluto, le carte da giocare sono essenzialmente due: la lezione e la discussione. Tutti gli altri trucchi didattici mi sono antipatici, mi sembrano forzature, mi sembrano "tecniche" e come tali non proprie di un processo di comunicazione umano. La lezione serve per dare il messaggio di fondo, la discussione per estrarre dal messaggio di fondo quegli indirizzi di comportamento di cui la formazione deve essere promotrice; la lezione dovrebbe essere tenuta da chi vuol dare il messaggio, che di solito non è l'istruttore, la discussione deve essere da questo gestita.

Tutto qui? Tutto qui. La difficoltà è una sola: tanto evidente quanto grande: raggiungere l'obbiettivo. Tutto dipende dal nostro istruttore - formatore, anche quando non è lui a parlare, anche quando non è in aula; tutto dipende da come sa fare il suo mestiere. L'impresa è enorme. >>

(da "informatica e formazione" di G.Secchi , ISPER Edizioni)