Le intenzioni del Duce

 

  Quali fossero le reali intenzioni di Mussolini negli ultimi giorni della sua vita non è perfettamente chiaro. Il suo allontanarsi da Milano e, poi, da Como portando con se soltanto pochi uomini e, oggetto della massima cura e attenzione, le famose borse con i documenti da lui ritenuti importantissimi per l’Italia ha dato luogo, nel tempo, al formarsi di ipotesi le più varie e, in gran parte, anche fantasiose. Lo studio che segue vuol essere una sintesi dei fatti che è stato possibile ricostruire e delle ipotesi sulle intenzioni di Mussolini che ragionevolmente possono essere formulate.

 Tali intenzioni, però, non possono essere correttamente ipotizzate senza tener conto delle vicende precedenti, in particolare quelle accadute dal luglio 1943 in poi. Sarà quindi dal luglio 1943 che prenderemo le mosse nel nostro tentativo di ricostruzione dei fatti e di formulazione delle ipotesi.

 

LUGLIO 1943

 

Come è noto l’11 giugno Pantelleria si arrende, seguita il giorno dopo da Lampedusa. E nella notte fra il 9 e il 10 luglio gli anglo-americani sbarcano in Sicilia. Tutti percepiscono la gravità della situazione: politici, militari e semplici cittadini. Sembra che anche Mussolini sia ormai convinto che sia necessario trovare il modo di sgarciarsi dall’alleanza con i tedeschi e cercare una pace separata con il nemico. Ma la cosa è tutt’ altro che semplice.

 Il 19 è a Feltre, ad un incontro con Hitler. Quest’ultimo parla a lungo e lamenta la scarsa combattività dell’esercito italiano che solo in modesta misura ha opposto una resistenza valida. Mussolini ascolta in silenzio e non ritiene sia il momento per parlare di una eventuale pace separata, come, forse, aveva intenzione di fare. Riceve, fra l’altro, a rendere più cupa l’atmosfera, la notizia del bombardamento di Roma.

 La situazione si fa sempre più tesa. Circolano voci di complotti . Farinacci ne informa Mussolini ma quest’ultimo non gli da peso. Dice di fidare nell’amicizia del re, che lo ha sempre sostenuto. In questo clima viene richiesta la convocazione del Gran Consiglio del Fascismo e Scorza, autorizzato da Mussolini, il 21 luglio spedisce le convocazioni per il giorno 24.

 Mussolini conosce il contenuto dell’Ordine del Giorno Grandi e sa benissimo che cosa tale documento può significare se approvato. Tuttavia non fa nulla e va alla riunione del Gran Consiglio, esordendo con una dettagliata relazione sulla situazione. Come si può spiegare questo atteggiamento che sembrerebbe di rassegnata accettazione degli eventi ?  Voleva, forse, mettere alla prova i suoi più stretti collaboratori onde individuare i fidi e gli infidi, pensando che l’O.d.G. Grandi non sarebbe mai passato ? O, addirittura, era rassegnato a farsi da parte ove questo fosse avvenuto ? E’, questa, un’ipotesi che non  è mai stata presa in seria considerazione fino ad ora ma, recentemente, si è perfino avanzata l’ipotesi che Mussolini, forse d’accordo con il re, fosse consenziente, fidando in un successore (che non avrebbe certo dovuto essere Badoglio) che potesse meglio di lui portare a termine lo sganciamento dalla Germania e concludere un armistizio onorevole. Le cose sarebbero, poi, precipitate a causa di una congiura di militari i quali, approfittando del voto del Gran Consiglio, avrebbero forzato il re ad assumere le decisioni che furono assunte. Comunque l’ipotesi più accreditata è che egli fidasse nel sostegno o, addirittura, nell’amicizia del re e pensasse di poter risolvere la situazione, d’accordo con lo stesso re,  con adeguate misure politiche (per esempio: un ampio rimpasto di governo con introduzione anche di personalità non fasciste) e militari (per esempio: sostituzioni significative negli alti gradi dell’esercito). Renzo De Felice, che è il massimo storico del Fascismo, sembre ritenere che Mussolini, nell’incontro che aveva avuto col re il 22 luglio, avesse assicurato lo stesso re che entro il 15 settembre si sarebbe sganciato dalla Germania e avrebbe chiesto una pace separata, ottenendo (o ritenendo di aver ottenuto) il consenso del re. Ed è certo che questa era la sua intenzione. Aveva, infatti, consentito a Bastianini di sondare gli inglesi circa la possibilità di addivenire a un armistizio accettabile. Ma è credibile che egli fosse così ingenuo ? (La stessa donna Rachele lo esortava a non fidarsi del re). Ed è  credibile che egli potesse rimanere così indifferente a fronte delle insistenti notizie di complotti che gli venivano riportate da alcuni suoi collaboratori ma anche, probabilmente, dalla sua polizia e dai suoi servizi segreti ? (Possibile che fossero così inefficienti da non aver subodorato nulla ?).

 D’altra parte egli, dopo l’approvazione dell’O.d.G. Grandi nella burrascosa seduta del Gran Consiglio, disse chiaramente che con quella mossa essi avevano liquidato il Fascismo. E sempre De Felice è convinto (anche accogliendo come verosimile la testimonianza di Grandi) che Mussolini fosse tutt’altro che rassegnato e che, anzi, avesse lottato duramnte per evitare che l’O.d.G. Grandi prevalesse. Subito dopo, però, parlando con Scorza, Biggini e Buffarini Guidi, rifiutò le proposte che gli venivano fatte (compreso l’uso della forza) per neutralizzare gli effetti del voto. E la mattina del 25 si recò a Palazzo Venezia come sempre e non prese alcuna misura di nessun genere mirante a disinnescare la mina rappresentata dal voto della sera innanzi. Vide Bastianini, sottosegretario agli Esteri, che la sera prima aveva votato a favore dell’O.d.G. Grandi e lo trattò con cordialità senza fare alcun riferimento all’accaduto. Concesse la grazia a due partigiani dalmati. Cercò, senza trovarlo, Dino Grandi, forse (è, questa, un’ipotesi di De Felice) per proporgli di diventare Ministro degli Esteri, ritenendolo il più adatto a trattare con gli inglesi. Ricevette prima la telefonata e poi la visita di Scorza che gli accennò al pentimento di alcuni membri del Gran Consiglio che avevano votato l’O.d.G. Grandi (in effetti si trattò solo di Cianetti del quale Mussolini ricevette la lettere quella stessa mattina). E Mussolini gli disse che ormai era tardi. Telefonò per chiedere al re, tramite Puntoni, di anticipare alla domenica l’udienza del lunedì. Ricevette anche l’ambasciatore del Giappone Hidaka, presente Bastianini, dopo di che si recò con Galbiati a visitare il quartiere San Lorenzo danneggiato dal bombardamento. Quindi andò a casa, a Villa Torlonia, in attesa dell’udienza dal re.  Aveva, forse, accettato la liquidazione del Fascismo ? Parrebbe di sì. Infatti, telefonando a Claretta Petacci, ebbe a dirle che tutto è finito.

 D’altra parte ancora, secondo quanto hanno riferito diversi testimoni, ma anche secondo quanto scritto da lui stesso, pare che il suo atteggiamento dopo la notizia datagli dal re della sua destituzione e dopo il suo arresto, sia stato sostanzialmente di rassegnazione e di accettazione della sua caduta.

 Già nella lettera a Badoglio assicurava che non avrebbe creato ostacoli ma, anzi, sarebbe stato disponibile a collaborare. Nei Pensieri pontini e sardi, poi, in data 14 agosto, dopo un colloquio con l’ispettore Polito, annotava: “ Sono giunto a due conclusioni: Il mio sistema è disfatto; la mia caduta è definitiva…”   Due giorni prima aveva firmato una dedica su un libro scrivendo “Mussolini defunto”. E il 31 agosto scriveva alla sorella Edvige: “Per quanto mi riguarda, io mi considero un uomo per tre quarti defunto. Il resto è un mucchio di ossa e muscoli in fase di deperimento….” E la sua massima speranza sembrava essere quella di potersi ritirare alla Rocca delle Caminate. (1)

 Infine, durante la prigionia a Campo Imperatore, pare che Mussolini tentasse addirittura il suicidio recidendosi le vene con una lametta da barba onde evitare la cosa che più temeva: essere consegnato agli anglo-americani. Egli ancora non sapeva che fra le condizioni di armistizio gli anglo-americani avevano imposto anche la consegna del Duce, ma, evidentemente, lo immaginava e lo temeva.

 

NOTE

(1) Duilio Susmel La vera storia di Mussolini, inserti del Secolo, pagg. 394 – 400

 

 

LA LIBERAZIONE

 

Le vicende sono ben note: Mussolini, dopo la prigionia a Ponza e alla Maddalena, viene condotto a Campo Imperatore sul Gran Sasso. Qui il 12 settembre una audacissima azione di commando dei paracadutisti tedeschi lo libera.

 Mussolini è provato e stanco e ai suoi liberatori manifesta il desiderio di essere condotto alla Rocca delle Caminate ove intende ritirarsi a vita privata. Egli, evidentemente, considera ancora la sua caduta definitiva e la sua attività politica conclusa.

 Ma già il giorno dopo a Monaco incontra Rachele, che era stata lì condotta con i figli Romano e Anna Maria, e dopo che questa lo informa sulla situazione (Dice Rachele: ”….Sembra incredibile ma egli è quasi all’oscuro della situazione che si è creata in Italia dopo il 25 luglio…”), alla domanda di lei che gli chiede: “Ora che hai intenzione di fare ?” risponde: “Dovrò discutere a lungo con Hitler, ma sono sempre deciso a non abbandonate la mia linea di condotta, a fare tutto quello che sarà ancora possibile per la salvezza del popolo italiano…..So che forse mi costerà la vita, ma terrò fede alla parola data. Purtroppo l’8 settembre peserà per molto sul destino dell’Italia e ora più che mai bisogna rimanere al fianco dell’alleato” (1) Egli dunque, ancora prima di incontrare Hitler, si era reso conto che, per evitare peggiori conseguenze per l’Italia, quella era, ormai, l’unica scelta possibile.

 Questo, tuttavia, non significa che egli avesse già deciso di accollarsi di nuovo l’onere del governo del paese. Nei primi colloqui del 14 settembre con i fascisti che avevano riparato in Germania, infatti, sembrava volesse escluderlo forse intendendo riservarsi il ruolo di consigliere e di ideologo. Ma Hitler pare ponesse come condizione, per risparmiare le ritorsioni progettate contro gli “italiani traditori”, una rinnovata alleanza Italia-Germania che solo il Duce poteva garantire. E fu questo a far decidere Mussolini per le scelte successive.

 

NOTE

(1) Susmel, Op. cit., pag. 415

 

LA R.S.I.

 

Una volta assunto il governo della R.S.I., Mussolini si fece carico senza riserve di tutte le responsabilità che questo comportava e si diede con tutta la sua energia ad affrontare i gravi problemi che gli stavano dinanzi. Essi, principalmente, furono i seguenti:

1)      Riacquistare al massimo grado possibile l’autonomia del proprio governo, tenendo a bada le pressioni e le interferenze tedesche.

2)      Ricostituire una forza militare da affiancare all’esercito tedesco in modo da riacquistare un certo peso anche in campo militare, fermo restando che la direzione delle operazioni belliche in Italia sarebbe stata, inevitabilmente, della Germania.

3)      Dare alla RSI il carattere “sociale” che già il nome anticipava, dotandola di leggi sociali avazatissime.

4)      La politica estera: i rapporti con la Germania, il Giappone e altri, gli internati in Germania, il litorale adriatico e l’Alto Adige

5)      Limitare, per quanto possibile, i danni della guerra civile.

A questi va aggiunto il gravissimo problema, che per lui fu anche personale e familiare, della punizione dei traditori del Gran Consiglio.

 

Il governo della R.S.I.

Malgrado che certi ambienti militari tedeschi avrebbero preferito avere le mani totalmente libere in Italia, Hitler e il governo tedesco si resero conto che un governo fantoccio e impotente sarebbe stato pressochè inutile e avrebbe dato un ben misero contributo alla condotta della guerra. Per cui decisero di tenere saldamente in loro mani la condotta delle operazioni militari ma consentirono al governo della R.S.I. una pressochè totale autonomia nei vari settori della vita civile. Così fu immediatamente ritirata la moneta di occupazione che aveva fatto la sua comparsa nell’Italia del nord e i vari ministeri poterono organizzare la vita civile con provvedimenti autonomi. La macchina burocratica dello stato, dalla pubblica amministrazione, alla giustizia, alla scuola….era ancora intatta, per cui la applicazione dei provvedimenti procedette rapida ed efficace. I Ministeri economici ripresero immediatamente il controllo delle finanze, ottenendo dei risultati eccezionali come quello di realizzare un bilancio 1944 addirittura in attivo, malgrado le enormi spese della guerra. L’inflazione fu estremamente contenuta, cosa che non accadde al sud, e il potere di acquisto della moneta italiana fu salvaguardato. L’agricoltura ottenne risultati eccezionali. Gli ottimi raccolti del 1945 furono il risultato dei lavori agricoli condotti durante il governo della R.S.I. L’industria lavorò a pieno ritmo e la produzione industriale fu eccellente. E, compatibilmente con la situazione eccezionale dovuta ai furiosi attacchi aerei cui tutto il territorio della R.S.I. fu esposto, giustizia, scuola, lavori pubblici, trasporti….continuarono a funzionare fino all’ultimo. Perfino i cinema e i teatri rimasero aperti e si ebbero spettacoli fino all’epilogo. Come  più avanti diremo anche il 24 aprile a Milano il Teatro Lirico era aperto e si rappresentava il Don Giovanni di Mozart. Dell’attività legislativa del Governo, che fu intensa ed efficace, diremo fra breve.

 

La forza militare della R.S.I.

Come è noto furono numerosi i reparti e i singoli militari che rifiutarono l’armistizio dell’8 settembre e rimasero in armi a fianco dell’alleato tedesco. E già il 20 febbraio 1944 un reparto organico del nuovo esercito italiano, il Battaglione “Barbarigo” della Decima, è in linea a Nettuno a fianco delle truppe germaniche, a contrastare il passo al comune nemico. Decine di migliaia furono i giovani che accorsero ad arruolarsi nella Decima, nella G.N.R., nei battaglioni di Bersaglieri….Ma Mussolini e Graziani vollero e ottennero la costituzione delle quattro divisioni armate e addestrate in Germania – La Monterosa, la San Marco, la Littorio e la Italia – composte in gran parte da giovani di leva che avevano risposto alla chiamata, che andarono a costituire il nucleo centrale dell’esercito regolare della R.S.I. Questo fatto ebbe una notevolissima importanza per vari motivi. Anzitutto consentì di recuperare e di far tornare in Italia migliaia di uomini che l’8 settembre erano stati internati in Germania. In secondo luogo conferì autorità al governo, alla chiamata del quale, come appena detto, rispose la maggior parte dei richiamati. E’ vero che molti non risposero e si dettero alla macchia, è vero che molti disertarono successivamente, tanto che secondo alcuni la chiamata alle armi fu un errore. Però è anche vero che il governo di un paese in guerra non può non richiamare alle armi i suoi giovani. Il non farlo avrebbe significato mancanza di fiducia nella propria autorità e, in definitiva, abdicazione ai propri compiti. In terzo luogo fece recuperare credibilità al soldato italiano anche presso l’alleato tedesco il quale affidò alle truppe della R.S.I. la difesa di tratti del fronte e, cosa inusitata, consentì che Graziani assumesse il comando dell’Armata Liguria, della quale facevano parte, oltre alle divisioni italiane, anche divisioni tedesche. Tutto ciò, insomma, ridette una certa consistenza alla R.S.I. anche sul piano militare. Essa era, adesso, uno stato armato, con un proprio esercito.

 

La repubblica “sociale”

Il carattere fortemente “sociale” della R.S.I. era stato subito affermato con i 18 punti di Verona (vedi) fin dalla prima Assemblea Nazionale del Partito Fascista Repubblicano riunitasi a Verona in Castelvecchio il 14 novembre 1943.  I punti dal 9° al 18° riguardarono gli orientamenti in materia sociale, appunto e si affermò anzitutto (punto 9) che il lavoro è la base e l’oggetto primario della R.S.I. Al punto 12 si affermò il principio della cogestione delle imprese mediante la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle stesse, nonché il principio della ripartizione degli utili d’azienda anche fra i lavoratori dipendenti. Per quanto riguarda il mondo agricolo (che, all’epoca, interessava oltre la metà degli italiani) si affermò, al punto 13, la possibilità di assegnare ai braccianti la proprietà di lotti di terre incolte o mal gestite, trasformandoli, così, in coltivatori diretti. Al punto 15 si affermò il diritto alla proprietà della casa per tutti i lavoratori. Un ente apposito avrebbe provveduto alla costruzione di alloggi sufficienti e l’affitto dei medesimi, una volta remunerato il capitale investito, sarebbe stato considerato titolo di acquisto. Al punto 17, infine, si prevedeva la fissazione di minimi salariali nazionali nonché la possibilità di pagare una parte del salario, attraverso appositi spacci cooperativi o spacci di azienda,  in viveri conteggiati a prezzi ufficiali.

 La volontà di attuare i principi di cogestione e ripartizione degli utili si manifestò, poi, malgrado la contrarietà dei tedeschi (e, questo, a riprova della reale autonomia della R.S.I. nelle questioni non militari), con la approvazione del Decreto 375 del 12 febbraioi 1944: “Della socializzazione delle imprese”.

 Durante tutto il periodo della R.S.I. funzionarono nelle città efficientissime mense popolari a prezzo politico, che alleviarono non poco i disagi di coloro che si trovavano, per vari motivi, soli e lontani dalla famiglia.

 E’ opinione largamente condivisa (vedi, ad esempio, Enrico Landolfi Ciao rossa Salò Edizioni dell’oleandro 1996) che la legislazione sociale della R.S.I. sia stata la più avanzata di quante mai abbiano avuto vigore nel mondo in ogni epoca.

 

La politica estera

 La politica estera della R.S.I. fu diretta dallo stesso Mussolini che, come è noto, conservò per sé la carica di Ministro degli Affari Esteri. La R.S.I. mantenne attivi rapporti diplomatici con le nazioni non nemiche, quindi non solo con Germania e Giappone, ma anche con Spagna e con le nazioni dell’est Europa quali Ungheria, Romania, Bulgaria che avevano aderito al Patto Ttripartito cioè all’allenza che il 27 settembre del 1940 era stata stipulata fra Italia, Germania e Giappone. Particolarmente intensi e, per certi versi, problematici furono, ovviamente, i rapporti con la Germania, a causa delle vicende successive all’armistizio dell’8 settembre 1943. Le questioni che comportarono difficoltà nei rapporti fra le due nazioni furono, sostanzialmente, le seguenti:

1)  L’esercito tedesco combatteva in Italia contro l’invasore anglo-americano ma, a causa della presenza di elementi italiani ostili (il partigianesimo), esso compiva anche azioni di rastrellamento a danno delle popolazioni civili con internamento coatto in Germania di lavoratori italiani. La R.S.I. per tutto il periodo della sua esistenza si preoccupò di far rientrare in Italia tutti coloro che, aderendo alla R.S.I., fu possibile inquadrare nell’esercito repubblicano, nonché di assicurare le migliori condizioni possibili a quelli che, invece, preferirono rimanere in Germania come lavoratori. Non sarà inutile ricordare che, a fine guerra, gli italiani internati in Germania poterono far ritorno alle loro case in percentuale vicina al 100%.

2)  Come è noto i tedeschi instaurarono un governo militare in Istria – il cosiddetto Litorale Adriatico - e in Alto Adige. Il governo della R.S.I. ebbe formali assicurazioni che ciò era stato considerato necessario per ragioni militari, ma che non comportava assolutamente perdita di sovranità della R.S.I. su quei territori. Tuttavia questo fatto procurò continue tensioni e faticosamente si riuscì a mantenere in quei territori funzionari dell’amministrazione civile italiana. Però furono presenti fino sempre anche forze militari italiane che fino all’ultimo lottarono eroicamente per contrastare il passo alle forze comuniste iugoslave.

 Quanto sopra per ciò che concerne la diplomazia ufficiale. Ma, come in ogni epoca, anche durante la R.S.I. fu attiva una diplomazia segreta che mantenne contatti anche con le nazioni nemiche, specie con l’Inghilterra. Si tratta, ovviamente, di rapporti poco noti. Tuttavia esistono attendibili testimonianze che tali rapporti esisterono e, cone vedremo, continuarono fino agli ultimi giorni di aprile del 1945.

 

La guerra civile

Come già detto una preoccupazione costante di Mussolini fu quella di cercare di limitare i danni della guerra civile. Anche se non mancarono, purtroppo, episodi cruenti e atrocità, tuttavia si ricorse frequentemente anche a provvedimenti di clemenza sia a beneficio di singoli che di gruppi. Furono frequentissimi i casi di partigiani catturati o consegnatisi spontaneamente (questo di verificò soprattutto nel novembre 1944) che non subirono condanne ma furono semplicemente arruolati nell’esercito repubblicano. E spesso personaggi del movimento partigiano, anche di rilievo, furono sottratti ai tedeschi che li avevano catturati e salvati per l’intervento diretto dello stesso Mussolini. Collaborò strettamente con lui il giornalista socialista Carlo Silvestri che, dopo essere stato un feroce accusatore di Mussolini al tempo del delitto Matteotti, si convinse infine della di lui estraneità e gli fu vicino per tutto il periodo della R.S.I., anche nel generoso tentativo di favorire un passaggio non cruento dei poteri dalla R.S.I. a un auspicato governo socialista moderato.

 

GLI ULTIMI GIORNI DI MUSSOLINI

 

 Esistono una quantità di pubblicazioni nelle quali gli autori hanno cercato di ricostruire le vicende degli ultimi giorni di Mussolini. E, in queste ricostruzioni, largo spazio hanno sempre trovato le famose borse di pelle cui Mussolini mostrava di tenere in maniera eccezionale e che pare contenessero documenti coi quali egli avrebbe potuto giustificare le sue azioni relativamente all’entrata in guerra dell’Italia nel 1940.

 Ma quali sono state le reali intenzioni di Mussolini dal momento in cui, il 18 aprile 1945, lasciò Gargnano e si recò a Milano ?

 E’ evidente che, all’atto della ripresa dell’offensiva anglo-americana, nei primi giorni di aprile, fu chiaro a tutti che per la guerra in Italia si era giunti all’ultimo atto. In conseguenza di ciò Mussolini dovette prendere una serie di decisioni e compiere una serie di azioni e di spostamenti, tutti certamente motivati da una ragione che non sempre, però, può essere chiaramente individuata.

 Il primo spostamento, come abbiamo appena detto,  fu da Gargnano a Milano. Aveva lasciato Gargnano nel pomeriggio del 18 aprile (17 aprile secondo Romano Mussolini, ma probabilmente fu quel giorno che salutò il figlio pur partendo per Milano il giorno dopo) . Racconta Romano, nel suo Il Duce mio padre Ed. BUR, pag. 9, che quella mattina Mussolini entrò nella stanza di Villa Feltrinelli dove lui stava suonando il pianoforte e lo abbracciò, salutandolo, dopo di che uscì nel cortile dove l’auto lo stava aspettando per condurlo a Milano ove, come aveva detto a Rachele (è sempre Romano che parla) si sarebbe trattenuto due o tre giorni per capire se era ancora possibile opporsi all’avanzata degli alleati. Sarà stata veramente quella la sua intenzione ? O lo avrà detto soltanto per non allarmare i familiari, essendo invece ben consapevole di un diverso destino che lo attendeva ? Comunque a Gargnano  non ritornò più. Dunque partì quel mercoledì 18 aprile accompagnato dal ministro Zerbino, da Luigi Gatti, dal dottor Zacharie e da alcuni altri, e scortato dal Tenente Birzer delle SS e dal tenente Kisnat delle SD, incaricati della sua protezione.

 Il secondo fu da Milano a Como il giorno 25

 Il terzo fu da Como a Menaggio e, poi, Grandola il giorno 26

 Il quarto fu da Menaggio fino a Dongo il giorno 27.

 Cerchiamo di ipotizzare le motivazioni per ciascuno di questi spostamenti:

Milano: 

Credo che anzitutto ci si debba porre la domanda: “Mussolini stava semplicemente fuggendo per salvare la propria persona ?” Nel caso che la nostra risposta sia affermativa, tutte le possibili ipotesi sulle motivazioni delle sue decisioni successive diventano inutili e oziose.

 La mia personale convinzione, però, è che non sia questa la verità, poiché se quella di salvare semplicemente la propria vita fosse stata la sua unica preoccupazione, probabilmente sarebbe salito sull’aereo che, secondo attendibili testimonianze, era stato apprestato allo scopo. Cosa che si rifiutò di fare, consentendo che l’aereo portasse in salvo in Spagna i genitori e la sorella di Claretta Petacci.  La sua decisione di partire per Milano, dunque, era motivata da qualcos’altro.

 Qualcuno pensa, ancora oggi, che Mussolini avrebbe dovuto fare di Milano l’ultima roccaforte della R.S.I., dove morire insieme ai suoi soldati. Può darsi che questa sarebbe stata una fine gloriosa e romantica e ogni opinione deve essere rispettata. E’ certo, però, che Mussolini non si recò a Milano con queste intenzioni. Che cosa fece, infatti, negli otto giorni che vanno dal 18 al 25 aprile ? Certamente ebbe continui contatti sia con i suoi collaboratori più stretti (i ministri che lo avevano seguito e altri) sia con i vertici militari (Graziani, Pavolini, Valerio Borghese e altri). Ma ebbe anche intensi contatti con Carlo Silvestri, socialista, col quale da tempo lavorava per limitare i danni della guerra civile (molti furono i partigiani salvati dalla morte), ma anche per tentare un accordo con i socialisti come diremo fra breve. Inoltre continuò a curare la collocazione della sua abbondante documentazione, sia in originale che in copia.

Così il 19 (giovedì) riceve il federale di Milano  Vincenzo Costa insieme al generale  Eduardo Facduelle, capo di stato maggiore della B.N., il fedelale di Como e Ispettore dei Fasci per la Lombardia Paolo Porta, il comandante della “Muti” Franco Colombo e il capo di stato maggiore della B.N. “Resega” Ferdinando Gimelli. Con loro esamina la situazione e dice di voler valutare la possibilità di trattare con il CLNAI per un passaggio di poteri non cruento. E manifesta anche l’intenzione di ritirarsi in Valtellina da dove si sarebbe consegnato a un tribunale italiano previa assicurazione che gli sarebbe stato consentito di difendere il suo operato (1). Quel giorno dispone che siano pagati gli anticipi ai funzionari dei ministeri e, su richiesta del Generale Diamanti, concede la grazia a cinque condannati a morte.

 Il giorno 20 venerdì giunge notizia che Bologna è investita in pieno dalle forze nemiche ed Egli dispone la smobilitazione degli uffici ministeriali sparsi in  varie località. Decide anche di rinunciare alla cerimonia che avrebbe dovuto tenersi il giorno dopo in memoria del Natale di Roma. Alle 14 riceve Tarchi che gli parla di certe trattative in corso con il CLNAI, trattative che verranno poi abbandonate. Riceve, poi, Gaetano Cabella del Popolo di Alessandria al quale rilascia una lunga intervista. Alle ore 20 riceve il Commissario Prefettizio di Sesto San Giovanni che viene autorizzato (con uno stanziamento di 4 milioni) alla costruzione di un panificio e all’apertura di una mensa sociale. In serata telefona a Claretta e tenta di convincerla a partire per la Spagna con la sua famiglia. Ma essa rifiuta.

   Il 21 sabato cade Bologna e la situazione si fa sempre più grave. Mussolini  riceve Asvero Gravelli, sottocapo di stato maggiore della GNR e con lui discute sulla strada da prendere per giungere in Valtellina, manifestando, quindi, ancora, quella intenzione.(2) Ne discute anche con il Generale Onori, che è il comandante delle truppe della Valtellina. A un certo punto si affaccia a una finestra per salutare un folto gruppo di giovani dell’Opera Balilla che lo applaudono.

    Il 22 è domenica. Zerbino e il prefetto riferiscono a Mussolini sulla situazione ed egli dice che bisogna affrettare la partenza per la Valtellina. Poi riceve Tarchi e altri ministri. Più tardi il federale Costa porta i fascisti milanesi, sempre più inquieti, a palazzo Monforte, sede della Prefettura e Mussolini scende fra loro e parla, esortando alla resistenza.Quel giorno riceve più di trenta persone fra cui il colonnello Jadl, Edmondo Cione, Alfredo Cucco, Spinelli, Spampanato. Torna anche il giornalista Gian Gaetano Cabella de Il Popolo di Alessandria col testo dell’intervista nella quale Mussolini fa ampio riferimento alla documentazione in suo possesso.(3). Mussolini lo legge e lo sigla.  A proposito della quale documentazione pare che lo stesso 22 aprile facesse convocare tramite il colonnello  Giuseppe Gelormini, comandante provinciale della GNR (anche se, per la verità, costui ha poi smentito) il giovanissimo Tenente Enrico De Toma, triestino, al quale, il giorno dopo, 23 aprile, sarebbe stata consegnata una borsa piena di documenti da portare a Ginevra. Cosa che il De Toma avrebbe fatto regolarmente, rientrando a Milano e riferendo a Gelormini, nella notte fra il 24 e il 25.(4)  Il caso De Toma, come vedremo, avrà poi clamorosi sviluppi nel dopoguerra.

 A Colombo e a Spadoni, della “Muti”, pure ricevuti quel giorno, dirà con chiarezza che desidera lasciare ai socialisti e non ai borghesi conservatori le leggi e le conquiste sociali della R.S.I. Sempre il 22 ricompare in anticamera anche Buffarini Guidi. E Rahn, tramite Zacharie, suggerisce a Mussolini di tornare a Gargnano o, addirittura, di rifugiarsi in Spagna. Ma Mussolini rifiuta. Alle 19 riceve Carlo Silvestri, che aveva cercato nel pomeriggio e Silvestri dirà di averlo trovato calmo e padrone di sé. Con lui discute le modalità con le quali si sarebbe potuto consegnare la RSI ai socialisti. (5). In effetti è noto il fatto che Mussolini, insieme al socialista Carlo Silvestri aveva accarezzato a lungo la speranza di poter consegnare a un governo socialista formato da uomini moderati il potere e il pacchetto di leggi sociali varate dalla R.S.I. che il detto governo si sarebbe impegnato a mantenere. Probabilmente a un tale governo Mussolini, che il varie occasioni aveva dichiarato di aborrire l’idea di cadere nelle mani del nemico anglo-americano, avrebbe consegnato anche se stesso, insieme a tutta la documentazione che avrebbe potuto salvaguardare validamente gli interessi dell’Italia al tavolo della pace. Quel giorno esce la 99° e ultima nota di Corrispondenza Repubblicana. Tali note erano largamente ispirate e, spesso, direttamente scritte da Mussolini.                                                                                                                 

  Il lunedì 23 riceve Nino D’Aroma poi Buffarini che propone la fuga in Svizzera. Ma Mussolini la rifiuta sdegnosamente. A Bonino, vice segretario del P.F.R. e a Pavolini confermerà che la sua intenzione è ancora quella di ritirarsi in Valtellina

Lo stesso giorno 23 Mussolini ricevette anche Padre Eusebio e anche con lui ebbe a parlare della documentazione in suo possesso. Pare, addirittura, che gli mostrasse una lettera autografa di Chamberlain. (6)  Più tardi telefona a Rachele a Gargnano per avvertirla che la raggiungerà. Ma poco dopo la richiama per dirle che la manderà a prendere per portarla a Monza. E anche la sorella Edvige va a Milano. Il comandante Borghese lo informa di contatti con i militari del sud per concordare azioni a difesa del confine orientale e a difesa degli impianti industriali.

 Il giorno 24, martedì, all’alba Rachele con i figli Romano e Anna Maria giungono a Monza ricevuti da Barracu. Poi Gatti li accompagnerà a Como, a Villa Montero. Mussolini ha ormai deciso di passare da Como e non da Lecco per raggiungere la Valtellina. Verso le 10,30 riceve il  tenente tedesco Franz Spoegler che era addetto alla sicurezza di Claretta Petacci ed era certamente implicato in operazioni di spionaggio e pare abbia affidato a lui una lettera da far pervenire al consolato inglese di Lugano.(7) Questo fatto dei contatti che Mussolini avrebbe tenuto con elementi della diplomazia inglese appare incredibile, ai limiti dell’inverosimile. Eppure esistono testimonianze attendibili che dicono che Mussolini non solo ebbe contatti ma, addirittura, incontrò personalmente e più volte, nella massima riservatezza, emissari della diplomazia inglese.  Pietro Carradori, attendente di Mussolini, assicura che la sera del 21 settembre 1944 e la sera del 21 gennaio 1945 accompagnò Mussolini nella massima segretezza (sfuggendo persino al controllo di Birzer) a Porto Ceresio in una villa di Via Roma 5 per avere incontri con agenti britannici. La prima volta, oltre a Carradori e l’autista, c’era Bombacci e la seconda volta Barracu. Ma pare che Mussolini avesse avuto incontri con tali agenti anche altre volte, nella villa  dell’industriale Beretta nell’isola di San Paolo sul lago d’Iseo (8)  Come vedremo l’ultimo di questi contatti

( che Carradori nega spiegando, però, in maniera poco convincente lo spostamento  in questo paesino fuori dall’itinerario principale) egli lo avrebbe avuto a Grandola il 26 aprile.  Ma ritorniamo a quel martedì 24 a Milano. In città regna un certo orgasmo, però la vita continua normalmente. I teatri sono aperti. Al Lirico si rappresenta il Don Giovanni di Mozart. Nel tardo pomeriggio Mussolini riceve ancora Silvestri col quale cerca di dare forma all’accordo da proporre ai socialisti. Alla fine Mussolini approva gli appunti di Silvestri ma si mostra scettico. Anche quel giorno concesse molte udienze, fra cui a Bruno Spampanato e a Borghese che lo informò essere ormai impossibile raggiungere Trieste con altre forze per difenderla dagli slavi. Quel giorno arrivò l’ultimo messaggio di Hitler (9)

A sera ricevette Asvero Gravelli insieme a tutti gli ufficiali della G.N.R. di Milano. Mussolini si intrattenne con loro e rivolse loro quello che possiamo considerare l’ultimo discorso di Mussolini in assoluto (10)

 E vediamo cosa accadde il 25 aprile a Milano.

Mussolini viene informato che alla R.S.I. è rimasta la sola Lombardia e neppure per intero. E che il CLNAI ha già decretato la condanna a morte di tutti i gerarchi fascisti e l’immediata abrogazione della legge sulla socializzazione. Egli riceve Graziani e Montagna che gli parlano delle trattative in corso. Ma lui decide di trattare personalmente e ordina al Prefetto Bassi di convocare l’industriale Cella per organizzare l’incontro in arcivescovado. Riceve anche Cione, Bombacci e Pisenti, che suggerisce di restare a Milano. Ma Mussolini rimane fermo sull’idea della Valtellina. Nel primo pomeriggio, prima di recarsi in arcivescovado, aiutato da Silvestri riempie due borse di cuoio con dei documenti. Poi va all’incontro con  Zerbino, Barracu, Bassi e Cella. Non vede Graziani e lo manda a cercare. Viene ricevuto dal cardinale Schuster col quale si apparta in uno studio ed ha un colloquio di un’ora. Ma Schuster gli tiene nascosta l’avvenuta resa del generale Wolf, fatta all’insaputa dell’alleato. Ma Bassi, che con gli altri accompagnatori era rimasto in anticamera con Don Bicchierai, Don Terraneo e Don Corbella, viene a saperlo da quest’ultimo. Intanto giungono i rappresentanti del CLNAI Cadorna, Lombardi, Marazza e Giustino Arpesani. Inizia il colloquio ma, a un certo punto, Bassi riferisce a Mussolini della resa di Wolf. Mussolini ha un sussulto: questo fatto nuovo e inatteso riduce drasticamente il suo potere negoziale e la doppiezza di Schuster lo disgusta. Si alza di scatto e si avvia all’uscita dicendo: “ Entro un’ora avrete la mia risposta”. Rientrato in Prefettura dice a Colombo che occorre partire per evitare scontri sanguinosi in Milano. Non obbliga nessuno a seguirlo. Partirà con un reparto della “Muti” dotato di due carri armati, con le SS di Birzer e una colonna di auto. Fino all’ultimo Borsani e Silvestri lo implorano di non partire ma invano. Egli sale in macchina con Bombacci e parte. Lo seguiranno i ministri Graziani, Zerbino, Mezzasoma, Liverani, Tarchi, Barracu, il segretario Gatti, il colonnello Vito Casalinuovo, suo aiutante di campo, il figlio Vittorio, il nipote Vito, Vanni Teodorani, Daquanno e altri.

 In base a quanto fin qui rilevato, è ragionevole pensare che Mussolini sperasse ancora di poter concludere un accordo al momento dell’incontro in Arcivescovado. O che, comunque,  pur se consapevole della improbabilità che questo potesse concludersi, abbia voluto fare ugualmente questo ultimo tentativo.

 Fu, dunque, dopo il fallimento di questo e dopo aver appreso solo allora degli accordi di resa del Gen. Wolf con il CLNAI che per Mussolini fu giocoforza assumere ulteriori decisioni. Ed ecco la decisione di partire per Como. Prima di partire, però, ebbe un ultimo colloquio con il figlio Vittorio. Anche in questo colloquio egli fa esplicito riferimento ai documenti che reca con sé e ai diari che sarebbero stati già al sicuro in Svizzera. Inoltre egli conferma la sua intenzione di raggiungere la Valtellina dove “possiamo resistere molti giorni”. (11)

Como:

Come è noto Mussolini, che alle 18,30 era partito da Milano, giunse a Como la sera del 25 aprile alle 21 circa e fu ospitato, insieme a Bombacci e a pochi fedelissimi, nella casa del federale Paolo Porta dove prese un caffè e riposò alcune ore. A Como era già giunto Buffarini Guidi che propone ancora di passare in Svizzera, ma Mussolini rifiuta decisamente. Nella notte, non potendo mettersi in comunicazione telefonica con lei, scrive a Donna Rachele: “Cara Rachele, eccomi giunto all’ultima fase della mia vita, all’ultima pagina del mio libro. Forse noi due non ci rivedremo più; perciò ti scrivo e ti mando questa lettera. Ti chiedo perdono di tutto il male che involontariamente ti ho fatto. Ma tu sai che sei stata per me l’unica donna che ho veramente amato. Te lo giuro davanti a Dio e al nostro Bruno in questo momento supremo. Tu sai che dobbiamo andare in Valtellina. Tu, coi ragazzi, cerca di raggiungere la frontiera svizzera. Laggiù vi farete una nuova vita. Credo che non ti rifiuteranno il passaggio, perché li ho aiutati in tutte le circostanze e perché voi siete estranei alla politica. Se questo non fosse, dovete presentarvi agli alleati, che forse saranno più generosi degli italiani. Ti raccomando l’Anna e Romano, specialmente l’Anna, che ne ha tanto bisogno. Tu sai quanto ti amo. Bruno dal cielo ci assisterà. Ti bacio e ti abbraccio insieme ai ragazzi. Tuo Benito”. Da questa lettera emerge chiara la consapevolezza di Mussolini di andare verso una conclusione tragica. Evidentemente si rendeva conto che questa era la conclusione più probabile anche se avesse potuto raggiungere la Valtellina. Tuttavia il suo comportamento è ancora quello di un uomo deciso ad agire perseguendo degli obiettivi. Intanto la situazione di Como si fa pericolosa. Il Capo provincia Renato Celio sta già trattando con i partigiani che sono già in città. Il Questore dice a Mussolini che il pericolo aumenta di ora in ora. Pavolini, che dovrebbe condurre una nutrita schiera di uomini non è ancora giunto. Solo Porta dice di avere ancora uomini sicuri, tanto che Mussolini pare abbia detto: “ Mi darò alla montagna con Porta” (12). E, in effetti, alle 4 del giorno 26 partì verso Menaggio con Bombacci e Porta, seguito da altri. Ma la decisione non fu certo improvvisa. Lasciare Milano per asserragliarsi in Como e opporre qui l’ultima resistenza al nemico, infatti, non avrebbe avuto alcun senso. E’ evidente, quindi, che Como era semplicemente una tappa di questo ulteriore spostamento che Mussolini aveva deciso di fare. La sua intenzione era ancora quella di raggiungere la Valtellina ? O aveva modificato anche questo progetto ? Probabilmente non lo sapremo mai.

Possiamo, però, fare delle ragionevoli supposizioni sulla base dei movimenti effettuati nei giorni 26 e 27.

Pare che fosse di Pavolini  il fantasioso progetto di costituire un ultimo ridotto in Valtellina ma, come abbiamo detto, da certe conversazioni dei giorni precedenti pare che anche Mussolini condividesse questo progetto. E pare che la sua intenzione fosse di risalire il lago di Como sul lato sinistro (quello orientale) come via più sicura. Infatti Asvero Gravelli lo aveva sconsigliato di risalire lungo la sponda occidentale per la presenza di molti partigiani.

 A questo punto alcuni fatti lasciano perplessi. Se l’intenzione era ancora quella di raggiungere la Valtellina per “resistere molti giorni” (11), perchè : 1 – Lasciò Como con pochissimo seguito - e questo appare come un fatto voluto -. mentre sarebbe stato logico portare con se il maggior numero possibile di armati. Senza contare che la sua partenza improvvisa avrebbe creato scoraggiamento e scompiglio nelle forze presenti in Como, cosa che puntualmente avvenne. E non era così difficile prevederlo; 2 – Non costeggiò la sponda sinistra del lago, che era la via più sicura, ma la destra; 3 – Il suo non fu un procedere spedito dato che si trattenne per tutto il giorno 26 fra Menaggio e Grandola. ?

 Le sue intenzioni, a quel punto, dovevano essere altre. Quali ? Diversi autori hanno ipotizzato che Mussolini avesse in programma di incontrare qualcuno e questo incontro doveva avere per lui un’ importanza decisiva. Un’ipotesi diffusa e giudicata verosimile è quella che egli dovesse incontrare negoziatori inglesi coi quali trattare una conclusione della guerra accettabile per l’Italia, in cambio della non diffusione dei documenti in suo possesso, che sarebbero stati molto imbarazzanti per Churchill e l’Inghilterra. (13). Forse attendeva una risposta concreta alla lettera che aveva spedito a Churchill tramite Spoegler ? (vedi nota 7) ?

Menaggio e Grandola

La partenza da Como, su decisione inattesa di Mussolini, avvenne all’alba del 26, prestissimo. Alle 5,30 la piccola colonna era già a Menaggio. Mussolini fu ricevuto nell’edificio delle scuole elementari che era stato adibito a caserma della B.N. operante nel versante occidentale del lago. Emilio Castelli, il comandante della B.N., svegliato dal Porta, accorse subito e condusse il Duce nella sua dimora per farlo riposare. Alle 7 Mussolini si stese sul letto, ma alle 9 era già in piedi. Chiese un caffè e, verso le 10, uscì, trovando una piccola folla fra cui mamme che porgevano i loro bambini per farli accarezzare e alcune suore, che lo pregarono di salvarle dal comunismo. Fu, insomma, festeggiato quasi come un tempo. Carradori da una versione diversa e dice che la folla di Menaggio era minacciosa e che fu per questo che si decise di salire a Grandola ( 14). E’, però, difficile capire come potesse apparire più sicuro un paesino come Grandola, più in alto e, quindi, presumibilmente più esposto agli attacchi partigiani, stante anche il fatto che a Menaggio c’erano gli uomini della B.N. di Castelli, concentrati proprio in quel luogo. Comunque Mussolini si trattenne poco a Menaggio e prese la via di Grandola, seguito da tutta la colonna. A Grandola Mussolini entrò nell’albergo Golf Miravalle ove era alloggiata la guardia confinaria. Qui comparve a un tratto anche Vezzalini, ferito in uno scontro con i partigiani.  Graziani, invece, non salì a Grandola e tornò indietro dicendo che voleva tornare al suo quartier generale. Nella colonna al seguito di Mussolini c’era anche l’ausiliaria Elena Curti, figlia naturale del Duce, che si offrì di tornare a Como per sollecitare Pavolini a raggiungerli. Pavolini, infatti, che era giunto a Como quando già Mussolini era partito, lo aveva raggiunto a Menaggio ma, poi, era ritornato a Como nel tentativo di radunare il maggior numero possibile di uomini.

 E che fece Mussolini a Grandola ? Testimonianze attendibili riferiscono che qui Mussolini incontrò e parlò a lungo con due sconosciuti.(15) Ammesso che questo incontro sia realmente avvenuto, si trattava forse dei negoziatori inglesi ? E quale fu l’esito dell’incontro ? Non lo sappiamo, per cui possiamo soltanto formulare ipotesi.

 Prima ipotesi: La negoziazione ebbe successo e a Mussolini fu garantita la salvezza e, quindi, la possibilità, in futuro, di giocare ancora un ruolo nella negoziazione della pace. Una esile conferma potrebbe trovarsi nel fatto che in una tasca posteriore dei pantaloni di Mussolini furono trovati, al momento dell’autopsia, dal prof. Pierluigi Cova, un lasciapassare per la Spagna intestato a un uomo e una donna dai nomi sconosciuti chiusi in una busta intestata “Fascio Repubblicano Sociale di Dongo”. Tale documento era datato 14 settembre 1944 ma ci sono motivi (per esempio l’intestazione della busta) per pensare che esso sia stato consegnato a Mussolini negli ultimissimi giorni. In questo caso si potrebbe ipotizzare che la ripresa della marcia verso nord la mattina del 27 fosse finalizzata al raggiungimento di un luogo da dove poter utilizzare il lasciapassare. Questo, però, sarebbe in netta contraddizione con il proposito più volte manifestato da Mussolini di non voler lasciare l’Italia “neanche da morto”. 

 Seconda ipotesi: la negoziazione ebbe esito negativo. A questo punto potrebbe trovar credito l’ipotesi che Mussolini fosse ritornato all’idea del ridotto in Valtellina e avesse ripreso la marcia con tale intenzione. Questa ipotesi verrebbe avvalorata dal fatto che Pavolini, come abbiamo detto, tornò a Como per radunare e condurre con sé le sue Brigate Nere che avrebbero dovuto trovarsi concentrate lì.

 Dopo il rientro da Grandola, avvenuto intorno alle 20, quindi, Mussolini si fermò a Menaggio dove trascorse la notte. Certo è che non si era ancora arreso e stava cercando una via d’uscita praticabile. Ora, cosa che non aveva fatto a Como, ritiene di aver bisogno di forze consistenti per poter proseguire, e attende Pavolini. Questi, infatti, giunse solo verso le 4 del 27 ma con pochi uomini della B.N di Lucca e una colonna di militari tedeschi della Flac, a bordo di una trentina di camion, che cercavano di rientrare in Patria attraverso la Valtellina e l’Alto Adige. Questa attesa di rinforzi potrebbe significare, appunto, che l’appuntamento di Grandola, al quale aveva preferito recarsi con poche forze, era fallito e che, quindi, era stato giocoforza cambiare strategia. Certo l’arrivo di Pavolini con forze così esigue sarà stato una delusione. Tuttavia si riprende la marcia.

Dongo

Siamo all’ultimo atto. Il mattino del 27 alle 5,30 Mussolini riprende la marcia verso nord con tutta la colonna ma a Musso trova la strada ostruita e la colonna deve fermarsi. E qui sorgono altre perplessità. Se l’intenzione era quella di raggiungere la Valtellina per “resistere molti giorni” e, quindi, per combattere, come mai non si tentò di forzare il blocco combattendo e si accettò pressochè immediatamente di arrendersi? Certamente pesò il fatto che i tedeschi, dopo la firma della resa di Wolf non intendevano più combattere ma solo rientrare a casa loro possibilmente sani e salvi. Ma, probabilmente, Mussolini ritenne di poter ancora giocare le sue carte, rappresentate dai suoi documenti, anche cadendo nelle mani di partigiani italiani. I fatti sono noti: si tratta coi partigiani di Pier Bellini delle Stelle e si arriva all’accordo che i soli militari tedeschi verranno lasciati passare. Allora Mussolini accetta di vestire un pastrano tedesco e un elmetto e di salire su un camion tedesco. Ma c’è il riconoscimento e la cattura. Egli viene condotto nel municipio di Dongo insieme alle borse dei documenti che egli aveva con sé, e subito fa presente ai partigiani l’enorme importanza per l’Italia di quei documenti.

 Forse i partigiani ne capiscono l’importanza e, forse, anche l’importanza di conservare in vita Mussolini, tanto che lo separano dagli altri e lo portano prima a Germasino, poi a casa De Maria, quasi volessero nasconderlo. Poi l’uccisione, certamente voluta dai comunisti, con gli inglesi che, forse, pure l’hanno voluta o, forse, non hanno potuto impedirla. Mentre gli americani, che certamente volevano Mussolini vivo, non sono stati capaci di giungere in tempo.

 Resta da fare qualche ipotesi su quelle che possono essere state le intenzioni di Mussolini in quelle ultime ore.

 Ha sempre suscitato dolore e amarezza nei fascisti sopravvissuti la cattura di Mussolini nascosto sotto panni tedeschi e descritto come uomo distrutto e smarrito, alla disperata ricerca di una scappatoia per salvarsi la vita.  Non bisogna dimenticare, però, che tali descrizioni sono state fatte dai nemici che hanno sicuramente calcato la mano sugli aspetti negativi di tutta la vicenda.

 E qui occorre riproporre la domanda: “Mussolini era veramente e solamente interessato alla sua salvezza personale ? “ Ancora una volta la mia risposta è NO.

 La sua intenzione, che lo indusse anche a salire sul camion tedesco, era certamente sempre la solita: portare in salvo la documentazione posseduta per poter giocare ancora un ruolo, al momento della negoziazione della pace, nell’interesse dell’Italia. A qualunque costo. Il suo comportamento allorchè fu condotto nel municipio di Dongo, teso soprattutto a far capire l’importanza dei suoi documenti per l’Italia, dimostrano che non era affatto un uomo distrutto e smarrito, bensì un uomo che lottava ancora per uno scopo che trascendeva di gran lunga il suo interesse personale. Ed è da ritenere che egli, lungi dal giacere in una disperata rassegnazione, pensasse ancora di poter fare qualcosa (il comportamento dei partigiani di Dongo autorizza a pensare che essi, a quel momento, non avessero affatto deciso la sua uccisione), ed abbia, quindi, fino all’ultimo, lottato per il suo scopo. Avvalora notevolmente questa ipotesi la preziosa testimonianza di Carradori, al quale, quando si rividero nel municipio di Dongo, Mussolini disse, dopo averlo salutato affettuosamente : “”Coraggio, coraggio Carradori. La partita non è ancora chiusa”” (16). Che cosa poteva intendere ? Secondo Carradori egli pensava ai documenti messi al sicuro, specialmente a quelli nelle mani del ministro Biggini, che questi avrebbe potuto usare, a tempo debito, per ristabilire la verità e rendergli giustizia.

 Le cose, però, andarono diversamente: Mussolini fu ucciso e i suoi famosi documenti non hanno potuto, fino ad oggi, illuminare i punti oscuri di quelle vicende, svelando quelle verità che Mussolini avrebbe voluto svelare.

 

NOTE

                  Milano

(1)   Alessandro Zanella L’ora di Dongo, pag. 25

(2)   Asvero Gravelli Mussolini aneddotico Ed. Latinità Roma 1953 pagg 311 – 313

(3)   Testamento politico di Benito Mussolini, Tosi editore, Roma 1948, pagg 190 – 201

(4)   Enrico De Toma Come ebbi da Mussolini la borsa con il carteggio “Oggi” del 29 aprile 1954

(5)   A. Zanella, op. cit. pag 87

(6)   Fabio Andriola Carteggio segreto Ed. Piemme

(7)   Franz Spoegler L’ultima lettera di Mussolini a Churchill “Epoca” 11 marzo 1957. Il testo, riportato da Duilio Susmel La vera storia di Mussolini inserti da “Il Secolo d’Italia” pag 564 diceva: “” Eccellenza, gli eventi, purtroppo, incalzano. Inutilmente mi si lasciarono ignorare le trattative in corso tra Gran Bretagna e Stati Uniti con la Germania. Nelle condizioni in cui, dopo cinque anni di lotta, è tratta l’Italia,  non mi resta che augurare successo al vostro personale intervento. Voglio tuttavia ricordarvi le vostre stesse parole: “ L’Italia è un ponte. L’Italia non può essere sacrificata”. E ancora quelle della vostra stessa propaganda, che non ha mancato di elogiare ed esaltare il valore sfortunato del soldato italiano. Inutile è, inoltre, rammentarvi quale sia la mia posizione  davanti alla storia. Forse siete il solo, oggi,  a sapere che io non debba temerne il giudizio. Non chiedo quindi mi venga usata clemenza, ma riconosciuta giustizia, e la facoltà di giustificarmi e difendermi. Ed anche ora una resa senza condizioni è impossibile, perché travolgerebbe vincitori e vinti. Mandatemi, dunque, un vostro fiduciario. Vi interesseranno le documentazioni di cui potrò fornirlo di fronte alla necessità di imporsi al pericolo dell’oriente. Molta parte dell’avvenire è nelle vostre mani, e che Dio ci assista. Vostro Mussolini”” Per una serie di ragioni questa lettera, scritta su carta intestata della R.S.I. e datata 24 aprile 1945, pervenne nelle mani di Churchill soltanto il 24 ottobre 1955 in fotocopia fornitagli da Mondadori.

(8)   Luciano Garibaldi Vita col Duce Effedieffe Dedizioni Milano 2001, pag. 60, 61

(9)   Duilio Susmel La vera storia di Mussolini inserti da “Il Secolo d’Italia” pag 564 Il Messaggio telegrafico di Hitler diceva: “” La lotta per l’essere e il non essere ha raggiunto il suo punto culminante. Impiegando grandi masse e materiali, il bolscevismo e il giudaismo si sono impegnati a fondo per riunire sul territorio tedesco le loro forze distruttive al fine di precipitare nel caos il nostro continente. Tuttavia,  nel suo spirito di tenace sprezzo della morte, il popolo tedesco e quanti altri sono animati dai medesimi sentimenti,  si scaglieranno alla riscossa, per quanto dura sia la lotta, e con il loro impareggiabile eroismo faranno mutare il corso della guerra in questo momento storico in cui si decidono le sorti dell’Europa per i secoli avvenire “”

(10)Duilio Susmel  Op. cit. pag 561.  “”Asvero Gravelli vi ha portato a me perché voi volevate vedermi e udire la mia voce. Voi, quanti

      siete, costituirete il Reparto arditi ufficiali della Guardia. Avrete, immediate, le disposizioni per l’impiego. Ma io vi dico che gli eventi che

      maturano vi devono trovare pronti e in piedi. Bisogna battersi come gli eroici fascisti di Firenze, Forlì e Bologna, che contesero il passo

      al nemico. Questa nostra adorabile Patria non deve perire: se l’Italia morisse, non varrebbe la pena di vivere per noi ! Noi

      raggiungeremo la Valtellina per fare il quadrato per l’ultima e disperata difesa: morire col sole in faccia e lo sguardo rivolto alle cime dei

      monti, ultimo sorriso della Patria. L’ora è grave, ma qualunque sia il destino, miei veterani della Milizia, io vi lancio il grido antico e

      nuovo : Uno per tutti, tutti per uno.””

(11)Vittorio Mussolini Mussolini e gli uomini del suo tempo Ciarrapico editore pag. 93

 

Como

                  (12) Susmel Op. cit. pag. 568

(13) Si ipotizza che la puntata su Grandola avesse come obiettivo, appunto, l’incontro con emissari di Churchill, cui Mussolini aveva scritto con

        questo proposito. Vedi nota 7.

Menaggio e Grandola

(14)Luciano Garibaldi, Op. cit. pag 71

(15)Urbano Lazzaro, Dongo, mezzo secolo di menzogne, Mondadori 1993, pag. 126,

Dongo

(16)Luciano Garibaldi, Op. cit. pag 83

 

 

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I DOCUMENTI

 

Ma che documenti erano quelli che Mussolini portava con se e ai quali attribuiva una così enorme importanza? Non si può non pensare che, effettivamente, doveva trattarsi di documenti di importanza estrema. Lo testimonia l’eccezionale interesse che per essi hanno mostrato un po’ tutti.  Fin dal 1944 il presidente del consiglio del regno del sud, Ivanoe Bonomi, incaricò l’industriale Gian Riccardo Cella che sarebbe risalito al nord, di adoperarsi affinchè Mussolini potesse sopravvivere e affinchè venissero recuperati i documenti in suo possesso, fra i quali c’era la corrispondenza fra Mussolini e Churchill (14);  verso la fine dello stesso anno, poi, il quartier generale nemico diffuse il seguente comunicato “”A Villa Feltrinelli, a Gargnano, sul Garda è stato trasportato l’archivio di Mussolini. E’ di eccezionale importanza poiché vi sono conservati i documenti principali degli ultimi vent’ anni ed è necessario per stabilire le responsabilità di Mussolini e del regime fascista. E’ quindi di estremo interesse che non venga danneggiato, disperso o trasferito in Germania. Lo si salvi”” ed è noto quanto i servizi segreti inglesi e americani abbiano brigato, durante e dopo la guerra, per mettere le mani su quei documenti (15) 

   Possiamo, quindi, ragionevolmente essere certi che quei documenti esistevano ed erano importanti.

 Lo stesso Renzo De Felice, nel suo “Rosso e Nero” a pag. 148, accennando ai “fascicoli che Mussolini portava con sé a Dongo” ne conferma l’esistenza dicendo che questi furono portati a Roma da un inviato del CLNAI e consegnati alla Presidenza del Consiglio che rilasciò ricevuta della consegna (ricevuta che, dice De Felice, esiste). Dopo di che, però, (è sempre De Felice che scrive) tali fascicoli sono scomparsi. Il che conferma abbondantemente che esisteva l’interesse di qualcuno molto in alto a farli sparire, probabilmente per compiacere gli inglesi

 E, dagli accenni che più volte ne ha fatto Mussolini, da alcune indiscrezioni che a volta a volta sono trapelate, è probabile che essi potessero provare l’esistenza di ragioni che avevano indotto l’Italia ad entrare in guerra nel 1940, diverse da quelle conosciute. Si è parlato, ad esempio, di pressioni esercitate da Francia e Inghilterra affinchè l’Italia entrasse in guerra con lo scopo di rappresentare una forza moderatrice nei confronti della Germania ove questa avesse vinto e si fosse seduta da vincitrice al tavolo della pace. Mussolini, come nel 1938 a Monaco, avrebbe potuto fare da mediatore e da moderatore per evitare che nei tedeschi prevalesse un duro spirito di vendetta e di desiderio di rivincita per le durissime condizioni che a loro furono imposte a Versailles al termine del primo conflitto mondiale. Si tratta solo di ipotesi, però, anche se avvalorate da quanto pare abbia confidato Biggini al suo segretario, prima di morire (16)

   Tuttavia è incontestabile il fatto che Mussolini possedeva una vasta documentazione che considerava enormemente importante per l’Italia. Tale documentazione che, secondo alcune testimonianze, era stata in precedenza fotocopiata e consegnata ad alcune persone, era contenuta nelle due capaci borse che Mussolini recava con sé dalla partenza da Gargnano e fino a Dongo e da cui da cui non si separava mai. Tali borse caddero nelle mani dei partigiani a Dongo, appunto.

 E che fine hanno fatto tali documenti, cui così tante persone davano la caccia ?

 Riteniamo utile, a questo punto, riportare il testo della conferenza sull’argomento tenuta da Mario Pellegrinetti il 20 giugno 2010 all’Istituto Storico della R.S.I. di Terranova Bracciolini:

                                                   I DOCUMENTI DI MUSSOLINI

 

Inizio con due citazioni: La prima è di Orwell che, nel suo 1984 dice: “chi controlla il passato, controlla il futuro”. E come si fa a controllare il passato ? Scrivendo la storia secondo la propria convenienza, come fanno i vincitori delle guerre.

 “Esistono due storie: la storia ufficiale, menzognera, che si insegna ad usum delphini e la storia segreta, in cui si rinvengono le vere cause degli avvenimenti…” , dice Honorè de Balzac nella sua La Comèdie humaine.

 Ma i vincitori non si limitano a scrivere la storia ufficiale e menzognera. Essi si adoperano con tutti i mezzi affinchè la storia segreta, quella vera, non venga svelata.

 Uno di questi mezzi è quello di far sparire, di nascondere i documenti che potrebbero testimoniare la verità.

 Ed è un po’ quello che che è successo e che sta succedendo con i documenti di Mussolini.

 Oggi io tenterò di ricostruire, quanto meglio potrò, la storia di questi documenti.

 

 

                                                                    L’ARCHIVIO DI MUSSOLINI

Come è a tutti noto, Mussolini aveva, presso la sua segreteria personale, un archivio che definire immenso non è un’esagerazione. Tutti i documenti che, nei venti anni di governo, gli erano passati fra le mani, li aveva conservati e archiviati. Egli non buttava via nulla. Lettere scritte e ricevute, rapporti della polizia, segnalazioni dei servizi segreti, verbali di riunioni…… Tutto trovava ordinata collocazione all’interno del suo archivio. Ogni personaggio di cui Mussolini si era interessato, anche personaggi di non primissimo piano, aveva il suo fascicolo entro il quale c’era tutto ciò che lo riguardava. Quindi ogni personalità italiana o estera con cui aveva a che fare: gerarchi, generali, uomini politici, antifascisti, il re, il principe… aveva il suo fascicolo. E tutto vi veniva conservato accuratamente. Diciamo subito, quindi, che pensare che non esistesse un fascicolo su Churchill è veramente impossibile. Chiusa la parentesi.

 Il 25 luglio 1943, caduto Mussolini, l’archivio rimase alla mercè di Badoglio e dei suoi generali. Subito, prima ancora che si sapesse dell’arresto di Mussolini. Badoglio mandò suoi uomini e frugare nell’archivio e fece immediatamente sottrarre tutti i fascicoli che riguardavano gli alti gradi delle forze armate. Subito dopo, comunque entro i suoi 45 giorni, fece chiudere tutti i documenti dell’archivio in casse che furono spedite in Svizzera non si sa se per iniziativa sua o per sollecitazione di qualche potenza straniera, per esempio la Gran Bretagna. Furono spedite ma non vi giunsero mai. Infatti, liberato Mussolini e costituita la R.S.I. le casse furono ritrovate, con immensa gioia di Mussolini, in un magazzino della stazione di Milano. Mussolini le fece subito portare a Gargnano e controllò personalmente tutto l’archivio. E lo trovò intatto, salvo i fascicoli dei generali sottratti da Badoglio. Quindi a Gargnano Mussolini aveva tutto il suo archivio con tutti i suoi bravi fascicoli fra cui c’era, certamente, anche quello di Churchill.

 

Ed ora vorrei, prima di avventurarmi nella ricostruzione della storia dei documenti, sviluppare due ragionamenti che dovrebbero aiutarci a ritenere non solo possibile, ma addirittura probabile un carteggio segreto fra Mussolini e Churchill. Il primo ragionamento riguarda i

 

                                                          RAPPORTI  FRA MUSSOLINI E CHURCHILL

 

 Dunque: Già nel 1925 Churchill, anticomunista irriducibile, durante una visita a Firenze, aveva manifestato grande apprezzamento per Mussolini e per il Fascismo.

 E nel 1926, come Cancelliere dello Scacchiere, durante la cerimonia per la firma dell’accordo italo-inglese sui debiti di guerra, disse: “”L’Italia possiede un governo che, sotto la guida del signor Mussolini, non si ritrae dalle logiche conseguenze dei fatti economici e che ha il coraggio di imporre i rimedi necessari…. L’Italia aumenta sempre più di importanza sotto la direzione virile e illuminata del suo presente governo che le ha assicurato una magnifica posizione in Europa e nel mondo.””

 E Mussolini ebbe modo in varie occasioni di manifestare la sua stima per Churchill che definì “”il cervello più potente d’Inghilterra, incarnante la coscienza imperiale del suo paese””.

 Questi rapporti di stima e considerazione andarono sempre più crescendo e, nel 1927, i due si incontrarono per la prima volta (che sarà anche l’ultima) a Roma. Churchill era in Italia in visita privata ma aveva espresso il desiderio di essere ricevuto da Mussolini. Gli fu concesso di buon grado e così, il 15 gennaio di quell’anno egli entrò a Palazzo Chigi senza il famoso sigaro. Gli avevano detto che Mussolini non sopportava il fumo ed egli si astenne dal fumare per tutta la durata della visita. Che, dopo i consueti convenevoli, uscito l’ambasciatore inglese che accompagnava l’ospite, durò un’ora e trentacinque minuti e si svolse senza interpreti. Churchill aveva 53 anni e Mussolini 44. Erano due uomini di potere nel pieno della loro carriera e della loro efficienza. Parlarono, pare, in italiano. Ma non fu rilasciato nessun comunicato cosicchè nessuno seppe mai cosa i due si erano detti. Il giorno dopo, però, il “Popolo d’Italia” pubblicò un articolo pieno di elogi e di riconoscimenti, a testimonianza del fatto che il colloquio era stato “positivo e soddisfacente”. Si diceva, fra l’altro: “”Come italiani notiamo con favore la buona amicizia che Winston Cherchill ha per il nostro paese e la stima, che condivide con  sir Austen Chamberlain, verso il nostro Primo Ministro”” Ed anche: “”Coloro che si porranno il problema della resistenza dell’Impero britannico dovranno considerare la solidità di questa figura””

 Ma anche Churchill, prima di lasciare l’Italia, ebbe modo di parlare coi giornalisti e di esprimere giudizi come questo: “”Se fossi italiano sono sicuro che sarei interamente con voi nella vostra lotta vittoriosa contro gli appetiti bestiali e le passioni del leninismo…Internazionalmente il Fascismo ha reso un servizio al mondo intero.”” E, parlando di Mussolini: “”E’ facile accorgersi che l’unico suo pensiero è il benessere durevole del popolo italiano.””

 Il “Popolo d’Italia”, poco dopo, pubblicò in 14 articoli le sue memorie di guerra.

 E questo idillio continuò negli anni.  Nel 1932, ad esempio, durante un convegno antimarxista, Churchill ebbe fra l’altro a dire: “”Il genio romano impersonato da Mussolini, il più grande legislatore vivente, ha mostrato a molte nazioni come si può resistere all’incalzare del socialismo e ha indicato la strada che una nazione può seguire quando sia coraggiosamente condotta. Col regime fascista, Mussolini ha stabilito un centro di orientamento dal quale i paesi che sono impegnati nella lotta corpo a corpo col socialismo non debbono esitare a farsi guidare.””

 Certamente la conquista dell’Abissinia incrinò in qualche misura i rapporti fra i due. Ma la conferenza di Monaco del 1938 e gli sforzi di Mussolini per salvare la pace non poterono non confermare in Churchill l’opinione che Mussolini era un uomo di pace e bisognava tenerselo amico.

 Ancora nel novembre 1939, a guerra ormai iniziata (ma con l’Italia in stato di “non belligeranza”) Churchill ebbe a dire a un giornalista francese – tale Saurwein - : “”Indubbiamente noi abbiamo molti torti nei confronti del signor Mussolini. Ci siamo alienati l’amicizia dell’Italia e sua personale per il nostro maldestro atteggiamento al tempo della guerra d’Etiopia. In politica tutto si paga. Ma si può anche riparare…””

 E, in effetti, ancora il 16 maggio 1940, Churchill scrisse a Mussolini scongiurandolo di evitare la guerra e dichiarando che lui non era mai stato nemico dell’Italia né del suo governo. (notevole, in questa lettera la frase di cui rimarrrà memoria interpretata da qualcuno come un riferimento cifrato a una corrispondenza non ufficiale) Ma ormai le decisioni erano prese. Mussolini, due giorni dopo, rispose che, come l’Inghilterra aveva ritenuto di dover rispettare il patto con la Polonia, così l’Italia riteneva di dover rispettare il patto con la Germania.

 Tuttavia l’ex partigiano Luigi Carissimi-Priori di Gonzaga (Cappuccetto Rosso) che dopo la fine della guerra fu nominato dal CLN vice questore e messo a capo dell’ufficio politico della Questura di Como, afferma di aver visto il carteggio Mussolini-Churchill e dice che c’era una successiva lettera di Churchill a Mussolini in data 9 giugno 1940 nella quale si chiedeva ancora di non scendere in guerra e si offrivano contropartite territoriali notevoli (Nizza, Corsica, Tunisia del Nord, Savoia, Dalmazia nonché il mantenimento dell’Impero).

 Naturalmente non sappiamo quale credito dare a questo signore. Però la situazione non è per nulla chiara. C’è, in particolare, una cosa che mi lascia perplesso e mi fa pensare. Come si conciliano i toni della lettera del 16 maggio (questa è ufficiale e sicuramente vera) di Churchill, nella quale egli si dichiara amico dell’Italia e del suo governo, con le pesanti provocazioni rappresentate dal blocco navale, con sequestri di nostre navi mercantili che mandavano in malora tonnellate di prodotti deperibili procurando danni incalcolabili ? Secondo il Rapporto Pietromarchi dal 1.9.39 al 25.5.40 i sequestri e i dirottamenti furono 1347 con perdite per un miliardo di lire.

 Non si conciliano. Allora proviamo a fare un po’ di fantapolitica.  Come è noto, dai carteggi di cui si parla emergerebbe che Francia e Inghilterra, dopo la dura sconfitta della Francia, avrebbero chiesto all’Italia di entrare in guerra per moderare, una volta seduti al tavolo della pace, le eccessive pretese di Hitler. Se fosse vero questo, si potrebbe allora pensare che le provocazioni inglesi dovessero servire a Mussolini per giustificare, davanti all’opinione pubblica nazionale, la necessità dell’entrata in guerra, mentre la lettera di Churchill “di cui resterà memoria” doveva servire a nascondere, agli occhi del mondo (e, soprattutto, a quelli di Hitler), l’intesa segreta. Così tutto tornerebbe e avrebbe un senso. Ma, dato quel che abbiamo in mano di documenti, questa è, appunto, fantapolitica.

  Torniamo, quindi,  ai rapporti fra i due statisti per ricordare quello che Churchill scrisse, quasi un elogio funebre, dopo il 25 luglio 1943: “”Così finirono i 21 anni della dittatura di Mussolini in Italia, durante i quali egli aveva sollevato il popolo italiano dal bolscevismo, in cui avrebbe potuto sprofondare nel 1919, per portarlo in una posizione in Europa quale l’Italia non aveva mai avuto prima. Un nuovo impulso era stato dato alla vita nazionale. L’impero italiano nell’Africa fu fondato. Molte importanti opere pubbliche in Italia furono completate. Nel 1935 il Duce con la sua forza di volontà aveva sopraffatto la Lega delle Nazioni ed era riuscito a conquistare l’Abissinia. Egli era, come ebbi a scrivere in occasione del crollo della Francia, il “legislatore d’Italia”. Le grandi opere che egli costruì resteranno un monumento al suo prestigio personale e al suo lungo governo.””

 

Il secondo ragionamento riguarda quel che accadde durante i primi sette mesi di guerra, cioè dal 1 settembre 1939 fino alla primavera del 1940.

 

                                                                                    I PRIMI SETTE MESI DI GUERRA

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 Nei sette mesi intercorsi fra l’attacco alla Polonia e l’inizio dell’offensiva tedesca contro la Francia, erano accaduti fatti strani e notevoli. Li elenco:

1)      Francia e Inghilterra avevano dichiarato guerra alla Germania ma, in realtà, praticamente non si erano mossi. Al fronte c’era una calma irreale. Si parlava di guerra stramba (drole de guerre), guerra vaga (twilight war), guerra falsa (phoney war), guerra seduta (Sitzkrieg). In realtà sia l’Inghilterra che la Francia non avevano nessuna voglia di battersi, l’opinione pubblica dei due paesi era fortemente contraria alla guerra e i tentativi di pervenire ad un accordo sicuramente ci furono. Daladier, per esempio, contattò Mussolini chiedendogli di interporre la sua mediazione come aveva fatto a Monaco nel 1938. Così come, anche da parte di russi e tedeschi, che avevano occupato insieme la Polonia, ci fu la proposta di riconoscere lo statu quo e di sospendere le ostilità.

D'altra parte le potenze occidentali non potevano non considerare che, battuta la Germania, l'espansionismo russo verso occidente non avrebbe avuto più freno. Esso si era già manifestato con l'aggressione alla Polonia e  con l'attacco alla Finlandia. E continuerà a manifestarsi entro breve con l'occupazione delle repubbliche baltiche (14-17/6/40). E i fatti dimostreranno che era vero. Nel 1945, a Germania battuta, i Russi erano a Berlino e avevano fagocitato tutta l'Europa orientale.

2)      La Russia, dunque, il 30.11.1939, aveva attaccato la Finlandia e questo attacco aveva suscitato maggior indignazione di quello alla Polonia. Un’ondata di risentimento verso la Russia sovietica, che fu subito espulsa dalla Società delle nazioni, fortemente alimentata da tutta la stampa, investì tutto l’occidente. Tutti, Italia compresa, mandarono aiuti alla Finlandia. L’Inghilterra, addirittura, impiegò ben più mezzi per aiutare la Finlandia di quanti ne impiegava contro i tedeschi. In Italia l’opinione pubblica era fortemente favorevole alla Finlandia. Famose le illustrazioni di Beltrame e di Molino sulla Domenica del Corriere. Un curioso riferimento personale: i nove primi venerdì del mese ci si comunicava per chiedere una grazia speciale. Io li feci auspicando la vittoria della Finlandia. Tale fu l’ondata di indignazione contro l’U.R.S.S. che si pensò perfino a un attacco di tutte le forze dell’occidente, Germania compresa, contro di essa. I giornali ne parlarono apertamente e i generali francesi elaborarono addirittura dei piani di attacco. Non solo è credibile che in tali circostanze ci siano stati contatti segreti (sempre ci sono, ad affiancare la diplomazia ufficiale) fra Mussolini e Churchill, ma, addirittura è poco credibile che non ce ne siano stati. Non abbiamo, però, nessuna documentazione. Abbiamo, tuttavia, la lettera che Mussolini scrisse a Hitler il 3 gennaio 1940 e di cui conservò gelosamente la minuta. E’ una lettera molto interessante perché è stata scritta proprio nel periodo in cui circolavano le voci di un possibile rovesciamento di fronte con conseguente attacco alla Russia e se non è una esplicita esortazione a prendere in considerazione questa ipotesi poco ci manca. In essa, infatti,  M. fa un’ampia analisi della situazione del momento. Parla della guerra Russo-Finlandese e dice che l’Italia ha molta simpatia per quel piccolo eroico popolo, che in suo aiuto sono stati inviati 26 aerei e che ci sarebbero migliaia di volontari pronti ad andare a combattere al suo fianco. Ma, soprattutto, parla del patto di non aggressione russo-tedesco, stipulato il 23.8.1939. Dice che comprende le ragioni tattiche della Germania ma avverte che ove si realizzasse una alleanza più stretta fra Germania e Russia questo “avrebbe conseguenze catastrofiche in Italia” ove l’anticomunismo è molto vivo. Dice che Hitler non potrà distruggere l’impero inglese perché gli Stati Uniti non lo permetterebbero e che, comunque, lo spazio vitale per la Germania non è a ovest ma a est.

 

Hitler non rispose subito (ma soltanto il 6 marzo 1940) e le cose andarono come ben sappiamo.

 

                                                                      R.S.I. – SI COMINCIA A PARLARE DEI DOCUMENTI

Saltiamo tutte le vicende che si susseguirono fino al 1943 e arriviamo alla R.S.I. Come abbiamo detto Mussolini ha recuperato alla stazione di Milano, quasi intatto il suo archivio. Questo archivio è da tutti giudicato importantissimo. Soprattutto nella parte che riguarda i rapporti internazionali e, in particolare, il carteggio Mussolini-Churchill e il carteggio Mussolini-Hitler.

 E l’interesse, anzi il grande interesse che molti hanno mostrato per tali documenti non può che dimostrare non solo la loro esistenza ma anche la loro grande importanza.

Già il presidente del consiglio del regno del sud, Bonomi, aveva mostrato tale interesse e aveva cercato di far qualcosa affinché tali documenti, “considerati importantissimi per l’Italia” fossero salvati e conservati. Ma, primo fra tutti, a dichiarare estremamente importanti quei documenti è in svariate occasioni lo stesso Mussolini, che in più riprese ne consegnò alcuni a Biggini il quale li conservava per potere, quando possibile, scrivere la vera storia contenuta in tali documenti. Ma, come vedremo, non si limitò a questo e pare cercasse di affidarne la conservazione a varie persone in vari luoghi e a farne molte fotocopie.

 Nino D’Aroma, ad esempio, che era direttore dell’Istituo “LUCE”, racconta che un giorno del febbraio 1945 Mussolini lo convocò e lo consultò sulla possibilità di fare le fotocopie di oltre ducento documenti “importantissimi” e “segretissimi”. Allora non c’erano le fotocopiatrici di ora per cui bisognava affidarsi ai fotografi dell’Istituto, di cui c’era poco da fidarsi. Comunque in qualche modo di fotocopie ne sono state fatte molte.

 E sembra verosimile che abbia usato come corrieri per disseminare in Europa documenti o fotocopie di documenti, dei giovani militari della RSI, che difficilmente avrebbero potuto essere individuati come corrieri in possesso di carte importanti. C’era, o, per lo meno, si è parlato di un progetto di Pavolini consistente nel cercare di disseminare in Europa le cosiddette “uova del drago”, cioè materiali utilizzabili, a guerra persa, per far risorgere il Fascismo o, per lo meno, per salvaguardarne l’immagine e fra sopravvivere i suoi ideali. Può darsi che l’invio di questi documenti per mezzo di giovanissimi corrieri rientrasse il quel piano.

 Così abbiamo il caso di un “corriere” utilizzato da Mussolini per inviare  documenti a Zurigo.  Sarebbe stato un artigliere alpino del Btg.  Vicenza, un ragazzo di 20 anni, Gianmaria  Capponago.

Egli, il 5 aprile 1945 fu richiesto da Mussolini, presso il quale si era recato per conto del suo comandante, di andare a Zurigo per consegnare 36 fotocopie di documenti, i quali si sarebbero aggiunti a più di 100 altri che già erano stati spediti colà. L’8 aprile gli furono consegnati, insieme ai documenti fotocopiati, un documento di viaggio e 500 franchi svizzeri con tutte le istruzioni necessarie. Il 9 egli era a Zurigo e, all’hotel  Kursaal si incontrò con un certo avvocato Muller cui consegnò i documenti.

 Ma c’è anche il caso del giovane sottotenente della GNR Enrico De Toma, del quale mi propongo di parlare diffusamente, perché è il caso che fece più scalpore fra quelli legati ai documenti di Mussolini. Anche perché lui i documenti che aveva li ha effettivamente tirati fuori. Erano veri ? Erano falsi ? Ne parleremo.

C’è, poi, da dire dello spasmodico interesse mostrato dai servizi segreti nemici, specie inglesi, ma anche svizzeri, che cercarono in ogni modo di recuperare tali documenti ovunque si trovassero. Lo stesso Churchill, come è noto, fu in Italia subito dopo la cessazione delle ostilità e soggiornò a lungo sul lago di Como, proprio in quella villa Apraxin dove, a suo tempo, erano stati custoditi una parte dei documenti di Mussolini catturati dai partigiani e recuperati dagli inglesi.. Vediamo, allora, le strade seguite da questi documenti.

 

                                                         CATTURA DI MUSSOLINI. STORIA DEI DOCUMENTI

E veniamo agli ultimi giorni di Mussolini e alla sua cattura sul lago di Como. Come è noto Mussolini aveva portato con sé, in più borse (una la portava sempre con sé, una l’aveva Vito Casalinuovo e anche Marcello Petacci aveva dei documenti), i documenti da lui giudicati più importanti.

Alle 17,30 del 27 aprile 1945 egli è nel salone del municipio di Dongo  e il comandante Pedro ( Pier Bellini Delle Stelle) riceve da lui la famosa grossa borsa di cuoio. “Fate attenzione” dice Mussolini “Badate che fra questi documenti ve ne sono alcuni molto importanti per il domani dell’Italia”. Pedro, forse impressionato da queste parole, provvide a fare, insieme a due testimoni, un inventario del contenuto. Si trattava di quattro voluminosi fascicoli così intestati:

1)      “Varie” che conteneva molti documenti su cui era annotato in rosso “Segreto”

2)      “Processo di Verona”, con tutti gli incartamenti del processo

3)      “Umberto di Savoia” con rapporti infamanti sulla vita privata del principe

4)      “Corrispondenza Mussolini-Hitler” con tutte le lettere anche autografe dei due.

Come si vede non si parla, qui, di carteggio con Churchill. Ma bisogna dire che una seconda borsa fu sequestrata a Vito Casalinuovo, aiutante di campo del Duce e che i documenti in essa contenuti furono inseriti nella prima borsa e il partigiano Bill (Urbano Lazzaro) afferma di aver visto una cartella grigia con sui scritto “Churchill”.

 La borsa, dunque, fu affidata a Bill affinché la mettesse al sicuro ed egli, insieme a uno svizzero (probabilmente dei servizi segreti svizzeri) si presentò alle ore 19 dello stesso 27 aprile alla filiale di Domaso della Cassa di Risparmio delle province lombarde e depositò la borsa previa redazione di un verbale di consegna sottoscritto da sette persone.

 Nei giorni successivi, però, accaddero molti fatti: l’uccisione dei gerarchi e lo scatenarsi della caccia ai valori (che molti uomini della colonna Mussolini avevano cercato di nascondere in zona) e a documenti veri o presunti da parte di servizi segreti vari e anche da civili. Per cui Pedro e Bill, recuperata la borsa nel pomeriggio del 2 maggio, la consegnarono a Don Franco Gusmaroli parroco di Gera Lario (e, particolare interessante, sarà proprio in questa zona che, quattro mesi dopo, verrà a soggiornare Churchill) che la nascose nella sua chiesa.

  Quindi furono presi accordi per la consegna al comando del C.L.N., consegna che avvenne il 4 maggio a Como presso il comando piazza partigiano, ma pare ci sia stato un passaggio di mano complesso fra la federazione comunista, il CVL di Lecco, il principe Aldovrandi, il colonnello partigiano Morandi e Moretti.

 Poco dopo la avvenuta consegna cinque membri di quel comando-piazza di cui tre comunisti andarono alla Fototecnica di Gallarate ove  fotocopiarono un buon numero di documenti. Successivamente, alla presenza del colonnello Sardagna, rappresentante di Cadorna,  ci fu una spartizione, un saccheggiamento di quei documenti. Ognuno prese quel che gli interessava. Il fascicolo su Umberto di Savoia sparì in questa occasione. Solo ciò che rimase fu poi consegnato al governo di Roma.

 Che si presume li abbia collocati nell’archivio di stato. E, in effetti, Arrigo Petacco dice di aver trovato nell’archivio un fondo di una trentina di fascicoli denominato “Le carte della valigia” e di averlo esaminato. E, infatti, nel suo libro sull’argomento, elenca tutti i documenti del fondo. E qui si ha la prima sorpresa. Quei documenti, infatti, salvo la corrispondenza con Hitler, hanno uno scarsissimo valore e non si comprende perché Mussolini li ritenesse così importanti. Tanto che viene il dubbio che quei documenti non fossero nelle famose borse, salvo il fascicolo della corrispondenza con Hitler, che sappiamo esserci stato. E c’è un altro fatto che mi lascia perplesso. Petacco ha pubblicato il suo libro nel 1985. Dieci anni dopo, nel 1995 Renzo De Felice pubblica il suo “Rosso e Nero” e, a pag. 148 dice: “”Molto più interessante sarebbe recuperare certi fascicoli che Mussolini portava con se a Dongo, che sono arrivati a Roma; portati alla presidenza del Consiglio da un inviato del CLNAI (esiste la ricevuta della loro consegna) e poi….scomparsi). Ma allora come stanno le cose ?

 E non è tutto. Nel 1950 la giornalista Flora Antonioni rivelò che era stata al Viminale dove, con il placet di Mario Scelba,  aveva potuto leggere e fotografare le lettere di Claretta Petacci a Mussolini (che, anche quelle, venivano dall’archivio). Ma raccontò anche che il prefetto di Ferrara, che la accompagnava, gli mostrò una busta gialla di circa 40 cm per 25 dicendole: “Questo sarebbe il colpo grosso; altro che le lettere di Claretta”. Sulla busta, sigillata con tre sigilli, c’era scritto Carteggio Churchill-Mussolini.

 

Comunque questo è solo il percorso, diciamo così, ufficiale, dei documenti fino a quella che sarebbe la loro sede naturale. Ma di documenti non ci sono soltanto quelli, come vedremo.

 Ritorniamo a Como 1945.

Molte fotocopie e, probabilmente anche molti originali andarono al partito comunista. In questa occasione fu redatto un curioso verbale nel quale si dichiarava che fra quelle carte NON c'era il carteggio Mussolini-Churchill. Perché fu dichiarato ? Tale dichiarazione non era richiesta per cui appare veramente curiosa e sospetta.

Diversa la dichiarazione dell'allora prefetto di Como Virgilio Bertinelli che, invece, dice di aver visto nelle carte i nomi di Churchill e di Eden. Egli dice che i documenti più importanti furono depositati in un magazzino dei vigili del fuoco di Como il 9 maggio e, successivamente, per non consegnarli né al CLN né agli alleati, lui e il Questore Grassi li nascosero nell'imbottitura di una cavallina accatastata con altri attrezzi nei locali della Ginnastica Comense allora non attiva. Se non che il vice questore comunista Cappuccio (uno dei tre a saperlo) parlò con ufficiali alleati e, in seguito a ciò, il 22 maggio il Capitano Malcom Smith piombò lì con un ordine di sequestro, andò diretto dove era la cavallina , la sventrò e si prese i documenti. Subito li portò al comando britannico che aveva sede a Moltrasio nella villa Apraxin dove, due mesi dopo, soggiornerà proprio Wiston Churchill.

 Il 2 luglio, poi, il giornale americano delle forze armate "Stars and Stripes"parlava di documenti segreti di Mussolini che erano all'esame del Quartier Generale di Caserta.

 C'è, infine, la dichiarazione di Pertini a Gianni Bisiach nella quale dice che lui crede corrisponda a verità la presenza di lettere fra Mussolini e Churchill scritte anche durante la guerra.

  E qui finisce la storia delle carte prese a Mussolini all'atto del suo arresto.

 

Comunque di molti di quei documenti pare certo che lo stesso Mussolini avesse fatto  fare, come ho detto, delle fotocopie per metterle al sicuro, forse anche insieme a qualche originale particolarmente importante, in vario modo.

E, qui, esaminiamo rapidamente alcune piste che conducono a questi documenti. Si tratta di storie vere ? Si tratta di storie di fantasia ? Non abbiamo elementi per emettere giudizi certi. Possiamo dire che molte storie appaiono verosimili anche per certi avvenimenti legati ai personaggi coinvolti che sembrerebbero convalidarne la veridicità. Certo è che le autorità antifasciste del dopoguerra hanno sempre cercato di far giudicare falsi tutti i documenti che di volta in volta sono emersi. Salvo, però, cercare in ogni modo di appropriarsene.

 

Dunque:

1)      A più riprese Mussolini avrebbe, come ho già detto,  consegnato al Ministro Biggini copie di documenti da Biggini considerati importantissimi. Tali documenti, conservati in una cartella di marocchino rosso nel suo studio a Villa Gemma (fra Gardone e Maderno), non poterono essere recuperati da Biggini al momento del crollo,  poiché, poco dopo, egli morì per un tumore. Pare che i diari di Biggini venissero recuperati da una amica dei Biggini, Mariuccia Tumminelli, la quale li avrebbe poi consegnati agli inglesi. Essa li aveva ricevuti dall’antiquario Triboldi, proprietario della villa Gemma abitata dai Biggini, il quale poté entrare nella casa subito dopo la partenza dei suoi inquilini e recuperò, probabilmente, anche la cartella.(1)  E non si sa cosa ne fece. Può darsi che l’abbia consegnata gratuitamente o a pagamento a qualcuno. Certamente non l’ha tenuta lui. I diari di Biggini furono restituiti alla famiglia diverso tempo dopo con delle pagine mancanti.

 

2)      Pare che Mussolini, nel febbraio-marzo 1945 abbia consegnato a Hidaka, ambasciatore giapponese in Italia, carte importanti oltre ai suoi diari affinché li ponesse in salvo in Svizzera, cosa che Hidaka pare facesse scrupolosamente. Dopo la guerra, però, Hidaka non confermò mai tali fatti, e quando la famiglia Mussolini tentò di recuperare quelle carte, l’ambasciata giapponese di Berna sostenne che tutte le carte dell’ambasciata erano state distrutte nell’imminenza della fine. In un’epoca successiva il ministero degli esteri giapponese ebbe a rispondere a chi gli chiedeva notizia delle carte di Mussolini avute da Hidaka: “Il barone Hidaka ha consegnato tutti i suoi carteggi al ministero ed essi sono coperti da segreto”. In un colloquio che Piero Buscaroli ebbe con Hidaka nel 1966 Hidaka disse che i diari ricevuti da Mussolini furono rubati all’ambasciata giapponese di Ginevra nei giorni convulsi della fine.

      Comunque Hidaka, dopo un processo in cui venne assolto o che, comunque, non ebbe per lui gravi conseguenze, ebbe attenzioni amichevoli dagli

      americani, tanto che De Felice si chiede se il prezzo della sua salvezza non siano state le carte di Mussolini consegnate agli americani.

3)      Tommaso David è un altro personaggio abbastanza complesso che avrebbe avuto in consegna da Mussolini due valigette di documenti da portare a Merano dove avrebbe dovuto riconsegnarle a Mussolini stesso che proprio lì in Alto Adige avrebbe avuto intenzione di ritirarsi. Mussolini, però, non andò mai a Merano e le due valigette rimasero a Tommaso David. Egli aveva avuto una vita intensa e avventurosa e, durante la RSI, era a capo di un gruppo speciale autonomo che aveva come nome di copertura “Allevamento volpi argentate”  e conduceva sofisticate operazioni di sabotaggio e informazione dietro le linee. Secondo la figlia egli avrebbe avuto frequenti contatti con Mussolini e avrebbe organizzato incontri di questi con emissari inglesi. Dopo la guerra i servizi segreti inglesi e, poi, anche italiani, avrebbero dato la caccia ai documenti in suo possesso. Alla fine, secondo la figlia, egli avrebbe consegnato i documenti agli inglesi tramite il Vaticano, in cambio della promessa di Churchill di far sì che l’Istria rimanesse all’Italia (promessa, evidentemente, non mantenuta).  Secondo, invece, un certo Prof. Penitenti, al quale il David avrebbe chiesto di custodirgli i documenti, questi vennero consegnati, nel 1951, a De Gasperi tramite un assessore regionale della D.C. a Merano alla presenza sua e di altri. Da notare che lo stesso De Gasperi parla di questo David dicendo che egli si dichiarava in possesso del carteggio famoso e che era disposto a consegnarlo dietro assicurazione che sarebbero state abrogate le leggi eccezionali contro il Fascismo. Sempre De Gasperi, però, dice che lui non credette alla cosa e interruppe le trattative che erano iniziate tramite i servizi segreti.

      Tutto è abbastanza complicato e fumoso. Sta di fatto che egli, nel marzo 1957 ricevette, caso abbastanza strano per un fascista, una Medaglia d’Oro al

      valor militare. Forse una ricompensa per la consegna dei documenti ? E, fatto ancora più strano, prima di morire (novembre 1959 a 84 anni) egli scrisse

      in un articolo sul Tempo di Roma: “Affermo in maniera inequivocabile che le lettere scritte da Churchill durante il periodo bellico erano al  tempo di

     Dongo e sono tuttora nelle mani di persona degna della più alta considerazione. Stiano tranquilli gli italiani tutti, che quei documenti di enorme importanza

     avranno la  funzione alla quale Mussolini li aveva destinati.”

       Vedi anche la testimonianza della figlia di David che dice, addirittura, di aver ricevuto una visita da Churchill che stava cercando suo padre

 

4)   Probabilmente anche i Petacci, Marcello e la stessa Claretta, hanno avuto a che fare con i documenti e con i presunti contatti con gli inglesi. Pare che Marcello, che si recava spesso in Svizzera, tenesse con costoro regolari contatti, forse anche con lo stesso ambasciatore Sir John Clifford Norton. Pare anche che, con la mediazione di Marcello, Mussolini abbia affidato a un segretario del consolato spagnolo a Milano,  Don Fernando Canthal y Giron, che incontrò più volte, una lettera scritta il 25 aprile a Milano e indirizzata all’ambasciatore Norton. Certo è che tutti i documenti che Marcello Petacci poteva avere con se, finirono nelle mani dei partigiani di Dongo.

 

5)      Occorre, infine, ricordare la complicatissima storia di Aristide Tabasso. Era un agente del Servizio informazioni segrete della Marina che nel 1940 si trovava ad Addis Abeba. Fatto prigioniero dagli inglesi, nel 1942 egli trova modo di essere rispedito in Italia, forse in veste di spia al servizio degli inglesi – come essi credevano – ma, forse e più probabilmente, in veste di “doppiogiochista”. Per ragioni non del tutto chiare egli è vittima di sospetti e, durante il periodo badogliano, viene arrestato. E rimarrà in carcere anche dopo l’8 settembre, fino al 20 luglio 1944. Dopo di che pare abbia avuto importanti e misterisi incarichi dalla RSI e dai tedeschi sempre nell’ambito dell’attività dei servizi segreti. Il primo agosto 1945, poi, prende servizio, incredibilmente, come capitano ausiliario, presso il comando di Pubblica Sicurezza di Verona. E tra il 1945 e il 1946, collaborando coi servizi segreti alleati, pare abbia trovato il famoso carteggio Mussolini-Churchill. Avutone il possesso, pare che lui, fervente monarchico, abbia subito deciso di consegnarlo al re. E pare certo che egli fece tale consegna, prima del 2 giugno 1946, al re Umberto II, ricevendone in cambio il titolo di commendatore della Corona d’Italia e una foto del re con autografo. Anni dopo, nel 1957, il figlio di Tabasso passa a Mario Tilgher le carte del padre e Tilgher pubblica un libro Su onda 31 Roma non risponde. Ma il libro, appena pubblicato, viene sequestrato e sparisce dalla circolazione. Anni dopo Umberto II, interrogato a proposito dei documenti, asserisce che tutte le carte fatte pervenire a suo tempo al sovrano sono rimaste in Patria. Ma nessuno sa dove si trovino.

6)      Probabilmente l’invio di documenti in piccole quantità continuò ancora e l’ultimo quasi certamente sarebbe stato quello affidato a un giovanissimo tenente della G.N.R., Enrico De Toma, di soli 20 anni. Egli sarebbe stato convocato in Prefettura alle ore 14 dal colonnello Giuseppe Gelormini il quale, dopo breve colloquio, lo introdusse da Mussolini che, esaminatolo, dette incarico a Gelormini di affidargli la missione. Ed egli, il 23, la eseguì portanto a Ginevra e consegnando a un ebreo italiano di cui si ignora il nome, una borsa piena di documenti. Tra il 24 e il 25 aprile egli torna a Milano e riferisce a Gelormini il quale gli dice che Mussolini o una seconda persona o lui stesso ritireranno i documenti a tempo debito. Ove queste persone dovessero morire, dovrà lui stesso, trascorsi sei anni, il De Toma, ritirarli e usarli nell’interesse della Patria. Trascorsi i sei anni, egli tornò a Ginevra e recuperò i documenti, sistemandoli in una cassetta di sicurezza. E qui comincia una storia che coinvolgerà molte persone e che finirà col fare acquisire al De Toma la fama di falsario in quanto tali documenti risultarono – o si fecero risultare – dei falsi. In realtà ci fu un grande interesse per quei documenti, perché c’era anche una lettera che De Gasperi avrebbe scritto agli alleati chiedendo il bombardamento di Roma. Dal De Toma, prima da solo, poi con i suoi soci che erano due industriali, i documenti prima furono offerti al governo, tramite Enrico Mattei e Andreotti, chiedendo in cambio autorizzazioni a esportare del riso, ma la cosa, malgrado le buone prospettive di riuscita, non andò in porto perché La Malfa, ministro del commercio estero, si oppose. Però non mancò certo l’interesse: i servizi segreti diedero loro la caccia accanitamente. Evidentemente il governo era interessato. Ma De Toma, visti vani i tentativi di vendere i documenti al governo, si rivolse alla stampa. E il “Corriere Lombardo” pubblicò un appunto del Duce, una lettera di Churchill a Mussolini del 20.3.45 e una di Mussolini a Churchill del 21.4.45. Ci fu molto rumore e fioccarono subito accuse di falso. Umberto Focaccia, però, perito del Tribunale di Milano dichiarò autentiche le firme dei due statisti. A questo punto entra in scena padre Zucca, un francescano di Milano, che va in Svizzera, incontra il De Toma, vede alcune fotocopie, poi ha un nuovo incontro insieme al Prof. Giuseppe Vedovato esponente D.C. il quale non escluse un accordo, che, però, non ci fu. Intanto il De Toma trattava con la Mondadori che fece esaminare tutte le fotocopie al prof. Mario Toscano. Il prof. Mario Toscano, esperto del Ministero degli Esteri non fu così sicuro ma disse che le carte filigranate erano autentiche e le firme di Mussolini e Churchill erano verosimili. Anche l’affare con Mondadori non andò in porto e, allora,  il De Toma si rivolse alla Rizzoli che li comperò. Era il 1953.

            E il 24 gennaio 1954 Guareschi, direttore del settimanale pubblicò un violento attacco a De Gasperi (che aveva voluto la caduta del governo Pella), a

            corredo del quale pubblicava  una lettera di De Gasperi che, nel 1944,  chiedeva agli alleati il bombardamento di Roma.  De Gasperi, naturalmente,

            accusò di falso Guareschi, il direttore di Candido, ammise che la  lettera gli era stata già mostrata e offerta in cambio di favori e lui l’aveva rifiutata (senza,

           per altro, denunciare il tentativo di ricatto ai carabinieri, come sarebbe stato logico)  e querelò Guareschi. Ci fu il processo e fu uno strano processo.

           Infatti fu ascoltato il Ten Colonnello A.D. Bonham Carter cui le lettere erano indirizzate e questi disse di non aver mai visto tali lettere. Il che era

           inevitabile, poiché le lettere sarebbero state intercettate prima di giungere al destinatario. La cosa singolare fu che venne rifiutata ogni perizia calligrafica e,

           in sostanza, ci si basò soltanto sulle dichiarazioni di De Gasperi. E Guareschi finì in carcere per un anno.  La condanna, però,  fu “per diffamazione” e non

          ci fu nessuna dichiarazione di falsità del documento.

            Rizzoli riprese la pubblicazione dei documenti sul settimanale Oggi ma, dopo tre puntate, la pubblicazione venne interrotta senza spiegazioni convincenti.

            Era il 1954. Nello stesso anno il De Toma venne arrestato e processato. E, in questa sede, finalmente i documenti vennero dichiarati tutti falsi. Ma con

           una procedura tormentata e anche un po’ strana. Infatti la terna di esperti incaricata di accertare il falso concluse i lavori dicendo che  non era possibile

           stabilire senza ombra di dubbio la falsità dei documenti. Allora il tribunale chiamò un altro esperto, uno solo, e questi, finalmente dichiarò che i documenti

           erano falsi. Con grande tripudio di De Gasperi e di tutta la D.C. E non basta. Ci fu il sospetto che il documento esaminato dall’esperto (parliamo della

           lettera di De Gasperi) non fosse lo stesso che Guareschi aveva pubblicato. Insomma, malgrado la sentenza, è rimasta in molti la convinzione che quei

           documenti, in parte falsi, fossero mischiati con dei documenti che,  invece, erano autentici. Il De Toma, intanto, rimase poco in carcere.Dopo poco, con

           documenti falsi, si portò prima in Svizzera e poi in Francia dove, nel novembre 1954, fu fotografato mentre, ben provvisto di documenti e di denaro, si

           imbarcava su un aereo per il Brasile, da dove non è più tornato.

      Ma quali erano questi documenti ?

      Petacco parla di originali (non fotocopie) mostrategli dal giornalista Alessandro Minardi,  che fu amico e stretto collaboratore di Guareschi.

      1 – Lettera di Churchill a Mussolini del 14 marzo 1940. Invito a non entrare in guerra con offerta di revisione delle frontiere del Kenia e dell’Uganda.

      2 – Risposta negativa di Mussolini

      3 – Lettera di Churchill a Grandi del 7 aprile 1940 con preghiera di sostenere con Mussolini le sue richieste. (Anche dai diari di Ciano emergono dei contatti con la diplomazia inglese che non contrastano con questi carteggi).

      4 – Lettera di Mussolini a Grandi del 16 aprile nella quale si parla di un “patto” da sottoscrivere con gli inglesi. (Mussolini appare molto sicuro di sé. Il 10 aprile i tedeschi hanno invaso la  Norvegia e gli inglesi “hanno ormai i tedeschi in casa”)

      5 – Ed ecco il “patto” in un documento secret in cui, sostanzialmente, si propone un accordo secondo il quale l’Italia, anche in caso di vittoria dell’Asse, avrebbe protetto gli interessi dell’Inghilterra, che avrebbe fatto altrettanto nei confronti dell’Italia sostenendone “le rivendicazioni dell’Italia contro la Francia e nel restaurare il diritto dell’Italia nel Mediterraneo.”  (2)

      6 – Risposta di Mussolini del 16 aprile, di sostanziale accordo salvo garanzie e precisazioni

      7 – Risposta affermativa con accettazione delle controproposte di Churchill del 27 aprile, con espressioni di gratitudine.

      8 – Lettera del Re a Mussolini del 2 maggio che dimostra come il Re fosse tenuto al corrente di tutto.

      9 – Lettera di Mussolini a Churchill nella quale si dice di aver ottenuto l’assenso del sovrano e si accenna a un incontro di Loraine (ambasciatore inglese a Roma) con il sovrano. E di questo incontro si trova traccia nei diari di Ciano.

     10 – Copia del messaggio ufficiale del 16 maggio 1940 (invito a non entrare in guerra). Ma con data del 15, più corto e più amichevole. Si spiegherebbe la frase di quello ufficiale “di cui resterà memoria”.

      11 – Lettera del re a Mussolini del 6 luglio in cui si invita a tener conto delle buone proposte dell’Inghilterra.

      12 – Lettera di Churchill a Mussolini del 20 luglio nella quale si dichiarano accettabili le proposte di Mussolini (che, però, non sono nel carteggio). Si parla di sostegno alle riven dicazioni italiane contro la Francia. Non c’è la risposta di Mussolini.

      13 – Dopo un lungo vuoto c’è la lettra di Churchill del 5 maggio 1941. in cui si tenta ancora un accordo. “Non sarebbe mossa saggia rivedere la posizione dei nostri paesi ?” che salverebbe anche l’Abissinia. Non abbiamo la risposta di Mussolini.

      14 – Altro lungo vuoto poi la lettera di Churchill del 10 novembre 1943. In essa Churchill chiede la restituzione delle sue lettere e dice che il governo inglese potrebbe riconoscere il Governo della RSI. E, in un foglio a parte, si chiede di specificare i vari corpi della RSI con divise e fregi, al fine di poterli identificare come militari regolari.

   15 – Lettera di Churchill del 20 marzo 1945. Si parla di richieste che dovranno essere rispettate e si assicura che la sicurezza di Mussolini sarà garantita. Si parla ancora di amicizia personale.

   16 – Lettera di Churchill del 31 marzo 1945. Si dice che le richieste di Mussolini sono state tutte accettate e si rassicura ancora sulla sicurezza di Mussolini e della sua famiglia.. Parla della sua “ammirazione personale per voi”.

   17 – Lettera di Hitler che lo invita a trasferirsi in Germania.

   18 – Lettera di Mussolini a Churchill del 21 aprile 1945. In essa Mussolini accetta le proposte espresse nelle precedenti lettere e impone  le sue condizioni:

      a – Resa condizionata e onorata della RSI

            b -  Onore delle armi a tutte le forze della RSI

            c -  Nessuna violenza contro gli uomini della RSI

      In cambio il plico con le lettere sarà – brevi manu – personalmente consegnato.

      Lettera sconcertante. E’ vera ? Allora Mussolini aveva in mano veramente una documentazione di importanza enorme. E’ falsa ? Ma è possibile che dei falsificatori così abili, informati e intelligenti, abbiano prodotto una lettera così inverosimile ?

     

 

7)      E, infine infine, ricordiamo la lettera che Mussolini avrebbe inviato a Churchill il 24 aprile 1945. Questa lettera fu tirata fuori nel 1950 da un certo Franz Spoegler, albergatore altoatesino che nel 1945 era un tenente delle SS addetto alla persona di Claretta Petacci. Egli disse che la lettera gli era stata consegnata da Mussolini il 24 aprile incaricandolo di tentare ogni mezzo per farla pervenire a Churchill. Egli non riuscì a farlo e tenne nascosta la lettera fino, appunto, al 1950. La lettera diceva: “”Eccellenza, gli eventi, purtroppo, incalzano. Inutilmente mi si lasciarono ignorare le trattative in corso tra Gran Bretagna e Stati Uniti con la Germania. Nelle condizioni in cui, dopo cinque anni di lotta, è tratta l’Italia non mi resta che augurare successo al vostro personale intervento. Voglio tuttavia ricordarVi le vostre stesse parole: - L’Italia è un ponte. L’Italia non può essere sacrificata -. Ed ancora quelle della vostra stessa propaganda che non ha mancato di elogiare ed esaltare il valore sfortunato del soldato italiano. Inutile è inoltre rammentarVi quale sia la mia posizione davanti alla Storia. Forse siete il solo, oggi,  a sapere che io non debba temerne il giudizio. Non chiedo quindi mi venga usata clemenza, ma riconosciuta giustizia, e la facoltà di giustificarmi e difendermi. Ed anche ora, una resa senza condizioni è impossibile perché travolgerebbe vincitori e vinti. Mandatemi dunque un Vostro fiduciario, Vi interesseranno le documentazioni di cui potrò fornirlo, di fronte alle necessità di imporsi al pericolo dell’Oriente. Molta parte dell’avvenire è nelle vostre mani, e che Iddio vi assista””

Dieci anni dopo la lettera giunse al destinatario. La consegnò a Churchill che era in vacanza a Montecarlo, un editore italiano che voleva pubblicarla. Churchill la lesse attentamente e non fece nessun commento. Ma non si oppose alla pubblicazione.

 

    (8)   Tracce di documenti mussoliniani pare siano state trovate anche in Germania (3)

 

NOTE

1)      Secondo altre versioni il carteggio sarebbe stato recuperato da Biggini e portato nella basilica di S.Antonio dove si era rifugiato. E qui, dopo la fulminea malattia che lo portò alla morte, sarebbe rimasto, finendo poi, probabilmente, in Vaticano.

2)      La lettera, che reca lo stemma britannico, la scritta An Agreement e il timbro secret diceva:

                  “” a) Se il governo italiano decidesse di allearsi alla Germania in accordo con la politica

                 di questa, il Governo di Sua Maestà sarebbe esposto a gravi conseguenze. Nell’interesse

                 di entrambi i paesi il Governo di Sua Maestà sottopone al Governo italiano un piano

                alternativo:

1)      Durante il corso della guerra il Governo di S.M. può essere esposto alla grave possibilità di una sconfitta. Se l’Inghilterra fosse sconfitta, noi saremmo interamente alla mercè della Germania e le possibilità di tutelare gli interessi britannici sarebbero remote.

Vorrebbe Sua Maestà il Re d’Italia impegnarsi,nell’eventualità di una sconfitta britannica, ad aiuitare l’Inghilterra in un’azione equilibratrice col salvaguardare i nostri intressi al tavolo di una futura conferenza della pace ?

                   b) Che nell’aiuto richiesto riceva un appoggio favorevole da altre nazioni ?

                   c) Se l’Italia aiutasse la Gran Bretagna a piegare il militarismo tedesco e ad ottenere una 

                       vittoria finale su di esso, il Governo di Sua Maestà impegna, attraverso questo

                       accordo, il proprio onore nel sostenere le rivendicazioni dell’Italia contro la Francia e

                       nel restaurare il diritto dell’Italia nel Mediterraneo.

                            Il governo di Sua Maestà è inoltre consenziente e disposto a qualsiasi futuro

                       incontro postbellico per sostenere il Governo italiano a difendere la sua libertà

                       economica e politica.

                    d) Il Governo di Sua Maestà è disposto a firmare un patto di non aggressione con

                        l’Italia o, nell’alternativa, chiederebbe all’Italia di adottare una stretta politica di

                        neutralità.

                     Quartier Generale Supremo

                      Whitehall, 11 aprile 1940.

                       Copia per il Capo del Governo Italiano

                       Firmato: Winston Churchill “”

        La trattativa, a quanto risulta dal carteggio, sarebbe andata a buon fine. In data 27 aprile,

        infatti, Churchill scriveva :””Eccellenza, sono in possesso della Vostra lettera del 16 corrente.

        Le varie proposte che il Governo di Sua Maestà ha messo dinanzi a Voi coprono un vasto

        campo e, se saranno accettate, sono sicuro che il risultato finale porterà vicendevoli

        ricompense. Mi sia concesso esprimerVi la mia profonda gratitudine per l’interessamento che

        avete dimostrato nei confronti del mio paese. Le Vostre controproposte, comunque, sono state

        sottoposte al Consiglio Privato e ampiamente accettate. Dal testo deduco che una reciproca

        comprensione fra il Vostro paese e l’Inghilterra è possibile.Allegata alla presente è una copia

        dell’accordo che io progo Vostra Eccellenza di sottoporre all’approvazione di Sua Maestà e di

        rinviare alla prima occasione. Cordialmente Vostro Winston Churchill””

         E in data 4 maggio Mussolini scrive: “”Eccellenza, ho l’onore di comunicarVi l’Alto Assenso

        di Sua Maestà il Re d’Italia Imperatore d’Etiopia, ad iniziare le trattative di Patto che, sullo

        schema da voi inviato, ci appresteremo a redigere……..”” e si firma “”Con tutta cordialità e

        stima””

3)  Articolo publicato sul quotidiano La Repubblica:

Repubblica — 19 aprile 2006   pagina 48   sezione: CULTURA

Nella vicenda dei carteggi che Mussolini conservò fino all' aprile 1945 emerge un retroscena sorprendente. Vale a dire un documento inedito, di fonte italiana, che proverebbe l' esistenza di epistolari intrattenuti dal Duce con statisti come Churchill, Chamberlain, Roosevelt e Laval. La storia che ci accingiamo a raccontare ha un suo solido fondamento e non può essere facilmente ricondotta alla fantasia di qualche nostalgico ammiratore del capo del fascismo. Il 27 aprile del 1945, poco distante da Linz, nell' Alta Austria, all' approssimarsi dei liberatori americani, uomini dei servizi segreti nazisti si diedero a distruggere tutta la documentazione "top secret" giacente negli archivi dell' abbazia di Kremsmunster. L' imponente complesso monastico benedettino fin dalla seconda metà del 1940 era stato utilizzato come deposito delle opere d' arte razziate dai tedeschi in Belgio, Olanda e Francia: a Linz era infatti prevista la realizzazione del Fuhrermuseum, destinato celebrare i natali austriaci di Adolf Hitler. I monaci erano stati definitivamente allontanati nell' aprile del 1941, allorquando l' abbazia venne sequestrata e occupata dagli Stati maggiori della polizia segreta hitleriana, la Gestapo, e delle Ss, per essere trasformata in un quartiere generale della Rsha, l' Ufficio centrale per la sicurezza del Reich, il cui capo supremo era il potente e temibile Ernst Kaltenbrunner, austriaco di Linz e per questa ragione caro al Fuhrer. Prima che gli americani, il 5 maggio '45, giungessero a liberare l' abbazia, a Kremsmunster un rogo senza sosta ridusse in cenere migliaia di documenti riservati dell' archivio della polizia segreta di Kaltenbrunner. Un ufficiale delle Ss addetto all' operazione sottrasse tuttavia alcuni documenti dalla catasta delle carte destinate alla distruzione: tra di essi vi era un blocco di riproduzioni fotografiche. Si trattava della traduzione in lingua tedesca del primo gruppo dei "Pensieri sardi e pontini" scritti da Mussolini, nell' estate del 1943, durante le settimane della sua prigionia a Ponza e alla Maddalena. L' ex ufficiale con la svastica nel dopoguerra vendette quel prezioso materiale a un quotidiano di Salisburgo, il Salzburger Nachrichten, che lo pubblicò nel gennaio del 1950. In Italia i diritti di edizione della prima parte dei diari di prigionia del Duce furono acquisiti in esclusiva dal settimanale L' Europeo diretto da Arrigo Benedetti, che nel febbraio successivo li pubblicò in quattro puntate. Le traduzioni in tedesco della seconda parte dei "Pensieri sardi e pontini" e del blocco unitario dei "Pensieri del Gran Sasso d' Italia" (questi ultimi redatti dal dittatore durante i dieci giorni trascorsi a Campo Imperatore, prima della liberazione da parte dei tedeschi) furono successivamente scoperti in Germania dal giornalista-storico Duilio Susmel, e apparvero su Tempo Illustrato tra il 1962 e il 1964. Ma dal rogo di Kremsmunster fu salvato un altro importante documento, ben più scottante, che soltanto oggi viene alla luce. Vale a dire i negativi di due riproduzioni fotografiche rimaste nell' archivio privato di Alessandro Minardi, il redattore capo dell' Europeo che Benedetti mandò a Salisburgo per valutare i materiali in possesso del Salzburger Nachrichten. Minardi, giunto in Austria, s' incontrò con il caporedattore del quotidiano salisburghese, l' ex ustascia Stjepan Tomicic, morto ottantenne nel 1999 e noto per essere stato addetto stampa della rappresentanza diplomatica del governo di Ante Pavelic a Berlino, nonché collaboratore di riviste nazionalsocialiste. Nel dopoguerra, aveva cambiato il proprio nome in Alfons Dalma ed aveva iniziato una brillante carriera che lo avrebbe portato, nel giro di un paio di decenni, nell' entourage del leader cristiano-sociale bavarese, Franz Josef Strauss, e quindi alla radio austriaca con l' incarico di caporedattore. Minardi, rientrato a Milano, consigliò ad Arrigo Benedetti la pubblicazione della tranche dei memoriali mussoliniani. Il giornalista presentò al suo direttore, oltre alle immagini dei diari, anche un altro paio di fotoriproduzioni che aveva ricevuto da Tomicic-Dalma: due fogli contenenti un elenco piuttosto dettagliato (anche se probabilmente parziale) di carteggi di Stato appartenuti a Mussolini, e della più grande importanza storica dal momento che ci riferiamo alla corrispondenza con i maggiori statisti del tempo. Sebbene si trattasse di carte provenienti anch' esse dagli archivi di Kremsmunster, Benedetti non le volle pubblicare. Per quale ragione? Probabilmente perché confidava nella possibilità di recuperare la serie completa dei documenti. Ciò non avvenne ed ecco la ragione per la quale queste due pagine su carta fotografica dell' epoca sono riemerse soltanto ora, essendoci state messe cortesemente a disposizione dal figlio di Minardi, Maurizio. Occorre tuttavia sottolineare che non ci stiamo riferendo a un documento di dubbia autenticità, ma, al contrario, di carte contraddistinte da una inequivocabile provenienza istituzionale, in quanto uno due fogli reca l' intestazione dell' Ambasciata d' Italia a Berlino: sede retta, nel periodo della Repubblica sociale italiana, da Filippo Anfuso. Un elemento conduce a ritenere che il documento sia stato scritto (non sappiamo da chi) nelle giornate immediatamente precedenti la caduta. L' elenco contiene infatti, in modo molto aggiornato, il riferimento a una lettera del 13 aprile 1945. Ma veniamo al dettaglio delle rivelazioni contenute in questo elenco. Il documento indica quali destinatari della corrispondenza di Stato, il francese Pierre Laval, Adolf Hitler, i britannici Neville Chamberlain e Winston Churchill, l' americano Franklin Delano Roosevelt. Escludendo Hitler, i cui carteggi con il Duce sono ampiamente noti, occorre soffermare l' attenzione sulla quantità di missive che vari uomini politici stranieri avrebbero scambiato con il Duce. Cominciamo dalla corrispondenza con Laval, che, nel periodo 1939-42, fu ragguardevole: 26 lettere di Stato e 12 lettere personali. Quanto agli epistolari con i premier inglesi, quello con Chamberlain (1938-39) consisté in 7 lettere di Stato e 3 messaggi personali; il carteggio con Churchill (1939-40) sarebbe invece quantificabile in 9 lettere ufficiali e 4 missive personali. Decisamente sorprendente è la parte che si riferisce a Roosevelt (indicato non con il nome completo, ma con l' iniziale "R", come nel caso di Hitler dove viene usata la "H"), la quale indica che la corrispondenza tra Mussolini e la Casa Bianca sarebbe proseguita praticamente fino alla conclusione della guerra. Questa circostanza, se risultasse confermata, avrebbe un significato dirompente, in quanto correggerebbe la convinzione circolante tendente a negare che il Duce avesse seguitato a intrattenere corrispondenza con i capi delle nazioni nemiche, dopo l' entrata in guerra dell' Italia, il 10 giugno 1940. Un' asserzione del genere dovrebbe tuttavia tener conto della "linea morbida" che continuò a serpeggiare a Londra e Washington. Se ne ebbe una vistosa prova alla Conferenza di Casablanca del gennaio 1943, durante la quale le potenze anglosassoni furono concordi sulla sorte da riservare all' Italia: Churchill e Roosevelt ritennero che la formula della resa senza condizioni non dovesse essere estesa al nostro Paese. Almeno fino al '43, ma probabilmente anche oltre, Mussolini, sotto certe condizioni, era ancora ritenuto un possibile interlocutore ai fini dello svuotamento dell' Asse e dunque della conclusione del conflitto. Lo stesso Stalin, nel 1943, prima della disfatta subìta dai tedeschi Kursk, era pronto a firmare la pace con il Tripartito. Suscita però non poca meraviglia leggere quanto si riferisce al numero di lettere che Mussolini avrebbe scambiato con Roosevelt: 5 lettere personali nel settembre 1943, cioè nei giorni della fondazione della Repubblica sociale italiana, 17 messaggi di Stato nel 1942-43, 71 lettere di Stato e 5 di natura personale nel 1943-44, infine 22 missive di Stato e 3 di carattere privato nel 1944-45. Possibile che il Duce avesse seguitato a trattare con il presidente degli Stati Uniti d' America fino a pochi mesi prima dell' arrivo degli americani a Milano? La risposta a questo interrogativo può essere in parte ritrovata nelle memorie dell' ambasciatore Anfuso. Nel suo libro Da Palazzo Venezia al lago di Garda (Cappelli, 1957), il diplomatico racconta l' epopea dei suoi venti mesi di incarico a Berlino, trascorsi per buona parte nel bunker sotterraneo allestito dopo il bombardamento della sede dell' ambasciata a Tiergarten, spiato ad ogni passo dall' onnipresente Gestapo. Anfuso, richiamato nel marzo del '45 a Salò per essere nominato sottosegretario agli Esteri, fu testimone degli interventi svolti da Mussolini presso Roosevelt per sopravvivere politicamente in un quadro europeo che risultava ipotecato dal pericolo bolscevico. Pietro Carradori, brigadiere di Pubblica sicurezza addetto alla persona del Duce, attestò di aver accompagnato il dittatore in una villa di Porto Ceresio, al confine svizzero, in due occasioni, il 21 settembre '44 e il 21 gennaio '45. In entrambi i casi, Mussolini s' incontrò con emissari angloamericani. Il recupero del Duce, in chiave anticomunista, come sappiamo, non fu possibile, ma resta il fatto che segmenti del regime neofascista, come il principe Junio Valerio Borghese, furono considerati dall' Oss come risorsa utile a combattere la penetrazione dell' imperialismo sovietico in Italia. Il 18 aprile del 1945, Anfuso ripartì dal lago di Garda alla volta di Berlino, per riprendere il suo posto di ambasciatore rimasto vacante. Ma nell' imminenza della resa tedesca, fu dirottato a Bad Gastein, nella Bassa Austria, dove rimase come un relitto tra i resti del corpo diplomatico accreditato nel Reich. Prima dell' abbandono della sede diplomatica di Berlino, tutti gli archivi furono bruciati. Ma certamente Anfuso recava con sé carte riservate e appunti che con ogni probabilità dovevano servire ad allestire l' arsenale documentario che Mussolini stava predisponendo in vista di una Norimberga italiana. E in ogni caso, il diplomatico aveva cognizione diretta dei carteggi intrattenuti da Mussolini con i principali capi di Stato e di governo. Si può dunque ipotizzare che il documento giunto in nostro possesso possa essergli stato sottratto, non sappiamo da chi, nelle giornate dell' epilogo, prima che l' ambasciatore fosse arrestato come criminale di guerra e recluso nelle carceri francesi, ben lontano da ogni possibile contatto con la sua patria. Non si vuole in questa sede enumerare le testimonianze qualificate che, dal 1945 ad oggi, hanno corroborato la tesi della sussistenza di voluminosi carteggi tra il Duce e i capi delle maggiori potenze mondiali. Basti tuttavia ricordare quanto scrisse, nel 1949, in un suo libro intitolato Difesa dell' Italia (Cappelli editore), un informatissimo giornalista svizzero, Paul Gentizon, corrispondente dall' Italia del Temps, dal 1927 al 1940. Gentizon riferì che Mussolini portò con sé, fino a Dongo, fascicoli della sua corrispondenza con Churchill, Laval, Roosevelt, Mac Donald, Léon Blum. Altri accennarono anche a Chamberlain e a Daladier. Senza alcuna pretesa di trasformare la ricerca storica in verità rivelata, ci è parso tuttavia doveroso offrire queste novità al pubblico italiano. - ROBERTO FESTORAZZI

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I DIARI DI MUSSOLINI

Qualche giorno fa (Febbraio 2007) hanno fatto la loro clamorosa comparsa sulla scena alcune agende contenenti i Diari di Mussolini. Tali agende, custodite presso un notaio svizzero, sarebbero di proprietà degli eredi di uno dei partigiani della banda di Pier Bellini delle Stelle (Pedro) che catturò Mussolini il 27 aprile 1945. Il quale partigiano, che ebbe l’opportunità di frugare nelle borse di Mussolini, avrebbe sottratto le cinque agende che conterrebbero i diari manoscritti del Duce da 1934 al 1939. All’On. Dell’Utri, competente bibliofilo, è stato proposto l’acquisto di tali Diari, di alcune pagine dei quali egli ha la fotocopia, che ha già sottoposto all’esame di grafologi e di storici. A un primo esame sembrerebbe trattarsi di originali autentici (anche la nipote del Duce, On. Alessandra Mussolini, è convinta trattarsi di autentici diari del nonno) e, se così fosse, essi rappresenterebbero sicuramente un documento importante. Da un sommario esame delle poche pagine posseduta in fotocopia dall’On. Marcello Dell’Utri emergono cose interessanti anche se in gran parte note. Fra le più significative la contrarietà di Mussolini alla guerra, la sua delusione per l’inutilità dei suoi sforzi, nell’agosto e anche nel settembre (cioè a guerra iniziata) 1939 per evitare la guerra e la sua diffidenza nei confronti dei tedeschi.

 Occorre, comunque, attendere l’eventuale pubblicazione di tali Diari onde poterne effettuare una attenta lettura e valutarne l’importanza. L’importanza del ritrovamento, dopo oltre sessant’anni, sta anche nel fatto che essa confermerebbe in modo indubitabile l’esistenza della documentazione che Mussolini recava con sé, nonchè la possibilità di ulteriori ritrovamenti.

 

Ancora più recentemente i giornali hanno pubblicato un’altra notizia clamorosa sui diari di Mussolini. La riportiamo qui sotto:

 

I diari di Mussolini sono custoditi in valle Spluga.

Parla figlio diplomatico del regime che li ricevette dal Duce

17 giugno, 11:03

 

(ANSA) - UDINE, 17 GIU - Le ultime volonta' del Duce - e parte dei suoi diari - sono custodite in valle Spluga, a pochi chilometri dal confine con la Svizzera.

A rivelarlo e' stato il figlio di Guglielmo Della Morte, gia' console italiano a Berlino, che fu convocato dal Duce, a Milano, poche ore prima che quest'ultimo venisse catturato dai partigiani a Dongo.

''Mio padre ricevette una borsa sigillata - ha raccontato l'uomo che vive in Friuli - con la promessa di non aprirla prima del 2025''.(ANSA).

 

 

18/06/2010

Diari di Mussolini: un'altra verità o un'altra bufala?

Scritto da: Dino Messina alle 15:58

Tags: Diari di Mussolini


I diari di Mussolini e altri riservatissimi documenti potrebbero trovarsi in una villa di Campodolcino, in Valle Spluga, a pochi chilometri dal confine svizzero, dove sarebbero stati nascosti da un diplomatico che li avrebbe ricevuti direttamente dalle mani del Duce. Ecco riassunto l’ultimo scoop, o l’ultima bufala sui diari e le «carte segrete» che il capo del fascismo andava raccogliendo negli ultimi mesi di vita.


La notizia è arrivata ieri da Udine con l’intervista che un giornalista dell’Ansa, Pier Paolo Gratton, ha fatto al figlio di Guglielmo della Morte (1902-1961) definito «personaggio di spicco del regime e diplomatico di carriera», anche se non figura nell’indice analitico della biografia mussoliniana di Renzo De Felice. Questo diplomatico, che finì la carriera a Berlino e che lasciò la Germania dopo l’8 settembre 1943 per ritirarsi nella villa di famiglia di Campodolcino, nelle convulse giornate dell’aprile 1945 sarebbe stato convocato a Milano dal Duce che gli avrebbe consegnato una borsa, chiusa con un lucchetto marchiato B. M., contenente documenti segreti e una somma di denaro in franchi svizzeri. Il figlio del diplomatico, che vive in Friuli, riferisce che il Duce invitò il padre a nascondere la borsa e «a rendere pubblico il documento non prima del 2025». Una richiesta che suona un po’ strana e che tuttavia viene spiegata così dal misterioso personaggio di cui non si conosce il nome di battesimo né il preciso indirizzo: «Se fossero stati solo soldi quella richiesta temporale non avrebbe avuto alcun senso. È logico pensare che il Duce in quella borsa avesse nascosto alcuni documenti importanti, magari copia di alcune lettere inviate ai leader occidentali, per trattare la sua fuga, oppure altri documenti di particolare importanza. Insomma materiale che avrebbe potuto compromettere altre persone. Da qui la richiesta a mantenere il segreto per 80 anni».

Il figlio di della Morte così prosegue: «Vorrei mantener fede alla richiesta del Duce e al segreto rivelatomi da mio padre quando compii 18 anni, il 18 giugno 1954. Ho fatto un sopralluogo in questi anni e ho constatato che la borsa-valigia, protetta da una cassetta di zinco, è ancora là, in valle Spluga. Io mi sento vincolato alla parola data da mio padre, tuttavia l’iter per la pubblicazione dei documenti è già stato definito».


Si tratta di una voce tra le tante, commenta lo storico Paolo Simoncelli, «con tratti plausibili e altri completamente assurdi. Insomma, il rischio di bufala c’è. Quale interesse avrebbe avuto Mussolini a tenere segreti per ottant’anni documenti di grande rilievo politico che andava raccogliendo per usare come contropartita in caso di cattura e soprattutto per difendersi in un eventuale processo? No, il limite del 2025 è assurdo».

Meno fantasiosa, come detto, l’ipotesi sul dossier che durante una telefonata intercettata dalle SS sarebbe stato così definito da Mussolini: «Questi documenti al tavolo della pace varranno più di una battaglia vinta». Sarebbe stato logico, aggiunge Simoncelli, «che Mussolini avesse chiesto di nasconderli fino a una eventuale trattativa di pace o fino alla sua cattura». A parte il diario, quali documenti poteva aver raccolto Mussolini? «Carte — risponde Simoncelli — che forse documentavano contatti segreti con la Gran Bretagna, o prove del cosiddetto "tradimento tedesco", relative cioè alle diverse versioni del Patto d’Acciaio».


Tra i documenti, aggiunge lo storico e giornalista Nicola Caracciolo, «avrebbero potuto esserci anche le carte relative all’ipotizzata pace separata con l’Urss o il fantomatico carteggio con Winston Churchill». Illogico appare tuttavia a Caracciolo dare a qualcuno dei soldi e chiedergli di custodirli per ottant’anni: «Passi per carteggi di carattere personale su cui Mussolini avrebbe voluto mantenere il più assoluto riserbo, ma che senso ha nascondere per ottant’anni dei soldi proprio nel momento in cui la famiglia ne poteva avere più bisogno?».

Sia Caracciolo sia Simoncelli sono tra gli studiosi che non escludono a priori né l’esistenza del carteggio con Churchill, soprattutto sulla scorta di alcune intuizioni di De Felice, né quella dei diari, citati dallo stesso Duce nell’opera dedicata al figlio caduto in un incidente aereo, "Parlo con Bruno". Lo storico Giovani Sabbatucci è meno possibilista, sia sui diari sia sul carteggio con il premier britannico: «L’atteggiamento corretto di fronte a queste ipotesi storiche deve essere rigoroso e fattuale: prima fatemi vedere e analizzare i documenti e poi ne parliamo. I diari "scoperti" tre anni fa da Marcello Dell’Utri si sono rivelati, anche grazie all’analisi testuale di grandi esperti come Emilio Gentile, nient’affatto attendibili. Quanto a questa notizia che viene da Udine non ho elementi per definirla la montatura di un mitomane ma certamente mi lascia molto scettico».

Pubblicato il 18.06.10 15:58

 

 

 

 

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