Varie

Gli Dei dell'Olimpo

Crono

 
 

Gli Dei dell'Olimpo

  I Greci descrivevano i loro dei come esseri antropomorfi, simili ai mortali nel fisico come nel carattere: sapevano essere arrabbiati e gelosi; si innamoravano, litigavano, combattevano; e, come gli esseri umani, procreavano, generavano figli attraverso rapporti sessuali tra loro o con i mortali. Erano irraggiungibili, eppure costantemente presenti nelle faccende dell'uomo. Potevano coprire distanze enormi viaggiando a grande velocità, apparire e scomparire a loro piacimento; disponevano di armi dotate di un immense e strano potere. Ognuno di loro aveva una funzione specifica e, di conseguenza, ogni specifica attività umana poteva essere influenzata, nel bene o nel male, dall'atteggiamento del dio preposto a quella particolare attività; i rituali di culto e le offerte agli dei miravano quindi a ottenerne il favore.

La principale divinità dei Greci era Zeus, "Padre degli dei e degli uomini", "Signore del fuoco celeste". Il suo simbolo e arma principale era il fulmine. Egli era il re dei cieli, ma "regnava" anche sulla Terra, prendeva decisioni e dispensava bene e male tra i mortali, eppure il suo dominio originario era nei cieli. Quello di Zeus non era il primo caso di commistione tra cielo e Terra. Nella mitologia greca - che altro non è che una mescolanza tra teologia e cosmologia - al principio di tutto vi era il Caos; poi apparvero Gea (la Terra) e il suo consorte Urano (il cielo), i quali generarono i dodici Titani, sei maschi e sei femmine. Questi compirono le loro imprese sulla Terra, sebbene si attribuisse loro anche una corrispondenza astrale.

Crono, il maschio più giovane dei Titani, divenne la figura principale dell'Olimpo mitologico. Ottenne con la forza una posizione di supremazia sugli altri Titani, dopo aver evirato suo padre Urano; quindi, timoroso della reazione dei suoi fratelli, li imprigionò e poi li scaccio. Per questo fu maledetto da sua madre, che gli predisse che anch'egli avrebbe subito lo stesso destino di suo padre e sarebbe stato detronizzato dai suoi stessi figli. Crono si unì con sua sorella Rea e generò tre figli maschi e tre femmine: Ade, Poseidone e Zeus; Estia, Demetra ed Era. Ancora una volta, era destino che fosse il figlio più giovane a rovesciare suo padre e la maledizione di Gea si avvero quando Zeus detronizzò Crono, suo padre.

Il colpo di mano non fu, però, nè facile nè rapido: per parecchi anni, infatti, si susseguirono battaglie tra gli dei e altri esseri soprannaturali, che culminarono con la lotta tra Zeus e Tifone, una divinità dalle sembianze di serpente. Fù una battaglia senza esclusione di colpi, che si svolse tanto sulla Terra quanto in cielo e che si concluse presso il Monte Casio, vicino al confine tra Egitto e Arabia - a quanto pare in qualche punto della penisola del Sinai. Zeus, che aveva vinto la battaglia, fù riconosciuto come la divinità suprema, ma doveva dividere il potere con i suoi fratelli. Che sia stato dunque per scelta o, come dicono alcuni, affidandosi a un lancio di dadi, i tre giunsero a un accordo: Zeus avrebbe avuto il controllo dei cieli, il fratello maggiore Ade quello degli Inferi, mentre Poseidone avrebbe avuto il dominio dei mari.

Anche se col tempo Ade e il suo territorio divennero sinonimo di Inferno, originariamente il suo dominio era collocate in una imprecisata zona "molto in basso", che comprendeva terre deserte e paludose e zone bagnate da fiumi impetuosi. Ade era considerate "l'invisibile", colui che incute timore, rigoroso e austero. Poseidone, invece, era spesso rappresentato con in mano il suo simbolo, il tridente. Oltre a dominare i mari, egli era anche signore dell'arte, della scultura e della lavorazione dei metalli, e anche un mago particolarmente astuto. Se Zeus veniva visto, nella tradizione greca, come un dio severo con il genere umano, tanto da volerne, ad un certo punto, addirittura l'annientamento, Poseidone era invece considerate amico della stirpe umana, e anzi faceva di tutto per ottenere le lodi dei mortali.

I tre fratelli e le loro tre sorelle, tutti figli di Crono e Rea, costituivano la parte più antica della cerchia dell'Olimpo, il gruppo dei dodici Grandi Dei. Gli altri sei erano tutti figli di Zeus e la mitologia greca tratta con molta precisione della loro genealogia e dei reciproci rapporti.

Tutti gli dei e le dee che si considerano figli di Zeus avevano madri diverse. Unitosi inizialmente con una dea di nome Meti, Zeus ebbe da lei una figlia, Atena, che divenne la dea della sapienza. Ma poichè era stata anche l'unica a rimanere al fianco di Zeus durante il suo combattimento con Tifone, mentre tutti gli altri dei erano scappati, Atena si vide attribuire anche doti marziali e divenne anche la dea della guerra. Essa era la "vergine perfetta" e non sposò nessuno; ma talvolta nei racconti mitologici viene associata a suo zio Poseidone, il quale, pur avendo come moglie ufficiale la dea che era anche la Signora del Labirinto sull'isola di Greta, non disdegnava sua nipote Atena come amante. Zeus si unì poi ad altre dee, ma i figli che ebbe da loro non entrarono a far parte della cerchia dell'Olimpo. Quando ritenne che fosse giunto il momento di assicurarsi un erede maschio, Zeus si rivolse a una delle sue sorelle. La maggiore, Estia, era una specie di eremita - forse troppo vecchia o troppo malata per essere oggetto di attenzioni matrimoniali - e così Zeus non ebbe bisogno di molte scuse per scegliere Demetra, la sorella mediana, la dea della fertilità. Ma, invece di un figlio maschio, essa gli generò una femmina, Persefone, che divenne moglie di suo zio Ade e con lui divise il dominio sul mondo degli Inferi.

Deluso per non essere riuscito ad avere figli maschi, Zeus cercò amore e conforto in altre dee. Armenia gli diede nove figlie. Poi fu la volta di Leto, che gli diede una figlia femmina e un maschio, Artemide e Apollo, i quali vennero finalmente ammessi nel gruppo delle divinita maggiori. Apollo, come primo figlio maschio di Zeus, fu una delle figure più importanti del pantheon ellenico, temuto dagli uomini come dagli dei. Egli era colui che interpretava per i mortali il volere di suo padre Zeus e perciò era la massima autorità in fatto di culto e di legge religiosa. In quanto rappresentante delle leggi morali e divine, era l'emblema della purificazione e della perfezione, tanto spirituale quanto fisica.

Il secondo figlio di Zeus era Ermes, figlio della dea Maia. Protettore dei pastori, guardiano delle greggi e delle mandrie, era meno importante di suo fratello Apollo, ma più vicino alle faccende umane; qualunque voltafaccia della fortuna veniva attribuito a lui. Come dispensatore di fortuna, era il dio preposto al commercio, protettore di mercanti e viaggiatori. Ma il suo ruolo principale, nella mitologia come nell'epica, era quello di messaggero degli dei.

Spinto dalle tradizioni dinastiche, Zeus era ancora alla ricerca di un figlio maschio da concepire con una delle sue sorelle: si rivolse dunque alla più giovane, Era. Dopo averla sposata con un rito sacro e ufficiale, la proclamò regina degli dei, la Madre Dea. Dal loro matrimonio nacque un figlio maschio, Ares, e due feminine, ma il rapporto era interrotto dalle continue infedeltà di Zeus e da una presunta infedeltà anche da parte di Era, che getta qualche dubbio sulla reale paternità di un altro figlio, Efesto. Ares venne anch'egli ammesso tra i Grandi dell'Olimpo e divenne anzi il braccio destro di Zeus, il dio della guerra. Era rappresentato come l'emblema stesso della combattività, eppure era tutt'altro che invincibile: mentre combatteva dalla parte dei Troiani nella guerra di Troia, si procurò una ferita che solo Zeus potè guarire.

Efesto, da parte sua, dovette lottare non poco per essere ammesso nell'Olimpo. Egli era il dio della creatività, capace di costruire oggetti magici per gli uomini e per gli dei; a lui si doveva il fuoco delle fornaci e l'arte di lavorare i metalli. Secondo la leggenda, egli era nato zoppo e per questo fu scacciato dalla madre Era; un'altra versione, però, senza dubbio più credibile, attribuisce a Zeus la cacciata di Efesto, forse a causa della sua paternità incerta. Efesto, comunque, usò i suoi magici poteri creativi per costringere Zeus ad ammetterlo tra i Grandi Dei. La leggenda dice anche che un giorno Efesto costruì una rete invisibile che avrebbe circondato il letto di sua moglie se questo fosse stato scaldato da un amante; e in effetti una tale precauzione poteva non rivelarsi inutile, visto che sua moglie era Afrodite, dea dell'amore e della bellezza. Su di lei, naturalmente, si raccontavano numerose storie d'amore, molte delle quali riguardavano Ares, fratello di Efesto (uno dei frutti di questo amore illecito fu Eros, il dio dell'amore.)

Afrodite fu ammessa tra i dodici Grandi Dei dell'Olimpo e le rcostanze di questa ammissione gettano luce su ciò di cui ci stiamo occupando. Afrodite non era nè sorella nè figlia di Zeus, eppure non poteva essere ignorata. Essa proveniva dalle coste asiatiche del Mediterraneo di fronte alla Grecia (secondo il poeta greco Esiodo era arrivata attraverso Cipro) e si dice che fosse nata per opera di Urano stesso. Apparteneva dunque a una generazione precedente a quella di Zeus, essendo, per così dire, sorella di suo padre e incarnazione del progenitore degli dei, colui che era stato evirato.

Afrodite, dunque, doveva essere inclusa tra gli dei dell'Olimpo, senza tuttavia che fosse superato il numero complessivo dodici. Come fare? Semplice: qualcuno doveva andarsene per far posto a lei, e questo qualcuno fu Ade. Poichè a lui era stato dato il dominio sugli Inferi, egli non poteva rimanere nell'Olimpo con gli altri del: ecco, dunque, che veniva a crearsi un posto libero, perfetto per essere occupato da Afrodite. Sembra proprio che il dodici fosse un requisite assolutamente imprescindibile per gli dei dell'Olimpo: essi non dovevano essere di più, ma neanche meno di dodici, come dimostrano le circostanze che portarono all'ammissione di Dioniso nel circolo dell'Olimpo. Dioniso era frutto di una relazione adulterina di Zeus con la propria figlia Semele; dovendo nascondersi dal furore di Era, legittima moglie di Zeus, egli venne mandato in terre lontane - fino in India - e dovunque andò introdusse la pratica di coltivare la vite e di produrre il vino. Nel frattempo, nell'Olimpo si era creato un posto libero, poichè Estia, la sorella maggiore di Zeus, troppo vecchia e debole, era stata allontanata dal circolo dei dodici. Dioniso potè quindi tornare in Grecia e occupare il posto di Estia: gli dei olimpici erano ancora una volta dodici.

Sebbene la mitologia greca non sia troppo chiara riguardo all'origine del genere umano, leggende e tradizioni attribuiscono a eroi e re un'origine divina. Questi semi-dei rappresentavano il legame tra il destino umano - con le sue fatiche quotidiane, la dipendenza dagli elementi, le malattie, la morte - e un passato lontano e felice, quando sulla Terra si aggiravano soltanto gli dei. E anche se, tra gli dei, molti erano nati sulla Terra, il ristretto circolo dei dodici rappresentava, per così dire, l'aspetto "celestiale del pantheon divino. Nell'Odissea si afferma che l'Olimpo si trovava nella "pura aria superiore"; i dodici dei maggiori erano dei del cielo che erano discesi sulla Terra e rappresentavano i dodici corpi celesti della "volta del cielo".

I nomi latini che i Romani attribuirono agli dei greci confermano questa sorta di associazione astrale: Gea divenne la Terra; Ermes, Mercurio; Afrodite, Venere; Ares, Marte; Crono, Saturno; e Zeus divenne Giove. Come per i Greci, anche per i Romani Giove era una divinità "tonante" armata fulmine e associata al toro. Quasi tutti gli studiosi concordano ormai nell'affermare che le basi della civiltà greca siano da ricercare sull'isola di Greta, dove, tra il 2700 e il 1400 a.C. circa, fiorì la civiltà minoica. Nel complesso di miti e ileggende che caratterizzano la civilta minoica, un ruolo preminente è svolto dal "minotauro", mezzo uomo e mezzo toro, frutto dell'unione tra Pasifae, moglie di Minosse, e un toro. Numerosi reperti archeologici confermano questo esteso culto minoico del toro, che in alcune raffigurazioni si presenta come un'entità divina accompagnata da una croce, simbolo, probabilmente, di qualche stella o pianeta non ancora identificato. Si pensa, quindi, che il toro che i Minoici adoravano, non fosse il comune animale terreno, ma il Toro celeste - la costellazione del Toro, appunto - in onore di qualche evento che era avvenuto quando il Sole, all'equinozio di primavera, era apparso in quella costellazione, intorno al 1000 a.C.

Secondo la tradizione greca, Zeus arrivò in Grecia via Greta, da dove era fuggito, attraverso il Mediterraneo, dopo aver rapito Europa, la bellissima figlia del re di Tiro, la città fenicia. In effetti, quando Cyrus H. Gordon riuscì a decifrare il più antico scritto in lingua minoica, fu dimostrato che si trattava di «un dialetto semitico originario delle coste del Mediterraneo orientale.

I Greci, infatti, non avevano mai detto che i loro dei olimpici fossero arrivati in Grecia direttamente dal cielo. Zeus, come abbiamo visto, era arrivato attraverso il Mediterraneo, via Greta. Poseidone (Nettuno per i Romani) arrive a cavallo dall'Asia Minore. Atena portò "l'olivo, fertile e spontaneo" in Grecia dalle terre bibliche.

Non vi è dubbio che le tradizioni e i culti religiosi ellenici siano arrivati in Grecia dal Vicino Oriente, attraverso l'Asia Minore e le isole del Mediterraneo. E' quì, dunque, che vanno ricercate le radici del pantheon dei Greci, le origini dei loro dei e le relazioni astrali con il numero dodici.

(Tratto da "Il pianeta degli Dei" di Zecharia Sitchin)

Crono

Gli antichi Greci restarono fedeli alla settimana di sette giorni per ragioni non legate alla preferenza ebraica per il numero 7. Per i Greci, infatti, si trattava solo di considerazioni di ordine planetario. Conoscevano i sette pianeti e al pari dei Romani attribuivano divinità a ciascuno di essi, sicché ogni divinità era patrona di un pianeta e insieme di un giorno della settimana.

Crono, dio del tempo per le popolazioni preelleniche della Grecia, da queste era stato designato custode dell'intera settimana. Crono, però, era una figura repellente, un essere presuntuoso e rozzo, simile per le sue poco attraenti caratteristiche al dio romano Saturno.

Su antichi vasi e pissidi greche, Crono è raffigurato come un vecchio con grandi occhi accesi che impugna una falce, mentre in immagini successive appare armato di una sorta di scimitarra chiamata harpe. Che più tardi i Greci giungessero a odiarlo è reso evidente dalla smorfia crudele con cui viene raffigurato. La festa del raccolto di Kronia, equivalente ai Saturnali romani, era per tutti i Greci, schiavi compresi, un'occasione per dire tutto ciò che passava loro per la mente: le restrizioni morali venivano abrogate e la festa, considerata l'evento più sfrenato dell'anno, senza alcun dubbio rifletteva il pessimo comportamento del patrono della loro settimana, appunto Crono

Le deplorevoli azioni del dio cominciarono quando, su consiglio di sua madre Gea, Crono castrò con la harpe il proprio padre Urano. Questi e Gea rappresentavano rispettivamente il Cielo e la Terra, e la castrazione del genitore, operata da Crono, era pertanto un simbolo della separazione tra Ciclo e Terra nella versione greca della Genesi. Al pari degli dei sumeri e babilonesi, Crono era inoltre caratterizzato da una predilezione per l'incesto: ebbe cinque figli da sua sorella Rea, e diede loro i nomi di Estia, Demetra, Era, Ade e Poseidone. Come fanno oggi a volte i coccodrilli, li inghiottì tutti.

Il figlio successivo, Zeus, godette invece della protezione dì sua madre/zia che lo sottrasse alle brame di Crono. Questi, desideroso di cacciarsi in gola anche il piccolo Zeus, andava girando qua e là come un bufalo ebbro con lo stomaco gorgogliante per la fame. A un certo punto gli parve di vedere qualcosa che credette essere suo figlio e lo inghiottì. Rea però lo aveva ingannato: era una pietra. Crono in seguito rigettò i cinque figli che aveva ingerito (tutti quanti miracolosamente rimasti in vita) e fu sconfitto da Zeus nel corso di un furioso combattimento sul monte Olimpo. Nei racconti greci regna una certa confusione circa il seguito della vicenda: in alcune versioni Crono è tenuto prigioniero nel Tartaro, in altre diviene re dell'Età dell'Oro.

E' impossibile spiegare in termini razionali perché a questo terribile orco fosse concesso di sovrintendere al raccolto greco oltre che alla settimana. Nel complesso, gli abitanti dell'Ellade tolleravano divinità perfide perché fornivano una spiegazione dei mali del mondo. Nella fede cristiana e nelle altre religioni monoteistiche, l'ideale di un unico dìo buono è messo duramente alla prova dalla presenza di tanto male. «Se Dio è buono e ha creato ogni cosa, perché esiste il male?» Una domanda, questa, che continua ad assillare a tutt'oggi gli uomini di Chiesa. Gli antichi Greci potevano permettersi ìl lusso di attribuire a Crono tutti i loro guai; noi invece ci consoliamo con l'idea che si trattava di una figura disprezzata, il dio meno venerato fra tutti.

(Tratto da "La conquista del tempo" di Alexender Vaugh)