Matematici

Pitagora

Il Teorema di Pitagora

Terne pitagoriche

Numeri irrazionali

Armonia musicale

I Poliedri di Platone

 
 

Pitagora

 

Benchè sia quasi impossibile attribuire con certezza qualsivoglia conquista matematica sia a Pitagora sia ai suoi discepoli, non v'è dubbio che siano stati loro a mescolare teoria dei numeri, filosofia della vita e misticismo in una misura forse senza uguali. E a tale proposito, non è privo di interesse il fatto che Pitagora fosse contemporaneo di altri fondatori di grandi religioni quali Buddha e Confucio.

Nel sesto secolo a.C., Pitagora di Samo fu una delle figure più autorevoli e misteriose della matematica. Poiché non esistono resoconti di prima mano della sua vita e della sua opera, la sua figura è avvolta nel mito e nella leggenda e ciò rende difficile per gli storici separare la realtà dall'immaginazione. Quello che sembra certo è che Pitagora sviluppò l'idea della logica numerica e fu responsabile della fioritura della prima età aurea della matematica. Grazie al suo genio i numeri non furono più usati semplicemente per contare e calcolare, ma furono apprezzati nel loro autentico valore. Egli studiò le proprietà di certi numeri particolari, i rapporti tra i numeri e gli schemi che essi formavano. Pitagora capì che i numeri esistono indipendentemente dal mondo sensibile e che perciò il loro studio non è soggetto alle imprecisioni della percezione. Questo significa che egli potè scoprire verità indipendenti dall'opinione e dal pregiudizio e che erano più assolute di ogni precedente conoscenza.

Pitagora acquisì le sue abilità matematiche viaggiando nel mondo allora conosciuto. Alcuni racconti vorrebbero farci credere che si fosse spinto sino all'India e alla Gran Bretagna, ma è certo soltanto che egli raccolse molte tecniche e strumenti matematici dagli egiziani e dai babilonesi. Questi due popoli antichi si erano spinti al di là del semplice conteggio empirico ed erano capaci di eseguire calcoli complessi che permisero loro di elaborare sofisticati sistemi di numerazione e di costruire complessi edifici. Essi vedevano nella matematica un semplice strumento per risolvere problemi pratici e certamente la motivazione che li mosse a scoprire alcune regole basilari della geometria fu di ricostruire i confini dei campi che si smarrivano a seguito dell'annuale piena del Nilo. La stessa parola geometria significa «misurazione della terra».

Pitagora osservò che gli egiziani e i babilonesi sviluppavano ogni calcolo nella forma di una ricetta che poteva essere seguita ciecamente. Le ricette, trasmesse da una generazione all'altra, fornivano sempre la risposta esatta e perciò nessuno si preoccupava di metterle in dubbio o di indagare la logica sottostante alle equazioni. Per quelle civiltà era importante solo che il calcolo funzionasse; perché funzionasse era una questione che essi non prendevano in considerazione. Dopo vent'anni di viaggi Pitagora aveva assimilato tutte le regole matematiche allora note nel mondo antico. Veleggiò alla volta di Samo, la sua isola, nel mare Egeo, con l'intenzione di fondarvi una scuola dedita allo studio della filosofia e che si occupasse particolarmente di ricerche sulle regole matematiche da poco acquisite. Egli sperava di trovare un folto numero di studenti amanti del libero pensiero che potessero aiutarlo a sviluppare una filosofia radicalmente nuova, ma durante la sua assenza dall'isola il tiranno Policrate aveva trasformato la città un tempo liberale in una società intollerante e conservatrice. Policrate invitò Pitagora a unirsi alla sua corte, ma il filosofo capì che era solo un tentativo per metterlo a tacere e perciò declinò l'invito. Lasciò allora la città, ritirandosi in una spelonca in una parte remota dell'isola dove poteva meditare senza tema di essere perseguitato.

A Pitagora l'isolamento non piacque e alla fine si trovò costretto a pagare un giovinetto perché diventasse suo alunno. L'identità del ragazzo è incerta, ma alcuni storici hanno suggerito che anche lui si chiamasse Pitagora e che questo studente, in seguito, sarebbe diventato famoso per essere stato il primo a suggerire che gli atleti dovevano cibarsi di carne per migliorare la propria condizione fisica. Pitagora, l'insegnante, pagava allo studente tre oboli per ogni lezione frequentata e si accorse che, con il passare delle settimane, l'iniziale riluttanza del ragazzo ad apprendere si era trasformata in entusiasmo per il sapere. Per misurare il proprio successo Pitagora finse di non poter più permettersi di pagare lo studente e che le lezioni dovevano cessare; allora lo studente, per non dover interrompere la propria istruzione, si offri di pagare lui il maestro. L'alunno era così diventato un discepolo. Purtroppo questa fu la sola conversione che Pitagora riuscì a praticare a Samo. Stabilì temporaneamente una scuola nota come il Semicerchio di Pitagora, ma le sue idee di riforma sociale erano inaccettabili e il filosofo fu costretto a fuggire dalla colonia con la madre e l'unico discepolo.

Pitagora partì alla volta dell'Italia meridionale, parte della Magna Grecia, e si stabilì a Crotone dove ebbe la fortuna di trovare un patrono ideale in Milone, l'uomo più ricco della città e uno degli uomini più robusti che siano mai esistiti. La fama di Pitagora come sapiente di Samo si era già diffusa in tutta la Grecia, ma quella di Milone era ancora più grande. Era un uomo di dimensioni erculee, che era stato campione per dodici volte nei Giochi Olimpici e nei Giochi Pitici. Oltre all'atletismo, Milone apprezzava e praticava anche la filosofia e la matematica. Mise a disposizione una parte della propria casa e offrì a Pitagora stanze sufficienti per l'istituzione di una scuola. Avvenne così che la mente più creativa e il corpo più potente formarono un sodalizio. Al sicuro nella sua nuova dimora, Pitagora fondò il Sodalizio pitagorico, un gruppo di seicento seguaci non soltanto in grado di capire i suoi insegnamenti, ma anche capaci di contribuire alla dottrina pitagorica elaborando nuove idee e nuove dimostrazioni. Entrando nel Sodalizio ogni seguace doveva versare in un fondo comune tutti i propri beni materiali e se qualcuno avesse deciso di andarsene, avrebbe ricevuto il doppio della ricchezza donata in origine e una lapide sarebbe stata eretta in suo ricordo. Il Sodalizio pitagorico era una scuola egualitaria e comprendeva parecchie donne. L'allievo favorito di Pitagora era la figlia dello stesso Milone, la bellissima Teano e, nonostante la differenza d'età, essi finirono per sposarsi.

Subito dopo aver fondato il Sodalizio, Pitagora coniò la parola filosofo e, così facendo, definì gli scopi della scuola.

Anche se molti erano consapevoli delle aspirazioni di Pitagora, nessuno fuori del Sodalizio conosceva i dettagli o la misura del suo successo. Ogni membro della scuola era costretto a giurare di non rivelare mai all'esterno nessuna delle loro scoperte matematiche. Perfino dopo la morte di Pitagora, un membro del Sodalizio venne annegato per aver rotto il giuramento: aveva annunciato pubblicamente la scoperta di un nuovo solido regolare, il dodecaedro, costruito da dodici pentagoni regolari. Il carattere segreto del Sodalizio pitagorico è una delle ragioni del fiorire di leggende sugli strani rituali che i pitagorici avrebbero praticato ed è anche una causa della scarsità di fonti attendibili sulle loro dottrine matematiche.

Ciò che si sa per certo è che Pitagora istituì un ethos che ha cambiato il corso della matematica. Il Sodalizio era effettivamente una comunità religiosa e uno degli idoli adorati era il Numero. Comprendendo i rapporti tra i numeri, i pitagorici credevano di poter scoprire i segreti spirituali dell'universo e di avvicinarsi agli dèi. In particolare il Sodalizio concentrò la propria attenzione sullo studio dei numeri naturali (1, 2, 3...) e delle frazioni. I numeri naturali sono talvolta chiamati numeri interi e insieme con le frazioni (che esprimono la ratto, cioè il rapporto, tra numeri interi) vengono tecnicamente designati come numeri razionali. Nell'infinità dei numeri i pitagorici cercavano quelli che avevano un significato speciale e tra i più speciali erano i cosiddetti numeri «perfetti».

Numeri Perfetti

Secondo Pitagora la perfezione numerica dipendeva dai divisori di un numero (cioè quei numeri che dividono perfettamente un numero). Per esempio i divisori di 12 sono 1, 2, 3, 4 e 6. Quando la somma dei divisori di un numero è maggiore del numero stesso, quel numero viene definito un numero «eccedente». Perciò 12 è un numero eccedente perché i suoi divisori, addizionati, danno come somma 16. D'altro canto quando la somma dei divisori di un numero è inferiore al numero stesso, il numero è chiamato «difettivo». Così 10 è un numero difettivo perché i suoi divisori (1, 2 e 5), addizionati, danno soltanto 8. I numeri più rari e importanti sono quelli i cui divisori, addizionati, danno esattamente come somma il numero in questione. Questi sono i numeri perfetti.

Il 6 ha come divisori 1, 2 e 3, di conseguenza è un numero perfetto, perché 1 + 2 + 3 = 6.

Il successivo numero perfetto è 28, perché 1 + 2 + 4 + 7 + 14 = 28.

Salendo nella serie dei numeri naturali, è sempre più difficile trovare numeri perfetti. Il terzo numero perfetto è 496, il quarto 8128, il quinto 33.550.336 e il sesto è 8.589.869.056. Pitagora notò che i numeri perfetti, oltre a essere la somma di tutti i loro divisori, presentavano parecchie altre eleganti proprietà. Tra l'altro, i numeri perfetti sono sempre la somma di una serie di numeri naturali consecutivi. Ad esempio:

6 = 1 + 2 + 3,

28 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 + 7,

496 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 + 7 + 8 + 9 +...+ 30 + 31,

8128 = 1 + 2 + 3 + 4 + 5 + 6 + 7 + 8 + 9 +...+ 126 + 127.

Pitagora si compiaceva dei numeri perfetti, ma non era appagato semplicemente dal loro ritrovamento; desiderava piuttosto scoprirne il significato profondo. Una delle sue intuizioni fu che la perfezione era strettamente connessa al «due». I numeri 4 (2 x 2), 8 (2 x 2 x 2), 16 (2 x 2 x 2 x 2), etc., sono noti come potenze di 2 e possono essere scritti come 2n, dove la n rappresenta il numero di 2 moltipllcati tra loro. Tutte queste potenze di 2 non sono numeri perfetti per uno scarto minimo, poiché la somma dei loro divisori ammonta sempre a una cifra inferiore di un'unità al numero stesso. Questo li rende solo lievemente difettivi:

22 = (2 X 2) = 4 Divisori 1,2 Somma = 3, 23 = (2 X 2 X 2) =8 Divisori 1,2,4 Somma = 7, 24 = (2 X 2 X 2 X 2) = 16 Divisori 1,2,4, 8 Somma = 15, 25 = (2 X 2 X 2 X 2 X 2) = 32 Divisori 1,2,4, 8, 16 Somma = 31.

Due secoli dopo, Euclide avrebbe perfezionato il nesso istituito da Pitagora tra il due e la perfezione. Euclide scoprì che i numeri perfetti sono sempre multipli di due numeri, uno dei quali è una potenza di 2 e l'altro è la successiva potenza di 2 meno 1. Vale a dire:

6 = 21 x (22 - 1) 28 = 22 x (23 - 1) 496 = 24 x (25 - 1) 8128 = 26 x (27 - 1)

Oggi i computer hanno continuato la ricerca dei numeri perfetti e hanno trovato esempi di numeri colossali come 2216090 x (2216091 - 1), un numero con più di centotrentamila cifre che obbedisce alla regola di Euclide.

Pitagora era affascinato dalla ricchezza di schemi e di proprietà posseduti dai numeri perfetti e ne venerava la sottigliezza e la sagacia. A prima vista i numeri perfetti sono un concetto relativamente semplice da comprendere e tuttavia gli antichi greci non riuscirono a sondare alcuni aspetti fondamentali del tema. Per esempio, benché ci siano moltissimi numeri i cui divisori, addizionati, danno una somma inferiore di una sola unità al numero in questione, vale a dire numeri solo lievemente difettivi, non sembra che esistano numeri lievemente eccedenti. I greci non riuscirono a trovare alcun numero i cui divisori, addizionati, dessero come somma una cifra superiore di una sola unità al numero stesso, ma non seppero spiegare perché. Purtroppo, benché non riuscissero a scoprire numeri lievemente eccedenti, non poterono dimostrare l'inesistenza di tali numeri. Capire perché non ci fossero questi numeri lievemente eccedenti non aveva alcun valore pratico e tuttavia era un problema che poteva illuminare la natura dei numeri ed era perciò degno di studio. Enigmi come questi attiravano l'attenzione dei pitagorici e duemilacinquecento anni dopo i matematici non sono ancora in grado di dimostrare che i numeri lievemente eccedenti non esistono.

Tutto è numero

Oltre a studiare i rapporti tra i numeri, Pitagora era anche attratto dal nesso tra i numeri e la natura. Egli capì che i fenomeni naturali sono governati da leggi e che queste leggi possono essere descritte con equazioni matematiche. Uno dei primi nessi da lui scoperti fu la relazione fondamentale tra l'armonia musicale e l'armonia dei numeri.

Il più importante strumento nella musica greca dell'età più antica era la lira a quattro corde. Prima di Pitagora i musici avevano notato che note particolari suonate insieme producevano un effetto piacevole e avevano accordato la lira in modo che, pizzicando due corde, potessero produrre tale armonia. Tuttavia i primi musici non capivano perché certe note particolari fossero armoniche e non avevano un metodo per accordare i propri strumenti. Li accordavano ad orecchio, finché non si produceva una condizione di armonia: una procedura che Fiatone definì torturare i cavicchi per l'accordatura. Giamblico, il filosofo del quarto secolo d.C. che scrisse nove libri sulla setta pitagorica, descrive come Pitagora giunse a scoprire i principi sottesi all'armonia musicale:

Una volta era immerso nel pensiero di escogitare un ausilio meccanico per il senso dell'udito che potesse dimostrarsi preciso e ingegnoso. Tale strumento doveva assomigliare ai compassi, alle squadre e agli strumenti ottici utili al senso della vista. Allo stesso modo il tatto dispone di bilance e delle nozioni di pesi e misure. Per un divino colpo di fortuna gli capitò di passare davanti alla fucina di un fabbro e di ascoltare i martelli che battevano il ferro e producevano una variegata armonia di suoni tranne in un caso.

Secondo Giamblico, Pitagora entrò subito nella fucina per indagare l'armonia dei martelli. Notò che la maggior parte dei martelli potevano essere colpiti simultaneamente per generare un suono armonico, mentre ogni combinazione che prevedesse un particolare martello produceva sempre un rumore spiacevole. Analizzò i martelli e capì che tra quelli che erano armonici sussisteva una semplice relazione matematica: le loro masse erano in un rapporto frazionario semplice tra loro. Ciò significava che i martelli che pesavano la metà o due terzi o tre quarti di un particolare martello avrebbero tutti prodotto suoni armonici. D'altro lato il martello che produceva disarmonia quando veniva impiegato insieme con qualche altro martello aveva un peso che non era in un rapporto semplice con gli altri pesi.

Pitagora aveva scoperto i semplici rapporti numerici responsabili dell'armonia nella musica. Gli scienziati hanno sollevato qualche dubbio sulla veridicità del racconto di Giamblico, ma ciò che è più certo è che Pitagora applicò la sua nuova teoria dei rapporti musicali alla lira, esaminando le proprietà di una singola corda. Il semplice pizzicare una corda genera una nota o tono fondamentale che è prodotto dall'intera lunghezza della corda vibrante. Fissando la corda in punti particolari lungo la sua lunghezza, è possibile generare altre vibrazioni e toni. Toni armonici significativi si producono solo in punti specifici. Per esempio, se si fissa la corda in un punto esattamente a metà della sua lunghezza, si genera un tono che è di un'ottava più alto e in armonia con la nota originaria. Analogamente, fissando la corda in punti che sono esattamente un terzo, un quarto o un quinto della sua estensione, si producono altre note armoniche. Invece, fissando la corda in un punto che non è una semplice frazione della lunghezza dell'intera corda, si genera un tono che non è in armonia con gli altri toni.

Pitagora aveva scoperto la regola matematica che governava un fenomeno fisico e aveva dimostrato che tra la matematica e la scienza della natura c'era una relazione fondamentale. Dopo questa scoperta, gli scienziati hanno sempre cercato regole matematiche che sembrano governare ogni processo fisico e hanno scoperto che i numeri emergono in ogni sorta di fenomeno naturale. Per esempio, un particolare numero sembra determinare la lunghezza dei fiumi che formano meandri. Il professor Hans-Henrik St01um, uno scienziato della terra all'Università di Cambridge, ha calcolato il rapporto tra la lunghezza effettiva dei fiumi dalla sorgente alla foce e la loro lunghezza in linea d'aria. Anche se il rapporto varia tra un fiume e l'altro, il valore medio è leggermente superiore a 3, cioè la lunghezza effettiva è circa tre volte maggiore della distanza diretta in linea d'aria. In realtà il rapporto è all'in circa di 3,14, che è il valore approssimato di , ossia del rapporto tra la circonferenza e il diametro del cerchio.

Il numero deriva originariamente dalla geometria del cerchio e tuttavia riappare continuamente in una varietà di circostanze fisiche. Nel caso dei fiumi, la comparsa di è il risultato di una battaglia tra l'ordine e il caos. Einstein fu il primo a suggerire che i fiumi tendono a seguire un percorsA sempre più tortuoso perché la corrente, essendo più veloce sulla parte esterna di una curva, produce un'erosione maggiore sulla sponda corrispondente, così che la curvatura in quel punto aumenta. Più accentuata è la curvatura, più forte è la corrente sulla sponda esterna e di conseguenza maggiore è l'erosione. Il fiume perciò tende a procedere sempre più tortuosamente. C'è però un processo naturale che spezza questa evoluzione caotica: la crescente tortuosità avrà come risultato che il corso del fiume si ripiega su se stesso fino a fondersi; in tal caso il corso del fiume si raddrizza e l'ansa viene lasciata da una parte a formare una specie di lago semicircolare. L'equilibrio tra questi due fattori opposti conduce a un rapporto medio di 71 tra l'effettiva lunghezza e la distanza in linea retta tra la sorgente e la foce. Il rapporto di si trova più comunemente in quei fiumi che scorrono attraverso pianure che hanno un dislivello molto tenue, come i fiumi in Brasile o nella tundra siberiana.

Pitagora comprese che i numeri erano celati in tutte le cose, dall'armonia musicale alle orbite dei pianeti, e ciò lo indusse a proclamare che «tutto è numero». Esplorando il significato della matematica Pitagora stava sviluppando il linguaggio che avrebbe consentito a lui e ad altri di descrivere la natura dell'universo. Da allora in poi ogni progresso matematico avrebbe dato agli scienziati il vocabolario di cui avevano bisogno per spiegare meglio i fenomeni circostanti. Infatti gli sviluppi nella matematica avrebbero ispirato le rivoluzioni scientifiche.

Il teorema di Pitagora

Mentre è virtualmente impossibile separare i fatti storici dai racconti mitologici, Pitagora e i pitagorici sono più conosciuti per il loro presunto contributo allo sviluppo della matematica, e per la sua applicazione al concetto di ordine, sia questo un ordine musicale, cosmico o perfino etico. Fin dalla scuola dell'obbligo si impara il «teorema di Pitagora» sui triangoli rettangoli. Secondo questo teorema l'area del quadrate costruito sui lato più lungo (l'ipotenusa) è uguale alla somma delle aree dei quadrati costruiti sugli altri due lati (i cateti).

In un triangolo rettangolo il quadrato costruito sull'ipotenusa è equivalente alla somma dei quadrati costruiti sui cateti.

Il teorema, formulato in questa semplice enunciazione da Pitagora, è stato impresso nel cervello di milioni se non di miliardi di esseri umani. È il teorema fondamentale che ogni ingenuo scolaretto è costretto a imparare. Ma nonostante che possa essere capito da un bambino di dieci anni, il teorema di Pitagora fornì l'ispirazione per un problema che ha frustrato le più grandi mentì matematiche della storia.

Il teorema di Pitagora ci offre un'equazione valida per tutti i triangoli rettangoli e che perciò definisce anche lo stesso angolo retto. A sua volta l'angolo retto definisce la perpendicolare, ossia la relazione tra verticale e orizzontale e infine la relazione tra le tre dimensioni dell'universo a noi familiare. La matematica, attraverso l'angolo retto, definisce proprio la struttura dello spazio nel quale viviamo.

È una comprensione profonda e tuttavia la matematica richiesta per intendere il teorema di Pitagora è relativamente semplice. Per capirlo basta cominciare con il misurare la lunghezza dei due lati più corti (i cateti) di un triangolo rettangolo (x e y) e poi elevare al quadrato ognuno dei due x2, y2). Sommate poi i due quadrati (x2 + y2) per ottenere il risultato finale. Se calcolate il numero per il triangolo della figura, vedrete che è 25.

Tutti i triangoli rettangoli obbediscono ai teorema di Pitagora.

Ora potete misurare il lato più lungo, l'ipotenusa, ed elevare al quadrato la sua lunghezza. Il risultato notevole è che questo numero è identico a quello che avete appena calcolato, cioè 52 = 25. Vale a dire: In un triangolo rettangolo il quadrato costruito sull'ipotenusa è uguale alla somma dei quadrati costruiti sui cateti. Ovvero, simbolicamente:

Questo è evidentemente vero per il triangolo mostrato nella figura, ma il fatto significativo è che il teorema di Pitagora è vero per ogni triangolo rettangolo che possiate immaginare. È una legge matematica universale e potete affidarvi a essa ogni volta che incontrate un triangolo con un angolo retto.

Viceversa se avete un triangolo che obbedisce al teorema di Pitagora, allora potete essere assolutamente certi che si tratta di un triangolo rettangolo. A questo punto è importante notare che sebbene questo teorema sarà per sempre associato al nome di Pitagora, era effettivamente noto ai cinesi e ai babilonesi mille anni prima. Tuttavia quelle civiltà non sapevano che il teorema era vero per tutti i triangoli rettangoli. Era certamente vero per i triangoli che loro avevano misurato, ma essi non avevano modo di mostrare che fosse vero anche per tutti i triangoli rettangoli che non avevano misurato. La ragione per cui il teorema è attribuito a Pitagora sta nel fatto che egli fu il primo a dimostrarne la verità universale.

Ma come sapeva Pitagora che il suo teorema valeva per tutti i triangoli rettangoli? Egli non poteva certo sperare di misurare l'infinita varietà dei triangoli rettangoli e tuttavia poteva essere al cento per cento sicuro della verità assoluta del suo teorema. La ragione di questa fiducia sta nel concetto di dimostrazione matematica. La ricerca di una dimostrazione matematica è la ricerca di una conoscenza che è più assoluta della conoscenza accumulata da ogni altra disciplina. Il desiderio di una verità definitiva ottenuta attraverso il metodo della dimostrazione è ciò che ha guidato i matematici negli ultimi duemilacinquecento anni.

La prova assoluta

La storia dell'Ultimo Teorema di Fermat riguarda la ricerca di una dimostrazione mancante. La prova matematica, la dimostrazione, è di gran lunga più potente dell'idea di prova che adoperiamo casualmente nella vita quotidiana e persino del concetto di prova adottato dai fisici o dai chimici. La differenza tra prova matematica e prova scientifica è sottile ma profonda ed è di importanza cruciale per capire il lavoro di ogni matematico a partire da Pitagora. Una dimostrazione matematica classica deve iniziare con una serie di assiomi, asserzioni che possono essere assunte come vere o che sono palesemente vere. Quindi, argomentando logicamente, passo dopo passo, è possibile arrivare a una conclusione. Se gli assiomi sono corretti e l'argomentazione logica è impeccabile, allora la conclusione sarà irrefutabile. La conclusione è il teorema.

Le dimostrazioni matematiche si basano su questo procedimento logico e una volta provate restano vere fino alla fine dei tempi. Le dimostrazioni matematiche sono assolute. Per apprezzarne meglio il valore, dobbiamo paragonarle alla loro parente povera, la prova scientifica. Nella scienza si avanza un'ipotesi per spiegare un fenomeno fisico. Se le osservazioni sul fenomeno si accordano con l'ipotesi, questo diviene un indizio a suo favore. Inoltre, l'ipotesi non dovrebbe soltanto descrivere un fenomeno noto, ma prevedere gli esiti di altri fenomeni. Si possono eseguire esperimenti per verificare il potere di previsione dell'ipotesi, e se essa si dimostra di nuovo efficace, allora si hanno ulteriori indizi a suo sostegno. Alla fine il peso degli indizi può essere schiacciante e l'ipotesi viene accolta come una teoria.

Una teoria scientifica non può mai essere dimostrata con lo stesso grado di assoluta certezza con cui si dimostra un teorema matematico: essa viene soltanto considerata altamente probabile in base agli indizi disponibili. La cosiddetta prova scientifica si fonda sull'osservazione e la percezione, le quali sono entrambe fallibili e possono soltanto fornire un'approssimazione della verità. Come ha sottolineato Bertrand Russell: «Anche se può sembrare un paradosso, tutta la scienza esatta è dominata dall'idea di approssimazione». Persino le «prove» scientifiche più largamente accettate, recano sempre con sé qualche piccolo elemento di dubbio. Talvolta il dubbio si affievolisce, benché non scompaia mai del tutto, mentre in altre occasioni la prova si dimostra infine sbagliata. Questa debolezza della prova scientifica conduce alle rivoluzioni scientifiche in cui una teoria considerata corretta viene sostituita da un'altra teoria, che può essere soltanto una versione più raffinata della teoria originale, ma che può anche esserne la negazione completa. Per esempio, la ricerca dei componenti fondamentali della materia ha coinvolto ogni generazione di fisici, i quali hanno rovesciato o, per lo meno, perfezionato la teoria dei loro predecessori.

La moderna ricerca degli elementi sui quali è costruito l'universo iniziò al principio dell'Ottocento con una serie di esperimenti condotti da John Dalton per avanzare l'ipotesi che tutto fosse composto di atomi discreti e che gli atomi fossero i componenti basilari. Alla fine del secolo JJ. Thomson scoprì l'elettrone, la prima particella subatomica, e perciò l'atomo non fu più considerato basilare. Durante i primi anni del Novecento i fisici svilupparono una descrizione «completa» dell'atomo: un nucleo consistente di protoni e di neutroni, attorno al quale orbitano gli elettroni. Si riteneva orgogliosamente che protoni, neutroni ed elettroni fossero gli ingredienti unici e finali dell'universo. Gli esperimenti sui raggi cosmici rivelarono però f, l'esistenza di altre particelle fondamentali, i pioni e i muoni. Una rivoluzione ancor più grande si verificò con la scoperta nel 1932 dell'antimateria, che significava l'esistenza di antiprotoni, antineutroni, antielettroni etc. Sebbene i fisici delle particelle non potessero sapere con certezza quante particelle esistevano, erano almeno sicuri che queste entità fossero quelle basilari. Tale certezza si mantenne fino agli anni Sessanta, quando nacque il concetto di quark. Il protone stesso è in apparenza costituito da quark con carica frazionaria, come pure il neutrone, il pione e il muone.

La morale della storia è che i fisici mutano continuamente la loro immagine dell'universo, quando non la cancellano del tutto per ricominciare da capo. Nel prossimo decennio il concetto stesso di particella come oggetto puntiforme potrebbe essere sostituito dall'idea di particelle come «corde», le stesse corde che potrebbero spiegare meglio la gravita. La teoria è che corde lunghe quanto un miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di metro (così piccole da apparire puntiformi) possono vibrare in modi diversi e ogni vibrazione da origine a una diversa particella. Questa teoria è analoga alla scoperta di Pitagora che la corda di una lira può dare origine a note diverse a seconda di come vibra. Il futurologo e scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke scrisse che se un illustre professore afferma che qualcosa è indubitabilmente vero, allora è probabile che il giorno dopo la sua teoria si rivelerà falsa. La prova scientifica è inevitabilmente precaria e di qualità inferiore. D'altro canto la dimostrazione matematica è assoluta e indubitabile. Pitagora morì certo che il suo teorema, che era vero nel quinto secolo a.C., sarebbe rimasto vero per l'eternità.

La scienza procede come il sistema giudiziario. Una teoria viene assunta per vera se vi sono indizi sufficienti a dimostrarla «oltre ogni ragionevole dubbio». La matematica invece non si affida a esperimenti fallibili, ma è costruita su una logica infallibile.

Lo dimostra, a titolo di esempio, il problema della «scacchiera mutilata» .

Immaginate una scacchiera priva dei due angoli opposti bianchi, in modo che rimangono solo 62 scacchi. Prendete allora 31 tessere di domino di dimensione tale che ogni tessera ricopre esattamente due scacchi. La domanda è: è possibile disporre le 31 tessere in modo che ricoprano tutti i 62 scacchi della scacchiera?

Vi sono due modi di affrontare il problema:

a) L'approccio scientifico

Lo scienziato cercherebbe di risolvere il problema sperimentalmente, e dopo avere sperimentato qualche decina di combinazioni scoprirebbe che tutte falliscono. Alla fine egli ritiene che vi siano sufficienti indizi per dire che la scacchiera non può essere coperta. Tuttavia, lo scienziato non può mai essere certo che questo sia sempre vero, perché potrebbero esserci combinazioni da lui non sperimentate che potrebbero avere successo. Vi sono migliala di combinazioni differenti ed è possibile sperimentarne solo una piccola quota. La conclusione che sia impossibile coprire la scacchiera è una teoria basata sull'esperimento, ma lo scienziato dovrà vivere nella prospettiva che un giorno la sua teoria possa essere capovolta.

b) L'approccio matematico

Il matematico cerca di rispondere alla questione sviluppando un argomento logico da cui deriverà una conclusione indubitabilmente corretta e che rimarrà inconfutabile per sempre. Un argomento del genere è il seguente:

  • Gli angoli tolti dalla scacchiera erano entrambi bianchi. Perciò ora ci sono 32 scacchi neri e solo 30 scacchi bianchi.
  • Ogni tessera del domino copre due scacchi contigui e gli scacchi contigui hanno sempre colore diverso, ossia l'uno è bianco e l'altro è nero o viceversa.
  • Pertanto, a prescindere dalla disposizione, le prime 30 tessere di domino poste sulla scacchiera devono coprire 30 scacchi bianchi e 30 scacchi neri.
  • Di conseguenza, resterà sempre una tessera di domino e due scacchi neri.
  • Ma, si rammenti che ogni tessera copre due scacchi contigui e che gli scacchi contigui sono di colore opposto. I due scacchi rimanenti devono invece avere lo stesso colore e perciò non possono essere entrambi coperti dalla tessera restante. Dunque, coprire la scacchiera è impossibile!

    Questa prova dimostra che ogni possibile combinazione delle tessere del domino non riuscirà a coprire la scacchiera mutilata. Analogamente Pitagora costruì una dimostrazione per provare che ogni possibile triangolo rettangolo obbedisce al suo teorema. Per Pitagora il concetto di dimostrazione matematica era sacro ed era il metodo dimostrativo che consentì al Sodalizio di fare tante scoperte. La maggior parte delle dimostrazioni nella matematica moderna sono incredibilmente complicate e seguirne la logica sarebbe impossibile per un profano, ma fortunatamente nel caso del teorema di Pitagora l'argomentazione è relativamente lineare e richiede, per essere compresa, solo nozioni matematiche che si apprendono nella scuola media.

    La dimostrazione di Pitagora è irrefutabile. Essa prova che il suo teorema è vero per ogni triangolo rettangolo nell'universo. La scoperta fu così importante che vennero sacrificati cento buoi in segno di gratitudine verso gli dèi. Fu una pietra miliare nella matematica e una delle più importanti conquiste nella storia della civiltà. La sua importanza era duplice. In primo luogo introduceva l'idea di dimostrazione. Un risultato matematico dimostrato possiede una verità più profonda di ogni altra perché è il risultato di una logica graduale. Anche se il filosofo Talete aveva già escogitato alcune dimostrazioni geometriche primitive, Pitagora sviluppò alquanto il procedimento dimostrativo e fu in grado di provare enunciati matematici assai più complessi.

    La seconda conseguenza del teorema di Pitagora è che esso connette il metodo matematico astratto a qualcosa di tangibile. Pitagora mostrò che la verità matematica poteva essere applicata alla conoscenza scientifica del mondo, alla quale offriva un fondamento logico. La matematica da alla scienza un punto di partenza rigoroso. A questo fondamento infallibile gli scienziati aggiungono misurazioni imprecise e osservazioni imperfette.

    Terne pitagoriche

    I pitagorici rafforzarono la matematica con la loro zelante ricerca della verità attraverso la dimostrazione. Si diffuse la notizia dei loro successi, ma i dettagli delle loro scoperte rimasero un segreto accuratamente custodito. Molti chiesero di essere ammessi al santuario della conoscenza, ma solo gli intelletti più acuti vennero accolti. Un candidato respinto si chiamava Cilene. Cilene non accettò l'umiliazione di essere rifiutato e vent'anni dopo si vendicò.

    Durante la sessantasettesima Olimpiade (510 a.C.) ci fu una rivolta nella vicina città di Sibari. Teli, il capo vittorioso dei ribelli iniziò una barbara persecuzione dei sostenitori del precedente governo, che indusse molti di loro a cercare rifugio a Crotone. Teli chiese che i traditori fossero rispediti a Sibari per scontare la pena dovuta, ma Milone e Pitagora persuasero i crotoniati a opporsi al tiranno e a proteggere i rifugiati. Teli si infuriò e raccolse subito un esercito di trecento mila uomini per marciare su Crotone, dove Milone difendeva la città con centomila cittadini armati. Dopo settanta giorni di guerra, Milone, comandante supremo, guidò i crotoniati alla vittoria e per ritorsione essi deviarono il corso del fiume Grati verso la città di Sibari, per inondarla e distruggerla.

    Nonostante la fine della guerra, Crotone era ancora in tumulto a causa delle liti sulla spartizione del bottino di guerra. Temendo che la terra sarebbe stata assegnata all'elite pitagorica, il popolo crotoniate cominciò a rumoreggiare. Fra le masse serpeggiava già un crescente risentimento perché i pitagorici continuavano a mantenere segrete le loro scoperte, ma nulla accadde finché Cilene si fece avanti come portavoce del popolo. Cilene fece leva sulla paura, sulla frustrazione e sull'invidia della plebaglia e la guidò nell'opera di distruzione della più geniale scuola matematica che il mondo abbia mai conosciuto. La casa di Milone e la scuola adiacente furono circondate, tutte le porte furono sprangate per impedire la fuga e poi fu appiccato il fuoco. Milone riuscì a scappare dall'inferno e fuggì, ma Pitagora e molti suoi discepoli rimasero uccisi.

    La matematica aveva perso il suo primo grande eroe, ma lo spirito pitagorico sopravvisse. I numeri e le loro verità erano immortali. Pitagora aveva dimostrato che la matematica, più di ogni altra disciplina, è una materia svincolata dalla soggettività di chi la pratica. I suoi discepoli non avevano bisogno del maestro per decidere della validità di una particolare teoria. La verità di una teoria era indipendente dall'opinione dei singoli. Al contrario, arbitra della verità era diventata la costruzione della logica matematica. Fu questo il massimo contributo pitagorico alla civiltà: un metodo di acquisire la verità che oltrepassa la fallibilità del giudizio umano.

    A seguito della morte del fondatore e dell'aggressione di Cilene, i pitagorici lasciarono Crotone per recarsi in altre città della Magna Grecia, ma le persecuzioni continuarono e alla fine molti dovettero stabilirsi in terra straniera. Questa migrazione coatta incoraggiò i pitagorici a diffondere il loro vangelo matematico per tutto il mondo antico. I discepoli di Pitagora istituirono nuove scuole e insegnarono agli studenti il metodo della dimostrazione logica. Oltre alla dimostrazione del teorema di Pitagora, essi spiegarono al mondo il segreto per trovare le cosiddette terne pitagoriche.

    Le terne pitagoriche sono combinazioni di tre numeri interi che soddisfano l'equazione di Pitagora:

    Per esempio, l'equazione pitagorica è valida se x = 3, y = 4 e z = 5:

    Dovendo trovare soluzioni con numeri interi all'equazione di Pitagora si può pensare a trovare due quadrati che, addizionati, possono formare un terzo quadrato. Per esempio, un quadrato composto di 9 mattonelle può essere aggiunto a un quadrato di 16 mattonelle, per formarne un terzo composto di 25 mattonelle.

    Un altro modo di considerare le terne pitagoriche è quello di ricomporre dei quadrati. Se si ha un quadrato 3x3, fatto di 9 mattonelle, e un quadrato 4x4, fatto di 16 mattonelle, allora tutte le mattonelle possono essere ridisposte per formare un quadrato 5x5, composto di 25 mattonelle.

    I pitagorici volevano trovare altre terne, altri quadrati che, sommati, formassero un terzo quadrato più grande. Un'altra terna pitagorica è x = 5, y = 12 e z = 13:

    52 + 122 = 132, 25 + 144 = 169.

    Una terna pitagorica più grande è x = 99, y = 4900 e z = 4901. Salendo nella serie numerica le terne diventano più rare e trovarle è sempre più difficile. Per scoprire quante più terne fosse possibile i pitagorici inventarono un metodo per trovarle e nel far ciò dimostrarono altresì che il loro numero è infinito.

    Armonia musicale

    Nel mondo dei pitagorici l'ordine numerico era lungi dal riguardare solo i triangoli e la geometria. La tradizione attribuisce a Pitagora la scoperta della progressione armonica delle note della scala musicale, attraverso la constatazione che gli intervalli musicali e l'altezza delle note corrispondono alla lunghezza relativa delle corde in vibrazione. Pitagora osservò che dividere una corda tesa in base a numeri interi consecutivi permetteva di generare (entro certi limiti) suoni armoniosi e piacevoli, o «consonanti». Se due note (due vibrazioni regolari) scelte a caso sono prodotte contemporaneamente, il suono che ne risulta è per lo più sgradevole (o «dissonante»). Solo poche combinazioni sono gradevoli. Pitagora scoprì che queste rare consonanze si ottengono quando le note prodotte da corde dello stesso tipo poste in vibrazione hanno lunghezze i cui rapporti corrispondono a quelli dei primi numeri interi. L'unisono si ha quando le corde hanno la stessa lunghezza (rapporto 1/1); l'ottava quando una corda è lunga la metà dell'altra (rapporto 1/2); la quinta, quando le lunghezze delle corde stanno tra loro come 2 stà a 3 (rapporto 2/3); la quarta, quando le lunghezze stanno tra loro come 3 stà a 4 (rapporto 3/4). Così, pizzicando una corda tesa si ottiene una nota; pizzicandone una ugualmente tesa e lunga la meta della prima, si ottiene una nota consonante, situata un'ottava sopra la nota precedente; pizzicandone una che sia lunga i 6/5 di una corda che produca la nota «do» si ottiene «la»; pizzicandone una che ne sia lunga i 4/3 si ottiene «sol»; una lunghezza pari a 3/2 da «fa», e così via.

    Ma, si chiesero i pitagorici, se l'armonia musicale si può esprimere coi numeri, perchè lo stesso non dovrebbe accadere per l'intero cosmo? E conclusero che tutti gli elementi dell'universo dovessero le loro proprietà alla natura dei numeri. Per esempio, le osservazioni astronomiche suggerivano che anche i moti dei corpi celesti fossero estremamente regolari, e sottoposti a un ordine ben preciso. Questo portò al concetto dell'«armonia delle sfere», l'idea che nei loro regolari movimenti, anche i corpi celesti producessero una musica armoniosa.

    Il concetto dell'«armonia delle sfere» fù rielaborato, più di venti secoli dopo, dal famoso astronomo Keplero. Avendo, nel corso della vita, visto coi propri occhi le sofferenze e gli orrori della guerra, Keplero conduse che in realta la Terra produceva due note: «mi», come miseria («sventura» in latino) e «fa» per fames («indigenza»). Nelle parole dell'astronomo: «La Terra canta MI FA MI, così che anche dalle sillabe possiamo indovinare che a regnare in questa nostra dimora sono Sventura e Indigenza».

    Forse a causa dei semplici rapporti armonici scoperti nella musica, 1/2, 2/3, 3/4 eccetera, i pitagorici svilupparono un particolare interesse per la differenza tra numeri pari e dispari. I numeri dispari erano da loro associati agli attributi della virilità e, non senza pregiudizio maschilista, alla luminosità e alla bontà, mentre, ovviamente, i numeri pari erano associati agli attributi della femminilità, dell'oscurità e del male.

    A parte i ruoli che assegnarono ai numeri pari e dispari in generale, i pitagorici attribuirono specialì proprietà ad alcuni numeri particolari. L'l, per esempio, era considerato il progenitore di tutti i numeri, e perciò non era ritenuto un numero. Si riteneva inoltre che caratterizzasse la ragione. Geometricamente, 1 era rappresentato dal punto, a sua volta considerato il progenitore di tutte le dimensioni dello spazio.

    Il numero 2 era il primo numero femminile, e anche il numero dell'opinione e della divisione. Idee abbastanza simili trovano espressione nella teoria cosmologico-religiosa cinese dello Yin e dello Yang, nella quale lo Yin rappresenta il principio femminile e negativo, associato a proprietà come la passività e l'oscurità, mentre lo Yang è il principio maschile associato alla luminosità. L'originaria identificazione del 2 con la femminilità e del 3 con la virilità puo essere stata rafforzata dall'aspetto dei seni femminili e dei genitali maschile. Nella vita di tutti i giorni, la divisione in due categorie di vari aspetti dell'esperienza è estremamente comune: buono e cattivo, alto e basso, destra e sinistra, e così via. Geometricamente, 2 era espresso dalla linea, determinata da due punti, che ha una dimensione.

    Il 3 era considerato il primo vero numero maschile, e anche il numero dell'armonia, combinando l'unita (il numero 1) e la divisione (il numero 2). Per i pitagorici, 3 era in un certo senso il primo numero reale, avendo un «inizio», un «mezzo» e una «fine» (diversamente da 2, che non possiede una parte intermedia). L'espressione geometrica del 3 era il triangolo, determinate da tre punti non giacenti su una retta, ed esteso in due dimensioni.

    Per i pitagorici, 4 era il numero della giustizia e dell'ordine. Sulla superficie della Terra, i quattro venti, o direzioni, fornivano agli uomini il necessario orientamento per individuare le coordinate dello spazio. Geometricamente, quattro punti che non giacciono sullo stesso piano formano un tetraedro (una piramide con quattro facce triangolari, il cui volume si estende nelle tre dimensioni.

    Un'altra considerazione che agli occhi dei pitagorici conferiva uno status speciale al numero 4 era l'estrema importanza attribuita al numero 10, la «santa tetractys». Il 10 era il numero da loro più riverito, perchè considerate una rappresentazione del cosmo nella sua interezza. Il fatto che la somma dei primi 4 interi (1 + 2 + 3 + 4) sia appunto 10 collegava strettamente 10 e 4. Nello stesso tempo, questa relazione significava che 10 riuniva i numeri che rappresentavano non solo tutte le dimensioni spaziali, ma anche le proprieta fondamentali dell'unicità (1), della polarita (2), dell'armonia (3) e della realtà spaziale/materiale (4). II 10 era quindi il numero del tutto.

    Il 6 era il primo numero perfetto, e il numero della Creazione. L'aggettivo perfetto era usato per i numeri esattamente uguali alla somma di tutti i loro divisori. E' questo il caso di 6, dato che i suoi divisori sono 1, 2 e 3 e 1 + 2 + 3 = 6. Il successive numero perfetto è 28, i cui divisori sono 1, 2, 4, 7 e 14; il terzo e 496, i cui divisori sono 1, 2, 4, 8, 16, 31, 62, 124 e 248. Si vede che i numeri perfetti crescono rapidamente, e infatti il nono della serie contiene già trentasette cifre. II numero 6 è anche il prodotto del primo numero «femminile» (2) e del primo numero «maschile» (3). Alcuni commentatori della Bibbia hanno considerate anche 28 un numero fondamentale del Sommo Architetto, pensando tra l'altro ai 28 giorni del ciclo lunare.

    Il numero 5 ci conduce alle origini del rapporto aureo. Il 5 era considerate l'unione del primo numero femminile e del primo numero maschile, e come tale, il numero dell'amore e del matrimonio. Sembra che i pitagorici avessero adottato il pentagramma (la Stella a cinque punte) quale simbolo della loro confraternità, e che lo chiamassero «Salute». Il pentagramma è anche strettamente legato al pentagono regolare, la figura piana con cinque lati e cinque angoli uguali. Collegando tutti i vertici del pentagono tramite diagonali si ottiene un pentagramma. Inoltre, le diagonali formano vicino al centro un pentagono regolare più piccolo. Ovviamente, il procedimento può essere ripetuto in questo pentagono, producendo un secondo pentagramma e un terzo pentagono, in una progressione che può continuare all'infinito.

    Le curiose proprietà di questa serie di figure non sono finite: osservando i segmenti via via più corti generati dal procedimento descritto, è facile dimostrare con considerazioni di geometria elementare che ogni segmento è minore del precedents di unfattore esattamente uguale al rapporto aureo). In altre parole, il rapporto a/b è uguale a Phi (Φ), il rapporto b/c è uguale a Φ eccetera. Ancora più importante è che il fatto di poter creare una serie di pentagoni e pentagrammi inseriti gli uni dentro gli altri proseguendo indefinitamente può essere usato per dimostrare rigorosamente che la diagonale e il lato del pentagono sono incommensurabili, ovvero che il rapporto delle loro lunghezze (pari a Φ) non può essere espresso come rapporto di numeri interi. Un altro modo di esprimere lo stesso concetto, è dire che la diagonale e il lato del pentagono non possono avere nessuna comune unità di misura, ossia, ancora, che non può esistere nessun segmento, per quanto corto, tale che la diagonale sia un multiple intero, e il lato un altro multiplo intero di quel segmento.

    Numeri irrazionali

    Quando Pitagora affermava che l'universo è governato dai numeri, si riferiva ai numeri interi e ai rapporti (o rationes) fra numeri interi, cioè alle frazioni. I numeri interi e i numeri frazionali sono noti come numeri razionali. Un numero irrazionale, ed è questo l'aspetto che appariva orribile a Pitagora, è un numero che non è né intero né frazionario. Infatti i numeri irrazionali sono così strani da non poter essere scritti in termini decimali, neppure in termini di decimali periodici. Un decimale periodico come 0,111111... è ancora un numero abbastanza semplice ed equivale alla frazione 1/9. Il fatto che il numero 1 si ripete per sempre significa che il decimale ha una struttura molto semplice e regolare. Questa regolarità, nonostante continui all'infinito, comporta che il decimale possa essere riscritto in termini frazionari. Se invece cercate di esprimere un numero irrazionale in forma decimale finirete per avere un numero che continua per sempre senza una struttura regolare o coerente.

    Il concetto di numero irrazionale fu una novità terribile. I matematici stavano guardando oltre i numeri interi e quelli frazionari ai quali erano abituati e ne stavano scoprendo o forse inventando di nuovi.

    Il più famoso numero irrazionale è . A scuola talvolta lo si approssima con 3,14, ma il vero valore di n è più vicino a 3,14159265358979323846, ma anche questa cifra è soltanto un'approssimazione. Non si può mai scrivere esattamente il valore di n, perché i decimali proseguono all'infinito senza alcuno schema regolare. Una meravigliosa caratteristica di questo suo sviluppo casuale è che lo si può calcolare con un'equazione che è estremamente regolare:

    Calcolando solo i primi termini si può ottenere un valore molto approssimativo di , ma calcolandone sempre di più l'approssimazione ottenuta si fa sempre più accurata. Anche se conoscere n fino a 39 cifre decimali è sufficiente per calcolare la circonferenza dell'universo con un margine di errore pari soltanto al raggio di un atomo di idrogeno, questo non ha trattenuto gli scienziati dal calcolare con il computer n fino al maggior numero possibile di decimali. Il record attuale è detenuto da Yasumasa Kanada dell'Università di Tokyo che ha calcolato con il computer n fino a sei miliardi di decimali nel 1996. Recentemente si è sparsa la voce che i fratelli russi Chudnovsky a New York avessero calcolato n fino a otto miliardi di decimali e che intendessero raggiungere il trilione. È da osservare che se Kanada o i fratelli Chudnovsky proseguissero i loro calcoli finché i loro computer esaurissero tutta l'energia dell'universo, non potrebbero comunque stabilire il valore esatto di n. È facile capire perché Pitagora abbia tramato per nascondere l'esistenza di questo mostro matematico.

    I Poliedri di Platone

    Nel Timeo, Platone non esita ad affrontare l'immensa questione delle origini! e del funzionamento del cosmo. In tale contesto egli avanza l'ipotesi che la struttura della materia si fondi sui cinque solidi regolari (o poliedri), già indagati dai pitagorici e poi, in modo molto più sistematico, da Teeteto (c. 417 - c. 369 a.C.). I cinque solidi platonici sono contraddistinti dalle seguenti proprietà: sono gli unici solidi le cui facce sono tutte equilatere e uguali tra loro; ciascun solido e circoscritto da una sfera (in modo che tutti i suoi vertici si trovino sulla superficie di quest'ultima).

    I solidi platonici sono: il tetraedro, con quattro facce triangolari, (1); il cubo, con sei facce quadrate, (2); l'ottaedro, con otto facce triangolari, (3); il dodecaedro, con dodici facce pentagonali, (4); e l'icosaedro, con venti facce triangolari, (5).

    Platone fuse la teoria di Empedocle (c. 490 - c. 430 a.C.) che i quattro element! fondamentali della materia fossero la terra, l'acqua, l'aria e il fuoco, con la concezione di Democrito di Abdera (c. 460 - c. 370 a.C.), secondo il quale le componenti ultime dell'universo erano il vuoto e alcune particelle materiali non ulteriormente divisibili dette «atomi». Nella teoria «unificata» di Platone, ciascuno dei quattro elementi corrispondeva a un tipo diverso di particella fondamentale, rappresentata da uno dei solidi regolari. Secondo Platone, l'emento terra è legato allo stabile cubo, il fuoco, che «fà breccia*, al puntuto e semplice tetraedro, l'aria alla «mobile» forma dell'ottaedro e l'acqua allo sfaccettato icosaedro. Il quinto solido, il dodecaedro, fù collegato da Platone all'universo nel suo insieme; o, per usare le sue parole, il dodecaedro sarebbe la forma «usata dalla divinità per ricamare le costellazioni sull'insieme dei cieli». Per questo Salvador Dali ha immaginato un grande dodecaedro fluttuante sul tavolo del banchetto nel Sacramento dell'Ultima Cena.

    L'assenza di un elemento associato al dodecaedro non fù accettata da tutti i seguaci di Platone, alcuni dei quali supposero l'esistenza di una quinta sostanza fondamentale. Aristotele, per esempio, introdusse l'etere quale elemento costitutivo dei corpi celesti, ma presente nell'intero universo in qualità di «quinta essenza» cosmica. Pervadendo ogni altra materia, la quinta essenza permetteva il verificarsi del movimento e di ogni altro cambiamento in armonia con le leggi naturali.

    Il rapporto aureo occupa una posizione importante nelle dimensioni e nella simmetria di alcuni poliedri platonici. In particolare, un dodecaedro con lato unitario (il lato e il segmento rettilineo che due facce vicine hanno in comune) ha una superficie complessiva la cui area e pari a 15Φsqrt(3-Φ), e un volume pari a 5(Φ)3 / (6- 2Φ) In modo simile, un icosaedro di lato unitario ha un volume uguale a 5(Φ)5/6.

    La simmetria dei poliedri platonici si manifesta con altre curiose proprietà. Per esempio, il cubo e l'ottaedro hanno lo stesso numero di spigoli (dodici), ma il numero di facce e di vertici risulta invertito (il cubo ha sei facce e otto vertici, l'ottaedro otto facce e sei vertici). Lo stesso accade col dodecaedro e l'icosaedro: entrambi hanno trenta spigoli, ma il dodecaedro ha dodici facce e veti vertici, mentre il contrario si verifica nell'icosaedro. Queste somiglianze e simmetrie dei solidi platonici permettono interessanti riproduzioni di un poliedro nel suo «reciproco». Congiungendo i centri di tutte le facce di un cubo si ottiene un ottaedro, così come congiungendo i centri di tutte le facce di un ottaedro si otriene un cubo. Lo stesso procedimento si può usare per riprodurre un icosaedro in un dodecaedro, e viceversa, e il rapporto delle lunghezze degli spigoli dei due solidi (quello esterno e quello riprodotto) è dato da una formula contenente, ancora una volta, il rapporto aureo: Φ2 / sqrt(5). Il tetraedro è autoriproducibile: congiungendo i centri delle facce di un tetraedro si ottiene un altro tetraedro.

    (Tratto da "La sezione aurea" di Mario Livio - 2003 Rizzoli e da "L'ultimo teorema di Fermat" di Simon Singh - 1999 BUR Saggi)