Matematici

Diofanto

L'enigma della durata della vita di Diofanto

 
 

Diofanto

 

Il matematico che compilò un testo di valore uguale agli Elementi di Euclide, per la teoria dei numeri, fu Diofanto di Alessandria, l'ultimo campione della tradizione matematica greca. Anche se le acquisizioni di Diofanto nella teoria dei numeri sono ben documentate nei suoi libri, di questo formidabile matematico non si sa quasi nient'altro. Il suo luogo di nascita è sconosciuto e la sua presenza ad Alessandria non è collocabile con precisione se non nell'arco dì cinque secoli. Nei suoi scritti Diofanto cita Ipsicle e dunque dev'essere vissuto dopo il 150 a.C.; d'altro lato la sua opera è citata da Teone di Alessandria e perciò Diofanto dev'essere vissuto prima del 364 d.C. In genere si accetta la data del 250 d.C. come la più probabile. La durata della sua vita, egli stesso volle, che fosse scolpito sotto forma di enigma, come epitafio sulla sua tomba.

L'enigma è un esempio del tipo di problemi che deliziavano Diofanto. La sua specialità era di affrontare quesiti che richiedevano una soluzione con numeri interi e oggi ci si riferisce a tali problemi definendoli problemi diofantei. Trascorse la sua carriera ad Alessandria, raccogliendo problemi già risolti e inventandone di nuovi, per poi compendiarli tutti nel suo trattato più importante, l'Aritmetica. Dei tredici libri che la compongono, solo sei sopravvissero alle calamità del Medioevo e giunsero a ispirare i matematici del Rinascimento, compreso Pierre de Fermat. Gli altri sette libri si perdettero in una serie di tragici eventi che fecero tornare indietro la matematica all'età dei babilonesi.

Durante i secoli che separarono Euclide da Diofanto, Alessandria rimase la capitale intellettuale del mondo civilizzato, ma per tutto questo periodo la città fu ripetutamente minacciata da eserciti stranieri. Il primo grande assalto si ebbe nel 47 a.C, quando Giulio Cesare cercò di abbattere il regno di Cleopatra incendiando la flotta di Alessandria. La Biblioteca, che si trovava vicino al porto, prese fuoco anch'essa e centinaia di migliaia di volumi furono distrutti. Fortunatamente per i matematici Cleopatra apprezzava l'importanza del sapere ed era decisa a riportare la Biblioteca al suo antico splendore. Marco Antonio si rese conto che la via per conquistare il cuore di una donna colta passava attraverso la sua biblioteca e perciò marciò sulla città di Pergamo. A Pergamo era stata fondata una biblioteca che ambiva a costituire la migliore collezione di volumi del mondo, ma Marco Antonio trasportò tutto il fondo di Pergamo in Egitto, ripristinando il primato di Alessandria.

Nei quattro secoli successivi la Biblioteca continuò ad accumulare libri finché nel 389 d.C. ricevette il primo di due colpi mortali, entrambi dovuti al fanatismo religioso. L'imperatore cristiano Teodosio ordinò a Teofilo, vescovo di Alessandria, di distruggere tutti i monumenti pagani. Sfortunatamente, quando Cleopatra aveva ricostruito la Biblioteca, aveva deciso di alloggiarla nel Tempio di Serapide I e così la Biblioteca venne coinvolta nella distruzione delle immagini e degli altari pagani. I dotti pagani cercarono disperatamente di salvare sei secoli di conoscenze, ma prima di poter fare qualunque cosa furono massacrati dalla plebaglia cristiana. La discesa nell'età buia del Medioevo era cominciata.

Poche copie preziose dei volumi più importanti sopravvissero alla devastazione e alla strage perpetrate dai cristiani e i dotti continuarono a visitare Alessandria alla ricerca del sapere. Poi nel 642 un attacco mussulmano riuscì laddove i cristiani avevano fallito. Quando gli fu chiesto che cosa si dovesse fare della Biblioteca, il vittorioso califfo Ornar ordinò che tutti i volumi contrari al Corano fossero distrutti e che quelli conformi al Corano fossero distrutti anch'essi, in quanto superflui. I manoscritti vennero utilizzati per alimentare le caldaie dei bagni pubblici e la matematica greca ondò letteralmente in fumo. Non c'è da sorprendersi che la maggior parte dell'opera di Diofanto sia andata distrutta. È anzi un miracolo che sei libri dell'Artthmetica siano potuti sopravvivere alla tragedia di Alessandria.

Nei mille anni successivi la matematica in Occidente entrò in una fase di stagnazione e solo pochissimi luminari in India e in Arabia la tennero in vita. Essi copiarono le formule descritte nei manoscritti greci sopravvissuti e poi cominciarono a reinventare da soli molti teoremi che erano andati perduti. Aggiunsero anche nuovi elementi alla matematica, compreso il numero zero.

Nella matematica moderna lo zero assolve a due funzioni. Innanzitutto ci permette di distinguere tra numeri come 52 e 502. In un sistema dove la posizione del numero indica il suo valore, è necessario un simbolo che indichi una posizione vuota. Per esempio, 52 rappresenta 5 volte dieci più due volte uno, mentre 502 rappresenta cinque volte cento, più O volte dieci, più 2 volte uno e la presenza dello zero è fondamentale per dissipare ogni ambiguità. Anche i babilonesi tremila anni prima di Cristo apprezzavano l'utilità dello zero per evitare confusione e i greci adottarono la loro idea, adoperando un simbolo circolare simile a quello che usiamo oggi. Lo zero ha però un significato più profondo e sottile, che fu compreso pienamente soltanto parecchi secoli più tardi dai matematici indiani. Gli indù riconobbero che lo zero aveva un'esistenza indipendente al di là della mera funzione di separare gli altri numeri: ossia lo zero era un numero a pieno titolo. Esso rappresentava la quantità del nulla. Per la prima volta il concetto astratto del nulla aveva ricevuto una tangibile rappresentazione simbolica.

A un lettore moderno questo può sembrare un banale passo in avanti, ma il significato più profondo del simbolo zero è stato ignorato da tutti gli antichi filosofi greci, compreso Aristotele. Egli aveva sostenuto che il numero zero andava bandito, perché sconvolgeva la coerenza degli altri numeri: dividere per zero qualunque altro numero portava a un risultato incomprensibile. Già nel sesto secolo i matematici indiani non accantonavano più il problema in questo modo e il dotto Brahmagupta, vissuto nel settimo secolo, aveva una concezione della matematica abbastanza sofisticata da utilizzare la divisione per zero come una definizione dell'infinito.

Mentre l'Europa aveva abbandonato la nobile ricerca della verità, l'India e l'Arabia stavano consolidando il sapere sottratto alle macerie dell'incendio di Alessandria e lo reinterpretavano in un nuovo e più ricco linguaggio. Oltre ad aggiungere lo zero al vocabolario della matematica, sostituirono i primitivi simboli greci e gli ingombranti numeri romani con il sistema numerico oggi universalmente adottato. Anche questo potrebbe sembrare un piccolissimo passo in avanti, ma provate a moltipllcare CLV per DCI e vi renderete conto dell'importanza dell'innovazione. La moltiplicazione equivalente con i numeri arabi, ossia 155 per 601, è assai più semplice. La crescita di ogni disciplina dipende dalla capacità di comunicare e sviluppare le idee, e ciò richiede un linguaggio sufficientemente articolato e flessibile. Le idee di Pitagora e di Euclide non erano meno eleganti a motivo della loro goffa espressione, ma tradotte in simboli arabi erano destinate a fiorire e a produrre concetti più nuovi e più ricchi.

Nel decimo secolo il dotto francese Gerberto di Aurillac apprese il nuovo sistema di calcolo dai mori di Spagna e grazie alla sua posizione di insegnante nelle chiese e nellescuole di tutta Europa potè introdurre il nuovo sistema in Occidente. Nel 999 Gerberto fu eletto papa e prese il nome di Silvestre II, una carica che gli consentì di promuovere ulteriormente l'adozione dei numeri indo-arabi. Anche se l'efficacia del nuovo sistema rivoluzionò la contabilità e fu adottata dai mercanti, ebbe scarso effetto nel suscitare una rinascita della matematica in Europa. Il punto di svolta cruciale nella matematica occidentale avvenne nel 1453, quando i turchi saccheggiarono Costantinopoli. Nel corso dei secoli i manoscritti sopravvissuti alla devastazione di Alessandria erano finiti a Costantinopoli, ma ancora una volta corsero il pericolo di essere distrutti. I dotti di Bisanzio fuggirono in Occidente con tutti i testi che poterono preservare. Sopravvissuti agli attacchi di Cesare, del vescovo Teofilo, del califfo Omar e infine dei turchi, i pochi preziosi volumi de l'Aritmetica tornarono in Occidente.

L'enigma della durata della vita di Diofanto

Sulla tomba di Diofanto, egli volle che fosse scolpito il seguente enigma:

Dio gli consentì di essere ragazzo per la sesta parte della sua vita e, con l'aggiunta di una dodicesima parte, gli rivestì le guance di pe- luria. Dopo un'altra settima parte della sua vita il Dio accese per lui le fiaccole nuziali e cinque anni dopo il matrimonio gli accordò un figlio. Ahimè! povero figlio nato troppo tardi; dopo aver raggiunto la metà dell'intera vita di suo padre, il gelido Fato se lo prese. Dopo essersi consolato con la scienza dei numeri per altri quattro anni, egli concluse la sua vita.

Il problema consiste nel calcolare la durata della vita di Diofanto.

Chiamiamo L la durata della vita di Diofanto. L'enigma ci fornisce un resoconto completo della sua vita, che è il seguente:

  • La sua infanzia durò 1/6 della sua vita, cioè L/6,
  • L/12 fu il tempo della sua adolescenza,
  • poi, prima del matrimonio passò un tempo pari a L/7,
  • 5 anni più tardi gli nacque un figlio,
  • L/2 durò la vita del figlio,
  • e prima di morire Diofanto visse altri 4 anni.

    La durata della vita di Diofanto è data dalla somma di queste quantità:

    L = L/6 + L/12 + L/7 + 5 + L/2 + 4

    da cui si ricava:

    L = 25/28L + 9

    L = 84

    Diofanto morì all'età di 84 anni

    (Tratto da "L'ultimo teorema di Fermat" di Simon Singh - 1999 BUR Saggi)