Gli esperimenti più belli

Eratostene misura la circonferenza della Terra

Galileo e la caduta dei gravi dalla Torre di Pisa

Galileo ed il piano inclinato

Newton scompone la luce con dei prismi

Cavendish misura il peso della Terra

La scoperta del carattere ondulatorio della luce di Young

Il pendolo di Foucault

La goccia d'olio di Millikan

La scoperta del nucleo atomico di Rutherford

L'interferenza quantistica di elettroni singoli

 

La goccia d'olio di Millikan

Quando il fisico americano Robert Millikan (1868-1953) tenne la Nobel Letture in occasione della cerimonia dei Nobel nel 1923, nella quale gli fu conferito il premio per le scienze fisiche, non lasciò nel pubblico alcun dubbio sul fatto che egli avesse effettivamente visto singoli elettroni. « Chi ha visto tale esperimento», disse Millikan, riferendosi all'esperimento per cui aveva vinto Ìl premio Nobel, « ha letteralmente visto l'elet- trone».

L'ostinata insistenza di Millikan sul fatto che il suo esperimento permetteva letteralmente di vedere particelle subatomiche era dovuta in parte a un atteggiamento difensivo: egli stava ancora soffrendo per una controversia con altri scienziati che avevano contestato il suo lavoro. La sua asserzione di essere in grado di vedere gli elettroni si fondava però su qualcosa di diverso dalla tesi di Foucault di essere in grado di vedere la rotazione della Terra, a causa dello straordinario ambiente fornito dalle apparecchiature che Millikan aveva costruito nel suo laboratorio.

Quando, nel 1907, Millikan cominciò la sua lunga serie di esperimenti sull'elettrone, aveva quasi quarantenni, si trovava da più di dieci anni all'Università di Chicago dove era appena diventato professore ordinario, era sposato ed era padre di tre figli. Pur avendo scritto vari testi molto stimati, aveva compiuto poche ricerche importanti, era desideroso dì dare un contributo originale alla fìsica e rivolse la sua attenzione alla determinazione della carica elettrica trasportata da un singolo elettrone.

«Tutti erano interessati alla grandezza della carica dell'elettrone », scrìsse nella sua autobiografìa, « poiché essa è probabilmente l'entità più fondamentale e invariabile nell'universo, anche se il suo valore non è mai stato finora misurato neppure con un margine d'errore del 100 per cento [ossia con un'incertezza grande quanto la cosa misurata] ».

Così come una delle massime sfìde della scienza del Settecento era stata la misurazione della densità della Terra — e poi della costante gravitazionale -, una delle sfide principali che si ponevano alla fìsica dell'inizio del Novecento era quella di misurare l'intensità della carica dell'elettrone. E per la stessa ragione: questa informazione avrebbe detto molto sulla struttura del mondo.

Nella sua conferenza per il Nobel, Millikan introdusse l'argomento dell'elettricità chiedendo al pubblico di considerare «alcuni esperimenti semplici e familiari». Se si sfrega un bastoncino di vetro con un pezzo di pelliccia di gatto e poi si tocca con esso una pallina di midollo di legno, la pallina sembra acquistare una « proprietà nuova e sorprendente », che la fa praticamente saltare via dal bastoncino stesso. Questo, disse Millikan, è un fenomeno elementare dell'elettricità: un qualcosa, detto « carica elettrica », passa dal bastoncino alla pallina, e di conseguenza bastoncino e pallina si respingono. Benjamin Franklin aveva sostenuto che la carica era composta da molti piccoli corpuscoli o atomi di elettricità, che il fenomeno sì presentava in piccoli granuli o pacchetti. Alla fine dell'Ottocento gli scienziati avevano dimostrato con loro soddisfazione che Franklin era nel giusto: la carica veniva trasportata da piccoli corpi chiamati « elettroni », che in qualche modo erano parti importanti degli atomi. Non sapevano però se la carica elettrica dei singoli elettroni esistesse in pacchetti dì grandezza specifica o se potesse avere un qualsiasi valore. Tale informazione era di vitale importanza per i fisici interessati alla struttura dell'atomo, come pure per i chimici interessati ai legami atomici. Ma come si poteva trovare e misurare il minimo granulo di elettricità?

Millikan sapeva che impegnarsi a misurare la carica di un singolo elettrone era un'impresa rischiosa. Egli stava rinundando a una carriera affermata di autore di libri di testo per un'avventura temeraria nel campo della ricerca. Sapeva dai suoi precedenti contatti con la ricerca « quanta prospczione si potesse fare in fìsica senza mai imbattersi in una vena aurifera». Il suo obiettivo - misurare il valore della carica elettrica di un singolo elettrone - era eccezionalmente difficile da raggiungere. Isolare una sola di queste particelle inconcepibilmente piccole e lavorare con essa sarebbe stato un compito malagevole in qualsiasi circostanza. A quell'epoca, però, non era chiaro neppure quale fosse il modo migliore per compiere tale esperimento.

Millikan si proponeva, per cosi dire, non solo di scalare un'alta montagna, ma cercava di farlo avendo solo l'idea più vaga di quale versante avrebbe fornito la via d'accesso più facile, o anche solo un'ascesa possibile. Peggio ancora, il grande interesse scientifico per la grandezza della carica dell'elettrone comportava che molte persone cercassero di misurarla. Millikan avrebbe quindi lavorato in un campo molto affollato e competitivo, e c'era il grande pericolo che altri, più esperti o meglio equipaggiati di lui, potessero lavorare con più rapidità e migliore precisione. Egli avrebbe avuto bisogno di genialità e di buona sorte.

I massimi competitori di Millikan si trovavano al Cavendish Laboratory della Cambridge University. Il suo direttore, Joseph John Thomson, aveva scoperto l'elettrone nel 1897 (più esattamente, Thomson aveva scoperto che tutti gli elettroni avevano lo stesso rapporto carica-massa) e sapeva bene quanto fosse importante determinarne la carica esatta; egli stava dirigendo un gruppo di studenti di talento che stavano affrontando il problema. Essi avevano sperimentato molti progetti, il più promettente dei quali implicava, sorprendentemente, la creazione di una nube di goccioline d'acqua in laboratorio.

Qualche anno prima, uno dei collaboratori di Thomson aveva inventato un dispositivo chiamato camera a nebbia, che creava nuvole all'interno di una camera facendo condensare aria supersatura (ossia carica di vapore acqueo) su particelle di polvere e particelle libere contenenti cariche elettriche chiamate ioni (gli ioni di carica negativa contengono una o più cariche elettriche). Il fatto che l'aria supersatura si condensasse intorno agli ioni rese il dispositivo inaspettatamente utile per seguire le traiettorie di particelle cariche come quelle emesse da sostanze radioattive, poiché tali particelle lasciavano nella loro traiettoria scie di ioni. Nel 1898, un anno dopo la sua scoperta dell'elettrone, Thomson usò questo principio per fare una rozza stima della sua carica.

Egli usò una sorgente radioattiva per creare ioni negativi (ossia elettroni) nell'aria all'interno di una camera a nebbia, dopo di che fece condensare l'aria supersatura intorno agli ioni — creando una sorta di nube di palline di midollo con cariche su dì esse — e misurò la carica totale della nube. Stimò poi il numero totale delle goccioline presenti nella nube. Questo compito apparentemente diffìcile potè essere affrontato, stranamente, misurando la velocità con cui la superfide superiore della nube cadeva all'interno della camera a nebbia. Grazie a un'equazione nota come legge di Stokes, che descrive il moto di goccioline all'interno di un fluido, Thomson potè calcolare la grandezza media delle singole gocce che componevano la nube misurando la velocità con cui la nube cadeva. (A questo scopo, secondo la legge di Stokes, egli aveva bisogno di conoscere la densità delle gocce - compito facile in quanto erano composte d'acqua - e la viscosità del fluido in cui cadevano: un altro compito facile, dato che questo fluido era l'aria.)

La conoscenza sia del volume totale del vapore acqueo presente nella nube sia della grandezza di ogni singola goccia permise allora a Thomson di calcolare il numero delle singole gocce presenti nella nube. Sulla base dell'assunto che ogni gocciolina d'acqua nella nube si fosse condensata intorno a un singolo elettrone, quest'informazione permise a Thomson di dividere la carica della nuvola per il numero di goccioline, per ottenere un valore approssimato della carica di ogni elettrone.

Un allievo di Thomson, Harold Wilson, migliorò questo metodo installando nella camera a nebbia piastre metalliche orizzontali, in modo da poter creare un campo elettrico all'interno del dispositivo. Quando caricò le piastre, le cariche presenti nella regione intermedia furono attratte verso il basso dal campo. Usando un cronometro, Wilson misurò e confrontò la velocità con cui le nubi di goccioline cadevano in un reticolo, prima sotto l'influenza della sola gravita e poi sotto l'influenza della gravità più il campo elettrico, che attraeva la nube verso il basso un po' più velocemente. Questo fu un miglioramento significativo, in quanto permise a Wilson di assicurarsi che lo strato della nube che stava misurando fosse composto da goccioline con elettroni al loro interno, in quanto le gocce con elettroni cadrebbero più rapidamente sotto l'influenza del campo elettrico che sotto quella della sola gravita. Esso gli permise anche dì selezionare le goccioline con la carica più piccola, poiché le gocce condensate intorno a più di un elettrone, avendo più carica, cadrebbero a una velocità maggiore. Ma anche il metodo di Wilson era solo approssimato, dal momento che le nubi evaporavano rapidamente e spesso le nubi successive erano molto diverse e diffìcili da confrontare.

Millikan riprese il problema nel 1906 con un dottorando, di nome Louis Begeman. Essi provarono prima il metodo di Harold Wilson, ma non riuscirono a farlo funzionare; il carattere indefinito e instabile della superfìcie superiore della nube rese per loro quasi impossibile misurare qualcosa con una qualche precisione. Quando Millikan riferì su questa ricerca a un congresso a Chicago, l'eminente scienziato Ernest Rutherford sottolineò che una difficoltà importante era la rapidità con cui evaporavano le goccioline d'acqua. Millikan decise allora di cambiare drasticamente il suo metodo per combattere il problema dell'evaporazione, oltre a varie altre difficoltà.

Frustrato, decìse dì studiare la velocità di evaporazione per poterla compensare: un altro esempio della «vigilanza sperimentale » che ho descritto in connessione con l'esperimento di Cavendish. Millikan decise di usare un campo elettrico più intenso e di invertire la corrente, in modo che le goccioline cariche venissero attratte verso l'alto, mantenendo stabile la nube mentre ne esaminava la rapidità di evaporazione. Al suo primo tentativo, ebbe uno choc che gli fece pensare, almeno all'inizio, che il suo obiettivo fosse impossibile da raggiungere e l'esperimento senza speranza.

Quando ebbi tutto pronto e [...] formata la nube, attivai il campo elettrico ruotando un interruttore. Quel che vidi accadere fu l'istantanea e completa dissipazione della nube: in altri termini non rimaneva più alcuna « superficie superiore » della nube alla quale si potesse sovrapporre un reticolo, come aveva fatto Wìlson e come anch'io mi ero atteso di poter fare.

Praticamente l'intera nube — formata evidentemente da gocce contenenti più di un elettrone — era stata spazzata via dal forte campo elettrico. Questo fatto, scrisse Millikan, «parve dapprima distruggere il mio esperimento, e con esso ogni altro esperimento dipendente da misurazioni della velocità di caduta di una nube ionizzata».

Quando Millikan ripetè il tentativo, accadde lo stesso fenomeno. D'improvviso, però, osservò qualcosa che trasformò radicalmente le sue idee: vide che restava ancora visibile un gruppo di gocce. « Erano le goccioline che avevano accidentalmente proprio quella relazione della carica alla massa, o al peso, che si richiedeva perché la forza gravitazionale diretta verso il basso che si esercitava sulla gocciolina potesse essere controbilanciata dalla forza diretta verso l'alto dovuta all'azione del campo sulla carica elettrica trasportata dalla gocciolina [...], Ebbe così origine quello che chiamai 'metodo delle gocce in equilibrio' per determinare e [la carica dell'elettrone] ».

Millikan aveva trovato un modo per lavorare, per così dire, con singole palline dì midollo anziché con nubi di esse. Adattando l'intensità del campo elettrico nella camera, riuscì a far muovere su e giù le goccioline d'olio nella camera e anche a farle stare immobili. Dopo avere compiuto l'esperimento molte volte, notò che la carica richiesta per bilanciare le gocce era sempre un multiplo esatto della carica più piccola che osservava su una gocciolina: questa era la prima prova chiara che la carica elettrica era in grani discreti.

Millikan ricostruì allora l'apparecchiatura per studiare singole gocce anziché nubi. La nuova apparecchiatura constava di una camera in cui le goccioline d'acqua cariche cadevano attraverso un piccolo foro in una placca orizzontale, entrando poi in un'area in cui il loro comportamento poteva essere osservato, con l'aiuto di un microscopio, mentre salivano e scendevano ìn un reticolo.

In questo esperimento Millikan ebbe una fortuna fenomenale, e se ne rese conto. L'esperimento era possibile in generale solo in presenza di una gamma ristretta di parametri; se le gocce fossero state molto più piccole, il moto browniano (il moto casuale di singole particelle sospese in un liquido, dovuto a collisioni con le molecole del liquido stesso) ne avrebbe reso impossibile l'osservazione, mentre se le gocce fossero state molto più grandi Millikan non sarebbe riuscito a creare la tensione elettrica richiesta per mantenerle stazionane. «La natura fu qui molto gentile», scrisse in seguito Millikan. «Diffìcilmente una qualche altra combinazione di dimensioni, intensità di campo e materiali avrebbe potuto fornire Ì risultati ottenuti. »

Nell'autunno del 1909 Millikan presentò il suo primo importante articolo sul suo metodo delle « gocce in equilibrio », che fu pubblicato nel febbraio seguente. L'articolo è notevole per l'onestà della sua presentazione; in quello che Gerald Holton descrive come «un procedimento raro nella letteratura scientifica », Millikan incluse il suo giudizio personale sull'attendibilità e il valore di ognuna delle trentotto osservazioni delle goccioline, disponendole in ordine di attendibilità. Assegnò tre asterischi alle due osservazioni segnalate nel suo taccuino come « ottime », che erano state fatte in « condizioni apparentemente perfette », nel senso che egli aveva potuto osservare la goccia abbastanza a lungo per essere certo che fosse del tutto stazionaria, che era riuscito a misurare il tempo impiegato dalla goccia « a passare per i fili trasversali [del reticolo] con precisione assoluta ».

Assegnò due asterischi a sette osservazioni « molto buone », un asterisco a dieci osservazioni « buone » e lasciò senza asterisco tredici osservazioni « discrete ». È notevole anche la franca ammissione di Millikan di avere scartato tre osservazioni « buone » — la cui inclusione non avrebbe inciso sul risultato finale - perché qualcosa nella loro posizione o nel valore del campo rendeva incerta la misurazione; altre tre a causa di variazioni nel valore del campo; e una semplicemente perché la sua carica aveva un valore del 30 per cento inferiore a quello delle altre, cosa che lo indusse a credere che ci fosse stato un qualche errore sperimentale. Come osserva Holton: «Millikan stava evidentemente dicendo che riconosceva un caso buono quando ne vedeva uno e che non era disposto a non tener conto di questa sensazione anche se non era chiaro come si potesse quantificarla e dove registrarla». Giudizi umani simili fanno sempre parte del processo scientifico, ma raramente gli sperimentatori li riconoscono, e certamente non in scritti stampati.

Quasi a confermare il principio che nessuna buona azione rimane impunita, Millikan avrebbe avuto ben presto occasione di dolersi della sua onestà. Lo stesso anno un fisico dell'Università di Vienna, Felix Ehrenhaft (1879-1952) diede inizio alla controversia. Utilizzando apparecchiature simili a quelle di Millikan, ma usando piccole particelle di metallo anziché gocce d'acqua, nel 1910 Ehrenhaft sostenne che i suoi risultati dimostravano l'esistenza di « subelettroni », con una gamma di cariche minori delle minime trovate da Millikan. Ehrenhaft ricalcolò inoltre i dati di Millikan e, usando le osservazioni da lui scartate in quanto considerate non attendibili, diede l'impressione che i dati del ricercatore americano sostenessero in realtà le proprie conclusioni.

Quando apparve l'articolo di Ehrenhaft, Millikan si rese conto che i suoi esperimenti dovevano essere molto migliorati. Nell'agosto 1909, poco tempo prima di presentare il suo primo articolo per la pubblicazione, Millikan si era recato a Winnipeg, in Canada, a un convegno della British Association for the Advancement of Science, il cui presidente era quell'anno lo stesso JJ. Thomson. Benché Millikan non avesse chiesto di apparire nel programma, portò con sé i suoi risultati, domandò di parlare e attrasse molta attenzione sul suo esperimento. Subito dopo questo convegno decise di sostituire le gocce d'acqua con una sostanza più pesante e con una minore rapidità di evaporazione, come mercurio od olio: un tipo diverso di pallina di midollo. Nella sua autobiografìa, scritta vent'anni dopo, Millikan descrisse il passo avanti come un momento di eureka che gli si presentò nel viaggio di ritorno, quando si rese conto che era folle cercare di combattere l'evaporazione di gocce d'acqua quando erano stati sviluppati oli per orologi esplicitamente per resistere all'evaporazione.

Come nel caso di molti di tali momenti, il modo esatto in cui sì presentò è altrettanto indefinito della superfìcie superiore dì una nube. In articoli scritti a quell'epoca, Millikan riconobbe al collega J.Y. Lee il merito di avere sviluppato il metodo di atomizzazione per produrre piccole goccioline sferiche per l'esperimento. E in seguito il dottorando allievo di Millikan Harvey Fletcher avrebbe sostenuto di essere stato lui ad avere l'idea di usare goccioline d'olio. Con ogni probabilità, nessuno fece un singolo passo avanti decisivo e non ci fu un'origine unica del momento di eureka. Il problema di sconfìggere l'evapora zione era probabilmente in cima ai pensieri di tutti coloro che erano coinvolti nell'esperimento.

Tornato a Chicago da Winnipeg, Millikan si affrettò a recarsi nel suo laboratorio a Ryerson Hall, al margine della quadrangolare corte erbosa ai centro del campus. Dall'esterno difficilmente si sarebbe potuto immaginare che la struttura, un sorprendente edifìcio neogotico con merlature, fosse stata costruita per essere uno dei più importanti laboratori di fìsica della fine dell'Ottocento. Persino al suo interno, le sue enormi travi in rovere e l'immensa scalinata a spirale diffìcilmente potevano far pensare a un laboratorio. Era un edifìcio massiccio, ben isolato e costruito con solido legno e pesanti mattoni, senza ferro per evitare disturbi magnetici che potessero interferire con esperimenti implicanti piccoli campi elettrici o magnetici. Era stato costruito con suggerimenti dati dal fisico americano Albert Michelson, che aveva insistito su certe specificazioni e materiali da costruzione per facilitare i suoi esperimenti.

All'ingresso a Ryerson, Millikan incontrò lo stesso Michelson. Millikan disse all'eminente collega di avere trovato un metodo che gli avrebbe permesso di determinare la carica dell'elettrone con un margine dì errore del 10 per cento « o altrimenti sono un inetto ». E subito andò in laboratorio e diede disposizione che si costruisse una nuova apparecchiatura adatta al metodo delle gocce bilanciate, usando però olio invece d'acqua. Come prima, avrebbe creato cariche elettriche negative in una camera piena di goccioline — questa volta, però, d'olio -, ne avrebbe scelto una e l'avrebbe fatta cadere per qualche frazione di secondo sotto l'effetto della sola gravita. Sulla base della sua velocità di caduta avrebbe potuto calcolare il raggio della goccia. Poi avrebbe applicato una tensione alle placche e avrebbe fatto salire la goccia verso l'alto, poi l'avrebbe fatta ridiscendere, e poi di nuovo salire. Osservò le gocce attraverso un finestrino, illuminate da una luce dalla parte opposta. Misurando i tempi di salita e discesa delle gocce avrebbe potuto calcolarne la carica.

Da quel momento in poi Millikan dedicò all'esperimento quasi tutto il tempo che potè sottrarre ai suoi doveri di docente. Sua moglie, Creta, si abituò non solo alla sua assenza, ma anche a scusarsi a suo nome quando avevano ospiti a cena. Una volta Millikan rimase confuso quando, dopo avere saltato una cena per la quale aveva ospiti, incontrò uno degli invitati, che gli fece i suoi complimenti per essersi reso utile a casa, senza che egli capisse di che cosa l'altro stesse parlando. Risultò in seguito che Creta aveva spiegato l'assenza del marito dicendo che « aveva controllato uno ione per un'ora e mezza e doveva finire il lavoro »; gli ospiti avevano capito erroneamente che « aveva lavato e stirato per un'ora e mezza e doveva finire il lavoro ».

Nel settembre 1910 Millikan pubblicò un secondo importante articolo sulla carica elettrica - il primo fondato sulle gocce d'olio - sulla rivista Science. Non aveva ancora visto l'articolo di Ehrenhaft di qualche mese prima, che attaccava le sue conclusioni con i suoi stessi dati, e il secondo articolo lo scrisse nella stessa vena del primo. Pur non assegnando una graduatoria alle particelle, Millikan dichiarò francamente di non avere incluso nei suoi calcoli della carica elettrica i dati su alcune gocce. In qualche caso, disse, quest'esclusione era dovuta a grandi errori sperimentali, dovuti al fatto che, « quando le velocità sono estremamente lente, correnti di convezione resìdue [ossia vortici nell'aria dovuti al calore] introducono errori, e quando esse sono estremamente veloci diventa incerta la determinazione del tempo ». In altri casi le omise perché i loro valori erano « irregolari », deviando di molto dalla norma. L'inclusione di queste gocce non avrebbe però modificato in misura significativa il valore medio della carica dell'elettrone, ma solo il grado dell'errore sperimentale. Millikan scrisse che « il metodo usato è così semplice, e le conclusioni seguono in modo così inevitabile dai dati sperimentali, che persino l'uomo della strada riesce a farsi un'idea del metodo e ad apprezzare i risultati ».

Millikan continuò a perfezionare il suo dispositivo — utilizzando per esempio un cronometro più esatto e un migliore controllo della temperatura - e a compiere altre osservazioni per tutto il 1911 e parte del 1912. Nella primavera del 1912, per esempio, spese varie settimane a esaminare decine di goccioline d'olio, osservandole con un microscopio che aveva installato nella parete della sua camera a nebbia. Nel pomeriggio del venerdì 15 marzo spese una mezz'ora a guardare al microscopio la goccia numero 41, usando un cronometro per misurare il tempo che impiegava per salire e scendere fra i fili dì un reticolo. Potè osservarla molto facilmente in assenza delle abituali fonti di disturbi, come le correnti d'aria. Nonostante la tediosità del lavoro, i risultati ottenuti lo elettrizzavano sempre più. Quando finì di registrare i dati nel suo taccuino di laboratorio, aggiunse nell'angolo a sinistra in basso la riga citata nell'introduzione di questo libro: « Bello. Sicuramente da pubblicare, molto bello».

A questo punto, però, Millikan aveva letto l'articolo di Ehrenhaft, e quelli di altri critici ancora più violenti, che lo accusavano di gravi errori, sostenendo che i suoi stessi dati dimostravano l'esistenza di subelettroni. Nel 1913 Millikan pubblicò un ampio articolo fondato su ricerche con le sue apparecchiature migliorate. Chiaramente un po' piccato per le accuse di Ehrenhaft, riferì in sua difesa che i dati provenivano da osservazioni compiute su 58 gocce, le quali, scrisse in modo pungente, « non è un gruppo selezionato di gocce, ma rappresenta tutte le gocce studiate per sessanta giorni consecutivi, nessuna esclusa». Questa ricerca, scrisse, stabilì il valore per la carica dell'elettrone (4,774 ± 0,009 X 10^-10 unità elettrostatiche) con un margine d'errore dello 0,5 per cento.

La comunità scientifica accettò i risultati di Millikan, fondati non solo su questo artìcolo, ma anche su altre prove a sostegno del carattere atomistico dell'elettricità, e nel 1923 egli ricevette il premio Nobel, in parte per questa ricerca. Per qualche anno Ehrenhaft continuò a portare avanti la sua tesi dell'esistenza dì subelettroni, ma infine rinunciò. In seguito, nel corso della sua carriera, Ehrenhaft fu ossessionato da un'altra causa, quella dei monopòli magnetici, che possono essere pensati come magneti con un unico polo. (Essi potrebbero esistere, ma nessuno ne ha mai visti.) Di tanto in tanto Ehrenhaft faceva un'apparizione a convegni scientifici aggrappandosi a presunte prove. Un momento penoso si ebbe nel 1946 a un convegno annuale dell'American Physical Society a New York. Il giovane teorico Abraham Pais stava tenendo una presentazione quando fu interrotto da Ehrenhaft, allora vicino ai settant'anni, che stava ancora sostenendo la causa dei monopoli. Ehrenhaft si approssimò al podio chiedendo di essere ascoltato, ma fu gentilmente accompagnato fuori della sala.

Un giovane fisico di nome Herbert Goldsteìn era seduto accanto al suo maestro, Arnold Siegert. « La teoria di Pais è molto più folle di quella di Ehrenhaft », disse Goldstein a Siegert. « Perché diciamo che Pais è un fisico ed Ehrenhaft un matto? »

Siegert riflette un momento e poi rispose: « Perché Ehrenhaft crede nella sua teoria ». Siegert intendeva dire che la forza della convinzione dì Ehrenhaft aveva interferito con l'atteggiamento normalmente giocoso che la scienza di solito richiede, una capacità di rischiare e improvvisare. (La convinzione, sostenne Nìetzsche, è nemica della verità più delle bugie.)

Ehrenhaft aveva ragione nel sostenere che Millikan adattava i suoi dati? L'esame compiuto da Holton sui taccuini di laboratorio di Millikan, per le ricerche su cui questi riferì nel suo articolo del 1913, rivelò che Millikan aveva studiato in effetti 140 gocce, non 58 come aveva sostenuto. L'affermazione di Millikan che « questo non è un gruppo selezionato di gocce, ma rappresenta tutte le gocce studiate per sessanta giorni consecutivi » era perciò falsa. Questa rivelazione, pur facendogli aggrottare le ciglia, non turbò tuttavia Holton più di tanto. Egli suggerisce due spiegazioni parziali. Una era la controversia con Ehrenhaft; Millikan, convinto di avere ragione, non voleva fornire a Ehrenhaft più munizioni, che ai suoi occhi avrebbero solo confuso il problema.

La seconda ragione per cui Millikan non parlò delle gocce mancanti è chiara dalle fonti di errore che Holton trovò registrate nei taccuini stessi: « Caduta di tensione, blocco del manometro da parte di una bolla d'aria, interferenza della convezione, variazione delle distanze, errori nel cronometro, difettoso funzionamento dell'atomizzatore». Millikan, in breve, non credeva che le ottantadue gocce « mancanti » fossero in generale dati da prendere in considerazione. I taccuini di Millikan distinguono fra gocce osservate in condizioni buone e gocce in cui le osservazioni erano inficiate da vari gradi di errori sperimentali. Ecco un esempio che Holton estrasse dai taccuini di Millikan per l'ultima settimana di esperimenti:

Bello. Temp. e cond. perfette. Nessuna convezione. Pubblicare [8 aprile 1912]. Pubblicare. Bello [10 aprile 1912]. Bello. Pubblicare [cancellare e sostituire da...] è intervenuto un moto browniano [10 aprile 1912]. Perfetto. Pubblicare [11 aprile 1912]. Tra i migliori [12 aprile 1912]. Il migliore finora per tutti gli scopi [13 aprile 1912]. Bello per far vedere l'accordo fra due metodi per ottenere v1 + v2. Da pubblicare sicuramente [15 aprile 1912]. Pubblicare. Bello per mostrare Ì due metodi per ottenere v... No. Qualcosa non va nel termostato.

Millikan perciò scelse le gocce da pubblicare e, per non alimentare ulteriori critiche di Ehrenhaft, non riferì le sue omissioni, considerandole non pertinenti per il reale problema della carica dell'elettrone. Per usare l'immagine di Holton, Millikan esercitò il giudizio nella scelta di ciò che lasciava entrare nella « finestra » scientifica, ossia di quelli che accettava come dati. Di contro, scrisse Holton, Ehrenhaft e i suoi collaboratori « pare abbiano usato tutti i valori da loro assiduamente raccolti, buoni, cattivi e indifferenti ». Essi accettarono tutto e trattarono tutto come di ugual valore.

Dopo la pubblicazione dell'articolo di Holton, storici, giornalisti e scienziati hanno dibattuto la validità e l'etica del modo di procedere di Millikan. Per lo più essi confezionano la storia di Millikan con l'intento di fornire una lezione esemplare, ripulendo e ordinando l'esposizione per renderne chiaro l'intento, ossia creando in effetti delle dimostrazioni storiche. In qualche misura questo processo si verifica in tutti gli scritti su eventi storici, ma è particolarmente interessante nel caso di Millikan. La storica della scienza Ullìca Segerstràle ha descritto sarcasticamente come un caso di « pedagogia in scatola » quel che è accaduto alla storia dell'esperimento che ha fruttato il premio Nobel a Robert Millikan.14 Quel che c'è di notevole in questo caso è l'opposizione polare delle scatole in cui l'episodio è confezionato: Millikan il brillante scienziato da un lato, e Millikan l'esempio di una frode spudorata dall'altro.

Per ragioni ovvie, alcuni giornalisti e scrittori di scienza, leggendo frettolosamente l'articolo di Holton, si sono concentrati sull'omissione di gocce da parte di Millikan, e specialmente sull'affermazione falsa da lui fatta nell'articolo del 1913 di avere riferito tutte le sue osservazioni. Secondo loro il premio Nobel era colpevole di cattivo comportamento scientifico e persi-nò di frode.15 Nel libro del 1983 Betrayers ofthe Truth. Fraud and Deceit in thè Halls of Science, i giornalisti del New York Times William Broad e Nicholas Wade tuonarono che « Millikan rappresentò in modo molto scorretto le sue ricerche per far sembrare i suoi risultati sperimentali più convincenti di quanto non fossero in realtà».15 E il medico Alexander Kohn include Millikan fra i « falsi profeti » della scienza nel suo libro omonimo, anche se Kohn sembra più irritato dal mancato riconoscimento da parte di Millikan dei contributi del dottorando suo allievo Harvey Fletcher che dall'omissione di dati.

Vari altri storici della scienza, invece, rivolgendo la loro attenzione al fatto che Millikan usò quello che oggi appare un giudizio corretto sull'attendibilità dei suoi dati, lo hanno elogiato come esempio di buon scienziato. Questi studiosi sottolineano che spesso il pensiero scientifico non è un fatto dì numeri bensì di giudizio, e riferiscono parecchi casi storici di scienziati che hanno interpretato correttamente esperimenti nei quali una stretta adesione ai soli numeri li avrebbe condotti fuori strada. Nel 1984 lo storico della scienza Allan Franklin analizzò minuziosamente ognuna delle gocce omesse da Millikan nel suo articolo del 1913 e mostrò che furono escluse quasi tutte a causa di errori sperimentali, e — cosa forse ancora più importante - che anche se Millikan le avesse incluse, il risultato finale non sarebbe cambiato di molto.

Queste storie tendono a essere riciclate da coloro che sono più interessati alla loro lezione preferita che alla precisione storica o al processo scientifico. Ognuna di queste versioni tende a semplificare la situazione reale. La versione «Millikan come cattivo scienziato » tralascia le ragioni per cui non tutti i dati sono buoni e per cui è a volte saggio ignorarne alcuni, mentre la versione « Millikan come buon scienziato » tralascia le pressioni esistenti per produrre innanzitutto un risultato e per fare perciò dei compromessi nell'utilizzo dei dati.

Come sottolineò la Segerstràle, il contrasto deriva in grande misura dall'applicazione di due prospettive etiche molto diverse, e in gran parte incompatibili, nei confronti del processo scientifico. In una, quella kantiana (o «deontologica»), il comportamento etico consiste nell'intenzione di applicare a se stessi le medesime regole che ciascun altro applica a se stesso, e Millikan non fu corretto in quanto non seguì la regola universale nel riferire i suoi dati. Nell'altra prospettiva, quella utilitaristica, la scienza consiste essenzialmente nell'ottenere risultati corretti, e questo fu quel che fece Millikan. In effetti, come sottolinea la Segerstràle, la scienza è così competitiva che coloro che non corrono più veloci degli altri — anche se in modo scorretto - per ottenere ìl giusto risultato tendono a essere emarginati.

Le discussioni sugli aspetti etici del comportamento di Millikan hanno reso diffìcile percepire la bellezza del suo esperimento, ma vai la pena di fare questo tentativo. A tal fine dobbiamo domandarci che cosa Millikan effettivamente vide. Egli osservava con un microscopio che cosa stava accadendo in una camera a nebbia progettata da lui stesso. Tale camera era un piccolo palcoscenico per un tipo particolare di azione eseguita da un particolare tipo di attore.

Gli attori che apparivano uno per volta su questa piccola scena erano minuscole gocce d'olio del diametro di pochi micrometri: una grandezza così piccola -pari press'a poco alla lunghezza d'onda della luce visibile — che in realtà la luce deviava intorno a esse e se ne poteva vedere la diffrazione. Nel reticolo le gocce non apparivano con un contorno ben definito, ma sembravano dischi un po' offuscati al margine e circondati da anelli di diffrazione: ecco perché Millikan non riuscì a misurarne otticamente le dimensioni e dovette far ricorso alla legge di Stokes per determinarne la grandezza. Ogni goccia, quando era illuminata da una lampada ad arco, sembrava a Millikan una stella sfavillante in un ciclo buio. Le goccioline erano estremamente sensibili all'ambiente, e rispondevano a ogni corrente d'aria, a collisioni con molecole d'aria e ai campi elettrici variati da Millikan per farle muovere.

Egli vide le gocce salire e scendere in risposta ai campi elettrici variabili. Le vide muoversi in altre direzioni grazie alle correnti d'aria. Le vide agitarsi avanti e indietro in conseguenza del moto browniano. Osservava una gocciolina in movimento nel campo elettrico, e poi improvvisamente la vedeva balzare quando incontrava un altro ione. « Un singolo elettrone saltava sulla goccia. In effetti potevamo vedere l'istante esatto in cui saltava su di essa o da essa. » Quando una gocciolina d'olio era « in movimento verso l'alto con la minima velocità che poteva assu- mere, potevo essere certo che su di essa si trovava un solo elettrone isolato».

Millikan sapeva come far salire o scendere le gocce o mantenerle assolutamente immobili. Acquistò sufficiente familiarità con le situazioni sperimentali da riconoscere tutto ciò che stava accadendo, e che quel che stava accadendo gli mostrava qualcosa di nuovo sul mondo. Proviamo un piacere sensuale nel vedere degli oggetti comportarsi in una situazione complessa secondo leggi che conosciamo intimamente, come quando vediamo una palla da basket muoversi in aria, rimbalzare sul cerchio del canestro, andare a colpire Ìl tabellone e infilarsi nella rete. Solo che quel che Millikan vide qui era un'azione che gli mostrava qualcosa di basilare: la carica elettrica fondamentale. Era il tipo di bellezza di cui stava parlando Schiller, qualcosa che « ci conduce nel mondo delle idee senza però sottrarci al mondo dei sensi».

Per un capriccio, un pomeriggio in cui mi trovavo a Chicago decisi di cercare il luogo in cui Millikan aveva compiuto la famosa serie di esperimenti per misurare la carica dell'elettrone -un momento fondamentale nella nostra epoca elettronica — che gli aveva fruttato il premio Nobel. Mi recai all'Università di Chicago e trovai la strada per Ryerson Hall, ma non riuscii a trovare alcuna targa o lapide commemorativa. Né trovai alcuno sul posto che sapesse indicarmi la stanza in cui era stato compiuto l'esperimento; qualcuno mi domandò addirittura in risposta chi fosse Robert Millikan. Una segretaria mi suggerì di chiamare le pubbliche relazioni, ma anche lì nessuno sapeva nulla. Non trovai traccia di Millikan o del suo esperimento nell'edifìcio, che era diventato sede del Dipartimento di Informatica. Dimostrazioni di laboratorio, ricostruzioni storiche di seconda e terza mano persisteranno sempre, ma il vero esperimento di Millikan, come la maggior parte degli esperimenti scientifici, si è perso nella nebbia.

(Tratto da "Il prisma e il pendolo" - Robert P. Crease - 2007 Longanesi)