Ha prodotto irritazione e sconcerto
negli ambienti ebraici (e non solo …) la pubblicazione degli esiti del
sondaggio commissionato dall'esecutivo UE di Bruxelles all'Eurobarometro,
secondo il quale, su 7515 europei intervistati, il 59% considera lo Stato
d'Israele un grave pericolo per la pace, più ancora degli Stati
Uniti (!), della Corea del Nord e dell'Iraq.
Buona parte della Destra italiana
- l'on. Fini in testa - è scesa in campo a difesa di Israele, e
Romano Prodi ha vissuto l'ennesimo momento di imbarazzo.
Al piccolo commento che vogliamo
dedicare all'avvenimento, vale la pena di far precedere due premesse.
1. Un sondaggio non stabilisce la
verità di un asserto, ma coglie le opinioni e gli orientamenti della
gente intervistata, sulla questione che è dibattuta. Non dice cos'è
Israele, ma che cosa ne pensa un campione di intervistati europei.
2. Quando si parla genericamente
di "Stato d'Israele" occorre distinguere fra il Paese, la classe politica
dirigente, ed il mondo ebraico internazionale. Muovere delle critiche al
governo di Ariel Sharon non è, automaticamente, cadere nell'antisemitismo.
Fatte queste premesse, occorre subito
domandarsi - prima di stracciarsi le vesti o di pensare a schieramenti
fittizi - il perché di tanta 'avversione' alle politiche del governo
israeliano.
Sotto gli occhi di tutti - europei
e non - c'è il clamoroso fallimento della cosiddetta road map, la
cocente delusione per l'ennesimo crollo dei progetti di pace. Dietro
agli apprezzamenti severi sul governo israeliano c'è, a mio
avviso, la convinzione, su questa sponda del Mediterraneo, che tale fallimento
non sia solo imputabile al terrorismo di marca palestinese.
Può essere nobile l'intenzione
di esprimere solidarietà agli ebrei vittime degli attentati, parlando
dello stato di Israele come "avamposto delle democrazie occidentali in
Medio Oriente", ma il rischio è di una lettura manichea della crisi,
che mette da una parte (Israele) le buone ragioni delle libertà
e della pace, e dall'altra (Palestinesi) il fanatismo, il terrorismo, l'illibertà.
In realtà la risposta del governo Sharon alla crisi gravissima -
esasperata dagli attentati e dalla violenza - è stata solo militare.
Ma con i Tanks, i muri divisori, i fili spinati e le angherie… non si costruisce
la pace. A Israele manca terribilmente, dopo la scomparsa di Rabin, una
leadership che sappia guardare al di là dell'emergenza ed affrontare
le questioni spinose, quali quelle degli insediamenti dei coloni, che hanno,
di fatto, 'frammentato' il territorio palestinese.
Quanto, poi, ai ripetuti atti di
solidarietà da parte di una certa Destra - che cerca di rifarsi
una verginità, dopo tanto antisemitismo - beh, se fossi un
ebreo, andrei molto cauto nell'incassarne l'effettivo valore.
piero agrano