Rita Bernardini oggi è stata ospite della Redazione di Ristretti Orizzonti Ristretti Orizzonti, 3 giugno 2011 Dalla Casa di reclusione abbiamo espresso la nostra gratitudine ai Radicali per la costanza e la generosità con cui difendono i diritti di chi i diritti sembra non averli più. Marco Pannella sta facendo lo sciopero della fame. Ancora una volta la sua protesta è mossa dalle condizioni drammatiche in cui versano le carceri, si potrebbe dire con una certa disattenzione da parte di tutti. Ma in carcere ci stanno delle persone, e allora forse è giusto sottolineare questo fatto importante, perché Marco Pannella si sta sacrificando non per le carceri, ma per le migliaia di persone ristrette e, vista la tendenza, per quelle migliaia di persone che ci passeranno nei prossimi mesi. Le condizioni di vita dei detenuti peggiorano in continuazione e lo sciopero del leader radicale è un urlo disperato per attirare l'attenzione di una classe politica colpevole di questa situazione che è andata fuori controllo nella totale indifferenza dei media. Ma i radicali conoscono bene la situazione e sanno che sono state aggiunte brande in tutte le celle, nelle carceri del nord come in quelle del sud; sanno che i regimi interni non sono cambiati, che si può uscire dalla cella due ore alla mattina e due ore al pomeriggio per andare in una specie di vasca di cemento chiamata “aria” per sgranchire le gambe, e che poi sono altre venti ore da far passare chiusi in cella, stesi in branda come vegetali; loro sanno che qui tutti vorrebbero lavorare per fare qualcosa, ma che solo il venti per cento dei detenuti lavora, mentre all'aumento della popolazione detenuta incredibilmente è seguito un taglio di fondi a disposizione per le mercedi, quindi a lavorare sono sempre in meno, e spesso pagati con delle mercedi quasi simboliche. Chi conosce le carceri sa la ricaduta immediata che questa situazione ha sulle condizioni igienico-sanitarie, perché quando l'amministrazione non ha fondi per fornire i prodotti per l'igiene, molti detenuti che non hanno soldi per comprarli sono costretti a vivere nello sporco. Una volta, ad attirare l'attenzione dell'opinione pubblica su questi problemi, erano i detenuti: si mettevano in atto azioni di protesta, a volte pacifiche, come lo sciopero, ma spesso violente come sequestri di agenti e occupazione delle sezioni. Oggi questo non accade più. La legge Gozzini e le misure alternative tanto colpevolizzate dai media quando magari qualcuno in semilibertà commette un reato (fatto, tra l'altro, molto raro), in realtà sono una forma di premiazione che ha “ammansito” i detenuti, che preferiscono rassegnarsi anche a condizioni estremamente difficili, pur di avere degli sconti di pena. Ma se i detenuti non protestano più, continuano a farlo i Radicali italiani. Oggi l'onorevole Rita Bernardini, insieme a Irene Testa dell’associazione Il detenuto ignoto e a Maria Grazia Lucchiari dei Radicali italiani, ha fatto una visita al carcere di Padova. Lei è una dei pochi parlamentari, e forse l’unica, che non solo non perde di vista la condizione di vita dei detenuti, ma non si stanca mai di visitare le carceri e controllare il livello di tutela dei diritti delle persone detenute. La situazione nella Casa di reclusione di Padova non è delle peggiori. La presenza di cooperative esterne, dell'associazionismo e della scuola e dell’Università, fa sì che più di trecento persone passino la giornata in modo quasi dignitoso, ma ce ne sono cinquecento che passano il tempo in branda dalla mattina alla sera. Però anche qui c'è il sovraffollamento, anche qui c'è tanta povertà, ma soprattutto qui, quest'anno, ci sono stati otto morti: quattro suicidi e quattro morti su cui le autorità giudiziarie stanno ancora indagando. Per questo motivo la visita della deputata radicale ci ha in qualche modo riempito il cuore di quella sensazione di completezza che si ha quando non ti senti più solo, ma puoi toccare con mano la solidarietà di chi si mette al tuo fianco e si dichiara dalla parte dell'umanità, dalla parte più difficile di questa guerra impari che è la guerra ai tossicodipendenti, agli stranieri, agli zingari, insomma la guerra ai poveri. Insomma, riconoscenti anche per questa battaglia che Marco Pannella sta facendo per ridare dignità alle persone detenute, la nostra speranza è che finalmente si decidano ad abolire quelle leggi che in questi anni hanno riempito le carceri con persone che forse non meritavano questo tipo di condanna, ma soprattutto non meritavano di espiarla in queste condizioni di detenzione. La nostra speranza è rivolta anche ai magistrati che sono i “detentori” dei nostri destini, ma che a volte fanno uso di questo potere da un lato forse eccedendo nel disporre della custodia cautelare in carcere in fase processuale (sono circa 28 mila i detenuti in attesa di giudizio), e dall'altro lato, concedendo troppo poche misure alternative al carcere, in fase di esecuzione della pena (una recente indagine statistica dell'Osservatorio carceri dell'Unione delle Camere penali ha dimostrato infatti chiaramente la “timidezza” di alcuni Tribunali di sorveglianza nel dare le misure alternative). Ai magistrati quindi, chiediamo un po' più di coraggio, perché diventino promotori di una svolta che può partire però solo da una concezione diversa della pena, che è sempre pena, anche quando non è carcere. A Marco Pannella, a Rita Bernardini, e a tutti i Radicali, saremo sempre grati per il loro impegno generoso e la loro costanza e ci auguriamo che la coerenza con cui difendono i diritti di chi i diritti sembra non averli più, diventi un esempio da seguire per tutti quei politici che, troppo distratti dai problemi della sicurezza, si sono dimenticati di quei valori in cui una volta hanno creduto, e che a noi detenuti dovrebbero insegnare a rispettare: che sono la legalità, la giustizia e la solidarietà. Rita Bernardini ha affrontato con la redazione di Ristretti Orizzonti alcuni temi scottanti, come la situazione sanitaria, che presenta oggi gravissimi problemi e che ha richiesto, da parte della parlamentare, anche una visita in infermeria e un colloquio con alcuni sanitari. Altri temi affrontati: la necessità dell’istituzione del Garante, il problema della mancanza di lavoro e della povertà diffusa, con in più il fatto che i detenuti ricevono dall’Amministrazione sempre meno prodotti per l’igiene e non sono spesso in grado di far fronte ai propri bisogni acquistando generi di prima necessità al sopravvitto. A conferma di questo disagio sempre più forte, di questa estrema povertà, c’è stata la visita ad alcune sezioni del carcere, in particolare proprio le più povere, dove la gente non lavora ed è veramente disperata, e dove Rita Bernardini e la delegazione che l’accompagnava hanno ascoltato con straordinaria pazienza e attenzione tante storie, tanta sofferenza, tanta autentica disperazione. La morte di Walter, un detenuto “sconosciuto” di Elton Kalica Ristretti Orizzonti, 3 giugno 2011 Finché ci saranno queste condizioni detentive, ci saranno sempre detenuti che useranno ogni mezzo per fuggire dalla realtà e, purtroppo, anche dalla vita. Una volta, la Casa di reclusione di Padova era il carcere delle pene lunghe. Persone con condanne definitive qui trascorrevano abbastanza tempo perché tutti conoscessero tutti. E quando una persona detenuta moriva, se non era un amico, era comunque qualcuno che avevi già conosciuto, oppure che avevi visto in giro per i corridoi. Pochi giorni fa è morto Walter, ma non ho ancora trovato uno che lo conoscesse. Volevo raccogliere delle informazioni, e ho aperto le orecchie, ascoltando i miei compagni commentare. È morto Walter. Chi è Walter? Uno del quarto piano. Cos’era? straniero? No, italiano, vicentino. Si è suicidato? Non si sa... dicono che ha sniffato il gas della bomboletta. Era giovane? Boh, non si sa... Di fronte a tanti “non si sa” mi assale la stessa rabbia che molti detenuti del carcere di Padova stanno urlando fuori dalle finestre proprio mentre scrivo. Sbattono le padelle sulle inferriate delle celle e urlano, protestano contro il carcere che uccide, contro il carcere intollerabile. Appena mi convinco che si tratti di un detenuto sconosciuto, trovo invece uno che ha sentito parlare di Walter. Mi dice che aveva quarant’anni e che era stato trasferito da pochi mesi dal carcere di Vicenza. Come molti nuovi giunti, era stato messo al quarto piano, trasformato in una di quelle zone grigie dove rimangono impantanati quelli che non possono o non vogliono andare in una sezione dove si sta meglio. Ed avendo problemi di tossicodipendenza, era stato messo in cella con altre due persone con lo stesso problema. Comunque, in sezione erano tranquilli, tutti e tre. Si prendevano la loro terapia - la dose giornaliera di psicofarmaci - e non davano fastidio. Perché la cosa importante in galera è non dare fastidio. Non dare fastidio agli altri detenuti, non dare fastidio agli agenti, non dare fastidio agli operatori e non dare fastidio ai medici. Solitamente, le persone tossicodipendenti sono quelle che danno maggiormente fastidio. E di fronte alla loro “tranquillità”, potrei allora anche pensare all’efficacia del trattamento rieducativo e riabilitativo offerto da questo Istituto. D’altronde il carcere di Padova, con più di cento detenuti che lavorano per imprese esterne, quasi altrettanti che lavorano per l’Amministrazione e molti impegnati in attività scolastiche, costituisce un luogo di detenzione più decente rispetto alla maggioranza delle carceri italiane. Eppure, qui siamo più di 800 detenuti e Walter era uno di quei 500 e più che non fanno nulla, se non stare in branda tutto il giorno. Stare “tranquilli” in un carcere sovraffollato è sempre difficile, anche qui a Padova, dove nonostante le persone abbiano qualcosa da perdere o da guadagnare, c’è comunque un malcontento diffuso, e la tensione si può toccare con mano ogni giorno di più. Probabilmente Walter si illudeva di trovare un pò di serenità nel gas. Una sniffata di metano, mi raccontano, significa che una piccola quantità di gas ghiacciato entra nelle narici e anestetizza il cervello: una botta secca che ti stacca dalla realtà, perdi aderenza con l’ambiente circostante, ti stendi sulla branda ed entri in un’altra dimensione. Un effetto che forse dura poco - il tempo necessario all’organismo per riscaldare il cervello e riportarlo alle sue funzioni normali - ma funziona abbastanza per far evadere dalla realtà del carcere, dalla sofferenza di questo luogo. Però, è anche un metodo pericoloso. Infatti, basta sbagliare la quantità di gas rilasciata nelle narici, e invece del cervello si ghiacciano i bronchi, causando il blocco di tutto l’apparato respiratorio. Il meccanismo si ferma e nei polmoni non entra e non esce più aria, finché non sopraggiunge la morte. Ora non so se a Walter sia successo un simile incidente, oppure se abbia intenzionalmente respirato metano per suicidarsi. Ma questo importa poco a noi detenuti. Quello che invece questa tragedia dimostra, è la tragica condizione in cui si trovano le carceri di questo Paese: se anche nella Casa di reclusione di Padova, che è un “fiore all’occhiello” del sistema penitenziario, in poco più di un anno ci sono stati otto morti, (quattro suicidi e quattro morti, sulle quali si sta ancora indagando) forse le carceri stanno diventando davvero luoghi di morte. Se per i detenuti “normali” la mancanza di una prospettiva diventa motivo di un malessere così grave che porta ad atti di autolesionismo, e a volte anche al suicidio, per i detenuti tossicodipendenti, tale mancanza produce un malessere ancora più grande. Certo, a monte c’è la responsabilità di alcune leggi che stanno riempiendo le carceri da anni. Ma se esiste una relazione diretta tra il sovraffollamento e le morti, questa è imputabile alla mancanza di una presa in carico e all’abbandono dei detenuti in cella. Che da un lato è sì dovuto all’insufficienza numerica degli operatori e degli agenti di Polizia penitenziaria, ma dall’altro dimostra spesso l’incapacità del Servizio sanitario di prendere seriamente in carico quelle persone che si sa essere a rischio. L’impressione che noi detenuti abbiamo è che il personale medico sia sempre più demotivato, e anche di fronte a sintomi gravi, alcuni medici si rifiutano di credere alle nostre sofferenze, accusandoci di simulazione. È stato così in due casi di suicidi, dove i medici, di fronte a precedenti tentativi falliti, pare avessero scritto nel diario medico che la persona simulava; è stato così anche nel caso di Graziano Scialpi, il vignettista di Ristretti Orizzonti, che per mesi ha cercato inutilmente di convincere i medici e il personale a portarlo in ospedale per una risonanza magnetica, finché è rimasto paralizzato per un tumore; è stato così anche un mese fa, quando Federico non è riuscito a dimostrare che non simulava, che stava male davvero, finché è morto per un infarto, a 37 anni. Se Walter è morto, non è per colpa sua. E tantomeno è stato per colpa delle bombolette di gas o dei fornelli da campeggio: l’unico mezzo che abbiamo per riscaldare i pasti e integrare con qualcos’altro il cibo, scarso, fornito dal carcere. Se Walter è morto, se persone tossicodipendenti come lui muoiono in galera, è il carcere che le porta a morire, poiché dare il metadone alle persone tossicodipendenti e lasciarle in cella senza fargli fare alcuna attività, fornire quintali di psicofarmaci e lasciarle in branda incapaci di dare un senso alla giornata, è una vera istigazione al suicidio. Se Walter, come altre persone con i suoi problemi, ricorreva ad ogni mezzo per evadere da questa realtà, è colpa di chi non crea in carcere condizioni adeguate per seguire e curare i detenuti in modo appropriato. È certo che, finché ci saranno queste condizioni detentive, ci saranno sempre detenuti che useranno ogni mezzo per fuggire dalla realtà e, purtroppo, anche dalla vita. Giustizia: ricerca dell’Ucpi; i magistrati di sorveglianza Napoli battono Milano e Roma Il Velino, 3 giugno 2011 Tra il 2009 e il 2010 più arresti domiciliari, semilibertà e affidamenti in prova ai servizi sociali. Il lavoro di undici Tribunali di Sorveglianza italiani sotto la lente d’ingrandimento di uno studio promosso dall’Unione delle camere penali. L’analisi ha riguardato i dati statistici raccolti in relazione ai provvedimenti emessi su richiesta di misure alternative come l’affidamento in prova ai servizi sociali, la detenzione domiciliare e la semilibertà. Per ogni misura sono stati calcolati i tassi di accoglimento, di rigetto e di inammissibilità per ogni tribunale. Un’indagine utile a fornire “una prima mappatura della giurisprudenza dei tribunali di sorveglianza”. Le tabelle mettono a confronto i dati relativi agli anni 2009 e 2010 di Milano, Firenze, L’Aquila, Genova, Perugia, Bologna, Taranto, Roma, Torino, Venezia e Napoli. È proprio il capoluogo campano a “staccare” i principali ‘competitors’ come Milano e Roma rispetto ai ‘casi decisi’: lo studio infatti anzitutto analizza il numero delle scelte operate per poi analizzare gli effetti. Per richieste di detenzione domiciliare, il Tribunale di Sorveglianza di Napoli - nel 2009 retto da Angelica Di Giovanni -, si è pronunciato su 2.928 casi. Milano su 937, Roma su 1.759. Un surplus notevole se si guarda anche ad altri distretti giudiziari, meno vasti, come Genova (833), L’Aquila (416) e Perugia (291). Nel 2010 il distacco tra le tre grandi città italiane aumenta ancor di più. Il Tribunale di Sorveglianza partenopeo, ha deciso, in un senso o in un altro, su 3.085 richieste di detenzione domiciliare. A Roma invece 2.033 i casi vagliati. Seguono poi Firenze con 1.563, Bologna con 1.023, Genova 953, L’Aquila 718, Taranto 550, Perugia 539, Torino 407, infine Milano 449, seguito soltanto da Venezia 141. Anche sulle istanze di ‘semilibertà Napoli sembra essere il Tribunale di Sorveglianza dalle gambe più veloci visto che nel 2009 si è pronunciato su 1.515 casi, segue Torino con 703, Roma 582 e dopo Genova 476, arriva Milano con 388 richieste evase. Nell’anno successivo, sempre sulle richieste di semilibertà, ancora una volta Napoli in testa nella “classifica” dei Tribunali di Sorveglianza italiani “solerti”. 1.740 i casi decisi, a Roma 639 a Milano 395. I tre distretti giudiziari più importanti sembrano essere invece in linea sulle decisioni relative all’affidamento in prova ai servizi sociali. A Napoli il Tribunale di Sorveglianza si è pronunciato su 2.392 casi, superando comunque, ma di poco, Milano 2.285 e Roma 2.175. Numeri si milari anche per il 2010. È soltanto per l’affidamento dei tossicodipendenti alle comunità che il capoluogo campano non è in testa alla classifica e viene anzi superato proprio da Milano e Roma. Se entriamo nello specifico delle scelte operate dai magistrati di Sorveglianza di Napoli la sintesi è quella che segue: tra il 2009 e il 2010 c’è un maggiore tasso di accoglimento della richiesta di arresti domiciliari con un +3,58 per cento. Aumento anche delle concessioni di semilibertà +3,7 per cento. Nello stesso arco temporale è aumentato del 4,13 per cento l’affidamento in prova ai servizi sociali e infine un +2,39 per cento anche per l’affidamento terapeutico, leggasi comunità per i tossicodipendenti. Alla luce di questi dati sembra esserci, in particolare nel capoluogo campano, un segnale di svuotamento delle carceri grazie alle misure alternative concesse dal Tribunale di Sorveglianza, ma resta l’emergenza sovraffollamento dietro le sbarre. Angelica Di Giovanni: nostre scelte non antidoto a sovraffollamento “Abbiamo semplicemente lavorato. Niente di più. Che poi i dati siano positivi questo può solo far piacere ma il nostro decisionismo non voleva essere un antidoto al sovraffollamento delle carceri”. Angelica Di Giovanni commenta cosi’ i dati dello studio dell’Unione delle camere penali italiane “Osservatorio Carcere” che ha messo a confronto 11 Tribunali di Sorveglianza d’Italia analizzando il periodo che va tra il 2009 e il 2010. L’ufficio di Napoli all’epoca era guidato proprio da Angelica Di Giovanni, prima donna in magistratura ad esercitare funzioni direttive di Cassazione. Presidente, Napoli primo Tribunale di Sorveglianza d’Italia: avevate più organico forse? No guardi tutt’altro. I dati che lei mi ha citato si riferiscono proprio al periodo in cui i magistrati in forza all’ufficio che all’epoca dirigevo, erano molto al di sotto dell’organico. Solita storia degli organici non adeguati… Lei può tranquillamente verificare. Le dico di più, al Tribunale di Sorveglianza di Napoli sono arrivati magistrati utili a raggiungere quasi l’organico, soltanto tra giugno e settembre 2010. Torniamo allo studio: come siete riusciti a superare Milano e Roma? Guardi, non è la prima volta che superiamo, come dice lei, Milano e Roma. È la prima volta che i dati vengono resi pubblici da uno studio che non nasce da fonti giudiziarie e comunque abbiamo semplicemente lavorato. Niente di più. Lo abbiamo fatto con costanza. Si può dire che tanto decisionismo si pone come antidoto al sovraffollamento delle carceri? Per carità. Noi non ragioniamo così quando decidiamo su misure alternative alla detenzione. Peraltro, la leggi anti affollamento è del dicembre 2010, quindi al di fuori del periodo considerato dallo studio. Resta il problema.. Il problema resta certo e credo che soltanto le misure alternative e il ruolo del magistrato di sorveglianza possano intervenire nella rieducazione dell’individuo. Questo è un concetto diverso però dal dire che abbiamo lavorato speditamente per evitare il sovraffollamento delle carceri. Giustizia: Pisapia; silenzio allucinante dei media su sciopero fame Pannella per l’amnistia Ansa, 3 giugno 2011 Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia dice di essere “vicino” a Marco Pannella che da più di un mese è in sciopero della fame per chiedere una amnistia. “Io sono vicino a Marco - ha detto ai microfoni di Radio Radicale, che quando ci sono momenti difficili mette in gioco se stesso, con mezzi importanti, e il silenzio su questo sciopero della fame è allucinante. Il sovraffollamento che pure aveva fatto gridare allo scandalo oggi sembra un non problema. E invece basterebbe solo questo per dire che bisogna cambiare”. “Come sindaco - ha aggiunto, dico che San Vittore è un quartiere di Milano, e dentro questo quartiere c’è un carcere in cui le persone devono poter avere la garanzia di un giusto processo devono poter vedere concepita la pena come prevede la Costituzione. San Vittore non deve continuare ad essere un problema della città. Dovrebbe essere una soluzione, sul lato della sicurezza sociale e su quello del re-inserimento”. Giustizia: in fuga dal ministero; nessuno vuole il posto di Alfano, ma forse la Gelmini… L’Unità, 3 giugno 2011 Cicchitto si sottrae, meglio non rischiare con questo governo. Frattini e Vito in corsa, e per rimpiazzarli rispunta Scajola. Intanto Berlusconi chiede di approvare la prescrizione breve. Fori Imperiali, palco d’onore, prima che la parata cominci: il ministro dell’Interno Maroni, il ministro Frattini e il sottosegretario Letta cercano una data per un incontro importante che riguarda l’immigrazione. “Per me va bene il 15 giugno” dice Maroni. E Letta: “Ah, se va bene a te... va bene anche a noi”. Se la Lega è ottimista sulla durata del governo, non vede come dirimente la data del referendum, figurarsi gli altri membri del governo. Nonostante gli sforzi del premier, la crisi di governo e la sconfitta elettorale sono la vera rappresentazione che va in scena tra le poltroncine del palco d’onore. E in modo, è il caso di dire, plastico. Osservare è molto utile. Tutti gli occhi sono per il ministro Alfano, neo nominato segretario politico del Pdl. Siede distante da Berlusconi ma tutti gli occhi sono per lui. E per Giorgia Meloni e Franco Frattini che gli sono vicini. Chi prenderà il posto del Guardasigilli? Osservare, appunto. Il ministro degli Esteri, racconta un onorevole di spicco dello stato maggiore del Pdl, “è una delle opzioni sul tavolo legata però ad altri spostamenti”. Tutto dipende da Fabrizio Cicchitto che, per l’appunto, non solo siede molto distante dal premier ma neppure lo incrocia prima o dopo la parata. Accetterà il capogruppo della Camera di diventare ministro degli Esteri? o direttamente della Giustizia? Cicchitto non ne vuol sentir parlare. Non certo per il tipo di incarico ma perché, è più probabile, non si fida di puntare su un governo con le settimane contate. L’altra opzione riguarda “un giro di poltrone per cui l’ex ministro Scajola tornerebbe al governo al posto di Elio Vito che a sua volta traslocherebbe in via Arenula”. La verità è che è ancora tutto molto in alto mare. “Nella delibera votata l’altra sera dal direttivo del Pdl è scritto che Alfano prenderà le funzioni di segretario alla fine di giugno”. E prima di lasciare il ministero ha posto come condizione - lui che ha rifiutato categoricamente il doppio incarico - che il Consiglio dei Ministri approvi due provvedimenti a cui tiene molto: il codice antimafia e il taglio del numero dei riti nel processo civile. Ma nulla avviene per caso sul fronte giustizia nel Pdl. La maggioranza al Senato chiederà, nella prossima conferenza dei capigruppo, di mettere in calendario per l’aula la prescrizione breve, la norma che leva di mezzo due dei quattro processi in cui il premier è imputato. Di questo avrebbero parlato a lungo durante la parata, e con le bocche coperte dalle mani, il premier e Schifani. Alfano è convinto “di portare il governo alla fine naturale della legislatura”. Bella sfida, la sua, delfino di Berlusconi ma nei modi, politici e diplomatici, prediletto anche da Gianni Letta. Alfano dovrà giocare la sua sfida su più fronti, quelli delle opposizioni ma anche quelli interni. “I tre coordinatori (Verdini, La Russa, Bondi, ndr) non saranno un problema per Alfano” assicurano, “il suo è un incarico pieno ed è nero su bianco che è lui il capo del partito”. Ignazio La Russa nel palco siede accanto a Berlusconi. Lo prevede il protocollo. Ma sembra lontano anni luce. Anche da Alfano, appena due file sopra. Rumor: la Gelmini alla Giustizia (Affari Italiani) Nel quartier generale di Mariastella Gelmini cadono dalle nuvole e smentiscono il suo passaggio dal ministero della Pubblica Istruzione a quello della Giustizia. La decisione di Silvio Berlusconi di nominare Angelino Alfano segretario politico del Popolo della Libertà ha aperto la partita del ministero della Giustizia. E il premier ha preso tempo per trovare il modo di incastrare tutti i tasselli. L’ideale sarebbe stato Fabrizio Cicchitto Guardasigilli e Maurizio Lupi capogruppo alla Camera, ma l’azzurro ex Psi non ha alcuna intenzione di andare in via Arenula. Lo ha detto pubblicamente e in privato al Cavaliere. E così nelle ultime ore - secondo quanto Affaritaliani.it ha appreso da fonti ai massimi livelli della maggioranza - prende corpo un nuovo scenario clamoroso e definito “assai probabile”. Mariastella Gelmini numero uno del dicastero della Giustizia e Lupi alla Pubblica Istruzione. L’ex coordinatore di Forza Italia in Lombardia è un avvocato e potrebbe essere un volto più conciliante dei suoi partner di partito per portare avanti la riforma tanto voluta dal presidente del Consiglio. Non solo. Alla luce dell’apertura alle primarie, la Gelmini potrebbe anche sfruttare i due anni di Guardasigilli per poi candidarsi alla guida del Pdl e alla premiership. A questo punto l’organigramma si completerebbe con Cicchitto ministro delle Politiche Comunitarie (ruolo che fu di Andrea Ronchi e per il quale avrebbe già detto sì), con Antonio Leone presidente dei deputati e Guido Crosetto - attuale sottosegretario alla Difesa - vicepresidente della Camera al posto di Lupi. In particolare, quest’ultimo passaggio verrebbe spiegato con l’esigenza di mettere un “mastino” berlusconiano al fianco di Gianfranco Fini. Giustizia: Sappe; Alfano se ne va?... per il 55% degli agenti non cambierà nulla 9Colonne, 3 giugno 2011 Un sondaggio internet per commentare il futuro di Angelino Alfano, che dopo la recente “investitura” di Silvio Berlusconi lascia la titolarità del ministero della Giustizia per andare a riorganizzare e a guidare il Pdl. L’iniziativa è del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe che ha chiamato ad esprimere tutti i poliziotti penitenziari attraverso un sondaggio attivo da questo mattina nei siti internet www.sappe.it e www.poliziapenitenziaria.it. I primi parziali risultati dicono che il 55% dei votanti ritiene che questo “non cambierà nulla per la Polizia Penitenziaria” mentre un sorprendente 25% ritiene che sia “un fatto estremamente positivo” la possibilità che Alfano lasci la guida della Giustizia italiana. Il 12% pensa che ciò “non è positivo perché Alfano stava per fare delle riforme” mentre il restante 8% giudica “un fatto estremamente negativo per il Corpo di Polizia Penitenziaria” l’allontanamento di Alfano dal dicastero. Il segretario generale del Sappe Donato Capece ha sollecitato un incontro del Guardasigilli con le rappresentanze sindacali dei baschi blu per “esaminare urgenti interventi per il sistema della giustizia e per il pianeta carcere”, “a cominciare dall’individuazione di provvedimenti legislativi che potenzino maggiormente l’area penale esterna e dall’incremento degli organici della Polizia Penitenziaria, unico Corpo di Polizia cui affidare completamente l’esecuzione penale esterna a tutto vantaggio della cittadinanza, destinando le unità di Carabinieri e Polizia di Stato oggi impiegate in tali compiti nella prevenzione e repressione dei reati, specie di quelli di criminalità diffusa”. E conclude che se Alfano “ora lascia il Dicastero di via Arenula per occuparsi solo della riorganizzazione del Pdl, saremmo punto a capo. E questa non sarebbe affatto una buona cosa”. Giustizia: le Camere Penali in sciopero della fame per le carceri Asca, 3 giugno 2011 Come preannunciato, dall’1 giugno a turno, ogni componente della Giunta dell’Unione delle Camere Penali digiunerà per 24 ore aderendo allo sciopero della fame portato avanti da Marco Pannella per protestare contro la drammatica situazione delle carceri in Italia. Continueranno poi la “staffetta” i componenti dell’Osservatorio Carcere. L’Unione delle Camere Penali Italiane denuncia da tempo la drammatica situazione delle carceri italiane. Il sovraffollamento cresce senza che ancora alcun serio provvedimento venga avviato per fronteggiare quella che non è più una emergenza ma una cronica condizione. Come conseguenza del sovraffollamento cresce anche il numero dei suicidi, segnale drammatico delle condizioni di disagio fisico e psichico in cui vivono i detenuti. L’Unione ha più volte ribadito, anche negli ultimi anni, la necessità di predisporre iniziative legislative idonee a tutelare i diritti dei detenuti nelle carceri italiane e a contenere il sovraffollamento. Il Governo e gran parte della politica sono sordi a queste richieste. Marco Pannella è in sciopero della fame da oltre un mese anche per denunciare le incivili condizioni delle carceri. La Giunta dell’Unione delle Camere Penali Italiane ha deliberato di far propria l’iniziativa del leader radicale e indice uno sciopero della fame: ha iniziato l’1 giugno il presidente Valerio Spigarelli e a staffetta coinvolgerà ogni giorno tutti i componenti di Giunta. Con analoghe modalità il coordinatore Alessandro De Federicis e gli altri componenti dell’Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali Italiane hanno aderito all’iniziativa della Giunta e intraprenderanno questa stessa forma di protesta. Giustizia: Lisiapp; su emergenza carceri nota alla Vicepresidente del Parlamento Europeo Ansa, 3 giugno 2011 Le strutture detentive italiane e gli organici carenti del personale al centro della lettera dell’organizzazione sindacale Lisiapp. “La situazione degli istituti penitenziari nel nostro paese ha ormai raggiunto livelli di vera e propria emergenza - è stata spesso, in questo ultimo periodo al centro di gravissimi episodi di cronaca”. Esordisce cosi la nota inviata dalla segreteria Generale del Libero Sindacato Appartenenti alla Polizia Penitenziaria Lisiapp alla vice presidente del parlamento europeo Onorevole Roberta Angelilli. “Riteniamo che queste problematiche che affliggono il sistema penitenziario e anche gli appartenenti alla polizia penitenziaria siano un problema che si possa affrontare a livello europeo. Noi crediamo - afferma il segretario generale Lisiapp Mirko Manna - che sia anche un dovere morale verso i poliziotti penitenziari che operano negli istituti di pena della repubblica per sollecitare tale discussione. “La drammaticità della situazione - continua ancora la nota Lisiapp - tuttavia, impone di non lasciare nulla d’intentato affinché si individuino soluzioni possibili e percorribili”. “Siamo certi, d’altronde - sottolinea Manna - che sia ben presente in voi quante e quali siano le tensioni che si registrano all’interno dei penitenziari. Tensioni che nelle ultime settimane hanno già causato “incidenti” e aggressioni varie. Parlare, quindi, di una vera e propria “bomba a orologeria” pronta ad esplodere non è certamente alimentare facile allarmismo, piuttosto corrisponde a definire un quadro tangibile dell’attuale realtà. Da anni il sistema penitenziario italiano è costretto a subire gli effetti delle gestioni centrali che determinano penalizzanti condizioni operative per chi lavora nei reparti detentivi. “I casi più problematici - sottolinea Luca Frongia Segretario Generale aggiunto del Lisiapp sono quelli di un sovraffollamento carcerario che arriva a quota 68.000 circa detenuti presenti a fronte di una capienza regolamentare nazionale di circa 45.000. “Noi tutti - dichiara Frongia, abbiamo avvertito la necessità di informare e coinvolgere direttamente la rappresentanza politica Europea alfine, anche attraverso azioni sinergiche, di contribuire all’individuazione e alla determinazione di quegli interventi propedeutici a deflazionare le attuali difficoltà, come è già avvenuto in altre realtà dell’Unione Europea. Ci pare di poter affermare, in tutta serenità, che il problema, comunque, non è circoscritto o afferente ai soli addetti ai lavori. È l’intera società che attende, da chi esercita responsabilità politiche e amministrative, quelle garanzie in relazione alla sicurezza sociale che, in assenza d’interventi urgenti, sarà ben presto compromessa. Inoltre gli innumerevoli episodi d’insofferenza, le tante e troppe aggressioni al personale e le manifestazioni di protesta all’interno delle carceri registrati nelle ultime settimane sono segnali inequivocabili di una possibile degenerazione, di cui non è possibile definire i contorni e prevederne gli effetti anche alla luce che il carcere non possa in alcun modo essere inteso come un luogo dove stipare ed ammassare i rifiuti sociali per poi gettare la chiave. Non si può affermare - conclude Manna - alcuna certezza della pena in assenza di condizioni detentive rispettose della dignità umana. Analogamente è impensabile che operatori dello Stato chiamati ad affermare l’autorevolezza dello Stato attraverso percorsi riabilitativi siano costretti a prestare la propria opera in luoghi insalubri e privi di igiene. È impensabile che si possa continuare a chiedere a questi operatori dello Stato di lavorare subendo la sistematica prevaricazione dei propri diritti”. Giustizia: il caso di Giulio Petrilli, sei anni di carcere da innocente e nessun risarcimento di Valentina Ascione Gli Altri, 3 giugno 2011 Giulio fu arrestato il 23 dicembre 1980 con l’accusa di partecipazione a banda armata, per un suo presunto coinvolgimento nell’organizzazione Prima Linea. Non aveva neanche ventidue anni, all’epoca, ed era iscritto alla facoltà di Lettere dell’Università dell’Aquila. In primo grado fu condannato a 8 anni, che cominciò a scontare passando da un carcere all’altro in un regime detentivo peggiore dell’attuale 41-bis, regolato allora dall’articolo 90, che prevedeva l’isolamento totale. Appena un’ora d’aria al giorno e le restanti 23 in cella, con non più di tre o quattro libri nei quali poter cercare conforto, o riparo dal buio sfibrante della solitudine. Per resistere la tentazione di abbandonarsi al dolore e provare a tenere la barra di un equilibrio psicologico sempre sul punto di crollare. In appello Giulio fu riconosciuto innocente - sentenza confermata anche dalla Cassazione - e a maggio uscì finalmente dal carcere. A maggio del 1986, dopo sei anni detenzione ingiusta. Anni che nessuno potrà mai restituirgli, sottratti alla sua giovinezza in cambio di una ferita destinata a restare aperta. E a sanguinare a ogni tentativo di riannodare i fili della propria vita. L’assoluzione può infatti non bastare a lavare il marchio di un’accusa infamante, a scacciar via l’ombra del sospetto dagli sguardi altrui e reinserirsi nella società è stata per lui una prova durissima, come riallacciare i rapporti con la politica che è da sempre la sua più grande passione. Tuttavia ce l’ha fatta e oggi Giulio Petrilli è nel direttivo del Partito democratico aquilano, con delega alla giustizia. Il suo è uno dei tanti errori giudiziari mai risarciti, perché l’assoluzione è arrivata prima alla riforma del codice di procedura penale che nel 1989 ha introdotto la riparazione per detenzione. Una norma che non prevede retroattività e che, ad esempio, esclude dall’indennizzo tanti che negli anni di piombo hanno subito il carcere da innocenti, magari per la semplice dichiarazione di un pentito. Da tempo Petrilli si batte perché questa forma di discriminazione venga sanata e siano discusse le proposte di legge che introducono la retroattività nella norma sulla riparazione depositate, tre anni or sono, al Senato e alla Camera dai parlamentari radicali Marco Perduca, Donatella Poretti, Rita Bernardini e da Pier Luigi Mantini dell’Udc. In ballo c’è il principio di uguaglianza, che rischia di essere violato se due errori analoghi sono considerati diversamente, solo perché commessi in epoche differenti. Concedere il risarcimento anche a chi se lo è visto negare sarebbe un modo per rimarginare qualche ferita nel vissuto di uomini innocenti e nel funzionamento di una Legge che vuol essere uguale per tutti. Giustizia: ingiusta detenzione; 60mila euro di risarcimento a Serena Grandi Ansa, 3 giugno 2011 Tra il novembre 2003 e l’aprile 2004, era finita agli arresti domiciliari perché accusata dalla Procura di Roma di aver acquistato, detenuto e ceduto ad altri alcuni grammi di cocaina. Dopo sei anni di inchiesta, però, la sua posizione è stata archiviata dal gip su richiesta dello stesso ufficio della pubblica accusa. Adesso per l’attrice Serena Grandi, al secolo Serena Faggioli, è stato disposto un risarcimento da 60mila euro. Lo hanno disposto i giudici della IV sezione penale della Corte d’appello di Roma, che hanno accolto l’istanza presentata dal difensore della star, l’avvocato Valerio Spigarelli. Nell’istanza del penalista si poneva in rilievo come anche la detenzione ai domiciliari avesse prodotto nell’attrice danni morali e materiali ingenti. In particolare, “danni psicofisici, costituiti da uno scompenso ormonale di rilevante gravità e da uno stato di depressione acuta; danni conseguenti alla lesione dell’immagine della rispettabilità sociale; e danni sul piano professionale, con riferimento particolare al mancato perfezionamento di numerose trattative in corso tramite l’agente Lele Mora, tra cui quella relativa alla partecipazione all’Isola dei famosi”. La difesa della Grandi aveva per questo quantificato in poco meno di cinquecentomila euro l’ammontare del risarcimento. Per i giudici “le intercettazioni telefoniche, su cui unicamente si fondavano le accuse a carico di Serena Grandi, hanno un contenuto inidoneo a supportare quel quadro indiziario necessario per l’emissione della misura cautelare”. La corte ha ritenuto che “appaiono rilevanti i danni morali conseguenti all’ingiusta detenzione, avuto soprattutto riguardo alla assoluta incensuratezza della Faggioli e alla gravità delle accuse e altrettanto rilevanti i danni conseguiti alla lesione dell’immagine e della rispettabilità sociale, anche per la notorietà acquisita dalla vicenda finita sugli organi di informazione”. Giustizia: Cazzola (Pdl) propone una giornata dedicata alle vittime di errori giudiziari Il Fatto Quotidiano, 3 giugno 2011 Dopo che il Capo dello Stato ha dedicato la Giornata della memoria delle vittime del terrorismo ai magistrati, il Pdl chiede che sia istituita anche una giornata della memoria delle vittime degli errori giudiziari. A farsi promotore dell’iniziativa è stato Giuliano Cazzola, che ha presentato alla Camera una proposta di legge di un solo articolo. C’è anche una data ed è quella del 18 maggio, giorno della morte di Enzo Tortora. “Le ricorrenti polemiche sull’uso della giustizia a fini politici hanno ulteriormente aggravato un clima politico di per sé già tanto conflittuale da mettere a rischio quel minimo di regole comunemente condivise che sono essenziali per il reciproco riconoscimento di forze politiche avversarie, ma non nemiche, che si contendono democraticamente e in piena legittimità il diritto-dovere di governare il Paese”, ha scritto Cazzola nell’introduzione all’articolato. “Niente è più grave e lesivo - scrive il deputato - della dignità di una persona di dover subire, da innocente, un processo penale e una condanna e soffrire della privazione della libertà”. Giustizia: carceri galleggianti; Belsito (Lega) rilancia “darebbero lavoro a Fincantieri” Secolo XIX, 3 giugno 2011 “Onestamente, l’idea delle carceri galleggianti è un po’ aberrante: è come tornare ai tempi delle galee, mi sembra una cosa assolutamente umiliante per le persone”. L’assessore regionale ai Trasporti Enrico Vesco si aggiunge al fronte del “no” (che annovera il sindaco Marta Vincenzi) alla costruzione delle prigioni sull’acqua, che erano state introdotte all’interno del piano carceri lo scorso anno come una delle possibili soluzioni al sovraffollamento dei detenuti in Italia. Un progetto che secondo indiscrezioni varrebbe circa 90 milioni di euro, ma che comunque è fermo ormai da tempo in qualche cassetto del ministero della Giustizia, insieme all’intero piano-carceri. Tuttavia, dire carceri galleggianti significa lavoro per Fincantieri: già in passato i vertici del gruppo di Stato avevano guardato con una certa attenzione al progetto, e lo stesso sottosegretario alla Semplificazione, il leghista Francesco Belsito (vicepresidente autosospeso di Fincantieri) ne ha rilanciato l’idea: “In un momento di calo drammatico del lavoro - sostiene infatti Belsito - l’ipotesi di costruire carceri galleggianti mi sembra interessante: intendiamoci, se ad esempio le volessimo costruire a Genova, non è certo obbligatorio mantenerle in quella città”. Sull’incontro di oggi a Roma, Belsito non si sbilancia, anche se avanza l’ipotesi di un possibile ritiro del piano da parte di Fincantieri: tabula rasa, come sembra voglia apprestarsi a chiedere il governo. Belsito puntualizza anche sulla richiesta della Lega delle dimissioni di Bono: “Credo che quando si fa un piano industriale con oltre 2.500 esuberi, forse sarebbe meglio prima parlare con l’azionista, che in questo caso è Fintecna. Detto questo, è chiaro che in questa vicenda, se emergeranno delle responsabilità, qualcuno dovrà pagare”. Tornando a Vesco, l’assessore sottolinea che questa è “una mia posizione personale, in Regione non ne abbiamo parlato. Non so, io credo che Fincantieri debba costruire navi: se lo Stato vuole sostenere la costruzione di nuove unità, sarebbe meglio non fare carceri galleggianti, ma ad esempio unità militari. Io sono un pacifista, però non credo ci sia nulla di male a costruire unità di questo tipo. Quindi - conclude Vesco - il governo ci deve dare prima delle garanzie sulla continuazione e ultimazione del programma Fremm, poi pensare a nuove commesse”. Giustizia: Sappe; tbc nelle carceri, serve un’adeguata profilassi e “kit di protezione” Comunicato stampa, 3 giugno 2011 I recenti casi di tubercolosi che si sono manifestati in alcuni Istituti del Nord Italia ripropongono con forza la necessità da parte dell’Amministrazione di avviare una indagine epidemiologica, con l’ausilio delle Asl di riferimento, a largo spettro sull’intera popolazione detenuta, rispetto a patologie contagiose che si ritenevano debellate, nonché di mettere in atto adeguate misure di prevenzione e di contrasto a salvaguardia dei personale operante. Invero, le molteplici situazioni a rischio alle quali può essere esposto l’operatore penitenziario non consentono l’adozione di specifiche misure di prevenzione nei confronti di un determinato agente biologico, pertanto deve ritenersi prioritario l’adozione di “precauzioni a carattere generale” in tutti i casi in cui possano configurarsi situazioni a rischio di trasmissione di agenti biologici/patogeni. Il modello di riferimento per tali “precauzioni universali” è quello delineato in numerose linee guida elaborate dal Ministero della Salute, il cui criterio ispiratore, rapportato al nostro settore, è basalo sul principio che tutti i soggetti “detenuti” siano portatori di agenti biologici potenzialmente trasmissibili non essendo possibile disporre di metodiche in grado di identificare con certezza i soggetti inietti o portatori di microrganismi patogeni. Tuttavia, la suddetta considerazione non può costituire un alibi per l’Amministrazione e giustificare l’assenza di un “programma di prevenzione” che preveda momenti formativi ed informativi sui rischi di contagio, affinché si evitino ingiustificati allarmismi, con la sottoposizione periodica degli operatori penitenziari a vaccinazioni, la dotazione degli istituti di kit di protezione ai rischi biologici da utilizzare nei casi di possibile trasmissione, quali immobilizzazioni, collutta/ioni, perquisizioni personali ed ambientali, interventi occasionali da gesti anti conservativi, l’impiego della forza per resistere ad una violenza o per respingere un’aggressione e situazioni similari, l’indicazione di una scrupolosa profilassi da eseguire, soprattutto per i nuovi giunti, anche in relazione al periodo di incubazione dei vari agenti patogeni/biologici. La necessità di uno screening su scala nazionale risulta quanto più utile ed opportuno in considerazione dell’alto tasso di detenuti stranieri provenienti da Paesi ove patologie, che in Italia sono da. tempo state debellate, sono assai radicate e diffuse, anche in considerazione che il sovraffollamento favorisce, e non poco, la possibilità di contagio. Del resto, è di dominio pubblico che la prevalenza di tbc, sia essa conclamata che latente, è più alta nella popolazione ristretta rispetto alla popolazione libera (un caso su undici è un detenuto): per questo già da diverso tempo le organizzazioni sanitarie hanno evidenziato la necessità di predisporre adeguati strumenti di contrasto e di prevenzione in tale settore. D’altro canto, pensare che gli agenti patogeni, sia in entrata che in uscita, si arrestino al muro di cinta sarebbe riflessione a dir poco superficiale, infatti secondo uno studio condotto da ricercatori di varie università si è potuto rilevare che la prevalenza della tubercolosi nella popolazione detenuta contribuisce ad un aumento dell’infezione anche nella popolazione che vive in prossimità degli Istituti. È appena il caso di osservare che la necessità di attuare un adeguato programma sanitario non solo è imposto dal presidio costituzionale di cui all’articolo 32, ma dal sovraffollamento che, da un lato, agevola, come sopra rilevato, il rischio di contagio non solo e non tanto tra i detenuti ma tra detenuti ed operatori penitenziari, con la possibilità di veicolare l’agente patogeno tra la cerchia familiare oltre che più in generale nella popolazione esterna, dall’altro lato preclude l’isolamento sanitario negli Istituti per mancanza di posti, creando situazioni che potrebbero assumere un carattere endemico. La rilevanza della questione, che attiene ad aspetti di sanità pubblica richiede, quindi, un intervento ragionato e proiettato nel tempo da parte dell’Amministrazione, nei sensi sopra osservati. Sappe, il Segretario generale Donato Capece Lettere: sul carcere serve un’informazione rigorosa e senza pregiudizi di Gianluca Amadori (Presidente dell’Ordine dei giornalisti del Veneto) Il Mattino di Padova, 3 giugno 2011 Non capita tutti i giorni l’opportunità di poter vivere un carcere dalle porte aperte, anche solo per poche ore, con centinaia di studenti in silenzio, seduti assieme ai detenuti, attenti ad ascoltare le loro storie e il monito a prestare attenzione e non commettere i loro stessi errori. Studenti impegnati a scoprire che anche dietro le sbarre ci sono persone che meritano rispetto e attenzione, nonostante abbiamo sbagliato; a riflettere su come può bastare poco per passare dalla parte dei “cattivi”; a discutere di legalità, ma anche dell’esigenza, sempre più pressante, di avere un’informazione rigorosa e precisa, attenta alle parole e ai contenuti, rispettosa della dignità delle persone, capace di abbandonare stereotipi e titoli ad effetto per aiutare i cittadini a formarsi un’opinione in maniera critica e aperta, senza pregiudizi. È un’iniziativa che merita una riflessione la giornata di studi ospitata qualche giorno fa al penitenziario Due Palazzi di Padova, dal titolo: “I totalmente buoni e gli assolutamente cattivi”. Ad organizzarla è un gruppo di volontari che, grazie ad una direzione illuminata del carcere, da anni sta facendo un gran lavoro con e per i detenuti, dando loro un’opportunità per impegnarsi e dimostrare che più il carcere è aperto, più offre possibilità di reinserimento e accorda benefici a chi si comporta bene, più diminuisce la percentuale di recidiva, come dimostrano le statistiche del ministero della Giustizia; per sensibilizzare quanti considerano i detenuti un altro mondo, lontano e privo di diritti, senza rendersi conto che la divisione tra bene e il male non è mai così netta e che può capitare a tutti di sbagliare, o di dover soffrire per un proprio caro dietro le sbarre. Tra un relatore e l’altro -magistrati, sociologi, docenti - i veri protagonisti sono loro: quei detenuti che ammettono i propri errori commuovendosi davanti a tanti studenti; che in carcere si sono laureati nella speranza di riuscire a ricostruirsi una vita; che invitano i giovani a non credere acriticamente a chi dice loro che si può fare tutto ciò che si vuole, “tanto in prigione non finisce mai nessuno”. E neppure a chi racconta che esistono benefici automatici: la realtà è che le pene si scontano e il ritornello “sono tutti fuori”, ripetuto in continuazione da certa politica alla ricerca di facili consensi, rischia di creare tanti danni ai giovani. Quei detenuti che, da dietro le sbarre fanno informazione attraverso un periodico - “Ristretti Orizzonti” - diventato negli anni la più completa e precisa “fonte” di notizie sul carcere in Italia e che organizzano all’interno del penitenziario seminari di aggiornamento per i giornalisti finalizzati a discutere di giustizia e di applicazione della pena, con l’obiettivo di segnalare gli errori, le imprecisioni, il sensazionalismo con cui, troppo spesso, le cronache riferiscono sul mondo del carcere e della giustizia. Un invito a riflettere e a non dimenticare che dietro le sbarre c’è un mondo da raccontare senza pregiudizi. Lettere: troppi detenuti malati costretti a morire in carcere di Antonio Iavarone Il Tirreno, 3 giugno 2011 Sono uno dei detenuti ricoverati presso al Centro clinico del Don Bosco. Scrivo a proposito della morte del detenuto Santini avvenuta poco tempo fa. Purtroppo la situazione è peggiore di quella che viene descritta. L’unico che ha detto realmente le cose come stanno è il professor Ceraudo. Da quando sono qui ho visto morire in carcere tre persone. Non viene mai concessa una sospensione di pena o detenzione domiciliare per gravi motivi di salute, parlo di detenuti con l’incompatibilità con la condizione carceraria dichiarata dai medici interni, eccezionali e scrupolosi. Ma il loro operato è inutile e nulla possono per salvare queste persone. Per ottenere un diritto il malato deve solo aspettare che gli fissino un’udienza a Firenze e sperare di arrivarci vivi. Lettere: gli psicologi penitenziari aderiscono allo sciopero della fame di Pannella di Ada Palmonella (psicologa nel carcere di Regina Coeli) Ristretti Orizzonti, 3 giugno 2011 Facendomi interprete delle molteplici situazioni personali, professionali, lavorative e deontologiche dei colleghi psicologi penitenziari italiani, in questo particolare momento ritengo doveroso sintetizzare quanto segue. Gli Psicologi Penitenziari di tutt’Italia - in forma assolutamente pacifica e non violenta - aderiscono all’iniziativa di Marco Pannella nello sciopero della fame seguito da 3.000 detenuti e dalle loro famiglie. Si condivide inoltre qualsiasi iniziativa intrapresa dal partito Radicale, dall’Onorevole Rita Bernardini, dall’Associazione Liberarsi, per le condizioni inumane ed illegali delle carceri ed in particolare il giorno 26 giugno per la giornata internazionale contro la tortura, evidenziando il Rapporto del Bureau of Democracy Human Rights and Labor che condanna il mancato rispetto dei diritti umani nelle carceri italiane. Gli psicologi penitenziari inoltre aderiscono alla protesta della Giunta dell’Unione delle Camere Penali nelle iniziative deliberate dal Consiglio delle Camere per le gravi condizioni dei detenuti e l’indifferenza della classe politica. Si associa anche al Presidente Patrizio Gonnella dell’Associazione Antigone, al Segretario Generale Donato Capece del Sappe per l’invivibile situazione di lavoro degli Agenti di Polizia Penitenziaria e a tutti coloro, come Cisl, Uil, Sinappe, Cgil, Cnpp, Ugl che lottano per rendere le carceri degne di un paese civile e contro il silenzio e la sordità del Governo. Gli Psicologi penitenziari sottolineano l’articolo 32 della Costituzione sul diritto della salute che “deve essere ugualmente garantito ad ogni persona, sia in stato di libertà o di detenzione o comunque sottoposta a misura ristretta della libertà personale”. Rammentano - o meglio, comunicano poiché non è stato preso in considerazione - al capo del Dap dott. Ionta ed al Ministro di Giustizia, la Circolare Dap del 30/12/87 n. 3233-5683 che tutela l’incolumità fisica e psichica dei detenuti e degli internati. Ricordano - o informano - inoltre l’articolo 23co. 4, Dpr 431/76 relativo al colloquio psicologico di primo ingresso che, dopo più di 20 anni, è ancora ridicolamente e paradossalmente definito “in via sperimentale” e lo stato di precarietà degli psicologi nonostante i molti anni di lavoro continuativo. La Circolare Dap del 28.12.88 nr 3258/5708 tutela la vita e la salute dei detenuti e degli internati. Questa tutela è un dovere primario e fondamentale dell’Amministrazione Penitenziaria alla quale essi sono affidati. Sembra attualmente che questo dovere sia stato dimenticato, considerando le molteplici morti dei detenuti e i suicidi degli agenti di polizia penitenziaria. L’articolo 27 della Costituzione impone la finalità rieducativa della pena per il giusto reinserimento. Ma anche questo articolo sembra essere stato soppresso da chi gestisce gli istituti penitenziari. . Con la umiliante riduzione del monte ore di lavoro di noi psicologi penitenziari è da considerare qualsiasi iniziativa atta al reinserimento della popolazione detenuta, fragile, incongruente e di difficile attuazione reale se non supportata da un lavoro di sostegno psicologico. La “dimenticanza” delle varie circolari riguardanti gli psicologi penitenziari, emanate dello stesso Dap, l’inosservanza della Costituzione da parte del Governo, umilia la nostra professionalità, il nostro impegno, i nostri anni di “manovalanza” retribuita molto al di sotto dei minimi previsti dalle tabelle, le riduzioni repentine ed improvvise del monte ore mensile offende la nostra categoria, ma offende anche un Governo che non è in grado di tutelare la vita, il lavoro, la sicurezza delle persone, dei lavoratori sui quali ha il compito di governare con saggezza prevista in ogni paese civile. Toscana: stessa garanzia alla salute per detenuti e cittadini liberi Il Tirreno, 3 giugno 2011 Garantire ai detenuti toscani un migliore diritto alla salute esattamente come lo è per tutti i cittadini. Questo l’obiettivo della Regione Toscana che ha approvato una serie di linee di intervento dedicate alla “qualità della salute dei cittadini detenuti”, destinando a queste misure 800mila euro per il biennio 2011-12. Il progetto arriva dopo la tragedia avvenuta nel carcere don Bosco di Pisa meno di due settimane fa. Un detenuto di 61 anni, malato di cancro al polmone e affetto da Hiv, è morto due ore dopo essere stato dimesso dal Santa Chiara. La Procura ha aperto un fascicolo sulla vicenda. Gli interventi presentati dalla Regione sono dedicati a prevenire il suicidio, fornire assistenza psicologica, telemedicina e telediagnostica, oltre a iniziative specifiche per la salute dei minori in istituto, e l’adozione della carta dei servizi sanitari anche dentro il carcere. L’iniziativa è stata illustrata ieri dall’assessore regionale alla salute Daniela Scaramuccia insieme a dirigenti regional delle carceri e direttori degli istituti per minori. “La salute è un diritto di tutti indistintamente - ha detto Scaramuccia - tutti, che siano liberi cittadini o detenuti, sono uguali davanti alla malattia e hanno diritto ad avere le stesse opportunità e prestazioni sanitarie”. La sanità penitenziaria, ha spiegato ancora Scaramuccia sarà inserita nella valutazione delle Asl. In Toscana, è stato ricordato, il 73% dei 4.552 detenuti (al 31 dicembre scorso) è affetto da almeno una patologia. La maggiore richiesta di interventi riguarda la salute mentale, i disturbi dell’apparato digerente e malattie infettive e parassitarie. In particolare, la salute mentale dei detenuti è compromessa da disturbi legati al consumo di droghe (12,7%) e di tipo nevrotico (10,9%). A queste malattie vanno associati i tentati suicidi che si attestano al 4%. Il 10% dei detenuti ha inoltre alle spalle almeno un episodio di autolesionismo. Enzo Brogi, consigliere regionale del Pd, ha commentato positivamente il progetto. “Adesso - ha detto - dobbiamo accelerare su questioni fondamentali come quella dei tossicodipendenti, che non dovrebbero stare in carcere ma avere più trasferimenti in comunità o nei centri di recupero, e come la nomina del Garante regionale dei detenuti, sempre più necessario”. Umbria: situazione carceri; Festa della Polizia penitenziaria, occasione per fare il punto Ansa, 3 giugno 2011 Sono 1.715 i detenuti attualmente presenti nelle carceri umbre, 1.635 uomini e 80 donne, a fronte di una capienza tollerabile di 1.586 unità. Quelli al 41 bis, il cosiddetto carcere duro, a Spoleto e Terni, sono 106. Questi sono alcuni dei dati, aggiornati al 30 maggio scorso, emersi in occasione della celebrazione, a Perugia, del 194/o anniversario della fondazione della polizia penitenziaria. Il 42,8% sono stranieri e il 21,5% tossicodipendenti. Gli agenti di polizia penitenziaria in servizio sono complessivamente 785, tra i quali 64 agenti del Gom, lo speciale nucleo del corpo, ma la pianta organica - è stato spiegato nel corso della cerimonia - prevede invece 1.060 unità. Dei 110 reclusi con condanne definitive all’ergastolo soltanto uno è straniero. Per quanto riguarda la sezione femminile del carcere di Perugia, nel 2010 sono stati nove i bambini ospitati insieme nelle apposite celle: due di loro non avevano ancora compiuto un anno d’età. Gli agenti umbri hanno dovuto gestire anche 246 atti di autolesionismo, 20 tentativi di suicidio e 155 scioperi della fame. 16, invece, le aggressioni subite dagli appartenenti alla polizia penitenziaria e 175 ferimenti tra detenuti. Il corpo è stato inoltre impegnato in attività antidroga. Sono stati sette i sequestri: a Orvieto è stata trovata sostanza stupefacente all’interno del doppio strato di una cartolina, a Terni in un accappatoio nel casellario, in altri casi nella serratura di una porta o in ovuli di eroina ingeriti. Nella sezione maschile del carcere di Capanne sono attivi due corsi di scuola elementare frequentati da 12 detenuti, ed uno di scuola media alle cui lezioni partecipano altre undici persone. Tra i corsi professionali svolti nella casa circondariale ternana di Vocabolo Sabbione, quello dedicato alla realizzazione di mosaici impegna 11 detenuti, sono 16 invece gli aspiranti pizzaioli ad Orvieto (a 7 di loro è stato riconosciuto l’attestato di qualifica), mentre sono una trentina le detenute che a Capanne si dedicano a corsi di informatica utilizzando i dieci computer donati dalla Fondazione Italia-Usa. Spoleto: ergastolano di 53 anni si impicca; è il 26° suicidio del 2011 nelle carceri italiane Ristretti Orizzonti, 3 giugno 2011 L’uomo si è tolto la vita nella sua cella, aveva 53 anni. Inutili i soccorsi. Indagini in corso della polizia penitenziaria. Un detenuto del supercarcere di Maiano di Spoleto si è tolto la vita nella tarda mattinata di oggi all’interno della sua cella. La notizia, trapelata poco fa, trova i primi riscontri ufficiali. La polizia sta già eseguendo i primi rilievi per ricostruire la dinamica. L’uomo, originario della provincia di Vibo Valentia, aveva 53 anni e stava scontando una pena all’ergastolo. Inutili i soccorsi degli agenti della penitenziaria che non hanno potuto far altro che constatare il decesso: l’uomo, con ogni probabilità, si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo. L’allarme è scattato alle 12.15 ma per il detenuto non c’era più nulla da fare. Con quello di oggi sale a 26 la lista dei suicidi nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno e a 71 il totale dei detenuti morti. Una lunga scia di sangue che sembra destinata a battere i già tristi primati degli scorsi anni. Ascoli: sciopero della fame nel supercarcere di Marino del Tronto Corriere Adriatico, 3 giugno 2011 Tecnicamente si chiama “sciopero del carrello”, praticamente vuol dire sciopero della fame. È la protesta che i detenuti del carcere di Marino del Tronto stanno attuando da ieri contro gli ennesimi tagli. Con l’ultima circolare, giunta qualche giorno fa, si comunicava che non sarà più distribuito materiale per l’igiene personale (sapone, saponette, carta igienica) né le posate in plastica utilizzare per i pasti. Inoltre non verranno più consegnati i detersivi necessari alla pulizia delle celle, agli ambienti comuni e, soprattutto, ai servizi igienici. Tutto questo a causa della mancanza dei fondi necessari all’acquisto del materiale. “Le nostre condizioni di vita - dicono alcuni detenuti - già precarie a causa del sovraffollamento, in questo modo diventano inaccettabili. Chi di noi ha qualche soldo e può permettersi di acquistare allo spaccio interno i generi di prima necessità e i detersivi li compra anche per il compagno di cella più sfortunato. Ma quanto durerà? E nelle celle in cui non ci sono affatto possibilità di acquisti, come faranno senza saponi né carta igienica?”. Il corpo di polizia penitenziaria che lavora all’interno del supercarcere si dice solidale con la protesta messa in atto dai detenuti e non solo: il comandante Pio Mancini si è adoperato in prima persona per cercare di tamponare l’emergenza. Già nella mattinata di ieri aveva contattato la Caritas che nelle prossime ore dovrebbe rifornire il carcere di candeggina. Ma resta il problema del sapone per l’igiene personale e, soprattutto, della carta igienica. Per non parlare delle posate. Alcuni detenuti per diversi giorni hanno dovuto mangiare in quattro con le stesse posate, lavandole e passandosele a turno. Oltre che con lo sciopero, i ragazzi ristretti a Marino per tutta la giornata di ieri hanno protestato battendo pentole e sgabelli contro le inferriate delle finestre, così come stanno facendo i detenuti di molte altre carceri italiane. L’appello che viene lanciato alla città riguarda la fornitura di carta igienica: tutti quelli che vorranno contribuire a tamponare l’emergenza possono rivolgersi direttamente alla struttura. Milano: Rita Bernardini replica a Caliendo… nel carcere di Opera tagli “mortali” Notizie Radicali, 3 giugno 2011 La deputata radicale Rita Bernandini ha replicato alla risposta presentata dal Sottosegretario Giacomo Caliendo riguardo all’interrogazione parlamentare dei radicali riguardo alle condizioni dell’istituto penitenziario di Milano Opera presentata il 30 aprile 2011. Come si legge nel suo blog, la deputata non può ritenersi soddisfatta della risposta, la quale, come capita sempre più spesso in materia penitenziaria, si limita a riportare quanto già descritto nell’interrogazione, senza formulare alcuna ipotesi di soluzione delle gravissime questioni che sono vi denunciate. La Bernardini aggiunge: “In primo luogo, sottolinea quanto sia distorsiva della drammatica realtà delle carceri la distinzione tra capienza regolamentare e capienza tollerabile, considerato che quest’ultima è individuata in maniera discrezionale, se non addirittura arbitraria, dall’amministrazione penitenziaria, che potrebbe prevedere, come in realtà ha già previsto, che sia tollerabile la presenza di tre detenuti in celle costruite per ospitarne uno solo”. E sul carcere di opera nello specifico: “anch’esso, per quanto, grazie anche al lavoro svolto dal direttore, Giacinto Siciliano, si trovi in condizioni migliori rispetto a tanti altri istituti penitenziari, soffre la totale carenza di mezzi e strumenti necessari per assicurare non solo un trattamento costituzionalmente adeguato a favore dei detenuti, ma lo stesso funzionamento del carcere, considerando, ad esempio, che già nel mese di maggio sono finiti i fondi destinati al pagamento delle bollette”. In merito alla carenze di organico della polizia penitenziaria, Rita Bernardini invita il Governo a non nascondersi più dietro alla futura assunzione dei circa 2.000 agenti, prevista dalla legge n. 199 del 2010, in quanto occorre coprire un vuoto di organico di circa 6.000 agenti, che viene aggravato dai fisiologici pensionamenti annui. Milano: “Amnistia, amnistia, amnistia”, un buon motivo per (poter) festeggiare di Lucio Bertè (Associazione Il Detenuto Ignoto) Comunicato stampa, 3 giugno 2011 I radicali di Milano annunciano una fiaccolata davanti al carcere di S. Vittore per ringraziare gli oltre 7.500 digiunatori - oltre 6.000 i detenuti e i loro famigliari, ma numerosi anche gli operatori penitenziari - che in tutta Italia stanno partecipando alla lunga azione nonviolenta di Marco Pannella per l’obbiettivo indicato dallo slogan “amnistia, amnistia, amnistia!”. Ieri davanti alle carceri di molte città italiane, dove imperversa la tortura del sovraffollamento, nel giorno della festa della Repubblica i radicali hanno aperto striscioni con la scritta “Amnistia per la Repubblica”, perché lo Stato interrompa immediatamente il reato contro l’umanità che sta commettendo nei confronti delle persone detenute, contro la Costituzione e le leggi italiane e contro le Convenzioni internazionali, per avviare la riforma della Giustizia e per dare una minima credibilità alla democrazia italiana. La stessa scritta è stata esposta ieri dalle 11 alle 13.30 davanti al portone di S. Vittore, per il Detenuto Ignoto e per Nessuno Tocchi Caino, dal radicale Lucio Bertè, che infine ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Alla destra del portone di S. Vittore, che per i Milanesi è da sempre il N. 2 di Piazza Filangieri, una grande lapide ricorda le migliaia di cittadini italiani che tra l’8 settembre del 1943 e la Liberazione furono qui imprigionati e torturati, molti fino alla morte, sotto la dittatura fascista. Dopo 66 anni, è lo “Stato democratico” il torturatore di quasi 70 mila persone detenute al limite della incompenetrabilità dei corpi, istigatore di suicidi anche tra gli agenti. Nel giorno in cui la Repubblica festeggia ancora se stessa senza riconoscere con un sussulto di dignità, di onestà, di amore della verità, che è colpevole di reato continuato, occorre rammentare a chi la presiede che una amnistia è la misura iniziale minima e necessaria per interrompere questa flagranza di reato. Perché non seguire l’esempio di Germania e California? Perché non riconoscere la priorità di garantire il diritto delle persone detenute alle minime condizioni di detenzione stabilite dalla legge, e, in attesa di una revisione del sistema delle pene, applicare il criterio del numero chiuso, cioè non accettare in carcere nessuno oltre la capienza di progetto, abolendo l’arbitrario concetto di “capienza tollerabile”, cioè di “limite tollerabile di tortura” definito dal torturatore stesso? Perché non applicare lo stesso criterio normale per qualsiasi edificio adibito a funzioni residenziali collettive, come alberghi, caserme, collegi, ecc. ecc.? Ieri ho chiesto di parlare con la Direttrice - però al momento assente - per esprimere la nostra vicinanza anche con gli operatori penitenziari. Gli agenti mi hanno identificato e hanno preso nota del cartello. Diverse le reazioni sulla richiesta di “Amnistia per la Repubblica”. Degli agenti incontrati, uno in borghese ha detto: “Ci vorrebbe proprio”, uno in divisa ha fatto un gesto come dire “perfetto!”, altri invece hanno polemizzato pesantemente, uno pretendendo di vietare ad un cittadino che solidarizzava, di fotografarmi con lo sfondo del portone del carcere. Però il consenso più appassionato alla richiesta di amnistia dei radicali è venuto ieri da una suora che, uscendo da S. Vittore, prima si è fatta carico di informare i detenuti e poi ha aggiunto “Bravi, andate avanti, non ci abbandonate, nessuno si occupa di noi”. Associazione Il Detenuto Ignoto Immigrazione: Cassazione; immigrati sposati, niente espulsione se si prova la convivenza di Debora Alberici Il Sole 24 Ore, 3 giugno 2011 Non possono essere espulsi gli immigrati, anche se con precedenti penali, che sono sposati con un cittadino italiano. A patto che sia provata la effettiva convivenza. Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza numero 22100 del 1 giugno 2011, ha respinto il ricorso di un pregiudicato magre-bino che non era riuscito a provare la convivenza con la moglie italiana. L’uomo era stato accusato di numerosi episodi di rilascio di false generalità e gravato di altri pesanti e seri precedenti. In più non aveva provato la convivenza con la moglie italiana sposata nell’aprile del 2010. Contro il provvedimento del questore di Catania lui aveva fatto ricorso al tribunale di sorveglianza ma senza successo. Quindi la difesa ha depositato gli atti al Palazzaccio. La prima sezione penale ha bocciato la tesi del legale per mancanza della prova della convivenza ma in generale ha ribadito il principio secondo cui non è consentita l’espulsione degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge che siano di nazionalità italiana (art. 19, comma secondo, lett. e) del dlgs n. 286 del 1998) si applica a tutte le espulsioni giudiziali tra cui, senza dubbio, vi è la decisione del tribunale di sorveglianza, oggetto di ricorso, che ha applicato l’espulsione del condannato a titolo di misura di sicurezza”. Fra l’altro questo principio è ricavabile non solo dal testo letterale dell’art. 19 che esclude espressamente dal divieto di espulsione soltanto i casi previsti dall’art. 13, comma primo, vale a dire nella ricorrenza di motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, ma anche dai principi di diritto sanciti dall’art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (cui è stata data esecuzione in Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848), secondo cui “ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza” né “può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale o la protezione dei diritti e delle libertà altrui”. Droghe: la svolta dei grandi del mondo… è il momento di legalizzarle! di Angelo Aquaro La Repubblica, 3 giugno 2011 Clamoroso cambiamento di strategia nel rapporto della Global Commission on Drug Policy dopo gli anni della repressione che hanno rappresentato un fallimento. “Va trattata come una questione sanitaria”. Nell’organismo Kofi Annan, Paul Volcker, Mario Vargas Llosa, Richard Branson. Cinquant’anni di guerra alla droga hanno fallito e all’Onu non resta che prenderne atto. Dicendo basta alla criminalizzazione e trattando l’emergenza mondiale per quello che è: una questione sanitaria. Di più: legalizzando il commercio delle sostanze stupefacenti - a partire magari dalla cannabis. Firmato: l’ex presidente dell’Onu che di questa politica fallimentare è stato uno dei responsabili, cioè Kofi Annan. Ma anche Ferdinando Cardoso, George Schultz, George Papandreu, Paul Volcker, Mario Varga Llosa, Branson. I grandi del mondo della politica, dell’economia e della cultura mondiale - che certo nessuno si sognerebbe mai di associare a un battagliero gruppo di fumati antiproibizionisti. La clamorosa dichiarazione verrà resa nota oggi a New York in una conferenza stampa: il primo atto di una grande campagna mondiale che raccoglie e rilancia tante idee di buon senso che troppi governi (compresi quelli che loro amministravano) continuano a negare. Lo slogan è efficace: “Trattare i tossicodipendenti come pazienti e non criminali”. E l’obiettivo è più che ambizioso: cambiare radicalmente i mezzi che Stati e organismi internazionali hanno fin qui inutilmente seguito per sradicare la tossicodipendenza. Il traguardo è una petizione da milioni di firme che verrà presentata proprio alle Nazioni Unite per adottare le clamorose conclusioni dei “saggi”: su cui certamente si scatenerà adesso un dibattito internazionale. “La guerra mondiale alla droga ha fallito con devastanti conseguenze per gli individui e le comunità di tutto il mondo” si legge nel rapporto presentato dalla Global Commission on Drug Policy. “Le politiche di criminalizzazione e le misure repressive - rivolte ai produttori, ai trafficanti e ai consumatori - hanno chiaramente fallito nello sradicarla”. Non basta. “Le apparenti vittorie nell’eliminazione di una fonte di traffico organizzato sono annullate quasi istantaneamente dall’emergenza di altre fonti e trafficanti”. Basta dare un’occhiata alle statistiche raccolte dal rapporto. Nel 1998 il consumo di oppiacei riguardava 12.9 milioni di persone: nel 2008 17.35 milioni - per un incremento del 34.5 per cento. Nel 1998 il consumo di cocaina riguardava 13.4 milioni: dieci anni dopo 17 milioni - 27 per cento in più. Nel 1998 la cannabis era consumata da 147.4 milioni di persone: dieci anni dopo da 160 milioni - l’8.5 per cento in più. Sono i numeri di una disfatta. A cui si accompagna un’altra debacle. “Le politiche repressive rivolte al consumatore impediscono misure di sanità pubblica per ridurre l’Hiv, le vittime dell’overdose e altre pericolose conseguenze dell’uso della droga”. Da un’emergenza sanitaria a un’altra: un disastro che è anche un tragico spreco. “Le spese dei governi in futili strategie di riduzione dei consumi distraggono da investimenti più efficaci e più efficienti”. L’elenco delle personalità coinvolte è impressionate. Il panel è l’organismo che a più alto livello si sia mai pronunciato sul fenomeno: tutti esponenti della società politica e civile internazionali che prima o poi si sono occupati ciascuno nel proprio campo dell’emergenza. Da Kofi Annan all’ex commissario Ue Javier Solana. Dall’ex segretario di Stato Usa George P. Schultz all’imprenditore miliardario e baronetto Richard Branson. Dal Nobel Vargas Llosa all’ex presidente della Fed Paul Volcker. Ci sono quattro ex presidenti: il messicano Ernesto Zedillo, il brasiliano Fernando Cardoso, il colombiano Cesar Gaviria, la svizzera Ruth Dreifuss. C’è l’ex premier greco George Papandreu. C’è lo scrittore messicano Carlos Fuentes. C’è il banchiere e presidente del Memoriale di Ground Zero John Whitehead. La loro voce sarà rilanciata adesso dall’organizzazione no profit Avaaz che conta già nove milioni di iscritti in tutto il mondo. Non è solo la denuncia del fallimento della politica internazionale. È anche la prima sistematica proposta di una risposta globale. Invitando i governi a sperimentare “forme di regolarizzazione che minino il potere delle organizzazione criminali e salvaguardino la salute e la sicurezza dei cittadini”. Ma anche di quelle persone negli ultimi gradi del sistema criminale: “Coltivatori, corrieri e piccoli rivenditori: spesso vittime loro stessi della violenza e dell’intimidazione - oppure essi stessi tossicodipendenti”. Il rapporto presenta e analizza una serie di “casi critici” dall’Inghilterra agli Usa passando per la Svizzera e i Paesi bassi. Evidenziando quattro principi. Principio numero uno: le politiche antidroga devono essere “improntate a criteri scientificamente dimostrati” e devono avere come obiettivo “la riduzione del danno”. Principio numero due: le politiche antidroga devono essere “basate sul rispetto dei diritti umani” mettendo fine alla “marginalizzazione della gente che usa droghe” o è coinvolta nei livelli più bassi della “coltivazione, produzione e distribuzione”. Principio numero tre: la lotta alla droga va portata avanti a livello internazionale ma “prendendo in considerazione le diverse realtà politiche, sociali e culturali”. Non sorprende il coinvolgimento di tante personalità dell’America Latina: quell’enorme mercato che finora si è cercato di sradicare soltanto a colpi di criminalizzazione e che è invece - dice proprio l’ex presidente colombiano Gaviria “il risultato di politiche antidroga fallimentari”. Principio numero quattro: la polizia non basta e le politiche antidroga devono coinvolgere dalla famiglia alla scuola. “Le politiche fin qui seguite hanno soltanto riempito le nostre celle - dice Branson, l’inventore del marchio Virgin - costando milioni di dollari ai contribuenti, rafforzando il crimine e facendo migliaia di morti”. È una rivoluzione. Sostanziata dalle raccomandazioni contenute nei principi. Una su tutte: “Sostituire la criminalizzazione e la punizione della gente che usa droga con l’offerta di trattamento sanitario”. Come? “Incoraggiando la sperimentazione di modelli di legalizzazione” a partire dalla cannabis. L’appello è secco. Bisogna “rompere il tabù sul dibattito e sulla riforma” dicono i saggi. Che concludono con uno degli slogan che hanno portato alla Casa Bianca Barack Obama: “The time is now”. Il momento è questo. Non abbiamo già buttato cinquant’anni? Droghe: Staderini (Radicali); il proibizionismo non funziona e non conviene Radicali Italiani, 3 giugno 2011 Le conclusioni e le proposte che vengono dalla Global commissione on drug policy confermano, se ancora ce ne fosse bisogno, il fallimento delle politiche proibizioniste. Il proibizionismo non funziona e non conviene, provocando immensi costi civili, economici, e sociali. È una forma di repressione sociale di massa che garantisce fiumi di denaro a terrorismo e narcomafie. Solo in Italia sono oltre 20 i miliardi di euro assicurati alla criminalità dalla droga proibita, mentre quattro milioni sono i consumatori trasformati in criminali, 250 mila gli spacciatori e 28 mila i detenuti per violazione della legge sugli stupefacenti. Da anni, questi dati non possono essere conosciuti e discussi dall’opinione pubblica. Non dico a noi Radicali, ma almeno agli ex Capi di Stato e Segretari Onu della Commission qualche media italiano vorrà dare la parola?