LETTERA
ENCICLICA Venerati Fratelli, carissimi Figli e
Figlie, INTRODUZIONE 1. La Chiesa professa la sua fede nello
Spirito Santo come in colui «che è Signore e dà la vita». Così essa professa
nel Simbolo di Fede, detto niceno-costantinopolitano dal nome dei due Concili
-di Nicea (a. 325) e di Costantinopoli (a. 381) -, nei quali fu formulato o
promulgato. Ivi si aggiunge anche che lo Spirito Santo «ha parlato per mezzo
dei profeti». Sono parole che la Chiesa riceve dalla fonte stessa della sua
fede, Gesù Cristo. Difatti, secondo il Vangelo di Giovanni, lo Spirito Santo
è donato a noi con la nuova vita, come annuncia e promette Gesù il grande
giorno della festa dei Tabernacoli: «Chi ha sete venga a me, e beva chi crede
in me. Come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo
seno».E l'evangelista spiega: «Questo egli disse riferendosi allo Spirito,
che avrebbero ricevuto i credenti in lui». È la stessa similitudine
dell'acqua usata da Gesù nel colloquio con la Samaritana, quando parla della
«sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna» e nel colloquio con Nicodemo,
quando annuncia la necessità di una nuova nascita «dall'acqua e dallo
Spirito» per «entrare nel Regno di Dio». La Chiesa, pertanto, istruita dalla
parola di Cristo, attingendo all'esperienza della Pentecoste ed alla propria
storia apostolica, proclama sin dall'inizio la sua fede nello Spirito Santo
come in colui che dà la vita, colui nel quale l'imperscrutabile Dio uno e
trino si comunica agli uomini costituendo in essi la sorgente della vita
eterna. 2. Questa fede, professata
ininterrottamente dalla Chiesa, deve essere sempre ravvivata ed approfondita
nella coscienza del Popolo di Dio. Nell'ultimo secolo ciò è avvenuto più
volte: da Leone XIII, che pubblicò l'Epistola Enciclica Divinum illud munus
(a. 1897), interamente dedicata allo Spirito Santo, a Pio XII, che nella
Lettera Enciclica Mystici Corporis (a. 1943) si richiamò allo Spirito Santo
come a principio vitale della Chiesa, nella quale opera unitamente al capo
del Corpo Mistico, Cristo; al Concilio Ecumenico Vaticano II, che ha fatto
sentire il bisogno di una rinnovata attenzione alla dottrina sullo Spirito
Santo, come sottolineava Paolo VI «Alla cristologia e specialmente
all'ecclesiologia del Concilio deve succedere uno studio nuovo ed un culto
nuovo sullo Spirito Santo, proprio come complemento immancabile
all'insegnamento conciliare». Nella nostra epoca, dunque, siamo nuovamente
chiamati dalla sempre antica e sempre nuova fede della Chiesa ad avvicinarci
allo Spirito Santo come a colui che dà la vita. Ci viene qui in aiuto e ci è
di sprone anche la comune eredità con le Chiese orientali le quali hanno
gelosamente custodito le straordinarie ricchezze dell'insegnamento dei Padri
intorno allo Spirito Santo. Anche per questo possiamo dire che uno dei più
importanti eventi ecclesiali degli ultimi anni è stato il XVI centenario del
I Concilio di Costantinopoli, celebrato contemporaneamente a Costantinopoli
ed a Roma nella solennità della Pentecoste del 1981. Lo Spirito Santo è
meglio apparso allora, grazie alla meditazione sul mistero della Chiesa, come
colui che indica le vie che portano all'unione dei cristiani, anzi come la
fonte suprema di questa unità, che proviene da Dio stesso ed alla quale san
Paolo ha dato un'espressione particolare con le parole con cui non di rado
inizia la liturgia eucaristica: «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo,
l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia con tutti voi».
Da questa esortazione hanno preso, in un certo senso avvio e ispirazione le
precedenti Encicliche Redemptor homonis e Dives in misericordia, le quali
celebrano l'evento della nostra salvezza compiutosi nel Figlio, mandato dal
Padre nel mondo, «perché il mondo si salvi per mezzo di lui» e «ogni lingua
confessi che Gesù Cristo è il Signore a gloria di Dio Padre». Da questa
stessa esortazione nasce ora la presente Enciclica sullo Spirito Santo, che
procede dal Padre e dal Figlio e con il Padre e il Figlio è adorato e
glorificato: Persona divina, egli è al cuore stesso della fede cristiana ed è
la sorgente e la forza dinamica del rinnovamento della Chiesa. Essa è stata
attinta dal profondo dell'eredità del Concilio. I testi conciliari, infatti,
grazie al loro insegnamento sulla Chiesa in sé e sulla Chiesa nel mondo, ci
stimolano a penetrare sempre più nel mistero trinitario di Dio stesso, seguendo
l'itinerario evangelico, patristico e liturgico: al Padre - per Cristo -
nello Spirito Santo. In tal modo la Chiesa risponde anche a certe istanze
profonde, che ritiene di leggere nel cuore degli uomini d'oggi: una nuova
scoperta di Dio nella sua trascendente realtà di Spirito infinito, come lo
presenta Gesù alla Samaritana; il bisogno di adorarlo «in spirito e verità»
la speranza di trovare in lui il segreto dell'amore e la forza di una «nuova
creazione» sì, proprio colui che dà la vita. Ad una tale missione di
annunciare lo Spirito la Chiesa si sente chiamata, mentre insieme con la
famiglia umana si avvicina al termine del secondo Millennio dopo Cristo.
Sullo sfondo di un cielo e di una terra che «passano», essa sa bene che
acquistano una particolare eloquenza le «parole che non passeranno». Sono le
parole di Cristo sullo Spirito Santo, sorgente inesauribile dell'«acqua che
zampilla per la vita eterna», quale verità e grazia salvatrice. Su queste
parole essa vuol riflettere, a queste parole vuol richiamare i credenti e
tutti gli uomini, mentre si prepara a celebrare - come si dirà più avanti -
il grande Giubileo che segnerà il passaggio dal secondo al terzo Millennio
cristiano. Naturalmente, le considerazioni che seguono non intendono
esplorare compiutamente la ricchissima dottrina sullo Spirito Santo, né
privilegiare una qualche soluzione di questioni ancora aperte. Esse hanno lo
scopo precipuo di sviluppare nella Chiesa la coscienza che «è spinta dallo
Spirito Santo a cooperare, perché sia portato a compimento il disegno di Dio,
il quale ha costituito Cristo principio di salvezza per il mondo intero». PARTE
I LO
SPIRITO DEL PADRE E DEL FIGLIO, DATO ALLA CHIESA 1. Promessa e rivelazione di Gesù
turante la Cena pasquale 3. Quando era ormai imminente per Gesù
Cristo il tempo di lasciare questo mondo, egli annunciò agli apostoli «un
altro consolatore». L'evangelista Giovanni, che era presente, scrive che,
durante la Cena pasquale precedente il giorno della sua passione e morte,
Gesù si rivolse a loro con queste parole: «Qualunque cosa chiederete nel nome
mio, io la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio... Io pregherò il
Padre, ed egli vi darà un altro consolatore, perché rimanga con voi sempre,
lo Spirito di verità». Proprio questo Spirito di verità, Gesù chiama
Paraclito - e parákletos vuol dire «consolatore», e anche «intercessore», o
«avvocato». E dice che è «un altro» consolatore, il secondo, perché egli
stesso, Gesù, è il primo consolatore, essendo il primo portatore e donatore
della Buona Novella. Lo Spirito Santo viene dopo di lui e grazie a lui, per
continuare nel mondo, mediante la Chiesa, l'opera della Buona Novella di
salvezza. Di questa continuazione della sua opera da parte dello Spirito
Santo Gesù parla più di una volta durante lo stesso discorso di addio,
preparando gli apostoli, riuniti nel Cenacolo, alla sua dipartita, cioè alla
sua passione e morte in Croce. Le parole, alle quali faremo qui riferimento,
si trovano nel Vangelo di Giovanni, Ognuna di esse aggiunge un certo
contenuto nuovo a quell'annuncio e a quella promessa. Al tempo stesso, esse
sono intrecciate intimamente tra di loro non solo dalla prospettiva dei
medesimi eventi, ma anche dalla prospettiva del mistero del Padre, del Figlio
e dello Spirito Santo, che forse in nessun passo della Sacra Scrittura trova
un'espressione così rilevata come qui. 4. Poco dopo l'annuncio surriferito Gesù
aggiunge: «Ma il consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio
nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto».
Lo Spirito Santo sarà il consolatore degli apostoli e della Chiesa, sempre
presente in mezzo a loro - anche se invisibile - come maestro della medesima
Buona Novella che Cristo annunciò. Quell'«insegnerà» e «ricorderà» significa
non solo che egli, nel modo a lui proprio, continuerà ad ispirare la
divulgazione del Vangelo di salvezza, ma anche che aiuterà a comprendere il
giusto significato del contenuto del messaggio di Cristo; che ne assicurerà
la continuità ed identità di comprensione in mezzo alle mutevoli condizioni e
circostanze. Lo Spirito Santo, dunque, farà sì che nella Chiesa perduri
sempre la stessa verità, che gli apostoli hanno udito dal loro Maestro. 5. Nel trasmettere la Buona Novella, gli
apostoli saranno associati in modo speciale allo Spirito Santo. Ecco come
continua a parlare Gesù: «Quando verrà il consolatore, che io vi manderò dal
Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà
testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con
me fin dal principio». Gli apostoli sono stati i testimoni diretti, oculari.
Essi «hanno udito» e «hanno veduto con i propri occhi», «hanno guardato» e
perfino «toccato con le proprie mani» Cristo, come si esprime in un altro
passo lo stesso evangelista Giovanni. Questa loro umana, oculare e «storica»
testimonianza su Cristo si collega alla testimonianza dello Spirito Santo:
«Egli mi renderà testimonianza». Nella testimonianza dello Spirito di verità
l'umana testimonianza degli apostoli troverà il supremo sostegno. E in
seguito vi troverà anche l'interiore fondamento della sua continuazione tra
le generazioni dei discepoli e dei confessori di Cristo, che si susseguiranno
nei secoli. Se la suprema e più completa rivelazione di Dio all'umanità è
Gesù Cristo stesso, la testimonianza dello Spirito ne ispira, garantisce e
convalida la fedele trasmissione nella predicazione e negli scritti
apostolici, mentre la testimonianza degli apostoli ne assicura l'espressione
umana nella Chiesa e nella storia dell'umanità. 6. Ciò si rileva anche dalla stretta
correlazione di contenuto e di intenzione con l'annuncio e la promessa appena
menzionata, che si trova nelle parole successive del testo di Giovanni:
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di
portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà
alla verità tutta intera; perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che
avrà udito e vi annuncerà le cose future». Nelle precedenti parole Gesù presenta
il consolatore, lo Spirito di verità, come colui che «insegnerà» e
«ricorderà», come colui che gli arenderà testimonianza»; ora dice: «Egli vi
guiderà alla verità tutta intera». Questo «guidare alla verità tutta intera»,
in riferimento a ciò di cui gli apostoli «per il momento non sono capaci di
portare il peso», è in necessario collegamento con lo spogliamento di Cristo
per mezzo della passione e morte di Croce, che allora, quando pronunciava
queste parole, era ormai imminente. In seguito, tuttavia, diventa chiaro che
quel «guidare alla verità tutta intera» si ricollega, oltre che allo
scandalum Crucis, anche a tutto ciò che Cristo «fece ed insegnò». Infatti, il
mysterium Christi nella sua globalità esige la fede, poiché è questa che
introduce opportunamente l'uomo nella realtà del mistero rivelato. Il
«guidare alla verità tutta intera» si realizza, dunque, nella fede e mediante
la fede: il che è opera dello Spirito di verità ed è frutto della sua azione
nell'uomo. Lo Spirito Santo deve essere in questo la suprema guida dell'uomo,
la luce dello spirito umano. Ciò vale per gli apostoli, testimoni oculari,
che devono ormai portare a tutti gli uomini l'annuncio di ciò che Cristo
«fece ed insegnò» e, specialmente, della sua Croce e della sua Risurrezione. In
una prospettiva più lontana ciò vale anche per tutte le generazioni dei
discepoli e dei confessori del Maestro, poiché dovranno accettare con fede e
confessare con franchezza il mistero di Dio operante nella storia dell'uomo,
il mistero rivelato che di tale storia spiega il senso definitivo. 7. Tra lo Spirito Santo e Cristo sussiste,
dunque, nell'economia della salvezza, un intimo legame, per il quale lo
Spirito opera nella storia dell'uomo come «un altro consolatore», assicurando
in maniera duratura la trasmissione e l'irradiazione della Buona Novella,
rivelata da Gesù di Nazareth. Perciò, nello Spirito Santo Paraclito, che nel
mistero e nell'azione della Chiesa continua incessantemente la presenza
storica del Redentore sulla terra e la sua opera salvifica, risplende la
gloria di Cristo, come attestano le successive parole di Giovanni: «Egli
(cioè lo Spirito) mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annuncerà».
Con queste parole viene ancora una volta confermato tutto ciò che dicevano
gli enunciati precedenti: «Insegnerà..., ricorderà..., renderà
testimonianza». La suprema e completa autorivelazione di Dio, compiutasi in
Cristo, testimoniata dalla predicazione degli apostoli, continua a
manifestarsi nella Chiesa mediante la missione dell'invisibile consolatore,
lo Spirito di verità. Quanto intimamente questa missione sia collegata con la
missione di Cristo, quanto pienamente essa attinga a questa missione di
Cristo, consolidando e sviluppando nella storia i suoi frutti salvifici, è
espresso dal verbo «prendere»: «Prenderà del mio e ve l'annuncerà». Quasi a
spiegare la parola «prenderà», mettendo in chiara evidenza l'unità divina e
trinitaria della fonte, Gesù aggiunge: « Tutto quello che il Padre possiede è
mio; per questo, ho detto che prenderà del mio e ve l'annuncerà». Prendendo
del «mio», per ciò stesso egli attingerà a «quello che è del Padre». Alla
luce di quel «prenderà», dunque, si possono spiegare ancora le altre parole
sullo Spirito Santo, pronunciate da Gesù nel Cenacolo prima della Pasqua, parole
significative: «È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado,
non verrà a voi il consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E
quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla
giustizia e al giudizio». Occorrerà ritornare ancora su queste parole con una
riflessione a parte. 2. Padre, Figlio e Spirito Santo 8. Caratteristica del testo giovanneo è
che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo vengono nominati chiaramente come
Persone, la prima distinta dalla seconda e dalla terza, e anche queste tra di
loro. Gesù parla dello Spirito consolatore, usando più volte il pronome
personale «egli» e, al tempo stesso, in tutto il discorso di addio, svela
quei legami che uniscono reciprocamente il Padre, il Figlio e il Paraclito.
Pertanto, «lo Spirito... procede dal Padre» e il Padre «dà» lo Spirito. Il
Padre «manda» lo Spirito nel nome del Figlio, lo Spirito «rende
testimonianza» al Figlio. Il Figlio chiede al Padre di mandare lo Spirito
consolatore, ma afferma e promette, altresì, in relazione alla sua
«dipartita» mediante la Croce: «Quando me ne sarò andato, ve lo manderò».
Dunque il Padre manda lo Spirito Santo nella potenza della sua paternità,
come ha mandato il Figlio. ma, al tempo stesso, lo manda nella potenza della
redenzione compiuta da Cristo - e in questo senso lo Spirito Santo viene
mandato anche dal Figlio: «Ve lo manderò». Bisogna qui notare che, se tutte
le altre promesse fatte nel Cenacolo annunciavano la venuta dello Spirito
Santo dopo la partenza di Cristo, quella contenuta nel testo di Giovanni 16,
7 s. include e sottolinea chiaramente anche il rapporto di interdipendenza,
che si direbbe causale tra la manifestazione dell'uno e dell'altro: «Quando
me ne sarò andato, ve lo manderò». Lo Spirito Santo verrà, in quanto Cristo
se ne andrà mediante la Croce: verrà non solo in seguito, ma a causa della
redenzione compiuta da Cristo, per volontà ed opera del Padre. 9. Così nel discorso pasquale di addio si
tocca - possiamo dire - l'apice della rivelazione trinitaria. Al tempo
stesso, ci troviamo sulla soglia di eventi definitivi e di parole supreme,
che alla fine si tradurranno nel grande mandato missionario, rivolto agli
apostoli e, per loro mezzo, alla Chiesa: «Andate, dunque, e ammaestrate tutte
le nazioni», mandato che contiene, in certo senso, la formula trinitaria del
battesimo: «Battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo». La formula rispecchia l'intimo mistero di Dio, della vita divina che
è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, divina unità della Trinità. Si può
leggere il discorso di addio come una speciale preparazione a questa formula
trinitaria, nella quale si esprime la potenza vivificante del Sacramento, che
opera la partecipazione alla vita di Dio uno e trino, perché dà la grazia
santificante come dono soprannaturale all'uomo. Per mezzo di essa questi
viene chiamato e reso «capace» di partecipare all'imperscrutabile vita di
Dio. 10. Nella sua vita intima Dio «è amore»,
amore essenziale, comune alle tre divine Persone: amore personale è lo
Spirito Santo, come Spirito del Padre e del Figlio. Per questo, egli «scruta
le profondità di Dio», come amore-dono increato. Si può dire che nello
Spirito Santo la vita intima del Dio uno e trino si fa tutta dono, scambio di
reciproco amore tra le divine Persone, e che per lo Spirito Santo Dio
«esiste» a modo di dono. È lo Spirito Santo l'espressione personale di un
tale donarsi, di questo essere-amore. È Persona-amore. È Persona-dono.
Abbiamo qui una ricchezza insondabile della realtà e un approfondimento
ineffabile del concetto di persona in Dio, che solo la Rivelazione ci fa
conoscere. Al tempo stesso, lo Spirito Santo, in quanto consostanziale al
Padre e al Figlio nella divinità, è amore e dono (increato), da cui deriva
come da fonte (fons vivus) ogni elargizione nei riguardi delle creature (dono
creato): la donazione dell'esistenza a tutte le cose mediante la creazione.
la donazione della grazia agli uomini mediante l'intera economia della
salvezza. Come scrive l'apostolo Paolo: «L'amore di Dio è stato riversato nei
nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato». 3. Il donarsi salvifico di Dio nello
Spirito Santo 11. Il discorso di addio di Cristo durante
la Cena pasquale è in particolare riferimento a questo «donare» e «donarsi»
dello Spirito Santo. Nel Vangelo di Giovanni si svela quasi la «logica» più
profonda del mistero salvifico contenuto nell'eterno disegno di Dio, come
espansione dell'ineffabile comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo. È la «logica» divina, che dal mistero della Trinità porta al mistero
della redenzione del mondo in Gesù Cristo. La redenzione compiuta dal Figlio
nelle dimensioni della storia terrena dell'uomo - compiuta nella sua
«dipartita» per mezzo della Croce e della Risurrezione - viene, al tempo
stesso, nella sua intera potenza salvifica, trasmessa allo Spirito Santo
colui che «prenderà del mio». Le parole del testo giovanneo indicano che,
secondo il disegno divino, la «dipartita» di Cristo è condizione
indispensabile dell'«invio» e della venuta dello Spirito Santo, ma dicono
anche che allora comincia la nuova comunicazione salvifica di Dio nello
Spirito Santo. 12. È un nuovo inizio in rapporto al
primo, originario inizio del donarsi salvifico di Dio, che si identifica con
lo stesso mistero della creazione. Ecco che cosa leggiamo già nelle prime
parole del Libro della Genesi: «In principio Dio creò il cielo e la terra...,
e lo spirito di Dio (ruah Elohim) aleggiava sulle acque». Questo concetto
biblico di creazione comporta non solo la chiamata all'esistenza dell'essere
stesso del cosmo, cioè il donare l'esistenza, ma anche la presenza dello
Spirito di Dio nella creazione, cioè l'inizio del comunicarsi salvifico di
Dio alle cose che crea. Il che vale prima di tutto per l'uomo il quale è
stato creato ad immagine e somiglianza di Dio: «Facciamo l'uomo a nostra
immagine, a nostra somiglianza». «Facciamo»: si può ritenere che il plurale,
che il Creatore qui usa parlando di sé, suggerisca già in qualche modo il
mistero trinitario, la presenza della Trinità nell'opera della creazione
dell'uomo? Il lettore cristiano che conosce già la rivelazione di questo
mistero, può scoprirne il riflesso anche in quelle parole. In ogni caso, il
contesto del Libro della Genesi ci permette di vedere nella creazione
dell'uomo il primo inizio del donarsi salvifico di Dio a misura
dell'«immagine e somiglianza» di sé, da Lui concessa all'uomo. 13. Sembra, dunque che anche le parole
pronunciate da Gesù nel discorso di addio debbano essere rilette in riferimento
a quell'«inizio» così lontano, ma fondamentale, che conosciamo dalla Genesi
«Se non me ne vado non verrà a voi il consolatore; ma, quando me ne sarò
andato, ve lo manderò». Descrivendo la sua «dipartita» come condizione della
«venuta» del consolatore, Cristo collega il nuovo inizio della comunicazione
salvifica di Dio nello Spirito Santo al mistero della redenzione. Questo è un
nuovo inizio, prima di tutto perché tra il primo inizio e tutta la storia
dell'uomo - cominciando dalla caduta originale - si è frapposto il peccato,
che è contraddizione alla presenza dello Spirito di Dio nella creazione ed è,
soprattutto, contraddizione alla comunicazione salifica di Dio all'uomo.
Scrive san Paolo che, proprio a causa del peccato, «la creazione... è stata
sottomessa alla caducità..., geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del
parto» e «attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio». 14. Perciò, Gesù Cristo dice nel Cenacolo:
«È bene per voi che io me ne vada». «Quando me ne sarò andato, ve lo manderò».
La «dipartita» di Cristo mediante la Croce ha la potenza della redenzione - e
ciò significa anche una nuova presenza dello Spirito di Dio nella creazione:
il nuovo inizio del comunicarsi di Dio all'uomo nello Spirito Santo. «E che
voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo
Spirito del suo Figlio, che grida: Abbà, Padre!»: scrive l'apostolo Paolo
nella Lettera ai Galati. Lo Spirito Santo è lo Spirito del Padre, come
testimoniano le parole del discorso di addio nel Cenacolo. Egli è, al tempo
stesso, lo Spirito del Figlio: è lo Spirito di Gesù Cristo, come
testimonieranno gli apostoli e, in particolare, Paolo di Tarso. Nell'invio di
questo Spirito «nei nostri cuori» inizia a compiersi ciò che «la creazione
stessa attende con impazienza», come leggiamo nella Lettera ai Romani. Lo
Spirito Santo viene a prezzo della «dipartita» di Cristo. Se tale «dipartita»
ha causato la tristezza degli apostoli, e questa doveva raggiungere il suo
culmine nella passione e nella morte del Venerdì Santo, a sua volta «questa
afflizione si cambierà in gioia». Cristo, infatti, inserirà nella sua
«dipartita» redentrice la gloria della risurrezione e dell'ascensione al
Padre. Pertanto, la tristezza, attraverso la quale traspare la gioia, è la
parte che tocca agli apostoli nel quadro della «dipartita» del loro Maestro,
una dipartita «benefica», perché grazie ad essa un altro «consolatore»
sarebbe venuto. A prezzo della Croce, operatrice della redenzione, nella
potenza di tutto il mistero pasquale di Gesù Cristo, lo Spirito Santo viene
per rimanere sin dal giorno della Pentecoste con gli apostoli, per rimanere
con la Chiesa e nella Chiesa e, mediante essa, nel mondo. In questo modo si
realizza definitivamente quel nuovo inizio della comunicazione del Dio uno e
trino nello Spirito Santo per opera di Gesù Cristo, Redentore dell'uomo e del
mondo. 4. Il Messia, unto con lo Spirito
Santo 15. Si realizza anche fino in fondo la
missione del Messia, cioè di colui che ha ricevuto la pienezza dello Spirito
Santo per il Popolo eletto di Dio e per l'umanità intera. Letteralmente
«Messia» significa «Cristo», cioè «unto» e, nella storia della salvezza,
significa «unto con lo Spirito Santo». Tale era la tradizione profetica
dell'Antico Testamento. Seguendola, Simon Pietro dirà nella casa di Cornelio:
«Voi conoscete ciò che è accaduto in tutta la Giudea... dopo il battesimo
predicato da Giovanni; cioè, come Dio consacrò in Spirito Santo e potenza
Gesù di Nazareth». Da queste parole di Pietro e da molte altre simili occorre
risalire prima di tutto alla profezia di Isaia, chiamata a volte «il quinto
Vangelo» oppure «il Vangelo dell'Antico Testamento». Alludendo alla venuta di
un personaggio misterioso, che la rivelazione neotestamentaria identificherà
con Gesù, Isaia ne collega la persona e la missione con una speciale azione
dello Spirito di Dio Spirito del Signore. Ecco le parole del Profeta: «Un germoglio spunterà dal tronco di
Iesse, Questo testo è importante per l'intera
pneumatologia dell'Antico Testamento, perché costituisce quasi un ponte tra
l'antico concetto biblico dello «spirito», inteso prima di tutto come «soffio
carismatico», e lo «Spirito» come persona e come dono, dono per la persona.
Il Messia della stirpe di Davide («dal tronco di Iesse») è proprio quella
persona, sulla quale «si poserà» lo Spirito del Signore. È ovvio che in
questo caso non si può ancora parlare della rivelazione del Paraclito:
tuttavia, con quell'accenno velato alla figura del futuro Messia si apre, per
cosi dire, la via sulla quale vien preparata la piena rivelazione dello
Spirito Santo nell'unità del mistero trinitario, che si manifesterà infine
nella Nuova Alleanza. 16. Proprio il Messia stesso è questa via.
Nell'Antica Alleanza l'unzione era divenuta il simbolo esterno del dono dello
Spirito. Il Messia, ben più di ogni altro personaggio unto nell'Antica
Alleanza, è quell'unico grande Unto da Dio stesso. È l'Unto nel senso che
possiede la pienezza dello Spirito di Dio. Egli stesso sarà anche il
mediatore nel concedere questo Spirito all'intero Popolo. Ecco, infatti,
altre parole del Profeta: «Lo Spirito del Signore Dio è su di me, L'Unto è anche mandato «con lo Spirito del
Signore»: Secondo il Libro di Isaia l'Unto e
l'Inviato insieme con lo Spirito del Signore è anche l'eletto Servo del
Signore, sul quale si posa lo Spirito di Dio: «Ecco il mio servo che io sostengo, Si sa che il Servo del Signore è rivelato
nel Libro di Isaia come il vero uomo dei dolori: il Messia sofferente per i
peccati del mondo. Ed insieme egli è proprio colui la cui missione porterà
per l'intera umanità veri frutti di salvezza: «Egli porterà il diritto alle nazioni...».
e diventerà «l'alleanza del popolo e luce delle nazioni...»; «perché porti la
mia salvezza fino all'estremità della terra». Poiché: «Il mio spirito, che è sopra di te, e le
parole, che ti ho messo in bocca, non si allontaneranno dalla tua bocca né dalla
bocca della tua discendenza né dalla bocca dei discendenti, dice il Signore,
ora e sempre». I testi profetici, qui riportati, devono
essere letti da noi alla luce del Vangelo - come, a sua volta, il Nuovo
Testamento acquista una particolare chiarificazione dalla mirabile luce
contenuta in questi testi vetero-testamentari. Il profeta presenta il Messia
come colui che viene nello Spirito Santo, come colui che possiede la pienezza
di questo Spirito in se e, al tempo stesso, per gli altri per Israele, per tutte
le nazioni, per tutta l'umanità. La pienezza dello Spirito di Dio viene
accompagnata da molteplici doni, i beni della salvezza, destinati in modo
particolare ai poveri e ai sofferenti, a tutti coloro che a questi doni
aprono i loro cuori - a volte mediante le dolorose esperienze della propria
esistenza, ma, prima di tutto, con quella disponibilità interiore che viene
dalla fede. Ciò intuiva il vecchio Simeone, «uomo giusto e pio», sul quale
«era lo Spirito Santo», al momento della presentazione di Gesù al Tempio,
quando scorgeva in lui la «salvezza preparata dinanzi a tutti i popoli» a
prezzo della grande sofferenza - la Croce -, che avrebbe dovuto abbracciare
insieme con sua Madre. Ciò intuiva ancor meglio la Vergine Maria, che «aveva
concepito di Spirito Santo», quando meditava in cuor suo sopra i «misteri»
del Messia, a cui era associata. 17. Occorre quindi sottolineare che
chiaramente lo «spirito del Signore», che «si posa» sul futuro Messia, è,
anzitutto, un dono di Dio per la persona di quel Servo del Signore. Ma costui
non è una persona isolata e a sé stante, perché opera per volontà del
Signore, in forza della sua decisione o scelta. Anche se alla luce dei testi
di Isaia l'operare salvifico del Messia, Servo del Signore, include l'azione
dello Spirito che si svolge mediante lui stesso, tuttavia nel contesto
veterotestamentario non è suggerita la distinzione dei soggetti, o delle
Persone divine, quali sussistono nel mistero trinitario e sono poi rivelate
nel Nuovo Testamento. Sia in Isaia sia in tutto l'Antico Testamento la
personalità dello Spirito Santo è completamente nascosta: nascosta nella
rivelazione dell'unico Dio, come anche nell'annuncio del futuro Messia. l8. Gesù Cristo si richiamerà a questo
annuncio, contenuto nelle parole di Isaia, all'inizio della sua attività
messianica. Ciò avverrà nella stessa Nazareth, nella quale aveva trascorso
trent'anni di vita nella casa di Giuseppe, il carpentiere, accanto a Maria,
sua Madre vergine. Quando ebbe occasione di prendere la parola nella Sinagoga,
aperto il Libro di Isaia, egli trovò il passo in cui era scritto: «Lo spirito
del Signore è sopra di me; per questo, mi ha consacrato con l'unzione» e,
dopo aver letto questo brano, disse ai presenti: «Oggi si è adempiuta questa
Scrittura, che voi avete udito». In questo modo confessò e proclarnò di esser
colui che «è stato unto» dal Padre, di essere il Messia, cioè colui nel quale
dimora lo Spirito Santo come dono di Dio stesso, colui che possiede la
pienezza di questo Spirito, colui che segna il «nuovo inizio» del dono che
Dio fa all'umanità nello Spirito. 5. Gesù di Nazareth, «elevato» nello
Spirito Santo 19. Anche se nella sua patria di Nazareth
Gesù non è accolto come Messia, tuttavia, all'inizio dell'attività pubblica
la sua missione messianica nello Spirito Santo viene rivelata al popolo da
Giovanni Battista. Questi, figlio di Zaccaria e di Elisabetta, annuncia
presso il Giordano la venuta del Messia ed amministra il battesimo di
penitenza. Egli dice: «Io vi battezzo con acqua, ma viene uno che è più forte
di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei
sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Giovanni Battista
annuncia il Messia-Cristo non solo come colui che «viene» nello Spirito
Santo, ma anche come colui che «porta» lo Spirito Santo, come rivelerà meglio
Gesù nel Cenacolo. Giovanni è qui l'eco fedele delle parole di Isaia, le
quali nell'antico Profeta riguardavano il futuro, mentre nel suo proprio
insegnamento lungo le rive del Giordano costituiscono l'introduzione
immediata alla nuova realtà messianica. Giovanni è non solo un profeta, ma
anche un messaggero: è il precursore di Cristo. Ciò che egli annuncia si
realizza davanti agli occhi di tutti. Gesù di Nazareth viene al Giordano per
ricevere anch'egli il battesimo di penitenza. Alla vista di colui che arriva,
Giovanni proclama: «Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato
del mondo». Ciò dice per ispirazione dello Spirito Santo, rendendo
testimonianza al compimento della profezia di Isaia. Al tempo stesso, egli
confessa la fede nella missione redentrice di Gesù di Nazareth. Sulle labbra
di Giovanni Battista «Agnello di Dio» è un'affermazione della verità intorno
al Redentore, non meno significativa di quella usata da Isaia: «Servo del
Signore». Così, con la testimonianza di Giovanni al Giordano, Gesù di
Nazareth, rifiutato dai propri concittadini, viene elevato agli occhi di
Israele come Messia, cioè «Unto» con lo Spirito Santo. E tale testimonianza
viene corroborata da un'altra testimonianza di ordine superiore, menzionata
dai tre Sinottici. Infatti, quando tutto il popolo fu battezzato e mentre
Gesù, ricevuto il battesimo, stava in preghiera, «il cielo si aprì e scese su
di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come una colomba» e, contemporaneamente,
«vi fu una voce dal cielo, che disse: Questi è il Figlio mio prediletto, nel
quale mi sono compiaciuto ». E una teofania trinitaria, che rende
testimonianza all'esaltazione di Cristo in occasione del battesimo al
Giordano. Essa non solo conferma la testimonianza di Giovanni Battista, ma
svela una dimensione ancora più profonda della verità su Gesù di Nazareth
come Messia. Ecco: il Messia è il Figlio prediletto del Padre. La sua solenne
esaltazione non si riduce alla missione messianica del «Servo del Signore».
Alla luce della teofania del Giordano, questa esaltazione raggiunge il
mistero della stessa persona del Messia. Egli è esaltato, perché è il Figlio
del divino compiacimento. La voce dall'alto dice: «Il Figlio mio». 20. La teofania del Giordano rischiara
solo fugacemente il mistero di Gesù di Nazareth, la cui intera attività si
svolgerà sotto la presenza attiva dello Spirito Santo. Tale mistero sarebbe
stato da Gesù stesso svelato e confermato gradualmente mediante tutto ciò che
«fece e insegnò». Sulla linea di questo insegnamento e dei segni messianici
che Gesù compì prima di giungere al discorso di addio nel Cenacolo, troviamo
eventi e parole che costituiscono momenti particolarmente importanti di
questa progressiva rivelazione. Così l'evangelista Luca, che ha già
presentato Gesù «pieno di Spirito Santo» e «condotto dallo Spirito nel
deserto», ci fa sapere che, dopo il ritorno dei settantadue discepoli dalla
missione affidata loro dal Maestro, mentre pieni di gioia gli raccontavano i
frutti del loro lavoro, «in quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito
Santo e disse: - Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra,
che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai
piccoli. Sì, Padre, perché così ti è piaciuto». Gesù esulta per la paternità
divina; esulta, perché gli è dato di rivelare questa paternità; esulta,
infine, quasi per una speciale irradiazione di questa paternità divina sui
«piccoli». E l'evangelista qualifica tutto questo come «esultanza nello Spirito
Santo». Una tale esultanza, in un certo senso, sollecita Gesù a dire ancora
di più. Ascoltiamo: «Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio, e nessuno
sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e
colui al quale il Figlio lo voglia rivelare». 21. Ciò che durante la teofania del
Giordano è venuto, per così dire, «dall'esterno», dall'Alto, qui proviene
«dall'interno», cioè dal profondo di ciò che è Gesù. È un'altra rivelazione
del Padre e del Figlio, uniti nello Spirito Santo, Gesù parla solo della
paternità di Dio e della propria figliolanza - non parla direttamente dello
Spirito che è amore e, per questo, unione del Padre e del Figlio. Nondimeno,
quello che dice del Padre e di sé-Figlio scaturisce da quella pienezza dello
Spirito, che è in lui e che si riversa nel suo cuore, pervade il suo stesso
«io» ispira e vivifica dal profondo la sua azione. Di qui quell'«esultare
nello Spirito Santo». L'unione di Cristo con lo Spirito Santo, di cui egli ha
perfetta coscienza, si esprime in quell'«esultanza», che in certo modo rende
percepibile la sua arcana sorgente. Si ha così una speciale manifestazione ed
esaltazione, che è propria del Figlio dell'uomo, di Cristo-Messia la cui
umanità appartiene alla Persona del Figlio di Dio, sostanzialmente uno con lo
Spirito Santo nella divinità. Nella magnifica confessione della paternità di
Dio Gesù di Nazareth manifesta anche se stesso, il suo «io» divino: egli,
infatti, è il Figlio «della stessa sostanza» e, perciò, «nessuno sa chi è il
Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio», quel Figlio che
«per noi uomini e per la nostra salvezza» si è fatto uomo per opera dello
Spirito Santo ed è nato da una vergine, il cui nome era Maria. 6. Cristo risorto dice: «Ricevete lo
Spirito Santo» 22. Grazie alla sua narrazione Luca ci
conduce alla massima vicinanza con la verità contenuta nel discorso del
Cenacolo. Gesù di Nazareth, «elevato» nello Spirito Santo, durante questo
discorso-colloquio, si manifesta come colui che «porta» lo Spirito, come
colui che lo deve portare e «dare» agli apostoli e alla Chiesa a prezzo della
sua «dipartita» mediante la Croce. Col verbo «portare» qui si vuol dire,
prima di tutto «rivelare». Nell'Antico Testamento, fin dal Libro della Genesi
lo spirito di Dio è stato in qualche modo fatto conoscere dapprima come
«soffio» di Dio che dà la vita, come «soffio vitale» soprannaturale. Nel
Libro di Isaia è presentato come un «dono» per la persona del Messia come
colui che su di lui si posa, per guidare dall'interno tutta la sua attività
salvifica. Presso il Giordano l'annuncio di Isaia si è rivestito di una forma
concreta: Gesù di Nazareth è colui che viene nello Spirito Santo e lo porta
come dono proprio della sua stessa persona, per espanderlo attraverso la sua
umanità: «Egli vi battezzerà in Spirito Santo». Nel Vangelo di Luca è
confermata e arricchita questa rivelazione dello Spirito Santo, come intima
sorgente della vita e dell'azione messianica di Gesù Cristo. Alla luce di ciò
che Gesù dice nel discorso del Cenacolo, lo Spirito Santo viene rivelato in
un modo nuovo e più pieno. Egli è non solo il dono alla persona (alla persona
del Messia), ma è una Persona-dono. Gesù ne annuncia la venuta come quella di
«un altro consolatore», il quale, essendo lo Spirito di verità, condurrà gli
apostoli e la Chiesa «alla verità tutta intera». Ciò si compirà in ragione
della speciale comunione tra lo Spirito Santo e Cristo: «Prenderà del mio e
ve l'annuncerà». Questa comunione ha la sua fonte originaria nel Padre «Tutto
quello che il Padre possiede è mio; per questo, ho detto che prenderà del mio
e ve l'annuncerà». Provenendo dal Padre, lo Spirito Santo è mandato dal
Padre. Lo Spirito Santo prima è stato mandato come dono per il Figlio che si
è fatto uomo, per adempiere gli annunci messianici. Dopo la «dipartita» di
Cristo-Figlio, secondo il testo giovanneo, lo Spirito Santo « verrà»
direttamente - è la sua nuova missione - a completare l'opera stessa del
Figlio. Così sarà lui a portare a compimento la nuova èra della storia della
salvezza. 23. Ci troviamo sulla soglia degli eventi
pasquali. La nuova, definitiva rivelazione dello Spirito Santo come Persona
che è il dono, si compie proprio in questo momento. Gli eventi pasquali - la
passione, la morte e la risurrezione di Cristo - sono anche il tempo della
nuova venuta dello Spirito Santo, come Paraclito e Spirito di verità. Sono il
tempo del «nuovo inizio» della comunicazione del Dio uno e trino all'umanità
nello Spirito Santo, per opera di Cristo Redentore. Questo nuovo inizio è la
redenzione del mondo: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo
Figlio unigenito». Già nel «dare» il Figlio, nel dono del
Figlio si esprime la più profonda essenza di Dio, il quale, come amore, è
fonte inesauribile dell'elargizione. Nel dono fatto dal Figlio si completano
la rivelazione e l'elargizione dell'eterno amore: lo Spirito Santo, che nelle
imperscrutabili profondità della divinità è una Persona-dono, per opera del
Figlio, cioè mediante il mistero pasquale, in modo nuovo viene dato agli apostoli
e alla Chiesa e, per mezzo di essi, all'umanità e al mondo intero. 24. L'espressione definitiva di questo
mistero si ha nel giorno della Risurrezione. In questo giorno Gesù di
Nazareth, «nato dalla stirpe di Davide secondo la carne» - come scrive l'apostolo
Paolo - viene «costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di
santificazione mediante la risurrezione dai morti». Si può dire così che
l'«elevazione» messianica di Cristo nello Spirito Santo raggiunga il suo
zenit nella Risurrezione, nella quale egli si rivela anche come Figlio di
Dio, «pieno di potenza». E questa potenza, le cui fonti zampillano
nell'imperscrutabile comunione trinitaria, si manifesta, prima di tutto, nel
fatto che il Cristo risorto, se da una parte adempie la promessa di Dio, già
espressa per bocca del Profeta: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di
voi uno spirito nuovo, ...il mio spirito», dall'altra compie la sua stessa
promessa, fatta agli apostoli con le parole: «Quando me ne sarò andato, ve lo
manderò». È lui: lo Spirito di verità, il Paraclito, mandato da Cristo
risorto per trasformarci nella sua stessa immagine di risorto. Ecco: «La sera
di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le
porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne
Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi!". Detto
questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il
Signore. Gesù disse loro di nuovo: "Pace a voi! Come il Padre ha mandato
me, anch'io mando voi". Dopo aver detto questo, alitò su di loro e
disse: "Ricevete lo Spirito Santo"». Tutti i particolari di questo
testo-chiave del Vangelo di Giovanni hanno una loro eloquenza, specialmente
se li rileggiamo in riferimento alle parole pronunciate nello stesso Cenacolo
all'inizio degli eventi pasquali. Ormai questi eventi - il triduum sacrum di
Gesù, che il Padre ha consacrato con l'unzione e mandato nel mondo -
raggiungono il loro compimento. Il Cristo, che «aveva reso lo spirito» sulla
Croce», come Figlio dell'uomo e Agnello di Dio, una volta risorto, va dagli
apostoli per «alitare su di loro» con quella potenza, di cui parla la Lettera
ai Romani. La venuta del Signore riempie di gioia i presenti: «La loro
afflizione si cambia in gioia», come già aveva egli stesso promesso prima
della sua passione. E soprattutto si avvera il principale annuncio del
discorso di addio: il Cristo risorto, quasi avviando una nuova creazione,
«porta» agli apostoli lo Spirito Santo. Lo porta a prezzo della sua
«dipartita»: dà loro questo Spirito quasi attraverso le ferite della sua
crocifissione: «Mostrò loro le mani e il costato». È in forza di questa
crocifissione che egli dice loro: «Ricevete lo Spirito Santo». Si stabilisce
così uno stretto legame tra l'invio del Figlio e quello dello Spirito Santo.
Non c'è invio dello Spirito Santo (dopo il peccato originale) senza la Croce
e la Risurrezione: «Se non me ne vado, non verrà a voi il consolatore». Si
stabilisce anche uno stretto legame tra la missione dello Spirito Santo e
quella del Figlio nella redenzione. La missione del Figlio, in un certo
senso, trova il suo «compimento» nella redenzione. La missione dello Spirito
Santo «attinge» alla redenzione: «Egli prenderà del mio e ve l'annuncerà». La
redenzione viene totalmente operata dal Figlio come dall'Unto, che è venuto
ed ha agito nella potenza dello Spirito Santo, offrendosi alla fine in
sacrificio sul legno della Croce. E questa redenzione viene, al tempo stesso,
operata costantemente nei cuori e nelle coscienze umane - nella storia del
mondo - dallo Spirito Santo, che è l'«altro consolatore». 7. Lo Spirito Santo e il tempo della
Chiesa 25. «Compiuta l'opera che il Padre aveva
affidato al Figlio sulla terra (Gv 17,4), il giorno di Pentecoste fu inviato
lo Spirito Santo per santificare di continuo la Chiesa, e i credenti avessero
così, mediante Cristo, accesso al Padre in un solo Spirito». È questi lo
Spirito di vita, la sorgente dell'acqua zampillante fino alla vita eterna (Gv
4,14); (Gv 7,38), colui per mezzo del quale il Padre ridona la vita
agli uomini, morti per il peccato, finché un giorno risusciterà in Cristo i
loro corpi mortali (Rm 8,10)». In questo modo il Concilio Vaticano II
parla della nascita della Chiesa nel giorno della Pentecoste. Questo evento
costituisce la definitiva manifestazione di ciò che si era compiuto nello
stesso Cenacolo già la domenica di Pasqua. Il Cristo risorto venne e «portò»
agli apostoli lo Spirito Santo. Lo diede loro dicendo: «Ricevete lo Spirito
Santo». Ciò che era avvenuto allora all'interno del Cenacolo, «a porte
chiuse, più tardi, il giorno della Pentecoste si manifesta anche all'esterno,
davanti agli uomini. Si aprono le porte del Cenacolo, e gli apostoli si
dirigono verso gli abitanti e i pellegrini convenuti a Gerusalemme in
occasione della festa, per rendere testimonianza a Cristo nella potenza dello
Spirito Santo. In questo modo si adempie l'annuncio: «Egli mi renderà
testimonianza; e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con
me fin dal principio». Leggiamo in un altro documento del Vaticano II:
«Indubbiamente lo Spirito Santo operava nel mondo prima ancora che Cristo
fosse glorificato. Ma fu nel giorno della Pentecoste che egli discese sui
discepoli, per rimanere con loro in eterno, e la Chiesa apparve pubblicamente
di fronte alla moltitudine, ed ebbe inizio mediante la predicazione e la
diffusione del Vangelo in mezzo ai pagani». Il tempo della Chiesa ha avuto
inizio con la «venuta», cioè con la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli
riuniti nel Cenacolo di Gerusalemme insieme con Maria, la Madre del Signore.
Il tempo della Chiesa ha avuto inizio nel momento in cui le promesse e gli
annunci, che così esplicitamente si riferivano al consolatore, allo Spirito
di verità, hanno cominciato ad avverarsi in tutta potenza ed evidenza sugli
apostoli, determinando così la nascita della Chiesa. Di questo parlano
diffusamente e in molti passi gli Atti degli Apostoli dai quali risulta che,
secondo la coscienza della prima comunità, di cui Luca esprime le certezze,
lo Spirito Santo ha assunto la guida invisibile - ma in certo modo
«percepibile» - di coloro che, dopo la dipartita del Signore Gesù, sentivano
profondamente di essere rimasti orfani. Con la venuta dello Spirito essi si
sono sentiti idonei a compiere la missione loro affidata. Si sono sentiti
pieni di fortezza. Proprio questo ha operato in loro lo Spirito Santo, e
questo egli opera continuamente nella Chiesa mediante i loro successori. La
grazia dello Spirito Santo, infatti, che gli apostoli con l'imposizione delle
mani diedero ai loro collaboratori, continua ad essere trasmessa
nell'Ordinazione episcopale. I Vescovi poi col Sacramento dell'ordine rendono
partecipi di tale dono spirituale i sacri ministri e provvedono a che,
mediante il Sacramento della confermazione, ne siano corroborati tutti i
rinati dall'acqua e dallo Spirito. Così, in certo modo, si perpetua nella
Chiesa la grazia di Pentecoste. Come scrive il Concilio, «lo Spirito dimora
nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio (1Cor 3,16); (1Cor
6,19), e in essi prega e rende testimonianza della loro adozione a figli (Gal
4,6); (Rm 8,15). Egli introduce la Chiesa in tutta intera la verità (Gv
16,13), la unifica nella comunione e nel ministero, la edifica e dirige con i
diversi doni gerarchici e carismatici, la arricchisce dei suoi frutti (Ef
4,11); (1Cor 12,4); (Gal 5,22). Con la forza del Vangelo
mantiene la Chiesa continuamente giovane, costantamente la rinnova e la
conduce alla perfetta unione col suo Sposo». 26. I passi riportati dalla Costituzione
conciliare Lumen gentium ci dicono che, con la venuta dello Spirito Santo,
ebbe inizio il tempo della Chiesa. Essi ci dicono pure che questo tempo, il
tempo della Chiesa, perdura. Perdura attraverso i secoli e le generazioni Nel
nostro secolo, in cui l'umanità si è ormai avvicinata al termine del secondo
Millennio dopo Cristo, questo tempo della Chiesa si è espresso in modo
speciale mediante il Concilio Vaticano II, come Concilio del nostro secolo.
Si sa, infatti, che questo è stato in maniera speciale un Concilio
«ecclesiologico»: un concilio sul tema della Chiesa. Al tempo stesso,
l'insegnamento di questo Concilio è essenzialmente «pneumatologico»: permeato
della verità sullo Spirito Santo, come anima della Chiesa. Possiamo dire che
nel suo ricco magistero il Concilio Vaticano II contiene propriamente tutto
ciò «che lo Spirito dice alle Chiese» in ordine alla presente fase della
storia della salvezza. Seguendo la guida dello Spirito di verità e rendendo
testimonianza insieme con lui, il Concilio ha dato una speciale conferma
della presenza dello Spirito Santo consolatore. In certo senso, esso l'ha
reso nuovamente «presente» nella nostra difficile epoca. Alla luce di questa
convinzione si comprende meglio la grande importanza di tutte le iniziative
miranti alla realizzazione del Vaticano II, del suo magistero e del suo
indirizzo pastorale ed ecumenico. In questo senso vanno anche ben considerate
e valutate le successive Assemblee del Sinodo dei Vescovi che mirano a far sì
che i frutti della verità e dell'amore - i frutti autentici dello Spirito
Santo - diventino un bene duraturo del Popolo di Dio nel suo pellegrinare
terreno lungo il corso dei secoli. È indispensabile questo lavoro della
Chiesa, mirante alla verifica ed al consolidamento dei frutti salvifici dello
Spirito, elargiti nel Concilio. A questo scopo bisogna saperli attentamente
«discernere» da tutto ciò che, invece, può provenire soprattutto dal
«principe di questo mondo». Questo discernimento è tanto più necessario nella
realizzazione dell'opera del Concilio, in quanto questo si è aperto
largamente al mondo contemporaneo, come appare chiaramente dalle importanti
Costituzioni conciliari Gaudium et spes e Lumen gentium. Leggiamo nella
Costituzione pastorale: «La loro comunità (dei discepoli di Cristo)... è
composta di uomini, i quali, riuniti insieme in Cristo, sono guidati dallo
Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il Regno del Padre, e hanno
ricevuto un messaggio di salvezza da propagare a tutti. Perciò, essa si sente
realmente ed intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia».
«La Chiesa sa bene che soltanto Dio, al cui servizio è consacrata, dà
risposta ai più profondi desideri del cuore umano, che non può mai essere
pienamente saziato dai beni terreni». «Lo Spirito di Dio... con mirabile
provvidenza dirige il corso dei tempi e rinnova la faccia della terra». PARTE
II LO
SPIRITO CHE CONVINCE IL MONDO QUANTO AL PECCATO 1. Peccato, giustizia e giudizio 27. Allorché Gesù, durante il discorso nel
Cenacolo, annuncia la venuta dello Spirito Santo «a prezzo» della propria
dipartita e promette: «Quando me ne sarò andato, ve lo manderò», proprio
nello stesso contesto aggiunge: «E quando sarà venuto, egli convincerà il
mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio». Il medesimo
consolatore e Spirito di verità, già promesso come colui che «insegnerà» e
«ricorderà», come colui che «renderà testimonianza», come colui che «guiderà
alla verità tutta intera», con le parole ora citate viene annunciato come colui
che «convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio».
Significativo sembra anche il contesto. Gesù collega questo annuncio dello
Spirito Santo alle parole che indicano la propria «dipartita» mediante la
Croce, ed anzi ne sottolineano la necessità: «E bene per voi che io me ne
vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il consolatore». Ma ciò che
più conta è la spiegazione che Gesù stesso aggiunge a queste tre parole:
peccato, giustizia, giudizio. Dice infatti così: «Egli convincerà il mondo
quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché
non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi
vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato
giudicato». Nel pensiero di Gesù il peccato, la giustizia, il giudizio hanno
un senso ben preciso, diverso da quello che forse qualcuno sarebbe propenso
ad attribuire a queste parole indipendentemente dalla spiegazione di chi
parla. Questa spiegazione indica, altresì, come sia da intendere quel
«convincere il mondo», che è proprio dell'azione dello Spirito Santo. Qui è
importante sia il significato delle singole parole, sia il fatto che Gesù le
abbia unite tra loro nella stessa frase. «Il peccato», in questo passo,
significa l'incredulità che Gesù incontrò in mezzo ai «suoi», cominciando dai
concittadini di Nazareth. Significa il rifiuto della sua missione, che
porterà gli uomini a condannarlo a morte. Quando successivamente parla della
«giustizia», Gesù sembra avere in mente quella giustizia definitiva, che il
Padre gli renderà circondandolo con la gloria della risurrezione e
dell'ascensione al Cielo: «Vado al Padre». A sua volta, nel contesto del
«peccato» e della «giustizia» così intesi, «il giudizio» significa che lo
Spirito di verità dimostrerà la colpa del «mondo» nella condanna di Gesù alla
morte di Croce. Tuttavia, il Cristo non è venuto nel mondo solamente per
giudicarlo e condannarlo: egli è venuto per salvarlo. Il convincere del
peccato e della giustizia ha come scopo la salvezza del mondo, la salvezza
degli uomini. Proprio questa verità sembra essere sottolineata
dall'affermazione che «il giudizio» riguarda solamente il «principe di questo
mondo», cioè Satana colui che sin dall'inizio sfrutta l'opera della creazione
contro la salvezza, contro l'alleanza e l'unione dell'uomo con Dio: egli è
«già giudicato» sin dall'inizio. Se lo Spirito consolatore deve convincere il
mondo proprio quanto al giudizio, e per continuare in esso l'opera salvifica
di Cristo. 28. Qui vogliamo concentrare la nostra
attenzione principalmente su questa missione dello Spirito Santo che è di
«convincere il mondo quanto al peccato», ma rispettando al tempo stesso il
contesto generale delle parole di Gesù nel Cenacolo. Lo Spirito Santo, che
assume dal Figlio l'opera della redenzione del mondo, assume con ciò stesso
il compito del salvifico «convincere del peccato». Questo convincere è in
costante riferimento alla «giustizia», cioè alla definitiva salvezza in Dio,
al compimento dell'economia che ha come centro il Cristo crocifisso e
glorificato. E questa economia salvifca di Dio sottrae, in certo senso,
l'uomo dal «giudizio», cioè dalla dannazione, con la quale è stato colpito il
peccato di Satana, «principe di questo mondo», colui che a causa del suo peccato
è divenuto «dominatore di questo mondo di tenebra». Ed ecco che, mediante
tale riferimento al «giudizio», si schiudono vasti orizzonti per la
comprensione del «peccato», nonché della «giustizia». Lo Spirito Santo,
mostrando sullo sfondo della Croce di Cristo il peccato nell'economia della
salvezza (si potrebbe dire: «il peccato salvato»), fa comprendere come sia
sua missione «convincere» anche del peccato che è già stato giudicato
definitivamente («il peccato condannato»). 29. Tutte le parole, pronunciate dal
Redentore nel Cenacolo alla vigilia della sua passione, si inscrivono nel
tempo della Chiesa; prima di tutto, quelle sullo Spirito Santo come Paraclito
e Spirito di verità. Esse vi si inscrivono in modo sempre nuovo, in ogni
generazione, in ogni epoca. Ciò è confermato, per quanto riguarda il nostro
secolo, dall'insieme dell'insegnamento del Concilio Vaticano II, specialmente
della Costituzione pastorale «Gaudium et spes». Molti passi di questo
documento indicano chiaramente che il Concilio, aprendosi alla luce dello
Spirito di verità, si presenta come l'autentico depositario degli annunci e
delle promesse fatte da Cristo agli apostoli ed alla Chiesa nel discorso di
addio: in modo particolare, di quell'annuncio, secondo il quale lo Spirito
Santo deve «convincere il mondo quanto al peccato alla giustizia e al
giudizio». Ciò indica già il testo, nel quale il Concilio spiega come intende
il «mondo»: «Il mondo che esso (il Concilio stesso) ha presente è perciò
quello degli uomini, ossia l'intera famiglia umana nel contesto di tutte
quelle realtà, entro le quali essa vive. il mondo che è teatro della storia
del genere umano e reca i segni dei suoi sforzi, delle sue sconfitte e delle
sue vittorie; il mondo che i cristiani credono creato e conservato dall'amore
del Creatore, mondo certamente posto sotto la schiavitù del peccato, ma
liberato da Cristo crocifisso e risorto, con la sconfitta del Maligno,
affinché, secondo il disegno di Dio, sia trasformato e giunga al suo
compimento». In riferimento a questo testo molto sintetico bisogna leggere
nella medesima Costituzione gli altri passi, intesi ad esporre con tutto il
realismo della fede la situazione del peccato nel mondo contemporaneo, nonché
di spiegare la sua essenza, partendo da diversi punti di vista. Quando Gesù,
la vigilia di Pasqua, parla dello Spirito Santo come di colui che «convincerà
il mondo quanto al peccato», da una parte si deve dare a questa sua
affermazione la portata più vasta possibile, in quanto comprende tutto
l'insieme dei peccati nella storia dell'umanità. D'altra parte, però, quando
Gesù spiega che questo peccato consiste nel fatto che «non credono in lui»,
tale portata sembra restringersi a coloro che hanno rifiutato la missione
messianica del Figlio dell'uomo, condannandolo alla morte di Croce. Ma è
difficile non notare come questa portata più «ridotta» e storicamente
precisata del significato del peccato si dilati fino ad assumere un'ampiezza
universale a motivo dell'universalità della redenzione, che si è compiuta per
mezzo della Croce. La rivelazione del mistero della redenzione apre la strada
a una comprensione, nella quale ogni peccato, dovunque ed in qualsiasi
momento commesso, viene riferito alla Croce di Cristo - e, dunque,
indirettamente anche al peccato di coloro che «non hanno creduto in lui»
condannando Gesù Cristo alla morte di Croce. Da questo punto di vista occorre
ritornare all'evento della Pentecoste. 2. La testimonianza del giorno della
Pentecoste 30. Nel giorno della Pentecoste trovarono
la loro più esatta e diretta conferma gli annunci di Cristo nel discorso di
addio e, in particolare, l'annuncio del quale stiamo trattando: «Il
consolatore... convincerà il mondo quanto al peccato». Quel giorno, sugli
apostoli raccolti in preghiera insieme con Maria, Madre di Gesù, nello stesso
Cenacolo, discese lo Spirito Santo promesso, come leggiamo negli Atti degli
Apostoli: «Ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a
parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi»,
«riconducendo in tal modo all'unità le razze disperse e offrendo al Padre le
primizie di tutte le nazioni». È chiaro il rapporto tra l'annuncio fatto da
Cristo e questo evento. Noi vi scorgiamo il primo e fondamentale compimento
della promessa del Paraclito. Questi viene mandato dal Padre, «dopo» la
dipartita di Cristo, «a prezzo» di essa. Questa è dapprima una dipartita
mediante la morte in Croce, e poi, quaranta giorni dopo la risurrezione,
mediante l'ascensione al Cielo. Ancora nel momento dell'ascensione Gesù
ordina agli apostoli «di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che
si adempisse la promessa del Padre»; «sarete battezzati in Spirito Santo, fra
non molti giorni»; «riceverete forza dallo Spirito Santo, che scenderà su di
voi, e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e
fino agli estremi confini della terra»"'. Queste ultime parole
racchiudono un'eco, o un ricordo dell'annuncio fatto nel Cenacolo. E il
giorno della Pentecoste tale annuncio si avvera in tutta esattezza. Agendo
sotto l'influsso dello Spirito Santo, ricevuto dagli apostoli durante la
preghiera nel Cenacolo, davanti ad una moltitudine di gente di diverse
lingue, radunata per la festa, Pietro si presenta e parla. Proclama ciò che
certamente non avrebbe avuto il coraggio di dire in precedenza: «Uomini
d'Israele, ... Gesù di Nazareth - uomo accreditato da Dio presso di voi per
mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra voi per opera
sua - dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu
consegnato a voi, voi l'avete inchiodato sulla croce per mano di empi e
l'avete ucciso. Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della
morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere». Gesù
aveva predetto e promesso: «Egli mi renderà testimonianza, ... e anche voi mi
renderete testimonianza». Nel primo discorso di Pietro a Gerusalemme tale
«testimonianza» trova il suo chiaro inizio: è la testimonianza intorno a
Cristo crocifisso e risorto. Quella dello Spirito-Paraclito e degli apostoli.
E nel contenuto stesso di tale prima testimonianza lo Spirito di verità per
bocca di Pietro «convince il mondo quanto al peccato»: prima di tutto, quanto
a quel peccato che è il rifiuto del Cristo fino alla condanna a morte, fino
alla Croce sul Golgota. Proclamazioni di analogo contenuto si ripeteranno,
secondo il testo degli Atti degli Apostoli, in altre occasioni e in diversi
luoghi. 31. Fin da questa iniziale testimonianza
della Pentecoste, l'azione dello Spirito di verità, che «convince il mondo
quanto al peccato» del rifiuto di Cristo, è legata in modo organico con la
testimonianza da rendere al mistero pasquale: al mistero del Crocifsso e del
Risorto. E in questo legame lo stesso «convincere quanto al peccato» rivela
la propria dimensione salvifica. È, infatti, un «convincere» che ha come
scopo non la sola accusa del mondo, tanto meno la sua condanna. Gesù Cristo
non è venuto nel mondo per giudicarlo e condannarlo, ma per salvarlo. Ciò
viene sottolineato già in questo primo discorso, quando Pietro esclama:
«Sappia, dunque, con certezza tutta la casa d'Israele che Dio ha costituito
Signore e Cristo quel Gesù, che voi avete crocifisso». E in seguito, quando i
presenti domandano a Pietro e agli apostoli: «Che cosa dobbiamo fare,
fratelli?», ecco la risposta: «Pentitevi e ciascuno di voi si faccia
battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati;
dopo riceverete il dono dello Spirito Santo». In questo modo il «convincere
quanto al peccato» diventa insieme un convincere circa la remissione dei
peccati, nella potenza dello Spirito Santo. Pietro nel suo discorso di
Gerusalemme esorta alla conversione, come Gesù esortava i suoi ascoltatori
all'inizio della sua attività messianica. La conversione richiede la
convinzione del peccato, contiene in sé il giudizio interiore della
coscienza, e questo, essendo una verifica dell'azione dello Spirito di verità
nell'intimo dell'uomo, diventa nello stesso tempo il nuovo inizio
dell'elargizione della grazia e dell'amore: «Ricevete lo Spirito Santo». Così
in questo «convincere quanto al peccato» scopriamo una duplice elargizione:
il dono della verità della coscienza e il dono della certezza della
redenzione. Lo Spirito di verità è il consolatore. Il convincere del peccato,
mediante il ministero dell'annuncio apostolico nella Chiesa nascente, viene
riferito - sotto l'impulso dello Spirito effuso nella Pentecoste - alla
potenza redentrice di Cristo crocifisso e risorto. Così si adempie la
promessa relativa allo Spirito Santo, fatta prima di pasqua: «Egli prenderà
del mio e ve l'annuncerà». Quando dunque, durante l'evento della Pentecoste,
Pietro parla del peccato di coloro che «non hanno creduto» ed hanno
consegnato ad una morte ignominiosa Gesù di Nazareth, egli rende
testimonianza alla vittoria sul peccato: vittoria che si è compiuta, in certo
senso, mediante il peccato più grande che l'uomo poteva commettere:
l'uccisione di Gesù, Figlio di Dio, consostanziale al Padre! Similmente, la
morte del Figlio di Dio vince la morte umana: «Ero mors tua, o mors», come il
peccato di aver crocifisso il Figlio di Dio «vince» il peccato umano! Quel
peccato che si consumò a Gerusalemme il giorno del Venerdì santo - e anche
ogni peccato dell'uomo. Infatti, al più grande peccato da parte dell'uomo
corrisponde, nel cuore del Redentore, l'oblazione del supremo amore, che
supera il male di tutti i peccati degli uomini. Sulla base di questa certezza
la Chiesa nella liturgia romana non esita a ripetere ogni anno, durante la
Veglia pasquale, «Ofelix culpa!», nell'annuncio della risurrezione dato dal
diacono col canto dell'«Exsultet!». 32. Di questa verità ineffabile, però,
nessuno può «convincere il mondo», l'uomo, l'umana coscienza, se non egli
stesso, lo Spirito di verità. Egli è lo Spirito, che «scruta le profondità di
Dio». Di fronte al mistero del peccato bisogna scrutare «le profondità di
Dio» fino in fondo. Non basta scrutare la coscienza umana, quale intimo
mistero dell'uomo, ma bisogna penetrare nell'intimo mistero di Dio, in quelle
«profondità di Dio» che si riassumono nella sintesi: al Padre - nel Figlio -
per mezzo dello Spirito Santo. È proprio lo Spirito Santo che le «scruta», e
da esse trae la risposta di Dio al peccato dell'uomo. Con questa risposta si
chiude il procedimento del «convincere quanto al peccato», come mette in
evidenza l'evento della Pentecoste. Convincendo il «mondo» del peccato del
Golgota, della morte dell'Agnello innocente, come avviene nel giorno della
Pentecoste, lo Spirito Santo convince anche di ogni peccato commesso in ogni
luogo ed in qualsiasi momento nella storia dell'uomo: egli dimostra, infatti
il suo rapporto con la Croce di Cristo. Il «convincere» è la dimostrazione
del male del peccato, di ogni peccato, in relazione alla Croce di Cristo. Il
peccato, mostrato in questa relazione, viene riconosciuto nell'intera
dimensione del male, che gli è propria, per il «mistero dell'iniquità» , che
in se contiene e nasconde. L'uomo non conosce questa dimensione - non la
conosce in alcun modo al di fuori della Croce di Cristo. Perciò, non può essere
«convinto» di essa se non dallo Spirito Santo: Spirito di verità, ma anche
consolatore. Infatti, il peccato, mostrato in relazione alla Croce di Cristo,
nello stesso tempo viene identificato nella piena dimensione del «mistero
della pietà», come ha indicato l'Esortazione Apostolica post-sinodale
Reconciliatio et paenitentia. Anche questa dimensione del peccato l'uomo non
la conosce in alcun modo al di fuori della Croce di Cristo. E anche di essa
egli non può essere «convinto» se non dallo Spirito Santo: da colui che
«scruta le profondità di Dio». 3. La testimonianza dell'inizio: la
realtà originaria del peccato 33. È la dimensione del peccato che
troviamo nella testimonianza dell'inizio, annotata nel Libro della Genesi. È
il peccato che, secondo la Parola di Dio rivelata, costituisce il principio e
la radice di tutti gli altri Ci troviamo di fronte alla realtà originaria del
peccato nella storia dell'uomo e, al tempo stesso, nell'insieme dell'economia
della salvezza. Si può dire che in questo peccato ha inizio il «mistero
dell'iniquità», ma anche che è questo il peccato, in ordine al quale la
potenza redentrice del «mistero della pietà» diventa particolarmente
trasparente ed efficace. Ciò esprime san Paolo, quando alla «disobbedienza»
del primo Adamo contrappone l'«obbedienza» di Cristo, il secondo Adamo:
«L'obbedienza fino alla morte». Stando alla testimonianza dell'inizio, il
peccato nella sua realtà originaria avviene nella volontà - e nella coscienza
- dell'uomo, prima di tutto, come «disobbedienza», cioè come opposizione
della volontà dell'uomo alla volontà di Dio. Questa disobbedienza originaria
presuppone il rifiuto o, almeno, l'allontanamento dalla verità contenuta
nella Parola di Dio, che crea il mondo. Questa Parola è lo stesso Verbo, che
era «in principio presso Dio», che «era Dio» e senza il quale «niente è stato
fatto di tutto ciò che esiste», poiché «il mondo fu fatto per mezzo di lui».
È il Verbo che è anche eterna legge, fonte di ogni legge, che regola il mondo
e specialmente gli atti umani. Quando dunque, alla vigilia della sua
passione, Gesù Cristo parla del peccato di coloro che «non credono in lui»,
in queste sue parole, piene di dolore, vi è quasi un'eco lontana di quel
peccato, che nella sua forma originaria si inscrive oscuramente nel mistero
stesso della creazione. Colui che parla, infatti, è non solo il Figlio
dell'uomo, ma anche colui che è «il primogenito di fronte ad ogni creatura»,
«poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose:.... per mezzo di
lui e in vista di lui». Alla luce di questa verità si capisce che la
«disobbedienza», nel mistero dell'inizio, presuppone in certo senso la stessa
«non-fede», quel medesimo «non hanno creduto», che si ripeterà nei riguardi
del mistero pasquale. Come abbiamo detto, si tratta del rifiuto o, almeno,
dell'allontanamento dalla verità contenuta nella Parola del Padre. Il rifiuto
si esprime in pratica come «disobbedienza», in un atto compiuto come effetto
della tentazione, che proviene dal «padre della menzogna». Dunque, alla
radice del peccato umano sta la menzogna come radicale rifiuto della verità
contenuta nel Verbo del Padre, mediante il quale si esprime l'amorevole
onnipotenza del Creatore: l'onnipotenza ed insieme l'amore «di Dio Padre,
creatore del cielo e della terra». 34. «Lo Spirito di Dio», che secondo la
descrizione biblica della creazione «aleggiava sulle acque», indica lo stesso
«Spirito, che scruta le profondità di Dio»; scruta le profondità del Padre e
del Verbo-Figlio nel mistero della creazione. Non solo è il testimone diretto
del loro reciproco amore, dal quale deriva la creazione, ma è egli stesso
questo amore. Egli stesso, come amore, è l'eterno dono increato. In lui è la
fonte e l'inizio di ogni elargizione alle creature. La testimonianza
dell'inizio, che troviamo in tutta la Rivelazione, a cominciare dal Libro
della Genesi, su questo punto è univoca. Creare vuol dire chiamare
all'esistenza dal nulla; dunque, creare vuol dire donare l'esistenza. E se il
mondo visibile viene creato per l'uomo, dunque all'uomo viene donato il mondo.
E contemporaneamente lo stesso uomo nella propria umanità riceve in dono una
speciale «immagine e somiglianza» di Dio. Ciò significa non solo razionalità
e libertà come proprietà costitutiva della natura umana, ma anche, sin
dall'inizio, capacità di un rapporto personale con Dio, come «io» e «tu» e,
dunque, capacità di alleanza che avrà luogo con la comunicazione salvifica di
Dio all'uomo. Sullo sfondo dell'«immagine e somiglianza» di Dio, «il dono
dello Spirito» significa, infine, chiamata all'amicizia, nella quale le
trascendenti «profondità di Dio» vengono, in qualche modo, aperte alla
partecipazione da parte dell'uomo. Il Concilio Vaticano II insegna: «Dio
invisibile (Col 1,15); (1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla
agli uomini come ad amici (Es 33,11); (Gv 15,14) e si
intrattiene con loro (Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla
comunione con sé». 35. Pertanto, lo Spirito, che «scruta ogni
cosa, anche le profondità di Dio», conosce sin dall'inizio «i segreti
dell'uomo». Proprio per questo egli solo può pienamente «convincere del
peccato» che ci fu all'inizio, di quel peccato che è la radice di tutti gli
altri e il focolaio della peccaminosità dell'uomo sulla terra, che non si
spegne mai. Lo Spirito di verità conosce la realtà originaria del peccato,
causato nella volontà dell'uomo ad opera del «padre della menzogna» - di
colui che già «è stato giudicato». Lo Spirito Santo convince, dunque, il
mondo del peccato in rapporto a questo «giudizio», ma costantemente guidando
verso la «giustizia», che è stata rivelata all'uomo insieme con la Croce di
Cristo: mediante l'«obbedienza fino alla morte». Solo lo Spirito Santo può
convincere del peccato dell'inizio umano, proprio egli che è l'amore del
Padre e del Figlio, egli che è dono, mentre il peccato dell'inizio umano
consiste nella menzogna e nel rifiuto del dono e dell'amore, i quali decidono
dell'inizio del mondo e dell'uomo. 36. Secondo la testimonianza dell'inizio,
che troviamo nella Scrittura e nella Tradizione, dopo la prima (ed anche più
completa) descrizione nel Libro della Genesi il peccato nella sua forma
originaria è inteso come «disobbedienza», il che significa semplicemente e
direttamente trasgressione di un divieto posto da Dio. Ma alla luce di tutto
il contesto è pure palese che le radici di questa disobbedienza vanno
ricercate in profondità nell'intera situazione reale dell'uomo. Chiamato
all'esistenza, l'essere umano - uomo e donna - è una creatura. L'«immagine di
Dio», consistente nella razionalità e nella libertà, dice la grandezza e la dignità
del soggetto umano, che è persona. Ma questo soggetto personale è pur sempre
una creatura: nella sua esistenza ed essenza dipende dal Creatore. Secondo la
Genesi, «l'albero della conoscenza del bene e del male» doveva esprimere e
costantemente ricordare all'uomo il «limite» invalicabile per un essere
creato. In questo senso va inteso il divieto da parte di Dio: il Creatore
proibisce all'uomo e alla donna di mangiare i frutti dell'albero della
conoscenza del bene e del male. Le parole dell'istigazione, cioè della
tentazione, come è formulata nel testo sacro, inducono a trasgredire questo
divieto - cioè a superare quel «limite»: «Quando voi ne mangiaste, si
aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio («come dèi») conoscendo il
bene e il male». La «disobbedienza» significa appunto il superamento di quel
limite, che rimane invalicabile alla volontà e libertà dell'uomo, come essere
creato. Dio creatore è, infatti, l'unica e definitiva fonte dell'ordine
morale nel mondo, da lui creato. L'uomo non può da se stesso decidere ciò che
è buono e ciò che è cattivo - non può «conoscere il bene e il male, come
Dio». Sì, Dio nel mondo creato rimane la prima e suprema fonte per decidere
del bene e del male, mediante l'intima verità dell'essere, la quale è il riflesso
del Verbo, l'eterno Figlio, consostanziale al Padre. All'uomo creato ad
immagine di Dio lo Spirito Santo dà in dono la coscienza, affinché in essa
l'immagine possa rispecchiare fedelmente il suo modello, che è insieme la
sapienza e la legge eterna, fonte dell'ordine morale nell'uomo e nel mondo.
La «disobbedienza», come dimensione originaria del peccato, significa rifiuto
di questa fonte, per la pretesa dell'uomo di diventare fonte autonoma ed
esclusiva nel decidere del bene e del male. Lo Spirito, che «scruta le
profondità di Dio» e che, al tempo stesso, è per l'uomo la luce della
coscienza e la fonte dell'ordine morale, conosce in tutta la sua pienezza
questa dimensione del peccato, che si inscrive nel mistero dell'inizio umano.
E non cessa di «convincerne il mondo» in rapporto alla Croce di Cristo sul
Golgota. 37. Secondo la testimonianza dell'inizio,
Dio nella creazione ha rivelato se stesso come onnipotenza, che è amore.
Nello stesso tempo ha rivelato all'uomo che, come «immagine e somiglianza»
del suo Creatore, egli è chiamato a partecipare alla verità e all'amore.
Questa partecipazione significa una vita di unione con Dio, che è la «vita
eterna». Ma l'uomo, sotto l'influenza del «padre della menzogna», si è
distaccato da questa partecipazione. In quale misura? Certamente non nella
misura del peccato di un puro spirito, nella misura del peccato di Satana. Lo
spirito umano è incapace di raggiungere una tale misura. Nella stessa
descrizione della Genesi è facile notare la differenza di grado tra «il soffio
del male» da parte di colui che «è peccatore (ossia permane nel peccato) fin
dal principio» e che già «è stato giudicato», ed il male della disobbedienza
da parte dell'uomo. Questa disobbedienza, tuttavia, significa pur sempre il
voltare le spalle a Dio e, in un certo senso, il chiudersi della libertà
umana nei suoi riguardi. Significa anche una certa apertura di questa libertà
- della conoscenza e della volontà umana - verso colui che è il «padre della
menzogna». Questo atto di scelta consapevole non è solo «disobbedienza», ma
porta con sé anche una certa adesione alla motivazione contenuta nella prima
istigazione al peccato e incessantemente rinnovata durante tutta la storia
dell'uomo sulla terra: «Dio sa che, quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i
vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male». Ci
troviamo qui al centro stesso di ciò che si potrebbe chiamare l'«anti-Verbo»,
cioè l'«anti-verità». Viene, infatti, falsata la verità dell'uomo: chi è
l'uomo e quali sono i limiti invalicabili del suo essere e della sua libertà.
Questa «anti-verità» è possibile, perché nello stesso tempo viene falsata
completamente la verità su chi è Dio. Il Dio creatore viene posto in stato di
sospetto, anzi addirittura in stato di accusa, nella coscienza della
creatura. Per la prima volta nella storia dell'uomo appare il perverso «genio
del sospetto». Esso cerca di «falsare» il Bene stesso, il Bene assoluto, che
proprio nell'opera della creazione si è manifestato come il bene che dona in
modo ineffabile: come bonum diffusivum sui, come amore creativo. Chi può
pienamente «convincere del peccato», ossia di questa motivazione della
disobbedienza originaria dell'uomo, se non colui che solo è il dono e la
fonte di ogni elargizione, se non lo Spirito, che «scruta le profondità di
Dio» ed è l'amore del Padre e del Figlio? 38. Infatti, malgrado tutta la
testimonianza della creazione e dell'economia salvifica ad essa inerente, lo
spirito delle tenebre è capace di mostrare Dio come nemico della propria
creatura e, prima di tutto, come nemico dell'uomo, come fonte di pericolo e
di minaccia per l'uomo. In questo modo viene innestato da Satana nella
psicologia dell'uomo il germe dell'opposizione nei riguardi di colui che «sin
dall'inizio» deve essere considerato come nemico dell'uomo - e non come
Padre. L'uomo viene sfidato a diventare l'avversario di Dio! L'analisi del
peccato nella sua originaria dimensione indica che, ad opera del «padre della
menzogna», vi sarà lungo la storia dell'umanità una costante pressione al
rifiuto di Dio da parte dell'uomo, fino all'odio: «Amore di sé fino al
disprezzo di Dio», come si esprime sant'Agostino. L'uomo sarà incline a
vedere in Dio prima di tutto una propria limitazione, e non la fonte della
propria liberazione e la pienezza del bene. Ciò vediamo confermato nell'epoca
moderna, nella quale le ideologie atee tendono a sradicare la religione in
base al presupposto che essa determini una radicale «alienazione» dell'uomo
come se l'uomo venisse espropriato della propria umanità, quando, accettando
l'idea di Dio, attribuisce a lui ciò che appartiene all'uomo, ed
esclusivamente all'uomo! Di qui un processo di pensiero e di prassi
storico-sociologica, in cui il rifiuto di Dio è pervenuto fino alla
dichiarazione della sua «morte». Un'assurdità, questa, concettuale e verbale!
Ma l'ideologia della «morte di Dio» minaccia piuttosto l'uomo, come indica il
Vaticano II, quando, sottoponendo ad analisi la questione dell'«autonomia
delle cose temporali», scrive: «La creatura... senza il Creatore svanisce...
Anzi, l'oblio di Dio priva di luce la creatura stessa». L'ideologia della
«morte di Dio» nei suoi effetti dimostra facilmente di essere, sul piano
teoretico e pratico, l'ideologia della «morte dell'uomo». 4. Lo Spirito, che trasforma la
sofferenza in amore salvifico 39. Lo Spirito, che scruta le profondità
di Dio, è stato chiamato da Gesù nel discorso del Cenacolo il Paraclito.
Infatti, sin dall'inizio «viene invocato» per «convincere il mondo quanto al
peccato». Egli viene invocato in modo definitivo per mezzo della Croce di
Cristo. Convincere del peccato vuol dire dimostrare il male in esso
contenuto. Il che equivale a rivelare il mistero dell'iniquità. Non è
possibile raggiungere il male del peccato in tutta la sua dolorosa realtà
senza «scrutare le profondità di Dio». Sin dall'inizio l'oscuro mistero del
peccato è apparso nel mondo sullo sfondo del riferimento al Creatore della
libertà umana. Esso è apparso come un atto di volontà della creatura-uomo
contrario alla volontà di Dio: alla volontà salvifica di Dio; anzi, è apparso
in opposizione alla verità, sulla base della menzogna ormai definitivamente
«giudicata»: menzogna che ha posto in stato di accusa, in stato di permanente
sospetto, lo stesso amore creativo e salvifico. L'uomo ha seguito il «padre
della menzogna», ponendosi contro il Padre della vita e lo Spirito di verità.
Il «convincere del peccato» non dovrà, dunque, significare anche il rivelare
la sofferenza? Rivelare il dolore inconcepibile ed inesprimibile, che, a
causa del peccato, il Libro sacro nella sua visione antropomorfica sembra
intravvedere nelle «profondità di Dio» e, in un certo senso, nel cuore stesso
dell'ineffabile Trinità? La Chiesa ispirandosi alla Rivelazione, crede e
professa che il peccato è offesa di Dio. Che cosa nell'imperscrutabile
intimità del Padre, del Verbo e dello Spirito Santo corrisponde a questa
«offesa», a questo rifiuto dello Spirito che è amore e dono? La concezione di
Dio, come essere necessariamente perfettissimo, esclude certamente da Dio
ogni dolore, derivante da carenze o ferite; ma nelle «profondità di Dio» c'è
un amore di Padre che dinanzi al peccato dell'uomo, secondo il linguaggio
biblico, reagisce fino al punto di dire: «Sono pentito di aver fatto l'uomo».
«Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra... E il
Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor
suo... Il Signore disse: "Sono pentito di averli fatti"». Ma più
spesso il Libro sacro ci parla di un Padre, che prova compassione per l'uomo,
quasi condividendo il suo dolore. In definitiva, questo imperscrutabile e
indicibile «dolore» di padre genererà soprattutto la mirabile economia
dell'amore redentivo in Gesù Cristo, affinché, per mezzo del mistero della
pietà, nella storia dell'uomo l'amore possa rivelarsi più forte del peccato.
Perché prevalga il «dono»! Lo Spirito Santo, che secondo le parole di Gesù
«convince del peccato», è l'amore del Padre e del Figlio e, come tale, è il
dono trinitario e, al tempo stesso, l'eterna fonte di ogni elargizione divina
al creato. Proprio in lui possiamo concepire come personificata e attuata in
modo trascendente quella misericordia, che la tradizione patristica e
teologica, sulla linea dell'Antico e del Nuovo Testamento, attribuisce a Dio.
Nell'uomo la misericordia include dolore e compassione per le miserie del
prossimo. In Dio lo Spirito-amore traduce la considerazione del peccato umano
in una nuova elargizione di amore salvifico. Da lui, nell'unità col Padre e
col Figlio nasce l'economia della salvezza, che riempie la storia dell'uomo
con i doni della redenzione. Se il peccato, rifiutando l'amore, ha generato
la «sofferenza» dell'uomo che in qualche modo si è riversata su tutta la
creazione, lo Spirito Santo entrerà nella sofferenza umana e cosmica con una
nuova elargizione di amore, che redimerà il mondo. E sulla bocca di Gesù
Redentore, nella cui umanità si invera la «sofferenza» di Dio, risuonerà una
parola in cui si manifesta l'eterno amore, pieno di misericordia: «Misereor».
Così da parte dello Spirito Santo il «convincere del peccato» diventa un
manifestare davanti alla creazione «sottomessa alla caducità» e, soprattutto,
nel profondo delle coscienze umane, come il peccato viene vinto mediante il
sacrificio dell'Agnello di Dio, il quale è divenuto «fino alla morte» il
servo obbediente che, riparando alla disobbedienza dell'uomo, opera la
redenzione del mondo. In questo modo lo Spirito di verità, il Paraclito,
«convince del peccato». 40. Il valore redentivo del sacrificio di
Cristo è espresso con parole molto significative dall'autore della Lettera
agli Ebrei, il quale, dopo aver ricordato i sacrifici dell'Antica Alleanza,
in cui «il sangue dei capri e dei vitelli... purifica nella carne»,
soggiunge: «Quanto più il sangue di Cristo, il quale con uno Spirito eterno
offrì se stesso senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle
opere morte, per servire il Dio vivente»? Pur consapevoli di altre possibili
interpretazioni, le nostre considerazioni sulla presenza dello Spirito Santo
in tutta la vita di Cristo ci portano a ravvisare in questo testo come un
invito a riflettere sulla presenza del medesimo Spirito anche nel sacrificio
redentore del Verbo Incarnato. Riflettiamo prima sulle parole iniziali che
trattano di questo sacrificio e, in seguito, separatamente, sulla
«purificazione della coscienza», da esso operata. È, infatti, un sacrificio
offerto «con (= per opera di) uno Spirito eterno», il quale da esso «attinge»
la forza di «convincere del peccato» in ordine alla salvezza. È lo stesso
Spirito Santo che, secondo la promessa del Cenacolo, Gesù Cristo «porterà»
agli apostoli il giorno della sua risurrezione, presentandosi loro con le
ferite della crocifissione, e che «darà» loro «per la remissione dei
peccati»: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno
rimessi». Sappiamo che «Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di
Nazareth», come diceva Simon Pietro nella casa del centurione Cornelio.
Conosciamo il mistero pasquale della sua «dipartita», secondo il Vangelo di
Giovanni Le parole della lettera agli Ebrei ora ci spiegano in quale modo
Cristo «offrì se stesso senza macchia a Dio» e come ciò fece «con uno Spirito
eterno». Nel sacrificio del Figlio dell'uomo lo Spirito Santo è presente ed
agisce così come agiva nel suo concepimento, nella sua venuta al mondo, nella
sua vita nascosta e nel suo ministero pubblico. Secondo la Lettera agli
Ebrei, sulla via della sua «dipartita» attraverso il Getsemani e il Golgota,
lo stesso Cristo Gesù nella propria umanità si è aperto totalmente a questa
azione dello Spirito-Paraclito, che dalla sofferenza fa emergere l'eterno
amore salvifico. Egli è stato, dunque, «esaudito per la sua pietà. Pur
essendo Figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì». In questo modo tale
Lettera dimostra come l'umanità, sottomessa al peccato nei discendenti del
primo Adamo, in Gesù Cristo è diventata perfettamente sottomessa a Dio ed a
lui unita e, nello stesso tempo, piena di misericordia verso gli uomini. Si
ha così una nuova umanità, che in Gesù Cristo mediante la sofferenza della
Croce è ritornata all'amore, tradito da Adamo col peccato. Essa si è
ritrovata nella stessa fonte divina dell'elargizione originaria: nello
Spirito, che «scruta le profondità di Dio» ed è amore e dono egli stesso. Il
Figlio di Dio Gesù Cristo, come uomo, nell'ardente preghiera della sua
passione, permise allo Spirito Santo, che già aveva penetrato fino in fondo
la sua umanità, di trasformarla in un sacrifcio perfetto mediante l'atto
della sua morte, come vittima di amore sulla Croce. Da solo egli fece questa
oblazione. Come unico sacerdote, «offrì se stesso senza macchia a Dio». Nella
sua umanità era degno di divenire un tale sacrificio, poiché egli solo era
«senza macchia». Ma l'offrì «con uno Spirito eterno»: il che vuol dire che lo
Spirito Santo agì in modo speciale in questa assoluta autodonazione del
Figlio dell'uomo, per trasformare la sofferenza in amore redentivo. 41. Nell'Antico Testamento più volte si
parla del «fuoco dal cielo», che bruciava le oblazioni presentate dagli uomini.
Per analogia si può dire che lo Spirito Santo è il «fuoco dal cielo», che
opera nel profondo del mistero della Croce. Provenendo dal Padre, egli
indirizza verso il Padre il sacrificio del Figlio, introducendolo nella
divina realtà della comunione trinitaria. Se il peccato ha generato la
sofferenza, ora il dolore di Dio in Cristo crocifisso acquista per mezzo
dello Spirito Santo la sua piena espressione umana. Si ha così un paradossale
mistero d'amore: in Cristo soffre un Dio rifiutato dalla propria creatura:
«Non credono in me!». ma, nello stesso tempo dal profondo di questa
sofferenza - e, indirettamente, dal profondo dello stesso peccato «di non
aver creduto» - lo Spirito trae una nuova misura del dono fatto all'uomo e
alla creazione fin dall'inizio. Nel profondo del mistero della Croce agisce
l'amore, che riporta nuovamente l'uomo a partecipare alla vita, che è in Dio
stesso. Lo Spirito Santo come amore e dono discende, in un certo senso, nel
cuore stesso del sacrifcio che viene offerto sulla Croce. Riferendoci alla
tradizione biblica, possiamo dire: egli consuma questo sacrifcio col fuoco
dell'amore, che unisce il Figlio col Padre nella comunione trinitaria. E
poiché il sacrificio della Croce è un atto proprio di Cristo, anche in questo
sacrificio «egli riceve lo Spirito Santo». Lo riceve in modo tale, che poi
egli - ed egli solo con Dio Padre - può «darlo» agli apostoli, alla Chiesa,
all'umanità. Egli solo lo «manda» dal Padre. Egli solo si presenta davanti
agli apostoli riuniti nel Cenacolo, «alita su di loro» e dice: «Ricevete lo
Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi», come aveva
preannunciato Giovanni Battista: «Egli vi battezzerà nello Spirito Santo e
nel fuoco». Con quelle parole di Gesù lo Spirito Santo è rivelato ed insieme è
reso presente come amore che opera nel profondo del mistero pasquale, come
fonte della potenza salvifica della Croce di Cristo, come dono della vita
nuova ed eterna. Questa verità sullo Spirito Santo trova quotidiana
espressione nella liturgia romana, quando il sacerdote, prima della
comunione, pronuncia quelle significative parole: «Signore Gesù Cristo,
Figlio del Dio vivo, che per volontà del Padre e con l'opera dello Spirito
Santo morendo hai dato la vita al mondo...». E nella III Preghiera Eucaristica,
riferendosi alla stessa economia salvifica, il sacerdote chiede a Dio che lo
Spirito Santo «faccia di noi un sacrificio perenne a te gradito». 5. Il sangue, che purifica la
coscienza 42. Abbiamo detto che, al culmine del
mistero pasquale, lo Spirito Santo è definitivamente rivelato e reso presente
in un mondo nuovo. Il Cristo risorto dice agli apostoli: «Ricevete lo Spirito
Santo». Viene in questo modo rivelato lo Spirito Santo, perché le parole di
Cristo costituiscono la conferma delle promesse e degli annunci del discorso
nel Cenacolo. E con ciò il Paraclito viene anche reso presente in un modo
nuovo. Egli, in realtà, operava sin dall'inizio nel mistero della creazione e
lungo tutta la storia dell'antica Alleanza di Dio con l'uomo. La sua azione è
stata pienamente confermata dalla missione del Figlio dell'uomo come Messia,
che è venuto nella potenza dello Spirito Santo. Al culmine della missione
messianica di Gesù, lo Spirito Santo diventa presente nel mistero pasquale in
tutta la sua soggettività divina: come colui che deve ora continuare l'opera
salvifica, radicata nel sacrificio della Croce. Senza dubbio quest'opera
viene affidata da Gesù ad uomini: agli apostoli, alla Chiesa. Tuttavia, in
questi uomini e per mezzo di essi, lo Spirito Santo rimane il trascendente
soggetto protagonista della realizzazione di tale opera nello spirito
dell'uomo e nella storia del mondo: l'invisibile e, al tempo stesso,
onnipresente Paraclito! Lo Spirito che «soffia dove vuole». Le parole,
pronunciate da Cristo risorto, il giorno «primo dopo il sabato», mettono in
particolare rilievo la presenza del Paraclito consolatore, come di colui che
«convince il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio». Infatti,
solo in questo rapporto, si spiegano le parole che Gesù pone in diretto
riferimento col «dono» dello Spirito Santo agli apostoli. Egli dice:
«Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a
chi non li rimetterete resteranno non rimessi». Gesù conferisce agli apostoli
il potere di rimettere i peccati, perché lo trasmettano ai loro successori
nella Chiesa. Tuttavia, questo potere, concesso ad uomini, presuppone e
include l'azione salvifica dello Spirito Santo. Divenendo «luce dei cuori»,
cioè delle coscienze, lo Spirito Santo «convince del peccato», ossia fa
conoscere all'uomo il suo male e, nello stesso tempo lo orienta verso il
bene. Grazie alla molteplicità dei suoi doni, per cui è invocato come il
«settiforme», ogni genere di peccato dell'uomo può essere raggiunto dalla
potenza salvifica di Dio. In realtà - come dice san Bonaventura - «in virtù
dei sette doni dello Spirito Santo tutti i mali sono distrutti e sono
prodotti tutti i beni». Sotto l'influsso del consolatore si compie, dunque
quella conversione del cuore umano, che è condizione indispensabile del
perdono dei peccati. Senza una vera conversione, che implica una interiore
contrizione e senza un sincero e fermo proposito di cambiamento, i peccati
rimangono «non rimessi», come dice Gesù e con lui la Tradizione dell'Antica e
della Nuova Alleanza. Infatti, le prime parole pronunciate da Gesù all'inizio
del suo ministero, secondo il Vangelo di Marco, sono queste: «Convertitevi e
credete al vangelo». La conferma di questa esortazione è il «convincere
quanto al peccato» che lo Spirito Santo intraprende in modo nuovo in forza
della redenzione, operata dal sangue del Figlio dell'uomo. Perciò, la Lettera
agli Ebrei dice che questo «sangue purifica la coscienza». Esso, dunque, per
così dire, apre allo Spirito Santo la via verso l'intimo dell'uomo, cioè il
santuario delle coscienze umane. 43. Il Concilio Vaticano II ha ricordato
l'insegnamento cattolico sulla coscienza, parlando della vocazione dell'uomo
e, in particolare, della dignità della persona umana. Proprio la coscienza
decide in modo specifico di questa dignità. Essa, infatti, è «il nucleo più
segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce
risuona nell'intimo». Essa chiaramente «dice alle orecchie del cuore: Fa'
questo, fuggi quest'altro». Una tale capacità di comandare il bene e di
proibire il male, inserita dal Creatore nell'uomo, è la principale proprietà
del soggetto personale. Ma, al tempo stesso, «nell'intimo della coscienza
l'uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale deve invece
obbedire». La coscienza, dunque, non è una fonte autonoma ed esclusiva per
decidere ciò che è buono e ciò che è cattivo; invece, in essa è inscritto
profondamente un principio di obbedienza nei riguardi della norma oggettiva,
che fonda e condiziona la corrispondenza delle sue decisioni con i comandi e
i divieti che sono alla base del comportamento umano, come traspare fin dalla
pagina del Libro della Genesi, già richiamato. Proprio in questo senso la
coscienza è l'«intimo sacrario», in cui «risuona la voce di Dio». Essa è «la
voce di Dio» persino quando l'uomo riconosce esclusivamente in essa il
principio dell'ordine morale, di cui umanamente non si può dubitare, anche
senza un diretto riferimento al Creatore: proprio in questo riferimento la
coscienza trova sempre il suo fondamento e la sua giustificazione.
L'evangelico «convincere quanto al peccato» sotto l'influsso dello Spirito di
verità non può realizzarsi nell'uomo per altra via se non per quella della
coscienza. Se la coscienza è retta, allora serve «per risolvere secondo
verità i problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in
quella sociale»; allora «le persone e i gruppi sociali si allontanano dal
cieco arbitrio e si sforzano di conformarsi alle norme oggettive della
moralità». Frutto della retta coscienza è, prima di tutto, il chiamare per
nome il bene e il male, come fa ad esempio la stessa Costituzione pastorale:
«Tutto ciò che è contro la vita stessa, come ogni specie di omicidio, il
genocidio l'aborto, l'eutanasia e lo stesso suicidio volontario; tutto ciò
che viola l'integrità della persona umana, come le mutilazioni, le torture
inflitte al corpo e alla mente; gli sforzi di costrizione psicologica. tutto
ciò che offende la dignità umana, come le condizioni di vita infraumana, le
incarcerazioni arbitrarie, le deportazioni, la schiavitù, la prostituzione,
il mercato delle donne e dei giovani, o ancora le ignominiose condizioni di
lavoro, con le quali i lavoratori sono trattati come semplici strumenti di
guadagno, e non come persone libere e responsabili»; e, dopo aver chiamato
per nome i molteplici peccati, così frequenti e diffusi nel nostro tempo,
essa aggiunge: «Tutte queste cose e altre simili sono certamente vergognose
e, mentre corrompono la civiltà umana, inquinano coloro che così si comportano
ben più di quelli che le subiscono; e offendono al massimo l'onore del
Creatore». Chiamando per nome i peccati che più disonorano l'uomo, e
dimostrando che essi sono un male morale che grava negativamente su qualsiasi
bilancio del progresso dell'umanità, il Concilio insieme descrive tutto ciò
come una tappa «della lotta drammatica tra il bene e il male, tra la luce e
le tenebre», che caratterizza «tutta la vita umana, sia individuale che
collettiva». L'assemblea del Sinodo dei Vescovi del 1983 sulla
riconciliazione e la penitenza ha precisato ancor meglio il significato
personale e sociale del peccato dell'uomo. 44. Ebbene, nel Cenacolo, la vigilia della
sua Passione, e poi la sera di Pasqua, Gesù Cristo si è appellato allo
Spirito Santo come a colui, il quale testimonia che nella storia dell'umanità
perdura il peccato. Tuttavia, il peccato è sottoposto alla potenza salvifica
della redenzione. Il «convincere il mondo del peccato» non si esaurisce nel
fatto che esso viene chiamato per nome e identificato per quello che è su
tutta la scala che gli è propria. Nel convincere il mondo del peccato, lo
Spirito di verità s'incontra con la voce delle coscienze umane. Su questa via
si giunge alla dimostrazione delle radici del peccato, che sono nell'intimo dell'uomo,
come mette in rilievo la stessa Costituzione pastorale: «In verità, gli
squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quello
squilibrio più fondamentale, radicato nel cuore dell'uomo. È nell'uomo stesso
che molti elementi si contrastano a vicenda. Da una parte, infatti, come
creatura fa l'esperienza dei suoi molteplici limiti; dall'altra, si sente
illimitato nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore.
Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a
rinunciare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che
non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe». Il testo conciliare fa qui
riferimento alle note parole di san Paolo. Il «convincere quanto al peccato»,
che accompagna la coscienza umana in ogni approfondita riflessione su se
stessa, porta dunque alla scoperta delle sue radici nell'uomo, come anche dei
condizionamenti della coscienza stessa nel corso della storia. Ritroviamo in
questo modo quella realtà originaria del peccato, della quale si è già
parlato. Lo Spirito Santo «convince quanto al peccato» in rapporto al mistero
dell'inizio, indicando il fatto che l'uomo è un essere creato e, dunque, è in
una totale dipendenza ontologica ed etica dal Creatore, e ricordando, al tempo
stesso, l'ereditaria peccaminosità della natura umana. Ma lo Spirito Santo
consolatore «convince del peccato» sempre in relazione alla Croce di Cristo.
In questa relazione il cristianesimo respinge ogni «fatalità» del peccato. È
«una dura lotta contro le potenze delle tenebre, lotta che, cominciata fin
dall'origine del mondo, continuerà, come dice il Signore, fino all'ultimo
giorno» - insegna il Concilio. «Ma il Signore stesso è venuto a liberare
l'uomo e a dargli forza». L'uomo, dunque, lungi dal lasciarsi «irretire»
nella sua condizione di peccato, appoggiandosi alla voce della propria
coscienza, «deve combattere senza soste per aderire al bene, né può
conseguire la sua unità interiore se non a prezzo di grandi fatiche, con
l'aiuto della grazia di Dio». Il Concilio giustamente vede il peccato come
fattore della rottura, che grava sia sulla vita personale che su quella
sociale dell'uomo; ma, nello stesso tempo, ricorda instancabilmente la
possibilità della vittoria. 45. Lo Spirito di verità, che «convince il
mondo del peccato», s'incontra con quella fatica della coscienza umana, di
cui i testi conciliari parlano in modo così suggestivo. Tale fatica della
coscienza determina anche le vie delle conversioni umane: il voltare le
spalle al peccato, per ricostruire la verità e l'amore nel cuore stesso
dell'uomo. Si sa che riconoscere il male in se stessi a volte costa molto. Si
sa che la coscienza non solo comanda o proibisce, ma giudica alla luce degli
ordini e divieti interiori. Essa é anche fonte di rimorsi: l'uomo soffre
interiormente a causa del male commesso. Non è questa sofferenza quasi un'eco
lontana di quel «pentimento di aver creato l'uomo», che con linguaggio
antropomorfico il Libro sacro attribuisce a Dio? di quella «riprovazione»
che, inscrivendosi nel «cuore» della Trinità, in forza dell'eterno amore si
traduce nel dolore della Croce, nell'obbedienza di Cristo fino alla morte?
Quando lo Spirito di verità consente alla coscienza umana di partecipare a
quel dolore, allora la sofferenza della coscienza diventa particolarmente
profonda, ma anche particolarmente salvifica. Allora, mediante un atto di
contrizione perfetta, si opera l'autentica conversione del cuore: è
l'evangelica «métanoia». La fatica del cuore umano, la fatica della
coscienza, in cui si compie questa «métanoia», o conversione, è il riflesso
di quel processo per cui la riprovazione viene trasformata in amore
salvifico, che sa soffrire. Il dispensatore nascosto di questa forza
salvatrice è lo Spirito Santo: egli, che viene chiamato dalla Chiesa «luce
delle coscienze», penetra e riempie «la profondità dei cuori» umani. Mediante
una tale conversione nello Spirito Santo, l'uomo si apre al perdono, alla
remissione dei peccati E in tutto questo mirabile dinamismo della
conversione-remissione, si conferma la verità di ciò che scrive sant'Agostino
sul mistero dell'uomo, commentando le parole del Salmo: «L'abisso chiama
l'abisso». Proprio nei riguardi di questa «abissale profondità» dell'uomo
della coscienza umana, si compie la missione del Figlio e dello Spirito
Santo. Lo Spirito Santo «viene» in forza della «dipartita» di Cristo nel
mistero pasquale: viene in ogni fatto concreto di conversione-remissione, in
forza del sacrificio della Croce: in esso, infatti, «il sangue di Cristo...
purifica le coscienze dalle opere morte, per servire il Dio vivente». Si
adempiono così di continuo le parole sullo Spirito Santo come «un altro
consolatore», le parole rivolte nel Cenacolo agli apostoli e indirettamente a
tutti: «Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi sarà in voi». 6. Il peccato contro lo Spirito
Santo 46. Sullo sfondo di ciò che abbiamo detto
finora, diventano più comprensibili alcune altre parole, impressionanti e
sconvolgenti, di Gesù. Le potremmo chiamare le parole del «non-perdono». Esse
ci sono riferite dai Sinottici in rapporto ad un particolare peccato, che è
chiamato «bestemmia contro lo Spirito Santo». Eccole come sono state riferite
nella triplice loro redazione. Matteo: «Qualunque peccato e bestemmia sarà
perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata.
A chiunque parlerà male del Figlio dell'uomo sarà perdonato; ma la bestemmia
contro lo Spirito non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in quello
futuro». Marco: «Tutti i peccati saranno perdonati ai
figli degli uomini, e anche tutte le bestemmie che diranno, ma chi avrà
bestemmiato contro lo Spirito Santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di
colpa eterna». Luca: «Chiunque parlerà contro il Figlio
dell'uomo gli sarà perdonato, ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo non sarà
perdonato». Perché la bestemmia contro lo Spirito
Santo è imperdonabile? Come intendere questa bestemmia? Risponde
san Tommaso d'Aquino che si tratta di un peccato: «irremissibile secondo la sua natura, in
quanto esclude quegli elementi, grazie ai quali avviene la remissione dei
peccati». Secondo una tale esegesi la «bestemmia» non consiste propriamente
nell'offendere con le parole lo Spirito Santo; consiste, invece, nel rifiuto
di accettare la salvezza che Dio offre all'uomo mediante lo Spirito Santo,
operante in virtù del sacrificio della Croce. Se l'uomo rifiuta quel
«convincere quanto al peccato», che proviene dallo Spirito Santo ed ha
carattere salvifico, egli insieme rifiuta la «venuta» del consolatore -
quella «venuta» che si è attuata nel mistero pasquale, in unità con la
potenza redentrice del sangue di Cristo: il sangue che «purifica la coscienza
dalle opere morte». Sappiamo che frutto di una tale purificazione è la
remissione dei peccati. Pertanto, chi rifiuta lo Spirito e il sangue rimane
nelle «opere morte», nel peccato. E la bestemmia contro lo Spirito Santo
consiste proprio nel rifiuto radicale di accettare questa remissione, di cui
egli è l'intimo dispensatore e che presuppone la reale conversione, da lui
operata nella coscienza. Se Gesù dice che la bestemmia contro lo Spirito
Santo non può essere rimessa né in questa vita né in quella futura, è perché
questa «non-remissione» è legata, come a sua causa, alla «non penitenza»,
cioè al radicale rifiuto di convertirsi. Il che significa il rifiuto di
raggiungere le fonti della redenzione, le quali, tuttavia, rimangono «sempre»
aperte nell'economia della salvezza, in cui si compie la missione dello
Spirito Santo. Questi ha l'infinita potenza di attingere a queste fonti: «Prenderà
del mio», ha detto Gesù. In questo modo egli completa nelle anime umane
l'opera della redenzione, compiuta da Cristo, dispensandone i frutti. Ora la
bestemmia contro lo Spirito Santo è il peccato commesso dall'uomo, che
rivendica un suo presunto «diritto» di perseverare nel male - in qualsiasi
peccato - e rifiuta così la redenzione. L'uomo resta chiuso nel peccato,
rendendo da parte sua impossibile la sua conversione e, dunque, anche la
remissione dei peccati, che ritiene non essenziale o non importante per la
sua vita. È, questa, una condizione di rovina spirituale, perché la bestemmia
contro lo Spirito Santo non permette all'uomo di uscire dalla sua
autoprigionia e di aprirsi alle fonti divine della purificazione delle
coscienze e della remissione dei peccati. 47. L'azione dello Spirito di verità, che
tende al salvifico «convincere quanto al peccato», incontra nell'uomo che si
trova in tale condizione una resistenza interiore, quasi un'impermeabilità
della coscienza, uno stato d'animo che si direbbe consolidato in ragione di
una libera scelta: è ciò che la Sacra Scrittura di solito chiama «durezza di
cuore». Nella nostra epoca a questo atteggiamento di mente e di cuore
corrisponde forse la perdita del senso del peccato, alla quale dedica molte
pagine l'Esortazione Apostolica Reconciliatio et paenitentia. Già il Papa Pio
XII aveva affermato che «il peccato del secolo è la perdita del senso del
peccato», e tale perdita va di pari passo con la «perdita del senso di Dio».
Nell'Esortazione citata leggiamo: «In realtà, Dio è la radice e il fine
supremo dell'uomo, e questi porta in sé un germe divino. Perciò, è la realtà
di Dio che svela e illumina il mistero dell'uomo. È vano, quindi, sperare che
prenda consistenza un senso del peccato nei confronti dell'uomo e dei valori
umani, se manca il senso dell'offesa commessa contro Dio, cioè il senso vero
del peccato». La Chiesa, perciò, non cessa di implorare da Dio la grazia che
non venga meno la rettitudine nelle coscienze umane, che non si attenui la
loro sana sensibilità dinanzi al bene e al male. Questa rettitudine e
sensibilità sono profondamente legate all'intima azione dello Spirito di
verità. In questa luce acquistano particolare eloquenza le esortazioni
dell'Apostolo: «Non spegnete lo Spirito». «Non vogliate rattristare lo
Spirito Santo». Soprattutto, però, la Chiesa non cessa di implorare con sommo
fervore che non aumenti nel mondo quel peccato chiamato dal Vangelo
«bestemmia contro lo Spirito Santo»; che esso, anzi, retroceda nelle anime
degli uomini - e per riflesso negli stessi ambienti e nelle varie forme della
società -, cedendo il posto all'apertura delle coscienze, necessaria per
l'azione salvifica dello Spirito Santo. La Chiesa implora che il pericoloso
peccato contro lo Spirito lasci il posto ad una santa disponibilità ad
accettare la sua missione di consolatore, quando egli viene per «convincere
il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio». 48. Nel suo discorso di addio Gesù ha
unito questi tre àmbiti del «convincere» come componenti della missione del
Paraclito: il peccato, la giustizia e il giudizio. Essi segnano lo spazio di
quel mistero della pietà, che nella storia dell'uomo si oppone al peccato, al
mistero dell'iniquità. Da un lato, come si esprime sant'Agostino, c'è
l'«amore di sé fino al disprezzo di Dio»; dall'altro, c'è l'«amore di Dio
fino al disprezzo di sé». La Chiesa di continuo innalza la sua preghiera e
presta il suo servizio, perché la storia delle coscienze e la storia delle
società nella grande famiglia umana non si abbassino verso il polo del
peccato col rifiuto dei comandamenti divini «fino al disprezzo di Dio», ma
piuttosto si elevino verso l'amore, in cui si rivela lo Spirito che dà la
vita. Coloro che si lasciano «convincere quanto al peccato» dallo Spirito
Santo, si lasciano anche convincere quanto «alla giustizia e al giudizio». Lo
Spirito di verità, che aiuta gli uomini, le coscienze umane, a conoscere la
verità del peccato, al tempo stesso fa sì che conoscano la verità di quella
giustizia che entrò nella storia dell'uomo con Gesù Cristo. In questo modo,
coloro che «convinti del peccato» si convertono sotto l'azione del
consolatore, vengono, in un certo senso, condotti fuori dall'orbita del
«giudizio»: di quel «giudizio», col quale «il principe di questo mondo è stato
giudicato». La conversione, nella profondità del suo mistero divino-umano,
significa la rottura di ogni vincolo col quale il peccato lega l'uomo
nell'insieme del mistero dell'iniquità. Coloro che si convertono, dunque,
vengono condotti dallo Spirito Santo fuori dall'orbita del «giudizio», e
introdotti in quella giustizia, che è in Cristo Gesù, e vi è perché la riceve
dal Padre, come un riflesso della santità trinitaria. Questa è la giustizia
del Vangelo e della redenzione, la giustizia del Discorso della montagna e
della Croce, che opera la purificazione della coscienza mediante il sangue
dell'Agnello. È la giustizia che il Padre rende al Figlio ed a tutti coloro,
che sono uniti a lui nella verità e nell'amore. In questa giustizia lo
Spirito Santo, Spirito del Padre e del Figlio, che «convince il mondo quanto
al peccato», si rivela e si rende presente nell'uomo come Spirito di vita
eterna. PARTE
III LO
SPIRITO CHE DÀ LA VITA 1. Motivo del Giubileo del Duemila:
Cristo, il quale fu concepito di Spirito Santo 49. Allo Spirito Santo si volgono il
pensiero e il cuore della Chiesa in questa fine del ventesimo secolo e nella
prospettiva del terzo Millennio dalla venuta di Gesù Cristo nel mondo, mentre
guardiamo verso il grande Giubileo con cui la Chiesa celebrerà l'evento. Tale
venuta, infatti, si misura, secondo il computo del tempo, come un evento che
appartiene alla storia dell'uomo sulla terra. La misura del tempo adoperata
comunemente definisce gli anni, i secoli e i millenni secondo che trascorrono
prima o dopo la nascita di Cristo. Ma bisogna anche tener presente che questo
evento significa per noi cristiani, secondo l'Apostolo, la «pienezza del
tempo», perché in esso la storia dell'uomo è stata completamente penetrata
dalla «misura» di Dio stesso: una trascendente presenza del «nunc» eterno.
«Colui che è che era e che viene». colui che è «l'alfa e l'omega, il primo e
l'ultimo, il principio e la fine». «Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da
dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma
abbia la vita eterna». «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo
Figlio, nato da donna..., perché ricevessimo l'adozione a figli». E questa
incarnazione del Figlio-Verbo è avvenuta per opera dello Spirito Santo. I due
evangelisti, ai quali dobbiamo il racconto della nascita e dell'infanzia di
Gesù di Nazareth, si pronunciano in questa questione allo stesso modo.
Secondo Luca all'annunciazione della nascita di Gesù, Maria domanda «Come
avverrà questo? Non conosco uomo», e riceve questa risposta: «Lo Spirito
Santo scenderà su di te, su di te stenderà la sua ombra la potenza
dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà, dunque, santo e chiamato Figlio di
Dio». Matteo narra direttamente: «Ecco come avvenne la nascita di Gesù
Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che
andassero a vivere insieme, si trovò incinta per opera dello Spirito Santo».
Turbato da questo stato di cose, Giuseppe riceve durante il sonno la seguente
spiegazione: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che
è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Essa partorirà un figlio, e tu
lo chiamerai Gesù: egli, infatti, salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Perciò, la Chiesa sin dall'inizio professa il mistero dell'incarnazione, questo
mistero-chiave della fede, riferendosi allo Spirito Santo. Recita il Simbolo
Apostolico: «Il quale fu concepito di Spirito Santo, nacque da Maria
Vergine». Non diversamente il Simbolo niceno-costantinopolitano attesta: «Per
opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è
fatto uomo». «Per opera dello Spirito Santo» si è fatto uomo colui che la
Chiesa, con le parole dello stesso Simbolo, confessa essere Figlio
consostanziale al Padre: «Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero,
generato, non creato». Si è fatto uomo «incarnandosi nel seno della Vergine
Maria». Ecco che cosa si è compiuto, quando «venne la pienezza del tempo». 50. Il grande Giubileo, conclusivo del
secondo Millennio, al quale la Chiesa già si prepara, ha direttamente un
profilo cristologico: si tratta, infatti, di celebrare la nascita di Gesù
Cristo. Nello stesso tempo, esso ha un profilo pneumatologico, poiché il
mistero dell'incarnazione si è compiuto «per opera dello Spirito Santo». L'ha
«operato» quello Spirito che - consostanziale al Padre e al Figlio - è,
nell'assoluto mistero di Dio uno e trino, la Persona-amore, il dono increato,
che è fonte eterna di ogni elargizione proveniente da Dio nell'ordine della
creazione, il principio diretto e, in certo senso, il soggetto
dell'autocomunicazione di Dio nell'ordine della grazia. Di questa
elargizione, di questa divina autocomunicazione il mistero dell'incarnazione
costituisce il culmine. In effetti, la concezione e la nascita di Gesù Cristo
sono la più grande opera compiuta dallo Spirito Santo nella storia della
creazione e della salvezza: la suprema grazia - la «grazia dell'unione»,
fonte di ogni altra grazia come spiega san Tommaso. A questa opera si
riferisce il grande Giubileo e si riferisce anche - se penetriamo nel suo
profondo - all'artefice di quest'opera, alla Persona dello Spirito Santo.
Alla «pienezza del tempo» corrisponde, infatti, una particolare pienezza
dell'autocomunicazione di Dio uno e trino nello Spirito Santo. «Per opera
dello Spirito Santo» si compie il mistero dell'«unione ipostatica», cioè
dell'unione della natura divina e della natura umana della divinità e
dell'umanità nell'unica Persona del Verbo-Figlio. Quando Maria, al momento
dell'annunciazione, pronuncia il suo «fiat»: «Avvenga di me quello che hai
detto», ella concepisce in modo verginale un uomo, il Figlio dell'uomo, che è
il Figlio di Dio. Mediante una tale «umanizzazione» del Verbo-Figlio,
l'autocomunicazione di Dio raggiunge la sua pienezza definitiva nella storia
della creazione e della salvezza. Questa pienezza acquista una particolare
densità ed eloquenza espressiva nel testo del Vangelo di Giovanni: «Il Verbo
si fece carne». L'incarnazione di Dio-Figlio significa l'assunzione all'unità
con Dio non solo della natura umana, ma in essa, in un certo senso, di tutto
ciò che è «carne»: di tutta l'umanità, di tutto il mondo visibile e
materiale. L'incarnazione, dunque, ha anche un suo significato cosmico, una
sua cosmica dimensione. Il «generato prima di ogni creatura», incarnandosi nell'umanità
individuale di Cristo, si unisce in qualche modo con l'intera realtà
dell'uomo, il quale è anche «carne» - e in essa con ogni «carne», con tutta
la creazione. 51. Tutto ciò si compie per opera dello
Spirito Santo e dunque, appartiene al contenuto del futuro grande Giubileo.
La Chiesa non può prepararsi ad esso in nessun altro modo, se non nello
Spirito Santo. Ciò che «nella pienezza del tempo» si è compiuto per opera
dello Spirito Santo, solo per opera sua può ora emergere dalla memoria della
Chiesa. Per opera sua può rendersi presente nella nuova fase della storia
dell'uomo sulla terra: l'anno Duemila dalla nascita di Cristo. Lo Spirito
Santo, che con la sua potenza adombrò il corpo verginale di Maria, dando in
lei inizio alla maternità divina, nello stesso tempo rese il suo cuore
perfettamente obbediente nei riguardi di quell'autocomunicazione di Dio, che
superava ogni concetto e ogni facoltà dell'uomo. «Beata colei che ha
creduto!»: così viene salutata Maria dalla sua parente Elisabetta, anche lei
«piena di Spirito Santo». Nelle parole di saluto a colei che «ha creduto»
sembra delinearsi un lontano (ma, in effetti, molto vicino) contrasto nei
riguardi di tutti coloro, dei quali Cristo dirà che «non hanno creduto».
Maria è entrata nella storia della salvezza del mondo mediante l'obbedienza
della fede. E la fede, nella sua più profonda essenza, é l'apertura del cuore
umano davanti al dono: davanti all'autocomunicazione di Dio nello Spirito
Santo. Scrive san Paolo: «Il Signore è lo Spirito, e dove c'è lo Spirito del
Signore, c'è libertà». Quando Dio uno e trino si apre all'uomo nello Spirito
Santo, questa sua «apertura» rivela ed insieme dona alla creatura-uomo la
pienezza della libertà. Tale pienezza si è manifestata in modo sublime
proprio mediante la fede di Maria, mediante «l'obbedienza della fede»
davvero, «beata colei che ha creduto!». 2. Motivo del Giubileo: si è
manifestata la grazia 52. Nel mistero dell'incarnazione l'opera
dello Spirito, «che dà la vita», raggiunge il suo vertice. Non è possibile
dare la vita, che in Dio è in modo pieno, che facendo di essa la vita di un
Uomo, quale è Cristo nella sua umanità personalizzata dal Verbo nell'unione
ipostatica. E, al tempo stesso, col mistero dell'incarnazione si apre in modo
nuovo la fonte di questa vita divina nella storia dell'umanità: lo Spirito
Santo. Il Verbo, «generato prima di ogni creatura», diventa «il primogenito
tra molti fratelli» e così diventa anche il capo del corpo che è la Chiesa,
la quale nascerà sulla Croce e sarà rivelata il giorno della Pentecoste - e
nella Chiesa, il capo dell'umanità: degli uomini di ogni nazione, di ogni
razza, di ogni paese e cultura, di ogni lingua e continente, tutti chiamati
alla salvezza. «Il Verbo si fece carne, (quel Verbo in cui) era la vita e la
vita era la luce degli uomini... A quanti l'hanno accolto ha dato potere di
diventare figli di Dio». Ma tutto ciò si è compiuto ed incessantemente si
compie «per opera dello Spirito Santo». «Figli di Dio», infatti, sono - come
insegna l'Apostolo - «tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio». La
figliolanza dell'adozione divina nasce negli uomini sulla base del mistero
dell'incarnazione, dunque grazie a Cristo, l'eterno Figlio. Ma la nascita, o
rinascita, avviene quando Dio Padre «manda nei nostri cuori lo Spirito del
suo Figlio». Allora, infatti, «riceviamo uno spirito da figli adottivi per
mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!"». Pertanto, quella
figliolanza di Dio innestata nell'anima umana con la grazia santificante, è
opera dello Spirito Santo. «Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che
siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio,
coeredi di Cristo». La grazia santificante è nell'uomo il principio e la
fonte della nuova vita: vita divina, soprannaturale. L'elargizione di questa
nuova vita è come la risposta definitiva di Dio alle parole del Salmista,
nelle quali in certo modo risuona la voce di tutte le creature: «Se mandi il
tuo Spirito saranno creati e rinnoverai la faccia della terra». Colui che nel
mistero della creazione dà all'uomo e al cosmo la vita nelle sue molteplici
forme visibili ed invisibili, egli ancora la rinnova mediante il mistero
dell'incarnazione. La creazione viene così completata dall'incarnazione e
permeata fin da quel momento dalle forze della redenzione, che investono
l'umanità e tutto il creato. Ce lo dice san Paolo, la cui visione
cosmico-teologica sembra riprendere la voce dell'antico Salmo: la creazione
«attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio», ossia di coloro che
Dio, avendoli «da sempre conosciuti», ha anche «predestinati ad essere
conformi all'immagine del Figlio suo». Si ha così una soprannaturale
«adozione» degli uomini, di cui è origine lo Spirito Santo, amore e dono.
Come tale egli viene elargito agli uomini E nella sovrabbondanza del dono
increato ha inizio, nel cuore di ogni uomo, quel particolare dono creato,
mediante il quale gli uomini «diventano partecipi della natura divina». Così
la vita umana viene penetrata per partecipazione dalla vita divina ed
acquista anch'essa una dimensione divina, soprannaturale. Si ha la nuova
vita, nella quale, come partecipi del mistero dell'incarnazione, «gli uomini
nello Spirito Santo hanno accesso al Padre». Vi è, dunque, una stretta
relazione tra lo Spirito, che dà la vita, e la grazia santificante e quella
molteplice vitalità soprannaturale, che ne deriva nell'uomo: tra lo Spirito
increato e lo spirito umano creato. 53. Si può dire che tutto ciò rientra
nell'ambito del grande Giubileo, sopra menzionato. Bisogna, infatti,
oltrepassare la dimensione storica del fatto, considerato nella sua
superficie. Bisogna raggiungere, nello stesso contenuto cristologico del
fatto, la dimensione pneumatologica, abbracciando con lo sguardo della fede i
due millenni dell'azione dello Spirito di verità, il quale, attraverso i
secoli, ha attinto dal tesoro della redenzione di Cristo dando agli uomini la
nuova vita, operando in essi l'adozione nel Figlio unigenito, santificandoli,
sicché essi possono ripetere con san Paolo: «Abbiamo ricevuto lo Spirito di
Dio». Ma, seguendo questo motivo del Giubileo, non è possibile limitarsi ai
duemila anni trascorsi dalla nascita di Cristo. Bisogna risalire indietro,
abbracciare tutta l'azione dello Spirito Santo anche prima di Cristo--sin dal
principio, in tutto il mondo e, specialmente, nell'economia dell'Antica
Alleanza. Questa azione, infatti, in ogni luogo e in ogni tempo, anzi in ogni
uomo, si è svolta secondo l'eterno piano di salvezza, per il quale essa è
strettamente unita al mistero dell'incarnazione e della redenzione, che a sua
volta esercitò il suo influsso nei credenti in Cristo venturo. Ciò è
attestato in modo particolare nella Lettera agli Efesini. La grazia,
pertanto, porta congiuntamente in sé una caratteristica cristologica ed
insieme pneumatologica, che si verifica soprattutto in coloro che
espressamente aderiscono al Cristo: «In lui (in Cristo)... avete ricevuto il
suggello dello Spirito Santo, che era stato promesso, il quale è caparra
della nostra eredità in attesa della completa redenzione». Ma, sempre nella
prospettiva del grande Giubileo, dobbiamo anche guardare più ampiamente e
andare «al largo», sapendo che «il vento soffia dove vuole», secondo
l'immagine usata da Gesù nel colloquio con Nicodemo. Il Concilio Vaticano II,
concentrato soprattutto sul tema della Chiesa, ci ricorda l'azione dello
Spirito Santo anche «al di fuori» del corpo visibile della Chiesa. Esso parla
appunto di «tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore opera
invisibilmente la grazia. Cristo infatti, è morto per tutti e la vocazione
ultima dell'uomo è effettivamente una sola, quella divina; perciò, dobbiamo
ritenere che lo Spirito Santo dia a tutti, nel modo che Dio conosce, la
possibilità di essere associati al mistero pasquale». 54. «Dio è spirito, e quelli che lo adorano
devono adorarlo in spirito e verità». Queste parole Gesù le ha dette in un
altro suo colloquio: quello con la Samaritana. Il grande Giubileo, che si
celebrerà al termine di questo Millennio ed all'inizio di quello successivo,
deve costituire un potente appello rivolto a tutti coloro che «adorano Dio in
spirito e verità». Deve essere per tutti una speciale occasione per meditare
il mistero di Dio uno e trino, il quale in se stesso è completamente
trascendente nei riguardi del mondo, specialmente del mondo visibile: è
infatti, Spirito assoluto, «Dio è spirito» ed insieme, in modo mirabile, è
non solo vicino a questo mondo, ma vi è presente e, in certo senso,
immanente, lo compenetra e vivifica dall'interno. Ciò vale in modo speciale
per l'uomo: Dio è nell'intimo del suo essere, come pensiero, coscienza,
cuore; e realtà psicologica e ontologica, considerando la quale sant'Agostino
diceva di lui: «È più intimo del mio intimo». Queste parole ci aiutano a
capir meglio quelle rivolte da Gesù alla Samaritana: «Dio è spirito». Solo lo
Spirito può essere «più intimo del mio intimo» sia nell'essere, sia
nell'esperienza spirituale; solo lo Spirito può essere tanto immanente
nell'uomo e nel mondo, permanendo inviolabile e immutabile nella sua assoluta
trascendenza. Ma in modo nuovo e in forma visibile la presenza divina nel
mondo e nell'uomo si è manifestata in Gesù Cristo. In lui davvero «è apparsa
la grazia». L'amore di Dio Padre, dono, grazia infinita, principio di vita, è
divenuto palese in Cristo, e nell'umanità di lui si è fatto «parte»
dell'universo, del genere umano, della storia. Quell'«apparizione» della
grazia nella storia dell'uomo, mediante Gesù Cristo, si è compiuta per opera
dello Spirito Santo, che è il principio di ogni azione salvifica di Dio nel
mondo: egli, «Dio nascosto», che come amore e dono «riempie l'universo».
Tutta la vita della Chiesa, quale si manifesterà nel grande Giubileo,
significa andare incontro al Dio nascosto: incontro allo Spirito, che dà la
vita. 3. Lo Spirito Santo nel dissidio
interno dell'uomo: la carne ha desideri contrari allo spirito, e lo spirito
ha desideri contrari alla carne. 55. Purtroppo, risulta dalla storia della
salvezza che quel farsi vicino e presente di Dio all'uomo e al mondo, quella
mirabile «condiscendenza» dello Spirito incontra nella nostra realtà umana
resistenza ed opposizione. Quanto sono eloquenti da questo punto di vista le
parole profetiche del vegliardo di nome Simeone, il quale «mosso dallo
Spirito» si recò al tempio di Gerusalemme, per annunciare davanti al bambino
di Betlemme che «egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in
Israele, segno di contraddizione». L'opposizione a Dio, che è Spirito
invisibile, nasce in una certa misura già sul terreno della radicale
diversità del mondo da lui, cioè dalla sua «visibilità» e «materialità» in
rapporto a lui «invisibile» e «assoluto Spirito»; dalla sua essenziale e
inevitabile imperfezione in rapporto a lui, essere perfettissimo. Ma
l'opposizione diventa conflitto, ribellione sul terreno etico per quel peccato
che prende possesso del cuore umano, nel quale «la carne... ha desideri
contrari allo spirito, e lo spirito ha desideri contrari alla carne». Di
questo peccato lo Spirito Santo deve «convincere il mondo», come abbiamo
detto. San Paolo è colui che in modo particolarmente eloquente descrive la
tensione e la lotta, che agita il cuore umano. «Vi dico dunque - leggiamo
nella Lettera ai Galati - : camminate secondo lo spirito, e non sarete
portati a soddisfare i desideri della carne; la carne, infatti, ha desideri
contrari allo spirito, e lo spirito ha desideri contrari alla carne; queste
cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste». Già
nell'uomo come essere composto, spirituale-corporale, esiste una certa
tensione, si svolge una certa lotta di tendenze tra lo «spirito» e la
«carne». Ma essa di fatto appartiene all'eredità del peccato, ne è una
conseguenza e, nello stesso tempo, una conferma. Essa fa parte
dell'esperienza quotidiana. Come scrive l'Apostolo: «Del resto, le opere della
carne sono ben note: fornicazione, impurità, libertinaggio, ubriachezze, orge
e cose del genere». Sono i peccati che si potrebbero definire «carnali». Ma
l'Apostolo ne aggiunge anche altri: «Inimicizie, discordia, gelosia,
dissensi, divisioni, fazioni, invidie». Tutto questo costituisce «le opere
della carne». Ma a queste opere, che sono indubbiamente cattive, Paolo
contrappone «il frutto dello Spirito», come «amore, gioia, pace, pazienza,
benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé». Dal contesto risulta
chiaro che per l'Apostolo non si tratta di discriminare e di condannare il
corpo, che con l'anima spirituale costituisce la natura dell'uomo e la sua
soggettività personale; egli tratta, invece, delle opere, o meglio delle
stabili disposizioni - virtù e vizi - moralmente buone o cattive, che sono
frutto di sottomissione (nel primo caso) oppure di resistenza (nel secondo)
all'azione salvifca dello Spirito Santo. Perciò, l'Apostolo scrive: «Se
pertanto viviamo dello spirito, camminiamo anche secondo lo spirito». E in
altri passi: «Coloro infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose
della carne; quelli, invece, che vivono secondo lo spirito, alle cose dello
spirito»; «Viviamo, infatti, sotto il dominio dello spirito, dal momento che
lo Spirito di Dio abita in noi». La contrapposizione che san Paolo stabilisce
tra la vita «secondo lo spirito» e la vita «secondo la carne», genera
un'ulteriore contrapposizione: quella della «vita» e della «morte». «I
desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello spirito
portano alla vita e alla pace»; di qui l'ammonimento: «Se vivete secondo la
carne, voi morirete; se, invece, con l'aiuto dello Spirito fate morire le
opere del corpo, voi vivrete». A ben considerare, questa è un'esortazione a vivere
nella verità, cioè secondo i dettami della retta coscienza e, nello stesso
tempo, è una professione di fede nello Spirito di verità, come in colui che
dà la vita. Il corpo, infatti, «è morto a causa del peccato, ma lo spirito è
vita a causa della giustificazione»; «Così dunque... siamo debitori, ma non
verso la carne per vivere secondo la carne». Siamo piuttosto debitori a
Cristo, che nel mistero pasquale ha operato la nostra giustificazione,
ottenendo a noi lo Spirito Santo: «Infatti, siamo stati comprati a caro
prezzo». Nei testi di san Paolo si sovrappongono--e reciprocamente si
compenetrano - la dimensione ontologica (la carne e lo spirito), quella etica
(il bene e il male morale), quella pneumatologica (l'azione dello Spirito
Santo nell'ordine della grazia). Le sue parole (specialmente nelle Lettere ai
Romani e ai Galati ci fanno conoscere e sentire al vivo la grandezza di
quella tensione e lotta, che si svolge nell'uomo tra l'apertura verso
l'azione dello Spirito Santo e la resistenza e l'opposizione a lui, al suo
dono salvifìco. I termini o poli contrapposti sono, da parte dell'uomo, la
sua limitatezza e peccaminosità, punti nevralgici della sua realtà
psicologica ed etica; e, da parte di Dio, il mistero del dono,
quell'incessante donarsi della vita divina nello Spirito Santo. Di chi sarà
la vittoria? Di chi avrà saputo accogliere il dono. 56. Purtroppo, la resistenza allo Spirito
Santo, che san Paolo sottolinea nella dimensione interiore e soggettiva come
tensione, lotta, ribellione che avviene nel cuore umano, trova nelle varie
epoche della storia e, specialmente, nell'epoca moderna la sua dimensione
esteriore, concretizzandosi come contenuto della cultura e della civiltà,
come sistema filosofico, come ideologia, come programma di azione e di formazione
dei comportamenti umani. Essa trova la sua massima espressione nel
materialismo, sia nella sua forma teorica - come sistema di pensiero, sia
nella sua forma pratica - come metodo di lettura e di valutazione dei fatti e
come programma, altresì, di condotta corrispondente. Il sistema che ha dato
il massimo sviluppo e ha portato alle estreme conseguenze operative questa
forma di pensiero, di ideologia e di prassi, è il materialismo dialettico e
storico, riconosciuto tuttora come sostanza vitale del marxismo. In linea di
principio e di fatto il materialismo esclude radicalmente la presenza e
l'azione di Dio, che è spirito nel mondo e, soprattutto, nell'uomo per la
fondamentale ragione che non accetta la sua esistenza, essendo un sistema
essenzialmente e programmaticamente ateo. È il fenomeno impressionante del
nostro tempo, al quale il Concilio Vaticano II ha dedicato alcune pagine
significative: l'ateismo. Anche se non si può parlare dell'ateismo in modo
univoco né si può ridurlo esclusivamente alla filosofia materialistica, dato
che esistono varie specie di ateismo e forse si può dire che spesso si usa
tale parola in senso equivoco, tuttavia è certo che un vero e proprio
materialismo, inteso come teoria che spiega la realtà e assunto come
principio-chiave dell'azione personale e sociale, ha carattere ateo.
L'orizzonte dei valori e dei fini dell'agire, che esso delinea, è
strettamente legato all'interpretazione come «materia» di tutta la realtà. Se
esso parla a volte anche dello «spirito e delle questioni dello spirito», per
esempio nel campo della cultura o della morale, ciò fa soltanto in quanto
considera certi fatti come derivati (epifenomeni) dalla materia, la quale
secondo questo sistema è l'unica ed esclusiva forma dell'essere. Ne consegue
che, secondo tale interpretazione, la religione può essere intesa solamente
come una specie di «illusione idealistica», da combattere nei modi e con i
metodi più opportuni secondo i luoghi e le circostanze storiche, per
eliminarla dalla società e dal cuore stesso dell'uomo. Si può dire, pertanto,
che il materialismo è lo sviluppo sistematico e coerente di quella
«resistenza» e opposizione, denunciate da san Paolo con le parole: «La carne
ha desideri contrari allo spirito». Questa conflittualità è, però, reciproca,
come mette in rilievo l'Apostolo nella seconda parte del suo aforisma: «Lo
spirito ha desideri contrari alla carne». Chi vuole vivere secondo lo Spirito
nell'accettazione e nella corrispondenza alla sua azione salvifica, non può
non respingere le tendenze e le pretese, interne ed esterne, della «carne»,
anche nella sua espressione ideologica e storica di «materialismo»
antireligioso. Su questo sfondo così caratteristico del nostro tempo si
devono sottolineare i «desideri dello spirito» nei preparativi al grande Giubileo,
come richiami che risuonano nella notte di un nuovo tempo di avvento, in
fondo al quale, come duemila anni fa, «ogni uomo vedrà la salvezza di Dio».
Questa è una possibilità e una speranza, che la Chiesa affida agli uomini di
oggi. Essa sa che l'incontro-scontro, tra i «desideri contrari allo spirito»,
che caratterizano tanti aspetti della civiltà contemporanea, specialmente in
alcuni suoi àmbiti, e i «desideri contrari alla carne», con l'avvicinarsi di
Dio, con la sua incarnazione, con la sua sempre nuova comunicazione nello
Spirito Santo, può presentare in molti casi un carattere drammatico e forse
risolversi in nuove sconfitte umane. Ma essa crede fermamente che, da parte
di Dio, è sempre un comunicarsi salvifico, una venuta salvifica e, semmai, un
salvifico «convincere del peccato» ad opera dello Spirito. 57. Nella contrapposizione paolina dello
«spirito» e della «carne» è inscritta anche la contrapposizione della «vita»
e della «morte». Grave problema, questo, circa il quale bisogna dire subito che
il materialismo, come sistema di pensiero, in ogni sua versione, significa
l'accettazione della morte quale definitivo termine dell'esistenza umana.
Tutto ciò che è materiale, è corruttibile e, perciò, il corpo umano (in
quanto «animale») è mortale. Se l'uomo nella sua essenza è solo «carne», la
morte rimane per lui un confine e un termine invalicabile. Allora si capisce
come si possa dire che la vita umana è esclusivamente un «esistere per
morire». Bisogna aggiungere che sull'orizzonte della civiltà contemporanea -
specialmente di quella più sviluppata in senso tecnico-scientifico - i segni
e i segnali di morte sono diventati particolarmente presenti e frequenti.
Basti pensare alla corsa agli armamenti e al pericolo, in essa insito, di
un'autodistruzione nucleare. D'altra parte, si è rivelata sempre più a tutti
la grave situazione di vaste regioni del nostro pianeta, segnate
dall'indigenza e dalla fame apportatrici di morte. Si tratta di problemi che
non sono solo economici, ma anche e prima di tutto etici. Senonché,
sull'orizzonte della nostra epoca si addensano «segni di morte» anche più
cupi: si è diffuso il costume - che in alcuni luoghi rischia di diventare
quasi un'istituzione - di togliere la vita agli esseri umani prima ancora
della loro nascita, o anche prima che siano arrivati al naturale traguardo
della morte. E ancora: nonostante tanti nobili sforzi in favore della pace,
sono scoppiate e sono in corso nuove guerre, che privano della vita o della
salute centinaia di migliaia di uomini. E come non ricordare gli attentati
alla vita umana da parte del terrorismo, organizzato anche su scala
internazionale? Purtroppo, questo è solo un abbozzo parziale ed incompleto
del quadro di morte che si sta componendo nella nostra epoca, mentre ci
avviciniamo sempre di più alla fine del secondo Millennio cristiano. Dalle
tinte fosche della civiltà materialistica e, in particolare, da quei segni di
morte che si moltiplicano nel quadro sociologico-Storico, in cui essa si è
attuata, non sale forse una nuova invocazione, più o meno consapevole, allo
Spirito che dà la vita? In ogni caso, anche indipendentemente dall'ampiezza
delle speranze o delle disperazioni umane, come delle illusioni o degli
inganni, derivanti dallo sviluppo dei sistemi materialistici di pensiero e di
vita, rimane la certezza cristiana che lo Spirito soffia dove vuole e che noi
possediamo «le primizie dello Spirito», e che perciò, possiamo anche essere
soggetti alle sofferenze dei tempo che passa, ma «gemiamo interiormente
aspettando... la redenzione del nostro corpo», ossia di tutto il nostro
essere umano, corporeo e spirituale. Gemiamo, sì, ma in un'attesa carica di
indefettibile speranza, perché proprio a questo essere umano si è avvicinato
Dio, che è Spirito. Dio Padre ha mandato «il proprio Figlio in una carne
simile a quella del peccato e, in vista del peccato, ha condannato il
peccato». Al culmine del mistero pasquale, il Figlio di Dio, fatto uomo e
crocifisso per i peccati del mondo, si è presentato in mezzo ai suoi apostoli
dopo la risurrezione, ha alitato su di loro e ha detto: «Ricevete lo Spirito
Santo». Questo «soffio» continua sempre. Ed ecco, «lo Spirito viene in aiuto
alla nostra debolezza». 4. Lo Spirito Santo nel
rafforzamento dell'«uomo interiore» 58. Il mistero della Risurrezione e della
Pentecoste è annunciato e vissuto dalla Chiesa, che è l'erede e la
continuatrice della testimonianza degli apostoli circa la risurrezione di
Gesù Cristo. Essa è la testimone perenne di questa vittoria sulla morte, che
ha rivelato la potenza dello Spirito Santo e ha determinato la sua nuova
venuta, la sua nuova presenza negli uomini e nel mondo. Infatti nella
risurrezione di Cristo lo Spirito Santo Paraclito si è rivelato soprattutto
come colui che dà la vita: «Colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la
vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito, che abita in
voi». Nel nome della risurrezione di Cristo la Chiesa annuncia la vita, che
si è manifestata oltre il limite della morte, la vita che è più forte della
morte. Al tempo stesso, essa annuncia colui che dà questa vita: lo Spirito
vivificatore; lo annuncia e con lui coopera nel dare la vita. Infatti, se «il
corpo è morto a causa del peccato..., lo spirito è vita a causa della
giustificazione», operata da Cristo crocifisso e risorto. E in nome della
risurrezione di Cristo la Chiesa serve la vita che proviene da Dio stesso, in
stretta unione ed in umile servizio allo Spirito. Proprio per questo servizio
l'uomo diventa in modo sempre nuovo la «via della Chiesa», come ho già detto
nell'Enciclica su Cristo Redentore ed ora ripeto in questa sullo Spirito
Santo. Unita con lo Spirito, la Chiesa è consapevole più di ogni altro della
realtà dell'uomo interiore, di ciò che nell'uomo è più profondo ed essenziale,
perché spirituale ed incorruttibile. A questo livello lo Spirito innesta la
«radice dell'immortalità», dalla quale spunta la nuova vita: cioè, la vita
dell'uomo in Dio, che, come frutto della sua autocomunicazione salvifica
nello Spirito Santo, può svilupparsi e consolidarsi solo sotto l'azione di
costui. Perciò, l'Apostolo si rivolge a Dio in favore dei credenti, ai quali
dichiara: «Piego le ginocchia davanti al Padre..., perché vi conceda... di
essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore». Sotto
l'influsso dello Spirito Santo matura e si rafforza quest'uomo interiore,
cioè «spirituale». Grazie alla divina comunicazione lo spirito umano, che
«conosce i segreti dell'uomo», si incontra con lo «Spirito che scruta le
profondità di Dio». In questo Spirito, che è il dono eterno, Dio uno e trino
si apre all'uomo, allo spirito umano. Il soffio nascosto dello Spirito divino
fa sì che lo spirito umano si apra, a sua volta, davanti all'aprirsi
salvifico e santificante di Dio. Per il dono della grazia, che viene dallo
Spirito, l'uomo entra in «una vita nuova», viene introdotto nella realtà
soprannaturale della stessa vita divina e diventa «dimora dello Spirito
Santo», «tempio vivente di Dio». Per lo Spirito Santo, infatti, il Padre e il
Figlio vengono a lui e prendono dimora presso di lui. Nella comunione di
grazia con la Trinità si dilata l'«area vitale» dell'uomo, elevata al livello
soprannaturale della vita divina. L'uomo vive in Dio e di Dio: vive «secondo
lo Spirito» e «pensa alle cose dello Spirito». 59. L'intima relazione con Dio nello
Spirito Santo fa sì che l'uomo comprenda in modo nuovo anche se stesso la
propria umanità. Viene così realizzata pienamente quell'immagine e
somiglianza di Dio, che è l'uomo sin dall'inizio. Tale intima verità
dell'essere umano deve essere di continuo riscoperta alla luce di Cristo, che
è il prototipo del rapporto con Dio, e, in lui, deve essere anche riscoperta
la ragione del «ritrovarsi pienamente attraverso un dono sincero di sé» con
gli altri uomini, come scrive il Concilio Vaticano II: proprio in ragione
della somiglianza divina che «manifesta che nella terra l'uomo... è l'unica
creatura che Dio abbia voluto per se stessa», nella sua dignità di persona,
ma aperta all'integrazione e alla comunione sociale. La conoscenza efficace e
l'attuazione piena di questa verità dell'essere avvengono solo per opera
dello Spirito Santo. L'uomo impara questa verità da Gesù Cristo e la attua
nella propria vita per opera dello Spirito, che egli stesso ci ha dato. Su questa
via - sulla via di una tale maturazione interiore, che include la piena
scoperta del senso dell'umanità - Dio si fa intimo all'uomo, penetra sempre
più a fondo in tutto il mondo umano. Dio uno e trino, che in se stesso
«esiste» come trascendente realtà di dono interpersonale, comunicandosi nello
Spirito Santo come dono all'uomo, trasforma il mondo umano dal di dentro,
dall'interno dei cuori e delle coscienze. Su questa via il mondo, reso
partecipe del dono divino, diventa - come insegna il Concilio - «sempre più
umano, sempre più profondamente umano», mentre in esso matura, mediante i
cuori e le coscienze degli uomini, il Regno in cui Dio sarà definitivamente
«tutto in tutti»: come dono e amore. Dono e amore: è questa l'eterna potenza
dell'aprirsi di Dio uno e trino all'uomo e al mondo, nello Spirito Santo.
Nella prospettiva dell'anno Duemila dalla nascita di Cristo si tratta di
ottenere che un numero sempre più grande di uomini «possa ritrovarsi
pienamente... attraverso un dono sincero di sé», secondo la citata
espressione del Concilio. Che sotto l'azione dello Spirito Paraclito si
realizzi nel nostro mondo quel processo di vera maturazione nell'umanità,
nella vita individuale e in quella comunitaria, in ordine al quale Gesù
stesso, «quando prega il Padre perché "tutti siano una cosa sola, come
io e te siamo una cosa sola" (Gv 17,21), ci ha suggerito una
certa similitudine tra l'unione delle Persone divine e l'unione dei figli di
Dio nella verità e nella carità». Il Concilio ribadisce tale verità
sull'uomo, e la Chiesa vede in essa un'indicazione particolarmente forte e
determinante dei propri compiti apostolici. Se, infatti, l'uomo è la via
della Chiesa, questa via passa attraverso tutto il mistero di Cristo, come
divino modello dell'uomo. Su questa via lo Spirito Santo, rafforzando in
ciascuno di noi «l'uomo interiore», fa sì che l'uomo sempre meglio «si
ritrovi attraverso un dono sincero di sé». Si può dire che in queste parole
della Costituzione pastorale del Concilio si riassuma tutta l'antropologia cristiana:
quella teoria e prassi, fondata sul Vangelo, nella quale l'uomo scoprendo in
se stesso l'appartenenza a Cristo e, in lui, l'elevazione a figlio di Dio,
comprende meglio anche la sua dignità di uomo, proprio perché è il soggetto
dell'avvicinamento e della presenza di Dio, il soggetto della condiscendenza
divina, nella quale è contenuta la prospettiva ed addirittura la radice
stessa della definitiva glorificazione. Allora si può veramente ripetere che
«gloria di Dio è l'uomo vivente, ma vita dell'uomo è la visione di Dio»:
l'uomo, vivendo una vita divina, è la gloria di Dio, e di questa vita e di
questa gloria lo Spirito Santo è il dispensatore nascosto. Egli - dice il
grande Basilio - «semplice nell'essenza, molteplice nelle sue virtù..., si
diffonde senza che subisca alcuna diminuzione, è presente a ciascuno di
quanti sono capaci di riceverlo come se fosse lui solo, ed in tutti infonde
la grazia sufficiente e completa». 60. Quando, sotto l'influsso del
Paraclito, gli uomini scoprono questa dimensione divina del loro essere e
della loro vita, sia come persone che come comunità, essi sono in grado di
liberarsi dai diversi determinismi derivati principalmente dalle basi
materialistiche del pensiero, della prassi e della sua relativa metodologia.
Nella nostra epoca questi fattori sono riusciti a penetrare fin nell'intimo
dell'uomo, in quel santuario della coscienza dove lo Spirito Santo immette di
continuo la luce e la forza della vita nuova secondo la «libertà dei figli di
Dio». La maturazione dell'uomo in questa vita è impedita dai condizionamenti
e dalle pressioni, che su di lui esercitano le strutture e i meccanismi
dominanti nei diversi settori della società. Si può dire che in molti casi i
fattori sociali, anziché favorire lo sviluppo e l'espansione dello spirito
umano, finiscono con lo strapparlo alla genuina verità del suo essere e della
sua vita - sulla quale veglia lo Spirito Santo - per sottometterlo al
«principe di questo mondo». Il grande Giubileo del Duemila contiene,
pertanto, un messaggio di liberazione ad opera dello Spirito, che solo può
aiutare le persone e le comunità a liberarsi dai vecchi e nuovi determinismi,
guidandole con la «legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù», così
scoprendo e attuando la piena misura della vera libertà dell'uomo. Infatti -
come scrive san Paolo - là «dove c'è lo Spirito del Signore, c'è libertà».
Tale rivelazione della libertà e, dunque, della vera dignità dell'uomo
acquista una particolare eloquenza per i cristiani e per la Chiesa in stato
di persecuzione - sia nei tempi antichi, sia in quello presente: perché i
testimoni della Verità divina diventano allora una vivente verifica
dell'azione dello Spirito di verità, presente nel cuore e nella coscienza dei
fedeli, e non di rado segnano col loro martirio la suprema glorificazione
della dignità umana. Anche nelle comuni condizioni della società i cristiani,
come testimoni dell'autentica dignità dell'uomo, per la loro obbedienza allo
Spirito Santo, contribuiscono al molteplice «rinnovamento della faccia della terra»,
collaborando con i loro fratelli per realizzare e valorizzare tutto ciò che
nell'odierno progresso della civiltà, della cultura, della scienza, della
tecnica e degli altri settori del pensiero e dell'attività umana, è buono,
nobile e bello. Ciò fanno come discepoli di Cristo, che - come scrive il
Concilio - «con la sua risurrezione costituito Signore,... opera nel cuore
degli uomini con la virtù del suo Spirito, non solo suscitando il desiderio
del mondo futuro, ma per ciò stesso anche ispirando, purificando e
fortificando quei generosi propositi, con i quali la famiglia degli uomini
cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine
tutta la terra». Così essi affermano ancor più la grandezza dell'uomo, fatto
a immagine e somiglianza di Dio, grandezza che s'illumina al mistero
dell'incarnazione del Figlio di Dio, il quale «nella pienezza del tempo», per
opera dello Spirito Santo, è entrato nella storia e si è manifestato vero
uomo, lui generato prima di ogni creatura, «in virtù del quale esistono tutte
le cose e noi esistiamo per lui». 5. La Chiesa sacramento dell'intima
unione con Dio 61. Avvicinandosi la conclusione del
secondo Millennio, che deve ricordare a tutti e quasi render di nuovo
presente l'avvento del Verbo nella «pienezza del tempo» la Chiesa ancora una
volta intende penetrare nell'essenza stessa della sua costituzione
divino-umana e di quella missione, che la fa partecipare alla missione
messianica di Cristo, secondo l'insegnamento e il progetto sempre valido del Concilio
Vaticano II. Seguendo questa linea, possiamo risalire al Cenacolo, dove Gesù
Cristo rivela lo Spirito Santo come Paraclito, come Spirito di verità, e
parla della propria «dipartita» mediante la Croce quale condizione necessaria
della sua «venuta»: «È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne
vado, non verrà a voi il consolatore; ma, quando me ne sarò andato, ve lo
manderò». Abbiamo visto che questo annuncio ha avuto la prima realizzazione
già la sera del giorno di Pasqua e poi durante la celebrazione gerosolimitana
della Pentecoste, e che da allora esso si verifica nella storia dell'umanità
mediante la Chiesa. Alla luce di quell'annuncio prende pieno significato
anche ciò che Gesù, sempre durante l'Ultima Cena, dice a proposito della sua nuova
«venuta». È, infatti, significativo che nello stesso discorso di addio egli
annunci non solo la sua «dipartita», ma anche la sua nuova «venuta». Dice
appunto: «Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi». E nel momento del
definitivo congedo, prima di salire al Cielo, ripeterà ancora più
esplicitamente: «Ecco io sono con voi», lo sono «tutti i giorni, fino alla
fine dei mondo». Questa nuova «venuta» di Cristo, questo suo continuo venire
per essere con gli apostoli, con la Chiesa, questo suo «sono con voi fino
alla fine del mondo», non cambia certo il fatto della sua «dipartita». Segue
ad essa dopo la conclusione dell'attività messianica di Cristo sulla terra,
ed avviene nell'ambito del preannunciato invio dello Spirito Santo e, per
così dire, s'inscrive all'interno della sua stessa missione. E tuttavia si
compie per opera dello Spirito Santo, il quale fa sì che il Cristo, che è
andato via, venga ora e sempre in modo nuovo. Questo nuovo venire di Cristo
per opera dello Spirito Santo e la sua costante presenza e azione nella vita
spirituale si attuano nella realtà sacramentale. In essa il Cristo, che è
andato via nella sua umanità visibile, viene, è presente e agisce nella
Chiesa in modo talmente intimo da costituirla come suo corpo. Come tale, la
Chiesa vive opera e cresce «fino alla fine del mondo». Tutto ciò avviene per
opera dello Spirito Santo. 62. La più completa espressione
sacramentale della «dipartita» di Cristo per mezzo del mistero della Croce e
della Risurrezione è l'Eucaristia. In essa si realizza ogni volta
sacramentalmente la sua venuta, la sua presenza salvifica: nel sacrificio e
nella comunione. Si realizza per opera dello Spirito Santo, all'interno della
sua propria missione. Mediante l'Eucaristia lo Spirito Santo realizza quel
«rafforzamento dell'uomo interiore», di cui parla la Lettera agli Efesini.
Mediante l'Eucaristia le persone e le comunità, sotto l'azione del Paraclito
consolatore, imparano a scoprire il senso divino della vita umana, richiamato
dal Concilio: quel senso, per cui Gesù Cristo «svela pienamente l'uomo
all'uomo», suggerendo «una certa similitudine tra l'unione delle Persone
divine e l'unione dei figli di Dio nella verità e nella carità». Una tale
unione si esprime e si realizza specialmente mediante l'Eucaristia, nella
quale l'uomo, partecipando al sacrificio di Cristo, che tale celebrazione
attualizza, impara anche a «ritrovarsi... attraverso un dono... di sé», nella
comunione con Dio e con gli altri uomini, suoi fratelli. Per questo i primi
cristiani, sin dai giorni successivi alla discesa dello Spirito Santo, «erano
assidui nella frazione del pane e nelle preghiere», formando in questo modo
una comunità unita all'insegnamento degli apostoli. Così essi «riconoscevano»
che il loro Signore, risorto e già asceso al cielo, nuovamente veniva in
mezzo a loro, nella comunità eucaristica della Chiesa e per suo mezzo.
Guidata dallo Spirito Santo, la Chiesa sin dall'inizio espresse e confermò se
stessa mediante l'Eucaristia. E così è stato sempre, in tutte le generazioni
cristiane, fino ai nostri tempi, fino a questa vigilia del compimento del
secondo Millennio cristiano. Certo, dobbiamo, purtroppo, constatare che
questo Millennio, ormai trascorso, è stato quello delle grandi separazioni
tra i cristiani. Tutti i credenti in Cristo, dunque, sull'esempio degli
apostoli, dovranno mettere ogni impegno nel conformare pensiero e azione alla
volontà dello Spirito Santo, «principio di unità della Chiesa», affinché
tutti i battezzati in un solo Spirito per costituire un solo corpo, si
ritrovino fratelli uniti nella celebrazione della medesima Eucaristia,
«sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità!». 63. La presenza eucaristica di Cristo - il
suo sacramentale «sono con voi» - permette alla Chiesa di scoprire sempre più
profondamente il proprio mistero, come attesta tutta l'ecclesiologia del
Concilio Vaticano II, per il quale «la Chiesa è in Cristo come un sacramento,
o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il
genere umano». Come sacramento, la Chiesa si sviluppa dal mistero pasquale
della «dipartita» di Cristo, vivendo della sua sempre nuova «venuta» per
opera dello Spirito Santo, all'interno della stessa missione del
Paraclito-Spirito di verità. Proprio questo è il mistero essenziale della
Chiesa, come professa il Concilio. Se in forza della creazione Dio è colui
nel quale noi tutti «viviamo, ci muoviamo ed esistiamo», a sua volta la
potenza della redenzione perdura e si sviluppa nella storia dell'uomo e del
mondo come in un duplice «ritmo», la cui fonte si trova nell'eterno Padre. È
il ritmo, da un lato, della missione del Figlio, che è venuto nel mondo,
nascendo da Maria Vergine per opera dello Spirito Santo; e, dall'altro, è
anche il ritmo della missione dello Spirito Santo, quale è stato rivelato
definitivamente da Cristo. Per la «dipartita» del Figlio, lo Spirito è venuto
e viene continuamente come consolatore e Spirito di verità. E nell'ambito
della sua missione, quasi nell'intimo dell'invisibile presenza dello Spirito,
il Figlio, che «era andato via» nel mistero pasquale, «viene» ed è
continuamente presente nel mistero della Chiesa, ed ora si cela, ora si
manifesta nella sua storia, sempre conducendone il corso. Tutto ciò avviene
in modo sacramentale per opera dello Spirito Santo, il quale, attingendo alle
ricchezze della redenzione di Cristo, continuamente dà la vita. Nel prendere
sempre più viva coscienza di questo mistero, la Chiesa vede meglio se stessa
soprattutto come sacramento. Ciò avviene anche perché, per volere del suo
Signore, mediante i vari Sacramenti la Chiesa compie il suo ministero
salvifico nei riguardi dell'uomo. Il ministero sacramentale, ogni volta che
si attua, porta con sé il mistero della «dipartita» di Cristo mediante la
Croce e la Risurrezione, in forza della quale viene lo Spirito Santo. Viene e
opera: «dà la vita». I Sacramenti, infatti, significano la grazia e
conferiscono la grazia: esprimono la vita e danno la vita. La Chiesa è la
dispensatrice visibile dei sacri segni, mentre lo Spirito Santo vi agisce
come il dispensatore invisibile della vita che essi significano. Insieme con
lo Spirito c'è ed agisce Cristo Gesù. 64. Se la Chiesa è il sacramento
dell'intima unione con Dio, tale è in Gesù Cristo, in cui questa stessa
unione si attua come realtà salvifca. Tale è in Gesù Cristo per opera dello
Spirito Santo. La pienezza della realtà salvifica, che è il Cristo nella
storia, si diffonde in modo sacramentale nella potenza dello Spirito
Paraclito. In questo modo lo Spirito Santo è l'«altro consolatore», o nuovo
consolatore, perché mediante la sua azione la Buona Novella prende corpo
nelle coscienze e nei cuori umani e si espande nella storia. In tutto ciò è
lo Spirito Santo che dà la vita. Quando usiamo la parola «sacramento» in
riferimento alla Chiesa, dobbiamo tener presente che nel testo conciliare la
sacramentalità della Chiesa appare distinta da quella che è propria, in senso
stretto, dei Sacramenti. Leggiamo infatti: «La Chiesa è... come un
sacramento, o segno e strumento dell'intima unione con Dio». Ma ciò che conta
ed emerge dal senso analogico con cui la parola è impiegata nei due casi, è
il rapporto che la Chiesa ha con la potenza dello Spirito Santo, colui che
solo dà la vita: la Chiesa è segno e strumento della presenza e dell'azione
dello Spirito vivificante. Il Vaticano II aggiunge che la Chiesa è «un
sacramento... dell'unità di tutto il genere umano». Si tratta evidentemente
dell'unità che il genere umano, in se stesso variamente differenziato, ha da
Dio e in Dio. Essa si radica nel mistero della creazione ed acquista una dimensione
nuova nel mistero della redenzione, in ordine all'universale salvezza. Poiché
Dio «vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza
della verità», la redenzione comprende tutti gli uomini e, in certo modo,
tutta la creazione. Nella stessa universale dimensione della redenzione
agisce, in forza della «dipartita» di Cristo, lo Spirito Santo. Perciò la
Chiesa, radicata mediante il suo proprio mistero nell'economia trinitaria
della salvezza, a buon diritto intende se stessa come «sacramento dell'unità
di tutto il genere umano». Essa sa di esserlo per la potenza dello Spirito
Santo, della quale è segno e strumento nell'attuazione del piano salvifico di
Dio. In questo modo si realizza la «condiscendenza» dell'infinito amore
trinitario: l'avvicinarsi di Dio, Spirito invisibile, al mondo visibile. Dio
uno e trino si comunica all'uomo nello Spirito Santo sin dall'inizio mediante
la sua «immagine e somiglianza». Sotto l'azione dello stesso Spirito l'uomo
e, per suo mezzo, il mondo creato, redento da Cristo, si avvicinano ai loro
definitivi destini in Dio. Di questo avvicinamento dei due poli della
creazione e della redenzione, Dio e l'uomo, la Chiesa è «un sacramento, cioè
segno e strumento». Essa opera per ristabilire e rafforzare l'unità alle
radici stesse del genere umano: nel rapporto di comunione che l'uomo ha con
Dio come suo Creatore, Signore e Redentore. E una verità che, in base
all'insegnamento del Concilio, possiamo meditare, spiegare e applicare in
tutta l'ampiezza del suo significato in questa fase di passaggio dal secondo
al terzo Millennio cristiano. E ci è caro prendere una coscienza sempre più
viva del fatto che dentro l'azione svolta dalla Chiesa nella storia della
salvezza, inscritta nella storia dell'umanità, è presente e operante lo
Spirito Santo, colui che col soffio della vita divina pervade il
pellegrinaggio terreno dell'uomo e fa confluire tutta la creazione - tutta la
storia - al suo termine ultimo, nell'oceano infinito di Dio. 6. Lo Spirito e la Sposa dicono:
«Vieni!» 65. Il soffio della vita divina, lo
Spirito Santo, nella sua maniera più semplice e comune, si esprime e si fa
sentire nella preghiera. È bello e salutare pensare che, dovunque si prega
nel mondo, ivi è lo Spirito Santo, soffio vitale della preghiera. È bello e
salutare riconoscere che, se la preghiera è diffusa in tutto l'orbe, nel
passato, nel presente e nel futuro, altrettanto estesa è la presenza e
l'azione dello Spirito Santo, che «alita» la preghiera nel cuore dell'uomo in
tutta la gamma smisurata delle situazioni più diverse e delle condizioni ora
favorevoli, ora avverse alla vita spirituale e religiosa. Molte volte, sotto
l'azione dello Spirito, la preghiera sale dal cuore dell'uomo nonostante i
divieti e le persecuzioni, e persino le proclamazioni ufficiali circa il
carattere areligioso, o addirittura ateo della vita pubblica. La preghiera
rimane sempre la voce di tutti coloro che apparentemente non hanno voce - e
in questa voce risuona sempre quel «forte grido», attribuito a Cristo dalla
Lettera agli Ebrei. La preghiera è anche la rivelazione di quell'abisso, che
è il cuore dell'uomo: una profondità, che è da Dio e che solo Dio può
colmare, proprio con lo Spirito Santo. Leggiamo in Luca: «Se dunque voi, che
siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre
vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono! ». Lo
Spirito Santo è il dono, che viene nel cuore dell'uomo insieme con la
preghiera. In questa egli si manifesta prima di tutto e soprattutto come il
dono, che «viene in aiuto alla nostra debolezza». È il magnifico pensiero
sviluppato da san Paolo nella Lettera ai Romani quando scrive: «Noi nemmeno
sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede
con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili». Dunque, lo Spirito Santo
non solo fa sì che preghiamo, ma ci guida «dall'interno» nella preghiera,
supplendo alla nostra insufficienza, rimediando alla nostra incapacità di
pregare: egli è presente nella nostra preghiera e le dà una dimensione
divina. Così «colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello
Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio». La
preghiera per opera dello Spirito Santo diventa l'espressione sempre più
matura dell'uomo nuovo, che per mezzo di essa partecipa alla vita divina. La
nostra difficile epoca ha uno speciale bisogno della preghiera. Se nel corso
della storia - ieri come oggi - numerosi uomini e donne hanno dato
testimonianza dell'importanza della preghiera, consacrandosi alla lode di Dio
e alla vita di orazione soprattutto nei monasteri con grande vantaggio per la
Chiesa, in questi anni va pure crescendo il numero delle persone che, in
movimenti e gruppi sempre più estesi, mettono al primo posto la preghiera ed
in essa cercano il rinnovamento della vita spirituale. È questo un sintomo
significativo e consolante, giacché da tale esperienza è derivato un reale
contributo alla ripresa della preghiera tra i fedeli, che sono stati aiutati
a meglio considerare lo Spirito Santo come colui che suscita nei cuori un
profondo anelito alla santità. In molti individui e in molte comunità matura
la consapevolezza che, pur con tutto il vertiginoso progresso della civiltà
tecnico-scientifica, nonostante le reali conquiste e le mète raggiunte, l'uomo
è minacciato, l'umanità è minacciata. Dinanzi a questo pericolo, e anzi
sperimentando già la paurosa realtà della decadenza spirituale dell'uomo,
persone singole e intere comunità, quasi guidate da un senso interiore della
fede, cercano la forza capace di risollevare l'uomo, di salvarlo da se
stesso, dai propri sbagli e abbagli, che spesso rendono nocive le sue stesse
conquiste. E così scoprono la preghiera, nella quale si manifesta lo «Spirito
che viene in aiuto alla nostra debolezza». In questo modo i tempi, in cui
viviamo, avvicinano allo Spirito Santo molte persone, che ritornano alla
preghiera. Ed io confido che tutte trovino nell'insegnamento di questa
Enciclica un nutrimento per la loro vita interiore e riescano ad irrobustire,
sotto l'azione dello Spirito, il loro impegno di preghiera in consonanza con
la Chiesa e col suo Magistero. 66. In mezzo ai problemi, alle delusioni e
alle speranze, alle diserzioni e ai ritorni di questi tempi, la Chiesa rimane
fedele al mistero della sua nascita. Se è un fatto storico che la Chiesa è
uscita dal Cenacolo il giorno di Pentecoste, in un certo senso si può dire
che non lo ha mai lasciato. Spiritualmente l'evento della Pentecoste non
appartiene solo al passato: la Chiesa è sempre nel Cenacolo, che porta nel
cuore. La Chiesa persevera nella preghiera, come gli apostoli insieme a
Maria, Madre di Cristo, ed a coloro che in Gerusalemme costituivano il primo
germe della comunità cristiana e attendevano, pregando, la venuta dello
Spirito Santo. La Chiesa persevera nella preghiera con Maria. Questa unione
della Chiesa orante con la Madre di Cristo fa parte del mistero della Chiesa
fin dall'inizio: noi la ve diamo presente in questo mistero, come è presente
in quello di suo Figlio. Ce lo dice il Concilio: «La Beata Vergine...,
adombrata dallo Spirito Santo, ... diede alla luce il Figlio, che Dio ha
posto quale primogenito tra molti fratelli (Rm 8,29), cioè tra i
fedeli, alla cui rigenerazione e formazione essa coopera con materno amore».
ella è «per le sue singolari grazie e funzioni... intimamente congiunta con
la Chiesa: è figura della Chiesa». «La Chiesa, contemplando l'arcana santità
di lei ed imitandone la carità, diventa anch'essa madre» e «ad imitazione
della Madre del suo Signore, con la virtù dello Spirito Santo, conserva
verginalmente integra la fede, salda la speranza, sincera la carità: essa
pure (cioè la Chiesa) è vergine, che custodisce... la fede data allo Sposo».
Si capisce così il senso profondo del motivo, per cui la Chiesa, unita con la
Vergine Madre, si rivolge ininterrottamente quale Sposa al suo divino Sposo,
come attestano le parole dell'Apocalisse, riportate dal Concilio: «Lo Spirito
e la Sposa dicono al Signore Gesù: "Vieni!"». La preghiera della
Chiesa è questa invocazione incessante, nella quale «lo Spirito stesso
intercede per noi»: in certo modo, egli stesso la pronuncia con la Chiesa e
nella Chiesa. Lo Spirito, infatti, è dato alla Chiesa, affinché per la sua
potenza tutta la comunità del Popolo di Dio, per quanto largamente ramificata
e varia, perseveri nella speranza: in quella speranza, nella quale «siamo
stati salvati». È la speranza escatologica, la speranza del definitivo
compimento in Dio, la speranza del Regno eterno, che si attua nella
partecipazione alla vita trinitaria. Lo Spirito Santo, dato agli apostoli
come consolatore, è il custode e l'animatore di questa speranza nel cuore
della Chiesa. Nella prospettiva del terzo Millennio dopo Cristo, mentre «lo
Spirito e la Sposa dicono al Signore Gesù: "Vieni!"», questa loro
preghiera è carica, come sempre, di una portata escatologica, destinata a
dare pienezza di significato anche alla celebrazione del grande Giubileo. E
una preghiera rivolta in direzione dei destini salvifici, verso i quali lo
Spirito Santo apre i cuori con la sua azione attraverso tutta la storia
dell'uomo sulla terra. Nello stesso tempo, però, questa preghiera si orienta
verso un preciso momento della storia, in cui è messa in rilievo la «pienezza
del tempo», scandita dall'anno Duemila. A questo Giubileo la Chiesa desidera
prepararsi nello Spirito Santo, come dallo Spirito Santo fu preparata la
Vergine di Nazareth, nella quale il Verbo si fece carne. CONCLUSIONE 67. Vogliamo concludere queste
considerazioni nel cuore della Chiesa e nel cuore dell'uomo. La via della
Chiesa passa attraverso il cuore dell'uomo, perché è qui il luogo recondito
dell'incontro salvifico con lo Spirito Santo, col Dio nascosto, e proprio qui
lo Spirito Santo diventa «sorgente di acqua, che zampilla per la vita
eterna». Qui egli giunge come Spirito di verità e come Paraclito, quale è
stato promesso da Cristo. Di qui egli agisce come consolatore, intercessore,
avvocato - specialmente quando l'uomo, o l'umanità, si trova davanti al
giudizio di condanna di quell'«accusatore», del quale l'Apocalisse dice che «accusa
i nostri fratelli davanti al nostro Dio giorno e notte». Lo Spirito Santo non
cessa di essere il custode della speranza nel cuore dell'uomo: della speranza
di tutte le creature umane e, specialmente, di quelle che «possiedono le
primizie dello Spirito» ed «aspettano la redenzione del loro corpo». Lo
Spirito Santo, nel suo misterioso legame di divina comunione col Redentore
dell'uomo, è il realizzatore della continuità della sua opera: egli prende da
Cristo e trasmette a tutti, entrando incessantemente nella storia del mondo
attraverso il cuore dell'uomo. Qui egli diventa - come proclama la
Sequenza liturgica della solennità di Pentecoste - vero «padre dei poveri,
datore dei doni luce dei cuori»; diventa «dolce ospite dell'anima», che la
Chiesa saluta incessantemente sulla soglia dell'intimità di ogni uomo. Egli,
infatti, porta «riposo e riparo» in mezzo alle fatiche, al lavoro delle
braccia e delle menti umane; porta «riposo» e «sollievo» in mezzo alla calura
del giorno, in mezzo alle inquietudini, alle lotte e ai pericoli di ogni
epoca; porta, infine, la «consolazione», quando il cuore umano piange ed è
tentato dalla disperazione. Per questo, la stessa Sequenza esclama: «Senza la
tua forza nulla è nell'uomo, nulla è senza colpa». Solo lo Spirito Santo, infatti,
«convince del peccato», del male, allo scopo di instaurare il bene nell'uomo
e nel mondo umano: per «rinnovare la faccia della terra». Perciò, egli opera
la purificazione da tutto ciò che «deturpa» l'uomo, da «ciò che è sordido»;
cura le ferite anche più profonde dell'umana esistenza; cambia l'interiore
aridità delle anime, trasformandole in fertili campi di grazia e di santità.
Quello che è «rigido - lo piega», quello che è «gelido - lo riscalda», quello
che è «sviato - lo raddrizza» lungo le vie della salvezza. Pregando così, la
Chiesa incessantemente professa la sua fede: c'è nel nostro mondo creato uno
Spirito che è un dono increato. È questi lo Spirito del Padre e del Figlio:
come il Padre e il Figlio, è increato, immenso, eterno, onnipotente, Dio,
Signore. Questo Spirito di Dio «riempie l'universo», e tutto ciò che è creato
in lui riconosce la fonte della propria identità, in lui trova la propria
trascendente espressione, a lui si volge e lo attende, lo invoca col suo
stesso essere. A lui, come a Paraclito, a Spirito di verità e di amore, si
rivolge l'uomo che vive di verità e di amore e che senza la fonte della
verità e dell'amore non può vivere. A lui si rivolge la Chiesa, che è il
cuore dell'umanità, per invocare per tutti ed a tutti dispensare quei doni
dell'amore, che per mezzo suo «è stato riversato nei nostri cuori». A lui si
rivolge la Chiesa lungo le intricate vie del pellegrinaggio dell'uomo sulla
terra: e chiede, incessantemente chiede la rettitudine degli atti umani come
opera sua; chiede la gioia e la consolazione, che solo lui, il vero
consolatore, può portare scendendo nell'intimo dei cuori umani; chiede la
grazia delle virtù, che meritano la gloria celeste; chiede la salvezza
eterna, nella piena comunicazione della vita divina, a cui il Padre ha
eternamente «predestinato» gli uomini, creati per amore ad immagine e
somiglianza della Santissima Trinità. La Chiesa col suo cuore, che in sé
comprende tutti i cuori umani, chiede allo Spirito Santo la felicità, che
solo in Dio ha la sua completa attuazione: la gioia «che nessuno potrà
togliere», la gioia che è frutto dell'amore e, dunque, di Dio che è amore;
chiede «la giustizia, la pace e la gioia nello Spirito Santo», in cui,
secondo san Paolo, consiste il Regno di Dio. Anche la pace è frutto
dell'amore: quella pace interiore, che l'uomo affaticato cerca nell'intimo
del suo essere. quella pace chiesta dall'umanità, dalla famiglia umana dai
popoli, dalle nazioni, dai continenti, con una trepida speranza di ottenerla
nella prospettiva del passaggio dal secondo al terzo Millennio cristiano.
Poiché la via della pace passa in definitiva attraverso l'amore e tende a
creare la civiltà dell'amore, la Chiesa fissa lo sguardo in colui che è
l'amore del Padre e del Figlio e, nonostante le crescenti minacce, non cessa
di aver fiducia, non cessa di invocare e di servire la pace dell'uomo sulla
terra. La sua fiducia si fonda su colui che, essendo lo Spirito-amore, è
anche lo Spirito della pace e non cessa di esser presente nel nostro mondo
umano, sull'orizzonte delle coscienze e dei cuori, per «riempire l'universo»
di amore e di pace. Davanti a lui io m'inginocchio al termine di queste
considerazioni, implorando che, come Spirito del Padre e del Figlio, egli
conceda a noi tutti la benedizione e la grazia, che desidero trasmettere, nel
nome della Santissima Trinità, ai figli e alle figlie della Chiesa ed
all'intera famiglia umana. Dato a Roma, presso San Pietro, il 18
maggio, Solennità di Pentecoste, dell'anno 1986, ottavo del mio Pontificato. |
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