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LETTERA
ENCICLICA Venerati Fratelli, carissimi Figli e
Figlie, INTRODUZIONE 1. La missione di Cristo redentore,
affidata alla chiesa, è ancora ben lontana dal suo compimento. Al termine del
secondo millennio dalla sua venuta uno sguardo d'insieme all'umanità dimostra
che tale missione è ancora agli inizi e che dobbiamo impegnarci con tutte le
forze al suo servizio. È lo Spirito che spinge ad annunziare le grandi opere
di Dio: «Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è per me un
dovere: guai a me se non predicassi il vangelo!». (1Cor9,16) A nome di
tutta la chiesa, sento imperioso il dovere di ripetere questo grido di san
Paolo. Già dall'inizio del mio pontificato ho scelto di viaggiare fino agli
estremi confini della terra per manifestare la sollecitudine missionaria, e
proprio il contatto diretto con i popoli che ignorano Cristo mi ha ancor più
convinto dell'urgenza di tale attività, a cui dedico la presente enciclica.
Il concilio Vaticano II ha inteso rinnovare la vita e l'attività della chiesa
secondo le necessità del mondo contemporaneo: ne ha sottolineato la «missionarietà»
fondandola dinamicamente sulla stessa missione trinitaria. L'impulso
missionario, quindi, appartiene all'intima natura della vita cristiana e
ispira anche l'ecumenismo: «Che tutti siano una cosa sola...., perché il
mondo creda che tu mi hai mandato». (Gv17,21) 2. Molti sono già stati i frutti
missionari del concilio: si sono moltiplicate le chiese locali fornite di
propri vescovi, clero e personale apostolico; si verifica un più profondo
inserimento delle comunità cristiane nella vita dei popoli; la comunione fra
le chiese porta a un vivace scambio di beni spirituali e di doni; l'impegno
evangelizzatore dei laici sta cambiando la vita ecclesiale; le chiese
particolari si aprono all'incontro, al dialogo e alla collaborazione con i
membri di altre chiese cristiane e religioni. Soprattutto si sta affermando
una coscienza nuova: cioè che la missione riguarda tutti i cristiani, tutte
le diocesi e parrocchie, le istituzioni e associazioni ecclesiali. Tuttavia, in questa «nuova primavera» del
cristianesimo non si può nascondere una tendenza negativa, che questo
documento vuol contribuire a superare: la missione specifica ad gentes sembra
in fase di rallentamento, non certo in linea con le indicazioni del concilio
e del magistero successivo. Difficoltà interne ed esterne hanno indebolito lo
slancio missionario della chiesa verso i non cristiani, ed è un fatto,
questo, che deve preoccupare tutti i credenti in Cristo. Nella storia della chiesa, infatti, la
spinta missionaria è sempre stata segno di vitalità, come la sua diminuzione
è segno di una crisi di fede. (1) A venticinque anni dalla conclusione del
concilio e dalla pubblicazione del decreto sull'attività missionaria Ad
gentes, a quindici anni dall'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del
pontefice Paolo VI di v.m., desidero invitare la chiesa a un rinnovato
impegno missionario, continuando il magistero dei miei predecessori a tale
riguardo. (2) Il presente documento ha una finalità
interna: il rinnovamento della fede e della vita cristiana. La missione,
infatti, rinnova la chiesa, rinvigorisce la fede e l'identità cristiana, dà
nuovo entusiasmo e nuove motivazioni. La fede si rafforza donandola! La nuova
evangelizzazione dei popoli cristiani troverà ispirazione e sostegno
nell'impegno per la missione universale. Ma ciò che ancor più mi spinge a
proclamare l'urgenza dell'evangelizzazione missionaria è che essa costituisce
il primo servizio che la chiesa può rendere a ciascun uomo e all'intera
umanità nel mondo odierno, il quale conosce stupende conquiste, ma sembra
avere smarrito il senso delle realtà ultime e della stessa esistenza. «Cristo
redentore - ho scritto nella prima enciclica - rivela pienamente l'uomo a se
stesso... L'uomo che vuol comprendere se stesso fino in fondo... deve
avvicinarsi a Cristo... La redenzione, avvenuta per mezzo della croce, ha
ridato definitivamente all'uomo la dignità e il senso della sua esistenza nel
mondo». (3) Né mancano altre motivazioni e finalità: rispondere alle molte
richieste per un documento di questo genere dissipare dubbi e ambiguità circa
la missione ad gentes, confermando nel loro impegno i benemeriti fratelli e
sorelle dediti all'attività missionaria e tutti coloro che li aiutano;
promuovere le vocazioni missionarie, incoraggiare i teologi ad approfondire ed
esporre sistematicamente i vari aspetti della missione; rilanciare la
missione in senso specifico, impegnando le chiese particolari specie quelle
giovani, a mandare e ricevere missionari, assicurare i non cristiani e, in
particolare, le autorità dei paesi verso cui si rivolge l'attività
missionaria, che questa ha un unico fine: servire l'uomo rivelandogli l'amore
di Dio, che si è manifestato in Gesù Cristo. 3. Popoli tutti, aprite le porte a Cristo!
Il suo vangelo nulla toglie alla libertà dell'uomo, al dovuto rispetto delle
culture, a quanto c'è di buono in ogni religione. Accogliendo Cristo, voi vi
aprite alla parola definitiva di Dio, a colui nel quale Dio si è fatto
pienamente conoscere e ci ha indicato la via per arrivare a lui. Il numero di
coloro che ignorano Cristo e non fanno parte della chiesa è in continuo
aumento, anzi dalla fine del concilio è quasi raddoppiato. Per questa umanità
immensa, amata dal Padre che per essa ha inviato il suo Figlio, è evidente
l'urgenza della missione. D'altra parte, in questo campo il nostro tempo
offre nuove occasioni alla chiesa: il crollo di ideologie e di sistemi
politici oppressivi; l'apertura delle frontiere e il formarsi di un mondo più
unito grazie all'incremento delle comunicazioni, l'affermassi tra i popoli di
quei valori evangelici, che Gesù ha incarnato nella sua vita (pace,
giustizia, fraternità, dedizione ai più piccoli); un tipo di sviluppo
economico e tecnico senz'anima, che pur sollecita a ricercare la verità su
Dio, sull'uomo, sul significato della vita. Dio apre alla chiesa gli
orizzonti di un'umanità più preparata alla semina evangelica. Sento venuto il
momento di impegnare tutte le forze ecclesiali per la nuova evangelizzazione
e per la missione ad gentes. Nessun credente in Cristo, nessuna istituzione
della chiesa può sottrarsi a questo dovere supremo: annunziare Cristo a tutti
i popoli. PARTE
I GESÙ
CRISTO UNICO SALVATORE 4. «Il compito fondamentale della chiesa
di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra - ricordavo nella
prima enciclica programmatica - è di dirigere lo sguardo dell'uomo, di
indirizzare la coscienza e l'esperienza di tutta l'umanità verso il mistero
di Cristo». (4) La missione universale della chiesa nasce
dalla fede in Gesù Cristo, come si dichiara nella professione della fede
trinitaria: «Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio,
nato dal Padre prima di tutti i secoli... Per noi uomini e per la nostra salvezza
discese dal cielo, e per opera dello Spirito santo si è incarnato nel seno
della vergine Maria e si è fatto uomo». (5) Nell'evento della redenzione è la
salvezza di tutti, «perché ognuno è stato compreso nel mistero della
redenzione e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo
mistero». (6) Soltanto nella fede si comprende e si fonda la missione. Eppure, anche a causa dei cambiamenti
moderni e del diffondersi di nuove idee teologiche alcuni si chiedono: È ancora attuale la missione tra i non
cristiani? Non è forse sostituita dal dialogo inter-religioso? Non è un suo
obiettivo sufficiente la promozione umana? Il rispetto della coscienza e
della libertà non esclude ogni proposta di conversione? Non ci si può salvare
in qualsiasi religione? Perché quindi la missione? «Nessuno viene al Padre se non per
mezzo di me». 5. Risalendo alle origini della chiesa,
troviamo chiaramente affermato che Cristo è l'unico salvatore (Gv14,6)
di tutti colui che solo è in grado di rivelare Dio e di condurre a Dio. Alle
autorità religiose giudaiche che interrogano gli apostoli in merito alla guarigione
dello storpio, da lui operata, Pietro risponde: «Nel nome di Gesù Cristo il
Nazareno, che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, costui
vi sta innanzi sano e salvo... in nessun altro c'è salvezza: non vi è infatti
altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale sia stabilito che
possiamo essere salvati». (At4,10) Questa affermazione, rivolta al
sinedrio, ha un valore universale, poiché per tutti - giudei e gentili - la
salvezza non può venire che da Gesù Cristo. L'universalità di questa salvezza
in Cristo e affermata in tutto il Nuovo Testamento. San Paolo riconosce in
Cristo risorto il Signore: «In realtà - scrive anche se ci sono cosiddetti
dèi sia nel cielo sia sulla terra, e difatti ci sono molti dèi e molti
signori, per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene, e noi
siamo per lui; e c'è un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale
esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui». (1Cor8,5) L'unico Dio
e l'unico Signore sono affermati in contrasto con la moltitudine di «dèi» e
«signori» che il popolo ammetteva. Paolo reagisce contro il politeismo
dell'ambiente religioso del suo tempo e pone in rilievo la caratteristica
della fede cristiana: fede in un solo Dio e in un solo Signore, inviato da
Dio. Nel vangelo di san Giovanni questa universalità salvifica di Cristo
comprende gli aspetti della sua missione di grazia, di verità e di
rivelazione: «Il Verbo è la luce vera, che illumina ogni uomo». (Gv1,9)
E ancora: «Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel
seno del Padre, lui lo ha rivelato». (Gv1,18); (Mt11,27) La
rivelazione di Dio si fa definitiva e completa a opera del suo Figlio
unigenito: «Dio, che nei tempi antichi aveva già parlato molte volte e in
diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni,
ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le
cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo». (Eb1,1); (Gv14,6)
In questa Parola definitiva della sua rivelazione Dio si è fatto conoscere
nel modo più pieno: egli ha detto all'umanità chi è. E questa autorivelazione
definitiva di Dio è il motivo fondamentale per cui la chiesa è per sua natura
missionaria. Essa non può non proclamare il vangelo, cioè la pienezza della
verità che Dio ci ha fatto conoscere intorno a se stesso. Cristo è l'unico
mediatore tra Dio e gli uomini: «Uno solo, infatti, è Dio, e uno solo il
mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in
riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l'ha data nei tempi stabiliti,
e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo - dico la verità, non
mentisco -, maestro dei pagani nella fede e nella verità». (1Tm2,5); (Eb4,14)
Gli uomini, quindi, non possono entrare in comunione con Dio se non per mezzo
di Cristo, sotto l'azione dello Spirito. Questa sua mediazione unica e
universale, lungi dall'essere di ostacolo al cammino verso Dio, è la via
stabilita da Dio stesso, e di ciò Cristo ha piena coscienza. Se non sono
escluse mediazioni partecipate di vario tipo e ordine, esse tuttavia
attingono significato e valore unicamente da quella di Cristo e non possono
essere intese come parallele e complementari. 6. È contrario alla fede cristiana
introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e Gesù Cristo. San Giovanni
afferma chiaramente che il Verbo, che «era in principio presso Dio», è lo
stesso che «si fece carne»: (Gv1,2) Gesù è il Verbo incarnato, persona
una e indivisibile. Non si può separare Gesù da Cristo, né parlare di un
«Gesù della storia», che sarebbe diverso dal «Cristo della fede». La chiesa
conosce e confessa Gesù come «il Cristo, il Figlio del Dio vivente»: (Mt16,16)
Cristo non è altro che Gesù di Nazareth, e questi è il Verbo di Dio fatto
uomo per la salvezza di tutti. In Cristo «abita corporalmente tutta la
pienezza della divinità» (Col2,9) e «dalla sua pienezza noi tutti
abbiamo ricevuto». (Gv1,16) «Il Figlio unigenito, che è nel seno del
Padre», (Gv1,18) è «il Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la
redenzione... Piacque a Dio di far abitare in lui ogni pienezza e per mezzo
di lui riconciliare a sé tutte le cose, pacificando col sangue della sua
croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei
cieli». (Col1,13) È proprio questa singolarità unica di Cristo che a
lui conferisce un significato assoluto e universale, per cui, mentre è nella
storia, è il centro e il fine della stessa storia: (7) «Io sono l'alfa e
l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e la fine». (Ap22,13) Se,
dunque, è lecito e utile considerare i vari aspetti del mistero di Cristo,
non bisogna mai perdere di vista la sua unità. Mentre andiamo scoprendo e
valorizzando i doni di ogni genere, soprattutto le ricchezze spirituali, che
Dio ha elargito a ogni popolo, non possiamo disgiungerli da Gesù Cristo, il
quale sta al centro del piano divino di salvezza. Come «con l'incarnazione il
Figlio di Dio s'è unito in un certo modo a ogni uomo», così «dobbiamo
ritenere che lo Spirito santo dia a tutti la possibilità di venire in
contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero pasquale. (8) Il disegno
divino è «di ricapitolare in Cristo tutte le cose, quelle del cielo come
quelle della terra». (Ef1,10) La fede in Cristo è una proposta
alla libertà dell'uomo. 7. L'urgenza dell'attività missionaria
emerge dalla radicale no vita di vita, portata da Cristo e vissuta dai suoi
discepoli. Questa nuova vita è dono di Dio, e all'uomo è richiesto di
accoglierlo e di svilupparlo, se vuole realizzarsi secondo la sua vocazione
integrale in conformità a Cristo. Tutto il Nuovo Testamento è un inno alla
vita nuova per colui che crede in Cristo e vive nella sua chiesa. La salvezza
in Cristo, testimoniata e annunziata dalla chiesa, è autocomunicazione di
Dio: «È l'amore che non soltanto crea il bene, ma fa partecipare alla vita
stessa di Dio: Padre, Figlio e Spirito santo. Infatti, colui che ama,
desidera donare se stesso». (9) Dio offre all'uomo questa novità di vita. «Si
può rifiutare Cristo e tutto ciò che egli ha portato nella storia dell'uomo?
Certamente si può. L'uomo è libero. L'uomo può dire a Dio: no. L'uomo può
dire a Cristo: no. Ma rimane la domanda fondamentale: È lecito farlo? e in
nome di che cosa è lecito?». (10) 8. Nel mondo moderno c'è la tendenza a
ridurre l'uomo alla sola dimensione orizzontale. Ma che cosa diventa l'uomo
senza apertura verso l'Assoluto? La risposta sta nell'esperienza di ogni
uomo, ma è anche inscritta nella storia dell'umanità col sangue versato in
nome di ideologie e da regimi politici, che hanno voluto costruire
un'«umanità nuova» senza Dio. (11) Del resto, a quanti sono preoccupati di
salvare la libertà di coscienza, risponde il concilio Vaticano II: «La
persona umana ha il diritto alla libertà religiosa...Tutti gli uomini devono
essere immuni dalla coercizione da parte di singoli individui, di gruppi
sociali e di qualsivoglia potestà umana, così che in materia religiosa
nessuno sia forzato ad agire contro la coscienza, né sia impedito, entro
certi limiti, di agire in conformità a essa: privatamente o pubblicamente, in
forma individuale o associata». (12) L'annunzio e la testimonianza di Cristo,
quando sono fatti in modo rispettoso delle coscienze, non violano la libertà.
La fede esige la libera adesione dell'uomo, ma deve essere proposta, poiché
«le moltitudini hanno il diritto di conoscere la ricchezza del mistero di
Cristo, nel quale crediamo che tutta l'umanità può trovare, in una pienezza
insospettabile, tutto ciò che essa cerca a tentoni su Dio, sull'uomo e sul
suo destino, sulla vita e sulla morte, sulla verità... Per questo la chiesa
mantiene il suo slancio missionario e vuole, altresì, intensificarlo nel
nostro momento storico». (13) Bisogna dire anche, però, sempre col concilio,
che «a motivo della loro dignità tutti gli esseri umani, in quanto sono
persone, dotati cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di
personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale
tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione.
Essi sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e a
ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze». (14) La Chiesa segno e strumento di
salvezza 9. Prima beneficiaria della salvezza è la
chiesa: il Cristo se l'è acquistata col suo sangue (At20,28) e l'ha
fatta sua collaboratrice nell'opera della salvezza universale. Infatti,
Cristo vive in essa; è il suo sposo; opera la sua crescita; compie la sua
missione per mezzo di essa. Il concilio ha ampiamente richiamato il ruolo
della chiesa per la salvezza dell'umanità. Mentre riconosce che Dio ama tutti
gli uomini e accorda loro la possibilità della salvezza, (1Tm2,4);
(15) la chiesa professa che Dio ha costituito Cristo come unico mediatore e
che essa stessa è posta come sacramento universale di salvezza: (16) «Tutti
gli uomini, quindi, sono chiamati a questa cattolica unità del popolo di
Dio..., e a essa in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli
cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia tutti gli uomini
universalmente, chiamati a salvezza dalla grazia di Dio». (17) È necessario
tener congiunte queste due verità, cioè la reale possibilità della salvezza
in Cristo per tutti gli uomini e la necessità della chiesa in ordine a tale
salvezza. Ambedue favoriscono la comprensione dell'unico mistero salvifico,
sì da potere sperimentare la misericordia di Dio e la nostra responsabilità.
La salvezza, che è sempre dono dello Spirito, esige la collaborazione
dell'uomo per salvare sia se stesso che gli altri. Così ha voluto Dio, e per
questo ha stabilito e coinvolto la chiesa nel piano della salvezza: «Questo
popolo messianico - dice il concilio costituito da Cristo per una comunione
di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto quale strumento della
redenzione di tutti e, come luce del mondo e sale della terra, è inviato a
tutto il mondo». (18) La salvezza è offerta a tutti gli
uomini 10. L'universalità della salvezza non
significa che essa è accordata solo a coloro che, in modo esplicito, credono
in Cristo e sono entrati nella chiesa. Se è destinata a tutti, la salvezza
deve essere messa in concreto a disposizione di tutti. Ma è evidente che,
oggi come in passato, molti uomini non hanno la possibilità di conoscere o di
accettare la rivelazione del vangelo, di entrare nella chiesa. Essi vivono in
condizioni socio-culturali che non lo permettono, e spesso sono stati educati
in altre tradizioni religiose. Per essi la salvezza di Cristo è accessibile
in virtù di una grazia che, pur avendo una misteriosa relazione con la
chiesa, non li introduce formalmente in essa, ma li illumina in modo adeguato
alla loro situazione interiore e ambientale. Questa grazia proviene da
Cristo, è frutto del suo sacrificio ed è comunicata dallo Spirito santo: essa
permette a ciascuno di giungere alla salvezza con la sua libera
collaborazione. Per questo il concilio, dopo aver affermato la centralità del
mistero pasquale, afferma: «E ciò non vale solo per i cristiani, ma anche per
tutti gli uomini di buona volontà, nel cui cuore opera invisibilmente la
grazia. Cristo, infatti, è morto per tutti, e la vocazione ultima dell'uomo è
effettivamente una sola, quella divina, perciò, dobbiamo ritenere che lo
Spirito santo dia a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che
Dio conosce, col mistero pasquale». (19) « Noi non possiamo tacere » (At 4,20) 11. Che dire allora delle obiezioni, già
ricordate, in merito alla missione ad gentes? Nel rispetto di tutte le
credenze e di tutte le sensibilità, dobbiamo anzitutto affermare con
semplicità la nostra fede in Cristo, unico salvatore dell'uomo, fede che
abbiamo ricevuto come dono dall'alto senza nostro merito. Noi diciamo con
Paolo: «Io non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la
salvezza di chiunque crede». (Rm1,16) I martiri cristiani di tutti i
tempi anche del nostro hanno dato e continuano a dare la vita per
testimoniare agli uomini questa fede, convinti che ogni uomo ha bisogno di
Gesù Cristo, il quale ha sconfitto il peccato e la morte e ha riconciliato
gli uomini con Dio. Cristo si è proclamato Figlio di Dio, intimamente unito
al Padre e, come tale, è stato riconosciuto dai discepoli, confermando le sue
parole con i miracoli e la risurrezione da morte. La chiesa offre agli uomini
il vangelo, documento profetico, rispondente alle esigenze e aspirazioni del
cuore umano: esso è sempre «buona novella». La chiesa non può fare a meno di
proclamare che Gesù è venuto a rivelare il volto di Dio e a meritare con la
croce e la risurrezione, la salvezza per tutti gli uomini. All'interrogativo:
perché la missione? noi rispondiamo con la fede e con l'esperienza della
chiesa che aprirsi all'amore di Cristo è la vera liberazione. In lui,
soltanto in lui siamo liberati da ogni alienazione e smarrimento, dalla
schiavitù al potere del peccato e della morte. Cristo è veramente «la nostra
pace», (Ef2,14) e «l'amore di Cristo ci spinge», (2Cor5,14)
dando senso e gioia alla nostra vita. La missione è un problema di fede, è
l'indice esatto della nostra fede in Cristo e nel suo amore per noi. La
tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana,
quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è
avvenuta una «graduale secolarizzazione della salvezza», per cui ci si batte,
sì, per l'uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione
orizzontale. Noi invece, sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza
integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili
orizzonti della filiazione divina. Perché la missione? Perché a noi, come a
san Paolo, «è stata concessa la grazia di annunziare ai pagani le
imperscrutabili ricchezze di Cristo». (Ef3,8) La novità di vita in lui
è la «buona novella» per l'uomo di tutti i tempi: a essa tutti gli uomini
sono chiamati e destinati. Tutti di fatto la cercano, anche se a
volte in modo confuso, e hanno il diritto di conoscere il valore di tale dono
e di accedervi. La chiesa e, in essa, ogni cristiano non può nascondere né
conservare per sé questa novità e ricchezza, ricevuta dalla bontà divina per
esser comunicata a tutti gli uomini. Ecco perché la missione, oltre che dal
mandato formale del Signore, deriva dall'esigenza profonda della vita di Dio
in noi. Coloro che sono incorporati nella chiesa cattolica devono sentirsi
dei privilegiati, e per ciò stesso maggiormente impegnati a testimoniare la
fede e la vita cristiana come servizio ai fratelli e doverosa risposta a Dio,
memori che «la loro eccellente condizione non è da ascrivere ai loro meriti,
ma a una speciale grazia di Cristo; per cui, se non vi corrispondono col pensiero,
con le parole e con le opere, lungi dal salvarsi, saranno più severamente
giudicati». (20) PARTE
II IL
REGNO Dl DIO 12. «Dio, ricco di misericordia, è colui
che Gesù Cristo ci ha rivelato come Padre: proprio il suo Figlio, in se
stesso, ce l'ha manifestato e fatto conoscere». (21) Questo scrivevo
all'inizio dell'enciclica Dives in misericordia, mostrando come il Cristo è
la rivelazione e l'incarnazione della misericordia del Padre. La salvezza
consiste nel credere e accogliere il mistero del Padre e del suo amore che si
manifesta e si dona in Gesù mediante lo Spirito. Così si compie il regno di
Dio, preparato già dall'antica alleanza, attuato da Cristo e in Cristo,
annunciato a tutte le genti dalla chiesa, che opera e prega affinché si
realizzi in modo perfetto e definitivo. L'Antico Testamento attesta che Dio
si è scelto e formato un popolo, per rivelare e attuare il suo disegno
d'amore. Ma, nello stesso tempo, Dio è creatore e padre di tutti gli uomini,
di tutti si prende cura, a tutti estende la sua benedizione (Gen12,3)
e con tutti ha stretto un'alleanza. (Gen9,1) Israele fa l'esperienza
di un Dio personale e salvatore, (Dt4,37); (Dt7,6); (Is43,1)
del quale diventa il testimone e il portavoce in mezzo alle nazioni. Nel
corso della sua storia Israele prende coscienza che la sua elezione ha un
significato universale.(Is2,2); (Is25,6); (Is60,1); (Ger3,17);
(Ger16,19) Cristo rende presente il Regno 13. Gesù di Nazareth porta a compimento il
disegno di Dio. Dopo aver ricevuto lo Spirito santo nel battesimo, egli
manifesta la sua vocazione messianica: percorre la Galilea «predicando il
vangelo di Dio e dicendo: "Il tempo è compiuto, il regno di Dio è
vicino; convertitevi e credete al vangelo"». (Mc1,14); (Mt4,17);
(Lc4,43) La proclamazione e l'instaurazione del regno di Dio sono
l'oggetto della sua missione: «È per questo che sono stato inviato». (Lc4,43)
Ma c'è di più: Gesù è lui stesso la «buona novella», come afferma già
all'inizio della missione nella sinagoga del suo paese, applicando a sé le
parole di Isaia sull'Unto, inviato dallo Spirito del Signore. (Lc4,14)
Essendo la «buona novella», in Cristo c'è identità tra messaggio e
messaggero, tra il dire, l'agire e l'essere. La sua forza, il segreto
dell'efficacia della sua azione sta nella totale identificazione col
messaggio che annunzia: egli proclama la «buona novella» non solo con quello
che dice o fa, ma con quello che è. Il ministero di Gesù è descritto nel
contesto dei viaggi nella sua terra. L'orizzonte della missione prima della
pasqua è centrato su Israele; tuttavia, Gesù offre un elemento nuovo di
importanza capitale. La realtà escatologica non è rinviata a una fine remota
del mondo, ma si fa vicina e comincia ad attuarsi. Il regno di Dio si
avvicina, (Mc1,15) si prega perché venga, (Mt6,10) la fede lo
scorge già operante nei segni, quali i miracoli, (Mt11,4) gli
esorcismi, (Mt3,13) l'annunzio della «buona novella» ai poveri. (Lc4,18)
Negli incontri di Gesù con i pagani è chiaro che l'accesso al regno avviene
mediante la fede e la conversione (Mc1,15) e non per semplice
appartenenza etnica. Il regno che Gesù inaugura è il regno di Dio: Gesù
stesso rivela chi è questo Dio, che chiama col termine familiare di «abbà»,
Padre. (Mc14,36) Il Dio, rivelato soprattutto nelle parabole, (Lc15,3);
(Mt20,1) è sensibile alle necessità e alle sofferenze di ogni uomo: è
un Padre amoroso e pieno di compassione, che perdona e dà gratuitamente le
grazie richieste. San Giovanni ci dice che «Dio è amore». (1Gv4,8)
Ogni uomo, perciò, è invitato a «convertirsi» e a «credere» all'amore
misericordioso di Dio per lui: il regno crescerà nella misura in cui ogni
uomo imparerà a rivolgersi a Dio nell'intimità della preghiera come a un
Padre (Lc11,2); (Mt23,9) e si sforzerà di compiere la sua
volontà. (Mt7,21) Caratteristiche ed esigenze del
Regno 14. Gesù rivela progressivamente le
caratteristiche ed esigenze del regno mediante le sue parole, le sue opere e
la sua persona. Il regno di Dio è destinato a tutti gli uomini, essendo tutti
chiamati a esserne membri. Per sottolineare questo aspetto, Gesù si è
avvicinato soprattutto a quelli che erano ai margini della società, dando a
essi la preferenza quando annunziava la «buona novella». All'inizio dei suo
ministero egli proclama di essere stato mandato per annunziare ai poveri il
lieto messaggio. (Lc4,18) A tutte le vittime del rifiuto e del
disprezzo dichiara: «Beati voi poveri» (Lc6,20); inoltre, a questi
emarginati fa già vivere un'esperienza di liberazione stando con loro (Lc5,30);
(Lc15,2) andando a mangiare con loro, trattandoli come uguali e amici
(Lc7,34), facendoli sentire amati da Dio e rivelando così la sua
immensa tenerezza verso i bisognosi e i peccatori. (Lc15,1) La liberazione e la salvezza, portate dal
regno di Dio raggiungono la persona umana nelle sue dimensioni sia fisiche
che spirituali. Due gesti caratterizzano la missione di Gesù: il guarire e il
perdonare. Le molteplici guarigioni dimostrano la sua grande compassione di
fronte alle miserie umane; ma significano pure che nel regno non vi saranno
più né malattie né sofferenze e che la sua missione mira fin dall'inizio a
liberare le persone da esse. Nella prospettiva di Gesù le guarigioni sono
anche segno della salvezza spirituale, cioè della liberazione dal peccato. Compiendo
gesti di guarigione, Gesù invita alla fede, alla conversione, al desiderio di
perdono. (Lc5,24) Ricevuta la fede, la guarigione spinge a proseguire
più lontano: introduce nella salvezza. (Lc18,42) I gesti di
liberazione dalla possessione del demonio, male supremo e simbolo del peccato
e della ribellione contro Dio, sono segni che «il regno di Dio è giunto fra
voi». (Mt12,28) 15. Il regno mira a trasformare i rapporti
tra gli uomini e si attua progressivamente, man mano che essi imparano ad
amarsi, a perdonarsi, a servirsi a vicenda. Gesù riprende tutta la legge,
incentrandola sul comandamento dell'amore. (Mt22,34); (Lc10,25)
Prima di lasciare i suoi, dà loro un «comandamento nuovo»: «Amatevi gli uni
gli altri, come io vi ho amato». (Gv13,34); (Gv15,12) L'amore,
con cui Gesù ha amato il mondo, trova l'espressione più alta nel dono della
sua vita per gli uomini, (Gv15,13) che manifesta l'amore che il Padre
ha per il mondo. (Gv3,16) Perciò, la natura del regno è la comunione di tutti
gli esseri umani tra di loro e con Dio. Il regno riguarda tutti: le persone,
la società, il mondo intero. Lavorare per il regno vuol dire riconoscere e
favorire il dinamismo divino, che è presente nella storia umana e la
trasforma. Costruire il regno vuol dire lavorare per la liberazione dal male
in tutte le sue forme. In sintesi, il regno di Dio è la manifestazione e
l'attuazione del suo disegno di salvezza in tutta la sua pienezza. Nel Risorto il Regno si compie ed è
proclamato 16. Risuscitando Gesù dai morti, Dio ha
vinto la morte e in lui ha inaugurato definitivamente il suo regno. Durante
la vita terrena Gesù è il profeta del regno e, dopo la sua passione,
risurrezione e ascensione al cielo, partecipa della potenza di Dio e del suo
dominio sul mondo. (Mt28,18); (At2,36); (Ef1,18) La
risurrezione conferisce una portata universale al messaggio di Cristo, alla
sua azione e a tutta la sua missione. I discepoli avvertono che il regno è
già presente nella persona di Gesù e viene a poco a poco instaurato nell'uomo
e nel mondo mediante un misterioso legame con lui. Dopo la risurrezione,
infatti, essi predicavano il regno annunziando Gesù morto e risorto. Filippo
in Samaria «recava la buona novella del regno di Dio e del nome di Gesù
Cristo». (At8,12) Paolo a Roma «annunziava il regno di Dio e insegnava
le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo». (At28,31) Anche i primi
cristiani annunziavano «il regno di Cristo e di Dio», (Ef5,5); (Ap11,15);
(Ap12,10) oppure «il regno eterno del Signore nostro e Salvatore Gesù
Cristo». (2Pt1,11) È sull'annunzio di Gesù Cristo, con cui il
regno si identifica, che è incentrata la predicazione della chiesa primitiva.
Come allora, oggi bisogna unire l'annunzio del regno di Dio (il contenuto del
«kérygma» di Gesù) e la proclamazione dell'evento Gesù Cristo (che è il
«kérygma» degli apostoli). I due annunzi si completano e si illuminano a
vicenda. Il Regno in rapporto a Cristo e alla
Chiesa 17. Oggi si parla molto del regno, ma non
sempre in consonanza col sentire ecclesiale. Ci sono, infatti, concezioni
della salvezza e della missione che si possono chiamare «antropocentriche»
nel senso riduttivo del termine, in quanto sono incentrate sui bisogni
terreni dell'uomo. In questa visione il regno tende a diventare una realtà
del tutto umana e secolarizzata, in cui ciò che conta sono i programmi e le
lotte per la liberazione socio-economica, politica e anche culturale, ma in
un orizzonte chiuso al trascendente. Senza negare che anche a questo livello
ci siano valori da promuovere tuttavia tale concezione rimane nei confini di
un regno dell'uomo decurtato delle sue autentiche e profonde dimensioni, e si
traduce facilmente in una delle ideologie di progresso puramente terreno. Il
regno di Dio, invece, «non è di questo mondo..., non è di quaggiù». (Gv18,36)
Ci sono, poi, concezioni che di proposito pongono l'accento sul regno e si
qualificano come «regno-centriche», le quali danno risalto all'immagine di
una chiesa che non pensa a se stessa, ma è tutta occupata a testimoniare e a
servire il regno. È una «chiesa per gli altri, si dice, come Cristo è l'«uomo
per gli altri». Si descrive il compito della chiesa come se debba procedere
in una duplice direzione: da un lato, promuovere i cosiddetti «valori del
regno», quali la pace, la giustizia, la libertà, la fraternità; dall'altro,
favorire il dialogo fra i popoli, le culture, le religioni, affinché in un
vicendevole arricchimento aiutino il mondo a rinnovarsi e a camminare sempre
più verso il regno. Accanto ad aspetti positivi, queste concezioni ne
rivelano spesso di negativi. Anzitutto, passano sotto silenzio Cristo: il
regno, di cui parlano, si fonda su un «teocentrismo», perché - dicono -
Cristo non può essere compreso da chi non ha la fede cristiana, mentre
popoli, culture e religioni diverse si possono ritrovare nell'unica realtà
divina, quale che sia il suo nome. Per lo stesso motivo esse privilegiano il
mistero della creazione, che si riflette nella diversità delle culture e
credenze ma tacciono sul mistero della redenzione. Inoltre, il regno, quale
essi lo intendono, finisce con l'emarginare o sottovalutare la chiesa, per
reazione a un supposto «ecclesiocentrismo» del passato e perché considerano
la chiesa stessa solo un segno, non privo peraltro di ambiguità. 18. Ora, non è questo il regno di Dio,
quale conosciamo dalla rivelazione: esso non può essere disgiunto né da
Cristo né dalla chiesa. Come si è detto, Cristo non soltanto ha annunziato il
regno, ma in lui il regno stesso si è fatto presente e si è compiuto. E non
solo mediante le sue parole e le sue opere: «Innanzi tutto, il regno si
manifesta nella stessa persona di Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo,
il quale è venuto "a servire e a dare la sua vita in riscatto per
molti" (Mc10,45); (22) » Il regno di Dio non è un concetto, una
dottrina, un programma soggetto a libera elaborazione, ma è innanzi tutto una
persona che ha il volto e il nome di Gesù di Nazareth, immagine del Dio
invisibile. (23) Se si distacca il regno da Gesù, non si ha più il regno di
Dio da lui rivelato e si finisce per distorcere sia il senso del regno, che
rischia di trasformarsi in un obiettivo puramente umano o ideologico, sia
l'identità di Cristo, che non appare più il Signore, a cui tutto deve esser
sottomesso. (1Cor15,27) Parimenti, non si può disgiungere il regno
dalla chiesa. Certo, questa non e fine a se stessa, essendo ordinata al regno
di Dio, di cui è germe, segno e strumento. Ma, mentre si distingue dal Cristo
e dal regno, la chiesa è indissolubilmente unita a entrambi. Cristo ha dotato
la chiesa, suo corpo, della pienezza dei beni e dei mezzi di salvezza; lo
Spirito santo dimora in essa, la vivifica con i suoi doni e carismi, la
santifica guida e rinnova continuamente. (24) Ne deriva una relazione
singolare e unica, che` pur non escludendo l'opera di Cristo e dello Spirito
fuori dei confini visibili della chiesa, conferisce a essa un ruolo specifico
e necessario. Di qui anche lo speciale legame della chiesa col regno di Dio e
di Cristo, che essa ha «la missione di annunziare e di instaurare in tutte le
genti». (25) 19. È in questa visione d'insieme che si
comprende la realtà del regno. Certo, esso esige la promozione dei beni umani
e dei valori che si possono ben dire «evangelici», perché sono intimamente
legati alla «buona novella». Ma questa promozione che pure sta a cuore alla chiesa,
non deve essere distaccata né contrapposta agli altri suoi compiti
fondamentali, come l'annunzio del Cristo e del suo vangelo la fondazione e lo
sviluppo di comunità che attuano tra gli uomini l'immagine viva del regno.
Non si tema di cadere con ciò in una forma di «ecclesiocentrismo». Paolo VI.
che ha affermato l'esistenza di «un legame profondo tra il Cristo la chiesa e
l'evangelizzazione» (26) ha pure detto che la chiesa «non è fine a se stessa,
ma fervidamente sollecita di essere tutta di Cristo, in Cristo e per Cristo.
e tutta degli uomini, fra gli uomini e per gli uomini». (27) 20. La Chiesa a servizio del Regno La Chiesa è effettivamente e concretamente
a servizio del regno. Lo è, anzitutto. con l'annunzio che chiama alla
conversione: è, questo, il primo e fondamentale servizio alla venuta del
regno nelle singole persone e nella società umana. La salvezza escatologica
inizia già ora nella novità di vita in Cristo: «A quanti lo hanno accolto ha
dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo nome».
(Gv1,12) La chiesa, poi, serve il regno fondando comunità e istituendo
chiese particolari e portandole alla maturazione della fede e della carità
nell'apertura verso gli altri, nel servizio alla persona e alla società,
nella comprensione e stima delle istituzioni umane.» La chiesa, inoltre,
serve il regno diffondendo nel mondo i «valori evangelici», che del regno
sono espressione e aiutano gli uomini ad accogliere il disegno di Dio. È
vero, dunque, che la realtà incipiente del regno può trovarsi anche al di là
dei confini della chiesa nell'umanità intera, in quanto questa viva i «valori
evangelici» e si apra all'azione dello Spirito che spira dove e come vuole; (Gv3,8)
ma bisogna subito aggiungere che tale dimensione temporale del regno è
incompleta, se non è coordinata col regno di Cristo, presente nella chiesa e
proteso alla pienezza escatologica. (28) Le molteplici prospettive del regno
di Dio (29) non indeboliscono i fondamenti e le finalità dell'attività
missionaria, ma piuttosto li fortificano e allargano. La chiesa è sacramento
di salvezza per tutta l'umanità, e la sua azione non si restringe a coloro
che ne accettano il messaggio. Essa è forza dinamica nel cammino dell'umanità
verso il regno escatologico, è segno e promotrice dei valori evangelici tra
gli uomini. (30) A questo itinerario dl conversione al progetto di Dio la
chiesa contribuisce con la sua testimonianza e con le sue attività, quali il
dialogo, la promozione umana, l'impegno per la giustizia e la pace,
l'educazione e la cura degli infermi, l'assistenza ai poveri e ai piccoli
tenendo sempre ferma la priorità delle realtà trascendenti e spirituali,
premesse della salvezza escatologica. La chiesa, infine, serve il regno anche
con la sua intercessione, essendo esso per la sua natura dono e opera di Dio
come ricordano le parabole evangeliche e la preghiera stessa insegnataci da
Gesù. Noi dobbiamo chiederlo, accoglierlo, farlo crescere in noi; ma dobbiamo
anche cooperare perché sia accolto e cresca tra gli uomini, fino a quando
Cristo «consegnerà il regno a Dio Padre» e «Dio sarà tutto in tutti». (1Cor15,24) PARTE
III LO
SPIRITO SANTO PROTAGONISTA DELLA MISSIONE 21. «Al culmine della missione messianica di
Gesù, lo Spirito santo diventa presente nel mistero pasquale in tutta la sua
soggettività divina, come colui che deve ora continuare l'opera salvifica,
radicata nel sacrificio della croce. Senza dubbio questa opera viene affidata
da Gesù a uomini: agli apostoli, alla chiesa. Tuttavia, in questi uomini e
per mezzo di essi, lo Spirito santo rimane il trascendente soggetto
protagonista della realizzazione di tale opera nello spirito dell'uomo e
nella storia del mondo». (31) Lo Spirito santo invero è il protagonista di
tutta la missione ecclesiale: la sua opera rifulge eminentemente nella
missione ad gentes, come appare nella chiesa primitiva per la conversione di
Cornelio, (At10,1) per le decisioni circa i problemi emergenti, (At15,1)
per la scelta dei territori e dei popoli. (At16,6) Lo Spirito opera
per mezzo degli apostoli, ma nello stesso tempo opera anche negli uditori:
«Mediante la sua azione, la buona novella prende corpo nelle coscienze e nei
cuori umani e si espande nella storia. In tutto ciò è lo Spirito santo che dà
la vita». (32) L'invio «fino agli estremi confini
della terra» 22. Tutti gli evangelisti, quando narrano
l'incontro del Risorto con gli apostoli, concludono col mandato missionario:
«Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate
tutte le nazioni... (At1,8) Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino
alla fine del mondo». (Mt28,18); (Mc16,15); (Lc24,46); (Gv20,21)
Questo invio è invio nello Spirito come appare chiaramente nel testo di san
Giovanni: Cristo manda i suoi nel mondo. come il Padre ha mandato lui? e per
questo dona loro lo Spirito. A sua volta, Luca collega strettamente la
testimonianza che gli apostoli dovranno rendere a Cristo con l'azione dello
Spirito, che li metterà in grado di attuare il mandato ricevuto. 23. Le varie forme del «mandato
missionario» contengono punti in comune e accenti caratteristici; due
elementi però, si ritrovano in tutte le versioni. Anzitutto, la dimensione
universale del compito affidato agli apostoli: «Tutte le nazioni»; (Mt28,19)
«in tutto il mondo a ogni creatura»; (Mc16,15) «tutte le genti»; (Lc24,47)
«fino agli estremi confini della terra». (At1,8) In secondo luogo,
l'assicurazione data loro dal Signore che in questo compito non rimarranno
soli, ma riceveranno la forza e i mezzi per svolgere la loro missione. È in
ciò la presenza e la potenza dello Spirito e l'assistenza di Gesù: «Essi
partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore operava insieme con
loro». (Mc16,20) Quanto alle differenze di accento nel mandato, Marco
presenta la missione come proclamazione, o kérygma: «Proclamate il vangelo».
(Mc16,15) Scopo dell'evangelista è di condurre i lettori a ripetere la
confessione di Pietro: «Tu sei il Cristo» (Mc8,29) e a dire, come il
centurione romano dinanzi a Gesù morto in croce: «Veramente quest'uomo era
Figlio di Dio». (Mc15,39) In Matteo l'accento missionario è posto
sulla fondazione della chiesa e sul suo insegnamento; (Mt28,19); (Mt16,18)
in lui, dunque, il mandato evidenzia che la proclamazione del vangelo
dev'essere completata da una specifica catechesi di ordine ecclesiale e
sacramentale. In Luca la missione è presentata come testimonianza, (Lc24,48);
(At1,8) che verte soprattutto sulla risurrezione. (At1,22) Il
missionario è invitato a credere alla potenza trasformatrice del vangelo e ad
annunziare ciò che Luca illustra bene, cioè la conversione all'amore e alla
misericordia di Dio, l'esperienza di una liberazione integrale fino alla
radice di ogni male, il peccato. Giovanni è il solo a parlare esplicitamente
di «mandato» parola che equivale a «missione» collegando direttamente la
missione che Gesù affida ai suoi discepoli con quella che egli stesso ha
ricevuto dal Padre: «Come il Padre ha mandato me, così io mando voi». (Gv20,21)
Gesù dice rivolto al Padre: «Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho
mandati nel mondo». (Gv17,18) Tutto il senso missionario del Vangelo
di Giovanni si trova espresso nella «preghiera sacerdotale»: la vita eterna è
che «conoscano te, l'unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo». (Gv17,3)
Scopo ultimo della missione è di far partecipare della comunione che esiste
tra il Padre e il Figlio: i discepoli devono vivere l'unità tra loro,
rimanendo nel Padre e nel Figlio, perché il mondo conosca e creda. (Gv17,21)
È, questo, un significativo testo missionario, il quale fa capire che si è
missionari prima di tutto per ciò che si è come chiesa che vive profondamente
l'unità nell'amore, prima di esserlo per ciò che si dice o si fa. I quattro
Vangeli, dunque, nell'unità fondamentale della stessa missione, attestano un
certo pluralismo` che riflette esperienze e situazioni diverse nelle prime
comunità cristiane. Esso è anche frutto della spinta dinamica dello stesso
Spirito; invita a essere attenti ai diversi carismi missionari e alle diverse
condizioni ambientali e umane. Tutti gli evangelisti, però, sottolineano che
la missione dei discepoli è collaborazione con quella di Cristo: «Ecco, io
sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo. (Mt28,20) La
missione, pertanto, non si fonda sulle capacità umane, ma sulla potenza del
Risorto. Lo Spirito guida la missione 24. La missione della chiesa, come quella
di Gesù, è opera di Dio o - come spesso dice Luca - opera dello Spirito. Dopo
la risurrezione e l'ascensione di Gesù gli apostoli vivono un'esperienza
forte che li trasforma: la Pentecoste. La venuta dello Spirito santo fa di
essi dei testimoni e dei profeti, (At1,8); (At2,17) infondendo
in loro una tranquilla audacia che li spinge a trasmettere agli altri la loro
esperienza di Gesù e la speranza che li anima. Lo Spirito dà loro la capacità
di testimoniare Gesù con «franchezza». (33) Quando gli evangelizzatori escono
da Gerusalemme, lo Spirito assume ancor di più la funzione di «guida» nella
scelta sia delle persone, sia delle vie della missione. La sua azione si
manifesta specialmente nell'impulso dato alla missione che di fatto secondo
le parole di Cristo, si allarga da Gerusalemme a tutta la Giudea e Samaria e
fino agli estremi confini della terra. Gli Atti riportano sei sintesi dei
«discorsi missionari» che sono rivolti ai giudei agli inizi della chiesa. (At2,22);
(At3,12); (At4,9); (At5,29); (At10,34); (At13,16)
Questi discorsi-modello, pronunciati da Pietro e da Paolo, annunziano Gesù,
invitano a «convertirsi», cioè ad accogliere Gesù nella fede e a lasciarsi
trasformare in lui dallo Spirito. Paolo e Barnaba sono spinti dallo Spirito
verso i pagani, (At13,46) il che non avviene senza tensioni e
problemi. Come devono vivere la loro fede in Gesù i pagani convertiti? Sono
essi vincolati alla tradizione del giudaismo e alla legge della
circoncisione? Nel primo concilio, che riunisce a Gerusalemme intorno agli
apostoli i membri di diverse chiese, viene presa una decisione riconosciuta
come derivante dallo Spirito: non è necessario che il gentile si sottometta
alla legge giudaica per diventare cristiano. (At15,5); (At11,28)
Da quel momento la chiesa apre le sue porte e diventa la casa in cui tutti
possono entrare e sentirsi a proprio agio, conservando la propria cultura e
le proprie tradizioni, purché non siano in contrasto col Vangelo. 25. I missionari hanno proceduto lungo
questa linea, tenendo ben presenti le attese e speranze, le angosce e
sofferenze, la cultura della gente per annunziarle la salvezza in Cristo. I
discorsi di Listra e di Atene (At14,15); (At17,22) sono
riconosciuti come modelli per l'evangelizzazione dei pagani: in essi Paolo
«entra in dialogo» con i valori culturali e religiosi dei diversi popoli.
Agli abitanti della Licaonia, che praticavano una religione cosmica, egli
ricorda esperienze religiose che si riferiscono al cosmo; con i greci discute
di filosofia e cita i loro poeti. (At17,18) Il Dio che vuol rivelare è
già presente nella loro vita: è lui, infatti, che li ha creati e dirige misteriosamente
i popoli e la storia; tuttavia, per riconoscere il vero Dio, bisogna che
abbandonino i falsi dèi che essi stessi hanno fabbricato e si aprano a colui
che Dio ha inviato per colmare la loro ignoranza e soddisfare l'attesa del
loro cuore. Sono discorsi che offrono un esempio di inculturazione del
Vangelo. Sotto la spinta dello Spirito, la fede cristiana si apre decisamente
alle «genti», e la testimonianza del Cristo si allarga ai centri più
importanti del Mediterraneo orientale per arrivare poi a Roma e all'estremo
occidente. E lo Spirito che spinge ad andare sempre oltre, non solo in senso
geografico, ma anche al di là delle barriere etniche e religiose, per una
missione veramente universale. Lo Spirito rende missionaria tutta
la Chiesa 26. Lo Spirito spinge il gruppo dei
credenti a «fare comunità», a essere chiesa. Dopo il primo annunzio di Pietro
il giorno di Pentecoste e le conversioni che ne seguirono, si forma la prima
comunità. (At2,42); (At4,32) Uno degli scopi centrali della
missione, infatti, è di riunire il popolo nell'ascolto del vangelo, nella
comunione fraterna, nella preghiera e nell'eucaristia. Vivere la «comunione
fraterna» (koinonìa) significa avere «un cuor solo e un'anima sola», (At4,32)
instaurando una comunione sotto tutti gli aspetti: umano, spirituale e
materiale. Difatti, la vera comunità cristiana è impegnata a distribuire i
beni terreni, affinché non ci siano indigenti e tutti possano avere accesso a
quei beni «secondo le necessità». (At2,45); (At4,35) Le prime
comunità, in cui regnavano «la letizia e la semplicità di cuore», (At2,46)
erano dinamicamente aperte e missionarie: «Godevano la stima di tutto il
popolo». (At2,47) Prima ancora di essere azione, la missione è
testimonianza e irradiazione. (34) 27. Gli Atti indicano che la missione,
indirizzata prima a Israele e poi alle genti, si sviluppa a molteplici
livelli. C'è, innanzi tutto, il gruppo dei Dodici che, come un unico corpo
guidato da Pietro, proclama la buona novella. C'è, poi, la comunità dei
credenti, che. col suo modo di vivere e di operare, rende testimonianza al
Signore e converte i pagani. (At2,46) Ci sono, ancora, gli inviati
speciali, destinati ad annunziare il vangelo. Così la comunità cristiana di
Antiochia invia i suoi membri in missione: dopo aver digiunato, pregato e
celebrato l'eucaristia, essa avverte che lo Spirito ha scelto Paolo e Barnaba
per essere inviati. (At13,1) Alle sue origini, dunque, la missione è
vista come un impegno comunitario e una responsabilità della chiesa locale,
che ha bisogno appunto di «missionari» per spingersi verso nuove frontiere.
Accanto a quelli inviati ce ne erano altri, che testimoniavano spontaneamente
la novità che aveva trasformato la loro vita e collegavano poi le comunità in
formazione alla chiesa apostolica. La lettura degli Atti ci fa capire che
all'inizio della chiesa la missione gentes pur avendo anche missionari «a
vita» che vi si dedicavano per una speciale vocazione, era di fatto
considerata come il frutto normale della vita cristiana, l'impegno per ogni
credente mediante la testimonianza personale e l'annunzio esplicito, quando
possibile. Lo Spirito è presente e operante in
ogni tempo e luogo 28. Lo Spirito si manifesta in maniera
particolare nella chiesa e nei suoi membri; tuttavia, la sua presenza e
azione sono universali, senza limiti né di spazio né di tempo. (35) Il
concilio Vaticano II ricorda l'opera dello Spirito nel cuore di ogni uomo
mediante i «semi del Verbo», nelle iniziative anche religiose, negli sforzi
dell'attività umana tesi alla verità, al bene, a Dio. (36) Lo Spirito offre
all'uomo «luce e forza per rispondere alla suprema sua vocazione»; mediante
lo Spirito «l'uomo può arrivare nella fede a contemplare e gustare il mistero
del piano divino»; anzi, «dobbiamo ritenere che lo Spirito santo dia a tutti
la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio conosce, col mistero
pasquale». (37) In ogni caso la chiesa sa che l'uomo, «sollecitato
incessantemente dallo Spirito di Dio, non potrà mai essere del tutto
indifferente al problema della religione», e «avrà sempre desiderio di
sapere. almeno confusamente, quale sia il significato della sua vita, della
sua attività e della sua morte». (38) Lo Spirito, dunque. è all'origine
stessa della domanda esistenziale e religiosa dell'uomo. la quale nasce non
soltanto da situazioni contingenti. ma dalla struttura stessa del suo essere.
(39) La presenza e l'attività dello Spirito non toccano solo gli individui.
ma la società e la storia, i popoli, le culture. le religioni. Lo Spirito.
infatti, sta all'origine dei nobili ideali e delle iniziative di bene
dell'umanità in cammino: «Con mirabile provvidenza egli dirige il corso dei
tempi e rinnova la faccia della terra». (40) Il Cristo risorto «opera nel
cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito. non solo suscitando il
desiderio del mondo futuro. ma per ciò stesso anche ispirando, purificando e
fortificando quei generosi propositi, con i quali la famiglia de li uomini
cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine
tutta la terra». (41) È ancora lo Spirito che sparge i «semi del Verbo»,
presenti nei riti e nelle culture, e li prepara a maturare in Cristo. (42) 29. Così lo Spirito, che «soffia dove
vuole» (Gv3,8) e «operava nel mondo prima ancora che Cristo fosse
glorificato», (43) che «riempie l'universo abbracciando ogni cosa e conosce
ogni voce», (Sap1,7) ci induce ad allargare lo sguardo per considerare
la sua azione presente in ogni tempo e in ogni luogo. (44) È un richiamo che
io stesso ho fatto ripetutamente e che mi ha guidato negli incontri con i
popoli più diversi. Il rapporto della chiesa con le altre religioni è dettato
da un duplice rispetto: «Rispetto per l'uomo nella sua ricerca di risposte
alle domande più profonde della vita e rispetto per l'azione dello Spirito
nell'uomo». (45) L'incontro inter-religioso di Assisi, esclusa ogni equivoca
interpretazione, ha voluto ribadire la mia convinzione che «ogni autentica
preghiera è suscitata dallo Spirito santo, il quale è misteriosamente
presente nel cuore di ogni uomo». (46) Questo Spirito è lo stesso che ha
operato nell'incarnazione, nella vita, morte e risurrezione di Gesù e opera
nella chiesa. Non è, dunque, alternativo a Cristo, né riempie una specie di
vuoto, come talvolta si ipotizza esserci tra Cristo e il Lógos. Quanto lo
Spirito opera nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture
e religioni, assume un ruolo di preparazione evangelica (47) e non può non
avere riferimento a Cristo, Verbo fatto carne per l'azione dello Spirito,
«per operare lui, l'Uomo perfetto, la salvezza di tutti e la ricapitolazione
universale». (48) L'azione universale dello Spirito non va poi separata
dall'azione peculiare, che egli svolge nel corpo di Cristo ch'è la chiesa.
Infatti, è sempre lo Spirito che agisce sia quando vivifica la chiesa e la
spinge ad annunziare il Cristo, sia quando semina e sviluppa i suoi doni in
tutti gli uomini e i popoli, guidando la chiesa a scoprirli, promuoverli e
recepirli mediante il dialogo. Qualsiasi presenza dello Spirito va accolta
con stima e gratitudine, ma il discernerla spetta alla chiesa, alla quale
Cristo ha dato il suo Spirito per guidarla alla verità tutta intera. (Gv16,13) L'attività missionaria è solo agli
inizi 30. Il nostro tempo, con l'umanità in
movimento e in ricerca, esige un rinnovato impulso nell'attività missionaria
della chiesa. Gli orizzonti e le possibilità della missione si allargano, e
noi cristiani siamo sollecitati al coraggio apostolico, fondato sulla fiducia
nello Spirito. E lui il protagonista della missione! Sono numerose nella
storia dell'umanità le svolte epocali che stimolano il dinamismo missionario,
e la chiesa, guidata dallo Spirito, vi ha sempre risposto con generosità e
lungimiranza. Né i frutti sono mancati. Da poco è stato celebrato il
millennio dell'evangelizzazione della Rus' e dei popoli slavi, mentre si sta
per celebrare il cinquecentesimo anniversario dell'evangelizzazione delle
Americhe. Parimenti, sono stati di recente commemorati i centenari delle
prime missioni in diversi paesi dell'Asia, dell'Africa e dell'Oceania. Oggi
la chiesa deve affrontare altre sfide, proiettandosi verso nuove frontiere
sia nella prima missione ad gentes sia nella nuova evangelizzazione di popoli
che hanno già ricevuto l'annuncio di Cristo. Oggi a tutti i cristiani, alle
chiese particolari e alla chiesa universale sono richiesti lo stesso coraggio
che mosse i missionari del passato e la stessa disponibilità ad ascoltare la
voce dello Spirito. PARTE
IV GLI
IMMENSI ORIZZONTI DELLA MISSIONE "AD GENTES" 31. Il Signore Gesù inviò i suoi apostoli
a tutte le persone, a tutti i popoli e a tutti i luoghi della terra. Negli
apostoli la chiesa ricevette una missione universale, che non ha confini e
riguarda la salvezza nella sua integrità, secondo quella pienezza di vita che
Cristo è venuto a portare (Gv10,10) essa fu «inviata a rivelare e
comunicare la carità di Dio a tutti gli uomini e a tutti i popoli della
terra». (49) Tale missione è unica, avendo la stessa origine e finalità; ma
all'interno di essa si danno compiti e attività diverse. Anzitutto, c'è
l'attività missionaria che chiamiamo missione ad gentes in riferimento al
decreto conciliare: si tratta di un'attività primaria della chiesa,
essenziale e mai conclusa. Infatti, la chiesa «non può sottrarsi alla missione
permanente di portare il vangelo a quanti sono milioni e milioni di uomini e
donne ancora non conoscono Cristo, redentore dell'uomo. È questo il compito
più specificamente missionario che Gesù ha affidato e quotidianamente affida
alla sua chiesa». (50) Un quadro religioso complesso e in
movimento 32. Oggi ci si trova di fronte a una
situazione religiosa assai diversificata e cangiante: i popoli sono in
movimento; realtà sociali e religiose che un tempo erano chiare e definite
oggi evolvono in situazioni complesse. Basti pensare ad alcuni fenomeni come
l'urbanesimo, le migrazioni di massa, il movimento dei profughi, la
scristianizzazione di paesi di antica cristianità, L'influsso emergente del
vangelo e dei suoi valori in paesi a grandissima maggioranza non cristiana,
il pullulare di messianismi e dl sette religiose. È un rivolgimento di
situazioni religiose e sociali, che rende difficile applicare in concreto
certe distinzioni e categorie ecclesiali, a cui si era abituati. Già prima
del concilio si diceva di alcune metropoli o terre cristiane che erano
diventate «paesi di missione», né la situazione è certo migliorata negli anni
successivi. D'altra parte, l'opera missionaria ha prodotto abbondanti frutti
in tutte le parti del mondo, per cui esistono chiese impiantate, a volte
tanto solide e mature da ben provvedere ai bisogni delle proprie comunità e
inviare anche personale per l'evangelizzazione in altre chiese e territori.
Di qui il contrasto con aree di antica cristianità, che è necessario rievangelizzare.
Alcuni, pertanto, si chiedono se sia ancora il caso di parlare di attività
missionaria specifica o di ambiti precisi di essa, o se non si debba
ammettere che esiste un'unica situazione missionaria, per cui non c'è che
un'unica missione, dappertutto eguale. La difficoltà di interpretare questa
realtà complessa e mutevole in ordine al mandato di evangelizzazione si
manifesta già nel «vocabolario missionario»: a esempio, c'è una certa
esitazione a usare i termini «missioni» e «missionari», giudicati superati e
carichi di risonanze storiche negative; si preferisce usare il sostantivo
«missione» al singolare e l'aggettivo «missionario» per qualificare ogni
attività della chiesa. Questo travaglio denota un cambiamento reale, che ha
aspetti positivi. Il cosiddetto rientro o «rimpatrio» delle missioni nella
missione della chiesa, il confluire della missiologia nell'ecclesiologia e
l'inserimento di entrambe nel disegno trinitario di salvezza, hanno dato un
respiro nuovo alla stessa attività missionaria, concepita non già come un
compito ai margini della chiesa, ma inserito nel cuore della sua vita, quale
impegno fondamentale di tutto il popolo di Dio. Occorre, però, guardarsi dal
rischio di livellare situazioni molto diverse e di ridurre, se non far
scomparire, la missione e i missionari ad gentes. Dire che tutta la chiesa è
missionaria non esclude che esista una specifica missione ad gentes, come
dire che tutti i cattolici debbono essere missionari non esclude, anzi
richiede che ci siano i «missionari ad gentes e a vita» per vocazione
specifica. La missione ad gentes conserva il
suo valore 33. Le differenze nell'attività
all'interno dell'unica missione della chiesa nascono non da ragioni
intrinseche alla missione stessa, ma dalle diverse circostanze in cui essa si
svolge. (51) Guardando al mondo d'oggi dal punto di vista
dell'evangelizzazione, si possono distinguere tre situazioni. Anzitutto,
quella a cui si rivolge l'attività missionaria della chiesa: popoli, gruppi
umani, contesti socio-culturali in cui Cristo e il suo vangelo non sono
conosciuti, o in cui mancano comunità cristiane abbastanza mature da poter
incarnare la fede nel proprio ambiente e annunziarla ad altri gruppi. È,
questa, propriamente la missione ad gentes. (52) Ci sono, poi, comunità
cristiane che hanno adeguate e solide strutture ecclesiali, sono ferventi di
fede e di vita irradiano la testimonianza del vangelo nel loro ambiente e
sentono l'impegno della missione universale. In esse si svolge l'attività, o
cura pastorale della chiesa. Esiste, infine, una situazione intermedia,
specie nei paesi di antica cristianità, ma a volte anche nelle chiese più
giovani, dove interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della
fede, o addirittura non si riconoscono più come membri della chiesa, conducendo
un'esistenza lontana da Cristo e dal suo vangelo. In questo caso c'è bisogno
di una «nuova evangelizzazione», o «rievangelizazione». 34. L'attività missionaria specifica, o
missione ad gentes, ha come destinatari «i popoli e i gruppi che ancora non credono
in Cristo», «coloro che sono lontani da Cristo», tra i quali la chiesa «non
ha ancora messo radici» (53) e la cui cultura non è stata ancora influenzata
dal vangelo. (54) Essa si distingue dalle altre attività ecclesiali, perché
si rivolge a gruppi e ambienti non cristiani per l'assenza o insufficienza
dell'annunzio evangelico e della presenza ecclesiale. Pertanto, si
caratterizza come opera di annunzio del Cristo e del suo vangelo, di
edificazione della chiesa locale. di promozione dei valori del regno. La
peculiarità di questa missione ad gentes deriva dal fatto che si rivolge ai
non cristiani. Occorre, perciò, evitare che tale «compito più specificamente
missionario, che Gesù ha affidato e quotidianamente riaffida alla sua chiesa»
(55), subisca un appiattimento nella missione globale di tutto il popolo di
Dio e, quindi, sia trascurato o dimenticato. D'altronde, i confini fra cura
pastorale dei fedeli, nuova evangelizzazione e attività missionaria specifica
non sono nettamente definibili, e non è pensabile creare tra di esse barriere
o compartimenti-stagno. Bisogna, tuttavia, non perdere la tensione per
l'annunzio e per la fondazione di nuove chiese presso popoli o gruppi umani,
in cui ancora non esistono poiché questo è il compito primo della chiesa che
è inviata a tutti i popoli, fino agli ultimi confini della terra. Senza la
missione ad gentes la stessa dimensione missionaria della chiesa sarebbe
priva del suo significato fondamentale e della sua attuazione esemplare. È da
notare, altresì, una reale e crescente interdipendenza tra le varie attività
salvifiche della chiesa: ciascuna influisce sull'altra, la stimola e la
aiuta. Il dinamismo missionario crea scambio tra le chiese e orienta verso il
mondo esterno, con influssi positivi in tutti i sensi. Le chiese di antica
cristianità. a esempio, alle prese col drammatico compito della nuova
evangelizzazione, comprendono meglio che non possono essere missionarie verso
i non cristiani di altri paesi e continenti, se non si preoccupano seriamente
dei non cristiani in casa propria: la missionarietà ad intra è segno
credibile e stimolo per quella ad extra, e viceversa. A tutti i popoli, nonostante le
difficoltà 35. La missione ad gentes ha davanti a sé
un compito immane che non è per nulla in via di estinzione. Essa anzi, sia
dal punto di vista numerico per l'aumento demografico, sia dal punto di vista
socio-culturale per il sorgere di nuove relazioni, contatti e il variare
delle situazioni, sembra destinata ad avere orizzonti ancora più vasti. Il
compito di annunziare Gesù Cristo presso tutti i popoli appare immenso e
sproporzionato rispetto alle forze umane della chiesa. Le diffìcoltà sembrano
insormontabili e potrebbero scoraggiare, se si trattasse di un'opera soltanto
umana. In alcuni paesi è proibito l'ingresso dei missionari, in altri è
vietata non solo l'evangelizzazione, ma anche la conversione e persino il
culto cristiano. Altrove gli ostacoli sono di natura culturale: la
trasmissione del messaggio evangelico appare irrilevante o incomprensibile, e
la conversione è vista come l'abbandono del proprio popolo e della propria
cultura. 36. Né mancano le difficoltà interne al
popolo di Dio, le quali anzi sono le più dolorose. Già il mio predecessore
Paolo VI indicava in primo luogo «la mancanza di fervore, tanto più grave
perché nasce dal di dentro; essa si manifesta nella stanchezza, nella
delusione, nell'accomodamento, nel disinteresse e, soprattutto, nella
mancanza di gioia e di speranza». (56) Grandi ostacoli alla missionarietà
della chiesa sono anche le divisioni passate e presenti tra i cristiani, (57)
la scristianizzazione in paesi cristiani, la diminuzione delle vocazioni
all'apostolato, le contro-testimonianze di fedeli e di comunità cristiane che
non seguono nella loro vita il modello di Cristo. Ma una delle ragioni più
gravi dello scarso interesse per l'impegno missionario è la mentalità
indifferentista, largamente diffusa, purtroppo, anche tra cristiani, spesso
radicata in visioni teologiche non corrette e improntata a un relativismo
religioso che porta a ritenere che «una religione vale l'altra». Possiamo
aggiungere come diceva lo stesso pontefice - che ci sono anche «alibi che
possono sviare dall'evangelizzazione. I più insidiosi sono certamente quelli,
per i quali si pretende di trovare appoggio nel tale o tal altro insegnamento
del concilio». (58) Al riguardo, raccomando vivamente ai teologi e ai
professionisti della stampa cristiana di intensificare il proprio servizio
alla missione, per trovare il senso profondo del loro importante lavoro lungo
la retta via del sentire cum ecclesia. Le difficoltà interne ed esterne non
debbono renderci pessimisti o inattivi. Ciò che conta - qui come in ogni
settore della vita cristiana è la fiducia che viene dalla fede, cioè dalla
certezza che non siamo noi i protagonisti della missione, ma Gesù Cristo e il
suo Spirito. Noi siamo soltanto collaboratori e, quando abbiamo fatto tutto
quello che ci è possibile, dobbiamo dire: «Siamo servi inutili. Abbiamo fatto
quanto dovevamo fare». (Lc17,10) Ambiti della missione "ad
gentes" 37. La missione ad gentes, in forza del
mandato universale di Cristo, non ha confini. Si possono, tuttavia, delineare
vari ambiti in cui essa si attua, in modo da avere il quadro reale della
situazione. a) Ambiti territoriali L'attività missionaria è stata normalmente
definita in rapporto a territori precisi. Il concilio Vaticano II ha
riconosciuto la dimensione territoriale della missione ad gentes, (59) anche
oggi importante al fine di determinare responsabilità, competenze e limiti
geografici d'azione. È vero che a una missione universale deve corrispondere
una prospettiva universale: la chiesa, infatti, non può accettare che confini
geografici e impedimenti politici ostacolino la sua presenza missionaria. Ma
è anche vero che l'attività missionaria ad gentes, essendo diversa dalla cura
pastorale dei fedeli e dalla nuova evangelizzazione dei non praticanti, si
esercita in territori e presso gruppi umani ben delimitati. Il moltiplicarsi
delle giovani chiese nei tempi recenti non deve illudere. Nei territori
affidati a queste chiese, specie in Asia, ma anche in Africa e in America
Latina e Oceania, ci sono vaste zone non evangelizzate: interi popoli e aree
culturali di grande importanza in non poche nazioni non sono ancora raggiunte
dall'annunzio evangelico e dalla presenza della chiesa locale. (60) Anche in
paesi tradizionalmente cristiani ci sono regioni affidate al regime speciale
della missione ad gentes con gruppi e aree non evangelizzate. Si impone,
quindi, anche in questi paesi non solo una nuova evangelizzazione, ma in
certi casi una prima evangelizzazione. (61) Le situazioni, però, non sono
omogenee. Pur riconoscendo che le affermazioni circa la responsabilità
missionaria della chiesa non sono credibili se non sono autenticate da un
serio impegno di nuova evangelizzazione nei paesi di antica cristianità, non
pare giusto equiparare la situazione di un popolo che non ha mai conosciuto
Gesù Cristo con quella di un altro che l'ha conosciuto, accettato e poi
rifiutato, pur continuando a vivere in una cultura che ha assorbito in gran
parte i principi e valori evangelici. Sono due condizioni, in rapporto alla
fede, sostanzialmente diverse. Pertanto, il criterio geografico, anche se non
molto preciso e sempre provvisorio, vale ancora per indicare le frontiere
verso cui deve rivolgersi l'attività missionaria. Ci sono paesi e aree
geografiche e culturali in cui mancano comunità cristiane autoctone; altrove
queste sono talmente piccole, da non essere un segno chiaro di presenza
cristiana; oppure queste comunità mancano di dinamismo per evangelizzare le
loro società o appartengono a popolazioni minoritarie, non inserite nella
cultura nazionale dominante. Nel continente asiatico, in particolare, verso
cui dovrebbe orientarsi principalmente la missione ad gentes, i cristiani
sono una piccola minoranza, anche se a volte vi si verificano significativi
movimenti di conversione ed esemplari modi di presenza cristiana. b) Mondi e fenomeni sociali nuovi Le rapide e profonde trasformazioni che
caratterizzano oggi il mondo, in particolare il Sud, influiscono fortemente
sul quadro missionario: dove prima c'erano situazioni umane e sociali
stabili, oggi tutto è in movimento. Si pensi, a esempio, all'urbanizzazione e
al massiccio incremento delle città, soprattutto dove più forte è la
pressione demografica. Già ora in non pochi paesi più della metà della
popolazione vive in alcune megalopoli, dove i problemi dell'uomo spesso
peggiorano anche per l'anonimato in cui si sentono immerse le moltitudini.
Nei tempi moderni l'attività missionaria si è svolta soprattutto in regioni
isolate, lontane dai centri civilizzati e impervie per difficoltà di
comunicazione, di lingua, di clima. Oggi l'immagine della missione ad gentes
sta forse cambiando: luoghi privilegiati dovrebbero essere le grandi città,
dove sorgono nuovi costumi e modelli di vita, nuove forme di cultura e
comunicazione, che poi influiscono sulla popolazione. È vero che la «scelta
degli ultimi» deve portare a non trascurare i gruppi umani più marginali e
isolati, ma è anche vero che non si possono evangelizzare le persone o i
piccoli gruppi, trascurando i centri dove nasce, si può dire. un'umanità
nuova con nuovi modelli di sviluppo. Il futuro delle giovani nazioni si sta
formando nelle città. Parlando del futuro, non si possono dimenticare i
giovani, i quali in numerosi paesi costituiscono già più della metà della
popolazione. Come far giungere il messaggio di Cristo ai giovani non
cristiani, che sono il futuro di interi continenti? Evidentemente i mezzi
ordinari della pastorale non bastano più: occorrono associazioni e
istituzioni, gruppi e centri speciali, iniziative culturali e sociali per i
giovani. Ecco un campo, dove i moderni movimenti ecclesiali hanno ampio
spazio per impegnarsi. Fra le grandi mutazioni del mondo contemporaneo, le
migrazioni hanno prodotto un fenomeno nuovo: i non cristiani giungono assai
numerosi nei paesi di antica cristianità, creando occasioni nuove di contatti
e scambi culturali, sollecitando la chiesa all'accoglienza, al dialogo,
all'aiuto e, in una parola, alla fraternità. Fra i migranti occupano un posto
del tutto particolare i rifugiati e meritano la massima attenzione. Essi sono
ormai molti milioni nel mondo e non cessano di aumentare: sono fuggiti da
condizioni di oppressione politica e di miseria disumana, da carestie e
siccità di dimensioni catastrofiche. La chiesa deve assumerli nell'ambito
della sua sollecitudine apostolica. Infine, si possono ricordare le
condizioni di povertà, spesso intollerabile, che vengono a crearsi in non
pochi paesi e sono spesso all'origine delle migrazioni di massa. La comunità
dei credenti in Cristo è provocata da queste situazioni disumane: l'annunzio
di Cristo e del regno di Dio deve diventare strumento di riscatto umano per
queste popolazioni. c.) Aree culturali, o aeropaghi moderni Paolo, dopo aver predicato in numerosi
luoghi, giunto ad Atene, si reca all'areopago, dove annunzia il vangelo,
usando un linguaggio adatto e comprensibile in quell'ambiente. (At17,22)
L'areopago rappresentava allora il centro della cultura del dotto popolo
ateniese, e oggi può essere assunto a simbolo dei nuovi ambienti in cui si
deve proclamare il vangelo. Il primo areopago del tempo moderno è il mondo
delle comunicazioni, che sta unificando l'umanità rendendola - come si suol
dire - «un villaggio globale». I mezzi di comunicazione sociale hanno
raggiunto una tale importanza da essere per molti il principale strumento
informativo e formativo, di guida e di ispirazione per i comportamenti
individuali, familiari, sociali. Le nuove generazioni soprattutto crescono in
modo condizionato da essi. Forse è stato un po' trascurato questo areopago:
si privilegiano generalmente altri strumenti per l'annunzio evangelico e per
la formazione, mentre i mass media sono lasciati all'iniziativa di singoli o
di piccoli gruppi ed entrano nella programmazione pastorale in linea
secondaria. L'impegno nei mass media, tuttavia, non ha solo lo scopo di
moltiplicare l'annunzio: si tratta di un fatto più profondo, perché
l'evangelizzazione stessa della cultura moderna dipende in gran parte dal
loro influsso. Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio
cristiano e magistero della chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso
in questa «nuova cultura» creata dalla comunicazione moderna. È un problema
complesso, poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal
fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove
tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici. Il mio predecessore Paolo VI
diceva che «la rottura fra il vangelo e la cultura è senza dubbio il dramma
della nostra epoca», (62) e il campo dell'odierna comunicazione conferma in
pieno questo giudizio. Molti altri sono gli areopaghi del mondo moderno verso
cui si deve orientare l'attività missionaria della chiesa. A esempio,
l'impegno per la pace, lo sviluppo e la liberazione dei popoli; i diritti
dell'uomo e dei popoli, soprattutto quelli delle minoranze. la promozione
della donna e del bambino. la salvaguardia del creato sono altrettanti settori
da illuminare con la luce del vangelo. È da ricordare, inoltre, il vastissimo
areopago della cultura, della ricerca scientifica, dei rapporti
internazionali che favoriscono il dialogo e portano a nuovi progetti di vita.
Conviene essere attenti e impegnati in queste istanze moderne. Gli uomini
avvertono di essere come naviganti nel mare della vita, chiamati a sempre
maggiore unità e solidarietà: le soluzioni ai problemi esistenziali vanno
studiate, discusse, sperimentate col concorso di tutti. Ecco perché organismi
e convegni internazionali si dimostrano sempre più importanti in molti
settori della vita umana, dalla cultura alla politica, dall'economia alla
ricerca. I cristiani, che vivono e lavorano in questa dimensione
internazionale, debbono sempre ricordare il loro dovere di testimoniare il
vangelo. 38. Il nostro tempo è drammatico e insieme
affascinante. Mentre da un lato gli uomini sembrano rincorrere la prosperità
materiale e immergersi sempre più nel materialismo consumistico, dall'altro
si manifestano l angosciosa ricerca di significato, il bisogno di
interiorità, il desiderio di apprendere nuove forme e modi di concentrazione
e di preghiera. Non solo nelle culture impregnate di religiosità. ma anche
nelle società secolarizzate è ricercata la dimensione spirituale della vita
come antidoto alla disumanizzazione. Questo cosiddetto fenomeno del «ritorno
religioso» non è privo di ambiguità. ma contiene anche un invito. La chiesa
ha un immenso patrimonio spirituale da offrire all'umanità in Cristo che si
proclama «la via, la verità e la vita». (Gv14,6) È il cammino
cristiano all'incontro con Dio, alla preghiera, all'ascesi, alla scoperta del
senso della vita. Anche questo è un areopago da evangelizzare. Fedeltà a Cristo e promozione della
libertà dell'uomo 39. Tutte le forme dell'attività
missionaria sono contrassegnate dalla consapevolezza di promuovere la libertà
dell'uomo annunciando a lui Gesù Cristo. La chiesa deve essere fedele a
Cristo, di cui è il corpo e continua la missione. È necessario che essa
«segua la stessa strada seguita da Cristo, la strada della povertà,
dell'obbedienza, del servizio e del sacrificio di sé fino alla morte, da cui
poi risorgendo uscì vincitore». (63) La chiesa, quindi, ha il dovere di fare
di tutto per svolgere la sua missione nel mondo e raggiungere tutti i popoli;
e ne ha anche il diritto, che le e stato dato da Dio per l'attuazione del suo
piano. La libertà religiosa, talvolta ancora limitata o coartata, è la
premessa e la garanzia di tutte le libertà che assicurano il bene comune
delle persone e dei popoli. È da auspicare che l'autentica libertà religiosa
sia concessa a tutti in ogni luogo, e a questo scopo la chiesa si adopera nei
vari paesi, specie in quelli a maggioranza cattolica, dove essa ha un
maggiore influsso. Ma non si tratta di un problema della religione di
maggioranza o di minoranza, bensì di un diritto inalienabile di ogni persona
umana. D'altra parte, la chiesa si rivolge all'uomo nel pieno rispetto della
sua libertà: (64) la missione non coarta la libertà, ma piuttosto la
favorisce. La chiesa propone, non impone nulla: rispetta le persone e le
culture, e si ferma davanti al sacrario della coscienza. A coloro che si
oppongono con i più vari pretesti all'attività missionaria la chiesa ripete:
Aprite le porte a Cristo! Mi rivolgo a tutte le chiese particolari, giovani e
antiche. Il mondo va sempre più unificandosi, lo spirito evangelico deve
portare al superamento di barriere culturali e nazionalistiche, evitando ogni
chiusura. Benedetto XV ammoniva già i missionari del suo tempo se mai,
«dimentichi della propria dignità, pensassero più alla loro patria terrestre
che a quella del cielo». (65) La stessa raccomandazione vale oggi per le
chiese particolari: Aprite le porte ai missionari, poiché «ogni chiesa particolare.
che si separasse volontariamente dalla chiesa universale, perderebbe il suo
riferimento al disegno di Dio e si impoverirebbe nella sua dimensione
ecclesiale». (66) Rivolgere l'attenzione verso il Sud
e l'Oriente 40. L'attività missionaria rappresenta
ancor oggi la massima sfida per la chiesa . Mentre si avvicina la fine del
secondo millennio della redenzione, si fa sempre più evidente che le genti
che non hanno ancora ricevuto il primo annunzio di Cristo sono la maggioranza
dell'umanità. Il bilancio dell'attività missionaria nei tempi moderni è certo
positivo: la chiesa è stata fondata in tutti i continenti, anzi oggi la
maggioranza dei fedeli e delle chiese particolari non è più nella vecchia
Europa, ma nei continenti che i missionari hanno aperto alla fede. Rimane,
però, il fatto che gli «ultimi confini della terra», a cui si deve portare il
vangelo, si allontanano sempre più, e la sentenza di Tertulliano, secondo cui
il vangelo è stato annunziato in tutta la terra e a tutti i popoli, (67) è
ben lontana dalla sua concreta attuazione: la missione ad gentes è ancora
agli inizi. Nuovi popoli compaiono sulla scena mondiale e hanno anch'essi il
diritto di ricevere l'annunzio della salvezza. La crescita demografica del
Sud e dell'Oriente, in paesi non cristiani, fa aumentare di continuo il
numero delle persone che ignorano la redenzione di Cristo. Bisogna, dunque,
rivolgere l'attenzione missionaria verso quelle aree geografiche e quegli
ambienti culturali che sono rimasti al di fuori dell'influsso evangelico.
Tutti i credenti in Cristo debbono sentire, come parte integrante della loro
fede, la sollecitudine apostolica di trasmetterne ad altri la gioia e la
luce. Tale sollecitudine deve diventare, per così dire, fame e sete di far
conoscere il Signore quando si allarga lo sguardo agli immensi orizzonti del
mondo non cristiano. PARTE
V LE
VIE DELLA MISSIONE 41. «L'attività missionaria non è né più
né meno che la manifestazione, o epifania, e la realizzazione del disegno di
Dio nel mondo e nella storia, nella quale Dio, proprio mediante la missione.
attua all'evidenza la storia della salvezza». (68) Quali vie segue la chiesa
per giungere a questo risultato? La missione è una realtà unitaria, ma
complessa. e si esplica in vari modi, tra cui alcuni sono di particolare
importanza nella presente condizione della chiesa e del mondo . La prima forma di evangelizzazione è
la testimonianza 42. L'uomo contemporaneo crede più ai
testimoni che ai maestri, (69) più all'esperienza che alla dottrina, più alla
vita e ai fatti che alle teorie. La testimonianza della vita cristiana è la
prima e insostituibile forma della missione: Cristo, di cui noi continuiamo
la missione, è il «testimone» per eccellenza (Ap1,5); (Ap3,14)
e il modello della testimonianza cristiana. Lo Spirito santo accompagna il
cammino della chiesa e la associa alla testimonianza che egli rende a Cristo.
(Gv15,26) La prima forma di testimonianza è la vita stessa del
missionario della famiglia cristiana e della comunità ecclesiale, che rende
visibile un modo nuovo di comportarsi. Il missionario che, pur con tutti i
limiti e difetti umani, vive con semplicità secondo il modello di Cristo, è
un segno di Dio e delle realtà trascendenti. Ma tutti nella chiesa,
sforzandosi di imitare il divino Maestro, possono e debbono dare tale
testimonianza, (70) che in molti casi è l'unico modo possibile di essere
missionari. La testimonianza evangelica, a cui il mondo è più sensibile, è
quella dell'attenzione per le persone e della carità verso i poveri e i
piccoli, verso chi soffre. La gratuità di questo atteggiamento e di queste
azioni, che contrastano profondamente con l'egoismo presente nell'uomo, fa
nascere precise domande che orientano a Dio e al vangelo. Anche l'impegno per
la pace, la giustizia, i diritti dell'uomo, la promozione umana è una
testimonianza del vangelo, se e segno di attenzione per le persone ed è
ordinato allo sviluppo integrale dell'uomo. (71) 43. Il cristiano e le comunità cristiane
vivono profondamente inseriti nella vita dei rispettivi popoli e sono segno del
vangelo anche nella fedeltà alla loro patria, al loro popolo, alla cultura
nazionale, sempre però nella libertà che Cristo ha portato. Il cristianesimo
è aperto alla fratellanza universale. perché tutti gli uomini sono figli
dello stesso Padre e fratelli in Cristo. La chiesa è chiamata a dare la sua
testimonianza a Cristo assumendo posizioni coraggiose e profetiche di fronte
alla corruzione del potere politico o economico; non cercando essa stessa
gloria e beni materiali; usando dei suoi beni per il servizio dei più poveri
e imitando la semplicità di vita del Cristo. La chiesa e i missionari debbono
dare anche la testimonianza dell'umiltà, rivolta anzitutto verso se stessi,
che si traduce nella capacità di un esame di coscienza a livello personale e
comunitario, per correggere nei propri comportamenti quanto è anti-evangelico
e sfigura il volto di Cristo. Il primo annunzio di Cristo
Salvatore 44. L'annunzio ha la priorità permanente
nella missione: la chiesa non può sottrarsi al mandato esplicito di Cristo,
non può privare gli uomini della «buona novella» che sono amati e salvati da
Dio. «L'evangelizzazione conterrà sempre - come base, centro e insieme
vertice del suo dinamismo - anche una chiara proclamazione che, in Gesù
Cristo... La salvezza è offerta a ogni uomo, come dono di grazia e di
misericordia di Dio stesso». (72) Tutte le forme dell'attività missionaria
tendono verso questa proclamazione che rivela e introduce nel mistero
nascosto nei secoli e svelato in Cristo (Ef3,3); (Col1,25) il
quale è nel cuore della missione e della vita della chiesa, come cardine di
tutta l'evangelizzazione. Nella realtà complessa della missione il primo
annunzio ha un ruolo centrale e insostituibile, perché introduce «nel mistero
dell'amore di Dio, che chiama a stringere in Cristo una personale relazione
con lui» (73) e apre la via alla conversione. La fede nasce dall'annunzio, e
ogni comunità ecclesiale trae origine e vita dalla risposta personale di
ciascun fedele a tale annunzio. (74) Come l'economia salvifica è incentrata
in Cristo, così l'attività missionaria tende alla proclamazione del suo
mistero. L'annunzio ha per oggetto il Cristo crocifisso, morto e risorto: in
lui si compie la piena e autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla
morte; in lui Dio dona la «vita nuova», divina ed eterna. È questa la «buona
novella», che cambia l'uomo e la storia dell'umanità e che tutti i popoli
hanno il diritto di conoscere. Tale annunzio va fatto nel contesto della vita
dell'uomo e dei popoli che lo ricevono. Esso, inoltre, deve essere fatto in
atteggiamento di amore e di stima verso chi ascolta, con un linguaggio
concreto e adattato alle circostanze. In esso lo Spirito è all'opera e
instaura una comunione tra il missionario e gli ascoltatori, possibile in
quanto l'uno e gli altri entrano in comunione, per Cristo, col Padre. (75) 45. Essendo fatto in unione con l'intera
comunità ecclesiale, l'annunzio non è mai un fatto personale. Il missionario
è presente e opera in virtù di un mandato ricevuto e, anche se si trova solo,
è collegato mediante vincoli invisibili, ma profondi all'attività
evangelizzatrice di tutta la chiesa. (76) Gli ascoltatori, prima o poi,
intravedono dietro a lui la comunità che lo ha mandato e lo sostiene.
L'annunzio è animato dalla fede, che suscita entusiasmo e fervore nel
missionario. Come si è detto, gli Atti definiscono tale atteggiamento con la
parola parresìa, che significa parlare con franchezza e coraggio, e questo
termine ricorre anche in san Paolo: «Nel nostro Dio abbiamo avuto il coraggio
di annunziarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte». (1Ts2,2)
«Pregate. . . anche per me, perché quando apro la bocca, mi sia data una
parola franca per far conoscere il mistero del vangelo del quale sono
ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza come è mio
dovere». (Ef6,18) Nell'annunziare Cristo ai non cristiani il
missionario è convinto che esiste già nei singoli e nei popoli, per l'azione
dello Spirito, un'attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio,
sull'uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte.
L'entusiasmo nell'annunziare il Cristo deriva dalla convinzione di rispondere
a tale attesa, sicché il missionario non si scoraggia né desiste dalla sua
testimonianza, anche quando è chiamato a manifestare la sua fede in un
ambiente ostile o indifferente. Egli sa che lo Spirito del Padre parla in lui
(Mt10,17); (Lc12,11) e può ripetere con gli apostoli: «Di
questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito santo». (At5,32) Egli sa
che non annunzia una verità umana, ma la «Parola di Dio», la quale ha una sua
intrinseca e misteriosa potenza. (Rm1,16) La prova suprema è il dono
della vita, fino ad accettare la morte per testimoniare la fede in Gesù
Cristo. Come sempre nella storia cristiana, i «martiri», cioè i testimoni,
sono numerosi e indispensabili al cammino del vangelo. Anche nella nostra
epoca ce ne sono tanti: vescovi sacerdoti, religiosi e religiose, laici, a
volte eroi sconosciuti che danno la vita per testimoniare la fede. Sono essi
gli annunziatori ed i testimoni per eccellenza. Conversione e battesimo 46. L'annunzio della parola di Dio mira
alla conversione cristiana, cioè all'adesione piena e sincera a Cristo e al
suo vangelo mediante la fede. La conversione è dono di Dio, opera della
Trinità: è lo Spirito che apre le porte dei cuori, affinché gli uomini
possano credere al Signore e «confessarlo». (1Cor12,3) Di chi si
accosta a lui mediante la fede Gesù dice: «Nessuno può venire a me, se non lo
attira il Padre che mi ha mandato». (Gv6,44) La conversione si esprime
fin dall'inizio con una fede totale e radicale, che non pone né limiti né
remore al dono di Dio. Al tempo stesso, però, essa determina un processo
dinamico e permanente che dura per tutta l'esistenza, esigendo un passaggio
continuo dalla «vita secondo la carne» alla «vita secondo lo Spirito». (Rm8,3)
Essa significa accettare, con decisione personale, la sovranità salvifica di
Cristo e diventare suoi discepoli. A questa conversione la chiesa chiama
tutti, sull'esempio di Giovanni Battista, che preparava la via a Cristo,
«predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Mc1,4)
e di Cristo stesso, il quale, «dopo che Giovanni fu arrestato. ... si recò in
Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva: "Il tempo è compiuto e il
regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo"». (Mc1,14)
Oggi l'appello alla conversione, che i missionari rivolgono ai non cristiani,
e messo in discussione o passato sotto silenzio. Si vede in esso un atto di
«proselitismo»; si dice che basta aiutare gli uomini a essere più uomini o
più fedeli alla propria religione, che basta costruire comunità capaci di
operare per la giustizia, la libertà, la pace, la solidarietà. Ma si
dimentica che ogni persona ha il diritto di udire la «buona novella» di Dio
che si rivela e si dona in Cristo, per attuare in pienezza la sua propria
vocazione. La grandezza di questo evento risuona nelle parole di Gesù alla
Samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio», e nel desiderio inconsapevole,
ma ardente della donna: «Signore, dammi di quest'acqua, perché non abbia più
sete». (Gv4,10) 47. Gli apostoli, mossi dallo Spirito
santo, invitavano tutti a cambiare vita, a convertirsi e a ricevere il
battesimo. Subito dopo l'evento della Pentecoste, Pietro parla alla folla in
modo convincente: «All'udir tutto questo si sentirono come trafiggere il
cuore e chiesero a Pietro e agli altri apostoli: "Che cosa dobbiamo
fare, fratelli?". E Pietro disse: Convertitevi, e ciascuno di voi si
faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri
peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito santo"». (At2,37)
E battezzò in quel giorno circa tremila persone. Pietro ancora, dopo la
guarigione dello storpio. parla alla folla e ripete: «Convertitevi dunque, e
cambiate vita, perché siano cancellati i vostri peccati!». (At3,19) La
conversione a Cristo è connessa col battesimo: lo è non solo per la prassi
della chiesa, ma per volere di Cristo, che ha inviato a far discepole tutte
le genti e a battezzarle (Mt28,19) lo è anche per l'intrinseca
esigenza di ricevere la pienezza della vita in lui: «In verità, in verità ti
dico Gesù dice a Nicodemo - se uno non nasce da acqua e da Spirito. non può
entrare nel regno di Dio». (Gv3,5) Il battesimo, infatti, ci rigenera
alla vita dei fili di Dio, ci unisce a Gesù Cristo, ci unge nello Spirito
santo: esso non è un semplice suggello della conversione, quasi un segno
esteriore che la dimostri e la attesti, bensì è sacramento che significa e
opera questa nuova nascita dallo Spirito, instaura vincoli reali e
inscindibili con la Trinità, rende membri del corpo di Cristo, ch'è la
chiesa. Tutto questo va ricordato, perché non pochi, proprio dove si svolge
la missione ad gentes tendono a scindere la conversione a Cristo dal
battesimo, giudicandolo come non necessario. È vero che in certi ambienti si
notano aspetti sociologici relativi al battesimo, che ne oscurano il genuino
significato di fede. Ciò è dovuto a diversi fattori storici e culturali, che
bisogna rimuovere dove ancora sussistono, affinché il sacramento della
rigenerazione spirituale appaia in tutto il suo valore: a questo compito
devono dedicarsi le comunità ecclesiali locali. È vero anche che non poche
persone affermano di essere interiormente impegnate con Cristo e col suo
messaggio, ma non lo vogliono essere sacramentalmente, perché, a causa dei
loro pregiudizi o delle colpe dei cristiani, non riescono a percepire la vera
natura della chiesa, mistero di fede e di amore. (77) Desidero incoraggiare
queste persone ad aprirsi pienamente a Cristo ricordando a esse che, se
sentono il fascino di Cristo, egli stesso ha voluto la chiesa come «luogo» in
cui possono di fatto incontrarlo. Al tempo stesso, invito i fedeli e le
comunità cristiane a testimoniare autenticamente Cristo con la loro vita
nuova. Certo, ogni convertito è un dono fatto alla chiesa e comporta per essa
una grave responsabilità non solo perché va preparato al battesimo col
catecumenato e poi seguito con l'istruzione religiosa, ma perché,
specialmente se è adulto, porta come un'energia nuova l'entusiasmo della
fede, il desiderio di trovare nella chiesa stessa il vangelo vissuto. Sarebbe
per lui una delusione se, entrato nella comunità ecclesiale, vi trovasse una
vita priva di fervore e senza segni di rinnovamento. Non possiamo predicare la
conversione, se non ci convertiamo noi stessi ogni giorno. Formazione di Chiese locali 48. La conversione e il battesimo
immettono nella chiesa, dove già esiste, o richiedono la costituzione di
nuove comunità che confessano Gesù Salvatore e Signore. Ciò fa parte del
disegno di Dio, a cui è piaciuto «di chiamare gli uomini a partecipare della
sua stessa vita non tanto a uno a uno, ma di riunirli in un popolo, nel quale
i suoi figli dispersi si raccogliessero in unità». (78) La missione ad gentes
ha questo obiettivo: fondare comunità cristiane, sviluppare chiese fino alla
loro completa maturazione. È, questa, una mèta centrale e qualificante
dell'attività missionaria, al punto che questa non si può dire esplicata
finché non riesce a edificare una nuova chiesa particolare, normalmente
funzionante nell'ambiente locale. Di ciò parla ampiamente il decreto Ad
gentes, (79) e dopo il concilio si è sviluppata una linea teologica per
sottolineare che tutto il mistero della chiesa è contenuto in ciascuna chiesa
particolare, purché questa non si isoli, ma rimanga in comunione con la
chiesa universale e si faccia, a sua volta, missionaria. Si tratta di un
grande e lungo lavoro, del quale è difficile indicare le tappe precise, in
cui cessa l'azione propriamente missionaria e si passa all'attività
pastorale. Ma alcuni punti debbono restare chiari. 49. È necessario. anzitutto, cercare di
stabilire in ogni luogo comunità cristiane, che siano «segno della presenza
divina nel mondo» (80) e crescano fino a divenire chiese. Nonostante l'alto
numero delle diocesi, esistono tuttora vaste aree in cui le chiese locali
sono del tutto assenti o insufficienti rispetto alla vastità del territorio e
alla densità della popolazione: rimane da compiere un rande lavoro di
impianto e di sviluppo della chiesa. Questa fase della storia ecclesiale,
detta plantatio ecclesiae non è terminata, anzi in molti raggruppamenti umani
deve ancora iniziare. La responsabilità di tale compito ricade sulla chiesa
universale e sulle chiese particolari, su tutto il popolo di Dio e su tutte
le forze missionarie. Ogni chiesa, anche quella formata da neoconvertiti, è
per sua natura missionaria, è evangelizzata ed evangelizzante, e la fede va
sempre presentata come dono di Dio da vivere in comunità (famiglie, parrocchie,
associazioni) e da irradiare all'esterno sia con la testimonianza di vita che
con la parola. L'azione evangelizzatrice della comunità cristiana, prima sul
proprio territorio e poi altrove come partecipazione alla missione
universale, è il segno più chiaro della maturità della fede. Occorre un
radicale cambiamento di mentalità per diventare missionari, e questo vale sia
per le persone sia per le comunità. Il Signore chiama sempre a uscire da se
stessi, a condividere con gli altri i beni che abbiamo, cominciando da quello
più prezioso che è la fede. Alla luce di questo imperativo missionario si
dovrà misurare la validità degli organismi, movimenti, parrocchie e opere di
apostolato della chiesa. Solo diventando missionaria la comunità cristiana
potrà superare divisioni e tensioni interne e ritrovare la sua unità e il suo
vigore di fede. Le forze missionarie, provenienti da altre chiese e paesi,
devono operare in comunione con quelle locali per lo sviluppo della comunità
cristiana. In particolare. tocca a esse - sempre secondo le direttive dei
vescovi e in collaborazione con i responsabili del posto - promuovere la
diffusione della fede e l'espansione della chiesa negli ambienti e gruppi non
cristiani, animare in senso missionario le chiese locali, cosicché la preoccupazione
pastorale sia sempre abbinata a quella per la missione ad gentes. Ogni chiesa
farà allora veramente sua la sollecitudine di Cristo, buon Pastore, che si
prodiga per il suo gregge, ma al tempo stesso pensa alle «altre pecore che
non sono di quest'ovile». (Gv10,16) 50. Tale sollecitudine costituirà un
motivo e uno stimolo per un rinnovato impegno ecumenico. I legami esistenti
tra attività ecumenica e attività missionaria rendono necessario considerare
due fattori concomitanti. Da una parte, si deve riconoscere che «la divisione
dei cristiani è di grave pregiudizio alla santa causa della predicazione del
vangelo a tutti gli uomini e chiude a molti l'accesso alla fede». (81) Il
fatto che la buona novella della riconciliazione sia predicata dai cristiani
tra loro divisi, ne indebolisce la testimonianza, ed è perciò urgente operare
per l'unità dei cristiani, affinché l'attività missionaria possa riuscire più
incisiva. Al tempo stesso, non dobbiamo dimenticare che gli stessi sforzi
verso l'unità costituiscono di per sé un segno dell'opera di riconciliazione
che Dio conduce in mezzo a noi. D'altra parte, è vero che tutti quelli che
hanno ricevuto il battesimo in Cristo sono costituiti in una certa comunione,
sebbene imperfetta, tra loro. È su questa base che si fonda l'orientamento
dato dal concilio: «I cattolici, esclusa ogni forma sia di indifferentismo e
di sincretismo, sia di sconsiderata concorrenza, mediante una comune per
quanto possibile professione di fede in Dio e in Gesù Cristo di fronte alle genti,
mediante la cooperazione nel campo tecnico e sociale come in quello religioso
e culturale, collaborino fraternamente con i fratelli separati secondo le
norme del decreto sull'ecumenismo». (82) L'attività ecumenica e la
testimonianza concorde a Gesù Cristo dei cristiani appartenenti a differenti
chiese e comunità ecclesiali, hanno già recato abbondanti frutti. Ma è sempre
più urgente che essi collaborino e testimonino insieme in questo tempo nel
quale sètte cristiane e paracristiane seminano la confusione con la loro
azione. L'espansione di queste sètte costituisce una minaccia per la chiesa
cattolica e per tutte le comunità ecclesiali con le quali essa intrattiene un
dialogo. Ovunque possibile e secondo le circostanze locali, la risposta dei
cristiani potrà essere anch'essa ecumenica. Le «comunità ecclesiali di base»
forza di evangelizzazione 51. Un fenomeno in rapida crescita nelle
giovani chiese, promosso dai vescovi e dalle loro Conferenze a volte come
scelta prioritaria della pastorale, sono le comunità ecclesiali di base
(conosciute anche con altri nomi), le quali stanno dando buona prova come
centri di formazione cristiana e di irradiazione missionaria. Si tratta di
gruppi di cristiani a livello familiare o di ambiente ristretto, i quali
s'incontrano per la preghiera? la lettura della Scrittura. la catechesi, per
la condivisione dei problemi umani ed ecclesiali in vista di un impegno
comune. Esse sono un segno di vitalità della chiesa, strumento di formazione
e di evangelizzazione, valido punto di partenza per una nuova società fondata
sulla «civiltà dell'amore». Tali comunità decentrano e articolano la comunità
parrocchiale, a cui rimangono sempre unite; si radicano in ambienti popolari
e contadini, diventando fermento di vita cristiana, di attenzione per gli
ultimi, di impegno per la trasformazione della società. In esse il singolo
cristiano fa un'esperienza comunitaria, per cui anch'egli si sente un
elemento attivo, stimolato a dare la sua collaborazione all'impegno di tutti.
In tal modo esse sono strumento di evangelizzazione e di primo annunzio e
fonte di nuovi ministeri, mentre, animate dalla carità di Cristo, offrono
anche un'indicazione circa il modo di superare divisioni, tribalismi,
razzismi. Ogni comunità, infatti, per essere cristiana, deve fondarsi e
vivere in Cristo, nell'ascolto della parola di Dio, nella preghiera
incentrata sull'eucaristia, nella comunione espressa in unità di cuore e di
anima e nella condivisione secondo i bisogni dei suoi membri. (At2,42)
Ogni comunità - ricordava Paolo VI - deve vivere in unità con la chiesa
particolare e universale, nella sincera comunione con i pastori e il
magistero, impegnandosi nell'irradiazione missionaria ed evitando ogni
chiusura e strumentalizzazione ideologica. (83) E il sinodo dei vescovi ha
affermato: «Poiché la chiesa è comunione, le nuove comunità di base, se
veramente vivono in unità con la chiesa, sono una vera espressione di
comunione e mezzo per costruire una comunione più profonda. Perciò, sono
motivo di grande speranza per la vita della chiesa». (84) Incarnare il Vangelo nelle culture
dei popoli 52. Svolgendo l'attività missionaria tra
le genti, la chiesa incontra varie culture e viene coinvolta nel processo
d'inculturazione. È, questa, un'esigenza che ne ha segnato tutto il cammino
storico, ma oggi è particolarmente acuta e urgente. Il processo di
inserimento della chiesa nelle culture dei popoli richiede tempi lunghi: non
si tratta di un puro adattamento esteriore, poiché l'inculturazione «significa
l'intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante
l'integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle
varie culture». (85) È, dunque, un processo profondo e globale che investe
sia il messaggio cristiano, sia la riflessione e la prassi della chiesa. Ma è
pure un processo difficile, perché non deve in alcun modo compromettere la
specificità e l'integrità della fede cristiana. Per l'inculturazione la
chiesa incarna il vangelo nelle diverse culture e, nello stesso tempo,
introduce i popoli con le loro culture nella sua stessa comunità; (86)
trasmette a esse i propri valori, assumendo ciò che di buono c'è in esse e
rinnovandole dall'interno. (87) Da parte sua, con l'inculturazione la chiesa
diventa segno più comprensibile di ciò che è e strumento più atto della
missione. Grazie a questa azione nelle chiese locali, la stessa chiesa
universale si arricchisce di espressioni e valori nei vari settori della vita
cristiana, quali l'evangelizzazione, il culto, la teologia, la carità;
conosce ed esprime ancor meglio il mistero di Cristo, mentre viene stimolata
a un continuo rinnovamento. Questi temi, presenti nel concilio e nel
magistero successivo, ho ripetutamente affrontato nelle mie visite pastorali
alle giovani chiese. (88) L'inculturazione è un cammino lento, che accompagna
tutta la vita missionaria e chiama in causa i vari operatori della missione
ad gentes, le comunità cristiane man mano che si sviluppano, i pastori che
hanno la responsabilità di discernere e stimolare la sua attuazione. (89) 53. I missionari, provenienti da altre
chiese e paesi, devono inserirsi nel mondo socio-culturale di coloro ai quali
sono mandati, superando i condizionamenti del proprio ambiente d'origine.
Così devono imparare la lingua della regione in cui lavorano. conoscere le
espressioni più significative di quella cultura, scoprendone i valori per
diretta esperienza. Soltanto con questa conoscenza essi potranno portare ai
popoli in maniera credibile e fruttuosa la conoscenza del mistero nascosto. (Rm16,25);
(Ef3,5) Per loro non si tratta certo di rinnegare la propria identità
culturale, ma di comprendere, apprezzare, promuovere ed evangelizzare quella
dell'ambiente in cui operano e, quindi, mettersi in grado di comunicare
realmente con esso, assumendo uno stile di vita che sia segno di
testimonianza evangelica e di solidarietà con la gente. Le comunità
ecclesiali in formazione, ispirate dal vangelo, potranno esprimere
progressivamente la propria esperienza cristiana in modi e forme originali, consone
alle proprie tradizioni culturali, purché sempre in sintonia con le esigenze
oggettive della stessa fede. A questo scopo, specie in ordine ai settori di
inculturazione più delicati, le chiese particolari del medesimo territorio
dovranno operare in comunione fra di loro (90) e con tutta la chiesa,
convinte che solo l'attenzione sia alla chiesa universale che alle chiese
particolari le renderà capaci di tradurre il tesoro della fede nella
legittima varietà delle sue espressioni. (91) Perciò, i gruppi evangelizzati
offriranno gli elementi per una «traduzione» del messaggio evangelico, (92)
tenendo presenti gli apporti positivi che si sono avuti nei secoli grazie al
contatto del cristianesimo con le varie culture, ma senza dimenticare i
pericoli di alterazioni che si sono a volte verificati. (93) 54. In proposito, restano fondamentali
alcune indicazioni. L'inculturazione nel suo retto processo dev'essere
guidata da due principi: «La compatibilità col vangelo e la comunione con la
chiesa universale». (94) Custodi del «deposito della fede», i vescovi
cureranno la fedeltà e, soprattutto, il discernimento, (95) per il quale
occorre un profondo equilibrio: c'è, infatti, il rischio di passare
acriticamente da una specie di alienazione dalla cultura a una supervalutazione
di essa, che è un prodotto dell'uomo, quindi è segnata dal peccato. Anch'essa
dev'essere «purificata, elevata e perfezionata». (96) Un tale processo ha
bisogno di gradualità, in modo che sia veramente espressione dell'esperienza
cristiana della comunità: «Occorrerà un'incubazione del mistero cristiano nel
genio del vostro popolo - diceva Paolo VI a Kampala-, perché la sua voce
nativa, più limpida e più franca, si innalzi armoniosa nel coro delle voci
della chiesa universale». (97) Infine l'inculturazione deve coinvolgere tutto
il popolo di Dio, non solo alcuni esperti, poiché è noto che il popolo
riflette quel genuino senso della fede che non bisogna mai perdere di vista.
Essa va sì guidata e stimolata, ma non forzata, per non suscitare reazioni negative
nei cristiani: dev'essere espressione di vita comunitaria, cioè maturare in
seno alla comunità, e non frutto esclusivo di ricerche erudite. La
salvaguardia dei valori tradizionali è effetto di una fede matura. Il dialogo con i fratelli di altre
religioni 55. Il dialogo inter-religioso fa parte
della missione evangelizzatrice della chiesa . Inteso come metodo e mezzo per
una conoscenza e un arricchimento reciproco, esso non è in contrapposizione
con la missione ad gentes anzi ha speciali legami con essa e ne è
un'espressione. Tale missione, infatti, ha per destinatari gli uomini che non
conoscono Cristo e il suo vangelo, e in gran maggioranza appartengono ad
altre religioni. Dio chiama a sé tutte le genti in Cristo, volendo loro
comunicare la pienezza della sua rivelazione e del suo amore; né manca di
rendersi presente in tanti modi non solo ai singoli individui, ma anche ai
popoli mediante le loro ricchezze spirituali, di cui le religioni sono
precipua ed essenziale espressione, pur contenendo «lacune, insufficienze ed
errori». (98) Tutto ciò il concilio e il successivo magistero hanno
ampiamente sottolineato, mantenendo sempre fermo che la salvezza viene da
Cristo e il dialogo non dispensa dell'evangelizzazione. (99) Alla luce
dell'economia di salvezza, la chiesa non vede un contrasto fra l'annuncio del
Cristo e il dialogo interreligioso; sente, però, la necessità di comporli
nell'ambito della sua missione ad gentes. Occorre, infatti, che questi due
elementi mantengano il loro legame intimo e, al tempo stesso, la loro
distinzione, per cui non vanno né confusi, né strumentalizzati, né giudicati
equivalenti come se fossero intercambiabili. Ho scritto recentemente ai
vescovi dell'Asia: «Anche se la chiesa riconosce volentieri quanto c'è di
vero e di santo nelle tradizioni religiose del buddismo, dell'induismo e
dell'islam riflessi di quella verità che illumina tutti gli uomini, ciò non
diminuisce il suo dovere e la sua determinazione a proclamare senza
esitazioni Gesù Cristo, che è "la via, la verità e la vita"... il
fatto che i seguaci di altre religioni possano ricevere la grazia di Dio ed
essere salvati da Cristo indipendentemente dai mezzi ordinari che egli ha
stabilito, non cancella affatto l'appello alla fede e al battesimo che Dio
vuole per tutti i popoli». (100) Cristo stesso, infatti, «inculcando
espressamente la necessità della fede e del battesimo, ha confermato
simultaneamente la necessità della chiesa, nella quale gli uomini entrano
mediante il battesimo come per una porta». (101) Il dialogo deve esser
condotto e attuato con la convinzione che la chiesa è la via ordinaria do
salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza. (102) 56. Il dialogo non nasce da tattica o da
interesse, ma è un'attività che ha proprie motivazioni. esigenze, dignità: è
richiesto dal profondo rispetto per tutto ciò che nell'uomo ha operato lo
Spirito, che soffia dove vuole. (103) Con esso la chiesa intende scoprire i
«germi del Verbo», (104) «raggi della verità che illumina tutti gli uomini»
(105) germi e raggi che si trovano nelle persone e nelle tradizioni religiose
dell'umanità. Il dialogo si fonda sulla speranza e la carità e porterà frutti
nello Spirito. Le altre religioni costituiscono una sfida positiva per la
chiesa: la stimolano, infatti, sia a scoprire e a riconoscere i segni della
presenza del Cristo e dell'azione dello Spirito, sia ad approfondire la
propria identità e a testimoniare l'integrità della rivelazione, di cui è
depositaria per il bene di tutti. Deriva da qui lo spirito che deve animare
tale dialogo nel contesto della missione. L'interlocutore dev'essere coerente
con le proprie tradizioni e convinzioni religiose e aperto a comprendere
quelle dell'altro, senza dissimulazioni o chiusure, ma con verità, umiltà,
lealtà, sapendo che il dialogo può arricchire ognuno. Non ci deve essere
nessuna abdicazione né irenismo, ma la testimonianza reciproca per un comune
progresso nel cammino di ricerca e di esperienza religiosa e, al tempo
stesso, per il superamento di pregiudizi, intolleranze e malintesi. Il
dialogo tende alla purificazione e conversione interiore che, se perseguìta
con docilità allo Spirito, sarà spiritualmente fruttuosa. 57. Al dialogo si apre un vasto campo,
potendo esso assumere molteplici forme ed espressioni: dagli scambi tra esperti
delle tradizioni religiose o rappresentanti ufficiali di esse alla
collaborazione per lo sviluppo integrale e la salvaguardia dei valori
religiosi; dalla comunicazione delle rispettive esperienze spirituali al
cosiddetto «dialogo di vita», per cui i credenti delle diverse religioni
testimoniano gli uni agli altri nell'esistenza quotidiana i propri valori
umani e spirituali e si aiutano a viverli per edificare una società più
giusta e fraterna. Tutti i fedeli e le comunità cristiane sono chiamati a praticare
il dialogo, anche se non nello stesso grado e forma. Per esso è
indispensabile l'apporto dei laici. che «con l'esempio della loro vita e con
la propria azione possono favorire il miglioramento dei rapporti tra seguaci
delle diverse religioni» (106), mentre alcuni di loro potranno pure dare un
contributo di ricerca e di studio. (107) Sapendo che non pochi missionari e
comunità cristiane trovano nella via difficile e spesso incompresa del
dialogo l'unica maniera di rendere sincera testimonianza a Cristo e generoso
servizio all'uomo, desidero incoraggiarli a perseverare con fede e carità,
anche là dove i loro sforzi non trovano accoglienza e risposta. Il dialogo è
una via verso il regno e darà sicuramente i suoi frutti, anche se tempi e
momenti sono riservati al Padre. (At1,7) Promuovere lo sviluppo educando le
coscienze 58. La missione ad gentes si svolge ancor
oggi, per gran parte, in quelle regioni del Sud del mondo, dove è più urgente
l'azione per lo sviluppo integrale e la liberazione da ogni oppressione. La
chiesa ha sempre saputo suscitare, nelle popolazioni che ha evangelizzato, la
spinta verso il progresso, e oggi i missionari più che in passato sono
riconosciuti anche come promotori di sviluppo da governi e esperti
internazionali, i quali restano ammirati del fatto che si ottengano notevoli
risultati con scarsi mezzi. Nell'enciclica Sollicitudo rei sociali ho
affermato che «la chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire al
sottosviluppo in quanto tale», ma «dà il primo contributo alla soluzione dell'urgente
problema dello sviluppo, quando proclama la verità su Cristo, su se stessa e
sull'uomo, applicandola a una situazione concreta». (108) La Conferenza dei
vescovi latino-americani a Puebla ha affermato che «il miglior servizio al
fratello è l'evangelizzazione, che lo dispone a realizzarsi come figlio di
Dio, lo libera dalle ingiustizie e lo promuove integralmente». (109) La
missione della chiesa non è di operare direttamente sul piano economico o
tecnico o politico o di dare un contributo materiale allo sviluppo, ma
consiste essenzialmente nell'offrire ai popoli non un «avere di più», ma un
«essere di più», risvegliando le coscienze col vangelo. «L'autentico sviluppo
umano deve affondare le sue radici in un'evangelizzazione sempre più
profonda» (110) La chiesa e i missionari sono promotori di sviluppo anche con
le loro scuole, ospedali, tipografie, università, fattorie agricole
sperimentali. Ma lo sviluppo di un popolo non deriva primariamente né dal
denaro, né dagli aiuti materiali, né dalle strutture tecniche, bensì dalla
formazione delle coscienze, dalla maturazione delle mentalità e dei costumi.
È l'uomo il protagonista dello sviluppo non il denaro o la tecnica. La chiesa
educa le coscienze rivelando ai popoli quel Dio che cercano, ma non conoscono.
La grandezza dell'uomo creato a immagine di Dio e da lui amato, l'esuaglianza
di tutti gli uomini come figli di Dio, il dominio sulla natura creata e posta
a servizio dell'uomo, il dovere di impegnarsi per lo sviluppo di tutto l'uomo
e di tutti gli uomini . 59. Col messaggio evangelico la chiesa
offre una forza liberante e fautrice di sviluppo proprio perché porta alla
conversione del cuore e della mentalità, fa riconoscere la dignità di
ciascuna persona, dispone alla solidarietà, all'impegno al servizio dei
fratelli, inserisce l'uomo nel progetto di Dio, che è la costruzione del
regno di pace, di giustizia a partire già da questa vita. È la prospettiva
biblica dei «cieli nuovi e terra nuova», (Is65,17); (2Pt3,13);
(Ap21,1) la quale ha inserito nella storia lo stimolo e la metà per
l'avanzamento dell'umanità. Lo sviluppo dell'uomo viene da Dio, dal modello
di Gesù uomo-Dio, e deve portare a Dio. (111) Ecco perché tra annunzio
evangelico e promozione dell'uomo c'è una stretta connessione. Il contributo
della chiesa e della sua opera evangelizzatrice per lo sviluppo dei popoli
riguarda non soltanto il Sud del mondo, per combattervi la miseria materiale
e il sottosviluppo, (112) ma anche il Nord, che è esposto alla miseria morale
e spirituale causata dal «supersviluppo». Certa modernità a-religiosa,
dominante in alcune parti del mondo, si basa sull'idea che, per rendere
l'uomo più uomo, basti arricchire e perseguire la crescita tecnico-economica.
Ma uno sviluppo senza anima non può bastare all'uomo, e l'eccesso di opulenza
gli è nocivo come l'eccesso di povertà. Il Nord del mondo ha costruito un
tale «modello di sviluppo» e lo diffonde nel Sud, dove il senso di
religiosità e i valori umani che vi sono presenti rischiano di esser travolti
dall'ondata del consumismo. «Contro la fame cambia la vita» è il motto nato
in ambienti ecclesiali, che indica ai popoli ricchi la via per diventare
fratelli dei poveri: bisogna ritornare a una vita più austera che favorisca
un nuovo modello di sviluppo, attento ai valori etici e religiosi. L'attività
missionaria apporta ai poveri la luce e lo stimolo per il vero sviluppo,
mentre la nuova evangelizzazione deve, tra l'altro, creare nei ricchi la
coscienza che è venuto il momento di farsi realmente fratelli dei poveri
nella comune conversione allo sviluppo integrale, aperto all'Assoluto. (113) La carità fonte e criterio della
missione 60. «La chiesa nel mondo intero - dissi
durante la mia visita in Brasile - vuol essere la chiesa dei poveri. Essa
vuol estrarre tutta la verità contenuta nelle beatitudini e soprattutto nella
prima: "Beati i poveri in spirito"... Essa vuole insegnare questa
verità e vuol metterla in pratica come Gesù, che venne a fare e a insegnare».
(114) Le giovani chiese, che per lo più vivono fra popoli afflitti da una
povertà assai diffusa, esprimono spesso questa preoccupazione come parte
integrante della loro missione. La Conferenza generale dell'episcopato
latino-americano a Puebla, dopo aver ricordato l'esempio di Gesù? scrive che
«i poveri meritano un'attenzione preferenziale, qualunque sia la condizione
morale o personale in cui si trovano. Fatti a immagine e somiglianza di Dio
per essere suoi figli, questa immagine è offuscata e persino oltraggiata.
Perciò, Dio prende le loro difese e li ama. Ne consegue che i primi
destinatari della missione sono i poveri, e la loro evangelizzazione è per
eccellenza segno e prova della missione di Gesù». (115) Fedele allo spirito
delle beatitudini, la chiesa è chiamata alla condivisione con i poveri e gli
oppressi di ogni genere. Esorto, perciò, tutti i discepoli di Cristo e le
comunità cristiane, dalle famiglie alle diocesi, dalle parrocchie agli
istituti religiosi, a fare una sincera revisione della propria vita nel senso
della solidarietà con i poveri. Nello stesso tempo, ringrazio i missionari
che con la loro presenza amorosa e il loro umile servizio operano per lo
sviluppo integrale della persona e della società mediante scuole, centri
sanitari, lebbrosari, case di assistenza per handicappati e anziani,
iniziative per la promozione della donna e simili. Ringrazio i sacerdoti, i
religiosi, le religiose e i laici per la loro dedizione, mentre incoraggio i
volontari di organizzazioni non governative, oggi sempre più numerosi, che si
dedicano a queste opere di carità e dl promozione umana. Sono, infatti,
queste opere che testimoniano l'anima di tutta l'attività missionaria:
L'amore, che è e resta il movente della missione, ed è anche «l'unico
criterio secondo cui tutto deve essere fatto o non fatto, cambiato o non
cambiato. È il principio che deve dirigere ogni azione e il fine a cui essa
deve tendere. Quando si agisce con riguardo alla carità o ispirati dalla
carità, nulla è disdicevole e tutto è buono». (116) PARTE
VI I
RESPONSABILI E GLI OPERATORI DELLA PASTORALE MISSIONARIA 61. Non c'è testimonianza senza testimoni,
come non c'è missione senza missionari. Perché collaborino alla sua missione
e continuino la sua opera salvifica, Gesù sceglie e invia delle persone come
suoi testimoni e apostoli: «Sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la
Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra». (At1,8)
I Dodici sono i primi operatori della missione universale: essi costituiscono
un «soggetto collegiale» della missione, essendo stati scelti da Gesù per
restare con lui ed essere inviati «alle pecore perdute della casa d'Israele».
(Mt10,6) Questa collegialità non impedisce che nel gruppo si
distinguano singole figure, come Giacomo, Giovanni e, più di tutti, Pietro,
la cui persona ha tanto rilievo da giustificare l'espressione: «Pietro e gli
altri apostoli». (At2,14) Grazie a lui si aprono gli orizzonti della
missione universale, in cui successivamente eccellerà Paolo, che per volontà
divina fu chiamato e inviato tra le genti. (Gal1,15) Nell'espansione
missionaria delle origini, accanto agli apostoli troviamo altri umili
operatori che non si debbono dimenticare: sono persone, gruppi, comunità. Un
tipico esempio di chiesa locale è la comunità di Antiochia, che da
evangelizzata si fa evangelizzatrice e invia i suoi missionari alle genti. (At13,2)
La chiesa primitiva vive la missione come compito comunitario, pur
riconoscendo nel suo seno degli «inviati speciali», o «missionari consacrati
alle genti», come Paolo e Barnaba. 62. Quanto fu fatto all'inizio del
cristianesimo per la missione universale conserva la sua validità e urgenza
anche oggi. La chiesa è missionaria per sua natura, poiché il mandato di
Cristo non è qualcosa di contingente e di esteriore ma raggiunge il cuore
stesso della chiesa. Ne deriva che tutta la chiesa e ciascuna chiesa è
inviata alle genti. Le stesse chiese più giovani, proprio «perché questo zelo
missionario fiorisca nei membri della loro patria» debbono «partecipare
quanto prima e di fatto alla missione universale della chiesa, inviando
anch'esse dei missionari a predicare dappertutto nel mondo il vangelo anche
se soffrono di scarsezza di clero». (117) Molte già fanno così. e io le
incoraggio vivamente a continuare. In questo vincolo essenziale dl comunione
tra la chiesa universale e le chiese particolari si esercita l'autentica e
piena missionarietà: «In un mondo che col crollare delle distanze si fa
sempre più piccolo, le comunità ecclesiali devono collegarsi fra di loro,
scambiarsi energie e mezzi, impegnarsi insieme nell'unica e comune missione
dl annunziare e vivere il vangelo... Le chiese cosiddette giovani... hanno
bisogno della forza di quelle antiche, mentre queste hanno bisogno della
testimonianza e della spinta delle più giovani, in modo che le singole chiese
attingano dalla ricchezza delle altre chiese». (118) I primi responsabili dell'attività
missionaria 63. Come il Signore risorto conferì al
collegio apostolico con a capo Pietro il mandato della missione universale,
così questa responsabilità incombe innanzitutto sul collegio dei vescovi con
a capo il successore di Pietro. (119) Consapevole di questa responsabilità,
negli incontri con i vescovi sento il dovere di condividerla in ordine sia
alla nuova evangelizzazione che alla missione universale. Mi sono messo in
cammino sulle vie del mondo «per annunciare il vangelo. per "confermare
i fratelli" nella fede, per consolare la chiesa. per incontrare l'uomo.
Sono viaggi di fede... Sono altrettante occasioni di catechesi itinerante, di
annuncio evangelico nel prolungamento, a tutte le latitudini. del vangelo e
del magistero apostolico, dilatato alle odierne sfere planetarie». (120) I
fratelli vescovi sono con me direttamente responsabili dell'evangelizzazione
del mondo, sia come membri del collegio episcopale, sia come pastori delle
chiese particolari. In proposito, il concilio dichiara: «La cura di
annunziare in ogni parte della terra il vangelo appartiene al corpo dei
pastori, ai quali in comune Cristo diede il mandato». (121) Esso afferma
anche che i vescovi «sono stati consacrati non soltanto per una diocesi, ma
per la salvezza di tutto il mondo». (122) Questa responsabilità collegiale ha
conseguenze pratiche. Parimenti, «il sinodo dei vescovi... tra gli affari
d'importanza generale deve seguire con particolare sollecitudine l'attività
missionaria, che è il dovere più alto e più sacro della chiesa». (123) La
stessa responsabilità si riflette, in varia misura, nelle Conferenze
episcopali e nei loro organismi a livello continentale, che perciò debbono
offrire un proprio contributo all'impegno missionario.(124) Ampio è pure il
dovere missionario di ciascun vescovo, come pastore di una chiesa
particolare. Spetta a lui «come capo e centro unitario dell'apostolato
diocesano, promuovere, dirigere e coordinare l'attività missionaria...
Provveda anche a che l'attività apostolica non resti limitata ai soli
convertiti, ma che una giusta parte di missionari e di sussidi sia destinata
all'evangelizzazione dei non cristiani». (125) 64. Ogni Chiesa particolare deve aprirsi
generosamente alle necessità delle altre. La collaborazione fra le chiese, in
una reale reciprocità che le rende pronte a dare ed a ricevere, è anche fonte
di arricchimento per tutte ed interessa i vari settori della vita ecclesiale.
A questo riguardo, resta esemplare la dichiarazione dei vescovi a Puebla:
«Finalmente è giunta l'ora per l'America Latina... di proiettarsi oltre le
sue frontiere, ad gentes. È certo che noi stessi abbiamo ancora bisogno di
missionari, ma dobbiamo dare della nostra povertà». (126) Con questo spirito
invito i vescovi e le Conferenze episcopali ad attuare generosamente quanto è
previsto nella Nota direttiva, che la Congregazione per il clero ha emanato
per la collaborazione tra le chiese particolari e, specialmente, per la
migliore distribuzione del clero nel mondo. (127) La missione della chiesa è
più vasta della «comunione fra le chiese»: questa deve essere orientata,
oltre che all'aiuto per la rievangelizzazione, anche e soprattutto nel senso
della missionarietà specifica. Mi appello a tutte le chiese, giovani e
antiche, perché condividano con me questa preoccupazione, curando
l'incremento delle vocazioni missionarie e superando le varie difficoltà. Missionari e istituti "ad
gentes" 65. Fra gli operatori della pastorale
missionaria occupano tuttora, come in passato, un posto di fondamentale
importanza quelle persone e istituzioni, a cui il decreto Ad gentes dedica lo
speciale capitolo dal titolo: «I missionari». (128) Al riguardo, s'impone
un'approfondita riflessione, anzitutto, per i missionari stessi, che dai
cambiamenti della missione possono essere indotti a non capir più il senso
della loro vocazione, a non saper più che cosa precisamente la chiesa si
attenda oggi da loro. Punto di riferimento sono queste parole del concilio:
«Benché l'impegno di diffondere la fede ricada su qualsiasi discepolo di
Cristo in proporzione delle sue possibilità, Cristo Signore chiama sempre
dalla moltitudine dei suoi discepoli quelli che egli vuole, per averli con sé
e per inviarli a predicare alle genti. Perciò, egli? per mezzo dello Spirito
santo, che distribuisce come vuole i suoi carismi per il bene delle anime,
accende nel cuore dei singoli la vocazione missionaria e insieme suscita in
seno alla chiesa quelle istituzioni che si assumono come dovere specifico il
compito dell'evangelizzazione, che riguarda tutta la chiesa». (129) Si
tratta, dunque, di una «vocazione speciale», modellata su quella degli
apostoli. Essa si manifesta nella totalità dell'impegno per il servizio
dell'evangelizzazione: è impegno che coinvolge tutta la persona e la vita del
missionario, esigendo da lui una donazione senza limiti di forze e di tempo.
Coloro che sono dotati di tale vocazione, «inviati dalla legittima autorità,
si portano per spirito di fede e di obbedienza verso coloro che sono lontani
da Cristo, riservandosi esclusivamente per quell'opera per la quale, come
ministri del vangelo, sono stati assunti». (130) I missionari devono sempre
meditare sulla corrispondenza che il dono da loro ricevuto richiede e
aggiornare la loro formazione dottrinale e apostoli. 66. Gli istituti missionari, poi, devono
impiegare tutte le risorse necessarie, mettendo a frutto la loro esperienza e
creatività nella fedeltà al carisma originario, per preparare adeguatamente i
candidati e assicurare il ricambio delle energie spirituali, morali e fisiche
dei loro membri. (131) Si sentano essi parte viva della comunità ecclesiale e
operino in comunione con essa. Difatti «ogni istituto è nato per la chiesa ed
è tenuto ad arricchirla con le proprie caratteristiche secondo un particolare
spirito e una missione speciale». e di una tale fedeltà al carisma originario
gli stessi vescovi sono custodi. (132) Gli istituti missionari sono nati in
genere dalle chiese di antica cristianità e storicamente sono stati strumenti
della congregazione di Propaganda Fide per la diffusione della fede e la
fondazione di nuove chiese. Essi accolgono oggi in misura crescente candidati
provenienti dalle giovani chiese che hanno fondato, mentre nuovi istituti
sono sorti proprio nei paesi che prima ricevevano solo missionari e che oggi
li mandano. È da lodare questa duplice tendenza, che dimostra la validità e
l'attualità della specifica vocazione missionaria di questi istituti, tuttora
«assolutamente necessari», (133) non solo per l'attività missionaria ad
gentes, com'è nella loro tradizione, ma anche per l'animazione missionaria
sia nelle chiese di antica cristianità, sia in quelle più giovani. La
vocazione speciale dei missionari ad vitam conserva tutta la sua validità:
essa rappresenta il paradigma dell'impegno missionario della chiesa, che ha
sempre bisogno di donazioni radicali e totali, di impulsi nuovi e arditi. I
missionari e le missionarie, che hanno consacrato tutta la vita per
testimoniare fra le genti il Risorto, non si lascino, dunque, intimorire da
dubbi, incomprensioni, rifiuti, persecuzioni. Risveglino la grazia del loro
carisma specifico e riprendano con coraggio il loro cammino, preferendo - in
spirito di fede, obbedienza e comunione con i propri pastori - i posti più
umili e ardui. Sacerdoti diocesani per la missione
universale 67. Collaboratori del vescovo, i
presbiteri in forza del sacramento dell'ordine sono chiamati a condividere la
sollecitudine per la missione: «Il dono spirituale che i presbiteri hanno
ricevuto nell'ordinazione non li prepara a una missione limitata e ristretta,
bensì a una vastissima e universale missione di salvezza, "fino agli
estremi confini della terra", dato che qualunque ministero sacerdotale
partecipa della stessa ampiezza universale della missione affidata da Cristo
agli apostoli». (134) Per questo motivo, la stessa formazione dei candidati
al sacerdozio deve mirare a dar loro «quello spirito veramente cattolico che
li abitui a guardare oltre i confini della propria diocesi, nazione o rito,
per andare incontro alle necessità della missione universale, pronti a
predicare dappertutto il vangelo». (135) Tutti i sacerdoti debbono avere
cuore e mentalità missionaria, essere aperti ai bisogni della chiesa e del
mondo, attenti ai più lontani e, soprattutto, ai gruppi non cristiani del
proprio ambiente. Nella preghiera e, in particolare, nel sacrificio
eucaristico sentano la sollecitudine di tutta la chiesa per tutta l'umanità.
Specialmente i sacerdoti che si trovano in aree a minoranza cristiana debbono
essere mossi da singolare zelo e impegno missionario: il Signore affida loro
non solo la cura pastorale della comunità cristiana, ma anche e soprattutto
l'evangelizzazione dei loro compatrioti che non fanno parte del suo gregge.
Essi «non mancheranno di rendersi concretamente disponibili allo Spirito
santo e al vescovo, per essere mandati a predicare il vangelo oltre i confini
del loro paese. Ciò richiederà in essi non solo maturità nella vocazione, ma
pure una capacità non comune di distacco dalla propria patria, etnia e
famiglia, e una particolare idoneità a inserirsi nelle altre culture con
intelligenza e rispetto». (136) 68. Nell'enciclica Fidei donum Pio XII con
intuito profetico incoraggiò i vescovi a offrire alcuni dei loro sacerdoti
per un servizio temporaneo alle chiese d'Africa, approvando le iniziative già
esistenti in proposito. A venticinque anni di distanza volli sottolineare la
grande novità di quel documento, «che ha fatto superare la dimensione
territoriale del servizio presbiterale, per destinarlo a tutta la chiesa». (137)
Oggi risultano confermate la validità e la fruttuosità di questa esperienza:
infatti, i presbiteri detti Fidei donum evidenziano in modo singolare il
vincolo di comunione tra le chiese, danno un prezioso apporto alla crescita
di comunità ecclesiali bisognose, mentre attingono da esse freschezza e
vitalità di fede. Occorre certo che il servizio missionario del sacerdote
diocesano risponda ad alcuni criteri e condizioni. Si devono inviare
sacerdoti scelti tra i migliori, idonei e debitamente preparati al peculiare
lavoro che li attende. (138) Essi dovranno inserirsi nel nuovo ambiente della
chiesa che li accoglie con animo aperto e fraterno e costituiranno un unico
presbiterio con i sacerdoti locali, sotto l'autorità del vescovo. (139)
Auspico che lo spirito di servizio aumenti in seno al presbiterio delle
chiese antiche e sia promosso in quello delle chiese più recenti. La fecondità missionaria della
consacrazione 69. Nell'inesauribile e multiforme
ricchezza dello Spirito si collocano le vocazioni degli istituti di vita
consacrata, i cui membri, «dal momento che si dedicano al servizio della
chiesa in forza della loro stessa consacrazione, sono tenuti all'obbligo di
prestare l'opera loro in modo speciale nell'azione missionaria, con lo stile
proprio dell'istituto». (140) La storia attesta le grandi benemerenze delle
famiglie religiose nella propagazione della fede e nella formazione di nuove
chiese: dalle antiche istituzioni monastiche agli ordini medioevali, fino
alle moderne congregazioni. a) Seguendo il concilio, invito gli
istituti di vita contemplativa a stabilire comunità presso le giovani chiese,
per rendere «tra i non cristiani una magnifica testimonianza della maestà e
della carità di Dio, come anche dell'unione che si stabilisce nel Cristo».
(141) Questa presenza è dappertutto benefica nel mondo non cristiano,
specialmente in quelle regioni, dove le religioni hanno in grande stima la
vita contemplativa per l'ascesi e la ricerca dell'Assoluto. b) Agli istituti di vita attiva addito gli
immensi spazi della carità, dell'annunzio evangelico, dell'educazione
cristiana, della cultura e della solidarietà verso i poveri, i discriminati,
gli emarginati e oppressi. Tali istituti, tendano o meno a un fine strettamente
missionario, si devono interrogare circa la loro possibilità e disponibilità
a estendere la propria azione per espandere il regno di Dio. Questa richiesta
è stata accolta nei tempi più recenti da non pochi istituti, ma vorrei che
fosse meglio considerata e attuata per un autentico servizio. La chiesa deve
far conoscere i grandi valori evangelici di cui è portatrice, e nessuno li
testimonia più efficacemente di chi fa professione di vita consacrata nella
castità, povertà e obbedienza, in totale donazione a Dio e in piena
disponibilità a servire l'uomo e la società sull'esempio di Cristo. (142) 70. Una speciale parola di apprezzamento
rivolgo alle religiose missionarie, nelle quali la verginità per il regno si
traduce in molteplici frutti di maternità secondo lo spirito: proprio la
missione ad gentes offre loro un campo vastissimo per «donarsi con amore in
modo totale e indiviso». (143) L'esempio e l'operosità della donna vergine,
consacrata alla carità verso Dio e verso il prossimo, specie il più povero, sono
indispensabili come segno evangelico presso quei popoli e culture in cui la
donna deve ancora compiere un lungo cammino in ordine alla sua promozione
umana e liberazione. Auguro che molte giovani donne cristiane sentano
l'attrattiva di donarsi a Cristo con generosità, attingendo dalla loro
consacrazione la forza e la gioia per testimoniarlo tra i popoli che lo
ignorano. Tutti i laici sono missionari in
forza del battesimo 71. I pontefici dell'età più recente hanno
molto insistito sull'importanza del ruolo dei laici nell'attività
missionaria. (144) Nell'esortazione Christifideles laici anch'io ho trattato
esplicitamente della «missione permanente di portare il vangelo a quanti e
sono milioni e milioni di uomini e di donne - ancora non conoscono Cristo redentore
dell'uomo» (145) e del corrispondente impegno dei fedeli laici. La missione è
di tutto il popolo di Dio: anche se la fondazione di una nuova chiesa
richiede l'eucaristia e, quindi, il ministero sacerdotale, tuttavia la
missione, che si esplica in svariate forme, è compito di tutti i fedeli. La
partecipazione dei laici all'espansione della fede risulta chiara, fin dai
primi tempi del cristianesimo, a opera sia di singoli fedeli e famiglie, sia
dell'intera comunità. Ciò ricordava già Pio XII, richiamando nella prima
enciclica missionaria le vicende delle missioni laicali. (146) Nei tempi
moderni non è mancata la partecipazione attiva dei missionari laici e delle
missionarie laiche. Come non ricordare l'importante ruolo svolto da queste,
il loro lavoro nelle famiglie, nelle scuole, nella vita politica. sociale e
culturale e, in particolare, il loro insegnamento della dottrina cristiana?
Bisogna anzi riconoscere - ed è un titolo di onore che alcune chiese hanno
avuto inizio grazie all'attività dei laici e delle laiche missionarie. Il
Vaticano II ha confermato questa tradizione, illustrando il carattere
missionario di tutto il popolo di Dio in particolare l'apostolato dei laici
(147) e sottolineando il contributo specifico che essi son chiamati a dare
nell'attività missionaria. (148) La necessità che tutti i fedeli condividano
tale responsabilità non e solo questione di efficacia apostolica, ma è un
dovere-diritto fondato sulla dignità battesimale per cui «i fedeli
partecipano, per la loro parte, al triplice ufficio - sacerdotale profetico e
regale di Gesù Cristo». (149) Essi, perciò, «sono tenuti all'obbligo generale
e hanno diritto di impegnarsi, sia come singoli, sia riuniti in associazioni,
perché l'annunzio della salvezza sia conosciuto e accolto da ogni uomo in
ogni luogo; tale obbligo li vincola ancor di più in quelle situazioni in cui
gli uomini non possono ascoltare il vangelo e conoscere Cristo se non per
mezzo loro». (150) Inoltre, per l'indole secolare. che è loro propria, hanno
la particolare vocazione a «cercare il regno di Dio trattando le cose
temporali e orientandole secondo Dio». (151) 72. I settori di presenza e di azione
missionaria dei laici sono molto ampi. «Il primo campo... è il mondo vasto e
complicato della politica, della realtà sociale dell'economia...» (152) sul
piano locale, nazionale e internazionale. All'interno della chiesa si
presentano vari tipi di servizi, funzioni, ministeri e forme di animazione
della vita cristiana. Ricordo, quale novità emersa in non poche chiese nei
tempi recenti, il grande sviluppo dei «movimenti ecclesiali», dotati di
dinamismo missionario. Quando si inseriscono con umiltà nella vita delle
chiese locali e sono accolti cordialmente da vescovi e sacerdoti nelle
strutture diocesane e parrocchiali, i movimenti rappresentano un vero dono di
Dio per la nuova evangelizzazione e per l'attività missionaria propriamente
detta. Raccomando, quindi, di diffonderli e di avvalersene per ridare vigore,
soprattutto tra i giovani, alla vita cristiana e all'evangelizzazione, in una
visione pluralistica dei modi di associarsi e di esprimersi. Nell'attività
missionaria sono da valorizzare le varie espressioni del laicato, rispettando
la loro indole e finalità: associazioni del laicato missionario, organismi
cristiani di volontariato internazionale, movimenti ecclesiali, gruppi e
sodalizi di vario genere siano impegnati nella missione ad gentes e nella
collaborazione con le chiese locali. In questo modo sarà favorita la crescita
di un laicato maturo e responsabile, la cui «formazione... si pone nelle
giovani chiese come elemento essenziale e irrinunciabile della plantatio
ecclesiale». (153) L'opera dei catechisti e la varietà
dei ministeri 73. Tra i laici che diventano
evangelizzatori si trovano in prima fila i catechisti. Il decreto missionario
li definisce «quella schiera degna di lode, tanto benemerita dell'opera
missionaria tra le genti... Essi, animati da spirito apostolico e facendo
grandi sacrifici, danno un contributo singolare e insostituibile alla
propagazione della fede e della chiesa». (154) Non è senza ragione che le
chiese di antica data, impegnandosi nella nuova evangelizzazione, abbiano
moltiplicato i catechisti e intensificato la catechesi. «Sono i catechisti in
terra di missione coloro che meritano, in modo tutto speciale, questo titolo
di "catechisti"... chiese ora fiorenti non sarebbero state
edificate senza di loro». (155) Anche col moltiplicarsi dei servizi
ecclesiali ed extraecclesiali il ministero dei catechisti rimane sempre
necessario e ha peculiari caratteristiche: i catechisti sono operatori
specializzati. testimoni diretti. evangelizzatori insostituibili, che
rappresentano la forza basilare delle comunità cristiane, specie nelle
giovani chiese, come ho più volte affermato e constatato nei miei viaggi missionari.
Il nuovo codice di Diritto canonico ne riconosce i compiti, le qualità, i
requisiti. (156) Ma non si può dimenticare che il lavoro dei catechisti si va
facendo sempre più difficile e impegnativo per i cambiamenti ecclesiali e
culturali in corso. Vale ancor oggi quanto già suggeriva il concilio: una più
accurata preparazione dottrinale e pedagogica, il costante rinnovamento
spirituale e apostolico, la necessità di «garantire un decoroso tenore di
vita e di sicurezza sociale» ai catechisti. (157) È importante, altresì,
favorire la creazione e il potenziamento delle scuole per catechisti, che,
approvate dalle Conferenze episcopali, rilascino titoli ufficialmente
riconosciuti da queste ultime. (158) 74. Accanto ai catechisti bisogna
ricordare le altre forme di servizio alla vita della chiesa e alla missione,
e gli altri operatori: animatori della preghiera, del canto e della liturgia;
capi di comunità ecclesiali di base e di gruppi biblici; incaricati delle
opere caritative; amministratori dei beni della chiesa; dirigenti dei vari
sodalizi apostolici; insegnanti di religione nelle scuole. Tutti i fedeli
laici debbono dedicare alla chiesa parte del loro tempo, vivendo con coerenza
la propria fede. La Congregazione per
l'Evangelizzazione dei Popoli e le altre strutture per l'attività missionaria 75. I responsabili e gli operatori della
pastorale missionaria devono sentirsi uniti nella comunione che caratterizza
il corpo mistico. Per questo Cristo ha pregato nell'ultima cena: «Come tu,
Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il
mondo creda che tu mi hai mandato». (Gv17,21) È in questa comunione il
fondamento della fecondità della missione. Ma la chiesa è anche una comunione
visibile e organica, e perciò la missione richiede pure una unione esterna e
ordinata tra le diverse responsabilità e funzioni, in modo che tutte le
membra «indirizzino in piena unanimità le loro forze all'edificazione della
chiesa». (159) Spetta al dicastero missionario «dirigere e coordinare in
tutto il mondo l'opera stessa dell'evangelizzazione dei popoli e la
cooperazione missionaria, salva la competenza della Congregazione per le
chiese orientali». (160) Per questo «è suo compito suscitare e distribuire,
secondo i bisogni più urgenti delle regioni, i missionari..., elaborare un
piano organico di azione, emanare norme direttive e principi adeguati in
ordine all'evangelizzazione, dare l'impulso iniziale». (161) Non posso che
confermare queste sagge disposizioni: per rilanciare la missione ad gentes
occorre un centro di propulsione, di direzione e di coordinamento che è la
Congregazione per l'evangelizzazione. Invito le Conferenze episcopali e i
loro organismi, superiori maggiori degli ordini, congregazioni e istituti gli
organismi laicali impegnati nell'attività missionaria a collaborare
fedelmente con detta Congregazione, che ha l'autorità necessaria per
programmare e dirigere l'attività e la cooperazione missionaria a livello
universale. La medesima Congregazione, avendo alle spalle una lunga e
gloriosa esperienza, è chiamata a svolgere un ruolo di primaria importanza
sul piano della riflessione e dei programmi operativi, di cui la chiesa ha
bisogno per orientarsi più decisamente verso la missione nelle sue varie
forme. A questo fine, la Congregazione deve mantenere strette relazioni con
gli altri dicasteri della Santa Sede, con le chiese particolari e con le
forze missionarie. In un'ecclesiologia di comunione, in cui la chiesa è tutta
missionaria, ma al tempo stesso si confermano sempre indispensabili vocazioni
e istituzioni specifiche per il lavoro ad gentes rimane molto importante il
ruolo di guida e di coordinamento del dicastero missionario per affrontare
insieme le grandi questioni di comune interesse, salve le competenze proprie
di ciascuna autorità e struttura. 76. Per l'indirizzo e il coordinamento
dell'attività missionaria a livello nazionale e regionale rivestono grande
importanza le Conferenze episcopali e i loro diversi raggruppamenti. A loro
il concilio chiede di «trattare in pieno accordo le questioni più gravi e i
problemi più urgenti, senza trascurare però le differenze tra luogo e luogo»,
(162) nonché il problema dell'inculturazione. Di fatto, c'è già un'ampia e
regolare azione in questo campo e i frutti sono visibili. È un'azione che
deve essere intensificata e meglio raccordata con quella di altri organismi
delle stesse Conferenze affinché la sollecitudine missionaria non sia
demandata alla cura di un dato settore od organismo, ma sia condivisa da
tutti. Gli stessi organismi e Istituzioni, che attendono all'attività
missionaria, colleghino opportunamente sforzi e iniziative. Le Conferenze dei
superiori maggiori, poi, abbiano questo stesso impegno nel loro ambito, in
contatto con le Conferenze episcopali, secondo le indicazioni e norme
stabilite, (163) ricorrendo anche a commissioni miste. (164) Sono, infine,
auspicabili incontri e forme di collaborazione tra le varie istituzioni
missionarie per quanto riguarda sia la formazione e lo studio, (165) sia
l'azione apostolica da svolgere. PARTE
VII LA
COOPERAZIONE ALL'ATTIVlTÀ MISSIONARIA 77. Membri della chiesa, in forza del
battesimo tutti i cristiani sono corresponsabili dell'attività missionaria.
La partecipazione delle comunità e dei singoli fedeli a questo diritto-dovere
è chiamata «cooperazione missionaria». Tale cooperazione si radica e si vive
innanzitutto nell'essere personalmente uniti a Cristo: solo se si è uniti a
lui come il tralcio alle vite, (Gv15,5) si possono produrre buoni
frutti. La santità di vita permette a ogni cristiano di essere fecondo nella
missione della chiesa: «Il sacro concilio invita tutti a un profondo
rinnovamento interiore, affinché, avendo una viva coscienza della propria
responsabilità in ordine alla diffusione del vangelo, prendano la loro parte
nell'attività missionaria presso le genti». (166) La partecipazione alla
missione universale, quindi, non si riduce ad alcune particolari attività, ma
è il segno della maturità di fede e di una vita cristiana che porta frutti.
Così il credente allarga i confini della sua carità, manifestando la
sollecitudine per coloro che sono lontani, come per quelli che sono vicini:
prega per le missioni e per le vocazioni missionarie, aiuta i missionari, ne
segue l'attività con interesse e, quando ritornano, li accoglie con quella
gioia con cui le prime comunità cristiane ascoltavano dagli apostoli le
meraviglie che Dio aveva operato mediante la loro predicazione. (At14,27) Preghiera e sacrifici per i
missionari 78. Tra le forme di partecipazione il
primo posto spetta alla cooperazione spirituale: preghiera, sacrificio
testimonianza di vita cristiana. La preghiera deve accompagnare il cammino
dei missionari, perché l' annunzio della Parola sia reso efficace dalla
grazia divina. San Paolo nelle sue Lettere chiede spesso ai fedeli di pregare
per lui, perché gli sia concesso di annunziare il vangelo con fiducia e
franchezza. Alla preghiera è necessario unire il sacrificio: il valore
salvifico di ogni sofferenza, accettata e offerta a Dio con amore, scaturisce
dal sacrificio di Cristo, che chiama le membra del suo mistico corpo ad
associarsi ai suoi patimenti, a completarli nella propria carne. (Col1,24)
Il sacrificio del missionario deve essere condiviso e sostenuto da quello dei
fedeli. Perciò, a coloro che svolgono il loro ministero pastorale fra i
malati raccomando di istruirli circa il valore della sofferenza,
incoraggiandoli a offrirla a Dio per i missionari. Con tale offerta i malati
diventano anch'essi missionari, come sottolineano alcuni movimenti sorti tra
loro e per loro. Anche la solennità di Pentecoste - inizio della missione
della chiesa -- è celebrata in alcune comunità come «giornata della
sofferenza per le missioni». «Eccomi, Signore, sono pronto! Manda
me!» (cf Is 6,8) 79. La cooperazione si esprime, altresì,
nel promuovere le vocazioni missionarie. A questo riguardo, va riconosciuta
la validità delle diverse forme d'impegno missionario, ma bisogna al tempo
stesso riaffermare la priorità della donazione totale e perpetua all'opera
delle missioni, specialmente negli istituti e congregazioni missionari,
maschili e femminili. La promozione di tali vocazioni è il cuore della
cooperazione: l'annunzio del vangelo richiede annunziatori, la messe ha
bisogno di operai, la missione si fa soprattutto con uomini e donne
consacrati a vita all'opera del vangelo, disposti ad andare in tutto il mondo
per portare la salvezza. Desidero, pertanto, richiamare e raccomandare questa
sollecitudine per le vocazioni missionarie. Coscienti della responsabilità
universale dei cristiani nel contribuire all'opera missionaria e allo
sviluppo dei popoli poveri, dobbiamo tutti domandarci perché in varie
nazioni, mentre crescono le offerte, minacciano di scomparire le vocazioni
missionarie, che danno la vera misura della donazione ai fratelli. Le
vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata sono un segno sicuro della
vitalità di una chiesa. 80. Pensando a questo grave problema,
rivolgo il mio appello con particolare fiducia e affetto alle famiglie e ai
giovani. Le famiglie e, soprattutto, i genitori siano consapevoli di dover
portare «un particolare contributo alla causa missionaria della chiesa,
coltivando le vocazioni missionarie fra i loro figli e figlie». (167) Una
vita di intensa preghiera, un senso reale del servizio del prossimo e una
generosa partecipazione alle attività ecclesiali offrono alle famiglie le
condizioni favorevoli per la vocazione dei giovani. Quando i genitori sono
pronti a consentire che uno dei figli parta per la missione, quando essi
hanno chiesto al Signore tale grazia, egli li ricompenserà, nella gioia, il
giorno in cui un loro figlio o figlia ascolterà la sua chiamata. Ai giovani
stessi io chiedo di ascoltare la parola di Cristo che dice loro, come già a
Simon Pietro e ad Andrea sulla riva del lago: «Venite dietro a me, e vi farò
diventare pescatori di uomini». (Mt4,19) Abbiano essi il coraggio di
rispondere, come Isaia: «Eccomi, Signore, sono pronto, manda me». (Is4,8)
Essi avranno dinanzi a sé una vita affascinante e conosceranno la vera
soddisfazione di annunciare la «buona novella» ai fratelli e sorelle che
condurranno sulla via della salvezza. «C'è più gioia nel dare che nel
ricevere» (At 20,35) 81. Sono molte le necessità materiali ed
economiche delle missioni: non solo per fondare la chiesa con strutture
minime (cappelle, scuole per catechisti e seminaristi, case di abitazione),
ma anche per sostenere le opere di carità, di educazione e di promozione
umana, campo vastissimo di azione specialmente nei paesi poveri. La chiesa
missionaria dà quello che riceve, distribuisce ai poveri quello che i suoi
figli più dotati di beni materiali le mettono generosamente a disposizione.
Desidero a questo punto ringraziare tutti coloro che donano con sacrificio
per l'opera missionaria: le loro rinunzie e la loro partecipazione sono
indispensabili per costruire la chiesa e testimoniare la carità. Circa gli
aiuti materiali è importante riguardare allo spirito col quale si dona. Per
questo occorre rivedere il proprio stile di vita: le missioni non chiedono
solo un aiuto, ma una condivisione con l'annunzio e la carità verso i poveri.
Tutto quello che abbiamo ricevuto da Dio la vita come i beni materiali - non
è nostro. ma ci è dato in uso. La generosità nel dare va sempre illuminata e
ispirata dalla fede: allora, davvero c'è più gioia nel dare che nel ricevere.
La Giornata missionaria mondiale, diretta alla sensibilizzazione sul problema
missionario, ma anche alla raccolta di aiuti, è un appuntamento importante
nella vita della chiesa, perché insegna come donare: nella celebrazione
eucaristica, cioè come offerta a Dio, e per tutte le missioni del mondo. Nuove forme di cooperazione
missionaria 82. La cooperazione si allarga oggi a
forme nuove includendo non solo l'aiuto economico, ma anche la partecipazione
diretta. Situa ioni nuove, connesse al fenomeno della mobilità, richiedono ai
cristiani un autentico spirito missionario. Il turismo a carattere
internazionale è ormai un fatto di massa e positivo, se si pratica con
atteggiamento rispettoso per un mutuo arricchimento culturale, evitando
ostentazione e sperperi e cercando il contatto umano. Ma ai cristiani è
richiesta soprattutto la coscienza di dover essere sempre testimoni della
fede e della carità di Cristo. Anche la conoscenza diretta della vita
missionaria e delle nuove comunità cristiane può arricchire e rinvigorire la
fede. Sono lodevoli le visite alle missioni soprattutto da parte dei giovani
che vanno per servire e fare un'esperienza forte di vita cristiana. Le
esigenze di lavoro portano oggi numerosi cristiani di giovani comunità in
aree dove il cristianesimo è sconosciuto e, talvolta, bandito o perseguitato.
Ciò avviene anche per i fedeli dei paesi di antica tradizione cristiana, che
lavorano temporaneamente in paesi non cristiani. Queste circostanze sono
certo un'opportunità per vivere e testimoniare la fede. Nei primi secoli il
cristianesimo si diffuse soprattutto perché i cristiani, viaggiando o
stabilendosi in regioni in cui Cristo non era stato annunziato.
testimoniavano con coraggio la loro fede e vi fondavano le prime comunità.
Più numerosi sono i cittadini dei paesi di missione e gli appartenenti a
religioni non cristiane, che vanno a stabilirsi in altre nazioni per motivi
di studio e di lavoro, o costretti dalle condizioni politiche o economiche
dei luoghi di origine. La presenza di questi fratelli nei paesi di antica
cristianità è una sfida per le comunità ecclesiali, stimolandole
all'accoglienza, al dialogo, al servizio, alla condivisione, alla
testimonianza e all'annunzio diretto. In pratica, anche in paesi cristiani si
formano gruppi umani e culturali che richiamano la missione ad gentes, e le
chiese locali, anche con l'aiuto di persone provenienti dai paesi degli
immigrati e di missionari reduci, devono occuparsi generosamente di queste
situazioni. La cooperazione può anche impegnare i responsabili della
politica, dell'economia, della cultura, del giornalismo, oltre che gli
esperti dei vari organismi internazionali. Nel mondo moderno è sempre più
difficile tracciare linee di demarcazione geografica o culturale: c'è una
crescente interdipendenza fra i popoli, il che stimola alla testimonianza
cristiana e all'evangelizzazione. Animazione e formazione missionaria
del popolo di Dio 83. La formazione missionaria è opera
della chiesa locale con l'aiuto dei missionari e dei loro istituti, nonché
del personale delle giovani chiese. Questo lavoro deve essere inteso non come
marginale, ma come centrale nella vita cristiana. Per la stessa nuova
evangelizzazione dei popoli cristiani il tema missionario può essere di
grande aiuto: la testimonianza dei missionari, infatti, conserva il suo
fascino anche presso i lontani e i non credenti e trasmette valori cristiani.
Le chiese locali, quindi, inseriscano l'animazione missionaria come
elemento-cardine della loro pastorale ordinaria nelle parrocchie, nelle
associazioni e nei gruppi, specie giovanili. A questo fine vale, anzitutto,
l'informazione mediante la stampa missionaria e i vari sussidi audiovisivi.
Il loro ruolo è di grande importanza, in quanto fanno conoscere la vita della
chiesa universale, le voci e le esperienze dei missionari e delle chiese
locali, presso cui essi lavorano. Occorre che nelle chiese più giovani, che
non sono ancora in grado di dotarsi di una stampa e altri sussidi, gli
istituti missionari dedichino personale e mezzi a queste iniziative. A tale
formazione sono chiamati i sacerdoti e i loro collaboratori, gli educatori e
insegnanti, i teologi, specie i docenti dei seminari e dei centri per i
laici. L'insegnamento teologico non può né deve prescindere dalla missione
universale della chiesa, dall'ecumenismo, dallo studio delle grandi religioni
e della missiologia. Raccomando che soprattutto nei seminari e nelle case di
formazione per religiosi e religiose si faccia un tale studio, curando anche
che alcuni sacerdoti, o alunni e alunne si specializzino nei diversi campi
delle scienze missiologiche. Le attività di animazione vanno sempre orientate
ai loro specifici fini: informare e formare il popolo di Dio alla missione
universale della chiesa, far nascere vocazioni ad gentes, suscitare cooperazione
all'evangelizzazione. Non si può, infatti, dare un'immagine riduttiva
dell'attività missionaria, come se fosse principalmente aiuto ai poveri,
contributo alla liberazione degli oppressi, promozione dello sviluppo, difesa
dei diritti umani. La chiesa missionaria è impegnata anche su questi fronti,
ma il suo compito primario è un altro: i poveri hanno fame di Dio, e non solo
di pane e di libertà, e l'attività missionaria prima di tutto deve
testimoniare e annunziare la salvezza in Cristo, fondando le chiese locali
che sono poi strumenti di liberazione in tutti i sensi. La responsabilità primaria delle
Pontificie opere missionarie 84. In questa opera di animazione il
compito primario spetta alle Pontificie opere missionarie, come più volte ho affermato
nei messaggi per la Giornata missionaria mondiale. Le quattro opere -
Propagazione della fede, San Pietro apostolo, Infanzia missionaria e Unione
missionaria - hanno in comune lo scopo di promuovere lo spirito missionario
universale in seno al popolo di Dio. L'Unione missionaria ha come fine
immediato e specifico la sensibilizzazione e formazione missionaria dei
sacerdoti, religiosi e religiose, che devono, a loro volta, curarla nelle
comunità cristiane; essa, inoltre, mira a promuovere le altre opere, di cui è
l'anima. (168) «La parola d'ordine deve essere questa: Tutte le chiese per la
conversione di tutto il mondo». (169) Essendo del papa e del collegio
episcopale, anche nell'ambito delle chiese particolari queste opere occupano
«giustamente il primo posto, perché sono mezzi sia per infondere nei
cattolici, fin dall'infanzia, uno spirito veramente universale e missionario,
sia per favorire un'adeguata raccolta di sussidi a vantaggio di tutte le
missioni, secondo le necessità di ciascuna». (170) Un altro scopo delle opere
missionarie è quello di suscitare vocazioni ad gentes ed a vita, sia nelle
chiese antiche come in quelle più giovani. Raccomando vivamente di orientare
sempre più a questo fine il loro servizio di animazione. Nell'esercizio della
loro attività, queste Opere dipendono, a livello universale, dalla
Congregazione per l'evangelizzazione e, a livello locale, dalle Conferenze
episcopali e dai vescovi delle singole chiese, collaborando con i centri di
animazione esistenti: esse portano nel mondo cattolico quello spirito di
universalità e di servizio alla missione, senza il quale non esiste autentica
cooperazione. Non solo dare alla missione, ma
anche ricevere 85. Cooperare alla missione vuol dire non
solo dare, ma anche saper ricevere: tutte le chiese particolari, giovani e
antiche, sono chiamate a dare e a ricevere per la missione universale e
nessuna deve chiudersi in se stessa. (171) In forza della... cattolicità -
dice il concilio le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a
tutta la chiesa, di modo che il tutto e le singole parti si accrescano da
tutte le altre in reciproca comunione ed aspiranti alla pienezza
nell'unità... Ne derivano... tra le diverse parti della chiesa vincoli di
intima comunione circa i tesori spirituali, gli operai apostolici ed i
sussidi materiali». Esorto tutte le chiese e i pastori, i sacerdoti, i
religiosi, i fedeli, ad aprirsi all'universalità della chiesa, evitando ogni
forma di particolarismo, esclusivismo o sentimento di autosufficienza. Le chiese
locali, pur radicate nel loro popolo e nella loro cultura, debbono tuttavia
mantenere in concreto questo senso universalistico della fede, dando cioè e
ricevendo dalle altre chiese doni spirituali esperienze pastorali, di primo
annunzio e di evangelizzazione, personale apostolico e mezzi materiali.
Infatti, la tendenza a chiudersi può esser forte: le chiese antiche,
impegnate per la nuova evangelizzazione, pensano che ormai la missione
debbono svolgerla in casa e rischiano di frenare lo slancio verso il mondo
non cristiano, concedendo a malincuore le vocazioni agli istituti missionari,
alle congregazioni religiose, alle altre chiese. Ma è dando generosamente del
nostro che riceveremo, e già oggi le giovani chiese, non poche delle quali
conoscono una prodigiosa fioritura di vocazioni, sono in grado di inviare
sacerdoti, religiosi e religiose a quelle antiche. D'altra parte, esse
sentono il problema della propria identità, dell'inculturazione, della
libertà di crescere senza influssi esterni, con la possibile conseguenza di
chiudere le porte al missionari. A queste chiese dico: Lungi dall'isolarvi,
accogliete volentieri i missionari e i mezzi dalle altre chiese, e mandatene
voi stesse nel mondo! Proprio per i problemi che vi angustiano avete bisogno
di mantenervi in continua relazione con i fratelli e sorelle nella fede. Con
ogni mezzo legittimo fate valere le libertà, a cui avete diritto,
ricordandovi che i discepoli di Cristo hanno il dovere di «obbedire a Dio
piuttosto che agli uomini». (At5,29) Dio prepara una nuova primavera del
Vangelo 86. Se si guarda in superficie il mondo
odierno, si è colpiti da non pochi fatti negativi, che possono indurre al
pessimismo. Ma è, questo, un sentimento ingiustificato: noi abbiamo fede in
Dio Padre e Signore, nella sua bontà e misericordia. In prossimità del terzo
millennio della redenzione, Dio sta preparando una grande primavera
cristiana, di cui già si intravede l'inizio. Difatti, sia nel mondo non
cristiano come in quello di antica cristianità, c'è un progressivo
avvicinamento dei popoli agli ideali e ai valori evangelici, che la chiesa si
sforza di favorire. Oggi, infatti, si manifesta una nuova convergenza da
parte dei popoli per questi valori: il rifiuto della violenza e della guerra;
il rispetto della persona umana e dei suoi diritti; il desiderio di libertà,
di giustizia e di fraternità; la tendenza al superamento dei razzismi e dei
nazionalismi; l'affermazione della dignità e la valorizzazione della donna.
La speranza cristiana ci sostiene nell'impegnarci a fondo per la nuova
evangelizzazione e per la missione universale, facendoci pregare come Gesù ci
ha insegnato: «Venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà come in cielo
così in terra». (Mt6,10) Gli uomini che attendono Cristo sono ancora
in numero immenso: gli spazi umani e culturali, non ancora raggiunti
dall'annunzio evangelico o nei quali la chiesa è scarsamente presente. sono
tanto ampi, da richiedere l'unità di tutte le sue forze. Preparandosi a
celebrare il giubileo del Duemila, tutta la chiesa è ancor più impegnata per
un nuovo avvento missionario. Dobbiamo nutrire in noi l'ansia apostolica di
trasmettere ad altri la luce e la gioia della fede, e a questo ideale
dobbiamo educare tutto il popolo di Dio. Non possiamo restarcene tranquilli,
pensando ai milioni di nostri fratelli e sorelle, anch'essi redenti dal
sangue di Cristo, che vivono ignari dell'amore di Dio. Per il singolo
credente, come per l'intera chiesa, la causa missionaria deve essere la
prima, perché riguarda il destino eterno degli uomini e risponde al disegno
misterioso e misericordioso di Dio. PARTE
VIII LA
SPIRITUALITÀ MISSIONARIA Lasciarsi condurre dallo Spirito 87. L'attività missionaria esige una
specifica spiritualità che riguarda, in particolare, quanti Dio ha chiamato a
essere missionari. Tale spiritualità si esprime, innanzittutto, nel vivere in
piena docilità allo Spirito: essa impegna a lasciarsi plasmare interiormente
da lui? per divenire sempre più conformi a Cristo. Non si può testimoniare
Cristo senza riflettere la sua immagine, la quale è resa viva in noi dalla
grazia e dall'opera dello Spirito. La docilità allo Spirito impegna poi ad
accogliere i doni della fortezza e del discernimento, che sono tratti
essenziali della stessa spiritualità. Emblematico è il caso degli apostoli,
che durante la vita pubblica del Maestro, nonostante il loro amore per lui e
la generosità della risposta alla sua chiamata, si dimostrano incapaci di
comprendere le sue parole e restii a seguirlo sulla via della sofferenza e
dell'umiliazione. Lo Spirito li trasformerà in testimoni coraggiosi del
Cristo e annunziatori illuminati della sua Parola: sarà lo Spirito a condurli
per le vie ardue e nuove della missione. Anche oggi la missione rimane
difficile e complessa come in passato e richiede ugualmente il coraggio e la
luce dello Spirito: viviamo spesso il dramma della prima comunità cristiana,
che vedeva forze incredule e ostili «radunarsi insieme contro il Signore e
contro il suo Cristo». (At4,26) Come allora, oggi occorre pregare,
perché Dio ci doni la franchezza di proclamare il vangelo; occorre scrutare
le vie misteriose dello Spirito e lasciarsi da lui condurre in tutta la
verità. (Gv16,13) Vivere il mistero di Cristo
«inviato» 88. Nota essenziale della spiritualità
missionaria è la comunione intima con Cristo: non si può comprendere e vivere
la missione, se non riferendosi a Cristo come l'inviato a evangelizzare.
Paolo ne descrive gli atteggiamenti: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti
che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non
considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in
forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla
morte di croce». (Fil2,5) È qui descritto il mistero dell'incarnazione
e della redenzione, come spoliazione totale di sé, che porta Cristo a vivere
in pieno la condizione umana e ad aderire fino in fondo al disegno del Padre.
Si tratta di un annientamento, che però è permeato di amore ed esprime
l'amore. La missione percorre questa stessa via e ha il suo punto di arrivo
ai piedi della croce. Al missionario è chiesto «di rinunziare a se stesso e a
tutto quello che in precedenza possedeva in proprio e a farsi tutto a tutti»:
(172) nella povertà che lo rende libero per il vangelo, nel distacco da
persone e beni del proprio ambiente per farsi fratello di coloro ai quali è
mandato, onde portare a essi il Cristo salvatore. È a questo che è
finalizzata la spiritualità del missionario: «Mi sono fatto debole con i
deboli...; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare a ogni costo qualcuno.
Tutto io faccio per il vangelo...». (1Cor9,22) Proprio perché
«inviato», il missionario sperimenta la presenza confortatrice di Cristo, che
lo accompagna in ogni momento della sua vita «Non aver paura.... perché io
sono con te» (At18,9) e lo aspetta nel cuore di ogni uomo. Amare la Chiesa e gli uomini come li
ha amati Gesù 89. La spiritualità missionaria si
caratterizza, altresì, per la carità apostolica, quella del Cristo che venne
«per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (Gv11,52) buon
Pastore che conosce le sue pecore, le ricerca e offre la sua vita per loro. (Gv10,1)
Chi ha spirito missionario sente l'ardore di Cristo per le anime e ama la
chiesa, come Cristo. Il missionario è spinto dallo «zelo per le anime», che
si ispira alla carità stessa di Cristo, fatta di attenzione, tenerezza,
compassione, accoglienza, disponibilità, interessamento ai problemi della
gente. L'amore di Gesù è molto profondo: egli, che «sapeva quello che c'è in
ogni uomo» (Gv2,25) amava tutti offrendo loro la redenzione e soffriva
quando questa veniva rifiutata. Il missionario è l'uomo della carità: per
poter annunziare a ogni fratello che è amato da Dio e che può lui stesso
amare, egli deve testimoniare la carità verso tutti, spendendo la vita per il
prossimo. Il missionario è il «fratello universale», porta in sé lo spirito
della chiesa, la sua apertura e interesse per tutti i popoli e per tutti gli
uomini, specie i più piccoli e poveri. Come tale, supera le frontiere e le
divisioni di razza, casta o ideologia: è segno dell'amore di Dio nel mondo,
che è amore senza nessuna esclusione né preferenza. Infine, come Cristo egli
deve amare la chiesa: «Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per
lei». (Ef5,25) Questo amore, spinto fino a dare la vita, è per lui un
punto di riferimento. Solo un amore profondo per la chiesa può sostenere lo
zelo del missionario; il suo assillo quotidiano - come dice san Paolo - è «la
preoccupazione per tutte le chiese». (2Cor11,28) Per ogni missionario
«la fedeltà a Cristo non può essere separata dalla fedeltà alla sua chiesa».
(173) Il vero missionario è il santo 90. La chiamata alla missione deriva di
per sé dalla chiamata alla santità. Ogni missionario è autenticamente tale
solo se si impegna nella via della santità: «La santità deve dirsi un
presupposto fondamentale e una condizione del tutto insostituibile perché si
compia la missione di salvezza della chiesa». (174) L'universale vocazione
alla santità è strettamente collegata all'universale vocazione alla missione.
ogni fedele è chiamato alla santità e alla missione. Tale è stato il voto
ardente del concilio nell'auspicare «con la luce di Cristo, riflessa sul
volto della chiesa, di illuminare tutti gli uomini, annunziando il vangelo a
ogni creatura». (175) La spiritualità missionaria della chiesa è un cammino
verso la santità. La rinnovata spinta verso la missione ad gentes esige
missionari santi. Non basta rinnovare i metodi pastorali, né organizzare e
coordinare meglio le forze ecclesiali, né esplorare con maggior acutezza le
basi bibliche e teologiche della fede: occorre suscitare un nuovo «ardore di
santità» fra i missionari e in tutta la comunità cristiana, in particolare
fra coloro che sono i più stretti collaboratori dei missionari. (176)
Ripensiamo, cari fratelli e sorelle, allo slancio missionario delle prime
comunità cristiane. Nonostante la scarsezza dei mezzi di trasporto e
comunicazione di allora, l'annunzio evangelico raggiunse in breve tempo i
confini del mondo. E si trattava della religione del figlio dell'uomo morto
in croce, «scandalo per gli ebrei e stoltezza per i gentili»! (1Cor1,23)
Alla base di un tale dinamismo missionario c'era la santità dei primi cristiani
e delle prime comunità. 91. Mi rivolgo, perciò, ai battezzati
delle giovani comunità e delle giovani chiese. Siete voi, oggi, la speranza
di questa nostra chiesa, che ha duemila anni: essendo giovani nella fede,
dovete essere come i primi cristiani, e irradiare entusiasmo e coraggio, in
generosa dedizione a Dio e al prossimo; in una parola, dovete mettervi sulla
via della santità. Solo così potete essere segno di Dio nel mondo e rivivere
nei vostri paesi l'epopea missionaria della chiesa primitiva. E sarete anche
fermento di spirito missionario per le chiese più antiche. Da parte loro, i
missionari riflettano sul dovere della santità, che il dono della vocazione
richiede da essi, rinnovandosi di giorno in giorno nel loro spirito e
aggiornando anche la loro formazione dottrinale e pastorale. Il missionario
deve essere «un contemplativo in azione». Egli trova risposta ai problemi
nella luce della parola di Dio e nella preghiera personale e comunitaria. Il
contatto con i rappresentanti delle tradizioni spirituali non cristiane, in
particolare di quelle dell'Asia, mi ha dato conferma che il futuro della
missione dipende in gran parte dalla contemplazione. Il missionario, se non è
un contemplativo, non può annunziare il Cristo in modo credibile. Egli è un testimone
dell'esperienza di Dio e deve poter dire come gli apostoli: «Ciò che noi
abbiamo contemplato, ossia il Verbo della vita. . ., noi lo annunziamo a
voi». (1Gv1,1) Il missionario è l'uomo delle beatitudini. Gesù
istruisce i Dodici prima di mandarli a evangelizzare, indicando loro le vie
della missione: povertà, mitezza, accettazione delle sofferenze e
persecuzioni, desiderio di giustizia e di pace, carità, cioè proprio le
beatitudini, attuate nella vita apostolica. (Mt5,1) Vivendo le
beatitudini, il missionario sperimenta e dimostra concretamente che il regno
di Dio è già venuto e egli lo ha accolto. La caratteristica di ogni vita
missionaria autentica è la gioia interiore che viene dalla fede. In un mondo
angosciato e oppresso da tanti problemi, che tende al pessimismo,
l'annunziatore della «buona novella» deve essere un uomo che ha trovato in
Cristo la vera speranza. CONCLUSIONE 92. Mai come oggi la chiesa ha
l'opportunità di far giungere il vangelo, con la testimonianza e la parola, a
tutti gli uomini e a tutti i popoli. Vedo albeggiare una nuova epoca
missionaria, che diventerà giorno radioso e ricco di frutti, se tutti i
cristiani e, in particolare, i missionari e le giovani chiese risponderanno
con generosità e santità agli appelli e sfide del nostro tempo. Come gli
apostoli dopo l'ascensione di Cristo, la chiesa deve radunarsi nel Cenacolo
«con Maria, la Madre di Gesù», (At1,14) per implorare lo Spirito e ottenere
forza e coraggio per adempiere il mandato missionario. Anche noi, ben più
degli apostoli, abbiamo bisogno di essere trasformati e guidati dallo
Spirito. Alla vigilia del terzo millennio tuttora la chiesa è invitata a
vivere più profondamente il mistero di Cristo, collaborando con gratitudine
all'opera della salvezza. Ciò essa fa con Maria e come Maria, sua madre e
modello: è lei, Maria, il modello di quell'amore materno dal quale devono
essere animati tutti quelli che, nella missione apostolica della chiesa,
cooperano alla rigenerazione degli uomini. Perciò, «confortata dalla presenza
di Cristo, la chiesa cammina nel tempo verso la consumazione dei secoli e si
muove incontro al Signore che viene; ma in questo cammino... procede
ricalcando l'itinerario compiuto dalla Vergine Maria». (177) Alla «mediazione
di Maria, tutta orientata verso il Cristo e protesa alla rivelazione della
sua potenza salvifica», (178) affido la chiesa e, in particolare, coloro che
si impegnano per l'attuazione del mandato missionario nel mondo di oggi. Come
Cristo inviò i suoi apostoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito
santo, così, rinnovando lo stesso mandato, io estendo a tutti voi la
benedizione apostolica nel nome della stessa Trinità santissima. Amen. Dato a Roma, presso San Pietro, il 7
dicembre - nel XXV anniversario del decreto conciliare "Ad gentes" -
dell'anno 1990, decimoterzo del pontificato. NOTE (1) Cf. PAOLO VI, Messaggio per la
Giornata missionaria mondiale 1972: «Quante tensioni interne che debilitano e
lacerano alcune chiese e istituzioni locali, scomparirehbero di fronte alla
ferma convinzione che ia salvezza delle comunità locali si conquista con la
cooperazione all'opera missionaria, perché questa sia estesa fino ai confini
della terra!» (Insegnamenti X 1972, 522) (2) Cf. BENEDETTO XV, epist. ap. Maximum
illud (30 novembre 1919): AAS 1 1 ( 1919), 440-455; PioXI, lett.enc. Rerum
ecclesiae (28febbraiol926): AA518 (1926), 65-83; Pio XI, lett.enc. Evangelii
praecones (2 giugno 1951): 43 (1951), 497-528; lett.enc. Fidei donum (21
aprile 1957): AAS 49 (1957), 225-248; GIOVANNI XXIII, lett. enc. Princeps
pastorum (28 novemhre 1959): AAS 51 (1959), 833-864. (3) Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo
1979), 10: AAS 71 (1979), 274s. (4) Ibid., l.c., 275. (5) Credo niceno-costantinopolitano: Ds
150. (6)
Lett. enc. Redemptor hominis, 13: hc., 283. (7) Cf.
CONC. ECU M, VAT, I I, cost. past.
sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 2. (8)
Ibid., 22. (9)
Lett. enc. Dives in misericordia (30
novembre 1980), 7: AAS 72 (1980), 1202. (10) Omelia della celebrazione eucaristica
a Cracovia, 10 giugno 1979: AAS 71 (1979), 873. (11) GlOVANNl XXIII,
lett.enc.Materetmagistra(lSmaggio 1961), IV: AAS 53(1961), 45 1 -453. (12) Dichiarazione sulla libertà religiosa
Dignitatis humanae, 2. (13) PAOLO VI, esort. ap.
Evangeliinuntiancli(8 dicemhre 1975), 53: AAS 68 (1976), 42. (14) Dichiarazione sulla libertà religiosa
Dignitatis humanae, 2. (15) Cf. cost. dogm. sulla chiesa Lumen
gentium, 14-17; decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 3. (16) Cf. cost. dogm. sulla chiesa Lumen
gentium, 48; cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et
spes, 43; decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 7. 21. (17) Cost. dogm. sulla chiesa Lumen
gentium, 13 (18) Cost. dogm. sulla chiesa Lumen
gentium, 9 (19) Cost. past. sulla chiesa nel mondo
contemporaneo Gaudium et spes, 22. (20) Conc. Ecum. Vat II, cost. dogm. sulla
chiesa Lumen gentium, 14. (21)
Lett. enc. Dives in misericordia, 1: l.c., 1177. (22) CONC. ECUM. VAT II, cost. dogm. sulla
chiesa Lumen gentium, 5. (23) CONC. ECUM. VAT II, cost. dogm. sulla
chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 22. (24) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm.
sulla chiesa Lumen gentium, 4. (25) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm.
sulla chiesa Lumen gentium, 5. (26) Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 16:
l.c., 15. (27) Discorso all'apertura della III
sessione del CONC. ECUM. VAT. II, 14 settembre 1964: AAS 56 (1964), 810. (28) PAOLO VI, esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 34: l.c ., 28. (29) Cf. COMMISSIONE TEOLOGICA
INTERNAZIONALE, Temi scelti cl ecclesiologia nel Xx anniversario della
chiusura del CONC. ECUM. VAT. 11 (7 ottohre 1985), 10, ((L'indole
escatologica della chiesa: regno di Dio e chiesa». (30) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, cost. past.
sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 39. (31) Lett. enc. Dominum et vivifcantem (18
maggio 1986), 42: AAS 78 (1986), 857. (32) Ibid., 64: l.c. 892. (33) Questo termine corrisponde al greco
parresìa, che significa anche entusiasmo, vigore; cf. At 2, 29; 4, 13. 29.
31; 9, 27.28; 13, 46; 14, 3; 18, 26; 19, 8. 26; 28, 31. (34) Cf. PAOLO VI, esort, ap. Evangelii
nuntiandi, 41-42: l.c., 31-33. (35) Cf.
Iett. enc. Dominum et vivifcantem, 53: l.c., 874s. (36) Cf.
CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività
missionaria della chiesa Ad gentes, 3.1 1.15; cost past. sulla chiesa nel
mondo contemporaneo Gaudium et spes, 10-1 1. 22.26.38.41.92-93. (37) CONC. ECUM. VAT. II, cost. past.
sulla chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 10.15.22. (38)
Ibid., 41. (39)
Cf. Lett. enc. Dominum et vivifcantem, 54: l.c., 875s. (40) CONC. ECUM. VAT. II, cost. past. sulla chiesa nel mondo
contemporaneo Gaudium et pes, 26. (41)
Ibid., 38, cf. 93. (42)
Cf. CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm. Lumen
gentium, 17; decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 3. 15. (43) CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 4. (44) Cf.
Iett. enc. Dominum et vivificantem, 53: l.c., 874. (45) Discorso ad esponenti delle religioni
non cristiane a Madras, 5 febbraio 1986; AAS 78 ( 1986), 767; cf. Messaggio
ai popoli dell'Asia a Manila, 21 febbraio 1981, 2-4: AAS 73 (1981), 392s.;
Discorso ai rappresentanti delle religioni non cristiane a Tokyo, 24 febbraio
1981, 3-4: Insegnamenti IV/I (1981), 507s. (46) Discorso ai cardinali alla Famiglia
pontificia e alla Curia e Prelatura romana, 22 dicembre 1986, 11: AAS 79
(1987), 1089. (47)
Cost. dogm. Lumen gentium, 16. (48)
CONC. ECUM. VAT. II, cost. past. sulla
chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 45; lett. enc. Dominum et
vivifcantem, 54: l.c., 876. (49) CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attivita missionaria della chiesa Ad gentes, 10. (50) Esort.
ap. Christifdeles laici (30 dicembre 1988), 35: AAS 81 (1989), 457. (51) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 6. (52)
Cf. ibid. (53)
Cf. ibid., 6.23.27. (54) Cf. PAOLO VI, esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 18-20; l.c., 17-19. (55) Esort.
ap. Christifdeles laici, 35: l.c., 457. (56) Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80:
l.c., 73. 57Cf. CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria della
chiesa Ad gentes, 6. (58) Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 80:
l.c., 73. (59) Cf. decreto sull'attività missionaria
della chiesa Ad gentes, 6. (60) Cf. ibid., 20. (61) Cf. Discorso ai membri del simposio
del Consiglio delle conferenze episcopali di Europa, I I ottobre 1985: AAS 78
(1986), pp. 178-179. (62) Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 20:
l.c., 19. (63) CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 5; cf. cost. dogm. sulla
chiesa Lumen gentium, 8. (64) Cf. CONC. ECUM. VAT. II,
dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 34; Paolo
VI,esort.ap.Evangeliinuntiandi,79-80:1.c.,71-75; Giovanni Paolo II, lett. enc.
Redemptor
hominis, 12: l.c., 278-281. (65)
Epist. ap. Maximum illud: l.c., 446. (66) PAOLO VI, esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 62: l.c., 52. (67) Cf. De praescriptione haereticorum,
XX: CCL 1, 201 s. (68) CONC ECUM. VAT. II, decreto sull'attività
missionaria della chiesa Ad gentes, 9; cf. cap. II, 10-18. (69) Cf. PAOLO VI, esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 41: l.c. 31 s. (70) Cf CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm.
sulla chiesa Lumen gentium, 28.35.38; cost. past. sulla chiesa nel mondo contemporaneo
Gaudium et spes, 43; decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad
gentes, 11-12. (71) Cf. PAOLO VI, lett. enc. Populorum
progressio (26 marzo 1967), 21.42: AAS 59 (1967), 267s., 278. (72) PAOLO VI, esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 27: l.c., 23. (73) CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 13. (74) Cf. PAOLO VI, esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 15: l.c., 13-15; CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività
missionaria della chiesa Ad gentes, 13-14. (75) Cf. Iett.
enc. Dominum et vivificantem, 42. 64:1..,
857-859, 892-894. (76) Cf. PAOLO VI, esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 60: l.c., 50s. (77) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm.
sulla chiesa Lumen gentium, 6-9. (78) CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 2; cf. cost. dogm. sulla
chiesa Lumen gentium, 9. (79) Cf. decreto sull'attività missionaria
della chiesa Ad gentes, cap. III, 19-22. (80) CoNc. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 15. (81) Ibid., 6. (82) Ibid., 15; cf. decreto
sull'ecumenismo Unitatis redintegratio, 3. (83) Cf. esort. ap. Evangelii nuntiandi,
58: l.c., 46-49. (84) Assemblea straordinaria del 1985,
Relazione finale, Il, C, 6. (85) Ibid., Il, D, 4. (86) Cf.esort.ap. Catechesitradendae
(160ttobrel979), 53:AAS71(1979), 1320;epist. enc. Slavorum apostoli (2 giugno
1985), 21: AAS 77 (1985), 802s. (87) Cf. PAOLO VI, esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 20: l.c., 18 s. (88) Cf. Discorso ai vescovi dello Zaire a
Kinshasa, 3 maggio 1980, 4-6: A AS 72 ( 1980), 432-435; Discorso ai vescovi
del Kenya a Nairobi, 7 maggio 1980, 6: AAS 72 (1980), 497; Discorso ai
vescovi dell'lndia a Delhi, I febbraio 1986, 5: AAS 78 (1986), 748 s.; Omelia
a Cartagena, 6 luglio 1986, 7-8: AAS 79 (1987), 105 s.; cf. anche epist. enc.
Slavorum apostoli, 21-22: l.c., 802-804. (89) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 22. (90) Cf. ibid. (91) Cf. PAOLO VI, esort. ap.
Evangeliinuntiandi, 64: l.c., 55. (92) Le chiese particolari «hanno il
compito di assimilare l'essenziale del messaggio evangelico, di trasfonderlo,
senza la minima alterazione della sua verità fondamentale, nel linguaggio
compreso da questi uomini e quindi di annunziarlo nel medesimo linguaggio...
E il terrnine "linguaggio" dev'essere qui inteso non tanto nel
senso semantico o letterario, quanto in quello che si può chiamare
antropologico o culturale>) (Ibid., 63: l.c., 53). (93) Cf. Discorso all'udienza generale del
13 aprile 1988: Insegnamenti, Xl/l (1988), 77-88 1 . (94) Esort. ap. Familiaris consortio (22
novembre 1981), 10, in cui si tratta dell'inculturazione «nell'ambito del
matrimonio e della famiglia»: AAS 74 (1982), 91. (95) Cf. PAOLO VI, Evangelii nuntiandi,
63-65: l.c., 53-56. (96) CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm.
sulla chiesa Lumen gentium, 17. (97) Discorso ai partecipanti al simposio
dei vescovi dell'Africa a Kampala, 31 luglio 1969, 2: AAS 61 (1969), 577. (98) PAOLO VI, Discorso all'apertura della
1I Sessione del CONC. ECUM. VAT. II, 29 settembre 1963: AAS 55 (1963), 858;
cf. CONC. ECUM. VAT. II, Dichiarazione
sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 2;
cost. dogm. sulla chiesa Lumen gentium, 16; decreto sull'attività missionaria
della chiesa Ad gentes, 9; PAOLO VI, esort. ap. Evangelii nuntiandi, 53:
l.c., 41 s. (99) Cf. PAOLO VI, lett. enc. Ecclesiam
suam (6 agosto 1964): AAS 56 (1964), 609-659: CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, I I . 41; SEGRETARIATO PER
I NON CRISTIANI, Latteggiamento della chiesa di fronte ai seguaci di altre
religioni - Riflessioni e orientamenti su dialogo e missione (4 settembre
1984): AAS 76 (1984), 816-828. (100) Lettera ai vescovi dell'Asia in
occasione della V Assemblea plenaria della Federazione delle loro Conferenze
episcopali (23 giugno 1990), 4: L'Osservatore Romano, 18 luglio 1990. (101) CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm.
sulla chiesa Lumen gentium, 14; cf. deccreto sull'attività missionaria della
chiesa Ad gentes, 7. (102) Cf. CoNc. EcuM. VAT. II. decreto
sull'ecumenismo Unitatisredintegratio,3; decreto sull'attività missionaria
della chiesa Ad gentes, 7. (103)
Cf. lett. enc. Redemptor hominis, 12: l.c., 279. (104) CONC ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 11. 15. (105) CONC. ECUM. VAT. II, dichiarazione
sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 2 (106) Esort. ap. Christifideles laici, 35:
l.c., 458. (107) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 41. (108) Lett. enc. Sollicitudo rei socialis
(30 dicembre 1987), 41: AAS 80 (1988), 570 s. (109) Documenti della III Conferenza
generale dell'Episcopato latino-americano a Puebla (1979): 3760 (1145). (110) Discorso ai vescovi, ai sacerdoti,
alle religiose e ai religiosi a Jakarta, 10 ottobre 1989, 5: L'Osservatore
Romano, 11 ottobre 1989. (111) Cf. PAOLO VI, lett. enc. Populorum
progressio, 14-21; 40-42: l.c., 264-268, 277 s.; GIOVANNI PAOLO II, lett.
enc. Sollicitudo rei socialis, 27-41: l.c., 547-572. (112) Cf. Iett. enc. Sollicitudo rei
socialis, 28: l.c., 548-550. (113)
Cf. ibid, cap. IV, 27-34: l.c.,
547-560; cf. PAOLO VI, lett. enc. Populorum progressio, 19-21. 41-42: l.c.,
266-268, 277 s. (114) Discorso agli abitanti della favela
Vidigal a Rio de Janeiro, 2 luglio 1980, 4: AAS 72 (1980), 854. (115) Documenti della III Conferenza
generale dell'Episcopato latino-americano a Puebla (1979): 3757 (1142). (116) ISACCO DELLA STELLA, Sermone 31: PL
194, 1793. (117) CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 20. (118) Esort. ap. Christifideles laici, 35:
l.c., 458. (119) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes. 38. (120) Discorso ai membri del sacro
Collegio e a tutti i collaboratori della Curia romana, della Città del
Vaticano e del Vicariato di Roma, 28 giugno 1980, 10: Insegnamenti III/1
(1980), 1887. (121) Cost. dogm. sulla chiesa Lumen
gentium, 23. (122) Decreto sull'attività missionaria
della chiesa Ad gerltes, 38. (123)
Ibid, 29. (124)
Cf. Ibid., 38 (125) Ibid., 30. (126) Docurnenti della III Conferenza
Generale dell'Episcopato latino-americano a Puebla (1979): 2941 (368). (127) Cf. note direttive per la promozione
della cooperazione mutua delle chiese particolari e specialmente per la
distribuzione più adatta del clero Postquam apostoli (25 marzo 1980): AAS 72
(1980), 343-364. (128) Cf. decreto sull'attività
missionaria della chiesa Ad gentes, cap. IV, 23-27. (129)
Ibid., 23. (130)
Ibid. (131) Ibid., 23-27 (132) Cf. S. CONGREGAZIONE PER I RELIGIOSI
E GM ISTITUTI SECOLARI e S. CONGREGAZIONE PER I VESCOVI, Note direttive per i
rapporti mutui tra i vescovi e i religiosi nella chiesa Mutuae relationes (14
maggio 1978), 14 b: AAS 70 (978), 482; cf. n. 28: l.c., 490. (133) CONC ECUM VAT II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 27. (134) CONC. ECUM. VAT 11, decreto sul
ministero e la vita sacerdotale Presbyterorum Ordinis, 10; cf. decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 39. (135) CONC. ECUM. VAT II, decreto sulla
formazione sacerdotale Optatam totius, 20. Cf. «Guide de vie pastorale
pour les pretres diocésains des églises qui dépendent de la Congregation pour
l'evangelisation des peuples», Koma, 1989. (136) Discorso ai partecipanti alla
plenaria della Congregazione per l'evangelizazione dei popoli, 14 aprile
1989; 4: AAS 81 (1989), 1140. (137) Messaggio per la Giornata
missionaria mondiale 1982: Insegnamenti V/2 ( 1982), 1879. (138) Cf. CONC. ECUM. VAT. II, decreto
suD'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 38; S. CONGREGAZIONE PER IL
CLERO, note direttive Postquam apostoli, 24-25: l.c., 361. (139) Cf. S. CONGREGAZIONE PER IL CLERO
note direttive Postquam apostoli, 29: 1. ., 362 s.; CONC. ECUM. VAT. II,
decreto sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 20. (140) CIC, can. 783 (141) Decreto sull'attività missionaria
della chiesa Ad gentes, 40. (142) Cf. PAOLO VI, esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 69: l.c., 58 s. (143)
Lett. ap. Mulieris dignitatem, (15 agosto 1988), 20: AAS 80 (1988) 1703. (144)
Cf. Plo Xll, lett. enc. Evangelii praecones: l.c., 510 ss.; lett. enc. Fidei
donum: l.c., 228 ss.; GIOVANNI XXIII, lett. enc. Princeps pastorum: l.c., 855 ss.; PAOLO VI, esort.
ap. Evangelii nuntiandi, 70-73: l.c., 59-63. (145) Esort. ap. Christifideles laici, 35:
l.c., 457. (146) Cf. Iett. enc. Evangelii praecones,
l.c., 510-514. (147) Cf. cost. dogm. sulla chiesa Lumen
gentium, 17.33 ss. (148) Cf. decreto sull'attività
missionaria della chiesa Ad gentes, 35-36.41. (149)
Esort. ap. Christifideles laici, 14: l.c., 410. (150)
CIC, can.225, 1;cf. CONC. ECUM. VAT.
II, decreto sull'apostolato dei laici Apostolicam actuositatem, 6.13. (151) CONC. ECUM. VAT. II, cost. dogm.
sulla chiesa Lumen gentium 31; cf. CIC, can. 225, 2. (152) PAOLO VI, esort. ap. Evangelii
nuntiandi, 70: l.c.,60. (153) Esort.
ap. Christifideles laici, 35: l.c., 458. (154) CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria
della chiesa Ad gentes, 17. (155) Esort. ap. Catechesi tradendae, 66:
l.c., 1331. (156) cf. can. 785,1. (157) Decreto sull'attività missionaria
della chiesa Ad gentes, 17. (158) Cf. Assemblea plenaria della S.
Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli del 1969 sui catechisti e la
relativa «Istruzione» dell'aprile 1970: Bibliograf a missionaria 34 (1970),
197-212, e S.C. de Propaganda Fide Memoria Rerum, III/2 (1976), 821-831 . (159) CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 28. (160)
Cost. ap. Pastor bonus (28 giugno 1988), 85: AAS 80 (1988), 881; cf. CONC. ECUM. VAT. II, decreto sull'attività missionaria
della chiesa Ad gentes, 29. (161) CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 29; cf. GIOVANNI PAOLO II, cost.
ap. Pastor bonus, 86: l.c., 882. (162) Decreto sull'attività missionaria
della chiesa Ad gentes, 31. (163) Cf. ibid ., 33. (164) Cf. PAOLO VI, lett. ap. in forma di
motu-proprio Ecclesiae sanctae (6 agosto 1966), II, 43: AAS 58 (1966), 782. (165) Cf. CONC. ECUM . VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 34; PAOLO VI, lett. ap. in
forma di motu-proprio Ecclesiae sanctae, III, 22: l.c., 787. (166) CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 35; cf. CIC, cann. 211.781. (167) Esort.
ap. Familiaris consortio, 54: l.c., 147. (168) Cf. PAOLO VI, epist. ap. Graves et increscentes
(5 settembre 1966): AAS 58 (1966), 750-756. (169) p. MANNA, Le nostre «chiese» e la
propagazione del vangelo, Trentola Ducenta, 19522, p. 35. (170) CONC ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 38. (171) Cost. dogm. sulla chiesa Lumen
gentium, 13. (172) CONC. ECUM. VAT. II, decreto
sull'attività missionaria della chiesa Ad gentes, 24. (173) CONC. ECUM. VAT. II, decreto sul
ministero e sulla vita sacerdotale Presbyterorum Ordinis, 14. (174) Esort. ap. Christifideles laici, 17:
l.c., 419. (175) Cost. dogm. sulla chiesa Lumen
gentium, 1. (176) Cf. Discorso all'Assemblea del CELAM
a Port-au Prince, 9 marzo 1983: AAS 75 (1983), 171-779; Omelia per l'apertura
del «novenario di anni», promosso dal CELAM a Santo Domingo, 12 ottobre 1984:
InsegnamentiVII/2 (1984), 885-897. (177)
Lett. enc. Redemptoris Mater (25 marzo 1987), 2: AAS 79 (1987), 362 s. (178)
Ibid.. 22: l.c., 390 |
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