L'abitudine al molto

Un giornalista affermato riconosce i momenti in cui il suo cuore si è inorgoglito, proprio come è accaduto al figlio maggiore che si ritiene giusto e meritevole di fronte al padre. Nella riconciliazione con il Padre il suo cuore si apre e il perdono richiesto viene esteso alla categoria professionale che egli rappresenta ad al grosso potere che questa esercita.

Una famosa battuta del giornalista Luigi Barzini recita così: il mestiere del giornalista è difficile, carico di responsabilità, con orari lunghi, anche notturni e festivi, ma è sempre meglio che lavorare. Ecco, io ho sempre ringraziato Dio per avermi permesso di fare la professione che volevo fare. Nel campo dell'informazione lavorano migliaia di giornalisti professionisti e una schiera sterminata di giovani e meno giovani che aspirano a diventare giornalisti. Di questi, solo un numero molto ridotto arriva a diventare una firma nota o a occupare posizioni di comando; poi c'è un esercito di persone che lavorano nell'anonimato, non fanno carriera, non sono conosciuti, non vanno in televisione. Potete immaginare quante frustrazioni, quante invidie, quanti sensi di ingiustizia possono esistere in questo mondo, dove, chi riesce ad entrare entra, spesso, anche con sogni di gloria.

Il buon giornalista non deve staccare quando va a casa, si deve sempre tenere informato, deve sempre sentirsi in servizio. Può capitare di essere svegliati nel corso della notte perché c'è una notizia particolarmente grave, un fatto particolarmente drammatico, e in questo caso devi tornare al giornale e rifarlo daccapo.

Ecco, io penso che questi fattori, il fatto di fare un lavoro diverso, esigente, che attrae molti ma ne ammette pochi, possano effettivamente portare all'effetto "figlio maggiore". Il rischio, cioè, è duplice: da una parte quello di sentirsi nel giusto, ma sottovalutati, e quindi ingiustamente sorpassati da altri che magari consideriamo meno impegnati, attenti o anche meno onesti di noi stessi; dall'altra, quello di chi, come me, ha ottenuto molto rispetto ad altri e può inorgoglirsi e non ricordarsi di dover ringraziare non se stesso ma Dio. Quando ero agli inizi, infatti, il direttore del giornale mi sembrava una figura inarrívabile per cui vi lascio immaginare i miei sentimenti quando sono arrivato a sedermì sulla poltrona dì direttore de Il Resto del Carlino che era stata di direttori come Giovanni Spadolini e Enzo Bíagi. Quando ero ragazzo, il Guerin Sportivo, il settimanale di cui ora sono direttore, per me era un mito. Ritrovarmi oggi a fare il direttore di questo settimanale, che seguivo da adolescente e da universitario, è stata una soddisfazìone non piccola.

Forse, quindi, non è in fondo inappropriato che per l'intervento sul "figlio maggiore" del figliol prodigo abbiate chiamato uno come me. Proprio perché questa deve essere una testimonianza, allora, in questo momento, voglio fare ammenda davanti a voi di quando, in certi casi, mi è capitato, come il fratello maggiore, di credermi nel giusto; dei momenti in cui, probabilmente, ho mancato di umiltà. Agli avanzamenti ci si può fare l'abitudine, ritenerli una cosa dovuta, meritata. Chiedo perdono quindi a Dio per le volte in cui ho messo da parte l'umiltà, ritenendomi "giusto" e meritevole, dimenticando, quindi, di dare gloria a lui per le gratificazioni che ho avuto. Chiedo perdono per tutte le volte in cui il lavoro si è trasformato in una sorta di idolo, che andava al di là di me stesso e della mia famiglia e quindi non veniva vissuto nel modo giusto, come un dono di Dio e un servizio che si deve rendere. E' importante poi capire in questo tipo di lavoro qual è la dimensione dei proprio desiderio e qual è la dimensione della responsabilità del giornalista di fronte ai lettori. 1 giornali, le riviste, la radio, il cinema, e più di tutti la televisione, hanno una responsabilità nei confronti dell'umanità che oggi difficilmente si può disconoscere; non solo hanno il potere di influire sulla scelta di chi deve governare e sulle decisioni di chi governa, ma hanno anche il potere di plasmare le coscienze attraverso le notizie dirette e indirette da cui ogni giorno veniamo colpiti. Per questo la responsabilità di chi fa informazione oggi è molto grave, molto di più di quando Orson Welles girò il film "Quarto Potere", termine che poi è diventato sinonimo del potere dei giornalì.

In questi giorni vediamo in particolare quello che sta succedendo a due passi da noi, avvenimenti come la guerra nei Balcani aprono anche all'interno del mondo dell'informazione un dibattito su come le notizie vengono date e quindi come il pubblico le può recepire. Ecco, credo che questo sia un dìbattìto importante a patto che ci si avvicini con l'umiltà necessaria e avendo presente che il lavoro è un dono e va trasformato in un servizio che fl giornalista deve svolgere nei confronti di chi legge e di chi ascolta. Chiedo perdono quindi, al Signore Dio, a nome della mia categoria, per tutte le volte in cui abbiamo pensato di più alla tiratura o agli indici d'ascolto che a far fronte alle nostre enormi responsabilità. Chiedo perdono per le volte in cui il "quarto potere" è stato usato in modo superficiale o irresponsabile. E chiedo al Signore di guidare i nostri passi perché avvenga presto quanto predetto nella profezia di questa mattina: "Quella terra desolata, che agli occhi di ogni viandante appariva un deserto, sarà ricoltivata e si dirà. La terra, che era desolata, è diventata ora come il giardino dell'Eden, le città rovinate, desolate e sconvolte, ora sono fortificate e abitate. 1 popoli che saranno rimasti attorno a voi sapranno che io, il Signore, ho ricostruito ciò che era distrutto e ricoltivato la terra che era un deserto" (Ez 36, 35-36).

Giuseppe Castagnoli

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