LA DIAKONIA DELLA VERITA' NELLE
 "SABBIE MOBILI" DEL NICHILISMO

Don Mario Cascone

             Sono in molti oggi a designare la nostra epoca con il nome di “post-modernità”, indicando con questo termine le linee essenziali dell’attuale cultura, che risalgono in ultima analisi all’età moderna e all’illuminismo.

Uno dei tratti più caratteristici della post-modernità é il passaggio dalla ragione “forte” al cosiddetto “pensiero debole”, che non é la debolezza del pensiero, ma il rifiuto di una verità oggettiva e universale, a favore delle tante piccole verità soggettive o opinioni. Questo clima culturale registra una profonda crisi della ragione, come ha messo in luce il Papa nella Fides et ratio.  In quest’enciclica Giovanni Paolo II presenta una serie di correnti di pensiero che caratterizzano l’attuale crisi della ragione: l’eclettismo, che assume singole idee derivate da differenti filosofie, senza badare alla loro coerenza organica (n.86); lo storicismo, che nega l’esistenza di verità immutabili, sostenendo che una cosa vera in un’epoca può non esserla in un’altra e scambiando, di fatto, l’attualità con la verità (n.87); lo scientismo, che dichiara vero solo ciò che è scientificamente dimostrabile ((n.88); il pragmatismo, che fa decidere la verità sulla base di un voto di maggioranza, con cui si stabilisce come vero ciò che è utile o quello che i più ritengono più vantaggioso (n.89).

Queste diverse posizioni approdano  facilmente al relativismo, perché su queste basi si ritengono come vere tutte le singole posizioni e opzioni degli individui. Oggi si tende a pensare che una cosa sia vera sol perché “per me” è tale; si ritiene che il semplice “sentire” qualcosa come buona e giusta, la renda realmente tale. Domani magari si penserà nel modo diametralmente opposto, e sarà ugualmente vero ciò che si penserà e si deciderà di fare… Il definitivo fa paura o viene apertamente rifiutato come inautentico. L’uomo contemporaneo vive così in un eterno presente ripetitivo, come uno che macina chilometri su chilometri, stando però sempre fermo allo stesso posto. Egli “non va da nessuna parte”, come sostiene uno dei filosofi oggi più conosciuti, Gianni Vattimo, il quale dice: “Credo che la filosofia non debba né possa insegnare dove si é diretti, ma a vivere nella condizione di chi non è diretto da nessuna parte”. Un uomo così delineato ritiene di vivere solo per l’immediato, senza preoccuparsi di una missione o di un progetto di vita. Il protagonista del romanzo di M. Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere, alla fine della vicenda, afferma: “Io non ho nessuna missione. Nessun uomo ha una missione. Ed è un sollievo enorme scoprire di essere liberi, di non avere una missione”.

            Si cade così in quelle che Giovanni Paolo II chiama le “sabbie mobili del nichilismo”, ossia nella filosofia del nulla, che vede l’esistenza solo come un’opportunità per “consumare” esperienze su esperienze, senza l’assunzione di impegni definitivi, dal momento che tutto é fugace e provvisorio (n.46). La post-modernità si caratterizza soprattutto per l’affermazione della centralità del soggetto, colto però non tanto nella sua dignità di persona, cioè di essere relazionale che ha una sua ricchezza ontologica, quanto piuttosto nella sua singolarità di individuo, che sta accanto alla massa degli altri individui, cercando di affermare i propri diritti e vantaggi. Quest’impostazione trova un riscontro chiaro nella filosofia di Nietzsche, il quale afferma che il soggetto è solo “una favola, una finzione, un gioco di parole”. Ciò significa che la persona è svuotata della ricchezza del suo essere, per ridursi solo al suo esserci qui ed ora, in un’esistenza sostanzialmente insignificante: viene in mente Pirandello, per il quale l’uomo è una sorta di gioco di maschere, dal momento che egli, senza rendersene conto, appare agli altri così come essi sono abituati a vederlo. Ma dietro le maschere il volto non esiste, per cui l’uomo è “uno, nessuno, centomila”...

            Una tale lettura della condizione umana può servire positivamente a farci recuperare un’idea meno trionfalistica di uomo e a ridimensionare certe sue pretese dinanzi alla grandezza di Dio, dal momento che “egli sa di che siamo plasmati, ricorda che noi siamo polvere” (Sal 103, 14). La pretesa di affermare la verità dell’uomo prescindendo da Dio, Verità assoluta, fa piombare l’uomo nel nichilismo e nel relativismo, fino a decretarne la dissoluzione. Il riferimento a Dio, invece, ci fa recuperare in modo sano la dimensione creaturale dell’uomo e ce ne fa leggere tutta la grandezza nel quadro della Rivelazione biblica: “che cosa è l’uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l’hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi” (Sal 8, 5-7). Nell’attuale contesto di svalutazione della persona va ricordato con forza che nel volto umano di Dio, quale si è manifestato in Cristo, si riflette il volto divino dell’uomo. La Gaudium et spes ci insegna che solamente nel mistero del Verbo Incarnato trova piena luce il mistero dell’uomo e che Cristo “svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione” (n.22).

A partire da questa consapevolezza siamo chiamati a servire la Verità, che si è resa visibile in Cristo, il quale ha detto di se stesso: “Io sono la Verità” (Gv 14,6). Lo facciamo non in modo trionfalistico, perché siamo coscienti che il fondamentalismo irrita e non offre l’idea più autentica della Verità cristiana. Fondiamo piuttosto la nostra diakonìa della Verità sulla forza congiunta della fede e della ragione, che non si oppongono, ma anzi sono, come ha scritto il Papa nella Fides et ratio, “le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità”.

Questa Verità che noi contempliamo e annunciamo è Cristo, il quale “è l’uomo perfetto, che ha restituito ai figli di Adamo la somiglianza con Dio” e che “con la sua Incarnazione si è unito in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo”. Guardando a Cristo, ogni uomo scopre il suo vero volto e conosce la direzione da seguire per realizzare appieno la verità del suo essere. Sballottato dalle onde del relativismo filosofico e morale, fiaccato dal consumismo imperante, quest’uomo del terzo millennio può trovare solo in Cristo il punto di riferimento essenziale per la sua vita e la risposta alla sua innata sete di verità e di felicità.

Cristo non è una verità astratta, che si apprende attraverso uno studio sistematico e razionale. Egli è la Verità in persona, che vuole comunicarsi alle persone perché vivano in verità. Una tale verità si conosce nella luce della Grazia, particolarmente vivendo l’esperienza dell’amore autentico, che è sempre dono dello Spirito Santo. Ha ragione San Giovanni quando scrive: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1 Gv 4,7-8). Non sui libri si conosce primariamente la Verità di Dio, ma nell’esperienza dell’amore fraterno, che ci fa sperimentare il grande amore del Signore per noi e fa sorgere in noi il desiderio di conoscerlo sempre di più e meglio. Non è esclusa, perciò, la conoscenza razionale delle verità della nostra fede, ma essa consegue alla conoscenza esperienziale dell’amore di Dio, quale si è manifestato in Cristo e “viene riversato nei nostri cuori” per mezzo dello Spirito Santo (Rom 5,5).

Attraverso l’uso congiunto della fede e della ragione, vivendo autenticamente l’irrinunciabile esperienza dell’amore, scopriremo che la verità morale non è prima di tutto una serie di precetti da osservare, ma la scelta fondamentale di voler essere uomini, ossia di voler realizzare appieno la propria umanità. Questa scelta il cristiano la vive guardando a Cristo, nel quale Dio e l’uomo non si oppongono, ma sono meravigliosamente fusi in un’unica Persona!

         

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