CELEBRARE IN SPIRITO SANTO E VERITA'

Don Luigi Settembre

 

Introduzione

“Il culto non ha altra giustificazione che quella dell’amore. Esso riconosce il profondo mistero di cui è circondata la vita umana.

Per coloro che credono in Dio che si è rivelato in Cristo Gesù, il culto è un privilegio, poiché esso consente all’uomo di condividere nella gioia, la pace e l’amore di Dio”.

“Il culto cristiano celebra la potente azione di Dio in Gesù Cristo e ci porta alla comunione con Lui. Qualsiasi forma esso assuma, la sua realtà dipende dalla presenza di Gesù Cristo in esso, nella parola letta e nei sacramenti. Gesù Cristo è il centro e, attraverso lo Spirito Santo, è colui che rende capaci di vero culto” ( Assemblea ecumenica di Uppsala 1968 ).

La liturgia è il cuore della vita cristiana, la sua anima e la sua fonte di freschezza; costituisce anche il fondamento attuale e vivificante e insieme la radice eterna della storia della Chiesa.

E’ necessario superare la tentazione di dare eccessive sottolineature ad aspetti della celebrazione che possono accattivare la sensibilità dei fedeli in modo estrinseco, epidermico o folcloristico.

Bisogna focalizzare la vera natura del nostro ritrovarci insieme e del nostro celebrare. La celebrazione è presenza di Cristo nel culto della comunità . La convinzione evangelica dell’ “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt. 28,20) è il punto fondamentale per un serio cammino personale e comunitario. Il nostro pregare nel suo nome: (Giovanni cap. 14,13 Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio ), o il nostro essere riuniti nel suo nome: (Matteo cap.18,20 Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro), ci permettono di affermare in modo sempre più profondo la coscienza della sua presenza nel popolo dei battezzati.

Il nostro essere riuniti attorno all’Eucarestia deve aiutare tutti, a penetrare nel mistero che si celebra, lasciandoci attrarre, coinvolgere, interpellare, trasformare e trasfigurare dall’Amore Trinitario che lo avvolge. Ognuno di noi mediante il linguaggio simbolico - rituale è invitato a rivivere l’esperienza dei discepoli la mattina di Pasqua:

(Giovanni cap. 20,20  mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.

 Comprenderemo sempre meglio, con l’aiuto dello Spirito Santo, che il momento celebrativo rappresenta la risposta radicale della comunità cristiana che si sente immersa nella gratuità dell’amore trinitario.

La difficoltà ad aprirci alla lode e alla contemplazione di Colui che è la nostra salvezza; è dimenticare che la liturgia si fonda sul fatto che Dio è l’attore principale nella celebrazione. Questi sono componenti che ci bloccano ad incontrare Dio. Il culto infatti non significa preparare qualcosa a Dio perché si renda presente, ma significa essere disponibili a lasciarsi incontrare da Dio per mezzo di Gesù Cristo  che si rende presente nella liturgia.

 Le condizioni per entrare nel Mistero

 Intento della liturgia è quello di far scoprire e vivere all’uomo la sua vocazione più vera: quella di essere consacrato alla gloria di Dio e alla sua lode. Per raggiungere tale scopo si comprende subito che la liturgia deve essere vissuta nella contemplazione, in quanto in essa si prende coscienza di essere salvati, trasfigurati dalla Spirito Santo, chiamati, ed inviati.

Per poter sperimentare tutto questo, ognuno di noi deve allenarsi al senso del mistero nella vita quotidiana, per poter essere raggiunto dal Mistero che si celebra.

CELEBRAZIONE EUCARISTICA: SCUOLA DI CARITA’

Introduzione

Nella celebrazione eucaristica noi viviamo l’evento centrale della storia della salvezza, cioè  viviamo la Pasqua di Cristo Gesù. Essa se vissuta nello Spirito crea il vero rapporto armonico tra verità annunciata e verità vissuta, tra carità comunicata e carità condivisa e donata.

Tutta la pedagogia liturgica della chiesa è una continua provocazione e chiamata dei discepoli di Cristo, sotto l’azione dello Spirito Santo, alla piena comunione con Cristo e i fratelli.

Solo in Cristo e nella piena comunione con i fratelli il cristiano avverte in sè tutto il mistero della carità e si lascia prendere in modo attivo in questo dinamismo. Vedremo che l’Eucarestia, in ultima analisi, celebra la vocazione al servizio. Nella Pasqua di Gesù l’uomo si riscopre fratello tra i fratelli in cammino verso la piena comunione nella Gerusalemme celeste. Nella celebrazione eucaristica Cristo Gesù è presente in mezzo ai suoi e fa passare in essi i suoi stessi sentimenti, quelli più profondi del suo cuore: è per questo che i discepoli ( quelli veri ) a mano a mano iniziano a vivere, nell’Amore ricevuto dal loro Signore, le stesse idee che hanno animato l’esistenza del loro Maestro.

I cristiani quando celebrano un sacramento sperimentano la comunione che è presso il Padre, che Gesù nella sua Pasqua ha loro comunicato e che attraverso la testimonianza è sempre viva nel cammino del tempo.

La celebrazione eucaristica è il luogo sacramentale nel quale sono presenti tutte queste ricchezze.

Allora celebrare diventa il luogo di verifica del cammino comunionale della Chiesa chiamata ad essere nella Carità ( aspirate ai carismi più alti ).

Il documento della CEI Evangelizzazione e testimonianza della carità al n° 28, quando parla del Giorno del Signore in rapporto al messaggio della carità, cosi dice: “ Se la comunità ecclesiale è stata realmente raggiunta e convertita dalla parola del vangelo, se il mistero della carità è celebrato con gioia e armonia nella liturgia, l’annuncio e la celebrazione del vangelo della carità non può non continuare nelle tante opere della carità testimoniata con la vita e col servizio. Ogni pratico distacco o incoerenza fra parola, sacramento e testimonianza impoverisce e rischia di deturpare il volto dell’amore di Cristo. E’ soprattutto la Domenica il giorno in cui l’annuncio della carità celebrato nell’eucarestia può esprimersi con gesti e segni visibili e concreti, che fanno di ogni assemblea e di ogni comunità il luogo della carità vissuta nell’incontro fraterno e nel servizio verso chi soffre e ha bisogno. Il giorno del Signore si manifesta così come il giorno della Chiesa e quindi della solidarietà e della comunione”. La dinamica celebrativa domenicale diviene una costante scuola per vivere la Carità nella carità di tutti i giorni. Il ritrovarsi soprattutto la Domenica a Messa è professione di fede nel mistero pasquale di Cristo che dona la vita per l’umanità, che si esprime nella fecondità dell’Amore che circola nella comunità dei credenti.

Importanza del linguaggio liturgico

Per comprendere il significato del dono della carità nella celebrazione eucaristica bisogna accostarsi al linguaggio liturgico. Il linguaggio della celebrazione eucaristica esprime in se e traduce il Mistero che in essa si attualizza e diviene alla stesso tempo scuola che ci introduce nel Mistero di Cristo che è rivelazione dell’Amore del Padre.

Prendiamo come esempio il rito d’ingresso: L’essere convocati attorno al Signore, che è la rivelazione dell’Amore del Padre, ci fa vedere come i discepoli sono chiamati a stare con lui in una intensa esperienza di comunione e di vita divina. Infatti la verità della celebrazione eucaristica è data dal dono accolto e vissuto nella luce dello Spirito Santo e nella potenza della Croce che fa dei dispersi un popolo solo. Il ritrovarci insieme a Messa vuol dire per i cristiani ritrovarsi sotto la nube dell’amore divino affinché la comunità dei battezzati, cioè la Chiesa, possa raggiungere la piena maturità di Cristo Gesù ( Efesini cap. 4,13 finché arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo). Infatti l’esultanza del canto d’ingresso sta ad indicare la coscienza che i credenti hanno di essere chiamati ad essere comunione nello Spirito Santo ; il saluto del celebrante indica e conferma la convinzione che l’essere radunati non viene da noi ma dall’agire della SS. Trinità: il Padre ci convoca per lasciarci conformare dall’amore di Cristo che nel dono dello Spirito Santo ci fa vivere la Pentecoste. L’atto penitenziale vuole esprimere il desiderio di essere immersi in questo amore trinitario nella continua  ed incessante conversione del cuore; mentre l’orazione esprime  come la vera vitalità fraterna sia opera del Padre per Cristo nello Spirito Santo. Questa lettura del rito d’ingresso ci basta per farci comprendere che nella celebrazione è in atto l’amore di Dio per far maturare nell’amore i discepoli di Gesù. E’ per questo che il Concilio Ecumenico Vat.II definisce l’eucarestia “fonte e culmine della vita della chiesa e del credente”. Essa, infatti, produce l’armonia tra verità annunciata e verità vissuta, tra carità comunicata e carità condivisa e donata.

La liturgia nasce quando si sente un forte bisogno di vivere nell’amore di Cristo, l’andare a messa allora diventa la grande supplica affinché tale dono sia sempre presente e fecondo per la crescita della comunità. La celebrazione eucaristica insegna al discepolo chi e come amare, quale sia la fonte e quale sia la meta. Scopo della liturgia è infatti di educare, alimentare , formare e perfezionare il cristiano sotto l’incessante azione dello Spirito Santo fino a raggiungere la piena maturità dell’Amore.

La celebrazione eucaristica è provocazione continua alla carità

La celebrazione eucaristica vissuta nella fede inserisce nel piano della salvezza e fa cogliere tutta la fecondità della rivelazione.

La liturgia della Parola rappresenta proprio una stimolazione in tal senso. Il silenzio che intercorre tra colletta e proclamazione della Parola vuole esprimere appunto l’attesa che Dio parli, affinché questa, accolta sullo sfondo della croce di Gesù  mediante la predicazione ( omelia ), la professione di fede ( credo ) metta in luce la presenza dell’Amore di Dio nella Parola per divenire momento di incessante interpellanza sull’Amore ricevuto e donato. La liturgia della Parola è conoscenza di Dio che è Amore, è Lui che parla servendosi di voci umane, ma quella proclamata è la sua Parola.

Il cristiano che partecipa a messa, e non che va a sentissi la messa, è stimolato ad affermare che il senso del suo essere tende in Dio verso Dio. E’ nella Parola, celebrata, che il cristiano  comprende il vero significato dell’amore di Dio. Dio parla per comunicare che egli è Amore, che la storia della salvezza di cui la parola scritta è traduzione si svolge nel rivelarsi progressivo fino a giungere all’atto di fede che è il cantare l’esultanza di essere tempio dell’amore trinitario.

 Questa lettura allora ci fa comprendere che l’Amore comunicato è vero se viene condiviso e solo se condiviso può essere compreso ( Giovanni Paolo II “la fede si rafforza donandola”). Di riflesso tutto ciò orienta all’amore verso il prossimo. L’amore ricevuto spinge il cristiano a passare dall’atto celebrato alla vita vissuta; quindi ad agire cristianamente. Il cristiano non solo ama i fratelli, ma ama il Cristo nei fratelli con lo stesso stile con cui Cristo ama la sua Chiesa, cioè noi. E’ qui che entra la preghiera dei fedeli  che mediante le intenzioni esprime l’amore verso i fratelli di qualunque spazio e tempo.

 L’eucarestia è un continuo itinerario verso la carità e nella carità. E’ la scuola che forma i discepoli ad agire in conformità con ciò che  si professa nella celebrazione. E’ un impegno a divenire sempre più idoneo ad esprimere con la propria vita l’amore di Cristo per l’umanità.

Se stiamo attenti alle dinamiche celebrative e da esse ci lasciamo coinvolgere, ci accorgiamo come esse sono scuola di formazione personale e comunitaria che ci aprono all’altro fino al desiderio di sacrificare noi stessi per gli altri. (questo è il mio corpo offerto per voi)

Cogliamo allora che l’eucarestia è fonte dell’agire del cristiano; la certezza di essere in Cristo ci porta ad essere e ad operare come Cristo. E’ in  Lui, per Lui e con Lui che si sviluppa la nostra capacità di amare, servire ecc.

Una comunità che vive nell’amore fa vedere già come sarà l’eschaton, cioè il compimento ultimo della storia della salvezza, rendendolo credibile come vero e non come un utopia.

La nostra fede in Gesù, vero Dio e vero uomo, nato, crocifisso e risorto, ci dà la certezza che Dio-amore ci ama e nessuno ci allontanerà dal suo amore se non saremo noi ad allontanarci da Lui.

Giovanni Paolo II nella Veritatis Splendor al n° 107 afferma: “la vita morale possiede il valore di un culto spirituale, attinto e alimentato da quella inesauribile sorgente di santità e di glorificazione di Dio che sono i sacramenti, in specie l’eucarestia: infatti, partecipando al sacrificio della croce il cristiano comunica con l’amore donatogli dal Cristo ed è abilitato e impegnato a vivere questa stessa carità in tutti i suoi atteggiamenti e comportamenti di vita”.

Ogni celebrazione allora è comunicazione - interpellanza e continuo richiamo al senso che anima la vita e lo stile di vita di chi partecipa, cioè del cristiano. Essa costituisce allora il continuo riferimento per l’agire morale, è un momento di verifica dello stile di comunione che dovrebbe caratterizzare la comunità nella ferialità della vita.    

L’eucarestia è celebrazione della vocazione al servizio

Il linguaggio della celebrazione eucaristica non esprime solo l’identità del cristiano ed una continua provocazione per un autentico stile di vita interiore, ma genera anche una forte esigenza di solidarietà.

Cristo Gesù che è al centro dell’assemblea è l’Amore che si dona per noi e nella sua solidarietà redentrice vissuta dall’incarnazione alla croce gloriosa è il Maestro che attraverso il rito dilata il suo amore pasquale. L’assemblea così rappresenta il centro da dove si espande la Pasqua del Signore e della reciprocità tra i fratelli. I cristiani riuniti si sentono nell’amore trinitario e avvertono che il loro essere comunità nella Parola e nel rendimento di grazie nasce dalla Carità, vive della Carità ed è testimonianza della Carità. La celebrazione eucaristica rappresenta il luogo dove si accende e si ravviva il fuoco dell’amore cristiano poiché in essa la Carità viene sentita, vissuta e proclamata da tutta la comunità: “ cfr. Prefazio II Preghiera Eucaristica - in questo grande mistero tu nutri e santifichi i tuoi fedeli, perché una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra -”. Questo tendere all’intera umanità viene poi espresso al termine della celebrazione nel saluto finale: - glorificate il Signore con la vostra vita, andate in pace - ecc.....

Il gesto di recare doni all’altare è un linguaggio che sottolinea la vocazione dei discepoli a crescere nella fraternità divino-umana. L’offerta è simbolo del riconoscimento che tutte le cose appartengono a Dio, e professione di fede, ricca di speranza, che Dio nella sua provvidenza si prende cura della salute spirituale e corporale di coloro che credono in Cristo Gesù come redentore. Se poi stiamo attenti alle preghiere eucaristiche ci accorgiamo come in esse si compenetrano la dimensione verticale ed orizzontale: “cfr. Preghiera eucaristica V/C ”.

La celebrazione eucaristica come celebrazione dell’oggi della Pasqua di Cristo Gesù educa i cristiani a rivivere i sentimenti di Cristo che ha operato ed opera la comunione tra gli uomini. Egli si è fatto solidale con gli uomini e li ha liberati dalle diverse schiavitù che impedivano loro di vivere la fraternità ad immagine della SS. Trinità. La comunità ritrova veramente se stessa quando vive uno stato di comunione nella quotidianità, e diventa incessante dilatarsi dell’Amore trinitario. Questa è una verità che ci deve interpellare soprattutto a coloro che convocati attorno all’altare del Signore ne condividono la sua Pasqua . Comprendiamo allora che la celebrazione eucaristica è scuola dove ci si lascia educare dalla Carità alla Carità. Il discepolo quando si accosta alla celebrazione eucaristica, impara a comprendere cosa sia l’Amore, chi ne sia la fonte, cosa comporti l’amore esistenziale, come si debba essere autentici nell’Amore in modo che la comunità sia una condivisione tra fratelli dell’ineffabile mistero dell’amore trinitario, in un inno di lode al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. 

Il discepolo è memoria vivente di Cristo Gesù

La vocazione ad essere cristiani scaturisce dal dono del discepolato che Gesù offre ogni giorno. E’ nella celebrazione eucaristica che riscopriamo il Cristo che ci fa condividere il suo mistero di morte e di resurrezione e impariamo il cammino per essere autentici discepoli che vivono ogni giorno alla sua sequela. Nell’ultima cena, rivolgendosi ai discepoli, dopo aver lavato loro i piedi così affermava: “ Giovanni cap. 13,  12-15 Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi”. Questo compito che Gesù affida ai suoi discepoli si ritraduce nell’espressione rituale: “ Fate questo in memoria di me ”. Questo comando che Gesù dà ai discepoli risuona alle nostre orecchie e al nostro cuore ogni volta che siamo invitati dallo Spirito santo alla celebrazione eucaristica affinché anche noi accogliamo l’invito di Gesù a far nostra  la sua esemplarità di morte e di resurrezione.

L’acclamazione : Mistero della fede ritraduce l’attualità del Maestro che desidera essere presente a tutte le generazioni per attirarle nel suo mistero di amore e per introdurle nella sua relazione con il Padre. La comunità cristiana pone in atto questo comando di Gesù ogni volta che vive la convocazione eucaristica. Non possiamo negare però che tante difficoltà ci impediscono di comprendere il senso profondo della celebrazione e di ricavarne tutti quei frutti che il Maestro vuole offrirci attraverso la potenza della sacramentalità. Spesso assistiamo ad una lettura della celebrazione che appare staccata dalla vita della comunità cristiana, soprattutto attraverso una sopravvalutazione del rito e delle forme, che non aiuta a comprendere che l’evento eucaristico è momento determinante per creare nei discepoli una vera e viva coscienza cristiana. Celebrare infatti nell’intenzione della chiesa vuol dire essere memoria vivente del Salvatore, vuol dire professare la certezza della fede fondata nel Cristo morto e risorto. Dalla sua pasqua la comunità acquista la luce per le scelte della vita e la forza per portarle a compimento.  Una visione ritualistica della celebrazione eucaristica può far cadere in un drammatico efficientismo liturgico che ci rende sordi all’azione dello Spirito Santo e ciechi all’apparire del Cristo in mezzo all’assemblea eucaristica. La cultura odierna non riesce a vivere l’evento eucaristico come accoglienza della gratuità divina che vuole rigenerare il cuore dei fedeli. L’uomo, il cristiano di oggi, sembra più tentato di creare una propria emozionalità nella creatività rituale, desidera intensamente la fruizione calorosa e gratificante del clima umano e religioso proprio del contesto celebrativo per una soddisfazione personale.

E’ importante invece capire che nella celebrazione eucaristica siamo chiamati a vivere lo stile proprio di Dio che comunica la sua salvezza all’uomo.

L’uomo si accosta attraverso il digiuno, soprattutto delle  parole, all’evento pasquale, sottolineando così come la sua esistenza sia aperta al manifestarsi del divino e disponibile a realizzarne la volontà. Il cristiano che volesse accostarsi al grande evento con preoccupazioni solo intellettuali sarebbe esistenzialmente incapace di intuire la grandezza dell’amore di Dio nella pasqua di Gesù. L’eucarestia viene sperimentata solo attraverso una ricca vita teologale e un effettivo coinvolgimento nella liturgia, nel quale Cristo si rende presente realmente per salvare, illuminare, ricreare. La comunità cristiana riesce a intuire tutto questo solo se si lascia attrarre in questa misteriosa realtà che si traduce in una feconda confessione di fede.

L’ eucarestia è la celebrazione della vocazione ad essere discepoli

La celebrazione eucaristica è il segno sacramentale nel quale si svela la presenza di Gesù; la comunità cristiana , quando vive sacramentalmente il mistero pasquale, viene introdotta  nella fecondità della salvezza e ne comprende le finalità. E’ ciò che ci comunica l’apostolo Paolo quando indica la meta dell’uomo: il Cristo tutto in tutti,  (Colossesi cap. 3,11 Qui non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti), (Galati cap. 3,27 poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo). Tutto questo però necessita di un’intensa esperienza di discepolato. I seguaci di Gesù sono chiamati a vivere come è vissuto il Maestro poiché ad esso solo legati come i tralci alla vite:

(Giovanni cap. 15)

[1]«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. [2]Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. [3]Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. [4]Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. [5]Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. [6]Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. [7]Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. [8]In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. [9]Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. [10]Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. [11]Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

[12]Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. [13]Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. [14]Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. [15]Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. [16]Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. [17]Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri. [18]Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. [19]Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia. [20]Ricordatevi della parola che vi ho detto: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. [21]Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato. [22]Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato. [23]Chi odia me, odia anche il Padre mio. [24]Se non avessi fatto in mezzo a loro opere che nessun altro mai ha fatto, non avrebbero alcun peccato; ora invece hanno visto e hanno odiato me e il Padre mio. [25]Questo perché si adempisse la parola scritta nella loro Legge: Mi hanno odiato senza ragione. [26]Quando verrà il Consolatore che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli mi renderà testimonianza; [27]e anche voi mi renderete testimonianza, perché siete stati con me fin dal principio.

Questo necessita di una forte esperienza di interdipendenza tra il discepolo ed il Maestro, di una intensa reciprocità.

Il Fate questo in memoria di me, si può ritradurre con :(Giovanni cap. 15,4-5 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla). Chi vive del Cristo celebra l’eucarestia e cresce nella vita divina del Maestro poiché è lui che nell’attirarci a se ci fa entrare in intimità con il Padre al quale sapremo essere obbedienti per il mistero della redenzione a cui nel Cristo ci ha voluti rendere partecipi. Questa lettura è importante per comprendere il percorso che siamo chiamati a seguire per celebrare in spirito e verità : (Giovanni cap. 4,23 Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori).

La reciprocità tra Gesù e il discepolo non si riduce a un rapporto spirituale o a un consenso morale, ma indica un’esperienza attuale della salvezza. La celebrazione eucaristica è dunque la traduzione rituale della vocazione del discepolo a rimanere nell’amore che caratterizza il rapporto Padre e Figlio e nel quale il discepolo è assunto per la potenza dello Spirito Santo. Il rimanere nell’amore, significa allora che il discepolo deve perseverare nell’amore ricevuto, mantenersi nella condizione di colui che è amato.

Il gesto allora di andare a Messa vuol significare la risposta del cristiano all’attrazione che il Cristo opera nei suoi confronti. L’invito alla sequela si ritraduce

 nell’< abitare con Gesù > per vederne la gloria e per sviluppare la fede che è un passare dalla morte alla vita.

Ecco allora che l’esistenza del discepolo autentico deve ritradurre le caratteristiche proprie di Gesù in una dedizione incondizionata al Padre e ai fratelli. Solo così l’andare a Messa diventa fecondo, non solo per la mia crescita ma anche per l’intera comunità e per il mondo intero. Questa vocazione  deve essere attiva in chiunque sia condotto dallo Spirito Santo a seguirlo, ci viene  sottolineata in : (Giovanni cap. 17, 18-26)

[18]Come tu mi hai mandato nel mondo, anch'io li ho mandati nel mondo; [19]per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità. [20]Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; [21]perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. [22]E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. [23]Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me.[24]Padre, voglio che anche quelli che mi hai dato siano con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che mi hai dato; poiché tu mi hai amato prima della creazione del mondo.[25]Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato. [26]E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro). Queste affermazioni sono vere in ogni momento della vita del discepolo, ma in modo particolare nella celebrazione eucaristica, in quanto i fedeli rivivono nello Spirito Santo il mistero dell’esistenza di Gesù: (Giovanni cap. 17,1

Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te). La gioia della vocazione a vedere il Signore non è altro allora che fare continua esperienza di comunione . Il discepolo allora mette in luce la condizione di profonda identificazione con il Maestro attraverso il vivere la sua donazione.  Ecco allora che l’eucarestia è il luogo sacramentale nel quale si è nello sguardo interiore di Gesù e si condivide il suo donarsi al Padre per noi per far crescere tra gli uomini la stessa comunione che sussiste tra il Padre e il Figlio nello Spirito Santo.

L’eucarestia è la vitalità del dono battesimale 

Il cammino del discepolo ha inizio con la celebrazione del sacramento del Battesimo. Coloro che sono stati rigenerati dall’acqua e dallo Spirito compaiono sempre dinanzi al Padre come il volto vivente di Cristo e l’eucarestia ne costituisce la vitalità in vista della pienezza gloriosa. L’eucarestia è il centro della vita del battezzato poiché ne è la fonte  la vitalità, e la fecondità . Nel battesimo siamo stati assunti nella morte-resurrezione di Gesù e in lui, morto e risorto riscopriamo l’intensità della nostra dignità battesimale. Nella celebrazione eucaristica sperimentiamo il passaggio dalla schiavitù del peccato alla libertà dei figli di Dio, dalla morte alla vita, dalle tenebre alla luce; godiamo di credere nel dono dell’appartenenza a Cristo; proclamiamo la sapienza evangelica nell’annunciare la morte del Signore e proclamare la sua resurrezione nell’attesa dell’incontro nella pienezza della gloria. La celebrazione eucaristica ci invita a vivere la paradossalità del Vangelo, ad essere compenetrati dalla croce come unica gloria della vita per poter accedere in verità alla cena del Signore: (Apocalisse cap. 19,9 Beati gli invitati al banchetto delle nozze dell'Agnello!). L’autenticità del memoriale sta nell’accoglienza di Cristo che si rende presente nell’eucarestia. Quando la sensibilità del Maestro diventa la sensibilità del discepolo, quando il fare  la volontà del Padre diventa la mia volontà , ad imitazione del Cristo , possiamo dire veramente di aver sperimentato di essere stati trasformati .

Il Vaticano II pone al centro l’eucarestia perché in essa si celebra continuamente il dono della salvezza.

Infatti nel segno della assemblea eucaristica è presente il Signore e noi siamo guidati, sorretti e avvolti dalla potenza dello Spirito Santo per essere introdotti nella contemplazione della sua offerta nelle mani del Padre per la nostra salvezza. E’ nella celebrazione eucaristica che incontriamo la storia di ognuno di noi, che scopriamo la nostra vocazione ad essere discepoli di Cristo nella nostra esistenza. Tutto ciò però può essere compreso solo da coloro che hanno avuto il coraggio di accoglierlo nella fede e di seguirlo nella vita  (Matteo cap. 13,11 «Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. [12]Così a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. [13]Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono. [14]E così si adempie per loro la profezia di Isaia che dice:

 Voi udrete, ma non comprenderete, guarderete, ma non vedrete.

[15] Perché il cuore di questo popolo si è indurito, son diventati duri di orecchi, e hanno chiuso gli occhi, per non vedere con gli occhi, non sentire con gli orecchi e non intendere con il cuore e convertirsi, e io li risani.

Solo chi nella quotidianità vive l’ideale del Maestro e rende vero il dono del battesimo riscopre la gioia di essere nel Signore in attesa della pienezza della comunione nella gloria.

LA CELEBRAZIONE EUCARISTICA: CANTO DELLA CARITA’

La celebrazionbe eucaristica è l’oggi di Cristo presente nella sua Chiesa, è la sua contemporaneità ai discepoli perchè essi ne siano la memoria. Cristo presente in mezzo a noi desidera raggiungere con il suo amore l’intera umanità  per condurre gli uomini alla comunione d’amore con il Padre e così essere nella Vita che si rende presente in Gesù.

 La vita eterna è lo scopo da raggiungere, è tutto il senso della vita umana, secondo l’unico progetto di Dio che ci ha creati in Cristo per essere vivi con Lui, uomo-Dio, morto e risorto. ( tutto è stato creato per mezzo di Lui e in vista di Lui)

Cristo Gesù, che incarna l’amore del Padre nello Spirito Santo per l’umamità, ci fa comprendere, a questo punto, che la celebrazione eucaristica è il sacramento della carità, in quanto essa è la presenza del Redentore nel mondo.

Il documento della C.E.I., Evangelizzazione e testimonianza della carità, così afferma: < Alla fine della sua vita e nell’imminenza della sua passione, Gesù ha racchiuso nei segni del pane e del vino il significato della sua intera esistenza:

 ((Matteo cap. 26, 26-29)

26Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo». [27]Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: «Bevetene tutti, [28]perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. [29]Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio). Come narra l’evangelista Giovanni, nell’ultima cena, egli lega strettamente eucarestia e carità in quel gesto della lavanda dei piedi che è segno e anticipo dell’amore e del servizio reciproco che i discepoli devono avere l’uno per l’altro:

(Giovanni cap. 13,1-17)

[1]Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. [2]Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, [3]Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, [4]si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. [5]Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. [6]Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». [7]Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». [8]Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». [9]Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». [10]Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti». [11]Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete mondi». [12]Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? [13]Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. [14]Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. [15]Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. [16]In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. [17]Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica.

L’ultima cena, celebrazione dell’amore trinitario

La gioia e la potenza della celebrazione eucaristica, portano il cristiano a rivivere nell’oggi  con Gesù l’ultima cena in cui egli ha amato i suoi nella pienezza fino alla donazione totale.

Il significato della celebrazione eucaristica è racchiuso tutto nello stesso  mistero che ha avvolto Gesù e i suoi discepoli nel cenacolo. Possiamo comprende il profondo significato della messa solo se sappiamo immedesimarci in quel particolare momento della vita di Gesù. Infatti quando noi celebriamo,  nel segno siamo e ci troviamo nell’oggi storico, ma siamo chiamati ad assumere e fare nostri le intenzioni di Gesù nell’ultima Cena, per rivivere con lui, per lui e in lui l’Ora e la Gloria del Padre.

Se non leghiamo insieme: messa-ultima cena-calvario non comprenderemo mai cosa significhi : eucarestia canto della carità che viene dal Padre, donata dal Figlio che diviene vita della nostra vita in forza dell’azione creante dello Spirito Santo.

L’ultima cena, nel contesto della Pasqua, è il momento nel quale Gesù vive il mistero dell’ora del Padre come dono dell’amore divino per l’umanità:

(Giovanni cap. 3,16 Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna). Nell’Ora : (Giovanni cap. 17,1Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: «Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te) Gesù porta a conclusione il progetto dell’amore del Padre, che si traduce nel linguaggio simbolico della lavanda dei piedi nel quale è presente il suo amore per i suoi. Il significato della lavanda dei piedi è il preannunciare la sua morte e la sua piena comunione con i discepoli e l’umanità intera. L’ultima cena è la celebrazione dell’amore che Gesù nutre per i suoi. Giovanni interpreta questo amore con i gesti concreti dell’esistenza umana. Purtroppo nella Chiesa la ritualità è diventata una tentazione in quanto non si riesce più a vederne l’invisibile ricchezza che in essa è contenuta. Nella celebrazione eucaristica riviviamo l’amore estremo di Gesù che si consegna alla morte per la nostra salvezza affidandosi al Padre perchè in lui viva il passaggio dalla condizione di morte a quella di vita. (ABBANDONO)

La lavanda dei piedi mette in luce come Gesù desideri far passare nella vita dei discepoli la potenza del suo amore per l’umanità. L’ultima cena è costante manifestazione dell’amore di Gesù per i suoi poichè essa è “memoria” della sua morte e partecipazione alla sua vita. Nella lavanda dei piedi contempliamo allora la con discendenza del Padre che invia il Figlio nello Spirito Santo perchè dopo aver lavato l’umanità, risollevandosi nella resurrezione effondesse lo Spirito su di essa e la conducesse alla vita eterna che è comunione con Dio e con i fratelli. (Come la pioggia e la neve scendono giù dal cielo.....) Il cristiano che non accetta di essere discepolo di Gesù nell’Ora del Padre, nell’offerta della Croce, nella docilità allo Spirito, non comprenderà mai l’Amore di Dio. La celebrazione eucaristica allora diventa quel continuo sentirci dire da Gesù : (Giovanni cap. 10,10 io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza). La vita donataci da Gesù è quella vita che ci apre al dialogo con Dio. Chiunque vive nella verità il suo essere discepolo di Gesù è nella pienezza e nella sovrabbondanza. La celebrazione eucaristica allora diventa dono dell’amore di Dio, accolto, sperimentato, comunicato e condiviso; è il luogo nel quale il discepolo vede il Signore e diviene testimone dell’amore che era presso il Padre è si è reso visibile all’umanità tutta sulla Croce. ( Giovanni 1,1ss)

L’esperienza della carità nella celebrazione eucaristica

Nella celebrazione Eucaristica l’amen con il quale si conclude la preghiera eucaristica è l’espressione della fecondità del credente dell’essere inserito nel mistero pasquale di Cristo Gesù, nella propria dell’amore.

L’amore del Padre vissuto da Gesù è al centro della comunità riunita dallo Spirito Santo, che oggi vive quell’avvenimento e non lo ricorda semplicemente. Gesù infatti nel donarsi al Padre si consegna a noi e nel donarsi a noi si consegna al Padre: (cfr. preghiera eucaristica ). La gioia di ritrovarsi a messa nasce dal desiderio di voler incontrare il Padre attraverso il Figlio per la potenza dello Spirito Santo. In questa gioia di essere in comunione con la trinità non possiamo non intendere cosa vuol dirci il Signore attraverso l’evangelista : (Giovanni cap. 13,14 Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri).

Un’autentica e feconda esperienza presuppone che il cristiano entri con tutta la sua vita nel mistero pasquale si da avere un un vivo legame con Gesù maestro che ci fa passare dal livello di vita umana a quello di vita secondo lo Spirito. Il cristiano ha la vocazione a vedere Gesù con gli occhi dello Spirito e non con quelli della carne, riduremmo il cristianesimo a puro sociologismo. Questo vedere Gesù si realizza vivendo nel quotidiano del suo amore e amando come lui ci ha amato. E’ Gesù che comunica il suo amore, fonda l’amore fraterno che vivifica la fede permettendo di costruire un’autentica vita cristiana.

La condizione per entrare in questa ricchezza è data dalle disposizioni del credente a lasciarsi qualificare dall’evento e amare nello stile della Pasqua di Gesù. E’ qui che ritroviamo l’invito di Gesù che ancora oggi ci dice “vieni” per vedere. Il clima di silenzio-preghiera diventa allora un rivelarsi di Dio nella storia di ognuno di noi. L’esperienza dell’eucarestia diventa allora il godere di essere nell’Amore per essere amore che si comunica per generare l’espandersi dell’amore divino.

L’andare a messa allora non è più una tradizione o un precetto, ma è incontrare Cristo che oggi ama in pienezza e si comunica a noi affinchè il suo amore possa espandersi nel mondo intero.

Vi ho dato l’esempio rimanete nel mio amore

(Giovanni cap. 13, 1- 17)

[1]Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. [2]Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, [3]Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, [4]si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. [5]Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto. [6]Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». [7]Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». [8]Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!». Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». [9]Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!». [10]Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti». [11]Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: «Non tutti siete mondi».[12]Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? [13]Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. [14]Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. [15]Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. [16]In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato. [17]Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica.

In questo brano Giovanni sottolinea l’importanza del gesto di Gesù, come uno dei più significativi perché vi è contenuta una intensità di amore che indica la totalità della vita che si dona al servizio.

La lavanda dei piedi dà inizio ai racconti della passione visti come il  passare di Gesù da questo mondo al Padre. E’ il momento nel quale la missione di Gesù si compie nella sua pienezza. Il segno della lavanda dei piedi e il gesto più umile ed anche quello che più purifica e che trasforma la vita di Pietro e di tutti i discepoli. E’ il gesto che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli affinché tra loro cresca sempre più l’amore : Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. Chi non intende la sua vita come servizio, donazione, non può dirsi cristiano. Non si tratta di compiere un gesto e commuoverci sul momento, ma deve diventare un modo normale di pensare ,vivere, agire.

La lavanda dei piedi può essere vista anche come la risposta di Gesù ad una discussione sorta tra i discepoli su chi potesse essere considerato il più grande : (Luca cap. 22,24 Sorse anche una discussione, chi di loro poteva esser considerato il più grande). Evangelista Luca, pone questa discussione dopo l’istituzione dell’eucarestia e l’annuncio del tradimento di Giuda. Luca vuole sottolineare forse come ancora i discepoli non comprendono la drammaticità della situazione e l’importanza di quella cena.

Gesù interviene dicendo: (Luca cap. 22, 25 Egli disse: «I re delle nazioni le governano, e coloro che hanno il potere su di esse si fanno chiamare benefattori. [26]Per voi però non sia così; ma chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve. [27]Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve).

Vi è anche una somiglianza tra la descrizione che Paolo fa di Gesù nella lettera ai Filippesi, invitando i cristiani all’imitazione del Signore, e la particolarità del racconto di Giovanni.

Paolo dice : (Filippesi cap. 2, [5]Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, [6]il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; [7]ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, [8]umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce). Mentre Giovanni descrive Gesù in un gesto concreto di servizio umile :

(Giovanni cap. 13, [3]Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava, [4]si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita. [5]Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto).

Gesù vuole che i discepoli comprendano che non si tratta di imparare a lavare i piedi, materialmente ma di qualcos’altro di più importante che si deduce da tutta la vita di Gesù.

Questo lo comprendiamo da quello che Gesù dice dopo :

(Giovanni cap. 13, [12]Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Sapete ciò che vi ho fatto? [13]Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. [14]Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. [15]Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi. [16]In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato.

Infine sintetizza che tutto questo porterà alla beatitudine : (Giovanni cap. 13,[17]Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica).

Chi vuole veramente imitare il Maestro deve cercare il servizio anziché il potere, l’ultimo posto anziché l’onore. In ultima analisi seguire il Maestro significa esistere per gli altri, perché questa è la via che salva il mondo in conformità al volere di Dio che Gesù ha compiuto fino alla morte : (Luca cap. 22,[42]«Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà»).

Vivere la beatitudine del servizio non è facile per l’uomo: comporta una lotta di conversione per pensare secondo Dio piuttosto che secondo gli uomini. Prima di lavare i piedi degli altri e necessario lasciarsi lavare i propri, lasciarsi purificare nella mente e nel cuore. Pietro ragionando secondo gli uomini si ribella di fronte al gesto di Gesù : (Giovanni cap. 13,8 «Non mi laverai mai i piedi!»).Ma Gesù replica : Se non ti laverò non avrai parte con me. Ma Pietro non capisce, capirà dopo la crocifissione, perché allora sarà purificato dall’amore e dallo Spirito del Crocifisso, solo allora si apriranno i suoi occhi. Per avere parte alla vita del Signore Bisogna essere lavati nella morte e nella resurrezione di Cristo, di cui la lavanda dei piedi anticipa il significato. Tutti abbiamo bisogno di essere purificati da tutto ciò che contraddice l’amore, bisogna essere rigenerati, creati di nuovo, per vivere e agire in altro modo. L’uomo da solo non può operare questo cambiamento, occorre un’intervento del Signore, il quale non ci chiede di capire ma di credere. Solo tacendo tutti i nostri ragionamenti, solo fidandoci, entreremo in questo beatificante mistero.

Così come la lavanda dei piedi avviene durante l’istituzione dell’eucarestia divenendo un tutt’uno, anche per la chiesa l’eucarestia  e carità sono profondamente unite. Non possiamo concepire o pensare all’eucarestia e al servizio ai fratelli come se uno possa esistere senza l’altro. Fare memoria di Gesù nell’eucarestia significa essere accolti nell’amore di Cristo per noi e tutto ciò si sviluppa e si incarna nei molteplici gesti di carità verso i fratelli, dove si vede e si rivela che la nostra vita è sempre più plasmata dal mistero celebrato.

Ecco che allora che il sacramento è tutto uno stile di vita vissuto secondo il vangelo nella logica del dare la vita per amore. Solo così si diventa memoria di Gesù che crea comunione tra gli uomini e garantisce la sua presenza nella nostra storia quotidiana: Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica Gv.13,17 

 

                                                   TORNA  A  CATECHESI