Animali di affezione

Gli animali nelle nostre case

A cura del
Collettivo




Secondo alcune statistiche, nelle nostre case vi sarebbero trenta milioni di ospiti; più un terzo sarebbero cani e gatti e il resto "nuovi" animali da compagnia: conigli, criceti, pesci d'acquario, uccelli vari, esotici ecc. Sicuramente si tratta di stime che contengono inesattezze ma la sostanza del discorso non cambia.

Il fenomeno impone due domande.

  1. Perché teniamo tutti questi animali? Molti anni fa, i cani e i gatti occupavano sicuramente lo spazio di vita dei "cittadini", ma costituivano una presenza assai discreta. Ci deve essere una ragione perché, ad un certo punto, è esplosa questa incontenibile mania. Anzi, più ragioni. Probabilmente, se trovassimo un solo motivo, non saremmo sulla strada buona. Quando le mode si diffondono per via emulativa moltiplicando gli effetti non c'è mai una sola causa.

  2. E poi, perché una parte notevole degli animali con i quali scegliamo di convivere cade nello stato di randagismo?

Prendiamo in esame il primo problema. Un primo motivo è spesso associato alla solitudine delle persone anziane. Pare che ben quattro milioni di anziani vivano con un animale in casa. L'isolamento che la metropoli crea su esseri deboli - sia sul piano fisico che esistenziale - induce spesso questi ultimi a rivolgersi a creature che si concedono totalmente chiedendo in cambio veramente poco. Il potere medicamentoso che cani e gatti hanno sulle afflizioni dell'animo umano è sorprendente; perciò non c'è da stupirsi se una società che si impegna a creare forme sempre più acute di solitudine, induca l'uomo privo di socialità a rivolgersi verso esseri la cui mancanza di parola costituisce un reale punto di forza.

Il secondo motivo è individuato nella curiosità. La curiosità si afferma soprattutto nei bambini che devono costruire il loro rapporto con la vita. L'occhio del bambino è potenzialmente immune dai condizionamenti che segnano la vita dell'adulto, almeno per una lunga fase e nonostante l'influenza della televisione; così è disponibile a riconoscere nell'animale due qualità che lo rendono unico: è sensibile e non è virtuale. A sua volta la curiosità verso l'animale, quando (e solo se) accompagnata da integrazioni educative da parte degli adulti, diventa il veicolo di un notevole perfezionamento della personalità.

La solitudine degli anziani e la curiosità dei bambini sono certamente due stimoli che hanno influenzato la diffusione di massa dell'animale da compagnia.

A queste è spesso associata una terza ragione: la necessità antropologica dell'uomo di rivolgere il proprio sguardo all'animale per riconoscere la propria natura. Lo sviluppo degli animali da compagnia si configurerebbe come la riemersione di un desiderio profondo: il recupero di una relazione offuscata da quella modernità che pretende di cancellare una simbiosi con l'animale durata migliaia d'anni.

I tre aspetti, per quanto plausibili, non giustificano tuttavia i trenta milioni di animali che ospitiamo nelle nostre case. Essi costituiscono solamente il motore iniziale, l'incipit di un processo che, per giungere a queste dimensioni, pretende moltiplicatori e stabilizzatori. E' su questi che deve rivolgersi la nostra attenzione.

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Nessuno presta attenzione al significato poco filosofico ma molto pragmatico della massima che era scritta sul frontone del tempio di Delfi: "Niente di troppo!". Pochi sospettano che la circolazione eccessiva di merci e denari è foriera di disordini sociali e malesseri psicologici. Al contrario. Ormai un pensiero ossessivo annebbia la mente di ognuno: la possibilità di inserirsi in qualche iniziativa per fare soldi. Poco importa il modo. E' il fine che conta.

Non c'è da sorprendersi, allora, se gli animali da compagnia sono investiti in modo sempre più travolgente, da interessi ben diversi dai motivi identificati all'inizio. Le regole del commercio penetrano in relazioni ancestrali stravolgendone la natura.

Chissà quanto tempo è passato dall'apparizione della prima scatoletta di cibo per cani o gatti; sembra un'eternità. Ormai basta recarsi in un semplice supermercato per vedere quante marche di mangime siano disponibili. E si rimane ancora più impressionati se ci si rivolge ai negozi specializzati. Come se non bastasse, l'occhio elettronico porta nella casa di ogni cittadino immagini disgustose. Basti pensare a quella donna seducente che in un appartamento di sogno prepara al persiano di casa un succulento piattino guarnito con un'indispensabile foglia di basilico. Ebbene, una pubblicità di questo genere non svolge soltanto la funzione di invitare a comprare quel cibo, ma, giocando su pulsioni oggettive, induce a comprare anche il gatto, inteso come oggetto che conferisce prestigio alla casa, quasi sia un addobbo o un motivo ornamentale (non a caso l'animale è sempre "di razza"). Spesso siamo consapevoli della forza coercitiva che spinge all'acquisto del prodotto pubblicizzato, ma trascuriamo le "quinte" che fanno da sfondo e che diventano ambiente da ricostruire nel suo insieme per pacificare l'ansia che la pubblicità stessa produce. La disponibilità di denaro, la rapida obsolescenza dei prodotti acquistati, una propensione a un veloce ricambio fanno sì che ampi settori della dimora realizzata vengano periodicamente smontati e dispersi nell'ambiente sotto forma di rifiuti. I gatti, i cani, e gli altri animali hanno però il difetto di essere di materia vivente e soffrono quando subiscono lo stesso destino.

Dunque la pubblicità di certe merci si presenta come un forte stimolo a introdurre l'animale nell'abitazione. La logica sottesa è alquanto rischiosa. Essere accolto per uno scambio affettivo ha un significato positivo per lui: è chiamato in vita da qualcuno che, oltre ad amarlo, gli fornisce i beni fondamentali per la sussistenza. Ma essere introdotto in un ambiente in virtù di un ruolo decorativo è assai pericoloso perché, alla fine, l'acquirente noterà che gli aspetti segnalati dalla pubblicità non collimano proprio con quelli reali. L'animale puzza, immette parassiti nell'ambiente, invecchia, si ammala, impone legittimi bisogni, richiede un'assidua presenza che non conosce ferie.

La speculazione sulla pelle degli animali è un fatto solido come la roccia e non si basa soltanto sulla proliferazione di mangimi. Centocinquanta mila tonnellate di sabbia assorbente, trasportini, guinzagli e museruole, lozioni e antiparassitari, ciotole refrigeranti ad accesso progressivo per le piccole ferie del padrone (con tanta noia per l'animale), cuccette di peluche a forma di caverna, trenino o automobile, spazzole e guanti di gomma per l'asportazione del pelo: infiniti sono gli attrezzi, gli oggetti, le sostanze create intorno a quell'essere che prima si accontentava di uno straccio per cuccia e di una ciotola di avanzi per cibo.

Si può asserire che tutto questo fa parte della crescita del benessere animale. Che, semmai, proprio lo sviluppo del mercato offre i mezzi per una vita migliore. Sembra ovvio affermarlo. E invece è vero solo in minima parte. La quasi totalità di questo mercato è fatto inequivocabilmente per la soddisfazione narcisistica del "padrone". Poi è proprio la facilità con cui si asseconda il "possesso" dell'animale a rendere rischioso il futuro di un essere che dovrebbe essere scelto per una forte spinta interiore e non per convincimenti "causati" da influenze esterne. Riconosciuto tutto questo, si può poi concedere che il mercato modifichi in meglio (ma solamente un po') la vita di un certo numero di animali.

Una dimostrazione di questa sommaria analisi è costituita dalla imponente domanda di animali di razza fortemente stimolata, tra l'altro, da allevatori privi di scrupoli i cui interessi materiali trasformano il benessere animale in un puro epifenomeno; salvo che, per "benessere", non si intenda la forma fisica dell'animale da garantirsi al compratore. Allevare e importare razze di cani, gatti e altri animali dalle forme più curiose, dai colori più incredibili è il segno di un'inequivocabile preminenza del mero carattere di mercificazione rispetto al desiderio di possedere un animale da amare e da accudire in una relazione affettuosa. Non si vuol affermare che chi compra un bull-dog ami solo una forma, ma frequentemente accade proprio questo.

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Un esempio eccezionale di questa tendenza è stata offerta tempo fa in una fortunata trasmissione televisiva che si occupa di diritti dei consumatori. In una delle puntate si parlò di un traffico illegale di cani di razza dall'Est europeo. Accadeva che la trascuratezza nel trattare gli animali, unito alla mancanza di controlli igienici e di profilassi, provocasse ai cuccioli gravi malattie spesso mortali. I signori "danneggiati" si erano rivolti alla trasmissione per elevare le più indignate proteste, del tutto indifferenti al fatto che avevano partecipato a atti illegali. Essi descrivevano superficialmente un danno economico: la sofferenza dei poveri cani non contava. E il conduttore della trasmissione spendeva solamente qualche parola distratta sulla sofferenza di esseri trattati come oggetti da elementi senza scrupoli. Ma se i trafficanti e i signori proprietari consideravano quegli animali meri oggetti, altrettanto faceva il curatore della trasmissione che, difendendo i consumatori, riduceva degli enti sensibili alla stregua di merci avariate.

Un altro esempio è fornito da una struttura commerciale che, per non urtare sicure suscettibilità, potremmo chiamare Noè's Hause. Si tratta di una specie di supermercato dell'animale dove troviamo tutti i servizi possibili e immaginabili: addestramento, agenzia matrimoniale, riferimenti ad allevamenti, assicurazioni, animali smarriti, animali da piazzare, pensioni, informazioni legali, mercatino ecc. Ebbene, proviamo a compilare un elenco dei termini utilizzati nella presentazione dell'attività commerciale: staff di Noè's Hause, operatori di settore, capacità operative della struttura commerciale, "card", programma di franchising, clientela, struttura collaudata ed efficiente, esperienza, professionalità, supporto informatico, sistema, software gestionale apposito opportunamente realizzato, punto vendita, prodotti qualitativamente superiori, competenza, successo della formula. Tutto il corredo semantico di una trasformazione culturale che riduce definitivamente l'animale da compagnia in merce pura e semplice e sancisce la perdita dell'anima di coloro che in tale avventura commerciale hanno investito le loro risorse. La società del XX secolo, con la sua forza totalizzante, riesce a stravolgere la possibilità di comunicazione tra uomo e animale da compagnia trasformando quest'ultimo in una merce, come del resto è merce tutto ciò che può essere venduto o acquistato.

Perché sorprendersi allora se, dominato dal consumismo, l'uomo perde sensibilità verso l'animale? Per fortuna la componente dovuta alla soggettività è forte. Tizio può comprare un cane presso la Noe's House e amarlo appassionatamente.

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Gli aspetti positivi associati a una ricerca di un legame affettivo si trovano dunque inseparabilmente connessi a quelli negativi, propri di una relazione superficiale di possesso o anche moderatamente affettuosa in cui, elementi vari contribuiscono a rendere l'unione a rischio.

Il bello è che spesso aspetti negativi sembrano positivi e viceversa. O forse lo diventano nel tempo. Il gioco delle interdipendenze frastorna. E' davvero difficile raccapezzarsi. Basta cercare su Internet articoli su animali per provare lo sconforto assoluto.

C'è chi si offre per curare le psicosi dell'animale con terapie comportamentali; è un bene o un male? C'è chi offre cliniche ad alta specializzazione per la cura di malattie che la maggioranza dell'umanità sogna per se stessa; è un bene o un male? C'è chi si propone di riportare Fido o Miao diventato obeso al peso forma; è un bene o un male? Le necessità di terapie comportamentali e il sovrappeso non segnalano un'avvenuta degenerazione nelle relazioni tra l'uomo e animale? E le cliniche specializzate non inducono a pensare che l'uomo abbia esteso l'ossessione della propria morte a quella del suo compagno?

La conclusione è semplice: l'uomo moderno è un narciso immaturo e lo dimostra ampiamente anche nella sua relazione con l'animale. Non ci credete? Cercate bene! E troverete chi offre cibo ad alto assorbimento per dimezzare le cacche di Boby. Se è difficile trovare un cimitero per il caro estinto, qualcun altro vi propone il cimitero virtuale: basta mandare una foto a quell'indirizzo www. Cercate bene e troverete chi vi insegna a fare maglioni con la lana, pardon, con il pelo del cane di casa.

Un documento recente, il Manifesto della Vita Animale presentato dai Democratici di Sinistra alla Direzione del partito, ad un certo punto, afferma:

"La coscienza della necessità di regolare il nostro potere assoluto è cresciuta notevolmente. Hanno contribuito a questo i movimenti e la cultura animalista. Ma anche i film di Walt Disney se è vero che sempre più bambini e bambine riconoscono nell'animale un essere a cui offrire amore, rispetto, curiosità."

Si deve ammettere sinceramente che molti adulti siano stati condizionati da Walt Disney se si pensa a film come Dumbo o Bambi visti quarant'anni fa. Ma poi si viene a sapere che la riedizione del film "La carica dei 101" ha causato una strage di dalmata: non c'è riuscita Crudelia De Mon, ma c'è riuscita la Crudele Realtà paradossalmente generata dallo stesso film. Gli allevatori, naturalmente, non si sono fatti trovare impreparati e il ragazzino uscito dal cinema ha potuto acquistare il suo dalmata presso il negozio più vicino sotto lo sguardo amorevole dei genitori. In una società opulenta si può comprare un cane, giocarci un po' e poi buttarlo via. E allora? E' un bene o un male l'esistenza della Walt Disney Productions?

Altre forme di rimbambimento collettivo? Prego, attingete a piene mani, vi sono pozzi inesauribili! Questo si trova in America.

Americani che spediscono cartoline d'auguri firmate dai loro cani: 29%. Americani che portano la foto del loro cane nel portafoglio: 23%. Americani che hanno sistemato la loro camera in modo che il cane possa guardar fuori dalla finestra: 21%. Americani che lasciano aperta la televisione o lo stereo quando escono di casa e lasciano il cane da solo: 19% (da un'inchiesta di "Usa Today"). A Long Island, asta di Sotheby's sulle cucce d'autore. Per esempio: cuccia "politically correct" di Louise Braverman, con fiocco rosso, simbolo della lotta all'Aids; cuccia anti-apartheid di Peter Cook, per far convivere cani e gatti; cuccia neo-classica (con colonnati) dello studio Gillis e Previti, per far convivere cani e uccelli; cuccia cunista di Gwathemy; cuccia rustica "Villa Nella" di Peter Marino, stile Chianti, ispirata al film di Bertolucci "Io ballo da sola".(Il Mattino 22/07/97)

In questo universo di fatti tutto si ingarbuglia e l'atto d'amore verso il "compagno" diventa indistinto, sfumato, vago e si confonde con le stravaganze, se non addirittura con le idiozie, che per manifestarsi richiedono l'uso strumentale dell'animale.

Ecco dunque la ragione dell'esplosione degli animali da compagnia; ora siamo in grado di comprendere perché trenta milioni di animali vivono nelle nostre case.

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Da qui alla spiegazione del fenomeno del randagismo il passo è breve. Il randagismo è il risultato delle due tendenze prima delineate. In primis, è l'effetto di una diffusione di tipo consumistico di animali prima acquistati e poi liberati quando l'irresponsabilità prevale. La leggerezza con cui andiamo incontro a esperienze "tanto per provare" non considerando le conseguenze (mai ferire il proprio Ego con rinunce!) è fatto comune e altamente diffuso. Le discariche della nostra civiltà sono silenti monumenti a testimonianza del furore distruttivo col quale trasformiamo tutto in rottame. Gli animali spesso seguono lo stesso ciclo e diventano, per un po' di tempo, rottami vaganti finché non muoiono.

Quando sono "fortunati" evitano il randagismo e il destino che li attende può essere quello che racconta la veterinaria protagonista dell'allucinante esperienza che segue. Gli altri personaggi sono una megera e i suoi due figlioli (che, forse, ma non e' detto, non hanno mai visto i film di Walt Disney)

"Accadde l'anno scorso: quella donna venne in ambulatorio con uno dei suoi due cani, Geppo, e mi chiese di sopprimerlo. Rimasi di sasso perché non soffriva di nessuna malattia. Lei mi spiegò che non poteva tenere più di un cane. Feci resistenza e proposi alla signora di cederlo. Ero sicura che avrei trovato qualcuno disposto a tenerlo; ma non volle sentire ragioni: quel cane era stato suo e non voleva che finisse in mani estranee. Quasi che altri potessero violare parte della sua privacy attraverso il cane. Ma perché proprio lui e non l'altro, chiesi in un disperato tentativo di oppormi. La risposta ebbe il potere di prostrarmi per settimane intere: aveva fatto scegliere ai due figli e loro, con estrema freddezza, avevano scelto di salvare l'altro".

Durante il racconto, la veterinaria quasi si metteva a piangere. Anche dopo tanto tempo il ricordo di quella brutta storia la sconvolgeva. Perché non aveva cacciato fuori quella strega? Era rimasta sorpresa dagli eventi e poi la legge italiana, tanto "protettiva" verso gli animali d'affezione, consentiva al mostro di fare quella richiesta. Ma quella esperienza era stata così traumatica che mai più l'avrebbe ripetuta. A costo di perdere pazienti...pardon, clienti.

Geppo ha avuto una relativa fortuna perché non è stato abbandonato. E' stato trattato come un vero rottame e condotto alla discarica. Coerentemente con i dettami della nostra cultura. Ma normalmente gli animali abbandonati seguono un destino ancora peggiore. Stranamente chi abbandona è giudicato dalla comune opinione meglio della bestia di cui sopra, mentre in realtà è sicuramente peggiore perché terribile e duratura è la sofferenza subita dall'animale abbandonato.

Questa è la prima tendenza. L'abbiamo definita come fusione di leggerezza e irresponsabilità da consumismo cieco. Ma vi è anche un randagismo che si caratterizza come conseguenza di tendenze "buone".

L'anziano che solidarizza con l'animale, normalmente è una garanzia, assai più del bambino che talvolta (come testimonia il fatto raccontato) se privato dell'educazione corretta, può rappresentare persino un pericolo. Gli anziani, per via dell'isolamento di cui soffrono sono tra coloro che hanno più da guadagnare dal rapporto con il gatto, il cane o il canarino. Hanno solamente un difetto. Sovente anticipano il loro animale nella dipartita da questo mondo. E spesso chi eredita non esulta per una "bestiaccia" che non vuole minimamente includere nella propria vita. E' un problema che attualmente non ha soluzioni.

Anche altre forme di affetto sono, purtroppo, vettori di randagismo. L'esistenza nelle case di animali non sterilizzati comporta fughe, accoppiamenti e lieti eventi. Un tempo, una maggiore determinazione induceva all'eliminazione immediata delle cucciolate. Oggi, la maggior parte di coloro che provano la bellissima esperienza del parto dell'animale di casa non se la sente di adottare tale pratica; a volte neanche con l'aiuto del veterinario. La ricerca spasmodica di una buona sistemazione presso amici, parenti, conoscenti ottiene, dopo molti affanni, un risultato positivo. Una parte dei cuccioli sarà fortunata, un'altra parte avrà una sistemazione a rischio, una terza vivrà una condizione di latenza verso lo stato del randagismo. Tutti quanti, però, dopo neanche un anno saranno pronti per altre riproduzioni. Si stabilisce così una devastante catena di sant'Antonio in cui le sistemazioni aggiuntive si riducono sempre di più fino ridursi al semplice turn-over, mentre le nascite, inesorabili, proseguono con cadenze geometriche o malthusiane. In breve, un atteggiamento che parte da buone intenzioni diventa disastroso e va a sommarsi con gli altri effetti. Ancora non abbiamo preso coscienza che questo devastante processo è la causa principale di randagismo.

Centomila cani, duecentomila gatti, un numero imprecisato, ma colossale di altri piccoli animali sono il prezzo annuale che paghiamo per poterci definire "barbari". Di fronte a tutto questo, la legge nazionale sugli animali d'affezione 281/91 si erge in tutta la sua colossale inefficienza.





Data: 20/09/00

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