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Notizia di agenzia

A cura del
Collettivo





All'inizio dell'estate una notizia di agenzia ha ricordato agli italiani una amara e triste verità: nel nostro Paese ci sono troppi cani randagi e sarebbe opportuno ritornare alla "reintroduzione dell'eutanasia dopo un periodo di mantenimento transitorio nei canili..."

Lo scopritore di questa risolutiva soluzione è il signor Piero Genovesi, ricercatore dell'Istituto Nazionale della Fauna Selvatica (Infs). Come ricercatore del prestigioso istituto, il signor Genovesi dispone di un autorevole osservatorio e non parla a vanvera: i cani selvatici costituiscono un problema per la fauna selvatica perché, come è noto, anche i cani devono mangiare.

Ora è noto che il randagismo da solo non si sostiene in modo autonomo (molti studi specializzati l'attestano) e abbisogna di un continuo apporto fresco di bastardaggine umana . Dato per scontato che quest'ultima, a differenza del randagismo, trova le fondamento in sé stessa, la tesi del "ricercatore" non fa una grinza. Io, merda umana, libero nell'ambiente tutti gli animali che voglio: quegli animali che la Repubblica, con notevole enfasi, chiama "di affezione". Poi, se mi danno fastidio o creano dei problemi, li abbatto come cani (appunto). Si può immaginare che l’abbattimento dentro il canile prefiguri quello fuori, trasformando i caccatori, che notoriamente sono i sacerdoti della “salvaguardia ambientale”, in ripulitori dell’ambiente anche da questo immenso flagello.

Il problema esiste. Esiste ma non può essere liquidato con la soluzione riportata dall’agenzia (non si capisce bene con quale fedeltà interpretativa) e attribuita al signor Ermanno Giuduci: l’aumento del numero dei canili per, diremmo noi, ritirare la merce avariata. Paradossalmente il signor Genovesi nella sua semilucidità individua alcune soluzioni molto banali che, affrontando il problema a monte potrebbero subito mostrarsi efficaci anche se non risolutivi.

Tuttavia non vogliamo riprendere una questione che richiede altri spazi e che, tra l’altro, gode in questo sito di una trattazione sistematica. Ciò che invece sorprende è il silenzio irreale che giunge dalle associazioni animaliste. Delle due, l'una: o coloro che le dirigono pensano a una “sparata” senza senso, oppure sono rimasti pietrificati dall’autorevolezza dell’intervento e sperano che il silenzio sia la migliore risposta per non far sì che l’idea si materializzi.

Alcuni mesi or sono, in un confronto nazionale allargato, la maggior parte degli interventi ha difeso a spada tratta l’attuale normativa con il demenziale sostegno di un monoargomento: mettere in discussione quel “baluardo” avrebbe voluto dire dare strumenti ai nemici degli animali che chiedono il ritorno alla sopressione.

Se tale misura passasse proprio in ragione della strutturale incapacità di risposta dell’animalismo e delle sue statiche rappresentanze, questa sarebbe la prova più lampante che l’incapacità di agire si associa indissolubilmente a quella ben più grave di pensare.




Data: 01/0701

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