Rimini 150. In poche parole
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Rimini ieri 1940


Giugno 1940. La gente pensa alle vacanze. Lo spettro della guerra si avvicina sempre più. «I borghesi benestanti scelgono Rimini, palestra delle pose statuarie dei gerarchi e passerella delle dive autarchiche, oppure Riccione, di gran moda perché l'ha lanciata Mussolini, che arriva a sorpresa su un idrovolante bianco tra gli sguardi curiosi dei presenti e nuota vigorosamente nell' "amarissimo Adriatico", circondato dai fotografi in pattino. A Milano Marittima si ha il privilegio di vedere i Balbo e i Grandi…». (1)
Il 31 maggio nel teatro Vittorio Emanuele di piazza Cavour a Rimini, si è tenuta una manifestazione patriottica del regime. Piero Pedrazza, un corsivista del Resto del Carlino, noto con il soprannome di "Camicia nera", ha parlato agli universitari sul tema «Vigilia d'armi».


«Il popolo scalpita»

Il suo è uno dei soliti discorsi infiammati del Ventennio, con in più la prospettiva del conflitto: «Tuonando contro le potenze demoplutogiudaiche», l'oratore ha esclamato anche che il popolo italiano «bramoso di scendere in campo, "scalpitava come polledra di sangue generoso"». (2)
Il loggione aveva battuto le mani, anche se in modo eccessivamente vivace e sospetto: gli universitari fascisti scherzavano col fuoco. Quegli applausi «troppo scroscianti e insistenti» erano stati attribuiti «alla forte fede e all'esuberanza di quei figli di Mussolini i quali fra poco avrebbero impartita una sonora lezione a coloro che ci tenevano prigionieri del nostro mare». (3)
Tra gli universitari, tira aria di fronda. E' già successo altre volte. Ad esempio, alle Idi di Marzo del 1939, quando il ritmo militare della sfilata era stato inframmezzato da «impercettibili passi di danza» sul motivo della «Danza delle ore» di Ponchielli, proprio sotto il palco delle autorità e davanti alla statua di Giulio Cesare, dono del duce a Rimini.
«Ad un campione italiano dei medioleggeri, che era sul palco - Benito Totti - … non erano però sfuggiti quei passi insoliti e diversi. E, sceso dal palco, quel campione aveva cercato di raggiungere i camerati (tra i quali Luigi [Titta] Benzi, Guido Nozzoli, ecc.) che si erano dati alla fuga. Era riuscito, comunque, ad affibbiare un cazzotto ad uno di essi rimasto in coda, Ennio Macina, figlio di un ex sindacalista che negli anni Venti aveva conosciuto il "santo manganel"». (4)


«L'edificio in briciole»

La fronda nascosta diventerà lentamente opposizione vera, in molti di questi giovani. Le goliardate cederanno il passo ad un impegno serio e drammatico. «Cominciò ad incrinarsi in noi qualcosa di quel fragile edificio in cui avevamo vissuto il periodo avventuroso e struggente della giovinezza. E in breve tempo l'edificio, data la sua scarsa consistenza, andò in briciole», racconta Nozzoli. (5)
Arriva il 10 giugno, lunedì, una giornata molto calda anche sotto il profilo meteorologico. L'Italia dichiara guerra alla Francia e all'Inghilterra. Dalle prime ore del mattino viene annunciato per le strade il discorso del duce al popolo italiano. Renato Rascel (che il regime ha costretto a chiamarsi Rascele), scrive un motivetto che recita in una sua rivista : «E' arrivata la bufera». Chi vuol capire, capisca.
Sui tavoli dei caffè, gira la Gazzetta dello Sport che racconta in prima pagina: «Il coscritto Fausto Coppi è il vincitore del 28° Giro d'Italia che, nel doppio segno della giovinezza e della tradizione, ha recato alle folle sportive d'Italia la testimonianza della gagliardia e della serenità della Patria in armi». Tutti i Salmi finiscono in Gloria. Il foglio sportivo è l'unica cosa rosea di quel giorno.
Alle 18, Mussolini si affaccia al balcone di Palazzo Venezia a Roma, per parlare alla nazione: «Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'Occidente».
La radio trasmette il discorso del duce (settecento parole), in tutte le piazze del Paese e davanti alle sedi del partito fascista. Donna Rachele è da una settimana al mare a Riccione, con i figli piccoli. Bruno è militare, Vittorio non ha dato notizie di sé.
Ciano annota nel suo «Diario»: «La notizia della guerra non sorprende nessuno e non desta eccessivi entusiasmi. L'avventura comincia. Che Dio assista l'Italia». (6)
Molta gente piange: chi ricorda il '15-'18, sa che cosa significhi guerra.


«La parola d'ordine»

«La parola d'ordine: Vincere!», tuona Mussolini. «Dalla folla si alza un immenso grido», commenta il Corriere della Sera che intitola a nove colonne: «Folgorante annunzio del Duce», sotto l'occhiello che riporta la parola d'ordine di Mussolini: «Popolo italiano corri alle armi».
«Rimini non andò incontro alla guerra. Fu questa che le venne addosso. Rimini non vi pensava. Si svolgeva lontana e, allora, perché preoccuparsene? E che cosa, d'altra parte, avrebbe potuto fare», scriverà Oreste Cavallari. (7)
Anche Rimini, come tutte le città, era stata mobilitata quel pomeriggio: «Il 'campanone' aveva mandato lugubri rintocchi, a cui avevano fatto eco quelli di tutte le altre campane». (8)
L'ordine era arrivato da Roma, tramite le prefetture: per l'adunata non si dovevano usare le sirene, che dal 6 giugno erano state adottate come segnale per gli allarmi aerei, ma soltanto campane, trombe e tamburi. (9)
«Dalla sede di via Cairoli, drappelli di balilla tamburini, si erano diramati per strade e quartieri del centro e della periferia a suscitare suspense con il rullo dei loro tamburi». (10)
Dovunque, erano apparsi i tricolori.


Applausi dei fedelissimi

Il discorso di Mussolini trasmesso per radio si conclude con applausi e grida della gente a piazza Venezia. A Rimini, scrive Faenza, "la voce del duce era piovuta sulle teste dagli altoparlanti di piazza Cavour e di piazza Giulio Cesare. Applausi e invocazioni erano partiti da nuclei di fedelissimi in orbace o in camicia nera. Poi c'era stato l'oscuramento e anche un iniziale pattugliamento notturno di questurini integrati da avanguardisti della GIL». (11)
Leggiamo la testimonianza di Cavallari: «Il 10 giugno del 1940 non ci fu qui alcun entusiasmo. Ero in piazza Cavour per sentire il discorso. Qualcuno parlò ad un gruppo di studenti. Quando gli studenti mi passarono davanti - io ero appoggiato al muro del caffè Commercio - lessi i cartelli. Irridevano alla Francia e all'Inghilterra. Nel complesso fu una cosa miserella». (12)
Rimini rispecchiava l'Italia: tutto il Paese era ben lontano «dagli entusiasmi, sia pure contrastati, del maggio del '15 e dell'ottobre del '35. Forse intuimmo che ci eravamo cacciati in un gioco più grande di noi?». (13)


Radio Londra proibita

Aggiunge Faenza: «Non erano corsi cantici di gloria, di gloria, di gloria per l'infinito azzurro, come aveva esclamato il gufino Girolamo Zanzani dalla scalinata dell'Arengo nel marzo 1939 quando era caduta Madrid. Né era parso maturo quel tempo della vittoria "solare, latina, mediterranea, oceanica", invocato l'anno precedente dall' "azzurro" Tonini nell'aula magna (un corridoio) del "Valturio" quando era morto D'Annunzio. Si era così andato diffondendo, con cautele, l'ascolto di Radio Londra». (14)
D'ora in poi, chi ascolta l'emittente britannica è passibile di gravi sanzioni. «Dio stramaledica gli inglesi» è l'invocazione che la liturgia fascista cerca di imporre tra le idee correnti.
Mentre si combatte, alcuni studenti riminesi tentano di far nascere un giornalino umoristico, che nel titolo (H2O!) doveva parodiare l'Eia, eia delle adunate fasciste. Diffidente il direttore dell'Ufficio stampa del partito, Lamberto Delavigne, insegnante di chimica al "Valturio", il foglio non vedrà mai la luce : «Il clima bellico non consentiva iniziative semiserie. Imponeva austerità in tutti i settori della vita cittadina». (15)
La gente ha sete di notizie. Quelle dalla Germania, giungono «qualche volta in città per tramite di operai italiani, ingaggiati nei battaglioni del lavoro, che rimpatriavano per un periodo di licenza. Regime di capi incorruttibili, quello di lassù, e non di ladri come in Italia». (16)


In viaggio di nozze

Ma la gente ha anche fame. «La prima reazione è l'assalto ai negozi di generi alimentari. Mussolini ha parlato alle 18 del 10 giugno e alle 7 del mattino del giorno dopo si formano già le cose davanti alle salumerie, alle drogherie… Nessuno crede ad una guerra breve. C'è una gran paura della fame e una gran corsa a procurarsi delle scorte». (17)
Sognava giorni diversi la signora Luisa Sacchi, che allora aveva 31 anni. Si era infatti sposata domenica mattina 9 giugno. In viaggio di nozze arriva a Roma verso la mezzanotte. Il 10, mentre stava pranzando, «nella sala del ristorante si vedevano le facce stralunate della gente: girava la voce che il duce avrebbe parlato alle 18. A questa notizia ci rattristammo molto. Andammo a piazza Venezia: era piena di gente. Il silenzio e la tristezza dominavano l'atmosfera. Apparve il duce e disse che da quel momento l'Italia era entrata in guerra. Tornammo in albergo, ed iniziò subito l'oscuramento. Decidemmo di ripartire il più presto possibile, dopo i primi allarmi. Dalle stazioni ferroviarie, si vedevano partire gli scaglioni di soldati per il fronte. C'erano sposine e ragazze che piangevano. Una ragazza che si era sposata nella mia stessa chiesa, alla messa dopo la mia, perdette subito il marito». (18)


In 'vacanza' per 5 anni

La guerra: quando essa «si affacciò all'orizzonte, il distacco tra regime e popolo si allargò sempre di più», rammenta l'avv. Veniero Accreman. (19)
«Quando ho cominciato a vivere i primi giorni della vita militare, a diciannove anni e mezzo» spiega il prof. Sergio Ceccarelli, «rimasi orribilmente scioccato dal constatare come non ci fosse nessun amore di patria in quei giovani che erano stati chiamati a vestire il grigioverde, e che venivano da una preparazione di anni e anni di adunate fasciste, di indottrinamento, di manifestazioni». (20)
Nel suo diario, Giuseppe Bottai, sotto la data del 10 giugno, annota a proposito del discordo del duce: «La piazza si gremisce d'una folla ora silenziosa ora tumultuante. Si avverte la fatica dei pochi nuclei volitivi a indirizzare gridi e acclamazioni». (21)
Alle 20 dello stesso giorno 10, il ministro della Cultura popolare, Alessandro Pavolini, impartisce le direttive ai quotidiani: scrivere che si tratta di una guerra «proletaria»!
In quelle ore, una nostra nave stava trasportando dalla Libia verso l'Italia un folto gruppo di bambini dai 6 ai 12 anni, figli di residenti in Africa. Dovevano trascorrere le vacanze in varie colonie marine, tra cui quelle di Rimini e Riccione. La guerra prolungherà a cinque anni un soggiorno in varie peregrinazioni, che agli occhi di quei ragazzini avrà il sapore amaro di un' inattesa ed inspiegabile prigioni. (22)

Antonio Montanari

Note


(1) Marco Innocenti, L'Italia nel 1940, Mursia, Milano, 1990, pp. 90-91.
(2) Liliano Faenza, Fascismo e gioventù, in "Storia e storie", n. 5, 1981, p. 11.
(3) Ibidem.
(4) Ibidem.
(5) Guido Nozzoli, Dalla Gil sono usciti tutti, in «Autobiografia di una generazione, Fascismo e gioventù a Rimini», collana di «Storie e storia», Maggioli, Rimini, 1983.
(6) Galeazzo Ciano, Diario 1935-1944, Rizzoli, Milano, 1982, p. 412.
(7) Oreste Cavallari, Rimini imperiale!, Rimini, 1979, p. 80.
(8) L. Faenza, cit., p. 29.
(9) Cfr. i telegrammi prefettizi, pubblicati a p. 7 de Il mio 10 giugno 1940, supplemento a «Famiglia Cristiana» del 13. 6. 1990.
(10) L. Faenza, cit., p. 29.
(11) Ibidem, pp. 28-29.
(12) Cavallari, cit., p. 80
(13) Ibidem.
(14) L. Faenza, cit., p. 29.
(15) L. Faenza, cit., p. 8
(16) L. Faenza, cit., p. 12.
(17) Silvio Bertoldi, La chiamavano patria, Mondadori, 1989, p. 185.
(18) Testimonianza inedita.
(19) Intervento di V. Accreman in «Autobiografia di una generazione…», cit. , p. 35.
(20) S. Ceccarelli, ibidem, p. 72.
(21) Giuseppe Bottai, Diario 1935-1944, Rizzoli, Milano, 1989, p. 193.
(22) L'argomento è stato affrontato con testimonianze dirette, in una recente trasmissione di Rai3 (La mia guerra), a cura di Leo Benvenuti ed Enza Sampò; ed è trattato nel cit. Il mio 10 giugno 1940, con dichiarazioni dei protagonisti.


Appendice
Amarcord riminesi del 1940.

Turismo: «Nel novembre 1939 al Podestà ing. G. Mattioli successe, in qualità di Commissario Prefettizio, l'avv. Eugenio Bianchini…» che guidò, come prevedeva la legge del tempo, anche l'«Azienda balneare». Leggiamo dal libro di Luigi Silvestrini Un secolo di vita balneare al lido di Rimini, edito nel 1945: «Compito arduo e talora ingrato quelli della Reggenza Comunale in tempo di guerra! (…) Più delicata ancora si presentava la direzione dell'Industria balneare: seguire il crescente sviluppo dell'Azienda fra le ristrettezze e le difficoltà del momento, ed offrire alla colonia bagnante il maggior conforto possibile, ed anche quegli svaghi compatibili colla gravità delle circostanze». (P. 201).
Aggiunge Flavio Lombardini: «Quando nel marzo 1940 cominciarono a circolare le prime voci su di un possibile intervento dell'Italia in guerra…, a Rimini sorsero le prime preoccupazioni ed i primi timori circa l'andamento della stagione balneare in fase di avanzata preparazione… Il 10 giugno, a stagione iniziata, la drammatica decisione del Sovrano… I riminesi accusano il colpo».
L'arrivo delle prime notizie sulle difficoltà e sugli insuccessi militari, spinge «la folla dei bagnanti… a fare sollecitamente le valigie», per tornarsene a casa. «A metà luglio sono pochi gli ospiti che indugiano ancora sulla spiaggia a godersi un sole splendido di piena estate, ma quando le sirene cominciano a urlare il loro grido d'allarme, anche i più restii se ne vanno e i riminesi restano soli con la loro tristezza e le loro preoccupazioni, a meditare sulle prime conseguenze di una guerra che sarà per loro disastrosa». (Rimini secolo XX, Garattoni, Rimini, 1968, pp. 48-49).

Federico Fellini se ne è andato dalla nostra città agli inizi del '39, si trova adesso a Roma, redattore del Marc'Aurelio, bisettimanale umoristico.
«Il direttore del periodico è un uomo di fede: alle 13, quando la radio trasmette il bollettino delle operazioni, tutti in piedi, e sull'attenti», scrive Enzo Biagi nel suo fresco Noi c'eravamo (ed. Mondadori, pp. 184-185): il 10 giugno «Federico è solo in sede, via Regina Elena, 68. Ha un lavoro da terminare, ed è un pomeriggio afoso. Dal cortile sale la voce di un altoparlante: "Sentii" ricorda "lui che parlava dal balcone, ma non pensai a niente. Scesi, e vidi nel cortile la portiera che stava occupandosi di una gattina che aveva partorito in una scatola di cartone. Mi avviai verso piazza Barberini, uno in bicletta urlava: 'C'è la guerra'. Entrai in un caffè, e chiesi un Aperol: 'Lo vuole con la buccia di limone?' mi domandò il barista. Poi commentò: 'Accidenti, che casino'"».

Il 19 marzo 1940, a Rimini, è nato il Circolo Filatelico. Lo presiede l'avv. Pietro Ricci, i soci sono Napoleone Bellini, Fabio Ceredi, Giuseppe Galvani, Pasquale Ghinelli, Pietro Ginanni Fantuzzi, Giuseppe Grilli, Acreonte Lucchi, Severino e Svenio Massari, Tristano Melagranati, Ercole Menotti, Gerardo Ottaviani, Lodovico Rastelli ed Ilvio Tonini.
Leggiamo da 30 anni di vita di un Circolo filatelico edito nel 1970 da Severino Massari, ultimo cronista della filatelia riminese, le pagine relative a quegli anni: «Le prime, timide riunioni si svolgevano ora in casa di un socio ora in quella di un altro, in attesa di poter dare inizio ad una vera e propria attività. Nel contempo, però, si era dato vita ad un comitato per studiare la possibilità di organizzare una manifestazione di propaganda filatelica, con il preciso scopo di aumentare il numero dei soci e gettare così le basi per rassegne di più grande impegno… La guerra rese molto più difficile l'attuazione del programma». Infatti, quella prima manifestazione poté tenersi soltanto nell'estate del '42: il 3 agosto, ci fu la «Giornata filatelica Rimini-San Marino», con l'emissione di un francobollo celebrativo da parte delle Poste del Titano. (Pp. 13-14).

Il 1940 nelle pagine di uno storico cittadino, Amedeo Montemaggi: «In quell'estate vidi Mussolini, che villeggiava a Riccione, mentre stava tornando dal bagno. Un poliziotto in borghese trattenne me ed altri presenti all'imboccatura di un vialetto di marina. Non sapevo che cosa stesse succedendo ma la cosa fu subito chiara quando nel vialetto antistante apparve 'lui', in bicicletta, con calzoncini 'bermuda' e berretto da marinaio-gelataio. Pedalava lentamente e sorrideva bonariamente a tutti». (Da Rimini 1943-1944, a dispense sul Ponte dal 18.12.1977, pag. 3).



Nota bibliografica


Questo testo è stato pubblicato nel 1990. Le precedenti parti di Rimini ieri, 50 anni fa sono state pubblicate sul Ponte il 10. 9. 1989 (L'ultima estate di pace), il 24. 9. 1989 ("Chi dei due" è Mat) ed il 1. 10. 1989 (Il Comune se ne fregia).
I dieci capitoli di Rimini ieri, Cronache dalla città sul 1945 e 1946, sono apparsi prima sul Ponte tra ottobre 1988 e maggio 1989, e poi raccolti nel volume Rimini ieri, Dalla caduta del fascismo alla Repubblica, 1943-1946, edito dal Ponte nel novembre 1989.
Un inedito esclusivo su fatti del 1945, è stato pubblicato dal Ponte del 29. 10. 1989, con il titolo «Così arrestai Tacchi a Padova»: si tratta di un'intervista al gen. Carlo Capanna.
Al periodo settembre 1943-settembre 1944, è dedicata la serie di Rimini ieri intitolata I giorni dell'ira. La prima parte è apparsa il 3 e 17 dicembre 1989 ed il 7 gennaio 1990, con le tre puntate sul delitto Paolini, intitolate rispettivamente: «Papà mio, dove lo portate», La caccia all'uomo, e L'agosto di passione. Poi sono stati pubblicati sei servizi sulle vicende politiche a San Marino: 28 luglio 1943, San Marino volta pagina (4. 3. 1990), Chi minaccia San Marino (18. 3. 1990), L'attentato a Casali (1. 4. 1990), La prof. che faceva la spia (29. 4. 1990), Tra saluti romani e bombe alleate (20. 5. 1990), e Fascisti alla sbarra (con documenti inediti in esclusiva sul processo ai repubblichini, scritti dal prof. Giovanni Franciosi, 10. 6. 1990).


Indice Rimini 150

Antonio Montanari

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