Foto di gruppo in camicia nera
Nasce il nuovo fascio con 20 iscritti: saranno mille a dicembre. I bandi per gli "sbandati". Un abito civile per la salvezza.

I giorni dell’ira, 11. "il Ponte", 30.09.1990
54. Nulla di fatto.
Alla riunione riminese del 12 settembre erano presenti, tra gli antifascisti, il dc Giuseppe Babbi, il socialista Gomberto Bordoni, il comunista Isaia Pagliarani ed il repubblicano Dario Celli. Le testimonianze sulle altre persone invitate all'incontro sono discordanti. (1)
Confrontiamo le varie ricostruzioni della riunione. Secondo Buratti, essa «si sciolse con un nulla di fatto». Tutti erano stati «d'accordo per invocare una tregua fraterna allo scopo di salvare la nostra città e tutti eravamo animati da questo sentimento, ma quando gli antifascisti affermarono che non potevano garantirci la calma nel territorio di nostra giurisdizione, noi fascisti non potemmo se non rispondere che ad atti di guerra avremmo risposto con atti di guerra». (2)
Ecco la versione di Decio Mercanti: «La riunione si concluse su un accordo di massima: necessità di un compromesso. E di ritrovarsi in un successivo incontro con la redazione di un eventuale documento. Questo non ebbe mai luogo. Il comandante tedesco infatti avendo saputo della riunione per la costituzione del Comitato, diede ordini al capitano dei carabinieri Bracco (il quale ne informò il rag. Frontali) che nessuna riunione di quel genere doveva aver luogo pena l'arresto immediato di coloro che vi avessero partecipato. Quella fu l'ultima informazione data da Frontali agli antifascisti che intervennero alla prima e, quindi, unica riunione». (3)
Ancora Buratti, nel 1979, in un'intervista telefonica a Cavallari, riferisce: «Rimanemmo a discutere fino a notte alta. In verità» Babbi e Celli «erano per l'accordo, Bordoni ci pensava sù e Pagliarani disse che non se la sentiva. E le ragioni non erano tanto politiche ed ideologiche quanto pratiche. Perché noi fascisti potevamo garantire ai tedeschi che non avremmo turbato l'ordine pubblico con persecuzioni contro gli antifascisti perché avevamo sotto controllo i nostri; i democristiani potevano assicurare che i loro non avrebbero svolto azioni di disturbo contro le truppe tedesche, in quanto potevano contare sulla organizzazione ecclesiastica; essendo pochi, i repubblicani potevano passarsi la parola, ma i comunisti? Bisogna dire, ammette Buratti, che Pagliarani fu onesto quando non volle impegnarsi per i suoi dato che, allora, il partito comunista non era organizzato. Sarebbe bastato un cavo telefonico manomesso da non si sa chi per farci mettere tutti in galera. E così il patto di tregua fallì». (4)
Conferma allo stesso Cavallari, Gualtiero Frontali: «L'iniziativa fu condivisa per quanto si riferiva alla libertà, al rispetto delle idee politiche ma incontrò difficoltà sull'impegno dei partiti a sconsigliare e vietare atti di sabotaggio contro i tedeschi, e ciò per mancanza di contatti con i partigiani. Ci si doveva riunire qualche giorno dopo ma fui diffidato dal capitano dei carabinieri. Non era gradito, questo tentativo, ai tedeschi forse perché temevano un accordo contro di essi. Ci si lasciò, così, delusi. Restò solo l'impegno personale al reciproco rispetto e a svolgere opera di concordia tra le varie correnti politiche». (5)
Frontali e Mercanti, schierati su posizioni politiche opposte, concordano su di un punto, cioè l'intervento tedesco contro ogni tentativo di pacificazione.
Di quella riunione riminese, c'è traccia tra i documenti ufficiali della repubblica di Salò, in una relazione prefettizia, secondo cui vi era stato nella nostra città un incontro dei fascisti «con gli esponenti del CLN, conclusosi con l'impegno da ambo le parti di evitare di molestarsi». (6)


Note
(1) Cfr. A. Montemaggi, Rimini 1943-1944, cit., p. 16; idem, Fascisti e antifascisti a Rimini, «Carlino», 24. 12. 1963; D. Mercanti, Primi passi…, cit., p. 34; e O. Cavallari, Bandiera rossa…, cit., p. 17.
(2) Cfr. A. Montemaggi, Rimini 1943-1944, cit., p. 16.
(3) Cfr. D. Mercanti, Primi passi…, cit., p. 34
(4) Cfr. O. Cavallari, Bandiera rossa…, cit., p. 17.
(5) Ibidem, pp. 17-18.
(6) Cfr. nota 3 a p. 34 di D. Mercanti, Primi passi…, cit.



55. Operazione sconcertante.
Il Cln di Rimini non si era ancora costituito alla data del 12 settembre '43. Aveva cominciato a prendere forma dopo l'8 settembre, ma nascerà ufficialmente soltanto nel marzo 1944. (1)
Lo ricorda Giuseppe Babbi, aggiungendo: «Inizialmente eravamo in tre con il socialista Gomberto Bordoni e il repubblicano maestro Dario Celli. A noi si unirono poi appartenenti ad altri partiti, come il comunista Isaia Pagliarani, che però più tardi si distaccò da noi in seguito ad un fiero litigio con Bordoni. Lo scopo delle nostre riunioni (talvolta ci vedevamo nella casa del signor Grossi nel borgo San Giuliano, talaltra in altri posti sicuri) era di svolgere un'attività politica di formazione democratica e di difesa contro il tedesco invasore». (2)
Come spiega Stefano Pivato, l'iniziativa dell'incontro fu accolta da quegli antifascisti «a titolo personale. Coloro che parteciparono furono sconfessati dai loro partiti». (3)
Nozzoli definisce quella riunione «una sconcertante operazione che ancor oggi non capisco come avesse potuto trovare udienza in una parte del Cln».
«Per quel che ne so», aggiunge Nozzoli, «pur dichiarandosi certo della sconfitta, Tacchi disse che il fascio sarebbe stato ricostituito in ogni caso, con o senza il suo assenso, con una differenza: che lui, conoscendo Rimini e i riminesi, avrebbe potuto far da mediatore con i tedeschi, impedendo rappresaglie e interventi troppo pesanti ai danni della popolazione, mentre un segretario venuto da fuori non avrebbe avuto certamente simili preoccupazioni». (4)
Era, quello, un «periodo confuso», ed è difficile sapere «che cosa avesse in mente un uomo imprevedibile» come Tacchi: «Forse, rendendosi conto che stava per mettere i piedi in un terreno minato, in un primo momento, nel formulare le sua proposta, pensava veramente di fare quel che prometteva... O forse no. In ogni caso soddisfaceva contemporaneamente due esigenze: quella di mettersi alla testa del fascismo riminese compiacendo i suoi superiori, e quella di assicurarsi delle benemerenze con gli avversari in previsione della sconfitta. In seguito, però, o perché travolto dalle passioni della lotta o perché trascinato dall'ingranaggio del potere, cambiò volto e comportamento». (5)
Veramente i repubblichini volevano «salvare Rimini dai tedeschi»? Scrive Mercanti: «I fascisti che avevano aderito alla repubblica di Salò divennero i collaboratori, le spie dei tedeschi, della Gestapo». (6)
Aggiunge Celestino Giuliani, uno dei capi della Resistenza nel Riminese, che «spie nazi-fasciste» erano sparse in ogni luogo. (7)


Note
(1) Cfr. A. Montemaggi, Fascisti…, cit.
(2) Ibidem.
(3) Cfr. nota 3 a p. 34 di D. Mercanti, Primi passi…, cit.: Pivato aggiunge che «la Federazione clandestina del P.C. giudicò severamente il principio di un patto di concordia che portava al tradimento degli ideali antifascisti, e allontanò quelli che avevano partecipato, da posizioni di dirigenti».
(4) Cfr. l'intervista a G. Nozzoli in Ghigi, La guerra a Rimini…, cit., p. 211.
(5) Ibidem, p. 212.
(6) Cfr. D. Mercanti, Primi passi…, cit., p. 35.
(7) Cfr. la «Relazione» del ten. Giuliani, in Copie di documenti originali sull'attività partigiana a Rimini e nelRiminese (1944-1945), in fotocopia presso la Biblioteca Gambalunga di Rimini (C 961).



56. Il nuovo fascio.
Il giorno 13 settembre, sei tedeschi giunti a bordo di un'autoambulanza, s'impadroniscono dell'aeroporto di Miramare: qui «erano scappati tutti, la gente rubava a più non posso. Per procurarsi la benzina, qualcuno aveva sforacchiato i serbatoi degli aerei». (1)
Alle ore 17, ufficiali nazisti si presentano alla caserma Giulio Cesare, e la fanno sgomberare da due Regi Carabinieri: «Non uno sparo, non un atto di ribellione». (2)
Le truppe germaniche, giunte in forza, si installano «nei punti periferici... dove molte case furono requisite per magazzini di viveri». (3)
Il 15 settembre, Mussolini riprende «la suprema direzione del Fascismo», come annuncia da Roma l'agenzia giornalistica Stefani. Nomina Alessandro Pavolini segretario provvisorio del partito, ed ordina a tutte le autorità militari, politiche, amministrative e scolastiche che erano state destituite dalle loro funzioni dal «governo della capitolazione», di riprendere i loro posti.
Il giorno 16, a Rimini, nasce il fascio repubblicano, con venti iscritti. I fondatori sono Paolo Tacchi, Giuffrida Platania, Cesare Frontali e Perindo Buratti.
Buratti confiderà a Cavallari: «Scattammo una foto... Volevamo che poi non venissero fuori a vantare primogeniture, come successe per la marcia su Roma...». (4)
A capo del fascio, per tre mesi, c'è un triumvirato capeggiato da Paolo Tacchi, con Frontali e Buratti.
Da dicembre, gli iscritti saranno un migliaio. E Tacchi ne resterà a capo, diventando segretario.
Il candidato favorito è Buratti, che però rifiuta, proponendo il nome di Tacchi: «Paolo se lo meritava». E Tacchi viene eletto. Come vice, è scelto Mario Mosca, un ufficiale di artiglieria residente nel Borgo San Giuliano. (5)
Il perché della nascita del fascio riminese, lo spiegherà Tacchi in una sua lettera al «Carlino», nel 1964: «La costituzione del f.r. derivò da un motivo ideale e da un motivo storico: motivo ideale quello dell'uomo che, avendo militato sotto una determinata bandiera nell'ora in cui essa era vittoriosa, non la getta tra i rifiuti quando si profila l'ora della sconfitta e se deve essere vinto vuol finire in piedi...». (6)
Ma nel 1944, il 31 agosto, all'avvicinarsi del fronte alleato, Tacchi era scappato da Rimini, con la 'carovana' dei repubblichini, e le sue due amanti. Anzi, si era anche procurato «un certificato di partigiano». (7)


Note
(1) Cfr. l'intervista cit. a Carlo Capanna, «Ponte», 29. 10. 1989.
(2) Cfr. O. Cavallari, Rimini imperiale!, cit., p. 101.
(3) Cfr. D. Mercanti, Primi passi…, cit., p. 35.
(4) Cfr. O. Cavallari, Bandiera rossa…, cit., p. 16.
(5) Ibidem, p. 17.
(6) Cfr. A. Montemaggi, Fascisti…, cit., «Carlino», 31. 1. 1964.
(7) Cfr. l'intervista di Bianca Rosa Succi al «Garibaldino» del 14. 9. 1945.



57. Gli "sbandati".
Settembre, in tutta l'Italia del Nord, è il mese del sacco tedesco. (1)
Lentamente, tra settembre ed ottobre, nella repubblica di Salò, quel generale tentativo di pacificazione che era stato sperimentato in un momento di «paure, prudenze, stanchezze, opportunismi» (2), lascia il posto alla guerra civile.
La politica della mano tesa cede il passo allo scontro.
Alla fine di ottobre, il ministro alla Cultura popolare, Fernando Mezzasoma, interviene presso quei giornali che si erano distinti nel raccogliere e propagare i messaggi di pacificazione, ed ordina di non pubblicare più appelli «per la fraternizzazione degli italiani», aggiungendo: «Dopo quarantacinque giorni di avvelenamento dell'opinione pubblica, di scandali, di predicazione dell'odio e di caccia all'uomo, certe manifestazioni rivelano solo viltà e tiepidezza». (3)
Il 23 settembre, Mussolini giunge in aereo a Forlì, con i suoi "carcerieri", l'ambasciatore Rudolph Rahn ed il generale delle SS Karl Wolff. Sale alla Rocca delle Caminate, poco distante da Predappio, dove il 27 avviene la prima riunione del governo di Salò.
Si decide il reclutamento di un nuovo esercito, «per volontariato e per coscrizione».
Ministro della Difesa nazionale è nominato Rodolfo Graziani che il 5 ottobre annuncia la costituzione delle forze armate dello stato nazionale repubblicano. I tedeschi vogliono che il reclutamento sia obbligatorio, con addestramento delle reclute in Germania. (4)
La legge sul nuovo esercito è del 28 ottobre, ma con effetto retroattivo: le forze armate di Salò «si intendono» costituite alla data del 9 settembre. In quel provvedimento, «non vi è nessun rapporto con la realtà»: infatti, «mancano i mezzi, le caserme sono semidistrutte, denari per pagare i soldati non se ne trovano, non si sa nemmeno se le reclute si presenteranno e se vi sarà il coraggio sufficiente per tentare l'arruolamento in simili condizioni». (5)
Il primo novembre, Mussolini ha annunciato ad Hitler il richiamo alla armi dei giovani del '24. Ma con il bando del 9 novembre, sono chiamati i militari nati nel secondo e terzo quadrimestre del '24, quelli del '23 e '24 in congedo provvisorio (ossia, gente scappata l'8 settembre), e tutti quelli del '25 della leva di terra. (6)
I prefetti sono impegnati «personalmente» da Mussolini a far rispettare la chiamata: «Il successo della presentazione sarà il segno sicuro della ripresa nazionale». (7)
I giovani rispondo in 51.162, secondo le cifre fornite a dicembre da Graziani. Quelli dell'Emilia-Romagna sono in testa, con 16.415 militari. La nostra regione, con i suoi 72 mila iscritti al pfr, è la più neofascista: ecco la ragione dell'alto numero di reclute. (8)
Una gran parte di questi ragazzi scappa alla prima occasione. (9)
«Ognuno ha nella valigetta un secondo abito borghese per quando quello che indossa sarà ritirato e sostituito dalla divisa. L'abito borghese è stato la grande risorsa dell'otto settembre. Chi prudentemente lo aveva si è salvato. Chi non lo possedeva è finito in Germania. I ragazzi sanno che anche stavolta c'è il rischio di finire in Germania e si preparano. La lezione è servita». (10)


Note
(1) Cfr. G. Bocca, La repubblica di Mussolini, cit., p. 97.
(2) Ibidem, p. 77.
(3) Ibidem.
(4) Cfr. S. Bertoldi, Salò, cit., p. 80.
(5) Ibidem, pp. 84-85.
(6) Cfr. G. Bocca, La repubblica di Mussolini, cit., p. 67; e S. Bertoldi, Salò, cit., p. 90.
(7) Cfr. G. Bocca, La repubblica di Mussolini, cit., pp. 67-68.
(8) Ibidem, p. 78.
(9) Ibidem, p. 70.
(10) Cfr. S. Bertoldi, Salò, cit., p. 91.



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Antonio Montanari



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