Rimini come, viaggio dentro la città [2]
'Farfalle' e vecchi progetti
"il Ponte", Rimini, 24.07.1988
Il villaggio-discoteca della riviera vive un continuo festival del divertimento senza più distinzione fra estate ed inverno. Prevalgono i comportamenti di massa, imposti dal costume del momento. È così tramontata la fisionomia tipica dei nostri luoghi.

Riministoria
il Rimino

C'era una volta una 'farfalla'. A Rimini, per 'farfalla' si è sempre intesa la cambiale. Ci fu la stagione di questo mito. Una città ricostruita senza soldi, sulla fiducia e sulle cambiali. Si inventò il paradosso di un imprenditore che comprò le cambiali, firmando altre cambiali.
Erano gli anni Cinquanta, il fronte aveva lasciato le macerie da rimuovere, e la città crebbe di buona volontà, con un impegno senza soste, alla faccia dell'urbanistica, senza un disegno minimo di coordinazione. E fu subito il caos.
Nessuno riuscì a mettere ordine in un centro che a strappi successivi vide il trionfo degli interessi speculativi. Il mare fu un affannoso germogliare di cemento che cresceva di anno in anno, senza un'idea comune, un progetto collettivo.
Nessuno pensò al traffico, alla necessità di strade, forse perché l'automobile era un simbolo di quel capitalismo che andava abbattuto.
Qualcuno sognò un grande viale che partisse dal porto e giungesse sino a Riccione, ed allora la fontana dei quattro cavalli, vicino al Grand Hotel, che sorgeva lungo questa direttrice, fu demolita, i pezzi dispersi nel parco dei Pompieri. Trent'anni dopo, un privato (Umberto Bartolani) l'avrebbe a sue spese ripristinata «come era e dove era», con un motto rubato al campanile di Venezia ricostruito nel 1912.

S demolire Rimini ci aveva pensato la guerra, con un tragico primato di bombardamenti. Ma i politici della ricostruzione locale, vollero imprimere una svolta rivoluzionaria al nostro turismo che avrebbe dovuto aprirsi alle grandi masse (ma già sotto il Fascismo c'erano stati i treni popolari), chiudendo per sempre con una clientela elitaria. Se il 1789 si riassume con la presa della Bastiglia, il nuovo turismo doveva avere il suo fulgido esempio nell'abbattimento del Kursaal, covo di aristocratici e borghesi.
Dopo quarant'anni, giovanotti appena sbarbati non trovarono nulla di meglio di quella magica parola Kursaal per intitolare un foglio pubblicitario ufficioso dell'Azienda di promozione turistica.
Corsi e ricorsi storici. Anzi, la storia che compie le sue vendette. La gente allora però aveva sete di altre conquiste. Bianchi e rossi, tutti si tirarono su le maniche, c'era un mercato turistico da conquistare, Rimini ce la fece.
Quei tedeschi che pochi anni prima erano partiti come camerati, ex camerati, nemici, adesso ritornavano come ospiti.
Anche per loro pesavano i ricordi della guerra. Alla Officina Locomotive, c'era la sirena degli operai che gli ricordava i freschi sibili degli allarmi. Chiesero all'Azienda di Soggiorno che quell'avvisatore fosse mutato, e le Ferrovie cambiarono tonalità al suono.
Più sordi ai doveri dell'ospitalità, gli amministratori comunali un'estate inaugurarono una mostra fotografica sul nazismo, che ai tedeschi non piacque.
Il prima della politica sull'economia, era solo una convenzione di facciata, il comodo paravento di un collettivo arricchirsi proprio ospitando quegli anziani bevitori di birra o quelle loro figlie che a vent'anni erano già segnate dalla cellulite.

Agli amministratori di Palazzo Garampi, per circa un trentennio, la politica estera è piaciuta sempre più delle pratiche spinose e difficili da risolvere.
Se oggi, girando per Rimini, percorrete in mezz'ora due chilometri in una giornata di pioggia, il merito va ai tanti ordini del giorno sull'imperialismo americano, secondo una moda del momento che oggi in molti rinnegano, ma intanto strade nuove non si sono costruite, e la circolazione è un enigma che potrebbe essere utilizzato per spiegare, con una formula matematica, il nascere della vita nel cosmo. Ancora una volta, fu subito caos.

L'età delle 'farfalle' è quella dell'infanzia della città moderna nel dopoguerra. Seguì una travagliata adolescenza. La crisi di crescita fu piena di sogni e di romantici languori. A metà degli anni Sessanta, Rimini prese una di quelle cotte che lasciano un lungo segno. Fu un amore plateale, robusto, pieno di entusiasmi e trombe che gridarono a tutt'Italia quella felicità.
Fu il piano De Carlo, e l'anello di fidanzamento costò 650 milioni di allora.
L'architetto De Carlo ebbe un'idea originale: tutto il centro storico di Rimini doveva essere smontato e rifatto, una eccezionale monorotaia sopraelevata, di tipo giapponese, avrebbe risolto il problema del traffico cittadino.
Venne costruito un modello di questa monorotaia, che girava alla perfezione sotto gli occhi dei pubblici amministratori che luccicavano di gioia, davanti ai proiettori della tv nazionale che riprendeva la scena.
L'intervento pubblico a Rimini si è sempre giocato su questo binario morto di progetti grandiosi che non hanno concluso nulla: ed oggi, Palazzo Lettimi è ancora lì, con le sue rovine belliche, a perpetuo ricordo degli orrori della guerra.
Ed oggi, il teatro Galli è solo la splendida facciata, restaurata con la sala Ressi e quella delle Colonne. Per non citare i travagliatissimi lavori al castello malatestiano: vent'anni per la sola 'ala di Isotta'.

Alle cose dell'arte, la città ha dimostrato in passato scarsa attenzione: i più bei mosaici della nostra regione sono stati ritrovati a Rimini.
Il Touring Club si è inventato che esista in città un Museo per questi mosaici, che invece sono stati per tanto tempo l'appoggio di bici e motorini dei giovani frequentatori della Civica Biblioteca Alessandro Gambalunga.
Di Museo, hanno parlato più i tribunali che gli esperti del ramo: chiavi lasciate al bar, caos, questioni politiche connesse.

La storia De Carlo finisce più romanticamente, in un abbandono. La tenera fanciulla aprì gli occhi, scoprì che il borsellino della città era vuoto (tanti milioni, come abbiamo appena ricordato, erano finiti dalla cassa pubblica alle tasche dell'architetto, per pagargli i suoi studi) e troncò la relazione. Per sempre.
Addio, trenino giapponese, addio nuovo centro storico, chi ci guadagnò fu lo Stato, per le tante opposizioni a quel piano regolatore che i cittadini inviarono, sulla prescritta carta bollata.
Ma non furono mai pareggiati i 650 milioni che costò quella strampalata storia d'amore. Il redivivo don Giovanni se ne andò, forse cantando la mozartiana aria del 'farfallone amoroso'.
Per una città ricostruita con le 'farfalle', era una beffa. [2]

Rimini ieri. Cronache dalla città
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1541, 05.12.2011. Modificata, 06.12.2011, 15:01

Antonio Montanari

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