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il Rimino - Riministoria
Che idea, la «Storia delle idee»
Una disciplina poco praticata a Rimini

Di tanto in tanto anche ad «cronista inutile» come il sottoscritto, è necessaria una breve pausa per un esercizio di modesta riflessione su quanto si va facendo e pubblicando in città, al di là delle contingenze legate alla presentazione di un libro o di una manifestazione. Una riflessione che può anche assumere i toni di una divagazione forse destinata soltanto a riempire un poco di spazio sul giornale, più che a trovare ascolto. Ci sono, nei «compitini» che dobbiamo preparare per il nostro foglio, dei binari obbligati che una volta tanto è piacevole abbandonare, per fare una sosta, come se scendessimo in una piccola stazione della nostra ideale linea ferroviaria, senza mirare al capolinea, per scoprire la bellezza di qualche minuscola immagine che la corsa veloce nasconde o modifica.
Leggendo le tante cose che si susseguono alla nostra attenzione, o riflettendo (siamo persino capaci di questo, pur scrivendo sopra un giornale) sulle proposte culturali che si affollano davanti alla mente o soltanto nel calendario, vien da chiedersi perché in mezzo a tanti spunti, entusiasmi, e persino clamori, non ci sia mai (o quasi mai, per essere ottimisti) nessuna attenzione ad un particolare ramo degli studi, che riguarda la «Storia della idee». Una disciplina, questa, che dovunque è coltivata per la sua straordinaria importanza; ma che a Rimini non trova seguaci, spazi ed ospitalità. O che, nel migliore dei casi, finisce per avere un ruolo assolutamente secondario, da vera e propria Cenerentola rispetto alle auguste sorelle invitate a solenni feste danzanti. Non so se la spiegazione che ci permettiamo di offrire sia quella giusta, ma temiamo di sì.

«Compiacenza
erudita»
La «Storia della idee» presuppone che si parta da un determinato «punto di vista», in base al quale esaminare un problema od una vicenda. Ma non sempre si trovano persone disposte a seguire un itinerario ben preciso per assumere questo «punto di vista». Itinerario che richiede una conoscenza non limitata all'orticello urbano, buone letture, il sacrificio di un'analisi che non sia semplice raccolta di dati, ma la loro rielaborazione ed interpretazione in base allo stesso «punto di vista», inteso come assunzione critica di responsabilità storico-letteraria. C'è ancora in giro molta di quella che Franco Venturi chiamava «compiacenza erudita», con un «accademico e letterario accumularsi di bei concetti, di belle parole e di belle notizie», come fossimo ancora agli inizi del Settecento. Per molti il tempo passa invano.

Viva le idee
dominanti
In quarant'anni di esperienza ai margini della vita culturale cittadina, ho maturato la convinzione che un po' dovunque nei nostri piccoli centri (non si offenda nessuno se consideriamo Rimini, Cesena o Forlì «leggermente» differenti da Roma, Milano, Firenze e Bologna), un po' dovunque (dicevamo) si ama procedere tranquillamente per accedere ai benefìci di chi tiene i cordoni della borsa, anziché guastare proficui rapporti d'amicizia tentando di esternare proprie idee e convinzioni, e di assumere una «responsabilità storico-letteraria».
Da questo atteggiamento nascono i tanti circoli chiusi entro i quali si alimenta il culto delle idee dominanti (e convenienti), discostandosi dalle quali ci si compromette in maniera irrimediabile. Personalmente abbiamo sperimentato questo clima, come raccontammo in un nostro Tama, per aver detto nel novembre 2001, in una conferenza presso un'associazione cattolica, che la campagna militare contro il terrorismo sarebbe stata pericolosissima come in effetti si è rivelata. (Ha scritto l'altra settimana Giorgio Bocca, non l'ultimo degli opinionisti, che «se c'è un buco nero del mondo da cui si dovrebbe stare alla larga questo è l'Iraq», militarmente indifendibile al pari dell'Afghanistan. A dargli ragione sono venute il 2 marzo scorso le stragi contro i musulmani sciiti, nel giorno della Ashura, la loro festa più sacra.) Venimmo cancellati dalla lista gestita dagli organizzatori, per successive occasioni. L'idea del «vado, l'ammazzo e torno» non ha trovato pratica realizzazione: abbiamo avuto (scusate l'immodestia) ragione noi, ma quelli che ci avevano invitati ora fingono di non conoscerci più. Viviamo tranquillamente lo stesso, ma fa paura il fanatismo ideologico di chi teme il confronto, non accetta di ascoltare idee diverse dalle proprie. Se tornassero tempi bui con ben note cacce all'oppositore, non so come si comporterebbero costoro: se vorrebbero alimentare qualche falò per salvare giustamente (a lor forte parere) delle anime deboli ed impenitenti.
Fare la «Storia della idee», chiarire pubblicamente che abbiamo un «punto di vista» assumendocene la «responsabilità storico-letteraria», diventa un esercizio talmente ingombrante che si sceglie di non praticare la disciplina, e si preferisce ripiegare su questioni non compromettenti. Si finge di fare alta cultura, e magari si ricopiano soltanto le idee degli altri. La vita di provincia (e Rimini d'inverno è una sublime città di provincia, mentre d'estate diventa tutto, cioè nulla), la vita di provincia ha tante di quelle furbizie che ormai sono diventate una caratteristica rilevante per la nostra sociologia come le passeggiate lungo il corso.
Di recente abbiamo trovato in un libro la biografia di un personaggio riminese-riccionese, interamente copiata da un nostro articolo apparso sul «Ponte», e presente su Internet. Il nome del vero autore di quelle pagine non è stato fatto da nessuna parte, tutto è diventato farina del sacco del curatore del libro. La pirateria editoriale è una pratica normale. In un altro volume, è stato ricopiato un brano del sottoscritto (senza ovviamente citarlo), in cui il testo di un documento del 1700 era intercalato da un commento per sua spiegazione. Orbene tutto è divenuto un'enorme citazione settecentesca, un'insalata russa in cui l'oggi e l'ieri si confondono, ed è scomparsa ogni distinzione fra il testo originale ed il commento. Questo accade perché si crede che il «fare Storia» consista nel riportare il massimo numero di documenti, senza preoccuparsi del loro significato. E perché nello studio della carte non ci si occupa o preoccupa di tante cose, e non si trascurano soltanto (per tornare a bomba) il «punto di vista» e la «Storia delle idee».

Le conferenze
sul Seicento
A proposito della quale «Storia delle idee», viene giusta un'osservazione relativamente al pregevole ciclo di conversazioni organizzate attorno alla mostra di pittura sul «Seicento inquieto», titolo attraente se l'inquietudine non fosse una costante di tutti i periodi e di tutte le testimonianze culturali, una specie di «categoria dello spirito». (Il 28 febbraio, il «Corriere della Sera» ha pubblicato un articolo sul Perugino di A. C. Quintavalle, intitolato: «Non capì le inquietudini del '500»...)
Le conversazioni sono complessivamente dieci. Quelle artistiche sono quattro (con Andrea Emiliani, Pier Giorgio Pasini, Angelo Mazza, Jadranka Bentini, Armanda Pellicciari). Poi abbiamo l'analisi di Enzo Pruccoli sulla cultura locale «fra astronomia e astrologia», la situazione sanitaria (con lo storico della Medicina dottor Stefano De Carolis), la religiosità (a cura di Gian Ludovico Masetti Zannini), il «bel vivere» tra mensa e guardaroba (con Orietta Piolanti ed Elisa Tosi Brandi), un tema romagnolo di Dante Bolognesi («Fra città e campagna»), e i «luoghi della cultura» illustrati dalla bibliotecaria gambalunghiana e storica Paola Delbianco.
Circa il Seicento, ha ragione da vendere Pier Giorgio Pasini quando scrive («L'Arco», 2003, II quadrimestre) che quello riminese «è poco stimato, tranne che per la sua pittura; ma soprattutto è poco noto». Queste sue sagge e giuste affermazioni iniziali sono state ribadite e messe a fuoco da Pasini in un passo successivo del suo saggio di presentazione della mostra sulla stessa rivista aziendale della Carim, laddove aggiunge: «Del Seicento riminese conosciamo abbastanza poco; e forse conosciamo solo, o soprattutto, uno degli aspetti più appariscenti della sua 'civiltà': la pittura».
Qualcosa di più appare in un breve testo ad apertura di fascicolo, che ipotizziamo composto dal direttore della rivista, il noto storico Enzo Pruccoli, il quale sottolinea due aspetti: lo «spagnolismo imperante nella vita sociale e letteraria», e «il manifestarsi di interessi e curiosità scientifiche non indegne di confrontarsi con il genio universale di Galileo Galilei». Qui Pruccoli non aggiunge per modestia quanto invece va segnalato: lui è stato uno dei primi studiosi ad occuparsi di quegli «interessi e curiosità» in un breve saggio apparso su «Romagna arte e storia» nel 1984 (n. 11), e dedicato a Malatesta Porta ed al suo inedito «Parere sopra il Segno astrologico ascendente della città di Rimino» (che immaginiamo sarà al centro della sua conferenza già ricordata, in programma per il 17 marzo).

Un deficit
culturale
Nelle parole di Pasini e Pruccoli, troviamo il ritratto di un deficit culturale cittadino, della mancanza di studi nel campo della «Storia della idee» e della loro circolazione. Da che cosa dipende? A Rimini non c'è una facoltà universitaria che affronti questi temi. Le tesi di laurea a carattere locale sono troppo spesso la semplice riproposta di vecchi scritti, con scarsa frequentazione degli archivi.
C'è infine un altro aspetto che favorisce lo studio dell'arte. Le mostre, tutti (o quasi) vanno a visitarle. In un museo si passa allegramente un pomeriggio. Altra cosa sono gli studi da leggere («Uffa, che barba»). Poi, parlare d'arte non inimica nessuno, in primis gli sponsor. Quando si va ad affrontare la «Storia della idee», invece sono rogne. Se parlate dell'età napoleonica, ci sono i tradizionalisti che insorgono. Se accennate a Galileo, un'elettricità mascherata vaga per l'aere. Se parlate di libero pensiero, qualcuno comincia a segnarsi la fronte ed a sentire odore di zolfo attorno a voi. Si dimentica (od ignora scientemente) la regola principale: che discutere di un argomento, non significa condividerlo.
Questo clima favorisce chi, nei gruppi chiusi e potenti, riesce a manovrare, grazie agli appoggi politici e finanziari offerti dagli enti pubblici. La nostra provincia (intesa pure come istituzione), si è dimostrata terreno fertile per la massoneria. Loro sì che la «Storia della idee» la sanno fare. Delle loro idee. Ed a spese nostre. (Un vecchio amico di famiglia, dichiaratamente massone, nel 1998 in occasione del convegno su Bertòla, ci confidò: «Per fortuna che ci siamo noi, altrimenti chi si sarebbe ricordato di lui...».)

Antonio Montanari


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923/Riministoria-il Rimino/14.03.2004
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