Riministoria
il Rimino


Rimini ieri. Cronache dalla città [1]
1945, fame e macerie
"il Ponte", Rimini, 16.10.1988
L'estate della Liberazione. Manca lo zucchero, non c'è luce elettrica. «Gli sfaccendati affollano i caffé». L'epurazione. Un motopeschereccio salta su una mina, dieci morti.

«Zucchero per i golosi e non per i bambini» protestano le madri riminesi: «Lo zucchero, elemento essenziale per i nostri bimbi nel periodo invernale, con la tessera è quasi scomparso».
Per fare gelati (denuncia un operaio del settore) nella sola Rimini occorreranno in media cinque quintali di zucchero al giorno: «Non vi sembra più logico e umano che lo zucchero rimanesse a disposizione della popolazione che ne ha tanto bisogno?»,
Ma per fare i gelati, gli rispondono, la legge permette l'uso di frutta dolcificata con mosto concentrato d'uva. Al caffé commercio, un cono con «zucchero e uova» costa addirittura 50 lire.
È l'estate del 1945, la gente fa i conti con il proprio borsellino. Un litro di olio, lo si paga persino 450 lire. Ai reduci di guerra con problemi di vista, per un paio di occhiali a Rimini chiedono 85° lire: a Bologna li ottengono per 350. Il pesce costa troppo, dice qualcuno, la colpa è delle tasse e dei commercianti del Nord. Ma, finalmente, il pane è buono.
Gli impiegati si lamentano: «Abbiamo fame», si parla tanto dei salari degli operai e dei diritti dei contadini, ci si dimentica però degli stipendi dei pubblici dipendenti.
Il mercato nero fa affari d'oro. C'è chi ottimisticamente sostiene che è possibile eliminarlo. Altri lo difendono: ha garantito la sopravvivenza.
Gli sfollati rientrano nelle loro case. Per chi vuole riparlare, la Cassa di risparmio stanza fondi. Ma sono più le macerie dei muri intatti. In città ci sarebbe posto solo per quattromila persone, dice un censimento degli alleati. Si comincia la ricostruzione.
Gli uffici della Camera del Lavoro «brulicano di disoccupati», ma Rimini è piena di lavoratori forestieri. I partigiani si chiedono perché.
Manca l'energia elettrica: protestano le famiglie operaie del Borgo San Giuliano. Le prospettive per l'inverno sono nere, di fame e di freddo.
Qualcuno scrive ad un giornale lamentando che nei locali della Biblioteca Gambalunga c'è polvere. Il direttore risponde: il personale è insufficiente.
«Gira la ruota dell'epurazione». Va di moda il cinema americano che ottiene grandi successi di pubblico. Un giovane è felice perché ha ritrovato la radio rubatagli durante la guerra.
Così la vita riminese di quell'estate è raccontata dai periodici locali che escono a pochi fogli e saltuariamente. Sono l'«Arengo» (democristiano), il «Garibaldino» (dei partigiani) ed il «Giornale di Rimini» (delle sinistre).

Il mercato della frutta e verdura dal primo settembre va in piazza San Francesco: nei vecchi locali del museo civico spariscono legname e laterizi. Due cittadini sono denunciati per furto di materiale di ferro in Duomo.
«C'è un crescendo spaventoso di furti nelle più varie ore della notte, malgrado l'istituzione della guardia notturna», scrive l'«Arengo»: «tale cosa lascia, più che pensierosi, sbalorditi...». Una richiesta: «Occorre vigilare su tanti sfaccendati che oziano nei caffé e fanno acquisti notevoli nei negozi senza avere cespiti di guadagni corrispondenti alla loro prodigalità».
Anche il «Garibaldino» affronta il problema: «Perché durante le ore delle giornate decine e decine di sfaccendati affollano i caffé giocandosi migliaia di lire? Perché qualche partigiano si confonde con gli eroi degli angoli dei caffé?».
E poi: «Si direbbe che il furto sia quasi diventato un genere di moda», ad opera di quei «romantici notturni che vivono la loro giornata spensierata, gozzovigliando, spendendo fior di quattrini senza aver nessuna rendita né occupazione».
Per il «Giornale di Rimini», invece, «niente rapine» nella città «pattugliata da giovani armati e decidi che, unitamente ad agenti di pubblica sicurezza e a carabinieri, vigilano sulle cose».

Nel «Garibaldino» è intervistato un operaio. Grida il titolo «Rimini... città aperta. Aperta ad ogni sopruso, ad ogni losco affare, ad ogni avventura, a discapito totale dei suoi ancora onesti cittadini». Esci la sera, dice l'articolo, e «sei costretto a rientrare scosso e certe volte pieno di paura. Ogni tanto una rivoltella estratta, un colpo ecc.».

Il «Giornale di Rimini» debutta in luglio con un titolo che riassume il clima politico di quei giorni: «Cinque ex podestà arrestati nel Circondario». Sotto lo slogan «Il popolo ha sempre ragione», un altro numero presenta la foro della fucilazione di Achille Storace, avvenuta in piazzale Loreto a Milano, il 29 aprile. Per le nuove masse post-belliche, si parla di educazione fisica e sport.

Il primario del nostro ospedale civile, prof. Luigi Silvestrini, al cinema Impero tiene una conferenza alle donne del Cif sul tema «Problemi femminili dell'ora».
Invece il «Giornale di Rimini» riferisce che «in Norvegia sono nati nel periodo di occupazione tedesca, 9.000 bambini illegittimi di padre tedesco»m e si chiede: «In Italia, quante sono le donne che hanno avuto bambini tedeschi?».

Il Circolo culturale ed artistico convoca «professionisti ed intellettuali» della città, perché contribuiscano «alla rinascita ed alla elevazione educativa del nostro popolo».
C'è chi pensa a «Riccione come una volta» (e si firma il Cafone). Il richiamo alla realtà è amaro. Su di una mina, nel mare di Cattolica, salta per aria il motopeschereccio Maria Luisa. Dieci morti. Alle onoranze funebri nasce un caso politico. Scrive l'«Arengo» che «dai partiti anticristiani si sono lanciati insulti e minaccie al Parroco, perché ha partecipato come semplice spettatore e non come sacerdote. Il Parroco risponde: "Non ho partecipato per non offendere la memoria dei cari scomparsi, avallando per cerimonia religiosa una manifestazione politica"». [1]

Rimini ieri. Cronache dalla città
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Antonio Montanari

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1535, 01.12.2011. Modificata, 02.12.2011, 18:21