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Nei sogni

Data di pubblicazione: 23-09-2007

Presentazione: Star Trek ci ha abituato a vite alternative che svaniscono in un lampo, quando l'universo riprende il suo corso naturale, da "Una vita per ricordare" (The inner light) a "Una vita da ricordare" (World enough and time). Ma cosa pensano i protagonisti di quelle vite, quando esse appaiono ancora così "reali"? Il racconto si colloca nel domani di "Ieri, oggi e domani", l'episodio conclusivo di Star Trek The Next Generation, quando l'Enterprise non è ancora entrata in gioco e il destino dell'umanità non si è ancora compiuto. È la storia d'amore tra il capitano Picard e Beverly Crusher, vista con gli occhi di uno dei protagonisti, una specie di Christmas Carol, sospesa tra i ricordi del passato e i desideri per il futuro.



"Spegnere le luci."
Il capitano Picard poggiò il libro sul comodino, si stiracchiò nel letto e attese che il computer eseguisse l'ordine appena impartito. Gradatamente, le luci si fecero soffuse e poi si spensero del tutto. Con gli occhi spalancati, il capitano Picard fissava il buio e ripensava agli avvenimenti recenti, alla sua tranquilla routine sconvolta dalla prospettiva di un'avventura come ai vecchi tempi e si rese subito conto che quella sarebbe stata una lunga notte priva di sonno, infestata dai ricordi del passato.
Il capitano Picard, il capitano Beverly Picard. Aveva conservato il nome per uno strano vezzo, - lei e Jean-Luc non erano più sposati da anni - ma, anche dopo il loro divorzio, Beverly non se l'era sentita di riprendere il nome Crusher, né quello di famiglia, Howard. Riteneva un suo preciso dovere far risuonare ancora il nome Picard nella galassia e nella flotta stellare, per tutti gli anni che Jean-Luc aveva dedicato all'esplorazione della prima e al servizio della seconda.
Conosceva bene Jean-Luc, come e forse più di se stessa. I lunghi anni di comunanza e consuetudine le avevano insegnato che non sapeva come comportarsi con i bambini, che non ne comprendeva l'esigenza di gioco e che, per questo, preferiva starne a distanza. Era un uomo sobrio, a tratti severo, che in fondo non era mai stato un bambino lui stesso. Anche con Wesley le cose non erano andate molto bene, all'inizio. Ricordava ancora quando, a Farpoint, si era presentata sul ponte dell'Enterprise, per prendervi servizio. Wesley era rimasto nel vano del turboascensore e lei aveva immediatamente percepito l'imbarazzo di Jean-Luc che, sulle prime, aveva cercato di mostrarsi accondiscendente, forse perché rivedeva in suo figlio quindicenne un giovane Jack e manifestava a quel modo il suo risentimento, o senso di colpa, per quanto era accaduto, sotto il suo comando, sulla Stargazer. Poi, però, si era spazientito e aveva invitato seccamente Wesley ad allontanarsi. Ma suo figlio era così speciale e dotato che Jean-Luc non poteva non rimanerne impressionato. Per questo, lo aveva successivamente accolto tra i membri dell'equipaggio, considerandolo parte integrante di esso e trattandolo alla stregua di un adulto. Tuttavia, era vero, Jean-Luc non amava i bambini. Ma, proprio perché lo conosceva bene, Beverly sapeva anche che, dopo la tragica scomparsa della sua famiglia nel rogo di La Barre, una voglia nuova si era insinuata in lui, un'urgenza quasi che, se non era un desiderio vero e proprio di paternità, era quanto di più vicino gli potesse andare. L'idea che non ci sarebbe mai più stato nessuno a tramandare il nome dei Picard causava in Jean-Luc una lacerante sensazione di perdita. Per questo Beverly aveva mantenuto il nome. Per questo era fiera di portarlo.

Mille pensieri le affollavano la mente, continuando a tenerla sveglia: la giornata era stata lunga, le emozioni tante. Si stavano dirigendo verso il sistema Devron, nella zona neutrale, dove, secondo Jean-Luc, era comparsa un'anomalia spaziale. Almeno, questo era quanto aveva sostenuto, presentandosi a bordo della sua nave assieme a Geordi e Data. Beverly non sapeva se dare credito alle sue parole o ritenere che si trattasse solo di una fantasia, innescata dalla sindrome irumodica, ma se Jean-Luc si era messo in testa di avere la sua missione, non sarebbe stata lei a negargliela. Almeno, per attraversare quei territori a loro ostili, potevano contare sull'aiuto di Worf, dopo che Will aveva negato il suo.
Si sentiva tesa e, per conciliare il sonno, pensò di tentare qualcuno dei trucchi che si usano solitamente a questo scopo: contare le pecore, concentrarsi su ogni singola parte del corpo, lasciandola rilassare poco a poco. Ma, come in un racconto di Dickens, i fantasmi del tempo passato vennero presto a visitarla. Il ricordo che le sovveniva adesso era dolce e struggente allo stesso tempo: era quello della prima volta in cui aveva capito di essere innamorata di Jean-Luc. Era stato quando gli aveva riscontrato il difetto nel lobo parietale. Allora, si era sentita così colpevole per non averlo sottoposto prima a un esame di livello quattro, nonostante sapesse che non era quella la prassi comune e che, seppure lo avesse fatto, la prognosi non sarebbe in alcun modo cambiata: per quanto si conoscessero le cause della sindrome irumodica, una delle possibili conseguenze di quel difetto, le cure restavano solamente palliative e non ci sarebbe stato niente che lei avrebbe potuto fare per frenare il decorso della malattia. Così, si era comportata come il suo dovere le imponeva, spiegando quante fossero le probabilità che il difetto evolvesse nella sindrome conclamata, attingendo alle rare statistiche e alle sue conoscenze mediche, e lasciando aperto un varco alla speranza. Ma, in cuor suo provava una pena infinita al pensiero che un uomo di quella levatura si sarebbe chiuso al mondo e che nessuno avrebbe mai più potuto godere anche solo della semplice gioia di conversare con lui. Jean-Luc glielo aveva letto in faccia e aveva cercato di fugare le sue angosce, poggiandole le mani sulle spalle e sorridendole. Era stato quello l'istante perfetto, il momento magico in cui aveva capito che non avrebbe più potuto fare a meno di quell'uomo e che, comunque fossero andate le cose, tutto ciò che desiderava era dividere la sua vita con lui.

Continuava a rigirarsi nel letto, l'insonnia la tormentava. Beverly pensava che non occorreva essere un medico per sapere che in quel caso era meglio distogliere l'attenzione, dedicarsi ad altro, piuttosto che restare in attesa di un sonno che tardava ad arrivare. Perciò si alzò, si diresse verso il replicatore e chiese un latte caldo con un po' di noce moscata. In quel momento, avrebbe tanto desiderato uno di quei rimedi o infusi medicinali che sua nonna Felisa era solita preparare, ma le formule non erano inserite nel replicatore. Sua nonna conosceva l'arte di mescolare erbe e radici e aveva sempre pronta una pozione contro ogni malanno. Come medico, Beverly aveva dedicato tutta la sua vita alla scienza e non credeva ai poteri magici delle erbe. Però, era di mente aperta, sempre pronta a studiare medicine alternative e aliene, e perciò disposta a concedere che ci fosse una sapienza antica, o anche un fondamento scientifico, in quello che sua nonna faceva, sebbene non escludesse che gli effetti prodigiosi di quegli strani intrugli fossero dovuti più ai rituali e all'affetto con cui Nana accompagnava la tazza fumante che alla potenza delle erbe. Era quella la magia vera che, quando era bambina, faceva sparire immediatamente non soltanto i dolori fisici, ma anche la strana sensazione, che ogni volta le procurava timore e sorpresa, - come se il suo cuore si dondolasse sull'altalena - che provava quando il suo sguardo incrociava quello di Stefan.
Sorseggiando la bevanda, Beverly si diresse al suo tavolo, si sedette e accese l'oloproiettore posizionato sopra di esso. Le foto del suo matrimonio erano sempre in memoria. Lei e Jean-Luc si erano sposati a bordo dell'Enterprise, con una cerimonia intima, cui avevano partecipato pochissime persone e che era stata seguita da un piccolo rinfresco per l'equipaggio. Wesley non vi aveva preso parte. Da quando suo figlio aveva lasciato la nave, per seguire il viaggiatore nell'esplorazione dell'universo e di altri piani dell'esistenza, i loro contatti si erano allentati. Tuttavia, Beverly poteva giurare di averlo sentito accanto a sé nell'istante stesso in cui aveva pronunciato il suo: "Lo voglio."
Guardò l'ologramma e si rivide, radiosa, con l'abito di seta blu e i fiori tra i capelli. Jean-Luc, accanto a lei, era magnifico nella sua uniforme di gala bianca. Al loro fianco, i due testimoni, Deanna per lei e Riker per il capitano. Si concentrò sui loro volti. Pur non essendo una betazoide, riusciva a leggere la rabbia repressa su quello di Will. Poco prima del suo matrimonio, Deanna e Worf avevano preso a uscire insieme e, a Will, la cosa, non era andata giù. Beverly, che aveva condiviso l'intimità di Will durante le ore concitate in cui la vita di Odan era appesa a un filo e lui si era offerto di ospitare il simbionte, in attesa dell'arrivo del trill predestinato, comprendeva la sua ambivalenza nei confronti di Deanna. Da una parte c'era il desiderio di libertà, la possibilità di avere una ragazza su ogni pianeta, senza doversi legare a nessuna, dall'altra l'attaccamento a quell'amore giovanile, che era stato talmente sorprendente, gioioso e intenso, da indurlo a ripromettersi di coltivarlo, quando fosse stato più avanti negli anni e la voglia di stabilità avesse prevalso su quella di avventura. Quello che Will si ostinava a ignorare è che, se non si è pronti a cogliere il momento, quello poi passa per sempre.
Beverly sorrise tra sé e sé - un piccolo sorriso un po' amaro - e tornò a guardare l'ologramma. L'espressione di Deanna, accanto a lei, era invece serena. Al tempo, Deanna le aveva confidato di essere decisa a esplorare fino in fondo il suo nuovo sentimento per Worf, che, nell'immagine, se ne stava un po' discosto, con la consueta espressione corrucciata sul volto. Beverly lo aveva già notato durante il suo matrimonio. Sapeva che era solo la maniera klingon di contenere le emozioni, ma ricordava di avere pensato che a Deanna sarebbe occorsa tutta la sua emotività di betazoide per far funzionare quella relazione, visto che avrebbe dovuto essere espansiva per entrambi. Al tempo stesso, Deanna e Worf le erano sembrati così desiderosi di capire dove li avrebbero condotti i loro sentimenti, che Beverly si era sentita in dovere, subito dopo la cerimonia, di augurare loro la stessa felicità che stava provando lei, quel giorno.

Per la luna di miele, lei e Jean-Luc avevano scelto Risa. Una scelta convenzionale e niente affatto in linea con il rigore di entrambi: era un pianeta più adatto alle follie dei giovani che a una coppia matura. E inoltre lei si era sentita anche un po' insicura, visto che era stato proprio su Risa che Jean-Luc aveva incontrato Vash, condividendo con lei molto più di un'avventura archeologica. Lo aveva saputo solo quando Vash si era presentata, con tutta la sfrontatezza di cui era capace, a bordo dell'Enterprise, per partecipare alla conferenza annuale del Consiglio Archeologico della Federazione. Allora, Beverly non era ancora disposta ad ammettere con se stessa di provare attrazione per Jean-Luc, ma era rimasta comunque molto sorpresa nello scoprire che lui e Vash avevano avuto una storia. Non avrebbe mai creduto che Jean-Luc potesse essere interessato a una donna così diversa da lui, - così diversa da lei - poco rispettosa delle regole e sempre pronta a trarre un vantaggio personale dagli eventi. Ma forse, era proprio per il fatto di essere diametralmente opposti che Jean-Luc si era sentito così irresistibilmente attratto. Ed era anche quella la ragione per cui, tra tutte le donne avute da Jean-Luc, Vash era l'unica che la rendeva gelosa.
Appena arrivati su Risa, però, i suoi timori erano evaporati al calore dei due soli che illuminavano il pianeta. La loro felicità era stata perfetta. Di giorno, le lunghe passeggiate sulla spiaggia di Suraya Bay - le loro mani allacciate - le avevano dato modo di scoprire il lato romantico di Jean-Luc. Di notte, dopo l'ubriacatura di suoni, luci e profumi del Festival della Luna, le fiamme della passione li avevano avvolti.
Il solo ricordo le accese il cuore e i sensi.

Ancora seduta al tavolo, - l'ologramma dinanzi a lei - Beverly si stava chiedendo quando le cose tra lei e Jean-Luc erano cambiate. Era iniziato tutto con la morte di Deanna, avvenuta circa cinque anni dopo il loro matrimonio. La navetta su cui Deanna stava viaggiando, di ritorno da una conferenza, si era ritrovata nel bel mezzo di una tempesta ionica di inusuale portata e aveva fatto naufragio sulla superficie di un vicino pianeta di classe N, troppo inospitale per permettere all'Enterprise, che si trovava distante da lì, di arrivare in tempo a cavarla d'impaccio.
Alla notizia della scomparsa di Deanna, l'urlo di Worf si era sentito risuonare lungo tutti i ponti: terribile, agghiacciante, straziante. Ma anche gli altri ne avevano sofferto, come per Tasha, molto più che per Tasha, e le cose non erano mai più state le stesse. Era sceso su loro e tra loro uno strano silenzio, un perenne imbarazzo, come se starsi vicini non servisse altro che a perpetuare all'infinito quel dolore. Era stato allora che avevano cominciato a pensare a carriere separate e le loro strade si erano divise. Worf era stato il primo ad abbandonarli. Il suo risentimento per quello che sarebbe potuto succedere tra lui e Deanna, ma che non era successo, e l'orgoglio di Will nel non ammettere che forse ne era lui il responsabile, avevano reso la frattura tra i due insanabile. Worf era tornato alla sua gente, a occupare il posto che a lui era riservato nell'alto consiglio klingon.
Poi, era stata la volta di Geordi. Dopo il matrimonio con Leah, si erano trasferiti su Rigel III, dove avrebbero cresciuto i loro tre figli.
L'allontanamento di Worf e Geordi e la crisi del settimo anno erano stati fatali per il suo matrimonio. Jean-Luc sentiva approssimarsi la fine dei suoi viaggi spaziali e, difatti, di lì a poco avrebbe abbandonato il comando dell'Enterprise per un incarico d'ufficio, dove avrebbe scalato tutti i ranghi della marina, fino a che gli sarebbe stato conferito il titolo - puramente onorifico - di ambasciatore.
A Will era rimasto il comando dell'Enterprise. Realizzava così il suo desiderio di restare sulla nave, per il quale aveva rinunciato alle tante occasioni di carriera che gli erano state prospettate durante gli anni. Data gli era rimasto accanto, - avrebbe mantenuto per sempre il suo viso liscio di androide - ma, nel suo tentativo di umanizzazione, aveva cercato di somigliare il più possibile ai suoi compagni, ormai avanti con gli anni. Per questo, quando si era finalmente deciso a occupare la cattedra Lucasiana di matematica dell'Università di Cambridge, la stessa cattedra che era stata di Newton prima e di Hawking poi, aveva inalberato una vistosa ciocca di capelli grigi, che secondo la sua domestica lo faceva somigliare ad una donnola.
Quanto a lei, avrebbe seguito Jean-Luc ovunque, ma lui non desiderava che la fine della sua carriera fosse anche la fine della carriera di lei e perciò l'aveva spinta ad accettare il comando della Pasteur, la nave che ormai guidava da ben quindici anni. Così, Beverly si era ritrovata sola, impegnata in missioni umanitarie e di soccorso come quella che stava conducendo, prima che Jean-Luc arrivasse a bordo, a requisire la sua nave.
Aveva cercato di tenersi in contatto con lui, ma i rapporti con le altre razze viaggiavano sul filo del rasoio da un po' di tempo a quella parte e le comunicazioni, che dovevano necessariamente attraversare territori altrui, non sempre erano facili, né veloci.
Lei e Jean-Luc si erano persi.

Si risvegliò al cinguettio degli uccelli. Jean-Luc, accanto a lei nel letto, dormiva ancora. Beverly si alzò, si diresse alla finestra e si affacciò: l'odore del caprifoglio riempiva l'aria. Grossi fiori di ibisco sporgevano tra i cespugli: la pioggia battente degli ultimi giorni aveva reso le loro corolle enormi. La vendemmia sarebbe stata buona quell'anno - pensò - e il vino avrebbe acquistato quel delicato sapore fruttato che aveva reso le cantine Picard famose in tutta la Francia.
Indossò una leggera vestaglia e uscì. La casa padronale era stata ricostruita secondo il disegno originale, grosse mura e alberi ombrosi li difendevano dall'approssimarsi della calura estiva. I vigneti si stendevano a perdita d'occhio dinanzi a lei, lunghi filari carichi di uve ancora acerbe.
Adesso, Beverly stava camminando lungo il selciato antistante la casa. Indossava un largo cappello di paglia e guanti da giardinaggio. Era sempre stata appassionata di etnobotanica e ora coltivava varie specie di fiori, i cui semi aveva riportato con sé dai suoi viaggi, nel suo giardino, dove nasturzi e sterlizie si mescolavano a muktok e crystilie, in un'allegra macchia di colore. Prese le forbici dalla cesta che portava appesa al braccio, si diresse verso il cespuglio delle rose e ne recise alcune.
Senza sapere come, si ritrovò in cucina con i fiori che aveva appena raccolto a fare bella mostra di sé nel vaso, al centro del tavolo. Aprì il frigo, prese il succo d'arancia e ne riempì la brocca, mise i croissant a scaldare nel forno e l'acqua per il tè nel bollitore. Apparecchiò la tavola. Stava mettendo le foglie di tè nella teiera, quando sentì uno sguardo poggiarsi su di lei. Si girò e vide Jean-Luc che, nel vano della porta, si stava stropicciando gli occhi ancora pieni di sonno: i rumori della cucina, o forse i suoi profumi, lo avevano svegliato. Sedettero a tavola, uno accanto all'altro, e si apprestarono ad assaporare il loro petit déjeuner, e, con quello, le piccole cose quotidiane, quelle che davano loro una gioia immensa.

"Capitano in plancia", disse il computer. Beverly si risvegliò di soprassalto, rendendosi conto di essersi addormentata sulla seggiola, con il capo reclinato sul tavolo e il rumore dell'oloproiettore in stand-by a fare da sottofondo.
Si riassettò, chiese al replicatore un caffé nero, caldo, senza zucchero, che bevve tutto di un fiato, ordinò al computer di aprire la porta e si diresse rapida verso il ponte, dove Jean-Luc, Geordi, Data e Worf la stavano aspettando. Non sapeva ancora dove l'avrebbe condotta quell'avventura, e neppure se c'era davvero un'avventura ad aspettarla, ma capì che nei sogni che aveva appena fatto era scritto il suo futuro.
Jean-Luc avrebbe compiuto la sua ultima missione, poi sarebbe tornato alla sua quieta vita nei campi di La Barre e lei con lui. Seguirlo contrastava con gli sforzi di tutta una vita e significava buttare all'aria la sua carriera. Ma non le importava.
Si trattava di dare retta ad un sogno che poteva essere fallace. Ma non le importava.
Non era affatto ragionevole e Beverly se ne rendeva perfettamente conto. Ma neppure di questo le importava, perché, dopotutto, una donna non è responsabile dei propri sogni.



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