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DI CHI E' L'ACQUA?

 

 

 

 
50 litri al giorno, garantiti a tutti
di Riccardo Petrella (da Carta n.10 del 10.3.2005)



Partiamo dal principio fondamentale che l'acqua per bere, cucinare, alimentarsi, lavarsi [l'acqua potabile, l'acqua "domestica" basilare per vivere, la cui quantità indispensabile è stata stimata in 50 litri a giorno e a persona dall'Organizzazione mondiale della salute], e l'acqua per la produzione agricola, industriale e le attività terziarie indispensabili alla vita di una comunità umana [l'acqua per la sicurezza d'esistenza collettiva, la cui quantità necessaria è stata stimata a 1700 metri cubi dall'Oms e dalla Fao], fanno pienamente parte del diritto fondamentale all'acqua, individuale e collettivo. Questo diritto si fonda sull'accesso all'acqua per gli usi umani vitali, di cui nessuno, per nessuna ragione, può essere privato.

Il diritto all'acqua non appartiene al campo della scelta. Non è negoziabile. Non è reversibile. È universale, indivisibile, imprescrittibile. Anche un condannato a morte ha diritto all'acqua. Dipende quindi dalla responsabilità della collettività, cioè delle istituzioni e dei responsabili pubblici, assicurare le condizioni necessarie [giuridiche, economiche, finanziarie, sociali…] per garantire la concretezza di questo diritto per tutti, in quantità e qualità sufficienti alla vita e alla sicurezza dell'esistenza collettiva, secondo le norme internazionali succitate.

Si può discutere del "livello" dei criteri menzionati, 50 litri e 1700 metri cubi. Alcuni, ad esempio, considerano la seconda cifra eccessiva. Non si può, comunque, ridurre il campo del diritto all'acqua alla sola acqua potabile. È la nostra proposta. Ovviamente, non significa che questo diritto può essere soddisfato in qualunque modo, in particolare con pratiche non "sostenibili" sul piano sociale, ecologico, economico.

Garantire il diritto all'acqua ha costi eccessivi? Portare l'acqua in ogni casa, com'è stato fatto quasi completamente nei paesi ricchi e nei gruppi sociali agiati, ha significato investimenti colossali su lunghi periodi, senza parlare dei costi per la cura e il miglioramento delle infrastrutture e dei servizi esistenti; e, da qualche anno, per il trattamento e la raccolta delle acque usate.
Questi costi sono in continuo aumento e rimangono notevoli. Ci torneremo. Sono spesso fuori dalla portata delle capacità finanziarie delle collettività locali dei paesi poveri, e anche, dicono, delle collettività dei paesi ricchi. È questo uno degli argomenti più usati per giustificare le difficoltà incontrate ancora oggi per assicurare il diritto all'acqua per tutti e ovunque.
In realtà, l'argomento è tendenzioso. Perché anche in numerosi paesi "a capacità finanziaria debole" dell'Asia, dell'Africa e dell'America latina, i dirigenti "trovano" risorse finanziarie per le spese militari - e poliziesche - molto più rilevanti di quelle per l'acqua potabile, aiutati in ciò dai dirigenti dei paesi ricchi [i principali venditori d'armi al mondo].

Invece, la pratica mostra che:
- nei paesi ricchi le risorse pubbliche esistono. Si possono creare sistemi pubblici di ingegneria finanziaria funzionanti, di varie nature, fino ai dispositivi basati sull'intervento di consorzi di banche e casse cooperative legate al mondo dei sindacati e dei movimenti della società civile [Chiesa, finanza etica]. Chi dice, ad esempio, che non è più possibile che nuove Casse di risparmio veramente cooperative non possano realizzare quel che il movimento delle Casse cooperative Desjardins ha fatto in Québec, nell'ambito dei servizi pubblici, nel periodo 1950 -1990?
- nei paesi poveri, le risorse potrebbero anche essere trovate con l'annulamento del debito di questi paesi, che rimane uno scandaloso saccheggio delle richezze del sud da parte dei paesi ricchi del nord.
Insomma, considerando il diritto umano all'acqua, queste risorse devono e possono essere prese in carico dalla collettività. Il loro finanziamento riguarda l'erario. Ed è possibile.

Acqua potabile/acqua domestica per vivere. Nei paesi ricchi, riguardo all'acqua potabile / acqua domestica per vivere, il finanziamento pubblico deve coprire il costo dei 50 litri di acqua, al giorno e a persona, indipendentemente da reddito, età, cittadinanza, sesso e lavoro. E deve coprire anche una parte dei costi legati all'uso dell'acqua domestica che superino i 50 litri e corrispondano alla ricerca del benessere individuale e familiare.
In Vallonia e in Svezia, ad esempio, un abitante usa rispettivamente, in media, 109 e 119 litri al giorno per usi domestici. La qualità del suo livello di vita viene considerata più che decente. Il che significa che nei paesi ricchi si può vivere più che decentemente con 120 litri d'acqua al giorno.
Facciamo l'ipotesi che le nostre società decidano di considerare 120 litri quotidiani ad abitante come un uso ragionevole, sostenibile. In questo caso, bisognerebbe applicare a un uso d'acqua situato tra i 50 e i 120 litri a persona un tariffa che proponiamo di chiamare "la tariffa della sostenibilità", e che sia di poco inferiore al costo reale di produzione.

Al di là dei 120 litri e fino ai 180/200 litri [il consumo medio di un abitante dell'Europa occidentale], si entra nel quadro di un alto consumo d'acqua, segno di un alto enore di vita. Si dovrebbe allora applicare "la tariffa dell'interesse individuale", a tasso progressivo, proporzionale alla quantità usata.
Si fa l'ipotesi che più di 200 litri al giorno a persona rappresenti, per le nostre società, un uso eccessivo, non sostenibile, uno spreco del patrimonio universale. In questo caso, proponiamo di applicare "la tariffa del divieto", secondo il principio "chi inquina non può". Se la società considera effettivamente che più di 200 litri costituiscono un'attesa reale per la qualità di vita dell'ecosistema, né il principio "chi consuma paga" né il principio "chi inquina paga" possono venire applicati, visto che non permettono la gestione sostenibile del bene acqua.

Acqua per la sicurezza dell'esistenza collettiva. Per quanto riguarda il finanziamento pubblico dell'acqua per la sicurezza dell'esistenza colletiva, è urgente mettere ordine in una situazione segnata da una regolamentazione poco adatta e troppo permissiva in quasi tutti i paesi ricchi; da un sistema di sussidi generalizzati poco chiaro, che obbedisce agli interessi corporativi dei più forti; e dall'assenza di una politica di gestione finanziaria coerente. In altre parole, i prelievi e l'uso dell'acqua per l'agricoltura e l'industria sono o senza costo per gli utilizzatori o largamente sussidiati.
Proponiamo che si apra in Europa, prima di qualunque negoziato Agcs [gli accordi per la privatizzazione dei servizi della Omc, ndr.] e insieme al rigetto della direttiva Bolkenstein, un ampio dibattito su questo tema, sapendo che è urgente definire, secondo noi, il livello che le autorità pubbliche considerano, sul piano mondiale, come la quantità di acqua produttiva per la sicurezza dell'esistenza collettiva di una comunità umana.
Ricordiamo che l'impiego per l'agricoltura, l'industria e l'energia rappresentano oggi il 90 per cento dei prelievi mondiali di acqua dolce.
Secondo l'Oms e la Fao, una comunità umana ha bisogno, per vivere in sicurezza idrica, di 1700 metri cubi a persona e all'anno. Tra 1000 e 1700 metri cubi, si scivola verso una situazione di allarme idrico e al di sotto di 1000 metri cubi si cade in una condizione di penuria idrica, dalle gravi conseguenze sul piano della salute, dell'alimentazione e della vita.

Due tesi pericolose. Un "contratto mondiale dell'acqua" che regoli questi aspetti è urgente, perché la sua assenza rischia di generare due situazioni critiche. Da una parte, il rafforzamento del principio della "sovranità idrica nazionale". Si assisterà così, soprattutto nell'ipotesi di una rarefazione crescente dell'acqua dolce, al rafforzamento della "nazionalizzazione" della gestione dell'acqua, strettamente subordinata agli interessi nazionali, invece di una responsabilità mondiale in materia di sicurezza idrica. Dall'altra parte, si affermeranno le tesi "sull'acqua virtuale", secondo le quali i paesi in situazione di allarme o di penuria idriche avrebbero interesse a non produrre in loco il cibo, anche quello di prima necessità, che richiede grosse quantità d'acqua, ma ad importarlo, risparmiando così il prelievo di quantità di acqua notevoli. La quantità non prelevata rappresenterebbe "l'acqua virtuale".
Apparentemente ragionevoli, queste due tesi sono pericolose perché:
a] Trasferiscono all'ambito degli scambi commerciali la regolazione politica di quello che dovrebbe appartenere all'ambito della cooperazione e della mutualità interregionali, continentali e mondiali. Nell'ambito agricolo, le regole commerciali sono tra le più ingiuste, le meno solidali e le meno "sostenibili", e sono inoltre dominate dai grandi trust mondiali, nordamericani, europei e giapponesi, dell'agro-alimentare e della grande distribuzione. Suggerire ai paesi che hanno penuria di acqua di far dipendere la loro sicurezza collettiva dai termini di scambi commerciali profondamente diseguali, ci sembra poco ragionevole.
b] Condannano questi paesi ad una dipendenza dei paesi che producono e distribuiscono derrate agricole, queste tesi impediscono ogni sforzo di definizione e di applicazione di politiche e istituzioni mondiali [diverse, ad esempio, dalla Fao, dall'Oms e dalla Wto/Omc, sempre più infeudate agli interessi occidentali] nell'ambito agricolo, industriale e energetico.

Per i paesi che non devono fronteggiare un deficit idrico, proponiamo:

a] Che 1700 metri cubi a persona all'anno siano presi in carico dalla collettività: questa cifra deve essere stabilita in modo preciso rispetto ai diversi paesi, nel quadro di un "serpente" di variazioni tra 1200 e 1700 metri cubi. La copertura finanziaria di questi costi verrebbe assicurata da meccanismi di perequazione sulle entrate percepite con la fiscalità sugli usi superiori a 1700 metri cubi.
b] Che, oltre i 1700 metri cubi a persona all'anno, si applichi una tariffa progressiva, che varia in funzione degli usi per l'agricoltura e l'industria, la loro quantità e il loro impatto sugli ecosistemi, e dei prelievi fiscali di perequazione sugli usi a finalità energetica.
c] Che si definisca da quale livello di consumo i principi "chi consuma paga" e "chi inquina paga" non vengono applicati ma sostituiti dal divieto.
Per i paesi in allarme idrico e soprattutto in penuria idrica, proponiamo: che, per prima cosa, le autorità locali favoriscano l'uso sostenibile e rigoroso dell'acqua prioritariamente per gli usi domestici [acqua potabile e salute] e per l'agricoltura destinata a soddisfare i bisogni locali, vietando gli usi ingiustificati e inadeguati per l'agricoltora di esportazione. A questo fine, dovrebbero essere sostenuti dai paesi ricchi del nord, che dovrebbero smettere di sovvenzionare l'esportazione dei loro prodotti agricoli [con 347 miliardi di dollari l'anno!] e dare almeno un terzo di questi sussidi a favore dello sviluppo dei paesi poveri, il che - in termini economici puramente quantitativi - basterebbe, insieme all'annullamento del debito, per cancellare, in 15 anni, la fame, la sete e le malattie connesse, nel mondo intero.

Tutto ciò permetterebbe a questi paesi di concentrarsi sul problema della crescita irragionevole e "assassina" dei grandi concentramenti urbani/baraccopoli.
La negazione del diritto alla vita attraverso la mancanza di accesso all'acqua per la vita è nel cuore di queste città. Ci sono soluzioni che permetterebbero uno sviluppo urbano più sano e meno devastante. Una di queste risiede nello sviluppo di città medie e nella ricostruzione di "municipalità a misura d'uomo" all'interno delle grandi città con milioni di abitanti. Ciò permetterebbe alle popolazioni di partecipare alla gestione e alla soluzione dei problemi comuni, concentrando il lavoro degli abitanti soprattutto su ciò che riguarda l'acqua, l'alimentazione, l'alloggio, la salute, i trasporti collettivi e l'educazione.

In questi paesi, il problema della copertura dei costi può essere trattato solo nel quadro di una politica integrata di sviluppo della società e dei diritti umani e sociali. Sono le scelte realizzate a questo livello a dettare le priorità nella politica agricola, industriale, sanitaria, al centro delle quali si trova la questione dell'acqua e del diritto alla vita.

Queste dimensioni vengono totalmente ignorate dal rapporto "Finanziare l'acqua per tutti" scritto dal Gruppo Camdessus, compilato su iniziativa del Consiglio mondiale dell'acqua, con il sostegno della Banca mondiale, delle multinazionali private dell'acqua e di un certo numero di governi favorevoli alla privatizzazione dei servizi idrici. Per i suoi autori, l'essenziale del finanziamento dell'acqua per tutti ruota attorno alla creazione di un ambiente di regole economico favorevole all'iniziativa privata, in grado di attrarre gli investimenti privati stranieri.

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Liscia, gassata e sporchetta. L'alluvione di acqua minerale
di Romano Nobile e Giulio Piantadosi (da Carta n.10 del 10.3.2005)


L'acqua è la base della vita sulla terra. Ma oggi questo bene comune, questa risorsa preziosa, è in pericolo. Ciò grazie alla devastazione ecologica della terra, all'inquinamento, alla deforestazione e conseguente desertificazione, allo sfruttamento dell'uomo, agli sprechi, alle privatizzazioni. Il numero di persone che vivono in paesi privi di una quantità adeguata di acqua salirà secondo alcune previsioni, tra il 1990 e il 2025, da 131 a 817 milioni.

Vi è crisi idrica quando la quantità pro-capite disponibile all'anno è inferiore a mille metri cubi. Sotto questa soglia, lo sviluppo e la salute di un paese sono fortemente ostacolati, al di sotto di 500 metri cubi la sopravvivenza è gravemente compromessa.

Grazie alla scarsità, l'acqua da bene comune è così diventata un business. L'acqua è l'oro blu del futuro, l'acqua è quotata in borsa. Come sottolinea Vandana Shiva nel suo ultimo libro ["Le guerre dell'acqua"], "i conflitti per l'acqua sono destinati a dilagare, soprattutto a causa delle crescenti privatizzazioni e dei conseguenti giochi di potere che ruotano a ciò che, a torto o a ragione, è ritenuto invece un bene universale".

Il boom delle bollicine in Italia

L'Italia, ricchissima di fonti, non fa parte, per sua fortuna, di quella parte del mondo che non ha accesso a questo diritto fondamentale. Tuttavia, in una ricerca Istat del 2000 era stata rilevata una grave irregolarità nell'erogazione, nel 24 per cento della popolazione del Molise, nel 30 per cento in Sicilia e addirittura nel 45 per cento in Calabria. In queste ultime regioni, non è la siccità a mettere a repentaglio il diritto all'acqua. È il cattivo sfruttamento delle falde e delle condotte colabrodo.

L'oro blu è diventato oggetto di ricatto da parte delle mafie locali e di sfruttamento da parte delle grosse multinazionali dell'acqua. "La mercificazione dell'acqua, facilitata dal boom delle acque minerali, rappresenta uno dei mali più grossi e insidiosi", afferma Riccardo Petrella, presidente del Comitato italiano del Contratto per l'acqua.

Per descrivere la situazione occorre senz'altro partire dallo sconcertante primato dell'Italia nel settore delle acque minerali. Gli italiani sonoi primi consumatori di acqua minerale non solo in Europa ma in tutto il mondo. Il consumo medio pro-capite, che nel 1988 era di 80 litri, nel 2003 è più che raddoppiato passando a 182 litri, con un incremento del 115 per cento. Nel resto dell'Europa occidentale l'incremento è stato del 106 per cento. Si è passati dai 50,2 litri del 1988, ai 103 litri del 2002.

Le acque minerali "made in Italy" sono ai vertici del mercato mondiale, con 177 imprese e 287 marchi: 11 miliardi di litri imbottigliati di cui 1 miliardo destinato all'esportazione [soprattutto in Canada e Stati uniti]. Calcolando un prezzo medio al litro di 0,50 euro, si ottiene un fatturato complessivo annuo di circa 5 miliardi e 500 milioni di euro pari a circa 11 mila miliardi di lire.

In Italia, San Pellegrino [gruppo Nestlè], San Benedetto [gruppo Danone] e la Co.Ge.Di Italacqua coprono da sole i tre quarti del mercato. Nestlè, che è svizzera, e Danone, francese, sono rispettivamente al primo e secondo posto tra le imprese di acqua minerale. Nestlè possiede più di 260 marche d'acqua minerale in tutto il mondo. Tra di esse, Vittel, Contro, Perrier, San Pellegrino, Levissima, Panna, San Bernardo, Pejo, Recoaro. Danone possiede invece, tra le altre, Ferrarelle, San Benedetto, Guizza, Vitasnella, Boario, Fonte vica, e vorrebbe acquistare l'acquedotto pugliese, il più grande d'Europa.

Un brindisi con l'arsenico
Secondo recenti dati Istat, l'87,2 per cento della popolazione sopra i 14 anni sorseggia acqua minerale. E Mineracqua, l'associazione di categoria degli imprenditori del settore, sostiene che l'80 per cento degli italiani considera l'acqua minerale come l'elemento più sano e naturale, in quanto più pura dell'acqua di rubinetto. Tuttavia, come spiega il Rapporto sullo stato dell'acqua in Italia, si tratta di una credenza ingiustificata indotta dalla pubblicità. L'acqua minerale non è né per definizione né in pratica necessariamente più pura e più sana dell'acqua potabile comune.

L'acqua minerale è considerata dalla legge "acqua terapeutica". Significa che può contenere cinque volte la quantità di arsenico e quaranta volte quella di manganese ammesse nell'acqua di rubinetto. Queste due sostanze sono considerate da Fao e Oms come pericolose per la salute.

Nel 2003 alcune inchieste del procuratore aggiunto di Torino Raffaele Guariniello accertavano contenuti di idrocarburi al benzene in quantità dieci volte superiore alla media [fu il caso dell'acqua Guizza]. La fonte dell'acqua Fiuggi, invece, venne chiusa dopo la scoperta di sostanze nocive nelle bottiglie.

In questo clima di scandali il ministro della salute Girolamo Sirchia, per salvare o non disturbare il mercato, varò in piene festività natalizie [era il 29 dicembre del 2003] un decreto che innalzava la soglia di tolleranza per molti degli inquinanti trovati nelle minerali [tra i quali tensioattivi, oli minerali, antiparassitari, idrocarburi] facendo rientrare molte industrie dell'acqua imbottigliata, come per magia, nella legalità. Si chiama il decreto "salva acque minerali" e consentiva inoltre, per far rientrare nei limiti di legge le minerali con eccesso di arsenico o manganese, di abbassarne le quantità tramite un trattamento di ozonizzazione, ossia tramite l'uso di ozono.
Un procedimento che potrebbe creare sostanze indesiderate, più pericolose di quelle che si intende limitare [è il caso dei bromati, fortemente cancerogeni].

126 marchi fuori legge

Un anno dopo, in applicazione della direttiva europea numero 40 del 2003, il ministero della sanità, dopo anni di comportamenti incomprensibili, è sembrato schierarsi dalla parte dei consumatori, dichiarando con un decreto legge, illegali a partire dal 1 gennaio di quest'anno tutte quelle acque minerali che superino i limiti di quantità delle sostanze nocive previste per l'acqua potabile comune. Ben 126 marchi di acque minerali sono state così messe al bando, ma alcune figurerebbero ancora sui banchi dei negozi, dato che nessuno avrebbe dato ancora mandato ai Nuclei antisofisticazione dei Carabinieri di imporne il ritiro.

Le regioni sembrano aver lasciato tutto nelle mani della provvidenza. E tutti i vertici, aziende sanitarie locali, ministeri e forze dell'ordine seguono il medesimo atteggiamento: "acqua in bocca".
Dal gruppo di minerali fuori legge, fatta eccezione per la San Paolo di Roma, mancano stranamente i grossi nomi. Evidentemente i big del mercato, come Danone e Nestlè sono riusciti a presentare analisi tranquillizzanti al ministero. Probabilmente dopo aver tempestivamente effettuato, ove necessario, il trattamento di ozonizzazione.

Ciò non toglie che l'intensificarsi delle revoche delle autorizzazioni al commercio sia impressionante e preoccupante. Si deve precisare che l'avvelenamento cronico, dovuto ad esposizione a lungo termine di arsenico attraverso le acque potabili, secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, causa cancro alla pelle, ai polmoni, alla vescica ed ai reni. Mentre il manganese oltre la misura consentita, potrebbe incrementare la suscettibilità a infezioni polmonari.

Contro l'allarme lanciato da ambientalisti e dal Contratto mondiale dell'acqua, Ettore Fortuna, presidente di Mineracqua, in una intervista al Salvagente, il settimanale che aveva denunciato lo scandalo delle acque minerali ritirate, usava toni tranquillizzanti sostenendo che ogni azienda subisce almeno 300 controlli l'anno, senza contare l'"autocontrollo"."Noi non avveleniamo nessuno - precisava Fortuna - L'allarmismo è eccessivo, perché l'Italia ha un patrimonio unico per qualità e quantità di acque minerali, non vedo perché ci dovremmo far male da soli, gettando un'ombra su un intero comparto: se qualcuno ha sbagliato, come la San Paolo di Roma, trovata con un eccesso di manganese, ebbene la sbatteremo fuori dalla nostra associazione".

Prezzi alti e canoni bassi
L'acqua minerale è più cara dell'acqua potabile. Costa dalle 300 alle 600 e persino 1000 volte più dell'acqua del rubinetto. Secondo un'inchiesta di Federconsumatori il costo medio in Italia di 200 metri cubi di acqua potabile, corrispondente al consumo medio annuo di una famiglia, nel 2000 era di 361.269 lire, cioè 1,86 euro al metro cubo. Un litro di Perrier costa più di 1000 litri di acqua del rubinetto [di quella di Forlì, la più cara d'Italia] e quasi 30 mila volte di più dell'acqua potabile di Milano. Il consumo annuo di acqua minerale Perrier [1,48 euro a bottiglia] da parte di una famiglia media può certamente costare attualmente più di 1000 euro, cioè più di due milioni di vecchie lire, all'anno. Nei bar di Roma, un semplice bicchiere di acqua minerale costa mediamente cinquanta centesimi di euro.

Secondo Riccardo Petrella, il successo di mercato dell'acqua minerale è "uno scandalo": "Ci troviamo di fronte ad un fenomeno di sfruttamento a fine di lucro di un bene demaniale pubblico che, secondo quanto ha riconfermato la legge sull'acqua del 1994 fa parte del patrimonio inalienabile delle regioni - spiega il fondatore del Contratto mondiale dell'acqua - Lo sfruttamento avviene con il beneplacito formale ed esplicito delle autorità pubbliche".

Le regioni hanno ceduto il diritto di gestione delle acque minerali a tariffe radicalmente basse: Su 2000 miliardi di lire che rappresenta il business delle acque minerali in Lombardia, la Regione ha visto arrivare nelle sue casse meno di 300 milioni di lire, una miseria rispetto agli incassi delle imprese private.

Occorre peraltro sottolineare che le regioni si devono anche sobbarcare il costo dello smaltimento dei contenitori di plastica [in Pet]. Più dell'80 per cento delle acque minerali usa infatti bottiglie in plastica. E così le regioni finiscono per spendere più di quanto incassano dai canoni. Soltanto per favorire alcune multinazionali che addossano al potere pubblico il costo del loro inquinamento.

Un fiume di denaro in pubblicità

Per allargare sempre di più il proprio business, i signori dell'acqua spendono annualmente cifre astronomiche in pubblicità. Fanno parlare di sé a ogni spot televisivo, invadono le pagine dei giornali, come sottolinea il coraggioso giornalista di "Famiglia Cristiana" Giuseppe Altamore [autore di vari libri sull'argomento tra i quali "I predoni dell'acqua", e "Qualcuno vuol darcela a bere"] rimpinguano gli esausti bilanci delle case editrici che accettano ben volentieri milioni di euro di pubblicità in cambio del silenzio.

"È difficile trovare sulla stampa articoli non elogiativi sulle miracolose proprietà delle bollicine - spiega - Un fiume di milioni di euro sommerge i mass media e spegne, molto spesso, qualsiasi approccio critico all'informazione in questo delicato settore". Spesso i produttori, nella loro ansia di convincere i consumatori, incappano nelle ire del garante, che pone un freno agli spot giudicandoli pubblicità ingannevole. Ma che importa? Le sanzioni sono talmente lievi che quasi nessuno se ne accorge.

Sugli scaffali dei supermercati non ci sono solo le acque minerali, trovate per esempio la cosiddetta "acqua di sorgente". Questo prodotto e "una via di mezzo tra l'acqua potabile e la minerale". Deve avere un'origine rigorosamente sotterranea, non può essere disinfettata ma può essere trattata [con l'ozono?] per rimuovere l'arsenico, il ferro e il manganese. E, dulcis in fundo, trovate, guarda caso l'"acqua potabile imbottigliata". All'apparenza può sembrare acqua minerale, invece è acqua ad uso umano [cioè di rubinetto] "microfiltrata" e ricostituita con l'aggiunta di sali minerali. Insomma, si tratta di acqua comune sotto mentite spoglie.

Nel mondo l'azienda leader di quest'acqua è la Coca cola che vende l'acqua comune in bottiglia nei paesi del sud del mondo privati dell'acqua come bene comune. Era prodotta proprio dalla multinazionale di Atlanta l'acqua Dasani, imbottigliata e venduta in Gran Bretagna. È stata ritirata dal mercato perché conteneva una elevata percentuale di bromato, una sostanza che può svilupparsi per reazione nelle acque trattate con ozono.
In Italia venticinque produttori di filtri per il trattamento dell'acqua potabile sono nel mirino di una indagine dei Nas. L'inchiesta è partita da un esposto di Mineracqua, in cui si faceva riferimento alla somministrazione da parte di alcuni ristoranti di Roma, delle cosiddette acque in caraffa spacciate per acqua minerale. Diversi ristoranti sono stati condannati per aver somministrato acqua che aveva perduto i requisiti di potabilità. Il fenomeno dell'acqua potabile imbottigliata meriterebbe un discorso a parte; nel nostro paese imbottigliare l'acqua del rubinetto è perfettamente legittimo, basta sapersi organizzare. Per ora questa vera e propria truffa legalizzata è limitata, si ritiene infatti che non raggiunga il 4 per cento della produzione totale di acqua minerale. Vale a dire un fatturato prevedibile in circa 200 milioni di euro.
Ma il fenomeno potrebbe crescere data la tendenza generalizzata a privatizzare gli acquedotti pubblici. Contro la gestione privata dell'acqua in Toscana è stata proposta una legge regionale di iniziativa popolare che tende appunto a sottrarre le reti idriche toscane alla gestione di privati.

Due inchieste giudiziarie
Dal 25 dicembre 2003 è definitivamente entrata in vigore una nuova legge sulla qualità delle acque destinate al consumo umano, la numero 31 del 2001.
L'obiettivo della nuova legge è la ricerca di una sempre maggiore sicurezza sulla base delle indicazioni dell'Organizzazione mondiale della sanità e di ricerche epidemiologiche internazionali che rivelano la presenza di nuovi rischi prima ignoti.

Sono state infatti individuate sostanze inquinanti che, in passato, non si pensava potessero esistere nell'acqua potabile, anche in frazioni di millesimi di grammi. Finora si riteneva che tale legge non potesse riguardare le acque minerali ma soltanto l'acqua potabile comune.

Invece, il sostituto procuratore di Bari, Domenico Seccia, ha disposto la citazione in giudizio per i vertici di due aziende, la Claudia prodotta ad Anguillara Sabazia [in provincia Roma] di proprietà della San Pellegrino, e la Nuova Tutolo Rionero, con stabilimento in provincia di Potenza. La prima azienda dovrà rispondere [udienza 22 aprile prossimo] per la presenza di arsenico, boro, fluoro e manganese. La seconda per eccesso di arsenico.
Gli imputati dovranno rispondere delle accuse di produzione e commercio di bevande pericolose per la salute pubblica.

Il pubblico ministero ha ritenuto che le acque minerali devono avere gli stessi limiti delle acque potabili di rubinetto. Il ministero della salute, rispondendo in aula a un'interrogazione della deputata verde Luana Zanella, ha confermato lo stop al rilascio del riconoscimento dell'acqua minerale naturale prelevata dalla San Benedetto dai pozzi di Padernello di Paese. Infatti il Consiglio superiore di sanità ha rilevato la presenza di un valore di arsenico superiore al limite di legge.

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Un miracolo economico inutile e inquinante
di Maurizio Pallante (da Carta n.10 del 10.3.2005)


Alla fine dell'Ottocento, quando mia nonna era bambina, la sua famiglia viveva in una casa in cui non c'era l'acqua corrente, come in quasi tutte le case. Così ogni giorno dovevano andare a prenderla alla fontana nella piazzetta vicina.

La vedo con gli occhi dell'immaginazione scendere le scale carica di brocche e secchi, fare un piccolo tratto di strada, mettersi in coda chiacchierando con le altre donne e le altre bambine in attesa del loro turno, tornare a casa portando a braccia i recipienti pieni.

Una vita faticosa e dura. Oggi, dopo più di cent'anni di progresso, nei supermercati le persone riempiono i carrelli di bottiglie di plastica piene d'acqua, le scaricano nei portabagagli delle automobili, con cui le portano fino alle loro abitazioni, le scaricano dai portabagagli e le portano a braccia in casa. Proprio come faceva mia nonna. Ma con sei differenze.

1. Mia nonna era costretta a fare la fatica di portare a braccia l'acqua in casa. La sua non era una scelta. Oggi le persone che fanno questa fatica, non vi sono costrette. La loro è una scelta. E il passaggio dalla costrizione alla libertà di scelta è un progresso, baby!

2. Mia nonna per portare l'acqua a casa doveva soltanto scendere le scale e fare un breve tratto di strada a piedi. Oggi le persone per coprire il tragitto casa-supermercato-casa usano l'automobile. Impiegano più tempo, hanno costi di trasporto e consumano fonti fossili, che emettono Co2, ossidi di azoto [Nox] e polveri sottili [pm 10], incrementando l'effetto serra e inquinando l'aria. Ma andare in automobile è un progresso, baby!

3. L'acqua che portava a casa mia nonna era attinta dalla falda idrica sottostante; l'acqua in bottiglia viene da centinaia, o migliaia di chilometri di distanza. Ha un costo di trasporto e consuma fonti fossili, che emettono Co2, ossidi di azoto [Nox] e polveri sottili [pm 10], incrementando l'effetto serra e inquinando l'aria. Ma l'estensione dei mercati è un progresso, baby!

4. I recipienti di metallo con cui mia nonna trasportava l'acqua erano sempre gli stessi; quelli utilizzati oggi sono di polietilene tereftalato [Pet] monouso. Per produrli si è consumato petrolio in un'industria petrolchimica [2 chilogrammi di petrolio per ogni chilogrammo di plastica]; si è consumato gasolio per trasportarli dall'industria petrolchimica allo stabilimento dove è stata imbottigliata l'acqua; altro gasolio si consumerà per portarli dalle abitazioni ai cassonetti della raccolta differenziata e di qui a… Al consorzio obbligatorio Replastic? Alla discarica? All'inceneritore? Ogni trasporto delle bottiglie ha comportato un costo e un consumo di fonti fossili, che emettono CO2, ossidi di azoto [Nox] e polveri sottili [pm 10], incrementando l'effetto serra e inquinando l'aria. Ma l'economia di mercato e l'industria sono un progresso, baby!

5. La produzione di un chilogrammo di Pet richiede 17,5 chilogrammi di acqua e rilascia in atmosfera 40 grammi di idrocarburi, 25 grammi di ossidi di zolfo, 18 grammi di monossido di carbonio e 2,3 chilogrammi di anidride carbonica [Paul Mc Rande, "The green guide", in "State of the world 2004", Edizioni Ambiente, Milano 2004, pagg. 136-137]. Poiché una bottiglia in Pet da 1,5 litri pesa 35 grammi, con un chilo di Pet se ne fanno 30. Pertanto, per trasportare 45 litri d'acqua se ne consuma quasi la metà. A mia nonna poteva caderne qualche goccia per strada se riempiva troppo i suoi recipienti. Quanto all'emissione di gas, al massimo qualche volta sotto lo sforzo poteva rilasciare qualche scorreggetta.

6. L'acqua che portava in casa mia nonna non costava nulla, l'acqua in bottiglie di plastica costa da 2 a 4,5 euro alla confezione di 6 bottiglie da 1,5 litri [prezzi di novembre 2004]. In realtà, il costo effettivo dell'acqua contenuta nelle bottiglie è solo l'1 per cento del costo di produzione totale, l'imballaggio ne assorbe il 60 per cento. Ma si può spendere di più solo se si è più ricchi e la crescita della ricchezza è un progresso, baby!

Rispetto ai tempi di mia nonna, per fare la stessa fatica e avere la stessa utilità ci vuole più tempo, si inquina molto, mentre prima non si inquinava affatto, e si paga, mentre prima non si pagava. Il contributo alla crescita del prodotto interno lordo dato dalla produzione e dal commercio delle acque in bottiglia ha comportato un peggioramento della qualità della vita individuale e della qualità ambientale. Questo è il progresso, baby?

Quanto paga e quanto inquina in un anno una persona che consuma acqua in bottiglie di plastica nella misura di 1 litro al giorno? Trecentosessantacinque litri corrispondono a poco più di 40 confezioni da 6 bottiglie di 1,5 litri. Ai prezzi attuali, il costo va da 80 a 180 euro all'anno. Per trasportare 15 tonnellate, che corrispondono a 10 mila bottiglie d'acqua da 1,5 litri, un camion consuma 1 litro di gasolio ogni 4 chilometri [25 litri ogni 100 chilometri]. Ipotizzando una percorrenza media di 1000 chilometri, tra andata e ritorno [l'acqua altissima e purissima che va dall'Alto Adige alla Sicilia ne percorre molti di più], il consumo di gasolio ammonta a 250 litri, ovvero 250.000 cm3 che, divisi per 10 mila bottiglie corrispondono a 25 cm3 di gasolio per bottiglia. Moltiplicando 25 cm3 per 240 si deduce che il consumo giornaliero pro-capite di 1 litro di acqua in bottiglia comporta un consumo di 6 litri di gasolio all'anno.

A questi 6 litri di gasolio vanno aggiunti: i consumi di petrolio per produrre le bottiglie di plastica [8 kg per 240 bottiglie]; i consumi di gasolio dei camion che trasportano le bottiglie di plastica vuote dalla fabbrica che le produce all'azienda che imbottiglia l'acqua e dei camion che le trasportano dai cassonetti agli impianti di smaltimento; i consumi di benzina degli acquirenti nei tragitti casa-supermercato-casa. Ipotizziamo quindi che il consumo annuo di combustibili fossili di una persona che compri l'acqua in bottiglie di plastica sia di almeno di 8 litri di gasolio/benzina oltre gli 8 chili di petrolio.

Una famiglia di quattro persone spende quindi ogni anno da 320 a 720 euro e fa bruciare almeno 32 litri di combustibili fossili per bere acqua in bottiglie di plastica. Evidentemente pensa di ottenere vantaggi superiori ai costi economici che sostiene e ai danni ecologici che genera. Dal punto di vista chimico e batteriologico questi vantaggi non ci sono. Dal punto di vista organolettico possono esserci se l'acqua distribuita dall'acquedotto è troppo clorata. Ma per toglierle il sapore del cloro è sufficiente scaraffarla con un po' di anticipo, o utilizzare appositi filtri consentono di eliminarlo.

In realtà il costo dell'acqua minerale in bottiglia comprende anche il costo delle frottole che si bevono insieme ad essa. Una di queste acque, secondo la pubblicità, fa digerire tutto. Una fa fare tanta pipì [come tutte le acque, anche con quella del rubinetto]. Una ha un effetto collaterale sorprendente: risveglia il desiderio erotico. Una è fatta con energia verde al cento per cento. Una si pubblicizza facendo fare una pernacchia a una particella di sodio. Una a volte fornisce l'apporto di calcio necessario a prevenire l'osteoporosi, a volte è utile nella prevenzione della calcolosi perché è povera di calcio...
Se invece non si beve di tutto e al posto dell'acqua in bottiglia si beve l'acqua del rubinetto, si ottiene un risparmio economico che comporta una diminuzione dell'inquinamento ambientale. E una decrescita del Pil.

Ciò disturba non solo le industrie che imbottigliano e vendono acqua minerale, le aziende di trasporti e petrolchimiche, i ministri delle finanze [riduce il gettito dell'Iva sulle vendite di acqua in bottiglia e delle accise sui carburanti]; i presidenti delle aziende municipalizzate, o consorzi, o Spa a prevalente capitale pubblico per la gestione dei rifiuti perché diminuiscono gli introiti delle discariche e degli inceneritori; i gestori di reti di teleriscaldamento alimentate da inceneritori, perché devono rimpiazzare il combustibile derivante da rifiuti [che ritirano a pagamento] con gasolio [che devono comprare].

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Ripubblicizzare l'acqua e fermare la privatizzazione dei beni comuni
Comitato politico PRC regione Lombardia

Servizi Locali di pubblica utilità: un diritto

I servizi locali di pubblica utilità (acqua, energia, rifiuti, ecc.) sono uno strumento collettivo che può garantire a tutti l'esercizio dei diritti di cittadinanza e che può ridistribuire ricchezza. Sono il segno distintivo di una società realmente e solidaristicamente civile. Oggi tali servizi sono colpiti da liberalizzazione e privatizzazione. Bisogna invertire la tendenza.
A questo scopo si deve definire e praticare la difficile e non breve lotta della ripubblicizzazione.
Nell'immediato vogliamo costruire una piattaforma regionale che, partendo dalla pubblicizzazione possibile, sappia:
1. realizzare l'affidamento in house sia del Servizio Idrico Integrato (bloccandone le privatizzazione in Lombardia), sia degli altri servizi oggi gestibili in forma pubblica (rifiuti, teleriscaldamento, trasporti, ecc.).
2. rallentare la privatizzazione di tutti i servizi mantenendo o recuperando il 100% di proprietà pubblica nelle S.p.A.;
3. rafforzare il ruolo di indirizzo e di controllo sulle Società da parte degli Enti Locali. In pratica ciò significa che Consigli Comunali, Sindaci e Amministrazioni Comunali devono essere soggetti determinanti lella governance dei servizi locali, decidendo le finalità territoriali, gli indirizzi di sviluppoe la relativa politica delle risorse.
4. Riaffermare il criterio della TERRITORIALITA' sostanziato dalle seguenti qualificazioni:
· Norme amministrative comunali e provinciali che devono affermare la territorialità del"bene primario servizio di pubblica utilità" mediante forme completamente pubbliche di assetti societari e proprietari.
· Aggregazione societaria delle S.P.A. pubbliche che deve avere una funzione di coordinamento e cooperazione territoriali in alternativa ai piani di integrazione-privatizzazione in holding sovra territoriali.
· Partecipazione di cittadini soggetti di territorio che si pronuncino mediante consigli o altri strumenti decisionali.
La pratica di questi obiettivi deve tener conto del quadro di privatizzazione in corso.

Il quadro di privatizzazione: il "Big Match"delle utilities in generale in Lombardia
A livello nazionale sono in atto varie operazioni di alleanze, fusioni, acquisizioni tra S.P.A. e con privati per costituire soggetti di grandi dimensioni in grado di intervenire nel nuovo "mercato" delle utilities.
In Lombardia i due progetti di holding più significativi in corso sono :
"LOMBARD UTILITIES" (IN FASE ANCORA INIZIALE) (un progetto di holding che aggrega 20 ex municipalizzate); "LINEA GROUP (IN FASE MOLTO AVANZATA) (un progetto di holding costituito da 4 soci Aem Cremona, Tea Mantova, Astem Lodi, Atm Pavia e 2 aspiranti CsC Crema, Cogeme Brescia).

I progetti di privatizzazione si basano su 2 cardini strategici:
1) L'aggregazione dei vari business riordinati su linee verticali regionali in Società di scopo/filiera deterritorializzate.
Le Società di filiera: per l'Acqua Lombarda (includente le Società d'Ambito affidatarie dei servizio idrico intergrato); per l'Energia Lombarda (teleriscaldamento, produzione di energia elettrica, ecc.); per Rifiuti e Ambiente Lombardia (ciclo completo dei rifiuti). Le Società di scopo per gestire: le fasi acquisto, trasporto, stoccaggio, modulazione della filiera del gas; la fase del servizio di distribuzione gas.
2) L'istituzione di holding che partecipano le Società di scopo/filiera e le dirigono con governance centralizzata.
Così i servizi pubblici, perduta la territorialità, diventano soggetti economici orientati al mercato e alla competizione e il loro governo passa dalle amministrazioni locali alle Società di scopo/filiera e alle holding controllate dalle lobbies politico/manageriali.

Piattaforma regionale contro la privatizzazione
La crescente consapevolezza del diritto ai beni comuni e le grandi mobilitazioni in loro difesa possono oggi raggiungere il concreto obiettivo di ostacolare la privatizzazione attraverso la seguente piattaforma:
1) Realizzare le pubblicizzazioni già oggi possibili a partire dal Servizio Idrico Integrato (acqua). La Finanziaria 2004 (art. 14) dà la facoltà agli Enti Locali di affidare direttamente i servizi acqua, rifiuti, calore e trasporti a S.p.A. totalmente pubbliche, dobbiamo quindi chiedere a tali enti di applicare questa normativa. Dal progetto di gestione pubblica del SII, contenuto nel manifesto del CICMA, si ricava la serie di atti da rivendicare localmente a Province, ATO e Comuni:
· delibera dell'ATO e dei comuni di affidamento diretto in house della gestione del SII al costituendo o esistente Gestore Unico Pubblico (G.U.P.);
· Stipula della convenzione e approvazione degli statuti delle società pubbliche. In particolare gli statuti degli enti locali devono prevedere che :
- lo statuto delle Società e gli atti fondamentali debbano essere approvati e modificati non solo dall'assemblea dei soci ma anche dai consigli comunali.
- I documenti e le informazioni in possesso delle Società, vengono fornite al Comune. Essi devono essere accessibili ai componenti del Consiglio e della Giunta con le modalità e le forme previste dal regolamento del consiglio.
- Mantenere la proprietà delle reti e degli impianti in mano totalmente pubblica : laddove gli enti locali conferiscono i propri bene alla S.P.A. patrimoniale, devono provvedere esplicitamente nel prorio statuto e in quello della S.P.A. , che i soci azionisti possono essere solo gli Enti Locali.
- Prevedere anche l'inserimento di clausole sociali di salvaguardia per i lavoratori del settore trasferiti, al fine di evitare peggioramenti contrattuali e garantire il mantenimento dei livelli occupazionali .
- Prevedere che gli utili debbano essere investiti per migliorare le infrastrutture,la qualità e l'accessibilità del servizio per l'utenza.
2) Usare gli spazi di ripubblicizzazione esistenti (gas ed energia)
Di recente sono state introdotte modifiche delle norme di settore che permettono di rallentare le privatizzazioni in particolare la legge Marzano 23 agosto 2004, n. 239 proroga il periodo transitorio per gli affidamenti in essere dei servizi del gas e dell'elettricità fino il 31 dicembre 2008 e anche fino al 2012 e indica la necessità di darsi dimensioni adeguate per la gestione dei servizi.
Rifondazione chiederà ai governi regionali di centrosinistra e auspicabilmente anche a quello nazionale di introdurre, nei prossimi 2 o 3 anni, normative fondate sul diritto ai beni comuni che permetteranno di:
· stabilizzare i servizi mantenuti completamente pubblici con gestioni dirette o in house;
· confermare la pubblicizzazione delle S.p.A. rimaste di proprietà pubblica al 100% in forza della proroga Marzano.
È' dunque evidente che dobbiamo assolutamente utilizzare questi spazi di legge.

Attuazione della piattaforma regionale contro la privatizzazione
La piattaforma deve avere il massimo sviluppo politico e organizzativo.
Il C.P.R. decide di:
1) Presentare nei Consigli Comunali /Provinciali l'o.d.g. sull'acqua predisposto dal CICMA.
Assumere il "MANIFESTO ITALIANO PER UNA GESTIONE PUBBLICA NUOVA DELL'ACQUA" del CICMA come punto di riferimento;
1) Proporlo a tutti i soggetti di territorio che lottano per il diritto ai beni comuni.
2) Portare "Il Manifesto" nel confronto per l'alleanza regionale di centrosinistra, chiedendo di inserirne i contenuti nel programma.
3) Convocare incontri provinciali (di Comitato Politico, Direttivo, Dipartimenti o commissioni lavoro e ambiente di Federazione), aperti ai movimenti, nei quali presentare e adeguare localmente i punti di piattaforma, raccogliendo comunque informazioni sullo stato di liberalizzazione/privatizzazione dei servizi pubblici locali, in particolare del SII;
4) Costruire un progetto alternativo a LOMBARD UTILITIES sulla base del lavoro del punto 1e basato sull'affidamento diretto in house e sulla territorialità.
5) Cogliere e rilanciare la proposta di collegare tutte le lotte in un "tavolo regionale del diritto all'acqua" che sia costituito in un convegno regionale, in collaborazione col CICMA, da convocare in marzo, anche in forza delle seguenti due circostanze:
· il Forum Sociale Europeo, nello stesso mese, propone di attuare iniziative per il diritto all'acqua e contro la liberalizzazione-privatizzazione dei servizi pubblici prevista dagli accordi GATS e dalla direttiva Bolkenstein
· la battaglia per il diritto all'acqua deve assumere il rilievo elettorale che le spetta;
6) Finalizzare alla costruzione del convegno regionale, il lavoro svolto dalle federazioni indicato nei punti precedenti.

Intervenire sulle situazioni di emergenza
Linea Group è il punto più avanzato della strategia lombarda di aggregazione tramite holding. Il suo progetto può diventare operativo nel 2005 se, per fine anno, tutti i 4 comuni soci della holding votano la relativa delibera indirizzo. Ad oggi questo è accaduto in 3 comuni. È quindi necessario portare alla quarta delibera le seguenti modifiche:
- scorporo del servizio idrico integrato dal progetto Aziende di filiera e affidamento in house;
introduzione di clausole di garanzia territoriale con relativa revisione delle decisioni assunte negli altri comuni.
Per sviluppare ulteriormente l'opposizione a questo progetto di deterritorializzazione e privatizzazione, il coordi namento, già organizzato dal dipartimento lavoro regionale, deve aggregare le federazioni di Brescia, Crema, Cremona, Mantova, Lodi, Pavia e definire un programma di pubblicizzazione dell'acqua e dei beni comuni che sappia contrapporsi alle particolari tattiche provinciali e sovraterritoriali di Linea Group.
Dicembre 2004

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