Movimento
sviluppatosi a partire dalla metà degli anni '60 a livello internazionale
basato su una concezione dell'arte che rifiuta di identificare il lavoro
dell'artista con la produzione di un qualsiasi oggetto di più o meno
rilevante qualità estetica e ritiene che l'essenza dell'arte sia invece
nell'idea, nel concetto che precede e conforma l'opera. I precedenti di
questo atteggiamento sono numerosi e vanno dalle premesse mentali di gran
parte dell'opera di Magritte ("Ceci n'est pas une pipe",
1929) a tutta l'opera di Duchamp (il riferimento più frequente del
concettualismo), a quella di Fontana, Klein e Manzoni,
a certa arte visuale e programmata con la sua attenzione al progetto e al
gioco o funzionamento dell'intelligenza (Stella, Lo Savio, Castellani,
Colombo), agli esiti dell'arte minimal e ambientale, con la loro
attenzione al calcolo da cui nasce l'opera, alla trasformazione
dell'ambiente in opera, con Morris, Judd, Andre, Lewitt.
Le premesse di queste esperienze sono portate alle estreme conseguenze
dall'arte concettuale degli anni sessanta e settanta: il percorso dell'idea,
la riflessione teorica e filosofica, la precisazione e presentazione del
processo di formazione del pensiero, l'azione linguistica, vengono posti in
primo piano rispetto al risultato materiale di tale azione che viene
considerato come pura esemplificazione fisica del linguaggio.
Protagonisti storici del concettuale sono negli Stati Uniti Joseph Kosuth
e Sol Lewitt, teorici, oltre che artisti, del movimento; in
Inghilterra Art & Language (Aktinson, Baldwin e altri); in Italia Agnetti
e tutto il gruppo di "Arte Povera" con Pascali, Paolini,
Kounellis, Merz, Pistoletto e molti altri.
Al concettualismo è riconducibile la poetica del movimento Fluxus, tra cui
spiccano nomi che lo hanno attraversato come Beuys, Paik e Spoerri.
Un'altro versante del concettuale è la performance e la body art, con Pane,
Rainer, Lüthi, Abramovic, Acconci, Ontani,
Nitsch.
Innumerevoli sono poi le personalità isolate che presentano connotazioni
concettuali nel loro lavoro anche se allargato alla molteplicità del
linguaggio che è caratteristica dell'arte di fine Novecento. Gli
anni Sessanta e parte degli anni Settanta sono animati da una forte istanza
di rinnovamento politico e morale che parallelamente al movimento
studentesco e operaio prende anche il settore delle arti. L'opposizione al
sistema è l'atteggiamento corrente e la ricerca spontanea di soluzioni
alternative si manifesta in più direzioni prevalentemente nel segno della
libertà e della sperimentazione del nuovo, svincolata da qualsiasi
ancoraggio a principi precostituiti di autorità culturale o etica. La
ricerca è condotta a rifondare la comprensione della realtà partendo dalla
demistificazione di tutte le pratiche rappresentative e dando campo libero
al pensiero per indagare l'essenza delle cose e delle relazioni tra di esse.
La coerenza e il rigore di tale atteggiamento porta alla presa di distanza
dai tradizionali mezzi espressivi dell'arte, pittura e scultura. Gli artisti
si rifanno frequentemente ad esperienze e intuizioni anticipatrici come
quelle del Magritte di "Ceci n'est pas une pipe", in cui
l'enunciazione linguistica svela la vera natura dell'opera, che trascende la
consistenza materica della pittura; si ricollegano a tutta l'esperienza
duchampiana che apriva all'universo sconfinato del reale il campo di azione
dell'arte assumendo a dignità estetica l'oggetto d'uso comune; si rifanno
alle intuizioni dei Nouveaux Réalistes Klein e Manzoni, in
cui l'opera è già una semplice traccia lasciata dall'azione causata dal
pensiero (la serie delle "antropometrie" di Klein o
impressioni su carta del corpo colorato dei suoi modelli o le uova
autenticate e la merda d'artista di Manzoni).
Sono non a caso le esperienze tendenti a liberare l'arte dalla schiavitù
dell'oggetto e che privilegiano il processo mentale che precede
l'esecuzione, nel quale l'opera è già compiuta. Ed è proprio il pensiero,
il concetto, che diviene centrale per la nuova poetica, che assumerà
appunto il nome di "concettuale", a discapito del prodotto.
L'atteggiamento ha una perfetta corrispondenza con l'umore fortemente
ideologizzato del tempo. L'arte si libera da qualsiasi orpello che può
legarla al mondo della produzione e al potere e si pone come atto
rivoluzionario nella ricerca della sua propria essenza che è allo stesso
tempo ricerca della verità attinente all'essere.
Da tale premessa deriva la disinvoltura e l'indifferenza con la quale gli
artisti che seguono questa linea di pensiero utilizzano i mezzi più vari ed
eterogenei, desunti da qualsiasi ambiente e da qualsiasi disciplina utile
allo scopo, allargando così enormemente il campo di azione dell'arte. Se
infatti l'arte è in primo luogo"processo di conoscenza" e la sua
materializzazione ha un'importanza relativa avendo soprattutto la funzione
di veicolo attraverso il quale si trasmette l'idea, il campo di azione
dell'arte si allarga alla sfera di tutti gli strumenti espressivi che il
pensiero può concepire come adeguati allo scopo.Qualsiasi tecnica o materiale possono essere utilizzati e nell'arte
entrano oltre a materiali inediti come la terra, le piante, l'acqua del
mare, i materiali sintetici industriali e così via, nuove categorie come la
durata (l'evento o happening) o l'uso del corpo (bodyart).
Il processo non è solo una chiarificazione della natura dell'opera, ma di
quella dell'arte stessa e della sua storia. Allontanando l'arte
dall'identificazione con il manufatto e concependola invece come idea, anche
la storia dell'arte viene vista come una storia di idee. L'arte vive quindi
attraverso l'influenza che esercita su altra arte e non quale residuato
fisico delle idee di un artista. Le effettive opere d'arte sono poco più
che curiosità storiche.
L'impostazione teorica del concettualismo coinvolge anche la condizione
operativa dell'artista in quanto elemento di un contesto sociale. Il suo
impegno si articola così da una parte in un riesame completo della natura
dell'arte al di là dell'apparenza dei suoi prodotti e dall'altra in un
comportamento di chiara opposizione nei confronti del sistema. Questi due
aspetti del suo operare sono inoltre inscindibili l'uno dall'altro.
La posizione politica porta l'artista concettuale ad un comportamento
ambiguo e contraddittorio nei confronti della produzione artistica: rifiuta
il prodotto mercificabile, ma registra in qualche modo con progetti,
fotografie, video la sua azione e questi ultimi finiscono per sostituire con
la stessa vecchia logica di mercato le opere tradizionali. La coscienza del
carattere utopico di certe istanze concettuali è subito chiara agli stessi
operatori e critici del movimento come Altamira (1974): "Fino a date
che sembrano oggi molto avanzate (1972/73) sembrava ancora possibile
l'illusione di un'arte "senza mercato", o non mercificabile,
un'arte quindi pura e senza compromessi: utopia che già dopo il 1969 s'è
dimostrata chiaramente tale. E' ovvio che secondo quest'ottica era
estremamente importante la creazione dialetticamente ineccepibile di una
"teoria sull'arte" che fosse, al contempo, anche l'unica
manifestazione artistica di questo tipo d'arte: un momento di equilibrio tra
filosofia, arte e storia. Si è poi verificato invece come il cambiamento
dei media e delle modalità di "registrazione" degli eventi
sostituisse, ma non negasse completamente il ruolo avuto precedentemente
dall'oggetto": le conseguenze della commercializzazione anche di questo
settore delle arti sono state molteplici: non ultima quella che ha visto
stabilirsi, anche in questo contesto un nuovo concetto di
"eleganza" (...)".
Anche l'arte concettuale in parte rientra così nel circuito della
distribuzione. Ma gli artisti concettuali rimuovono il problema spostando
l'accento dalla destinazione ai fattori che generano o costituiscono
l'opera. Ciò che conta per essi è la realizzazione di un evento che sia
una presa di coscienza di ordine intellettuale, mentale, concettuale
appunto, rispetto a situazioni e problemi di carattere quanto mai vario,
politico, sociologico, esistenziale, epistemologico, antropologico, ecc.
L'area di appartenenza definita "concettuale" è molto vasta
trattandosi di una poetica che può manifestarsi in un atteggiamento, in
un'intenzionalità, in un progetto mentale, che in quanto tali possono
trovarsi presenti in artisti quanto mai diversi tra loro. Sol Lewitt (1928) pur rimanendo molto vicino alle realizzazioni
minimal, del resto vicine a loro volta al concettuale, è uno dei primi
teorici del movimento. Scrive su Art Forum nel 1967: "Nell'arte
concettuale l'idea concetto è l'aspetto più importante del lavoro. Quando
un artista utilizza una forma concettuale di arte, vuol dire che tutte le
programmazioni e decisioni sono stabilite in anticipo e l'esecuzione è una
faccenda meccanica. L'idea diventa una macchina che crea l'arte." E nei
suoi lavori è palese come sia l'idea a costituire l'opera: egli porta a
compimento secondo la tecnica minimaluna
riduzione della forma ai suoi termini più essenziali in modo da rendere
chiara senza inutili distrazioni la relazione matematica in cui gli
elementi-segni del lavoro sono posti in connessione dal progetto mentale che
li ordina e tale progetto, tale idea è il vero e unico contenuto
dell'opera. Quando Lewitt organizza una successione di orme basate sul
quadrato che da superficie diviene volume cubico e poi parallelepipedo, con
una scansione in distanze uguali e misurabili entro una struttura che
comprende tutte le possibili varianti, è evidente che la forma particolare
in cui si è organizzato il lavoro è solo una conseguenza delle relazioni
logiche e matematiche sulla base delle quali è stato costruito e che queste
sono il vero contenuto dell'opera. JosephKosuth (1945) svolge una intensa attività teorica in
ambito concettuale i confini della quale si confondono con quelli della sua
stessa produzione artistica, a partire dalla celebre "One and Three
Chairs" del 1965, in cui vengono presentate tre versioni di una sedia,
una iconica (la fotografia), una fisica (la sedia reale), una verbale (la
definizione di sedia da vocabolario), portando allo scoperto la loro
equivalenza comunicativa e nello stesso tempo evidenziando nel fatto
comunicativo il comune denominatore di ogni possibile veste del soggetto, la
sua vera natura e nello stesso tempo la vera natura del lavoro. Si può
pensare che qualsiasi altra sedia e anche qualsiasi altro oggetto diverso può
assolvere la funzione sopra descritta, così come in un altro lavoro di
Kosuth, "Qualsiasi lastra di vetro di un metro e mezzo da appoggiare a
qualsiasi muro", si può, come egli stesso scrive, "pensare che
qualsiasi altro pezzo di vetro sarebbe potuto andare altrettanto bene, sicché
l'opera non dipendeva da quel vetro particolare, ma esisteva molto in
astratto". Conseguentemente l'opera d'arte viene considerata
soprattutto come "proposizione linguistica che trova in se stessa il
criterio del proprio valore" (Kosuth). In questo contesto Kosuth
esplora anche il campo della tautologia: spostandosi l'arte dal lavoro alla
riflessione sul lavoro, all'enunciazione di un concetto, se la stessa
enunciazione costituisce visivamente l'operail significato coincide, tautologicamente, con la sua descrizione,
giungendo al massimo di eliminazione del soggettivo e al massimo della
verificabilità della correttezza e verità della proposizione.
Art & Language, gruppo costituitosi in Inghilterra a metà degli anni
'60 e di cui fanno parte con altri Terry Atchinson (1939), David
Bainbridge (1941), Michael Baldwin (1945), Charles Harrison
(1942) e Harold Hurrell (1940), centrano la loro azione direttamente
sulla questione teorica dell'arte, dei problemi linguistici e filosofici che
essa pone all'artista nel suo rapporto con la società. Le loro opere sono
destinate esclusivamente ad analizzare i metodi e le ragioni della
produzione artistica. Filosofia, sociologia e politica entrano nel campo di
interesse dell'arte ed escludono l'attenzione verso le distrazioni
rappresentate dalla realtà degli oggetti.
L'opera di Vincenzo Agnetti (1926-1982) continua sul filo della
provocazione intellettuale e del gioco spiazzante dell'intelligenza la
poetica di azzeramento del gruppo "Azimuth" che comprendeva
Manzoni e al quale egli collabora nel 1959. Il suo lavoro procede
inizialmente nel rifiuto della produzione di opere affidandosi ad un'azione
di presenza nel contesto dell'arte. Successivamente trasferisce il
procedimento di provocazione dell'assenza, della mancanza di qualcosa in un
contesto che ne prevede invece la presenza, in opere che esprimono un
drammatico senso di vuoto, utile, come egli stesso scrive, a "svilire
l'oggetto per mettere a fuoco il concetto", a denaturare cioè
l'oggetto togliendogli le caratteristiche specifiche della sua nozione e
funzione comune (un testo con lettere sostituite da numeri, una macchina
calcolatrice con i numeri sostituiti da lettere, un libro con il testo
fisicamente asportato tagliando l'interno delle pagine, ecc.) nel tentativo
scoperto di aprire le possibilità di riflessione della mente al di là del
consueto e della cultura istituzionalizzata.
L'Arte povera, così chiamata per i materiali usati, spesso elementi
naturali o tratti dal vissuto quotidiano, ha una poetica essenzialmente
concettuale per la predilezione dell'idea e dell'azione rispetto all'oggetto
rappresentativo. Ne sono protagonisti Pascali, Anselmo, Fabro,
Kounellis, Pistoletto, Zorio, Penone, Merz,
Boetti, Calzolari, Paolini. Le opere di tutti questi
artisti non possono tuttavia essere considerate esclusivamente all'interno
di questo movimento affrontando essi poetiche quanto mai differenziate e
personali.
Nell'atteggiamento di negazione e dissacratorio dell'arte povera c'è in
realtà una volontà di fondo indistruttibile e poetica di riappropriarsi di
valori primari come il senso della terra, della natura, dell'energia pura,
della storia dell'uomo.Pur nel contesto estremamente politicizzato degli
anni '60 l'arte povera appare tuttavia distante dai problemi politici ed
economici delle masse nella stessa misura in cui rifiuta ogni inserimento
(dell'arte come dei suoi destinatari, le masse) nel sistema e quindi
qualsiasi trasformazione di quest'ultimo, ma ne propugna un radicale
ribaltamento più vicino all'utopia che al riformismo. La volontà di
portare l'arte alle masse si unisce con quella di aprire meccanismi mentali
liberatori nei fruitori dell'arte soprattutto attraverso l'uso dello scarto,
dell'intuizione ovvia ma impensabile nell'ordine prestabilito di abitudini e
comportamenti sociali e personali. Il risultato è un linguaggio per lo più
criptico, limpido ed evidentesolo
per chi come l'artista e il critico possiede la "chiave" per
accedere alla dimensione diversa, libera e poetica, della speculazione,
dell'approfondimento dei valori dello spirito e delle verità insite
nell'arte.
In questo contesto l'assorbimento dell'arte "povera" da parte del
sistema "ricco" non è che un incidente esterno ad essa che essa
accetta non senza amara disillusione e con un certo addolcimento delle
spigolosità dei primi anni dovuto al trascorrere del tempo, all'avanzare
dell'età dei suoi protagonisti, all'impossibilità di sostenere in perpetua
tensione una rivoluzione permanente che non voglia trasformarsi come tutte
le rivoluzioni storiche in restaurazione o dittatura. Non intacca però la
convinzione profonda della giustezza del proprio pensiero e della varietà e
necessità del proprio operato negli artisti, che continuano a combattere la
loro battaglia con immutata fede nelle ragioni teoriche, poetiche e
politiche del proprio operare.
L'ideologia e la politica sono elementi costitutivi della poetica dell'arte
povera, insieme con la cultura museale ampiamente visitata. E tuttavia, come
scrive Caroline Tisdall, "il contesto dell'arte povera era ed è fatto,
dopotutto, dagli splendidi palazzi e dai vasti spazi bianchi del mondo
dell'arte, e non dallo strepito della strada. Il linguaggio con cui il
lavoro di questi artisti viene promosso in Italia, e anche in Francia, è
talmente oscuro da scoraggiare l'intellettuale più determinato, per non
parlare del vasto pubblico. Soprattutto, questa è un'arte dei ricchi centri
urbani del quinto paese più ricco del mondo, un'arte del tutto estranea
alla parte "povera" dell'Italia. A tono il messaggio
dell'avanguardia, ma si tratta di mondi isolati dalla dura miseria del
Meridione, la miseria di un ceto contadino disgregato: dopo la guerra
quindici milioni di persone sono emigrate al Nord in cerca di un lavoro. Non
c'è nulla di affascinante in questa miseria così brutale, nessuna
attrazione per l'artista nei materiali grossolani che contornano la vita
contadina, nessun piacere borghese".
La riduzione, da cui il termine "povera" è un processo messo in
atto da più o meno tutti i rappresentanti della tendenza poverista da Castellani
e Lo Savio con il monocromatismo; a Pistoletto con i suoi acciai che
non riflettono altro che la realtà circostante; a Paolini che porta la sua
speculazione razionale ad un limite di rarefazione assoluta in cui ritengono
un valore solo le idee e i rapporti tra le cose e il loro significato; a Kounellis
che giunge alla vita con la sostituzione del vivente al rappresentato, a Pascali
con la sua ricerca del primario - la terra, il mare, gli animali - e
attraverso esso il mitico della coscienza, il luogo in cui i nomi coincidono
con le cose, alle altre personalità ugualmente significative quali, in
ordine sparso, quelle di De Dominicis, Fabro, Calzolari,
Boetti, Merz, Anselmo, Penone, tutti accomunati
da un'uguale altissima tensione intellettuale (e poetica) ricca di
conseguenze determinanti per gli sviluppi futuri dell'arte, soprattutto sul
piano della coscienza.
La dimostrazione di come il concettuale possa non essere sempre freddamente
matematico è data da Pino Pascali (1935-1968), che nel brevissimo
arco di tempo della sua produzione giunge a vertici altissimi di sintesi
poetica e con istintiva felicità creativa e assoluta coerenza attua una
totale presa di coscienza della necessità di recupero dei valori primari
dell'esistenza e nello stesso tempo di sottrazione dell'arte al gioco della
mercificazione. Esemplari sono le opere che presentano riferimenti a
elementi naturali come il mare o la serie degli animali che realizza con
materiali tecnologici spaesanti anche per la tecnica esecutiva a metà tra
il modellismo e la simulazione ludica. Scrive Palma Bucarelli: "si
afferma la assoluta arbitrarietà dell'agire dell'artista nei confronti di
tutto un sistema economico-sociale fondato sul possesso e l'accrescimento
del possesso: servirsi di setole acriliche non per fabbricare scope e
spazzolini ma bruchi giganti, significa evidentemente ingannare
contemporaneamente la natura con l'industria e l'industria con la
natura".
Le opere di Mario Merz (1925), Jannis Kounellis (1936) e Gilberto
Zorio (1944) sono esemplari della ricerca sulla possibilità di un
incontro tra natura e cultura nella coscienza dell'uomo. Per fare questo gli
artisti assumono elementi tratti dalla natura o simulanti elementi o eventi
naturali confondendoli con l'atto e l'effetto della creazione artistica.
Elementi primari come il fuoco (Kounellis), pelli di animali (Zorio),
Arbusti (Merz) si mescolano con altri tecnologici come il neon, prediletto
per la sua natura di conduttore neutro di energia, e mettono in essere
confronti e interazioni evidenziando il rapporto tra energia mentale e
energia fisica. Altri materiali come metallo fuso, acidi corrosivi, lampade
voltaiche (Zorio), animali vivi (Kounellis), pongono ancora di più
l'accentosull'essere,sullatrasformazione,sulla durata, sull'azione, a discapito della considerazione di una
realtà offerta alla contemplazione e trasformata così inevitabilmente in
elemento già distante dalle urgenze e dalle necessità del presente. Giulio Paolini (1940), inizialmente operante nel gruppo dell'Arte
Povera, è un caso a parte nel panorama concettuale. Anche la sua è una
continua meditazione dell'arte sull'arte e in questo si colloca al centro
della poetica del movimento, ma più che sul sistema linguistico e verbale
egli si basa sul sistema delle immagini e più precisamente della visione.
Spesso le sue opere sono incentrate proprio sui modi e sull'essenza del
vedere e su rimandi mentali operati attraverso gli elementi oggettivi
dell'opera, come nel "Giovane che guarda Lorenzo Lotto",
riproduzione di un ritratto frontale di giovane di Lotto, che guardando lo
spettatore, grazie alla conoscenza del titolo, fa sentire chi guarda al
posto del maestro del Cinquecento, con uno sfasamento di tempo e una sorta
di transfert che cala lo spettatore in una dimensione di realtà al di là
dell'apparenza fisica del dipinto.
All'area concettuale si può ascrivere il movimento Fluxus, che sposta
l'attenzione sulfluire delle
cose nel tempo, in cui si mescola il gesto artistico affidato a qualsiasi
mezzo e oggetto anche quotidiano che abbia una relazione con l'artista.
Protagonisti del movimento sono Brecht, Maciunas, Ben, Paik
e molti altri che vi si sono avvicinati per qualche tempo come Beuys,
Spoerri. Joseph Beuys(1921-1986) è
figura centrale del concettualismo e più in generale di tutta l'arte del
'900. Il linguaggio è per Beuys il mediatore tra l'uomo e il suo mondo, tra
la natura e la cultura, così come lo sono tutti i materiali organici di cui
si serve e che, attraverso il suo processo creativo, pongono in relazione
l'uomo con il mondo animale e vegetale, nel tentativo di fondere le diverse
culture. L'arte diviene in tale accezione il mezzo comunicativo per
eccellenza, capace di unire gli uomini, di congiungere gli opposti,
completamente immune da possibili corruzioni e degradazioni, mentre
l'artista per Beuys ha il compito del maestro, è colui che insegna
attraverso la sua voce e le sue spiegazioni che vengono trascritte su
lavagne, uno dei mezzi da lui più usati.Scrive Achille Bonito Oliva: "Il suo concetto di arte
rivoluzionaria corrisponde anche ad una visione in cui gli elementi del
vivente concorrono a definire la nuova antropologia dell'uomo. Le azioni di
Beuys sostengono sempre l'equazione arte-uomo. All'inizio esiste la materia
come energia pura, caos indistinto sottratto alle misure della ragione
ordinatrice. Poi l'eroe man mano plasmala crescita di tale materia e la riduce a forma concorrente
all'ordine amplificato dell'umano, che ha recuperato accanto alla
paralizzante nozione di ragione (tutta occidentale) anche la vitalità
aperta della materia della natura. Beuys intende plasmare la realtà come
volontà a rappresentazione di una visione del mondo dove concorrono
finalmente la volontà, il pensiero, il sentimento. Le opere così diventano
tracce e pretesto per portare gli altri uomini nello spazio socratico del
dialogo".Performance e Body Art sono un'altra manifestazione della
poetica concettuale, con Gina Pane, Rainer, Lüthi, Acconci,
Ontani, Abramovic, Nitsch, che assumono il corpo come
ulteriore strumento espressivo dell'arte. In realtà l'ingresso del
corpo comprende anche la categoria della durata e del comportamento, in
contrasto con la concezione codificata degli strumenti espressivi dell'arte:
all'oggetto viene qui sostituito il soggetto. Le direzioni di questo
operare sono molteplici e vanno dall'esaltazione del corpo come opera
d'arte, sempre giocata sui rimandi culturali, all'atteggiamento
sadomasochistico derivato dalla volontà di agire sul corpo stabilendo nel
contempo una reazione interattiva con il pubblico.
Al primo orientamento si può riferire l'opera di Luigi Ontani
(1943), che trasforma in ogni sua rappresentazione o performance se stesso
in un personaggio tratto dalla cultura classica o popolare, trasformando nel
contempo il personaggio in Ontani tramite la rappresentazione/esibizione di
sé fortemente narcisistica, con un gioco sottile, ironico e malinconico, di
ambiguità.
Nel versante sadomasochistico l'azione sul corpo non è truce violenza, ma
esperienza intellettuale o poetica che acquista la valenza della
comunicazione di una presa di coscienza diretta del proprio essere. La
teatralità e il rituale rappresentativo che accompagna il lavoro degli
artisti è indicativo del valore attribuito alla trasmissione o alla
provocazione diretta e immediata dell'esperienza conoscitiva attuata con
l'operazione sul proprio corpo in un dato tempo e in un dato spazio.In Gina
Pane (1939-1990) il lavoro sul corpo diviene mistico e autodistruttivo.
La comunicazione dell'esperienza di una lucidaeprogrammataoffesacorporale,operataconstrumenti sottili edomesticie inun certosenso intimi come lamette o vetro, acquista una valenza emotiva
sconvolgente per la sincerità vitalistica e l'anelito di assoluto che
trasuda dal rigore e dalla determinazione progettuale dell'azione di
tortura, ferimento e provocazione del dolore desiderata e attuata su di sé
dall'artista. Spettacolare e deciso ad esplorare tutte le possibilità
espressive del proprio e dell'altrui corpo è Arnulf Rainer (1929)
che interviene nelle fotografie di sé in atteggiamenti e smorfie le più
esasperate con un segno gestuale che carica di movimento drammatico ed
esistenziale l'immagine. Sulla
linea del recupero della consapevolezza del proprio corpo e della sua
presenza nello spazio è l'opera di Vito Acconci (1940). Una sorta di
esibizione liberatoria di inibizioni e repressioni è quella attuata da Urs
Lüthi (1947), mentre al sadismo catartico e orgiastico tende l'opera di
Herrman Nitsch (1938), che giunge al limite del parossismo
masochistico con la crocifissione umana dinanzi alla carcassa di un bue
squartato che inonda di sangue la persona, rivelando la natura animalesca
dell'essere umano con un'operazione sorretta da un anelito di verità
assoluto derivato dalla convinzione, come egli stesso scrive, che "il
calore della vita, la crescita organica nel ventre materno, gli estremi di
intensità sessuale e mistica, la globalità del processo esistenziale
devono essere colti nella loro essenza e resi visibili".