Intervento del dott. Ferdinando Squitieri

Innanzitutto alcune considerazioni sulla Corea di Huntington. Alcune persone hanno avuto molti malati nella stessa famiglia e hanno avuto modo di seguire l’evoluzione di questa malattia nel corso dell’intera vita, altri ne hanno potuto osservare solo una parte. Nessuno probabilmente ha mai detto ai famigliari qual è l’evoluzione di questa patologia, come si riconosce, come si segue, come si interpretano le sue manifestazioni. E questo non è un problema solo dei famigliari, spesso riguarda anche i medici. Molti medici, non avendo modo di vedere molti pazienti con questo disturbo, vedendone solo alcuni del corso della loro vita, li osservano in fasi diverse, e questo fa perdere certe volte il senso globale del problema. Questo giustifica in parte la difficoltà di riconoscimento della malattia, soprattutto nelle fasi iniziali, quando ci sono delle condizioni cliniche poco chiare che sono per definizione subdole e che coinvolgono parti diverse del sistema nervoso e del corpo. C’è un disturbo del movimento che si chiama "còrea", caratterizzato da movimenti involontari che non si riescono a controllare, che ha dato il nome alla malattia. In realtà la còrea non è l’elemento più importante della malattia, ragione per cui in genere oggi la si definisce "Malattia di Huntington". Ci sono infatti altri elementi che hanno responsabilità nella patologia, elementi di tipo comportamentale (comportamento alterato), anche se non sempre presenti, che generalmente sopraggiungono prima della malattia, in alcuni casi invece compaiono dopo i movimenti coreici, molto difficili da interpretare, valutare e definire. Questi sono spesso causa di conflitto di interesse tra i medici, questi pazienti vengono visti solo da psichiatri e non da neurologi, per esempio, oppure il medico di base non sa come muoversi e da che specialista indirizzare il paziente. Un altro problema è quello collegato al declino delle funzioni cosiddette "superiori", quelle intellettive, ma fortunatamente, rispetto per esempio al morbo di Alzheimer, il disturbo, pur essendoci, avanza lentamente nel corso della vita e le persone mantengono una buona condizione intellettiva per diversi anni. I sintomi della Corea di Huntington possono dunque essere distinti in tre gruppi:

SINTOMI FISICI: abbiamo già parlato della "còrea" come principale disturbo di questa malattia, ma ci sono altri sintomi che sono concomitanti oppure "seguono" la "còrea". C’è la BRADICINESIA, cioè un rallentamento delle funzioni motorie. Da un lato ci sono dei movimenti involontari, dall’altra parte c’è un rallentamento dell’ideazione del movimento, come se ci fosse un’espressione "mimica" nelle persone, che dà la sensazione di "assenza" pur non essendo necessariamente associato a un declino psichico (per approfondimenti su questo argomento vi rimando all’intervento di Jim Pollard nella sezione dedicata al Congresso dell’International Huntington Association). Man mano che la malattia avanza con gli anni compare la DISTONIA, ovvero una contrazione muscolare. I movimenti "coreici" che non hanno finalità, simili a tic, si trasformano, la muscolatura si irrigidisce e si contrae (sia i muscoli agonosti che antagonosti, cioè sia quelli che fanno flettere o allungare il braccio, la gamba ecc.) in una sorta di rigidità. Solo nella parte finale subentra la RIGIDITA’ vera e propria che è la caratteristica clinica tipica del morbo di Parkinson, che rallenta l’intera persona, i movimenti coreici spariscono del tutto e c’è questa forma rigida che caratterizza la fase conclusiva della malattia.

SINTOMI COMPORTAMENTALI: qualche volta questi sintomi sono molto importanti e consistenti, crescono in maniera più rapida rispetto ai disturbi del movimento e a un certo punto raggiungono un livello che mantengono senza ulteriormente peggiorare per il resto della malattia. Questo disturbo, che non è sempre presente nelle persone, è generalmente molto più importante nella fase iniziale e intermedia della malattia.

SINTOMI COGNITIVI: benchè comincino molto presto sono molto, molto lenti, quasi non ce ne si accorge se non nella parte avanzata o finale della malattia.

Questa variabilità clinica della malattia, questi sintomi che concorrono insieme a caratterizzarla, genera problemi di terapia, non si possono curare tutte le persone allo stesso modo con gli stessi farmaci nelle varie fasi della malattia. I cosiddetti farmaci sintomatici possono portare buoni risultati per certi sintomi ma essere dannosi o controproducenti per altri sintomi. Alcuni possono arrivare ad essere tossici. Non è corretto, secondo la comunità scientifica, bloccare la "còrea" subito, non appena insorge, se sui libri di neurologia di molti anni fa c’era scritto che la còrea si curava con il Serenase oggi questo non avviene più perché le persone che hanno questo disturbo non sono consapevoli della gravità della loro còrea, non se ne rendono conto, è più un problema dei famigliari, non un problema loro personale. Bloccare la còrea a volte li danneggia, non migliora necessariamente la loro qualità di vita. Alle volte questi farmaci di vecchia generazione possono essere ancora utili, ma in un numero ristretto di casi in cui ci possano essere dei disturbi di tipo comportamentale molto marcati. Questo farmaco PEGGIORA la rigidità e INDUCE la distonia, quindi il medico che li prescrive rischia di peggiorare la qualità di vita delle persone. Per quanto riguarda le valutazioni del medico curante ci sono molti casi in cui, anche se non ci troviamo nella fase avanzata della malattia, il paziente ha già una forma di rigidità. Non è però una rigidità "esplicita", è ingannevole rilevarla sebbene sia presente e si possono somministrare al paziente farmaci che la favoriscano senza rendersene conto. Per questo è sempre bene rivolgersi a uno specialista che abbia una larga esperienza con malati di questo tipo. Le valutazioni non possono quindi essere univoche, devono essere eseguite di volta in volta sulla persona e i farmaci verranno prescritti di conseguenza. Molti sono dell’avviso, a tutt’oggi, che non sono tanto i disturbi del movimento quanto quelli del comportamento che vanno curati. I disturbi del movimento potranno avvalersi di altre possibili strategie terapeutiche future come quelle di tipo riabilitativo. Il disturbo di movimento in quanto tale non è insomma il punto critico della malattia, benchè sia un problema grosso non è quello cruciale da inibire.

E’ stato poi spiegato nuovamente il fattore 50% di ereditarietà, le sue caratteristiche, il cromosoma IT15 e il numero di ripetizioni CAG.

INDIETRO