Intervento della dott. Elena Cattaneo

(riportato INTEGRALMENTE da Paola Barbato)

A una riunione presso l’istituto "Carlo Besta" di Milano tenutasi il 10 luglio 2001 la dott. Cattaneo aveva già esposto la sua scoperta di fronte a un pubblico prevalentemente medico. Questa volta si trovava di fronte a un centinaio di persone, quasi tutti famigliari o malati, e ha adeguato il suo linguaggio all’occasione. Quello che ne è derivato è un intervento entusiasta, comprensibile e colmo di speranze per il futuro che DEVE trasmetterci la forza per combattere contro questa malattia che, come chiaramente emerge da questa relazione, NON E’ invincibile.

Questa è una giornata molto particolare anche per me, perché la ricerca non è abituata a uscire dai laboratori. Invece è una cosa che penso sia molto importante, quella di trasferire le informazioni, far capire a che punto siamo. Soprattutto quello che vorrei cercare di fare è essere in grado di ripercorrere cosa sia la ricerca, chi sono i ricercatori e quali sono le scoperte, per dare un’idea del fermento incredibile che c’è intorno a noi, la pressione che i ricercatori hanno per cercare di sfruttare le loro conoscenze e la loro professionalità al meglio per arrivare a capire e a curare questa malattia. C’è un vero esercito di ricercatori nel mondo, e a volte, togliendomi dalla mischia, mi chiedo anch’io chi siano e perché debbano fare questo lavoro, che in fondo è davvero difficile anche dal punto di vista personale. Perché la vita personale è schiacciata contro una parete, non c’è famiglia, non ci sono figli, l’unico obiettivo è arrivare a capire e curare. Ma perché si fa tutto questo? Ci sono due spiegazioni, secondo me: ovviamente il ricercatore nasce con la curiosità intrinseca di capire e di sapere ancora più esasperata di quanto non sia in tutti gli altri. Non c’è modo di staccarsi dal bancone di lavoro finché un esperimento non è finito, finché il risultato non è chiaro, finché non è stato ripetuto. Questa è la forza principale, questa morbosa curiosità di capire. Dall’altro lato, via via che il ricercatore si forma, soprattutto quando è a contatto con malattie come questa, diventa fortissima la consapevolezza che possiamo fare molto. E allora mettere insieme queste due cose non dà scampo: il lavoro è pesante e duro ma nessuno di noi vuole sottrarvisi. Come si passano quindi le giornate? Cos’è la ricerca? E’ un continuo farsi domande e sviluppare gli strumenti per avere delle risposte, poi farsi delle altre domande ed avere delle risposte ancora più precise. Non è così semplice, bisogna lavorare su ogni punto: identificare l’ipotesi, identificare l’idea, confrontarsi con i clinici, trovare i soldi per lavorare… Con un obiettivo unico: sconfiggere la malattia. Questo è lo spirito, quello che trasforma molti giovani ricercatori in veri e propri carri armati. Tutti i ricercatori del mondo sono in contatto per sviluppare delle strategie con delle "fertilizzazioni incrociate", tutto è sempre sotto controllo. Prima di entrare nel merito della scoperta del nostro laboratorio volevo raccontarvi che dieci anni fa ho conosciuto un clinico di cui sentirete parlare: Marc Peschanski. Lui è francese, lavora a Creteil, e allora stavamo entrambi iniziando eravamo i "giovani ricercatori" e ricordo che mi ha detto una frase che mi ha colpito, perché è una cosa che ci accomuna un po’ tutti: "Per me la sfida alla Corea di Huntington è diventata una sfida personale. Ed è così che la vediamo tutti: è una sfida professionale e personale. Per questo chiediamo l’aiuto di tutti (anche dei famigliari e dei pazienti tramite il prelievo di sangue, perché per le esperienze di laboratorio i campioni di sangue sono cruciali), bisogna far capire che in Italia c’è questa malattia, e il nostro ministero deve capire che questa è una malattia che si può capire e curare. Il nostro scopo principale è quello di scoprire nuovi farmaci. Oggi non vi dirò che c’è un farmaco pronto. Ci sono diversi farmaci che possono controllare i sintomi, ma dovete immaginare che dietro questa prima linea c’è un vero esercito di ricercatori che stanno testando ipotesi, farmaci diversi, prima sugli animali per poi arrivare sui pazienti. Per questo: nessuno si senta solo, la malattia è qualcosa che noi affrontiamo tutti i giorni e dobbiamo arrivare a sconfiggerla. Cos’è che il mio gruppo ha scoperto, dunque? E’ una nuova idea, una nuova strategia per affrontarla e tentare di contrastarla. I modi per farlo sono molti, i ricercatori devono vedere DIVERSI punti d’attacco e sviluppare nuovi farmaci. Un giorno forse la terapia arriverà combinando tutte queste diverse strategie. In questi anni ci sono stati dei cambiamenti totali nel modo di pensare e di affrontare questa malattia e l’evento più importante è stata l’identificazione del gene nel 1993, un UNICO gene che è mutato. Quello che devono fare i ricercatori è abbastanza "semplice": devono capire come quest’unico gene sviluppi la malattia. L’intervallo da chiarire è quello tra la mutazione del gene e della malattia: cosa avviene nel frattempo? Questa è l’unica malattia del cervello la cui origine è NOTA, è un vantaggio che la ricerca deve assolutamente sfruttare per arrivare a capire e a curare. Altre malattie come il Parkinson e l’Alzheimer sono malattie su cui gli investimenti sono massicci (e la mancanza di investimenti è il nostro vero problema) ma la loro origine è ignota. A giugno di quest’anno però l’ente americano più autorevole della ricerca scientifica, quello che eroga i finanziamenti, ha definito la Corea di Huntington una malattia "strategica", non più "rara", non più "anticommerciale", perché può essere un esempio per le altre malattie, una volta che si cura la Corea di Huntington si potrà capire e curare malattie più complesse come Alzheimer e Parkinson. Ci sono delle speranze CONCRETE, quindi, non illusorie. Nel 1993 è stato quindi individuato un gene che nella popolazione sana ha una sequenza di lettere ripetute (CAG) limitata. Nel gene malato queste lettere vengono invece ripetute troppe volte, da 36 sin oltre 200. Come conseguenza di questa ripetizione da questo gene si sviluppa una proteina (ogni gene ne produce una) con un’altra sequenza di lettere (CAG nel gene diventa Q nella proteina) ripetuta. Anche la proteina quindi è mutata. Il problema è cercare di capire come questa proteina, l’huntingtina, mutata provochi la malattia. Dal 1993 a oggi l’idea era che questa proteina mutata avesse un effetto tossico intrinseco, che "acquista una nuova funzione". Per farvi un esempio: gli individui sono abituati a camminare, andare in bicicletta ecc., improvvisamente subentra una mutazione e gli uomini iniziano a volare. Questa è una funzione nuova, acquisita, strana, difficile da tenere sotto controllo perché normalmente gli individui non sanno volare, con il rischio che cadano. Con la mutazione, quindi la proteina fa qualcosa in più e purtroppo questo qualcosa è tossico. Scoperto questo i ricercatori cercano di sviluppare farmaci che blocchino questa funzione mutata e che "riportino l’individuo che vola a terra". Migliaia di ricercatori lavorano in questa direzione proprio per bloccare questa nuova funzione e ci sono già farmaci che arrivano da alcuni esperimenti testati sugli animali. Questo è uno dei punti d’attacco. Noi invece abbiamo sviluppato un’altra ipotesi, ancora più semplice: immaginate di avere un gene, che se esiste nel nostro organismo vuol dire che ha una funzione, che serve a qualcosa. Allora ci siamo detti: con la mutazione oltre a far fare qualcosa di strano, di nuovo e di tossico alla proteina mutata, è evidente che questa mutazione interrompe la funzione normale del gene. Per fare un secondo esempio: è come avere una bacchetta per rimestare la polenta e spezzarla nel mezzo, non assolve più alla sua funzione. Se è così la Corea di Huntington è causata da due cose fondamentali: la proteina muta e diventa tossica (facendo "volare" l’uomo) e viene persa la funzione originale della proteina sana (si spezza la bacchetta per mescolare la polenta). Tutti noi abbiamo questo gene, se esiste ha delle funzioni, quindi la Corea di Huntington ha due facce e c’è una nuova strada per avere dei farmaci efficaci: non solo bloccare la funzione tossica (volare) tramite farmaci, ma anche ripristinare la funzione normale (aggiustare la bacchetta). Prima di tutto però dobbiamo capire cosa facesse l’huntingtina quando era sana. Esiste, ma cosa fa quando è normale? Se si fosse scoperto che la proteina normale ha una funzione benefica e protettiva avremmo capito che protegge i neuroni e quanto è mutata i neuroni degenerano perché si perde questa protezione. E’ risultato essere proprio così. Il primo passo della scoperta era capire cosa facesse la proteina normale, la sua funzione. Il risultato è stato che questa è una proteina benefattrice perché serve a far produrre alle cellule una seconda proteina, la regola, ne influenza la produzione. Questa seconda proteina, prodotta a sua volta da un secondo gene che viene stimolato dall’huntingtina sana, si chiama BDNF, Brain Derived Neutrophic Factor. Proteine come il BDNF sono cruciali per la sopravvivenza dei neuroni del cervello. Osservando gli animali abbiamo scoperto che da uno strato del cervello che si chiama corteccia partono e vengono dirette delle informazioni che arrivano allo striato, la zona colpita dalla Corea di Huntington. Abbiamo scoperto che i neuroni che muoiono nella malattia hanno bisogno normalmente per la loro sopravvivenza del BDNF, senza il quale muoiono. Ma non se la fanno "in casa": questa molecola, questa proteina BDNF viene "fatta" dalla corteccia e poi spedita allo striato. A regolare tutto ciò è l’huntingtina normale. Nei soggetti sani il gene produce un’huntingtina sana che a sua volta fa produrre alla corteccia il BDNF che viene poi trasportato allo striato che grazie ad esso vive. E’ una specie di "cibo" per i neuroni dello striato. Nella malattia l’huntingtina è mutata, la sua funzione protettiva si perde, non "ordina" più alla corteccia di produrre il BDNF, lo striato resta senza e muore. Da giugno ad oggi è stato un passo avanti, si è compreso COME l’huntingtina faccia produrre il BDNF. Una volta compreso questo meccanismo si possono sviluppare farmaci che si comportino come l’huntingtina normale e che stimolino il gene del BDNF a produrlo. Dei surrogati di huntingtina, in sostanza. E’ come se l’huntingtina "parlasse" a una precisa sezione del gene del BDNF, abbiamo scoperto che la zona dove l’huntingtina interviene è l’ESONE 2, una parte precisa del gene. Noi dovremo quindi sviluppare dei farmaci che "parlino" a questo Esone 2 per convincerlo a produrre il BDNF esattamente come fa l’huntingtina. Non si può somministrare ai pazienti l’huntingtina, perché è una proteina grossissima, bisogna creare dei surrogati, dei farmaci più piccoli che possano arrivare al cervello. Rispetto a un anno fa dove tutta la strategia per lo sviluppo di farmaci per la Corea di Huntington era volta a cercare di contrastare la funzione tossica acquisita della proteina mutata ora c’è un’altra possibilità, quella di capire come funziona l’huntingtina sana e produrre molecole che "mimino" quell’azione che manca. Questa informazione che abbiamo ottenuto verrà utilizzata dai ricercatori di tutti il mondo, ogni gruppo sfrutterà l’informazione come crede, battendo sempre nuove strade.

 

INDIETRO