L. L. Zamenhof: l'ideale

 

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Quello scopo elevato è la riconciliazione tra gli uomini. E' un'idea costante che si ripete attraverso l'intera opera di Zamenhof. Essa si basa su principi di fratellanza e di uguaglianza, come da lui dimostrati nel suo discorso tenuto al Congresso di Boulogne-­Sur-Mer: "Fratelli creati tutti secondo un unico modello, fratelli tutti con uguali idee, un uguale Dio nel cuore di ognuno, fratelli desti-nati ad aiutarsi a vicenda e lavorare insieme per la felicità e la gloria della famiglia intera. Quei fratelli sono diventati estranei gli uni agli altri, sembrano divisi per sempre in gruppi rivali, tra di loro è cominciata una eterna guerra". Profeti e poeti hanno sognato un tempo in cui. si sarebbe ricostituita l'unione, ma ciò è restato finora un sogno non credibile. Ora, per la prima volta, grazie alla lingua internazionale, questo sogno comincia a diventare realtà Uomini di paesi diversi si comprendono e si parlano come fratelli non come francesi ad inglesi o russi a polacchi, ma come uomini che parlano a uomini.

Ma Zamenhof affermava che questa fraternizzazione si può compiere sinceramente se i popoli e le classi si incontrano in piena uguaglianza. L'uso di una lingua artificiale offre il vantaggio di non offendere i nazionalismi, di non umiliare nessuno e di riconoscere l'uguaglianza fondamentale di tutte le lingue etniche. Dice Zamenhof:

"Nel nostro convegno non esistono nazioni forti e nazioni deboli, privilegiate e non privilegiate; nessuno deve sentirsi umiliato ... noi stiamo tutti su un fondamento neutrale, noi tutti abbiamo piena uguaglianza di diritti, noi tutti ci sentiamo membri di una sola nazio­ne.. ."(Originala verkaro p. 361-2).

Zamenhof ha intuito che l'uso di una lingua internazionale implicava la democratizzazione della cultura e della comunicazio-­ne. Nel 1900, nella sua trattazione "Essenza e avvenire dell'idea di Lingua internazionale" presentata all'Associazione francese per il Progresso delle Scienze a Parigi, mette in precisa evidenza il rap­porto tra Esperanto e democrazia. "Ogni lingua naturale vivente e, a maggior ragione, ogni lingua morta sono talmente irte di difficoltà che il loro studio, almeno sufficientemente approfondito, è possibile soltanto per persone che dispongono di grande quantità di tempo libero e di mezzi finanziari; se una lingua naturale etnica fosse adottata per la comunicazione internazionale, noi avremmo non una lingua nel vero significato di questa parola, ma soltanto una lingua internazionale per le più alte classi sociali ... invece se fosse scelta una lingua costruita, dopo alcuni mesi la potrebbero appren­dere nello stesso tempo in tutto il mondo tutti gli ambienti della società umana, non soltanto gli intelligenti e i ricchi, ma persino le persone più povere e non istruite" (Originala Verkaro p. 299>. Men­tre soltanto le "classi elette" hanno la capacità di apprendere le lingue etniche perché dispongono del tempo e del denaro necessari, una lingua internazionale pianificata appartiene essenzialmente alle moltitudini. Tale dichiarazione contiene dunque una critica chiaro­veggente alla cultura elitaria fondata sulla ricchezza e sul potere; essa sottolinea giustamente che per loro natura le lingue etniche ostacolano il raggiungimento della cultura internazionale da parte delle grandi masse. soltanto una lingua accessibile ai poveri e ai non istruiti può contribuire alla democratizzazione della cultura e della comunicazione. Lo scopo di una lingua internazionale pianifi­cata è di rendere possibile alle masse di comunicare tra di loro direttamente, cioè senza il tramite delle élites e delle classi dirigen­ti; in sostanza dare possibilità alle masse di affrancarsi, almeno sul piano del linguaggio, dalla loro dipendenza nei confronti delle clas­si privilegiate.

Affinché questa lingua sia facile da apprendere più delle lingue etniche e nello stesso tempo consenta una equivalente espressività con sufficiente estetica, Zamenhof la formulò secondo regole logiche e senza eccezioni, come consigliavano i filosofi del 17° secolo, e procurò nella pronuncia e nel lessicò la massima internazionalità, sempre evitando ogni tentazione di naturalismo, portatore di eccezioni e di arbitrarietà. Come egli riuscì a mettere in pratica quei principi, lo vedremo più avanti; per ora ci basti sottoli­neare come abbia mantenuto la sua lingua aperta ad una elabora­zione collettiva, conformemente al suo temperamento democratico. All'autore del Volapuk rimproverava di avere impedito alla lingua qualsiasi evoluzione col suo comportamento autoritario. Sull'Esperanto rinunciò fin dall'inizio a tutti i diritti d'autore, sottopo­se i progetti di modifiche alla collettività degli esperantisti, accettò le loro decisioni e sempre si considerò un semplice fruitore dell'Esperanto come tutti.

 

 E' evidente che per Zamenhof la formazione e la pratica di una lingua internazionale hanno lo scopo di mobilitare e risvegliare le tendenze idealistiche dell'umanità indirizzandole ad una fraternità universale. In una famosa lettera a Michaux egli scrive:

 Questa idea costituisce l'essenza e lo scopo di tutta la mia vita, la causa dell'Esperanto è soltanto una parte di questa idea; l'altra parte è presente di continuo nei miei pensieri e nei miei sogni e più o meno presto (forse molto presto), quando l'Esperanto non avrà più bisogno di me,mi presenterò con un piano al quale mi sto dedicando da molto tempo ... Questo progetto (che io chiamo hillelismo) consiste nel formare un ponte ideale capace di collegare fraternamente tutti i popoli e tutte le religioni, senza creare nuovi dogmi e senza che alcun popolo debba rinunciare alla sua religione. li mio piano e' diretto alla creazione di una unione religiosa capace di comprendere pacificamen­te tutte le religioni esistenti, in modo analogo a quello col quale, per esempio, uno stato pacificamente comprende in sé diversi gruppi familiari, senza obbligare alcuno di essi a rinnegare le sue proprie speciali tradizioni (lettera a Michaux 21 febb. 1905 da Leteroi de L.L. Zamenhof, vol.1° p. 107).

 Dopo un opuscolo in russo pubblicato a Varsavia nel 1901 sotto lo pseudonimo di Homo sum (in latino: Sono un uomo) e intitolato HilIellsmo, nel 1905 espresse di nuovo le sue idee in un articolo anonimo dal titolo "Dogmi dell'hillelismo" apparso su Ruslanda esperantisto.

L'hillelismo, dottrina irenica ispirata agli insegnamenti del rabbino Hillel contemporaneo di Gesù, è un insegnamento che, senza distogliere l'uomo dalla sua patria naturale né dalla sua lingua né dalla sua religione, gli dà la possibilità di evitare ogni specie di falsità e di antagonismi nei suoi principi religiosi-nazionali e di comunicare con uomini di ogni lingua e religione su un fonda-mento umano neutrale in base a principi di recipoca fratellanza, uguaglianza e giustizia (Originala Verkaro, p. 316). Egli si definisce così 1) lo sono un uomo, e per me esistono soltanto ideali pura­mente umani; 2) tutti i popoli sono uguali e io considero ogni uomo soltanto secondo il suo personale valore e le sue azioni, ma non secondo la sua origine; 3) ogni paese non appartiene ad una o ad altra gente, ma pienamente e con uguali diritti a tutti i suoi abitanti; 4) considero una barbarie ogni pressione di un uomo per imporre ad altri uomini la sua lingua o la sua religione; 5) il patriottismo è un servizio per tutti i cittadini e non soltanto per la maggioranza; 6) in ogni paese, ogni lingua e religione abbia uguali diritti, indipenden­temente dall'essere maggioritaria o minoritaria; 7) la religione si basa su tre principi: a) Dio è la forza non visibile che governa il mondo; b) le regole fondamentali siano: agisci con gli altri così come desideri che gli altri agiscano con te e ascolta sempre lavoce della tua coscienza; c) poiché gli usi religiosi provengono dagli uomini e non da Dio, gli hillelisti procurino sempre la maggio­re possibile unità (Origina/a Verkaro, p. 316-21).

E' evidente che la situazione degli ebrei nell'Europa centra­le molto influì su quella idea a difesa di una minoranza, idea che poi prese il nome di homaranismo (dottrina per l'umanità). Benché essa abbia raccolto scarso favore e talvolta opposizione tra gli esperantisti occidentali, Zamenhof sempre si sforzò di divulgarla. Nel 1913 pubblicò a Madrid un libretto un po' più ampio dal titolo Homaranismo e preparò per l'estate del 1914 un congresso a Pari­gi per porre le basi della "Religione in formazione".

lì termine religione è improprio, perché non si tratta né di culto né di teologia, ma di una dottrina concernente l'uomo neu­trale che, considerato al di là delle differenze religiose verso le aspirazioni comuni degli uomini, evidenzia il concetto di uomo so­pra a quelli di popolo, di gente, di nazione, di razza, di classe e di religione.

La guerra appena esplosa fece cadere i piani di Zamenhof; l'intero progetto di una religione neutrale non sopravvisse al suo ideatore. Tale idea tuttavia è importante per far comprendere che cosa l'Esperanto significasse per lui. Inizialmente la lingua inter­nazionale era non soltanto una soluzione razionale dei problemi della comunicazione, ma anche una reazione emotiva di un ani­mo sensibile verso persecuzioni e odio cieco, in una società ignorante e oscurantista. Benché si sia sviluppato in modo distinto da qualsiasi credo morale o sistema filosofico, il progetto esperanto ha conservato qualcosa di emotività e di idealismo che lo distin­gue dagli altri progetti linguistici, limitatisi all'aspetto meccanico della linguistica e perciò ridottisi a semplici codici per comunica­zioni.

In confronto con gli altri linguisti pianificanti, Zamenhof è un innovatore per effetto della sua acuta consapevolezza del semplice fatto che una lingua è un mezzo per uno scopo, non lo scopo stesso. Perciò egli tiene uniti intimamente l'Esperanto e l'hillelismo. "La lingua internazionale ha lo scopo di creare tra le genti un ponte neutrale relativamente alla lingua, l'homaranismo vuole creare un analogo ponte in tutti i rapporti. L'homaranismo è soltanto un esperantismo rafforzato" (Lettera a Beaufront, 1908, da Originala Verkaro, p 337). Inoltre egli comprendeva non soltanto che la lingua serve allo scopo, ma che a sua volta la finalità serve alla lingua. "Come l'hillelismo non può esistere senza una lingua neu­trale, così ugualmente l'idea di una lingua neutrale non può vera­mente realizzarsi senza l'hillelismo!" (lettera a Kofman, maggio 1901, da Originala Verkaro, p. 323). C'è una profonda verità in quelle parole profetiche; il successo dell'Esperanto o di qualsiasi lingua pianificata dipende dal "sentimento" che lo fa volare da un luogo ad un altro, in altre parole dall'alto scopo, comunque si voglia chia­marlo, che lo fa vivere.

 

Programma Multimadiale ESPERANTO realizzato nell'anno scolastico 2000/2001 dagli studenti:
            Di Fazio Andrea e Maurelli Francesco                      nuvola.bianca@tiscalinet.it - fran.mau@infinito.it 
Per domande o commenti su questo programma fare riferimento a:
                                                   ROMA ESPERANTA JUNULARO
                                                          info_rej@hotmail.com
Aggiornato nel mese di giugno 2001.