Prefazione

di Domenico Maselli

È difficile, a distanza di oltre un secolo, dire quale sia stata l'importanza di questo lucidissimo scritto del Rossetti, pubblicato proprio mentre piú ferveva l'opera per la creazione del nuovo Stato italiano.

L'autore si rendeva conto che a pochi mesi dall'Armistizio di Villafranca, quando piú incerto era l'avvenire italiano, poteva sembrare intempestivo parlare di un problema apparentemente particolare, quale quello dei rapporti tra Stato e Chiesa. Per lui però questa questione diventava determinante per il futuro del nostro paese. La stessa formula cavouriana, libera Chiesa in libero Stato, gli sembrava insoddisfacente perché si accompagnava ad una tacita spartizione del potere temporale da quello spirituale ed il Rossetti capiva che chi esercita il potere spirituale finisce per avere nelle mani quello temporale. Il Concordato del 1929, che avrebbe sancito l'intromissione del papato negli affari d'Italia, era da lui lucidamente previsto; del resto quel libera Chiesa al singolare faceva escludere una autentica libertà di scelta. Per il Rossetti si doveva proclamare il principio dell'assoluto non intervento dello Stato in campo religioso e la considerazione delle chiese in base al puro diritto civile.

Nell'ampia carrellata compiuta nel libro vi è una sorpresa che rivela tra l'altro l'acutezza della preparazione storica del nostro personaggio. Come esempio del perfetto sovrano, egli cita quel Giuliano l'Apostata che la tradizione cattolica considera un restauratore del paganesimo dopo la scelta cristiana di Costantino e che in realtà fu il primo a proclamare il principio del non intervento dello Stato in questioni di coscienza. Il suo editto riguardante gli Ebrei è un modello di libertà, e se mi è concesso dirlo, di rispetto per tutte le coscienze. Rivolto ai Cristiani del suo tempo, dilaniati da dispute religiose, ricorda che sotto i suoi predecessori, quelli riconosciuti alternativamente come eretici, avevano sofferto persecuzioni, mentre con lui tutti godevano di assoluta libertà.

Per il Rossetti lo stesso termine libertà di coscienza, poteva essere insufficiente; doveva essere data piena libertà di culto e di propaganda, cosí come dovevano essere rifiutati privilegi di qualsiasi tipo da parte delle varie confessioni religiose.

Abituati a vivere ai margini della società civile la nostra fede, coscienti della nostra posizione minoritaria, non possiamo piú capire come questo scritto di Rossetti fu accolto dalla stampa dell'epoca con un'eco per noi inusitata. Un giornale, l'Avvisatore Alessandrino, arrivò al punto di pubblicarlo a puntate in fondo pagina, in quella che era considerata l'appendice e che di solito serviva a diffondere i romanzi di successo. Ad esempio cosí sarebbe stato presentato un capolavoro come “Piccolo mondo antico” del Fogazzaro. Tutti i giornali democratici del tempo presentarono questo libretto come un monito necessario alla nuova Italia nascente e quando di lí a poco si sarebbe pubblicato un programma politico per l'Italia Meridionale sotto il titolo “Cenni Statistici per il Reame di Napoli”, il Rossetti dava un esempio di separazione tra Stato e Chiesa, non facendo alcun accenno al problema religioso. Leggiamo pertanto queste pagine non come una reliquia del passato, ma come un monito che le recenti vicende dell'ora di religione rendono attualissimo per l'Italia di oggi.
 
 

LA

RELIGIONE DI STATO

PER

T. PIETROCOLA ROSSETTI
 
 

Teodorico Pietrocola Rossetti

TORINO, 1861









CAPITOLO I.
 
 

SOMMARIO

I principii del Cattolicesimo esaminati dai filosofi, e risposte violenti del Clero — Sviati dalla questione, i filosofi attaccano il Credo e i dommi della religione. —

Ateismo. — Impossibilità d'inventare nuove credenze. Necessità della Religione Cristiana. — Dovere del Governo di abolire la Religione di Stato. La morale non deriva dalle Leggi né dalle Scienze, essa è frutto della Religione Cristiana. — Stato in cui trovasi l'Italia a' dí nostri perché non ha Gesú Cristo. — Impossibilità di una riforma religiosa, e necessità d'introdurre l'Evangelo in Italia.

Cosa è Religione? cosa è Stato? — Se fra loro non v'è analogia di sorta, essi debbono essere separati. — Questo atto deve farsi dal governo abolendo la Religione di Stato.

I filosofi che hanno sottoposta la Religione alla critica inesorabile della ragione umana, hanno toccato leggermente la quistione vitale della necessità della credenza cristiana negli Stati retti a monarchia temperata.

L'intolleranza de' preti, il loro animo avverso ad ogni libertà, e le manifeste contraddizioni della Religione Romana provocarono, alcun tempo prima della rivoluzione francese, un esame rigoroso sul Cattolicesimo: I filosofi vollero trovare in esso la causa di quei principii settarii ed intolleranti che stavano a cuore de' preti. Questi risposero co' sofismi della scolastica, e con ingiurie; — mezzi di cui si sono sempre prevalsi per combattere la ragione senza illuminarla. Allora i filosofi, sviati dall'argomento per opera del Clero, sentirono il desiderio di vagliare il Credo, i riti ed i dommi del Cattolicesimo-romano, e li rigettarono, ché quelle cose, checché se ne dica in contrario, non resistono alla logica, e alla verità. Cosí i preti boriosi, che non vogliono mai sottomettere i loro principii al vaglio della umana ragione, esacerbarono gli spiriti de' chiaroveggenti, mutarono l'argomento delle loro disquisizioni, fecero entrare in lizza teologi furibondi e filosofi scapigliati che si conciarono, Dio vel dica; e in quel loro bailamme andò perduta la grande quistione della necessità della Religione Cristiana.

L'Europa allora si risvegliò nell'ateismo, e la paurosa coscienza degli uomini si trovò priva di quella fede cieca che avea nei preti, nella superstizione e nell'errore.

Quando si disse: perché i filosofi e gli scrittori ascetici non cercavano di riformare il Cattolicesimo-romano — si venne alla conclusione che questa riforma era impossibile a farsi. La tentò Manzoni, e la fece romantica ed ideale; ed impossibile in pratica. Si domandò — quale altra religione dessero i filosofi in luogo del Romanesimo che rigettavano dal cuore e che professavano per convenienza — e niuno seppe indicarcene, né formularne un'altra. Si parlò di Dio, di religion naturale; ma erano utopie platoniche, ed aberrazioni di cervelli infermi.

Finalmente si osservò che questa lotta di polemiche riusciva pericolosa alla società, perciocché il clero attenendosi tenacemente alle tradizioni ed alla teologia non voleva cedere in alcun punto delle controversie sollevate; e i filosofi imbevuti a' principii degli Enciclopedisti, cresciuti al sottile Razionalismo tedesco, ed ecclettici in fondo, combattevano per demolire la religione senza volere né poterne sostituire un altra. — La vittoria di questi savii fu facile — ché è facilissimo l'assunto di distruggere un ammasso di errori secolari, e di contraddizioni marchiane che falsamente assume il nome di Religione Cristiana.

Al momento in cui siamo, molti scrivono contro Roma, e il potere temporale — moltissimi mostrano un'aperta avversione al Romanesimo, ma siccome l'ateismo è nel cuore di tutti, niuno ci dice apertamente: La Religione di Cristo è necessaria a un popolo libero e civilizzato. Diciamo la Religione di Cristo, non alcuna di quelle che si son foggiate a lor modo su questa o su quella parte dell'Evangelo. Tali credenze che son cristiane di nome o di forma, non si possono riformare. — Non si riforma l'errore, ma si distrugge per dar campo alla Verità. Or questa distruzione è l'opera della scienza ben concepita, dell'incivilimento ben inteso e dell'opinione saggia de' popoli. È opera di Dio, non già opera di uomo.

I Governi non dovrebbero ingerirsi in questo grande atto di rinnovamento, perché essi non hanno l'iniziativa morale, ma quella della forza, che non serve a nulla in quest'occorrenza. Se essi ne facessero uso al riguardo, comprometterebbero la grand'opera, sposandola a un principio politico qualunque, come fecero Costantino, Giuliano, Carlomagno ed Enrico VIII.
Perciò fa d'uopo che si proclami altamente la necessità di possedere la vera Religione di Cristo, che trovasi in tutto l'Evangelo; che si dica apertamente che, per dar campo a questo rinnovamento, lo Stato debb'esserne il precursore e lo strumento indiretto abolendo la Religione di Stato; e che gli uomini coscienziosi che sono al governo del Regno d'Italia sentano una volta la necessità di vedere i popoli credenti, e non già increduli.

Tutti desideriamo veder l'Italia costituita come Nazione; — tutti vogliamo che ritorni onorata e potente; ma che importa vedere la patria nostra forte e gloriosa, — che importa di proclamare nuovamente il civis romanus sum, se la società resterà nell'oscurantismo e nell'eccletismo? Mancherà sempre la morale, mancherà all'anima il respirare le aure del cielo, mancherà la forza divina di soggiogare i vizii che ci deturpano — in una parola mancherà il Cristo dell'Evangelo, — e la corruzione che non potè mai essere frenata dalla scienza e dalle scuole roderà la vita della nuova società italiana. Né vale il dire, che le buone leggi formano i popoli costumati, e che Licurgo e Solone e Platone e Confugio seppero formare nazioni virtuose. La storia ci dice che le loro leggi erano buone, ma che i popoli e i legistatori stessi non ne divennero mai migliori. E infatti, se le leggi e i discorsi ascetici bastassero a formare la morale dei popoli, perché caddero i Greci e i Romani — essi che eran governati da leggi peregrine? Perché è cosí corrotto il popolo cinese a dispetto di Brama, di Budda e di Confugio che dettarono leggi d'oro? — No — e leggi e scienze e costumi e discorsi accademici non danno la morale a un popolo. — Cristo solo innova e cuore e mente e spirito nell'uomo, e l'opera di Dio è duratura ed eterna. Ma obbietteranno i filosofi e i letterati; noi non ne veggiamo di quest'opera meravigliosa di Dio.

E ben vi apponete. Ma dite perché fate guerra alla verità ch'è nell'Evangelo? Perché, quand'essa apparisce nel mezzo di voi, raggiante di luce divina, l'osteggiate, e la deridete? Perché date dell'apostata sul capo a chi crede in Cristo, e non nelle invenzioni di Roma?

Oh se fossimo tutti di buona fede! Uniti, noi andremmo diradando le tenebre, presentando ai popoli la maravigliosa luce dell'Evangelo.

Ci duole il cuore pensando allo stato in cui trovasi la nostra povera società. Combattuta e travagliata miseramente dagli apostoli dell'errore e dell'ateismo, essa vive vita precaria, — vita infelice. E chi è colui che senza Dio può viver felice? — Si fa rumore di virtú e di morale, e appena appena se ne conoscono i nomi — e mentre dura questa confusione si lascia l'addentellato a sistemi vecchi e cancrenati che ci vengon d'oltremonte affin di rimpiazzare le nostre fracide forme religiose che caggiono a lembi !

Ciò non di meno speriamo nel buon senso del popolo italiano, e crediamo che l'Italia non accetterà mai la riforma ecclesiastico-politica di Arnaldo da Brescia, che fa di Cristo un caposetta il quale si piega alle esigenze di gente clamorosa ed alle passioni di dissennati filosofuzzi : quello è un Cristo di rivoluzione e di matte stranezze, non il Cristo dell'Evangelo che risuscita e vivifica l'uomo caduto e prevaricato.

Una riforma secondo Dante, sarebbe un miscuglio di paganesimo e di romanesimo, di papa senza papato, con un imperator tedesco a capo de' liberali, Un guazzabuglio simile farebbe strabiliare gl'Italiani. Noi stimiamo altamente Dante come poeta, non come uomo politico, ché ghibellino com'era nell'anima aveva cuore guelfo.

Una riforma secondo Savonarola con tutte le sue superstizioni, e un Cristo politico dator di libertà, farebbe ridere gl'increduli, e scandalizzerebbe i graffiasanti e i picchiapetti.

Una riforma come quella di Lutero e di Calvino non attecchirebbe mai in questa patria nostra.

L'Evangelo soltanto potrebbe trionfare. — Ogni sistema religioso è condannato a morire, l'Evangelo soltanto è eterno — l'Evangelo solo può formare la mente e il cuore del popolo italiano.

Or la Religione è un legame morale fra l'uomo e Dio. Il libero arbitrio guida l'uomo ad accettarla o respingerla. Dio non si serve della forza per costringer l'uomo a mettersi in comunione con Lui. Or quella forza che non esercita Dio, non dev'essere esercitata dallo Stato.

Lo Stato poi forma un legame materiale fra sè e la società, ed ha la forza per costringer l'uomo a cignersi di questo legame.Vi può esser dunque alcuna relazione fra la Religione e lo stato? Nessuna.

Ciò non pertanto, sin da molti secoli noi vedemmo lo Stato unito alla Religione; e questa vedendosi validamente appoggiata insuperbí, divenne intollerante, distrusse il libero arbitrio ed assunse la stessa forza de' governi costituiti per esser ricevuta, sostenuta, pagata e protetta.

Qui ci è mestieri accennare ciò che svolgeremo in appresso, cioè che lo stato per associarsi a una religione dev'essere dispotico senza piú. Ché la sola monarchia assoluta nega l'autorità di Dio e del Vangelo per ammettere la sua, e perché non può far meno di una religione, abbraccia quella che piú si attaglia a' suoi principii.

L'Evangelo combatte il dispotismo, e non si confà a un assoluto governo; perciò il despota riconosce per religione quella che ha la forza per principio — che ha il nome e non già la dottrina di Cristo, — che materializza Dio facendolo di legno e di pietra (perché non vuole ch'Egli sia spiritualmente nel cuore del credente), e che creata dall'uomo è sottomessa al suo inventore.

Il dispotismo si è sempre associato a religioni di questa forma, non già alla Vera che fa conoscere la Verità che franca lo spirito.

Ma le cose non debbono andare a questo modo, se la monarchia è costituzionale. La falsa religione che ha tutti i caratteri del dispotismo non può essere associata a uno Stato liberale, ché anzi diventa per esso un imbarazzo, e fa d'uopo che se la tolga dal fianco. Né creda mai il governo costituzionale ch'essa potrà cangiare: le false religioni muoiono come il paganesimo, ma non cangiano mai.

Un vero governo liberale che ha a cuore la libertà e la sua propria indipendenza, e desidera il trionfo della Verità, deve iniziare il grande rinnovamento morale d'un popolo con questo atto: ABOLIZIONE DELLA RELIGIONE DI STATO.

È questo l'argomento del presente opuscolo.
 
 

CAPITOLO II.
 
 

SOMMARIO

La Religione di Stato è invenzione del principato assoluto. — Essa fu creata da Nabo-Chodonosor. — Perché il Sire Assiro assunse l'iniziativa religiosa, inventò la Religione di Stato, e non si attenne a quella de' Magi.

I Medi che successero a' Caldei trascurarono l'iniziativa religiosa; e i preti, profittandone, l'usurparono. — Funeste conseguenze che ne derivarono. I sacerdoti si valsero della religione per detronizzare i principi.

Inutili sforzi del principato per rivendicare l'iniziativa religiosa. — Operosità dei preti nel complicare i dommi, e nel creare nuove deità. Ora il Sacerdozio è parte dello Stato, e talvolta è lo Stato stesso.

Conclusione di quest'argomento, ed avvertenza a quei principi che hanno nelle mani le due potestà, politica e religiosa.

Non si può trovare l'associazione della Religione col principato negli Stati retti a libertà, ma ne' Governi assoluti.

Ne' primi secoli del mondo, gli Stati erano governati teocraticamente. — Dio era nello Stato — non già lo Stato in Dio.

Ciò che ora chiamasi Religione di Stato, è invenzione del principato assoluto — non è Dio nello Stato, ma una casta di uomini che costituiscono quella religione e che s'identificano collo Stato, — ma il pretume che detta la legge a Dio ed ai re.

La storia ci dice che il Nabo-Chodonosor degli Assirii dopo aver riuniti in un imperio molte provincie asiatiche, signoreggiò con potenza di assoluto padrone, e il suo volere non era neppur temperato dal consiglio de' Satrapi istituito da Dario-Medo. Or di queste monarchie se n'è perduto lo stampo da molti secoli, e solo i baroni ce ne porsero esempii microscopici nella ferrea età di mezzo. Nabo-Chodonosor conobbe la religione professata dagli Ebrei nella cattività, ma non volle glorificare l'Iddio vero, anzi intenebrato nel cuore ed invanito ne' suoi ragionamenti creò una religione di Stato nella statua colossale elevata per suo comandamento nelle pianure di Dura. La storia aggiunge che il sire Assiro decretò che tutti i suoi sudditi adorassero quel simulacro, e come deità fosse riconosciuto. Cosí noi veggiamo che il piú assoluto dei re creò la Religion di Stato, concetto della sua mente, e imposta ai suoi popoli per mezzo della forza.

Gli Ebrei ebbero Dio nello Stato: Nabo-Chodonosor volle lo Stato (di cui era rappresentante) nella religione del suo falso Dio, accioché la sua volontà regale non iscadesse, né trovasse opposizione dalla Religione.

Il monarca dell'Assiria inventò questa sua religione per cingere di maestà divina la sua potenza terrestre. Egli avea di già aggiunto al suo nome di Chodonosor quello di Nabo, Dio cananeo che significa Luna, seconda divinità dopo Baal che vuol dire Sole. Ma non gli bastò di deificarsi: egli andò cercando nella sua ferace immaginativa un Dio che volle associare a sè, e che fosse subordinato alla sua autorità. — L'Iddio vero non si prestava alle matte stranezze e alle esuberanze dell'orgoglioso principe; — non blandiva i suoi vizi — non facea plauso alle sue stravaganze — non gli era soggetto. Che anzi l'Iddio vero — è colui che soltanto ha autorità — che crea, che domina gli uomini, non è soggetto a niun di loro, e abbassa gli alteri. Perciò il Sire, modellandosi ai Greci, inventò un nume a sua immagine e similitudine, che si piegava a tutte le sue volontà e non le osteggiava, — cosí duro ed insensibile come appariva sui campi di Dura!

Una religione mistica ed ideale come quella di Platone e dei filosofi antichi non si attagliava alla mente dell'imperioso Nabo-Chodonosor. I Magi del suo Regno ne professavano una, mista a simboli, misteri e sconce superstizioni; ma il principe disprezzolla, creandone un'altra che parlasse ai sensi esteriori — che abbagliasse la vista e non producesse l'esame critico, — che fosse religion d'occhi e non di cuore. Un assoluto principe si allarma facilmente se vede trionfare una religione morale, scevra di pompe e d'apparati, che parla all'anima dell'onnipotenza del vero Dio e presenta all'uomo la volontà divina con la forza di praticarla. Una religione simile aliena gli animi dal despota; perciò l'Assirio Sovrano ne inventò una avente splendore e maestà esterna, ma muta ed insensibile e scevra di quella forza potente atta a svegliare nelle anime assopite dal servaggio il terribile pensiero dell'esame.

L'assoluto principato di Nabo-Chodonosor avea bisogno di questa speciosissima Religion di Stato che andasse a verso colle sue idee, e non luttasse co' suoi principii d'assoluta signoria. Il re sapea bene che non potea condurre sempre a guerre ed a vittorie i suoi popoli, ché in quelle occorrenze, checché se ne dica in contrario, tace il sentimento religioso, non altrimenti non si farebbe guerra; — sapeva che la sua potenza e le leggi ferree con cui reggea l'impero non bastavano a frenare il popolo; — che l'immaginativa dei sudditi avea bisogno d'un pascolo in tempo di pace; e mentre fu pauroso di dare la religione vera, fu audace di presentarne loro una falsa, imposta dalla sua assoluta volontà. Nabo-Chodonosor voleva pace, ma senza religione superstiziosa non si può baloccare un popolo e tenerlo a bada; ed egli gliene dette una.

Dopo la morte di Nabo-Chodonosor, i Medi non professarono l'iniziativa religiosa, ma si associarono alla religione di già esistente nell'impero, e di cui i sacerdoti, sempre avidi di dominio, s'impodestarono, regolandola a lor talento. Sin da questo mutamento nella politica del Governo assirio, la religione di Stato non fu piú una forza del principato assoluto, ma un grande imbarazzo dal quale non potè mai uscirne, mancandogliene la volontà, e spesse volte il potere.

E infatti la storia degli antichi imperi dell'Asia che successero ai Caldei ed a' Medi, dimostra che i principi posteriori sentirono anch'essi la necessità di unirsi a' facitori e ministratori delle religioni idolatre per cingere di maestà il dispotismo, e dare ad esso un diritto divino. Ciò mentre costituiva una necessità di Stato affin d'imporre per la forza delle armi e pe' terrori religiosi una forma di governo a' popoli rivoltosi e indipendenti, costituiva del pari la debolezza del principato ch'era facilmente rovesciato da una congiura di sacerdoti.

Allorché i principi si avvidero ch'essi avevano dato la somma della lor potenza ai preti che esercitavano un impero assoluto sul cuore de' popoli, e che facilmente potevano detronizzare i Sovrani suscitando contr'essi il fanatismo religioso, non ebbero piú tempo di separar lo Stato dal Sacerdozio esigente ed altiero, — e ne subirono la petulanza per tanti secoli. E mentre i popoli credeano alla unione della spada colla tiara, esisteva sin da Dario una continua lotta fra principato e sacerdozio; e l'uno e l'altro cercavano di dominarsi a vicenda.

Si vide allora una cosa mostruosa e spaventevole. I principi con tutta la loro potenza esteriore, e col diritto di morte e di vita non erano cosí forti quanto i sacerdoti, che questi dominando la mente e il cuore de' popoli li sottraevano dal dominio de' re quando che piacesse loro. In faccia a questa ribellione morale, che è una specie d'aberrazione di popoli ignoranti, la forza del principe non aveva alcun valore.

Cosa fecero i principi? Non poterono distruggere il sacerdozio, ma dovettero infingere, transigere, e venire a patti con esso, cercando sempre però il destro di dominarlo o almeno dirigerlo, ma sempre inutilmente. Cosí i principi divennero ipocriti, i sacerdoti piú petulanti, e i popoli stoltamente superstiziosi ed increduli.

Sí — il principato assoluto divenne debole sin da quando creò la Religion di Stato, — e allorché perdè l'iniziativa delle sue creazioni di deità, i preti la raccolsero, divennero piú potenti de' principi, e questi furono obbligati di lasciarsi guidar da loro, proteggerli e riconoscerli come parte integrante dello stato politico.

I Governi, sotto la pressione sacerdotale, dovettero diventare mogi e condiscendenti; — i preti ne profittarono — crebbero in baldanza e camuffandosi colla maschera d'una orgogliosa umiltà, ed assumendo un vestimento peculiare, s'insinuarono sempre piú nelle coscienze, se ne impadronirono, ed usurparono a Dio quell'autorità ch'Egli esercitava sull'anima dell'uomo. Crearono dommi, popolarono di Deità i loro Olimpi e Paradisi, ed inocularono le superstizioni nel sangue de' popoli. Fu tale la forza morale che queste dottrine esercitarono sulle coscienze, che dopo l'istituzione del Cattolicesimo, sviati i suoi ministri dalla pura dottrina di Cristo, menaron buona a' pagani la loro superstizione; inventarono anch'essi de' santi e delle sante, e cangiarono le statue su' piedistalli. Ve ne sono state ancora di quelle che furono accomodate alle nuove circostanze per mezzo dello scalpello, come a mo' d'esempio la statua colossale di Giove, ora diventata S. Pietro, ed esposta all'adorazione de' fedeli. Cosí la Religion Cristiana, che insegna l'unità di Dio, e l'adorazione in ispirito e verità, è stata cacciata via da preti superstiziosi, che istituendo il politeismo de' santi rimpiazzavano con essi gli Dei maggiori e minori, non che i semidei della Grecia.

Siffattamente operando, il sacerdozio adunghiò il potere religioso, proclamò l'indipendenza sua dallo Stato, — poi si disse parte integrante dello Stato indi padrone di esso e distributore de' troni della terra; e fattosi setta politica marciò come marcia tuttavia all'assalto dello Stato! Cose funeste, vedute specialmente nel medio-evo. Che valse al Barbarossa e agli Arrighi il generoso proposito di liberarsi dalla dominazione di Roma? Essi vi perderono lo scettro e la vita. Che giovò a Desiderio di mettere alla ragione il vescovo di Roma; — che giovò a Manfredi la sua indipendenza dall'orgoglioso pontefice? Anch'essi vi perdettero e trono e vita. Perché? Perché eran principi dispotici, come il papa, e i popoli erano ignoranti: — se quel loro generoso proponimento di sottrarsi dalla servitú del prete fosse stato preceduto dalla libertà data ai popoli di esaminare il Credo religioso essi avrebbero vinto, come vinsero gli Svizzeri, gl'Inglesi, gli Alemanni riformati, e gli Americani degli Stati-Uniti.

Ma tornando all'argomento conchiuderemo dicendo che quando lo Stato non ebbe piú l'assolutismo e l'imperiosità del governo di Nabo-Chodonosor, divenne debole; e prevedendo il guaio di romperla bruscamente col sacerdozio (che la monarchia assoluta che cede al prete è senza forza e sempre paurosa) cercò di amicarselo, e studiando sulle Decretali cominciò a teologizzare sguaiatamente, e a far Concordati del conio di quello fatto ultimamente dal sire dell'Austria.

A' giorni nostri vediamo alcuni principi, che per salvarsi dalle congiure pretili hanno riunite nelle lor mani le due potenze politica ed ecclesiastica. Cosí lo Stato Romano, la Turchia e la Russia. E credete che questi sovrani sieno piú forti ed indipendenti degli altri? Lo Stato Romano è caduto a lembi: il Sultano, quantunque capo dell'Islamismo, deve blandire ed accarezzare il pretume turco, nemico d'ogni innovazione e d'ogni libertà, e che ultimamente cercava di trucidarlo proditoriamente; e lo Zar deve vegliare sui sacerdoti russi, tenerli a freno, e papeggiare, con encicliche politiche tutt'affatto diverse da quelle del papone romano. Senza dilungarci sullo Stato Romano, già caduto, né sulla Russia, noi siam certi che le mene sotterranee dei preti turchi son la causa della decadenza dell'impero del Sultano. Invano l'imperatore, per tenerlo su, vorrebbe dar riforme liberali — gli arrabbiati Dervis incaglieranno ogni suo atto e lo conterranno, per cui egli e l'imperio turco son condannati a cadere ed a morire. E quando cadrà, il fanatismo armerà i Saraceni a guerra micidiale contro le potenze occidentali, ma sarà un breve rumore, e l'impero turco sparirà.

È questo il fato degl'imperi dispotici, che son governati dal prete o da una falsa religione.
 
 

CAPITOLO III.
 
 

SOMMARIO

Saggio di Filosofia della Storia, e ciò che da questa s'impara, studiandola con attenzione. — Si parla dell'impero romano avvolto nell'ateismo e nella superstizione, e dell'avvenimento del Cristianesimo. — I Filosofi ricercatori della verità — Pilato e Cristo.

Predicazione dell'Evangelio, e suoi trionfi. — Zelo degl'increduli, sostenitori del Paganesimo come Religione di Stato. — Intolleranza de' pagani.

L'intolleranza non risulta dall'Evangelio, — ma dal Romanesimo che non è Cristianesimo. — Conclusione di questo argomento.

Coloro che studiano attentamente la storia antica osservano il declinare degl'imperi, cagionato dalle lotte tra il principato ed il sacerdozio. Osservano altresí che a misura che l'incivilimento e la scienza progrediscono, la libertà si apre una via, l'esame critico vaglia il domma religioso, il paganesimo cade nel discredito, mentre il Governo dispotico vacilla e rovina miseramente. Vede eziandio i popoli non maturi a libertà, tementi di raccogliere il governo caduto per amministrarlo, e il clero fatto audace dall'altrui paura, impadronirsene, poi darlo a chi vuole a mo' di feudo baronale. Finalmente osserva che il dispotismo, e le religioni inventate dagli uomini, le quali non hanno l'impronta dell'Autorità Divina, muoiono di morte naturale.

Quando il Cristianesimo apparve in terra, la libertà era spenta, e il governo dell'impero era nelle mani de' pretoriani. — La religione poi era una cosa convenzionale, — era l'ipocrisia della Nazione, perché cosí voleva Cesare. Ma già il pagagesimo era stato minato da Cicerone, che col suo libro De Natura Deorum facea risaltare l'assurdità del politeismo, e diceva che anche le donne vecchie, superstiziose e spigolistre ridevano di quella miriade di Dii grossi e piccoli. Orazio sotto il divo Augusto se ne beffava, e faceva ridere gli amici quando ne' suoi versi mostrava a dito un gocciolone che d'un tronco di fico aveva fatto un dio! — Ed ora se ne fanno di molti di questi dii e santi e nessuno ne ride!

L'ateismo è frutto della superstizione e della corruzione — e corrotto e cancrenato sino all'osso era il popolo del romano Imperio. Allora le scuole greche e le romane si studiavano di trovare la Verità, che non già nella ragione, ma nell'Iddio vero trovasi. Pilato, che pizzicava del filosofo, restò maravigliato nel sentire da Cristo queste parole: “per questo son io nato e per questo son venuto nel mondo, per testimoniar della Verità; Chiunque è della Verità ascolta la mia voce”. (Giov., xviii, 37); e subito il pro consolo gli domandò proverbiosamente “CHE COSA È VERITÀ?(Id. v. 38); ma non attese la risposta, che orgoglioso com'era e filosofo, voleva trovar la Verità negli scritti e sulle labbra di uomini vanagloriosi ed alteri — e perciò non voleva essere insegnato dall'umile Gesú di Nazaret che non pertanto era “Dio manifestato in carne”. (1 Tim., iii).

Dice il Conte di Sanfranco nel suo Dizionario mitologico: “Dio è la Verità stessa, la Verità essenziale, il principio d'ogni verità. A stringer tutto in breve, la verità è una sola, e gli errori cangiano all'infinito. Cercare la verità negli scritti dei filosofi egli è un voler trovare la luce nelle tenebre. Il primo dei nostri doveri sta nell'amore della Verità. L'incomprensibilità è sovente una prova della Verità, e val meglio seguire la Verità col popolo, che appigliarsi alla menzogna col filosofo. Il falso non è che la corruzione del Vero, per conseguenza è d'uopo che la Verità sia anteriore al Falso”.

Il Cristianesimo fu abbracciato nel principio da poveri che si fortificavano nella fede affin di affrontare le persecuzioni che attraversavano la loro marcia trionfale nell'Impero Romano. Dio avea dato a quei pochi ignoranti di trasformare la faccia della terra, — di parlar pace ed amore a popoli crudeli e feroci, — di bandir loro l'Evangelio della Grazia che dà libertà agli spiriti asserviti al peccato ed a' despoti della ragione umana, e d'illuminare il mondo colla luce di Cristo. Scacciati erano da città e da villaggi, ma perseguitati, angariati, sopportavano il vituperio della croce, ed andavano sempre innanzi predicando con ogni franchezza Gesú Cristo ed Esso crocifisso in salute ad ogni credente. — Allora popoli intieri si convertivano, non al papismo ma all'Evangelo, non al papa ma a Cristo, non per guadagnare la terra ma la vita eterna. Erano i tempi del trionfo dell'Evangelo, e le conversioni erano sincere e numerose. Oh perché quel Libro divino venne in seguito seppellito e condannato da coloro che si dicono suoi ministri? Appena sparve l'Evangelio, la dottrina de' papi rimpiazzò la dottrina di Cristo, e la tirannia, le caste, l'ipocrisia, la superstizione e l'intolleranza tornarono ad insanguinar la terra! Non si videro piú conversioni, salvo che conversione voglia dirsi quella violenza brutale fatta da' dominicani agli Americani quando questi furono costretti col ferro e col fuoco a diventar papisti! — Sin da quando l'Evangelo fu eliminato da Roma, o restò lettera latina e morta, che neppure i preti intendono, il Cattolicesimo si fè crudele per sostenersi restò stantio, ed ora i suoi missionarii, dopo molti anni di pruove dolorose, appena riescono a convertir pochi pagani, — ma molti non mai — perché non predicano Cristo e l'Evangelo, ma la dottrina del papa e dei padri della Chiesa.

Mentre avvenivano queste cose, i Romani diventati increduli, conservavano il paganesimo per Religione di Stato. Erano pronti a ricevere le deità forestiere, purché gl'innovatori incensassero alle loro. Ma quando videro che i Cristiani proclamavano altamente l'unità di Dio, Spirito e Verità, e dimostravano che la religione pagana era falsa, si allarmarono, gridarono addosso agli empii, agli sfacitori del paganesimo, ed affilarono le spade per sostenere le loro superstizioni e le loro ipocrisie. E perché i Cristiani erano risoluti di non piegar la fronte innanzi alle deità pagane, erano denominati: “quelli odiati malfattori che il volgo chiamava Cristiani, da Cristo che, regnante Tiberio, fu crocifisso da Ponzio Pilato procuratore, la qual semenza pestifera fu per allora soppressa; ma rinverziva non pure in Giudea , ove nacque il malore, ma in Roma, ove tutte le cose atroci e brutte concorrono a solennizzarsi”. (Tacito, Annali, lib. xv, § xliv). Questo è il linguaggio, e queste sono le conseguenze inevitabili della politica intollerante d'un qualunque reame che ha Religione di Stato!

Ma il Cristianesimo secondo l'Evangelo è tollerante in sé stesso, e i filosofi moderni, che dimostrano il contrario, confondono scientemente il papismo coll'Evangelo, o si mostrano ignoranti di quest'ultimo. — San Pietro diceva: rispettate tutti, amate i fratelli; temete Dio: rendete onore al Re (1. Pietro, ii), e badate che quei tutti e i Re d'allora erano pagani! — San Paolo soggiungeva: Ogni anima sia soggetta alle potestà superiori: imperocché non è podestà se non da Dio, e quelle che sono, son da Dio ordinate. Per la qual cosa chi si oppone alla podestà resiste alla ordinazione di Dio. E quei che resistono, si comperano la condannazione (Rom., xii). E quelle autorità erano pagane! — Cristo ch'era venuto per regnare in Israel, vide il trono occupato da Cesare; non gli si ribella, anzi raccomanda di pagargli il tributo; Rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio (Matt., xxii). E Cesare era un pagano! — San Paolo che camminava sulle orme di Cristo, ed a seconda de' suoi insegnamenti ripeteva: Rendete adunque a tutti quel che è dovuto: a chi il tributo, il tributo: a chi la gabella, la gabella: a chi il timore, il timore: a chi l'onore, l'onore (Rom., XII). E il tributo, la gabella, il timore e l'onore si rendevano ai pagani! Dov'è dunque l'intolleranza nell'Evangelo!

Anche la predicazione di Cristo e degli apostoli era improntata di tolleranza, ché la verità di Dio non ha paura d'esser vinta dall'errore. Cristo evangelizzava la Samaritana (Gio., iv), ma non iscagliava le folgori della sua giustizia sull'empietà religiosa dei suoi connazionali. Egli si vedeva rigettato da' Farisei, e non armava il mondo contro di loro, ma dimostrava solamente quali erano le cause della loro incredulità e durezza di cuore: esse erano l'ipocrisia, l'avarizia e le loro invenzioni con le quali avevano adulterata la verità di Dio: Inutilmente poi mi onorano, insegnando dottrine e comandamenti di uomini. Imperocché trascurati i comandamenti di Dio, siete tenaci delle tradizioni degli uomini... Voi benissimo distruggete i comandamenti di Dio per osservare la vostra tradizione (Mar., vii). — E notate, che le dottrine inventate, di cui parlava Cristo, sono quelle stesse che sino ai giorni nostri hanno falsificata la Religione, e la rendono intollerante e superstiziosa. Che piú! Voi vedete nell'Evangelo che Cristo, tollerantissimo in faccia ai Farisei intolleranti, è odiato, vituperato, e fatto un pubblico spettacolo sulla croce da quei preti crudeli. — Potremmo multiplicare queste citazioni, ma quelle di già fatte provano abbastanza che l'Evangelo non proclama l'intolleranza — né come domma — né come dottrina. L'intolleranza appartiene alle religioni false che hanno bisogno anche della forza per sostenere l'errore. — Il Cristianesimo non s'inculca, né s'inocula col ferro — esso non ha bisogno di gendarmi. È il Verbo di Dio che parla autorevolmente agli spiriti: chi l'accetta è salvato, chi lo rigetta è condannato — e ciò da Dio, non dagli uomini. Perciò noi, per rispetto alla tolleranza, veggiamo l'Iscariota, Simon Mago e i falsi Cristiani, vituperio della Croce di Cristo, tolti dalla comunione de' fedeli, e non già dati in mano della forza, né gittati sul rogo, o nelle carceri.

Si — lo ripetiamo — l'intolleranza non è merce cristiana, ma è l'inevitabile risultato di canoni e dottrine di preti traviati che hanno rimpiazzato la carità dell'Evangelo col furore dissennato de' Saraceni. Noi sfidiamo tutti i detrattori di questo Libro divino, — tutti i filosofi che ragionano colle opinioni convenzionali del giorno, e con fatti non conosciuti né ponderati, di trovare un solo esempio d'intolleranza nell' Evangelo. Ma bene se ne trovano nelle tradizioni, nelle leggende, e ne' nuovi dommi di quella spaventevole religione che ha rigettato l'Evangelo di Cristo. Non son declamazioni queste; la storia non ci dice forse che i ministri del Romanesimo sono stati sempre intolleranti — e al massimo grado? Ma dov'è nel Nuovo Testamento un apostolo, un discepolo qualunque che abbia l'intolleranza di coloro?

Ne' primissimi tempi dell'era cristiana, quelli che ministravano nelle chiese erano servitori dotati da Dio, che davano ciò che avevano ricevuto per dono del Signore, e si attenevano semplicemente alla parola dell'Evangelo. Ma quando divennero padroni del gregge e lo signoreggiarono, quando appetirono i beni della terra, e un lor vescovo a Roma volle chiamarsi Re e prete, — essi diventarono crudeli ed intolleranti come i piú volgari despoti della terra, e si sviarono dalla Verità di Dio che non permette tali empietà, imperocché essa dice che il maggiore di tutti debb'essere il servo di tutti (Luca, xxii). Egli è vero che il maggiore di loro s'intitola servo dei servi, ma chi non sa che quelle mendaci parole suonano cosí: dominatore dei dominatori?

Bel servo invero è costui, ch'è coronato di tre corone, ch'è avido de' beni della terra, che eccita i popoli contro gli Stati che hanno a cuore la loro indipendenza, che condanna a morte, che stermina e malmena i suoi conservi! Bel servo è costui, che annoia l'universo mondo colle sue querimonie, perché alcune provincie italiane non vogliono esser piú sottomesse al suo regime di terrore e di sangue! —

Bel servo è costui che non può contare sulla fedeltà di coloro che gli son d'appresso; che compera mercenari micidiali da altre nazioni, ed assolda sotto i suoi pavidi vessilli tutto ciò che rigetta il continente europeo!

Bel servo è costui, che vuole per forza sedere a scranna fra i re di questa terra, e che vuole un regno dove Cristo non avea luogo per posare il suo capo divino; — e imperioso e duro nella ostinata sua volontà disprezza ogni consiglio, e non fa caso di niuno! — Tutto ciò è opposto all'Evangelo. Tutti lo sanno, — ma a nulla giova questa conoscenza, perché i governi legati dalla Religione di Stato, mentre combattono il re di Roma, debbono strisciare sul lezzo del Quirinale, per tenerselo amico in quanto allo spirituale. E non vi sarà niuno di questi re che senta la sua dignità — la sua potenza — onde rompere il legame che lo tiene incatenato al re-papa?

Risulta da ciò ch'è stato detto precedentemente che l'intollerantismo non trovasi nell'Evangelo;

Che l'intollerantismo nacque quando i preti cominciarono a signoreggiare, non già il loro gregge, ma la greggia del Signore;

Che ciò fu prodotto dalla incredulità, dall'ipocrisia, dall'avarizia e dall'orgoglio del clero;

Che l'Evangelo, essendo totalmente opposto alle cupidigie sfrenate, alla servitú dello spirito, all'orgoglio, ed alla casta, fu messo da parte, dimenticato e fatto dimenticare colla forza brutale come avvenne ai tempi degli eccidii degli Albigesi;

Che le tradizioni e i comandamenti degli uomini hanno rimpiazzato la dottrina e i comandamenti d'amore di Cristo;

Che ciò che fecero i Farisei intolleranti ai tempi di Cristo, fu ripetuto dal clero romano onde sostenere le dottrine e i comandamenti degli uomini, come sarà dimostrato in seguito;

Che i filosofi, ignoranti dell'Evangelo che è tollerante, hanno confuso la Religione di Cristo colla Religione di Roma;

Che la Religione di Roma è una religione politica, che combatte colla forza ogni Stato ed ogni uomo che non osserva le sue dottrine, le sue tradizioni e i suoi comandamenti di uomini.
 
 

CAPITOLO IV.

SOMMARIO

Ateismo nell'impero Romano, intolleranza ed odio contro la Religione Cristiana

I Cristiani costretti ad apostatare da' pagani che vedevano la Religione di Stato pericolante. — Persecuzioni.

Il Cristianesimo a' tempi delle prime persecuzioni.

Odio de' Romanisti contro Evangelo e loro statistiche, nelle quali si veggono milioni di papisti e nessuno credente in Cristo e nell'Evangelo. — Costantino

L'incredulità che apparve in Roma al sorgere dell'imperio, fece dell'Imperatore, dei senatori e di tutto il popolo, tanti tolleranti di forma. Con la dabbenaggine dell'ateo, il senato deificava Nerone, Caligola ed altri mostri che facevano scempio dei popoli che governavano. Indi col disprezzo dell'incredulo distruggeva le loro statue, e ne innalzava altre ad onore di nuovi tiranni.

Era questo il modo che usavano per far cadere nel ridicolo il paganesimo. Ma s'ingannavano a partito. L'incredulità sembra un bel fatto nel principio, e molti se ne accontentano, ma credete voi che lo spirito ne sia lieto? No, tosto o tardi si produce in esso una reazione. — In quei tempi gli uomini sinceri ed onesti stanchi dell'ateismo che sta a cuore de' soli viziosi e malvagi, — abbracciarono l'Evangelo. Allora si sentí predicare una nuova fede, un nuovo Credo in tutto l'impero. Gli increduli romani che stavano al reggimento dello Stato, ne furono scossi, temerono di perdere quella larva di religione che apparteneva all'impero, risorsero zelanti di essa, gelosi dell'onore degli dei, e comandarono che fosse rispettata la religione dello Stato. Subito inveirono contro la setta de' Nazarei (Atti, xxiv, v. 5) e dichiararono che i cristiani predicavano cerimonie, le quali non è lecito a noi di abbracciare, né di praticare essendo noi Romani (Id., xvi, 21). Ma se la predicazione dell'Evangelo proclamava Cristo e la vita eterna, e per conseguenza la caduta di tutti gli dei falsi e bugiardi, — essa non adoperava la forza, ma la parola. Essa facea parte di quella libertà di coscienza e di pensiero che si voleva osservare nell'impero il quale accoglieva le deità dei popoli conquistati. Ma a dispetto del buon diritto, e Cesari e proconsoli cominciarono a perseguitare furiosamente il Cristianesimo dimostrando in faccia al mondo che la lor falsa religione accoglieva ogni altra falsa religione, e non già la vera; — che vi era libertà di predicare le false credenze, e non la vera, — che l'intollerantismo non sta nella vera, ma nelle false religioni; — che la tolleranza in un impero che ha religione di Stato, è una menzogna, — e che hassi a temere la vera Religione perciocché essa potrebbe annullare i falsi credi.

I Romani incominciarono le persecuzioni domandando il piú grande sacrilegio ai Cristiani — quello di offrir sacrificii alle deità de' Gentili. Se il Governo concedeva libertà di coscienza e tolleranza, perché domandare una empietà siffatta? Se il Governo era sicuro che la sua Religione di Stato fosse la vera, perché allarmarsi? Ché la verità non ha mai avuto paura della menzogna. Ma richiedendo ai Cristiani un sacrilegio, e perseguitandoli, l'impero romano dimostrava ch'esso seguiva il vecchio principio di Nabo-Chodonosor, che mentre dicea di rispettare l'Iddio vivente e vero degli Ebrei, volea che questi adorassero la sua statua, sulle pianure di Dura, — ch'esso era tollerante di forma non di fatto, — ch'esso aveva una religione di Stato falsissima, — che questa serviva all'impero e gli era sottomessa, — che la perdita di essa equivaleva alla perdita dell'impero — e che il governo Imperiale era stoltamente intollerante. Ma l'Evangelo (non il Romanesimo) mentre annunzia la Verità, dà piena libertà a chiunque di riceverla o di rigettarla. Esso è dottrina di vita eterna non di Stato politico — né ha a far nulla coll'ultimo. — Ma direte, dalla sua predicazione emana l'intolleranza morale almeno! E che! non veggiam noi continuamente filosofi e politici che sostengono, ratificano e inventano nuovi principii e sistemi, e li espongono al pubblico che li ammette, o ride alle loro contraddizioni: — e li chiamerete voi intolleranti? No certamente. Ebbene si accordi la stessa libertà alla predicazione dell Evangelo.

L'impero romano fu lo Stato che piú fece violenza alla ragione ed alla libertà del cristiano, forzandolo ad apostatare e ad incensare gl'idoli. Ma i fedeli potevano benissimo (senza trasgredire all Evangelo) vivere sottomessi a Cesare ed alle autorità costituite, pagare i balzelli, dare la lor vita per l'imperatore, — non già apostatare. I proconsoli ne furono crucciati — subito l'intolleranza della loro Religione di Stato armò la mano dei carnefici e il sangue dei Cristiani inondò la terra; “Uccidevansi con ischerni, vestiti di pelle d'animali, perché i cani gli sbranassero vivi; o crocifissi, o arsi, o accesi per torchi a far lume di notte”. (Tacito, Ann., lib. xv, § 44).

Or qui fa d'uopo che discorriamo alquanto sullo stato della dottrina dei Cristiani a' tempi delle prime persecuzioni.

Il Cristianesimo professato nel primo secolo fu secondo l'Evangelo. Ma ne' secoli seguenti, anche in mezzo alle piú vive persecuzioni, la pura dottrina di esso andò smarrita. La morte, il vituperio della croce e la paura atterrirono molti cristiani e spensero in loro l'amore della Parola di Cristo. Quelli che erano forti nella fede non indietreggiarono in faccia alla croce, e sostennero il martirio; ma i timorati ricchi e i borghesi vedendo che lo Stato avversava il credo cristiano, si ritirarono. Restavano i poveri chiamati beati dall'Evangelo, e malfattori e semenza pestifera da Tacito. La persecuzione che andava sempre piú incalzando, i terrori e gl'impedimenti che incontravano i fedeli da per tutto, non ispensero totalmente la fede, ma furono ostacoli per riunirsi fra loro onde nutrirsi della Parola dell'Evangelo. Cosí incominciò, e poi crebbe l'ignoranza; e il clero piú pauroso e piú ignorante del gregge, invece di ritemprar le sue deboli forze nella Parola della Vita, si sviò a poco a poco dalla Verità, e volle transigere colle superstizioni del Gentilesimo. Molti, scandalizzati dalle novità che adulteravano il domma cristiano, si smarrirono dalla fede, — altri ammisero le vecchie superstizioni, colorandole di evangelismo, ed allocandole fra le dottrine cristiane. Cosí, come i pagani onoravano i morti e pregavano per loro, i cristiani fecero simigliantemente verso i loro estinti; — come gl'idolatri adoravano i loro semidei, adorarono i martiri, e in tal modo rubarono a Dio la gloria e l'adorazione per darla alle creature ed ai cadaveri! Poi inventarono nuove stranezze e pazze dottrine; — la gran Verità, la vitale e sublime Verità bandita da Gesú: Chi crede in me ha vita eterna divenne un mistero, e niuno piú l'intese, e tutti cercarono di procacciarsi la Vita eterna per mezzo delle opere scellerate della carne... Ma io lascerò questo argomento che non si attaglia al presente ragionamento, quantunque egli sia importantissimo per quei sapienti, che sconoscendo l'Evangelo, confondono Cristo col papa, e ne fanno un fascio, senza badar che altro è Cristianesimo, altro è Romanesimo. Né vale la ragione che in quest'ultima comunione vi sia il nome di Cristo e la Bibbia del Breviario — anche nel Corano v'è il nome di Cristo, e un compendio guasto e falsificato delle Scritture Sante, ciò non di meno coloro che seguono il Corano son Maomettani, non Cristiani.

Discorrendo de' tempi primitivi delle persecuzioni, noteremo eziandio che il clero profittando dell'ignoranza delle masse perseguitate, si fe' padrone di esse e della loro coscienza. E sviati tutti dall'Evangelo continuarono ad inventar dottrine nuove, eretiche, non basate sulle epistole degli Apostoli; e per sostenerle, si calunniarono, si anatemizzarono con grave scandalo del mondo pagano; e perché ogni prete è un despota orgoglioso, vi furon tanti credi per quanti v'erano preti. Non mai pullularono tante sette quanto in quell'epoca di disordine e di confusione!

Sí — importa assaissimo di notare queste circostanze in cui trovavasi il Cristianesimo, quando avvenne la conversione di Costantino, onde vedere e toccare con mano, che l'intolleranza che entrò nella religione di Roma altro non fu che quella medesima intolleranza professata dalla Religion Pagana; — e che essa, potendo vivere e sussistere soltanto dov'è principato assoluto e falsa religione, scivolò nel Cristianesimo quando questo era già adulterato dalle invenzioni umane, di talché nomavasi non piú Cristiana, ma Religione Romana.

È proverbiale l'odio del Romanesimo contro l'Evangelo. Quello cammina secondo i Padri e non secondo la Parola di Cristo, e l'immediata conseguenza di questa confusione, di questo bailamme di teologi sofisti, è il rigettamento della Bibbia, e la paura di vederla trionfare di nuovo a distruzione dell'autorità del clero intollerante e micidiale, e a ristabilimento dell'autorità di Dio.

I preti per mostrarci i funesti risultati de' loro errori, ci additano le statistiche che registrano milioni e milioni di Cattolici-Romani; — ma dove sono i credenti in Cristo, e secondo Cristo? Che importa il numero, se niuno fedele all'Evangelo? — Che giova questo vostro pomposo romanesimo, o preti superstiziosi, se egli non sa formare il cuore dell'uomo — ma lo rende arido, ateo, immorale? Come mai la vostra religione può addurre alcun che di bene alla società? Si, non sappiam cosa farne del vostro numero, o romanisti; — sappiam soltanto che il cuore dell'uomo propende all'errore — l'accetta — e se ne fa infocato seguace. Sappiamo che la superstizione e l'idolatria trovano protezione e seguaci. — Sappiamo dalla Storia che il Cristianesimo degli Apostoli trovò poche migliaia di seguaci; e quando divenne Religione Romana, — quando la dottrina evangelica fu corrotta e si acconciò col mondo, — quando si sposò allo Stato e fu protetta dalla spada di Nabo-Chodonosor, essa trovò milioni di seguaci; — la Verità fu perseguitata, e la, vostra religione produsse società viziate, immorali ed ateizzanti. — Vi è coscienza in voi? Se ve n'è, date uno sguardo alle nazioni europee, e dite se abbiam torto.

Arroge che le false religioni hanno sempre avuto degli uomini iniqui per antesignani, promotori e protettori. Svolgete qualche pagina antica, e vedrete che Costantino aspirava alla corona imperiale, e non trovava un partito che lo volesse sostenere. Ma quando quell'uomo tenebroso e micidiale vide che l'impero formicolava di cristiani — egli volle trovare in essi il suo partito. Il protestante Enrico IV, quando si fece romanista per ottenere il reame di Francia, disse con sarcasmo diabolico: Paris vaut bien une messe. — Costantino prima di lui aveva detto nel suo cuore: L'empire vaut bien une croix de bois, e in una notte inventò una visione e divenne cattolico-romano! — Noi lasciamo ai preti l'ardua sentenza della sincerità della conversione di Costantino; — noi non veggiamo altro in lui che un cattolico di convenienza. Come mai si può credere cristiano uno che uccide barbaramente suo figlio, sua moglie e i suoi prossimi parenti! L'Evangelo non sancisce tali iniquità, e un uomo di sangue non è uomo di Dio. Chiunque commette tali misfatti, sarà cristiano innanzi agli occhi di un partito, ma egli non è cristiano innanzi a Dio. Perciò moltissimi storici non credono affatto che la conversione di Costantino fosse sincera. Essi notano che i preti pagani l'odiavano a morte, perciocché egli aveva tinte le mani nel sangue de' suoi, e gli davano del parricida sul capo. Né la storia greca, né la romana ci dicono che tali misfatti fossero tollerati da' pagani; e ce ne porge una prova il Senato romano, che condannò a morte ignominiosa il matricida Nerone. Costantino odiato da tutti, flagellato da' rimorsi, rigettato da' sacerdoti pagani che gli ricusavano il perdono, si rivolse al pretume romano che lo ricevè, come a' dí nostri ricevette Ferdinando II di casa Borbone.

No — il Romanesimo non può coscienziosamente gloriarsi del suo fondatore, perciocché questi si chiama Costantino! Profano ed empio, l'imperatore non rigettò il paganesimo e la superstizione; per far trionfare la verità dell'Evangelo, ma fe' trionfare il Cristianesimo adulterato per amicarsi una turba di preti, strumenti delle sue ambizioni e crudeltà. — Se voi che mi ascoltate, credete che sian vere quelle solenni parole di Cristo: Ogni buon albero porta buoni frutti, e ogni albero cattivo fa frutti cattivi; ne può un buon albero far frutti cattivi; — né un albero cattivo far frutti buoni (Matt., vii) ; voi dovete convenir meco che Costantino fu un albero cattivo, i cui frutti cattivi hanno avuto, ed hanno tuttavia sapore di morte, ed hanno avvelenata la vita di molte generazioni. Perciò Dante sclamava con isquarciato animo: “O popolo felice e te Italia gloriosa, se quell'INFIRMATORE del tuo imperio mai nato non fosse!” (Della Monarchia, lib. ii); — e Ariosto:

Quel Costantino, di cui doler si debbe
  la bella Italia fin che giri il sole!”
 
 

CAPITOLO V.

SOMMARIO

Di Costantino e de' suoi decreti a favore de preti e della libertà di coscienza

Della Religione di Stato che impedisce l'applicazione della libertà religiosa.

Noi crediamo che la Religione abbracciata da Costantino non fosse mica il Cristianesimo, ma il Romanesimo — specie di rapsodia della dottrina di Cristo. E come pensare altrimenti, se tutti i decreti dell'Imperatore riguardanti la nuova religione non sono fondati sull'Evangelo?

S'egli è vero che il senso comune non è perduto — ognuno deve convenire che Cristo e il Cristianesimo trovansi nell'Evangelo e chiunque opera in manifesta opposizione ad esso non sarà mai cristiano, quantunque ne usurpi il nome.

Nella vita di Costantino, scritta da Eusebio, troviamo che i vescovi furon chiamati dall'imperatore a formare un potere nello Stato (Euseb., Vita di Cost., lib. i, cap.. xli). Ciò non è permesso dall'Evangelo (Gio., xviii, 56). Quando Cristo arguisce i suoi discepoli che sentivano la tentazione di dominare, dice che essi dovevano essere i servitori de' cristiani, non già delle potenze del mondo (Mar., x, 42,45). Egli separava le due potestà temporale e spirituale — egli rendeva a Cesare ciò che era di Cesare e a Dio ciò che era di Dio. — Egli serviva al suo Padre ch'era ne' cieli, e non già, alle potenze terrene, né si associò ad esse. Cosí fecero gli apostoli — e chi è di Cristo deve fare simigliantemente.

I vescovi, dice Eusebio (Storie, lib. X, cap. v), viaggiavano a spese dello Stato, ed erano provveduti di tutto. Né Cristo né gli apostoli viaggiavano mai a spese di Pilato, di Cesare o di Erode. È il Padre celeste, e non lo Stato che deve provvedere a' bisogni de' ministri. Ma Dio provvede ciò che è strettamente necessario, e i preti ingordi ed ambiziosi lasciano Dio per domandare il superfluo al mondo. Cristo chiama uomini siffatti col nome di pagani (Luca, x, 3, 4; Matt., v, 32,33).

Costantino diè loro il permesso di riunirsi in sinodi e in concilii (Euseb., Ist., lib. x, cap. v), e poi presiedè al primo concilio ecumenico di Nicea nel 325. — Nel cap. xv degli Atti apostolici noi non veggiamo la presidenza di Cesare e di Erode, ma quella dello Spirito Santo; — non veggiamo i vescovi soltanto riuniti, ma gli apostoli, gli anziani, i fratelli con tutta la Chiesa (v. 22, 23). Dov'erano i fratelli e la chiesa in quel concilio? — V'era il mondo rappresentato da Costantino, e alcuni scribi che infrangevano i dettati del Vangelo — ecco tutto. Da un conciliabolo di tal fatta non poteva uscir altro che male, — e infatti ivi fu organizzata la prima persecuzione religiosa contro gli Ariani. Che forse Cristo autorizza la persecuzione? Egli rispose a Jacopo e Giovanni che volevano fare scender fuoco su' Samaritani: Voi non sapete di quale spirito voi siete, perciocché il Figliuol dell'uomo non è venuto per perder l'anime degli uomini, anzi per salvarle (Luca, ix, 55, 56).

L'imperatore accordò somme ingenti ai preti per la fabbrica di templi. — Se que' chercuti fossero stati versati nella Bibbia avrebbero rinunziato. Il tempio è cosa giudaica, e non cristiana: Cristo che era venuto per chiudere l'economia giudaica ed aprire quella della Grazia, diceva ai suoi discepoli, che del tempio di Gerusalemme non sarebbe restata pietra sopra pietra (Matt., xxiv, 2).E cosí avvenne, — ed ora gli Ebrei dispersi non hanno piú tempio, ma sinagoghe. Ciò durerà sino al loro ristabilimento nella Palestina. — Nella dispensazione cristiana il tempio di Dio è il cuore dei fedeli (1 Cor., iii, 16, 17), non già quattro belle mura. La Chiesa non è il tempio, né la cappella, né ciò che volgarmente chiamasi chiesa, ma è il corpo di Cristo (Efes., I, 22, 23) e tutti quelli che credono in Gesú sono membra di questo corpo spirituale (1 Cor., vi, 15). Ed ora, gli schernitori di Dio prendono il tempio per una bella casa — la chiesa per la casa stessa! No — né Costantino, né i vescovi erano cristiani: niuno di loro era convertito a Cristo, — e perciò niuno di loro si atteneva ai dettati di Cristo.

Costantino nominò i vescovi consiglieri dell'Impero (Euseb., Vita di Costant., lib. i, c. xli). Il Vangelo non autorizza cose simili, perché la Chiesa dev'essere un corpo con Cristo, non un corpo col mondo. Se si fa altrimenti, la Religione è subito adulterata e diventa cosa abominevole innanzi a Dio. Essa si mondanizza e diventa un potere del mondo. Infatti appena i vescovi diventarono consiglieri dell'impero, formarono immediatamente un potere nello Stato — e in seguito lo Stato stesso. A' tempi di Costantino, le leggi emanavano dallo Stato politico: ma i Vescovi, per evitare la soggezione del governo, e per esser legge a loro stessi, si diedero a tutt'uomo a formare i Canoni della Chiesa. Non è questo uno Stato nello Stato? Una legislazione soppiantata da un'altra? — E poi, quando mai Cristo autorizzò i preti a far leggi e Canoni? Non basta l'Evangelo?

Intanto come palliativo politico a favore de' pagani, Costantino e Licinio promulgarono un decreto (come si legge in LATTANZIO, n° 45) nel quale dicevano che niuno doveva essere inquietato per le sue opinioni religiose. Bugiardo editto che promette quella libertà di coscienza che il Romanesimo non può accordare a chi che sia. La tolleranza è morte per quella falsa religione.

Riporteremo uno squarcio di questo famoso editto imperiale:

Questo editto è liberalissimo — e leggendolo siamo compresi d'ammirazione vedendo come in quella età di ferro la libertà morale fosse cosi bene intesa. — Arroge che non vi veggiamo la Religion di Stato, ma la licenza data ai cristiani e agli altri di seguitare qual religione piú lor piacerà. Certo se la bisogna fosse andata cosí, in questo secolo non si scriverebbero piú opuscoli a favore della libertà di coscienza! Ma Costantino, assediato continuamente da vescovi piagnuccolosi e petulanti, pria diè loro denari, poderi, e fece fabbricar templi; — poi assentí a quel loro perfido golío di far leggi a Dio (che cosí possono denominarsi i Canoni che non sono affatto basati sull'Evangelo); — finalmente si fece strumento d'intolleranza e di crudeltà nelle loro mani, e allora l'editto divenne lettera morta. La Religione di Stato non era un domma per Costantino, eppure cosí sciolto com'egli era da quel freno, non potè resistere all'invito de' preti di perseguitare: come potranno ora essere frenati quei governi che nelle loro costituzioni politiche dicono: “La Religione Cattolica, Apostolica e Romana è la sola religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi?”. Essi presteranno sempre braccio forte ai magnati della Religione di Stato, per processare e tormentare quei pochi ch'essi dicono tollerati.

Bisogna che si dica chiaramente che dove sta il Romanesimo, questo regna, e non il governo civile; — e che è impossibile aver libertà di coscienza dove quella religione impera sulle coscienze. Si potrà promettere libertà, ma si avrà tirannia morale.

La falsa religione non stabilisce la Verità, ma la combatte. Essa è causa di esame e di critica , ed è sorgente di eresie. Siccome non sta nella Verità, si sente debole, e non può combattere gli errori. Allora ricorre al braccio secolare.

L 'eresia ariana sorse perché i Romanisti erano nell'errore. Come mai questi rigettarono l'Arianesimo? Essi fecero concilii e canoni in cui vergarono leggi draconiane contro gli eretici. Cosí la religione perseguitata, diveniva persecutrice! — Costantino, servo ed usciere degli audaci prelati che avevano invaso la sua autorità politica, inviava quelle leggi ai pretori delle provincie, raccomandava loro di processare gli eretici, e faceva eseguire issofatto le sentenze micidiali !

Dov'era la vantata libertà di coscienza? E l'editto di Costantino e di Licinio che forza avea?

Oimè! si era rimpiazzato la superstizione de' pagani colla superstizione de' romanisti — s'erano cangiate le statue su' piedistalli — s'insegnava una falsa religione invece del paganesimo, e i gentili atterriti dalle persecuzioni fingevano di convertirsi ai nuovi errori. Ma siccome i principii d'una falsa religione sono gli stessi di tutte le false religioni della terra, l'intolleranza dei pagani doveva passare nelle mani dei Romanisti; e come quelli furono persecutori tenaci, cosí questi dovevano essere tigri assetati di sangue. Le stragi degli Ariani son lí nella storia per fare arrossire il prete!

Dov'era la verità? Il Romanista n'era digiuno, e intenebrato da Satana, cominciava la persecuzione e scannava senza pietà. L'Ariano, digiuno anch'esso di verità, rispondeva colla guerra di sterminio. Il pagano poi vedeva queste due sette dilaniarsi a vicenda, e disprezzava il nuovo Credo, anzi quando glie ne veniva il destro concorreva allo sterminio di tutti e due. E ciò è religione? E come in questo secolo, filosofi e letterati e politici osano dire che ciò è cristianesimo? E che, lo sperpero e l'occisione derivano dall'Evangelo? Dov'è in questo santo libro una parola che autorizzi il falso levita a brandir l'arme contro il suo nemico? Cristo invece dice di amare i nemicidi benedire coloro che ci malediconodi far bene a coloro che ci odiano di pregar per coloro che ci fanno torto e ci perseguitano (Matt., v. 44 a 48).

Tutti questi malanni derivarono dagli stolidi atti di Costantino che davano ai preti quella malaugurosa autorità politica, la quale sotto il nome di religiosa serpeggiò nella reggia e dominò i principi. Perversa autorità, che fu cancro dell'impero occidentale, peste e delirio dell'impero bizantino, flagello del medio-evo, e sorgente d'innumerevoli sciagure.
 
 

CAPITOLO VI.

SOMMARIO

La superstizione romana proclamata da Costantino non produsse in lui né nei suoi la rigenerazione cristiana. — Sin dal suo apparire fu professata per ragion di Stato.

Ferocia dei Costantiniani — Di Giuliano, della sua apostasia, della religione dell'Impero e della corte di Costantinopoli.

La libertà di coscienza proclamata da Giuliano non potè attuarsi a causa della Religione di Stato professata dall'imperatore — Decreti di Giuliano.

La superstizione è simile alla tirannia. Essa s'impone sopra un popolo — ha tutta la viltà dell'errore e l'insolenza dell'ignoranza. È assoluta nemica della verità, despota delle coscenze. Codarda, non ha forza né volontà di difendersi, e si serve della spada e dello Stato. Si adorna splendidamente e sfoggia vanità orientale e carnevalesca nelle sue vesti. Ama lo sfarzo e la pompa nelle sue feste per abbagliare il vulgo ignorante. Compera scribacchioni volgari per farsi cantar l'apoteosi. Teme di tutto, perché è religione falsa ; nemica della verità e nemica del genere umano, che uccide snaturatamente se non accetta il suo credo.

Era questa la religione abbracciata da Costantino; e da lui e da' preti imposta con varii e fraudolenti modi ai popoli dell'impero romano, seminò odii e rancore.

L'opera spirituale di Cristo nel cuore dell'uomo produce la vita, la rigenerazione, e una nuova nascita; — l'opera del prete intollerante produce la morte, uccide la vita e spegne anche il senso morale nell'uomo. Allora tutti sono scandalizzati, e tosto o tardi scoppia la reazione contro l'errore mascherato e il boia micidiale che parla di carità.

Siccome Costantino non fu, né divenne mai cristiano, né mostrò mai di esser rigenerato, né nato di nuovo, né mai camminò secondo Cristo, ma dopo la sua conversione continuò ad esser despota efferato e violento; alcuni della famiglia imperiale, scandalizzati dal suo esempio, rigettarono il nuovo credo nell'intimo del loro cuore, e lo professarono esteriormente per ragione di Stato.

Alla morte dell'imperatore, i suoi tre figli Costantino, Costante e e Costanzo successero al diviso imperio. Redivivi fratelli tebani, i due primi si fecero aspra guerra, e si uccisero — e il terzo in un momento di strano furore tinse le mani nel sangue dei suoi parenti! — Questi Costantini avevano il carattere del Saturno della favola il quale divorava i proprii figli.

Giuliano scampò dalla rabbia di Costanzo, ed acclamato imperatore; vide il furioso congiunto muovergli incontro per combatterlo ed ucciderlo; ma cammin facendo questo Costanzo ammalò di rabbia e morí disperato. Allora Giuliano ascese sul trono Imperiale.

Egli era stato battezzato quand'era pargolo, fu educato al romanesimo ed alla superstizione, si tonsurò una volta a mo' di pretoccolo, ma arguto com'era ed inesorabilmente logico non trovò Cristo ne' canoni, nelle tradizioni, e nelle invenzioni degli ambiziosi prelati, e disprezzò il nuovo credo. Potente incentivo a questa sua apostasia, fu la corruzione, i vizii e l'empietà de' romanisti. Quelli della sua parentela, insegnati da Eusebio e da Ario, e non già dall'Evangelo, non aveano sentito il rinnovamento del cuore, e continuarono nelle loro ferocie e dissolutezze: — ciò ancora scandalizzò Giuliano, per cui credette che la religion pagana valesse meglio della nuova. Arroge, che il mondo romano era popolato d'ipocriti, d'ambiziosi e d'insolenti, che sotto l'ombra del cattolicesimo consumavano opere nefande. I pagani atterriti dalle persecuzioni, fingevano di convertirsi alla nuova dottrina, ma l'avversavano di fatto; ignoranti com'erano della Verità ch'è nell'Evangelo, e scandalizzati dalle turpitudini che si commettevano dal clero e dalla corte. Per questi fatti, si può dire che l'apostasia di Giuliano fu opera de' preti, e non sua: — ed essa apostasia perde tutto il tetro colore che le si vuole apporre, quando si pensa che apostatare dall'errore è nulla, mentre è cosa gravissima apostatare dalla Verità.

E poi — che razza di religione era quella, se all'annunzio dell'apostasia di Giuliano, i pagani che si spacciavano convertiti al Romanesimo riapersero i loro templi? Era una religione di Stato — convenzionale imposta dalla forza, e che dura sin che vi son tiranni della coscienza umana, ma poi cade al primo bagliore del sole della libertà. — Era una religione che permetteva i parricidii di Costantino e di Costanzo, — una religione ladra che impinguava i preti — una religione molle ed effeminata che prestava all'imperatore mille barbieri vestiti come senatori, e mille cuochi comecché Costanzo avesse mille facce da radere, e mille ventri da empire! Udite la testimonianza di Fleury nella Storia del Cristianesimo, al lib. xv, § 1:

Giuliano fu il solo che concepí in tutta la sua pienezza l'idea della libertà di coscienza. Ma non gli giovò a nulla, perché egli aveva una Religione di Stato, impedimento gravissimo all'attuazione di quell'idea. La sua filosofia e la moderazione de' suoi atti non bastarono a metterla in esecuzione, perciocché un Credo di Stato è un lacciuolo che ritiene la preziosissima libertà dell'anima e impedisce ogni manifestazione di volontà morale.

Tutti gli atti del suo regno aveano per mira la libertà di coscienza, — ed incredibilia sed vera, — con essi egli insegnava ai Romanisti ad esser cristiani.

Da Costantino a lui, gl'imperatori, ligii all'autorità esigente dei preti, erano strumenti delle tirannie della cherca insolente. Giuliano insegnò loro a perdonare e tollerare. Dice Fleury (St. del Crist., lib. xv, § iv):

Cosí Giuliano ricordava ai sedicenti cristiani le parole di Cristo: Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate bene a coloro che vi odiano (Matt., cap. v, vers. 44).

Siccome l'invidia, lo sperpero e l'odio feroce di parte sono i distintivi delle sette, gli Ariani vennero alle mani co' Valentiniani. L 'oro — il mammone dell'iniquità secondo Cristo, — era stimolo al male che facevano; — e Giuliano con fina astuzia e beffardo scherno volle rimuovere quella sorgente di risse e di sangue:

I preti avari grideranno la croce a Giuliano, ma se ve ne sono de' coscienziosi fra loro che leggono l'Evangelo, debbono convenire che l'empio ed apostata Giuliano conosceva la Scrittura meglio di quelle guide cieche. Le facoltà d'una Chiesa debbono consistere nell'“eredità incorruttibile ed immaculata, e che non può scadere, conservata ne' cieli per noi”. (1. Pietro, i, 4). I cristiani invece di abbicare del ricchezze debbono “vendere i loro beni e farne limosina” e non debbono avere il cuore al danaro, perciocché, dice Cristo, dove è il vostro tesoro, quivi ancora sarà il vostro cuore (Luc., XII, 53, 34). Ora, i beni di questa terra appartengono al principe di questo mondo ed a' Cesari suoi, non a coloro che son seguaci di Colui che “non avea pure ove posare il capo” (Luc., ix, 58). E poi che ne dite di questi sedicenti cristiani che commettevano misfatti?

La tolleranza e il perdono delle offese erano praticati dall'apostata! Dio giudicava quegli inesorabili settarii per la bocca di un empio. “Per gl'iddii, ordinava Giuliano (Ep. 7, Artabio), non voglio che i Galilei sieno uccisi, né battuti ingiustamente, né offesi in veruna forma”. E altrove scriveva (Ep. 52, Bost. Soz., v, c. 5) “Non lasceremo che sieno strascinati agli altari”.

Lezione ai feroci uccisori degli Albigesi , de' Valdesi, degli Ugonotti, e degli Americani! Ed altrove:

E agli abitanti di Bostra:

Di quali vasi, e oro, e argento, e ricchezze avean bisogno le chiese? Esse incominciavano già a giudaizzare e a mondanizzarsi, volendo la pompa del tempio gerosolimitano, e l'oro della terra. Ma Cristo non sa che farsene di queste cose. — Erano pure diventati ambiziosi quegli scandalosi, e litigavano contro il divieto di Cristo:

Già l'insegnamento era passato nelle mani de' preti, apostoli dell'oscurantismo, e nemici dell'Evangelo di Cristo. “Costoro, dice Giuliano, traendo di che vivere da' libri di tali autori (Omero, Esiodo, Demostene ecc.), mostrano esser molto avari, tradendo per alquanti denari la coscenza loro. Vadano a spiegare Matteo e Luca nelle chiese de' Galilei!” (Ep. 42). — A parte lo scherno dell'apostata, notiamo che i Romanisti d'allora, come nel presente, erano molto avari, che desideravano per ingorda cupidità di guadagno d'invadere le scuole, e che trascuravano d'insegnar Matteo e Luca nelle lor chiese. Infatti, mentre noi veggiamo a' dí nostri preti in ministero, preti in collegii, preti in iscuole, preti in consigli comunali, preti in Parlamento, — non ne veggiamo uno che esponga Matteo, Luca, Giovanni e Marco nelle chiese! — Si dà il catechismo, invenzione romana, e non mai l'Evangelo!
 
 

CAPITOLO VII.

SOMMARIO

La falsa donazione di Costantino serví di programma ai diritti politici vantati dai papi dal secolo VIII a' dí nostri

Potenza del Romanesimo diventato Religion di Stato — Il papa usurpa Roma. — Pipino, Carlomagno.

Del medio-evo, di Gregorio VII e dei primi riformatori: — Dei principi che diventavano strumenti d'oppressione nelle mani del preti.

Ne' due capitoli precedenti parlammo di Costantino che introdusse e favorí il Cattolicesimo, e di Giuliano che ritornò l'impero al paganesimo. Ora fa d'uopo di tornare a Costantino per veder l'origine della potenza politica de' papi —solo ed unico scopo a cui mirava, e mira tuttavia il cattolicesimo.

Costantino, buon capitano, e politico abile e talor forse traditore”, come dice Cesare Balbo, volle essere imperatore a dispetto de' Romani che l'avversavano. L'assassino di Licinio suo cognato, di Liciniano suo nipote, di Massimino suo suocero, di Crispo suo figlio, di Fausta sua moglie, non poteva essere amato da' Romani. Regnò per la forza, odiato da tutti. Stanco del malcontento degl'Italiani, incominciò egli ancora ad odiarli, e lasciandosi guidare dalla politica del dispetto volle mettere in atto il pensiero della divisione dell'impero in occidentale ed orientale, già progettata da Diocleziano, e che non riuscí se non ad indebolire viemaggiormente l'impero sconnesso. Inventò visioni, chiamò Dio e cielo a parte del suo astuto pensiero, e un bel dí disse di rimovere la sede dell'impero a Bisanzio. Cominciava allora la caduta dell'impero romano, e l’apparizione della potenza politica dei papi.

Noi crediamo fermamente che i preti ambiziosi spinsero l'imperatore a quello sciaurato atto, affin d'aversi il dominio d'Italia. Ciò risulta dal falso atto di donazione di Costantino, che fu inventato a bella posta verso il secolo VIII, quando la chierca e la sottana nera imperavano di già nella patria nostra: — or quella donazione bugiarda va studiata alquanto, perché mostra la mente de' preti al secolo VIII, la quale non poteva esser diversa di quella che avevano a' dí di Costantino. Infatti essa fa dire all'imperatore : “Vogliamo che la SS. Chiesa romana sia onorata piú che la nostra potenza imperiale, la quale è terrena”: or questo articolo dava ai papi il diritto di credersi superiori a' principi della terra e dispensatori di troni. “Noi gli diamo il nostro diadema, la nostra corona e la mitra, tutti gli abiti imperiali che ci adornano; — noi gli conferiamo la dignità imperiale e il comando della cavalleria”. Cosí il papa diventava imperatore e generale d'armata: e ciò serví a puntino all'iracondo Gregorio VII, a Giulio II, a Bonifacio VIII, e ad altri papi. “Noi vogliamo che i RR. Chierici della SS. Chiesa romana godano i diritti de' senatori; e li nominiamo patrizii e consoli. Vogliamo che i lor cavalli sieno adorni di gualdrappe bianche, e che i primi ufficiali della corona tengano la briglia a'  loro cavalli come noi ne abbiam dato l'esempio”. Vedremo Adriano IV vantar questo diritto, e rivendicarlo col ferro e col fuoco da Barbarossa. “Concediamo in dono al pontefice la città di Roma, tutte le città occidentali d'Italia; e tutte le città occidentali degli altri stati. Noi cediamo il posto al papa: rinunziamo al dominio di tutte queste provincie, ci ritiriamo da Roma e trasportiamo la sede del nostro impero di Bisanzio, non essendo convenevole che un imperatore terrestre abbia alcun potere ne' luoghi dove Dio ha stabilito il capo della religione cristiana”. — Ed ecco il papa diventato re d'Italia, di Francia, di Germania e di Spagna!

Ripetiamo che questo atto di donazione è falso, come sono falsi gli atti di Pipino, di Carlo-Magno, e di Luigi il Buono. La corte di Roma non ebbe mai cuore di produrli, perché apocrifi, e noi li troviamo in libri di visionarii ed ambiziosi del VII e dell VIII secolo. — Una volta Fontanini ebbe il coraggio di vantarsi ch'egli possedeva l'atto di dedizione di Luigi il Buono, ma messo alle strette e provocato a mostrarlo dal Muratori, si rifiutò di presentarlo. — Se citammo alcuni passi dell'apocrifa donazione di Costantino, egli è per dimostrare che il Cattolicesimo romano non ebbe mai di mira la salute delle anime, ma i beni della terra; e non si radicava in Italia per la predicazione dell'Evangelo, ma per adunghiare un trono; e che cacciò Costantino per rubare l'impero occidentale, disfarlo e rifarlo, e poi darlo a chi meglio lo serviva. E a que' stolti letteratuzzi che trovano la verità, la durata, e la potenza del Cattolicesimo nella sua esistenza sin da molti secoli, risponderemo ch'esso visse sin ora, perché da Costantino divenne Religion di Stato, ebbe l'appoggio della forza brutale de' despoti dell'anima e del corpo, — ebbe pria regno denari e soldati, perciò visse e dura ancora! Quei letteratuzzi dovrebbero riflettere che il loro ragionamento è vizioso, perché le ragioni ch'essi presentano in favore del Cattolicesimo potrebbero affacciarle anche a prò del Bramismo, del Buddismo, dell'Islamismo, che sono antichi quanto il Romanesimo, e son tuttavia potenti sulla terra.

Le false donazioni furono presentate dopo il secolo VIII, quando l'Italia, invasa da' Barbari, vedeva che sulla ruina dell'impero il Cattolicesimo elevavasi come potenza terrena, e cessava d'essere religione. Ed osservava in quello sfacimento, che il prete adunghiava colla fraude e la forza ad una ad una tutte le provincie occidentali. Or la falsa donazione di Costantino era come il programma de' diritti che vantava il papa, e i quali attribuí a quell'imperatore per colorirli di antichità e di rispetto ai trattati!

Alla morte di Giuliano successero despoti efferati e viziosi, ma tutti cattolici. Imperatori, consoli, pretori, italiani e barbari, tutti si facevano cattolici per dominare. Il console Pretestato, pagano, dicea nel 466: “Nominatemi vescovo di Roma, ed io mi farò cristiano”. Or questi ribaldi parlavano di libertà di coscienza, mentre sapevano che la Religion di Stato impediva l'esercizio di essa! Tutti erano servi de' preti e della loro credenza. Tutti ne temevano. Un dí l'imperator Teodosio II cacciava da sè un monaco che lo macerava colle sue querimonie; — quel paltoniere di frate se ne offese, scomunicò l'imperatore, e questi fu obbligato di supplicare il patriarca di Costantinopoli di essere riammesso alla Chiesa! — In seguito Teodorico, goto ed ariano, parlò di libertà di coscienza, ma durò poco, ché verso la fine del suo regno vidersi cattolici ed ariani sbranarsi a vicenda come cani ringhiosi, e Teodorico, invece di metterli a dovere, aizzarli e combatterli, spronato com'era dall'imperioso dovere della sua propria religione di Stato.

Il prete che aveva affacciati i suoi diritti, senza posseder pur anco un jugero di terreno, tutt'ad un tratto si rivelò ambizioso predone d'Italia come i barbari, che a seconda de' casi or chiamavano, ed or combattevano. — Mentre i Lombardi signoreggiavano in Italia, Gregorio III domandò soccorsi a Pipino per difendere la sua città di Roma. Sua? Da quando? Chi gliel'avea data? Niuno per certo. Ma era tempo di fraudi e di crudeltà, ed ogni atto iniquo era legittimato dalla forza. Stefano III fe' lo stesso, e il medesimo modo tenne Zaccaria, usurpatore di Roma, che patteggiò con Pipino, usurpatore del trono di Francia. Qui il Cattolicesimo cessò affatto di esser religione, e diventò potenza regale. La storia ecclesiastica non lo dice, né vuol dirlo, ma la ragione lo sa ed osa proclamarlo apertamente.

Allora cessò anche il nome della libertà di coscienza. La Religione di Stato imperava, e il papa, re e prete, era sopra tutti, e dominava tutti. Prima vedevasi Carlo, figlio di Pipino, prosternarsi a' piedi del papa, e il papa inginocchiarsi innanzi a Pipino — poi Adriano I comandare che tutti gli baciassero i piedi senza ch'egli dovesse prosternarsi ad alcuno. E re e imperatori, e principi ubbidirono. Cosí l'uomo era adorato, e Dio veniva negletto.

Apparve Carlomagno. Sottomise i Sassoni, e incrudelí ferocemente su loro perché non volevano digiunare e pagar le decime alla Chiesa! Quel sire, magno in vizii e virtú, non ne volea di libertà di culti, perché aspirava all'impero: d'altronde sapea che il papa odiava sin l'ombra della libertà civile e religiosa! Infatti quando i Romani si ribellarono contro Leone III papa, questi fe' scender Carlomagno in Italia per restituirgli l'usurpata Roma, e per premio lo nominò Imperatore.

Nella ferrea età di mezzo osserviamo tre cose: le invasioni de' barbari, — il prete re, — e la libertà de' culti perseguitata. Cento predoni stranieri scendevano in Italia chiamati da imbelli imperatori, da donne sfacciate, da papi traditori ed odiatori della nazionalità italiana. E in mezzo all'ignoranza, alimentata dal clero, veggiamo il papa dimenticar l'evangelo, diventar re della terra, e dire che tutti gl'imperi gli appartenevano, e che egli ne potea disporre a suo modo. Adriano IV scrivea in questa forma agli arcivescovi di Magonza, di Colonia e di Trèves: “L'impero fu tolto a' Greci e dato ai Tedeschi; il loro re non fu imperatore se non dopo d'essere stato coronato dal papa..... tutto ciò che possiede l'Imperatore è nostro. E come Zaccaria diè l'impero greco ai Tedeschi, noi possiamo trasferire l'impero dei Tedeschi ai Greci”. Certo un papa simile, signore dei regni della terra, non poteva essere successore di Cristo, che non ne ha per ora, ma del Tentatore che li ha usurpati, e di cui si legge in Matteo al cap. IV: “Di nuovo il Diavolo lo menò sopra un monte molto elevato; e fecegli vedere tutti i regni del mondo, e la lor magnificenza, gli disse: Tutto questo io ti darò, se prostrato mi adorerai. Allora Gesú gli disse: Vattene Satana, imperocché sta scritto: Adora il Signore Dio tuo, e servi a lui solo”.

Nel 786 papa Adriano disse al consiglio di Nicea che gli rendessero il patrimonio di Sicilia, e non fece verbo di religione. Carlomagno, indispettito, si fece allora teologo, e abolí colle leggi Caroline l'adorazione delle immagini. Spinse il papa a scomunicare Irene, e Adriano rispose: “Non posso scomunicare Irene, e i suoi figli a seconda del concilio di Nicea, ma lo farò se essi non mi rendono la Sicilia”. Povera religione diventata diritto politico d'un papa usurpatore! — Gregorio IV rispondeva a' Vescovi partigiani di Luigi il Buono: “La qualità di fratello che che mi date, pute troppo d'uguaglianza, chiamatemi Papa, riconoscete la mia superiorità. e sappiate che l'autorità della mia cattedra è superiore a quella del trono di Luigi”. Poscia ingannava Luigi, e lo tradiva in favore di Lotario, che a sua volta adirato contro il papa, proclamava, dopo la battaglia di Fontenai, la libertà di coscienza. Oh! la religione di Stato serve all'ira, al dispetto ed alle convenienze dei principi, non a formare il cuore, né a salvare l'anima de' loro sudditi.

Apparve in seguito Gregorio VII. Questo papa si rallegrò che gl'imperatori e i re, riconoscendo la Religion di Stato, erano servi di essa e del suo rappresentante in Roma; — poi senti piú tormentosa in core la libidine del potere — dichiarò il mondo l'intero suo feudo, — e luttò per elevare il sacerdozio al di sopra dell'impero. Egli voleva esser dichiarato principe di questo mondo, e dimenticava che Cristo dette quel titolo al diavolo! “Il principe di questo Mondo viene, e non ha da far nulla con me”. (Gio., xiv, 30). Non predicò l'Evangelo, né diè libertà, — l'arrabbiato Ildebrando visse uccidendo, predando, scomunicando, e morí d'ira a Salerno.

Ma la libertà di coscienza, dimenticata per tanti secoli, cercò finalmente di riapparire in mezzo agli uomini per ritemprarli ai principii cristiani. Subito si gridò all'eresia, e il sangue degli Albigesi, de' Valdesi e de' Lollardi inondò l'Europa intera. — La Religione di Stato non permetteva quella preziosissima libertà ch'è a cuore di tutti, e che soffocata, riapparisce luminosa sino a che trionfa. I papi, colla paura che sentirono ad ogni manifestazione di essa, e colla rabbia furibonda con cui perseguitaronla sempre, dimostrarono ch'essi avevano timore grandissimo della libertà di coscienza, e che per ciò dovevano perseguitarla sino allo sterminio. E cosi fecero: le dieci persecuzioni dei cristiani sotto gl'imperatori romani son belle frottole, e parto della ferace fantasia degli autori della vita de' santi affine di vender ossa e amuleti a' credenzoni, — ma non son favole le stragi inaudite di Bezières, Carcassonne, Tolosa, le Valli, Parigi e Spagna.

La Religione di Stato, mentre odia la libertà, fa cadere nel discredito il principato assoluto, perché fa dei re altrettanti gendarmi nelle mani del prete. — Arnaldo da Brescia predicò la riforma, ed Eugenio III comandò subito a Barbarossa di farsi carnefice dell'animoso frate. — Indi Roma potè scandalizzare il mondo colle sue turpitudini, ma ecco un'altra voce di libertà e di riforma s'udí nel concilio di Costanza, se non che Gerson che pronunziolla fu minacciato e tacque. Poi Giovanni Huss e Girolamo da Praga bandirono la libertà di coscienza, ma traditi, furono, per ordine de' preti, imprigionati e bruciati da' principi satelliti del papa. Ma che giova narrare tutte le scelleratezze fatte in nome della Religion di Stato? La storia è aperta a tutti, ed essa le rivela a tutti. Tante iniquità però preparavano i grandi avvenimenti del secolo XVI, a cui era riserbato di bandire ed attuare IN PARTE la libertà di coscienza.
 
 

CAPITOLO VIII.

SOMMARIO
 
 

Effetti della libertà di coscienza. — Religione di Stato e libertà di coscienza non possono andare Insieme. — I governi che ammettono entrambi hanno del Papa e del Re.

Storia della libertà di coscienza in Inghilterra e in Francia sotto i Valois.

La libertà de' culti sotto la Costituente e la Convenzione.

Appello al governo del Re d'Italia.

La libertà fisica dall'uomo ha delle restrizioni indicate nelle leggi penali. La libertà morale non ne ha alcuna. Essa è assoluta, indipendente, e non dovrebbe mai esser tiranneggiata.

Questa libertà morale altro non è che la libertà di coscienza. Una volta ch'essa è promulgata, la faccia della società cangia immediatamente, e una nuova vita d'azione si mostra in essa. Le opinioni religiose si proclamano apertamente, si discutono, si sottomettono ad esame o si rigettano in mezzo ad un movimento intellettuale che risveglia lo spirito. V'è confusione, voi direte, ma v'è libertà, — v'è attività energica e morale, — v'è vita, e v'è il buon senso del popolo che ode tutto, discute, e finisce per attenersi alla verità.

Ma questa è la vista che presenta una società che ha governo senza Religion di Stato, ed ha vera libertà di coscienza. — È lo spettacolo che ci offrono gli Stati Uniti d'America.

Religion di Stato e libertà di coscienza non possono stare insieme. La prima guerreggerà sempre contro alla seconda, e siccome ha la forza con sè, vincerà per mezzo della spada, del carcere, dell'ammenda e dei processi.

Pare impossibile — eppure è cosi. Quanti governi liberali hanno voluto la libertà di coscienza, e poi si sono avvisti nella pratica che quella libertà è incompatibile con ogni sistema politico che ha religione di Stato. Certi energumeni scaraventano parolacce contro il papa perché egli è re e prete. Oh moderatevi! ogni governo che ha religion di Stato, ha in sé del Re e del Prete. Quando esso si sposa alla Religione, questa diventa uno de' suoi principii polilici, un diritto che deve difendere da ogni aggressione — da ogni nemico. Or se un tal governo concede la libertà di coscienza, e il cittadino in virtú di quella rivede le bucce alla religion di Stato, che deve fare il Governo? Perseguitare, processare, carcerare e peggio. — Egli deve distruggere il suo nemico, — e distruggendolo annichilerà la sua legge sulla libertà di coscienza, in forza della quale l'animoso cittadino è entrato in controversia con esso! E cosí la vantata libertà di coscienza diventa un'ironia, una menzogna, un vanto sciocco di libertà, una lettera morta!

Allorché Pio IX dava riforme ne1 1848, i savi politici sclamavano: “Non può durar cosí: prete e libertà non vanno insieme in uno che è re e prete”. E bene si erano apposti! — Ma non pensate che la bisogna va cosí anche co' principi che non son papi? Trovatemi sulla faccia dell'Europa un governo costituzionale che abbia rispettata la libertà di coscienza: — nemmeno uno. V'è libertà nella Svezia, e si perseguita; — v'è libertà in Francia e si opprime: v'è libertà in Piemonte, e si processano e s'imprigionano gli Evangelici. Ma noi, sclameranno, abbiam dato libertà a' Valdesi e agli Ebrei, — s'egli è cosí, non fate rumore, non dite che appo noi v'è libertà di coscienza — ma che v'è libertà per voi, per alcune comunioni, non per noi, non per tutti.

Non possiamo trovare in Italia la Storia della libertà di coscienza, ma in quella dell'Inghilterra la troviamo delineata con tetri colori.

Enrico VIII era cattolico-romano. Osteggiò la riforma, scrisse contro i Riformati, e n'ebbe dal papa il cospicuo titolo di Difensor Fidei. Incrudelí su' protestanti, li fe' bruciare, e volle estirparli dal suo reame, dov'era un Parlamento e una larva di libertà. Indi protestantizzò per dare sfogo alle sue libidini, e il reame, a dispetto del Parlamento e della libertà, dovette protestantizzare. Legato dal nuovo Credo, egli non seppe concedere libertà di coscienza ai cattolici! — Venne poi la Reina Maria, cattolica marcia — ed essa, poco curandosi del Parlamento, inferocí; ma questa volta su' protestanti e non volle dare loro libertà di cocienza. — Successe Elisabetta che ritornò il popolo al protestantismo senz'accordare libertà di coscienza ai cattolici. Poi ascesero sul trono Carlo II e Giacomo II, ch'erano papisti nell'anima e protestanti di forma. Gesuitizzarono, e non vi fu libertà di coscienza per alcuno. Cacciati via gli Stuardi, e venuti gli Annoveriani, l'incredulità del secolo scorso moderò la forza delle persecuzioni, ed ora v'è in Inghilterra una graziosa Reina che si chiama anch'essa Difensor Fidei, e che è mezza papessa; ma sotto il suo regno la libertà di coscienza è ammessa, non già per principio politico, ma per volontà dell'opinione pubblica. Ciò nondimeno per un clericale protestante, il dissidente è un mezzo eretico e degno di corda: — perché? perché v'è Religion di Stato — perché la Reina è capo della chiesa anglicana — perché il clero appartiene ad essa chiesa — e fuori di essa point de salut! — E badate che in Inghilterra la libertà non è lettera morta, — non vi son persecuzioni religiose, ma intolleranza ipocrita e feroce nei clericali anglicani.

In Francia, non soltanto v'era religion di Stato, ma il cattolicesimo romano sembrava incarnato negli ultimi discendenti della casa di Valois. Noi vi leggiamo d'un Francesco I, re feminiero ed ateo, che faceva macellare 3000 Valdesi, — d'un Enrico II che andava in Parlamento per far votar leggi ferocissime contro i protestanti, — d'un Francesco II, che facea nicchie sulle mura, e vi mettea de' santini onde spingere ad apostatare i riformati che passavano d'appresso, ed uccidevali e ne predava i beni, — di Carlo IX e della Saint-Barthelemy, — di Luigi XIV, che mentre era adulato da una miriade di filosofanti imparrucchiati e poeti sdolcinati, rivocava l'editto di Nantes, — non volea piú concedere libertà di riunirsi ai protestanti, e li facea macellare dai suoi iniqui dragoni. — Poi vi leggiamo del bando di quei miseri, la loro strage, e le brontolate di quel Magno ch'era divenuto un balocco nelle mani de' Gesuiti. Indi vi troviamo un Luigi XV, re donnaiolo, che ateizzava nella reggia e facea vita di demonio, mentre mandava alle galere e facea strangolare i protestanti. E finalmente veggiam Luigi XVI che cominciava a parlare un po' seriamente della libertà di coscienza:

Addí 4 agosto 1789, i deputati del tiers-état si costituirono in istato politico, abolirono tutti i privilegii e le disuguaglianze sociali, e proclamarono la libertà — ma non quella dei culti non quella della coscienza! Quei signori della borghesia erano tutti discepoli degli Enciclopedisti, di Gian Giacomo e di Voltaire, atei senza piú, filosofi di moda ed umanitarii; — eppure mentre stavano lí lí per sbrigliare tutte le passioni umane ed avventarle alla vecchia società, si guardavano bene di proclamare la libertà di coscienza!

Ma la dichiarazione de' diritti dell'uomo non parlava di libertà e di eguaglianza di diritti e di doveri? Che, sí, ma non di libertà di coscienza. — Pochi giorni dopo, quell assemblea di miscredenti parlava d'una religione chiamata religione dominante: “Io non intendo questa parola” tuonava Mirabeau: “Qui si parla d'un culto dominante. È egli forse un culto che domina, che opprime?”

Allora Rabaud-Saint-Etienne richiese l'assemblea di concedere libertà di culto ai protestanti: ma quei baccalari che avean firmato la dichiarazione de' diritti dell'uomo, ne furono scandalizzati, e respinsero la domanda a gran maggioranza. Ma se gl'increduli liberali sono i migliori avvocati e sostenitori della superstizione! — Indi fecer decreti per dar salario ai ministri — e anche da in quel riscontro quei magnati pensarono soltanto ai cattolici! — Essi facevano spallucce a chi li rimproverava, e rispondevano: non abbiam noi proclamata la libertà de' culti? o serenissimi messeri! voi dovevate proclamare l'uguaglianza de' culti, e non già la libertà de' culti. Con questa voi avevate una religion di Stato — una religione dominante, cosí che la vostra politica non era diversa da quella de' re osceni e gesuiti che vi aveano preceduti nella legislazione!

E poi — cos'è mai questo pagare i ministri del culto? Un gran danno per certo. Se in un governo liberale i preti non governano (come si vuol dare ad intendere), lo stato non deve dar loro salarii. Se li paga, son suoi agenti, suoi impiegati, ossa delle sue ossa e carne della sua carne. Se li paga — lo Stato s'identitifica col prete, e dimostra ch'egli governa pel prete e col prete. Ma se lo stato non li paga, egli è segno che la libertà di coscienza è un fatto compiuto, ed allora chi vuole la religione, paghisela! E siccome lo Stato sa che i ministri non debbon essere principi né epuloni, e che coloro che han bisogno di costoro provvederanno al loro mantenimento, egli è in diritto d'incamerar tutti i beni ecclesiastici, — e dedicarli a pro della patria comune.

Finalmente apparve la libertà di coscienza. La Convenzione nell'articolo 7° della Dichiarazione de' diritti scrisse cosí: Non potrà esser vietato il libero esercizio dei culti.

Eppure furon vane parole! Tre mesi dopo la Convenzione rigettava il reclamo de' cattolici che richiedeano libertà di culto, — comandava il matrimonio de' preti — minacciava la deportazione ai vescovi se osassero farvi impedimento — da per tutto faceva distruggere i segni religiosi, le statue, i templi — vietava le le cerimonie — proclamava l'ateismo sotto pena di deportazione di morte; e sia perché l'empietà era di moda, sia perché la paura spegneva ogni senso di morale e di timor di Dio, preti, vescovi, ministri protestanti e rabbini abiuravano innanzi alla società de' Giacobini e innanzi alla Convenzione! E i consiglieri comunali di Parigi invece di pensare alla buona amministrazione delle rendite della città, sedeano in tribunale permanente — tribunale inquisitoriale e condannavano al capo tutti gli oppositori del Credo degli atei. Tristissimi tempi, vergognosa istoria!

Venne poi un energumeno dalla Comune di Parigi con una sua invenzione di deità. Una sgualdrina era da Chaumette denominata la Dea Ragione! La Convenzione applaudí a quel forsennato, e andò con lui ad adorare l'oscena meretrice, che fatta Dea da un pazzo, s'ebbe per tempio Nostra Signora di Parigi! — Indi si presentò Robespierre con un'altra deità, l'Essere Supremo, concetto astratto, ideologico e metafisico di quella tigre del Comune di Parigi.

E pure quei signori della Convenzione si gloriavano d'esser filosofi. Il ministro protestante Jullien de Toulouse, deputato di quel conciliabolo, apostatava e diceva: “Cittadini, io non ho altra ambizione che quella di veder regnare in terra la Ragione e la Filosofia” . — Il presidente del Consiglio Comunale di Parigi, proclamava anch'esso il regno della Filosofia, e diceva: “Nel regno della Filosofia, i pregiudizii spariscono, e la verità risplende”. La verità per quei filosofi era l'ateismo, era quel tale o tal altro ideologico ed astratto dio, concetto di mente orgogliosa e inferma.

Dio ci guardi dalle Religioni filosofiche! — E badi bene il governo del regno d'Italia, di non lasciarsi sorprendere da questi energumeni: — già la vecchia società va in desolazione in questa nostra crisi di rinnovamento nazionale — già il Romanesimo è scosso ed è pericolante — già ogni principio religioso si spegne negl'italiani, — già l'ateismo è di moda, e un metafisico Dio indefinibile ed astratto, mezzo politico e mezzo religioso, signoreggia molte menti — già l'audace filosofia sta per scavalcare il Governo, precedendolo, ed usurpandone la forza: — che si badi allo stato sociale in cui ci troviamo, al momento di crisi che passiamo! Il Governo è in tempo a rimediare a tutto proclamando l'abolizione della Religione di Stato e l'uguaglianza de culti.

Ma se egli, sordo a ogni consiglio, per prudenza o per timore continua ad avere una religione, egli sarà la causa della perdita d'ogni fede nel cuore degl'Italiani. Se esso si libera da quell'impaccio della Religion di Stato, il fanatismo non entrerà in politica, sarà libero d'agire, e la questione della nostra indipendenza e della nostra libertà non verrà macchiata dagli eccessi sanguinarii del fanatismo religioso. È un'avvertenza che facciamo, certi come siamo, che gli avvenimenti che seguiranno non ci daranno torto.

Quando riflettiamo al colore ed alle polemiche religiose di alcuni giornali, ed ai discorsi di alcuni oratori del Parlamento italiano, un terrore cupo e misterioso scuote l'anima nostra. Alcuni ateizzano con quella sottigliezza di logica razionale che tutto ammette per discuter tutto e rigettar tutto, — altri parlano di conservare il papato come Religion di stato mentre ne combattono il Credo, — ed altri parlano del Romanesimo con una leggerezza che ci sembra veder fanciulli insensati che scherzano coll'aspide velenoso!

E non son questi gli addentellati de' grandi guai che esponemmo poc'anzi, e che arriveranno inevitabilmente perché siamo in pieno stato rivoluzionario? E queste cose non furono desse il preludio dell'empietà sancita dalla Convenzione? Posti alcuni dati, le conseguenze che ne derivano ci piomberanno giú sul capo inesorabilmente. Salviamo dunque la Religione, e quella di Cristo che rigenera l'anima, nobilita il cuore, eleva lo spirito a Dio. È Dio che rinnova l'uomo — è Dio che lo salva — è Dio Colui che di empio, vizioso ed ateo può farlo credente e virtuoso! — Pensi lo Stato che senza religione la società non può viver lunga vita: — e se che egli non proclama la libertà di coscienza senza restrizione di sorta egli spegnerà il sentimento religioso nel cuore de' popoli. Se avrà un rovescio, potrà rilevarsi perché sarà libero dall'incolpazione ch'egli fa guerra alla religione; — e cosí, in tutti i casi non darà mai alla superstizione l'arma per combatterlo, né presterà la forza politica acciocché essa ritorni a padroneggiare la coscienza e la vita del popolo italiano.
 
 

CAPITOLO IX.

SOMMARIO

Gli Enciclopedisti e i Filosofi della Convenzione distrussero la fede religiosa. — Contraddizioni de' filosofi legistatori in fatto di nuovi credi.

Quale religione sappiano dare i filosofi. — Reazione sotto il Consolato e l'Impero e ristabilimento del Cattolicesimo-Romano

La libertà de' culti ne' governi che successero in Francia dall'epoca della ristaurazione sino al secondo impero napoleonico.

L'Italia a' tempi della rivoluzione francese, — Costituzioni politiche e progresso della libertà religiosa nella penisola dal 1797 a1 1848.

Si rigetta una vana paura de' Governi, incuorandoli a promulgare una legge sul tenore di quella di Thomas Jefferson.

Gli Enciclopedisti, e i loro umili seguaci della Convenzione francese dimostrarono co' loro atti che la filosofia di quei giorni era la piú grande utopia dell'intelletto umano. A dispetto dei buoni proponimenti che assunse affin di rendersi pratica, e cosí amalgamarsi colle leggi e il rinnovamento della società che avea già scossa, la filosofia restò in quel tempo cosa astratta e ideale. È vero ch'essa ebbe sempre ragione, grazie alla sua logica versatile e sofistica che l'appoggiava e la difendeva, ma non cessò mai d'essere un'utopia. Già, per sé stessa, la filosofia non ha principii certi: essa muta sempre, ed è piú volubile d'una donna vana che cangia dieci amoretti per settimana. E infatti i suoi principii raramente si somigliano, e talvolta non hanno nemmeno analogia fra loro: ogni filosofante ne crea, e ne fa un sistema, ma su d'essi non si può edificare la società, né il rinnovamento de' popoli, né una casa di carta.

A' tempi della Convenzione, la filosofia tendeva al dubbio, al sofisma, alla sterilità del cuore e della mente, e all'ateismo desolante. Essa avea per iscopo supremo quello d'ECRASER L'ENFAME ET LA SUPERSTITION e di distruggere la vecchia società francese. E vi pervenne, servendosi di modi plebei e scellerati, e della mannaia del carnefice. — Indi cercò di riorganizzare e Società e Governi e Credi; ma non vi riuscí ché lo sterile eccletismo, mascherato di fede, è distruttore di Credi e di Stati, non formatore di essi: — e se ne formola alcuno niuno lo riceve, perché il pratico cittadino sa che provengono da ideologi che con astrattezze metafisiche vorrebbero governare il mondo. Ma con le idee si governano i pazzi, non gli uomini di senno.

Vi ricordate della famosa Dichiarazione de' Diritti dell'uomo votata dalla Convenzione addí 23 giugno 1795? — l'articolo 7 era cosí concepito: “Non dev'essere vietato il diritto di manifestare le proprie opinioni, sia per e stampe, sia in altro modo, né il diritto di riunirsi pacificamente, né il libero esercizio dei culti”. — Or questa legge ebbe breve durata: — concepita da' filosofi, da questi sancita e promulgata, ebbe la vita d'un sistema filosofico — quella d'un giorno! Ché niuno è piú instabile e piú leggiero quanto un filosofo legislatore. — Cinque mesi dopo, quella legge era già minata da' suoi facitori che uccidevano cattolici, ebrei e protestanti, e se ne volea la rivocazione per rinverdire le stragi! — La Convenzione nicchiava, ma il Comune per la bocca dell'ex-prete Leonardo Bourdon annunziava la sua avversione alla libertà dei culti (6 nov. 1793, Seance du club des Jacobins). Addí  9 e 11 dello stesso mese, vescovi e preti, membri della Convenzione abiuravano; ed addí 13 quei deputati sancivano l'abiura con apposita legge. Poi addí 27, l'Assemblea votò il celebre decreto in favore di Anacarsi Clootz, in cui stabili come principio LA NULLITÀ DI TUTTE LE RELIGIONI! Ecco fermezza di legislatori filosofi ! Proclamavano la libertà de' culti, poi la distruggevano con decreti di repressione e di crudeltà. Ateizzavano per moda, e per soprassello inferocivano su tutti quelli ch'erano fedeli alle loro credenze religiose. Né bastava — bisognava l'ironia, e addí 5 dicembre dello stesso anno emanavano un altro decreto, in cui minacciavano coloro che osteggiavano la libertà dei culti!

Ma ben tosto quegli atei paurosi e crudeli si avvidero del mal fatto. Le passioni erano sbrigliate, il vizio, l'empietà e la tirannia spaventavano la Francia, — la sedicente virtú repubblicana predicata da Robespierre e Saint-Just non serviva a frenare gli eccessi di quegli energumeni, — i decreti virtuosi della Convenzione non agivano sul morale dei cittadini: — si sentiva il bisogno della religione che sola ha impero sulla coscienza de' popoli. Ma la dea Ragione, dopo 5 giorni del suo intronamento nella metropolitana di Parigi, era già cessata di esistere: dove trovare una nuova religione?

Quei filosofi che amavano la verità erano i piú deliberati nemici di essa. Niuno mai fu piú fautore dell'Errore, quanto lo furono i savii della Convenzione. Niuno sapea meglio presentarlo e raccomandarlo alla credulità quanto quei savii. E non sono declamazioni queste, ma amare verità. — Robespierre e tutti i suoi colleghi sentirono, come accennammo pur dianzi, il bisogno di avere una religione. Non ricorsero alle vecchie, perché tristissime fonti di crudeltà e superstizioni, ma non ricorsero nemmeno a Dio per averne una. Se si fossero rivolti a Lui, ne avrebbero ricevuto il Vangelo di Cristo, non il papa né il prete non i canoni né i decretali — ma il Vangelo in cui sta scritto  Dio è verità, è luce, ed appo Lui non vi son tenebre alcune (I Gio., cap. i). Ma Robespierre, e i Convenzionali, senza esame coscienzioso e profondo, rigettarono l'Evangelo, perché confusero questo santo libro con le invenzioni di Roma e di certi Riformati, cosí come si fa attualmente da alcuni filosofuzzi che conoscono l'Evangelo come la quadratura del cerchio! — E ne inventarono una nuova, astratta ideale, e per lor decreto la mandarono ai dipartimenti acciocché fosse riconosciuta come religion di Stato, e religione del popolo francese. — Art. 1. Il popolo francese riconosca l'esistenza dell'Essere Supremo e l'immortalità dell'anima. Che facitori e sfacitori di Dei! Non vi pare di vivere a' tempi di Nabo-Chodonosor? — E siccome l'ironia e il sarcasmo sono i frutti della filosofia eccletica, soggiungevano: — Art. 2. La libertà dei culti è mantenuta (Seance du 18 floreal).

Ma chi era quest'Essere supremo? Lo stesso decreto ve lo dirà: — Art. 7. Nei giorni delle decadi si celebreranno le feste seguenti: — all' Essere Supremo, alla Natura. Panteismo sfacciato! È pur vero che la religione di quei filosofi era quella di non averne: — o se ne avevano non doveva essere la vera; — ed avendola, doveva essere di Stato per perseguitare a dispetto della libertà de' culti!

Intanto il popolo francese, vittima e spettatore delle oscene e sanguinarie bambolaggini de' filosofi, aspettava il momento per reagire. Era caduto il regno del terrore, e la reazione religiosa stava lí lí per iscoppiare con modi crudeli, e coll'escandescenza del partito cattolico manomesso ed oppresso per molti anni. Il primo console se ne avvide e la prevenne per regolarla e dominarla. Conchiuse subito un concordato col papa per ristabilire il Cattolicesimo-romano. — Console, nell'anno X, giurò di rispettare la libertà di coscienza; — imperatore, nell'anno XII, giurò di rispettare e far rispettare le leggi del Concordato e la libertà dei culti (Senatus-Consultus organique de la Constitution de l'an. XII (1804) art. 53). — Se i filosofi della Convenzione non furon savii in fatto di governo, è pur certo che neppure il consolato e l'impero sfoggiarono di sapienza politica. Anzi con quell'articolo 53 si posero i principii dell'oppressiva libertà di coscienza sancita da tutti i governi costituzionali che successero da quell'ora in poi in Europa.

Il Governo diventava piú Papa del Papa, dominando le coscienze con quella legge ingiusta. Esso proclamava indirettamente la Religion di Stato e apertamente la libertà de' culti: due nemici irreconciliabili che non possono stare insieme. L'una era privilegiata, l'altra tollerata. Dovevano poi essere entrambe pagate dallo stato; dovevano viver sottomesse ad esso, pregar pei governanti. — S'egli è vergognoso veder Cristo sottomesso al Papa, quanto è piú vergognoso vederlo sottomesso a un governo ed esser da lui pagato! — Ma leggi ingiuste portano sempre con loro il giudizio che meritano. Un governo che ha Religion di Stato è legato alla sua credenza, e n'è schiavo. E Napoleone se ne avvide quando si corrucciò col papa; ei lo detronizzò, mandollo in esilio, e conquistò Roma; ma con queste cose offendeva la sua propria religione, combatteva contro lui stesso, si suicidava: — il popolo francese lo vide, ed alienò l'animo suo dal gran Capitano. Ma se egli avesse proclamata l'uguaglianza de' culti non dava prerogative e diritti ai Romanisti, e questi non gli si rivoltavano: — se non avesse dato una religione allo Stato, egli si sarebbe sentito libero di operare contro il re di Roma. Ma colla Religion di Stato, quando egli offendeva il principe di Roma, offendeva il Papa e il Capo della Religione della maggioranza de' Francesi. Sí, Napoleone se ne accorse, e quando nel governo de' Cento Giorni promulgò l'atto addizionale delle Costituzioni dell'Impero, e sancí l'art. 67 in cui dicea che il popolo francese dichiarava di non accordare il diritto di ristabilire nessun culto privilegiato e dominante, ben fece, ed ALLORA sentí quant'è piú forte un governo senza l'inceppamento d'una Religione di Stato, — ma era troppo tardi. Subito appresso il Gigante fu schiacciato sotto la coalizione europea.

Sotto la restaurazione, la Religione di Stato, e la libertà de' culti furono proclamate; e nell'art. 7 si assegnarono salarii a' preti cattolici e a ministri protestanti. Che ne avvenne? Che il pretume invase il governo, la reggia e lo Stato; — avaro, predò (con leggi) prebende ed aziende; — intollerante, denunziò e fece processare coloro che si dicevano tollerati; e dominò licei, collegii, scuole, palagi, case e tugurii. In un generoso moto di furore, la Francia scosse quel peso dalle sue spalle nel 1830, ma non lo tolse via da sè. Ben volea ciò Bérard e Dupont de l'Eure quando presentarono ai ministri il voto popolare concepito in questi termini: L'opinione pubblica non vuole una vana tolleranza de' culti, ma la lor piena ed intera uguaglianza dinanzi alla legge. Respinti da' ministri, lo furono altresi dalla Camera dei Deputati. Questi seri poi, togliendo dalla nuova Costituzione le parole Religione di Stato, le sostiluirono con quelle altre che voglion dire lo stesso: Religion della maggioranza. Ahimè! Si vuol essere liberali, ma opprimendo sempre la coscienza con restrizioni e tiranniche reticenze. — La Costituzione del 1848 fu piú larga, piú franca, piú leale. Nell'art. 7 stava scritto: Ognuno professa liberamente la sua religione. e riceve dallo Stato la medesima protezione per l' esercizio del suo culto. I ministri dei culti riconosciuti attualmente dalla legge, e di quelli che saranno riconosciuti in seguito, hanno il diritto di ricevere un salario dallo Stato. Ci dispiace la fine di questo articolo, ché non possiamo affatto ammettere che uno stato paghi i ministri dei culti come paga la gendarmeria, i bargelli ed altri impiegati governativi. — Finalmente la costituzione del 14 gennaio 1852 proclamò la libertà de' culti, mentre non ve n'è per alcune di loro, eccettuato per la Religion di Stato. Ora in Francia tutti i culti sono soggetti al governo, e dipendono da esso; e con dolore noi dobbiamo confessare che non mai la coscienza fu piú oppressa in Francia quanto l'è ora sotto quella Costituzione che riconosce, confirma e guarentisce i grandi principii proclamati nel 1789!

Qui finisce la lunga filatessa delle Costituzioni francesi, le quali sin dal principio proclamarono la libertà de' culti senza averla accordata mai coscienziosamente, pienamente e lealmente. La paura di alcuni governi di lasciar la somma dell'autorità morale al prete, — l'ambizione di altri governi dí padroneggiar le coscienze, — il fanatismo di certuni — e le tradizionali bestialità politiche d'altri, hanno tratti i governanti nel lacciuolo della Religion di Stato che ha resa frustranea ogni legge sulla libertà dei culti.

Vi sono due nazioni in Europa che hanno uno stesso cuore, una stessa mente, e tendono a una stessa meta: la Francia e l'Italia. Se la prima si agita, l'altra si commuove del pari — se quella rovescia i despoti al grido di libertà, questa risponde immediatamente col medesimo grido. Ma l'iniziativa sino ad ora è spettata alla Francia, perché questa è unita e potente: l'Italia poi scissa e sbocconcellata ha potuto rispondere alle rivoluzioni, non farne. Le rivoluzioni sono grandi movimenti nazionali fatti a rigenerar la società, or l'Italia divisa e senza unità non potea farne, nè ne fece sino al 1860. Ché non possiamo chiamar rivoluzioni i tafferugli di pochi settarii che insanguinarono alcune città italiane durante 40 anni; rivoluzione nazionale è quella che si compie a' dí nostri, ed alla quale diè il movente la Francia guerreggiante nel 1859.

Tra lo scorcio del secolo passato, ed il sorgere del presente, la Francia compí una rivoluzione grande ed empia nello stesso tempo. — Guidata dallo spirito di distruzione che animava la filosofia ecclettica degli Enciclopedisti, essa rovinò la vecchia società francese, e minacciò di fare altrettanto in tutta l'Europa. Provocata, non già provocatrice, da' sovrani atterriti, essa cacciò le sue cenciose falangi, il vessillo tricolore, e la fiaccola della rivoluzione in mezzo agli Stati degli sciaurati principi. Alcuni popoli respinsero le nuove idee, e cosí salvarono la vecchia società, il feudalismo, la monarchia assoluta e le tradizioni; — il popolo italiano, al contrario, acclamò alla rivoluzione francese, che come lava vulcanica scendea dalle Alpi, e ne accettò i principii, le costituzioni, e le matte stranezze de' Convenzionali, dei Seri del Direttorio e de' Commissarii della repubblica francese. Durante tutto il periodo della rivoluzione del consolato e dell'impero, l'Italia fu buona scimmia della Francia, ed adottò tutto, vizii, virtú e contraddizioni politiche. — Che che se ne dica in contrario, la storia contemporanea ci dimostra che la Francia e l'Italia son nate per vivere insieme, e se giungeranno una volta a cementare la loro unione, quale Stato sarà piú forte di loro?

Parlammo de' vizii delle Costituzioni francesi riguardo all'argomento della libertà di coscienza e della Religion di Stato per cui è il presente libro. Gli stessi difetti ora incontreremo in tutte le Costituzioni italiane. Bologna, Ferrara, Modena e Reggio liberate per mezzo della Francia dalla mala signoria straniera, si costituirono in Repubblica Cispadana. Addí 27 marzo 1797, pubblicarono in Modena il lor patto politico, nel quale dopo aver proclamato che la libertà e l'uguaglianza sono le basi della repubblica (art. 3), ferivano al cuore quella libertà coll'art. 4 cosí concepito: La repubblica cispadana conserva la religione della Chiesa cattolica, apostolica, romana. Non permette verun altro esercizio di pubblico culto. Solo agli Ebrei permette la continuazione del libero e pubblico esercizio del loro culto per tutto il suo territorio. Non vuole però, che alcun cittadino, o abitante nel suo territorio, quando viva ubbidiente alla legge, sia inquietato per opinione religiosa. Per quanto si voglia mettere a tortura la logica e il senso comune, niuno potrà mai conciliare colla libertà — o conciliare almeno fra loro le due parti di questo famoso articolo: Non permette verun altro esercizio di pubblico culto; e l'altra: Non vuole che alcuno sia inquietato per opinione religiosa. Ma un'opinione religiosa ammette un pubblico culto: or come poteasi dire di non essere inquietato in fatto di religione, mentre era divietato l'esercizio del culto? E poi — una Repubblica che conserva il Romanesimo, ha religion di Stato; or andate, se potete, a riconciliare questa col divieto d'ogni altro pubblico culto e con la libertà religiosa! — Sono contraddizioni cosí fanciullesche, cosí aperte che non vale discuterle: certo que' regoli repubblicani mancavano di senso comune.

Addí 2 dicembre 1797 fu pubblicata la Costituzione della Repubblica ligure, nella quale osserviamo questi due altri articoli contradittorii. Art. 2. La libertà e l'uguaglianza sono la base della repubblica. — Art. 4. La repubblica ligure conserva intatta la religione cattolica, che professa da secoli! La libertà per gli acattolici nulla, — e nulla per gli Ebrei! La libertà dunque e l'uguaglianza di quella Repubblica erano proprietà e diritto dei Romanisti, non già degli acattolici e degli ebrei.

Venne poi la prima Costituzione della Repubblica Cisalpina (9 luglio 1797) a cui diceasi: Art. 355. A niuno può essere impedito l'esercizio del culto che ha scelto, conformandosi alle leggi. Il potere esecutivo veglia all'esecuzione delle medesime, ed impedisce l'esercizio delle loro funzioni a que' ministri di qualunque culto che hanno demeritato la confidenza del governo, ecc. Nella prima parte dell'articolo si proclamava la libertà religiosa, e nella seconda parte i culti diventavano schiavi del governo — anzi dovevano essere una cosa governativa, un ramo di amministrazione senza libertà di sorta alcuna! — Ma se fu sempre una menzogna la libertà religiosa!

La costituzione della Repubblica Romana (20 marzo 1798), non parlò di religione alcuna, e quella della Repubblica Partenopea (1799) tacque del pari su' culti, ma non potendo fare di meno d'una Religion di Stato, ne istituí una senza applicarle alcun nome: parlò di feste nazionali, per eccitare le virtú repubblicane (art. 300) —di teatri repubblicani, in cui le rappresentazioni eran dirette a promuovere lo spirito della libertà (art. 299); — e di certi giorni festivi in cui i giovanetti maggiori di sette anni doveano intervenire ne' luoghi dalla legge stabiliti a sentir la spiegazione del catechismo repubblicano (art. 298). — Avea ragione Carlo Botta di chiamare questa Costituzione, e il ragionamento che la precedeva, opera in cui tutto l'acume dei greci ingegni si discopriva, atti sempre a provare i principii astratti con astrattezze maggiori! Dopo la battaglia di Marengo, Buonaparte aveva in mira due cose: l'impero, e la ristaurazione del Romanesimo. Questo dovea moltiplicargli dei seguaci, e dargli molti sudditi. Perciò, come dicemmo altrove, fece un concordato col papa, e abolendo anche quell'ombra di libertà religiosa che v'era nell'Italia Cisalpina, lacerò la Costituzione, ne fece redigere un'altra in cui leggevasi questo primo articolo: La religione cattolica apostolica romana è la religione dello Stato, e di culti tollerati non ne fece motto che verso la fine, all'articolo 117. È libero ad ogni abitante nel territorio della repubblica l'esercizio privato del proprio culto. Ma di quale culto? Del Romanesimo per certo, che all'articolo 1 non si parlava d'altra Religione. Gran progresso avea fatta la libertà!

Addí 29 marzo 1805, l'imperatore diè fuori il secondo Statuto Costituzionale al Regno d'Italia, e comandò che il re giurasse nei seguenti termini: Io giuro di mantenere l'integrità del Regno; di rispettare e FAR RISPETTARE la Religione dello Stato. Ecco la forza posta a guardiano della Religione: il Gendarme che fa rispettare la Religion di Stato. E con quali mezzi? Colla forza. E poi si fa tanto strepito sull'inquisizione esercitata da' preti! Ma lo stato che fa rispettare la sua Religione, non è millanta mila volte piú tirannico ed inesorabile del Tribunale della Santa Inquisizione? I Borboni di Napoli e Sicilia nelle tre Costituzioni che dettero per burla a' loro popoli (1812; 1820; e 1848) — ripeterono a coro che la Religione doveva essere unicamente AD ESCLUSIONE di qualunque altra, la cattolica, apostolica romana, che permette lo spergiuro de' regnanti, il dispotismo, e le piú orribili superstizioni.

Il Granduca di Toscana, e il Re del Piemonte nelle loro costituzioni del 1848 promulgarono che la Religione cattolica, apostolica e Romana era la sola Religione dello Stato. Poi soggiunsero: Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle leggi. Il solo Statuto Sardo si salvò dalla grande reazione europea del 1849 e 1850, ma la Religione di Stato inceppò il governo piemontese d'attuare in tutta la sua pienezza la libertà morale — la libertà religiosa. Noi non vogliamo esser severi contro chi che sia, e riconosciamo che al governo sederono sempre uomini onesti e liberali; ma legati dalla Religione di Stato furono obbligati di processare, bandir via dal territorio e imprigionare i discepoli di Cristo che non la pensavano come la Religione di Stato. E cosí mentre il mondo civilizzato si maravigliava udendo i processi religiosi in Toscana, nel Piemonte si faceva altrettanto. Nè si poteva fare diversamente, ché la Religion di stato impedisce la libertà de'culti. — Perciò non dobbiamo meravigliarci se qualche bello spirito parla del sistema di libertà inaugurato in Italia, come Beaumarchais parlava di quello stabilito in Madrid:

Il s'est établi dans Madrid un, systême de liberté sur la vente des productions, qui s'étend même à celles de la presse; et que, pourvu que je ne parle en mes écrits ni de l'autorité, NI DE CULTE, ni de la politique, ni de la morale, ni des gens en place, ni des corps en credit, ni de l'Opéra, ni des autres spectacles, ni de personne qui tienne à quelque chose, je puis tout imprimer librement, sous l'inspection de deux ou trois censeurs! (Mariage de Figaro, Acte v).


Si è detto sempre che se vi fosse piena libertà di culti, le sette pullulerebbero in Italia e in Francia per disturbare l'ordine sociale. Oh è ben fragile dunque l'ordine nostro sociale per temere di vederlo rotto e distrutto dalle sette! Riformate le leggi, se siete cosí deboli! Date libertà piena, se non volete temere. Specchiatevi negli Stati Uniti dove le sette sono innumerevoli e non v'è Religion di Stato, eppure l'ordine non è mai sconvolto a causa di opinioni religiose. E proclamate subito una legge sulla piena libertà di coscienza modellandola sulla seguente scritta da Tomaso Jefferson e sancita dal Parlamento degli Stati Uniti:

CAPITOLO X.
 
 

SOMMARIO

Inefficacia della politica di conciliazione tra il nostro governo e il papa.

Pria che sorga una Costituente, e che la rivoluzione italiana esca da' suoi limiti è bene di prevederne i pericoli, abolendo la Religione di Stato.

I popoli in questo secolo tendono alla ricostruzione delle nazionalità ed al rinnovamento delle loro credenze. — Difficilissima posizione di un Governo che ha Religione di Stato in faccia a una rinnovazione di fede.

Il governo attuale non può proclamare la libertà di coscienza, perché trovasi, come il papa, imbrogliato nelle quistioni religiose e politiche. — Che lo Stato dia primieramente l'esempio della separazione dei due poteri, abolendo la Religion di Stato e proclamando l'uguaglianza de' culti.

Molti saranno maravigliati di vedere un opuscolo sull'abolizione della Religion di Stato, mentre la gran quistione dell'indipendenza italiana occupa tutti gli animi. Ma noi altro non facciamo che anticipare il tempo in cui sarà discusso l'argomento che abbiamo esposto; e perché sappiamo che il quesito religioso sarà gravido di guai se non vi si pone mente prima ch'esso agiti gl'Italiani, crediamo che si faccia bene di trattarlo ora, e di consigliare il Governo all'abolizione della religione dominante. Se la politica delle circostanze prevalerà, ogni religione sarà spenta in Italia. Il vortice della rivoluzione ingolferà ogni Credo, ogni morale, ogni coscienza onesta.

L'avvenire ci fa paura. Sentiam parlare d'una politica conciliatrice col papa: guai a noi se essa avrà il sopravvento! La storia c'insegna che molte fiate il papa fu spogliato del potere temporale, e con le male arti d'una politica subdola riconquistò tutto: — c'insegna altresí che assai volte venne a patti col principato, ma la spada e il pastorale non poterono restare uniti, e il prete soverchiò finalmente il principe. Or la bisogna andrà sempre cosí se si continua a parlar di conciliazione coll'irreconciliabile sacerdozio. — Si parla di Roma come capitale del Regno d'Italia e ne siam lieti, — ma quando si dice che in quella metropoli siederanno il papa e il Re col Parlamento, temiamo dell'avvenire, perciocché il pontefice ancorché fosse soltanto rivestito del potere spirituale incaglierà ogni atto del governo, e susciterà dissidii e rivoluzioni. Ciò non avverrebbe se vi fosse abolizione della Religione di Stato. Badate che il prete potrà permettere e darvi tutto, e poi negarvi tutto. La coscienza sua è elastica, e non ha bisogno della vostra assoluzione.

La politica conciliatrice non va a verso de' despoti superstiziosi. Voi ne avete fatto un saggio coll'ex-granduca di Toscana e coll'ex-re di Napoli e Sicilia, — e non siete riusciti, e mentre tornavate alla prova, la guerra della rivoluzione nazionale stritolò i troni d'entrambi. La stessa cosa arriverà col papa, se non che il vostro imbarazzo sarà grande dopo la disfatta di costui, perché ricordatevi che egli è re e prete — voi vincerete il re, il prete non mai. Ma vincerete entrambi se sarete sciolti dal legame della Religione di Stato.

Arroge che bisogna venire a quest'atto. Costituito una volta il Regno d'Italia, non sappiamo se lo Statuto Sardo diventerà Statuto Italiano; ma dato il caso che si domandi una revisione o un'ampliazione di quella legge costituzionale, l'uguaglianza dei culti dovrà esser proclamata dal Parlamento. Or siccome l'agitazione degli spiriti è grande in Italia, e non si sa se si riuscirà sempre a contenere la rivoluzione, è savio consiglio di prevedere a' pericoli che potrebbero succedere; ché facilmente potrebbe nascere un'assemblea a mo' di quella di Francia nel 1789 che formò uno Stato nello Stato, assorbí tutto il potere regale, e poscia ammattí colle sue stranezze politiche. Nè ci si dica che quei tempi sono passati, e non torneranno piú, e che la civilizzazione e il progresso non li permetterebbero: gli uomini son sempre uomini, e nelle commozioni politiche essi perdono la bussola: ricordatevi del 1848, 1849, 1851, e poi dite se abbiamo torto. Ma voi potete prevenire il male, e nel prossimo Parlamento proclamate l'uguaglianza de' culti, l'abolizione della Religione di Stato, il matrimonio civile, e siate potere politico e non piú potere spirituale. La storia degli Stati-Uniti vi dà un esempio di questa oculata previdenza politica, e voi sapete quanto è libero quel governo, sciolto com'è dal legame d'una religione di Stato. Lí vi sono millanta sette tumultuose, ma il Governo non se ne incarica, né perde la sua forza, il suo tempo e la sua fama nelle controversie religiose, — solamente reprime colla forza ogni esuberanza di setta, e non teme di scomuniche. Cosí dev'essere lo Stato — perciocché Cristo non l'autorizza d'avere una religione dominante e nazionale, ma a riconoscere, se vuole, la vera fede in Lui — riceverla nel cuore e goderne.

Badate adunque alle nostre cose. Voi vedete che in questo secolo si rivedono le bucce a tutte le cose, a tutti gli uomini. Tutti i diritti sono esaminati, studiati e modificati. Molti di essi cadono, altri sorgono. Già da qualche tempo si parla d'un diritto patrio e nazionale, e quantunque esso non sia ancora formolato come si debbe, gli Alleati lo fecero trionfare nella Moldavia e nella Valachia; ed ora gl'Italiani lo fanno trionfare a casa loro. In faccia alla quistione della nazionalità nostra, ne veggiamo un'altra, quella del potere temporale del papa. Tutti ora lo rigettano — tutti lo provano inammissibile col Vangelo e col diritto de' popoli, e fra breve la quistione sarà risolta a favor nostro. Ma siccome dicemmo che in questo nostro secolo si ammette tutto, mentre tutto si discute, si modifica, si toglie e si aggiunge, supponete che un giorno si sollevi fra gl'Italiani la quistione del potere spirituale, contro cui la forza delle armi, il ragionar sottile della diplomazia, e il frasario vaporoso de' giornali di conciliazione non serviranno a nulla, — cosa farete voi, legati dalla Religione di Stato? Adoprerete la persuasione, e voi diverrete teologi, ma non convertirete alcuno: adoprerete la forza, e voi correrete il rischio di partecipare al sovvertimento de' falsi Credi, ché, vogliamo o non vogliamo, l'errore non può regnare piú colla libertà; e la Verità deve trionfare. Ma se voi non avete Religione di Stato, lascerete libera ogni manifestazione dello spirito umano, e non v'interverrete per comprometterla. Ma guai, ripetiamo sino alla nausea, guai a quel Governo che intervenisse da teologo in mezzo alle quistioni religiose, spinto dalla Religione di Stato, come Costantino, Luigi XIV, Cromwell e tanti altri! Quel Governo, quello Stato cadrebbero come l'impero d'Oriente, come la Spagna, come l'Austria, e come era caduta nel fondo d'ogni miseria questa povera Italia, ch'or rilevate e circondate di gloria. Siamo noi falsi profeti? Il tempo lo dimostrerà. Intanto esaminate le tendenze della ragione umana in questo secolo, e voi la vedrete stanca del suo smarrimento dal vero, e tendente a conseguirlo in ogni atto dello scibile umano, e a possederlo nell'anima. A' giorni nostri, checché ci vadano cincischiando i saputelli, non v'è piú scienza, nè arti, nè religione. La filosofia va barcolloni sull'antica per adunghiar principii che non intende nè sa svolgere, nè applicare all'umanità, e si riduce a una contraddizione perenne, a un parolaio eloquente e brioso, ed all'eccletismo. Vi son cattedre e uomini dicitori e bei parlatori, non già filosofia. — Le arti belle son cadute, — si sporcano tele, ma non si fanno disegni corretti. La scultura cerca di ritemprarsi su' modelli greci, e imitando è mediocre, creando è ridicola e volgare. La lirica ha dato gli ultimi suoi gemiti con Manzoni, Leopardi, Mamiani, Berchet e Gabriele Rossetti, e poi è morta in mezzo a un'arcadia di parole patriottiche e di concettini sguaiati. Le arti e le scienze che trionfano ora sono quelle che possono fruttar denari, e da per tutto v'è una bramosia ardente di abbicar ricchezze, quasi che dovesse venire un tempo di cataclisma universale. Voi vedete adunque che lo spirito umano è uscito dalla sua concentrazione, è sviato, ateizzante per moda, e per negar tutto, tutto sottomette a critica sofistica, senza esser basato sul vero, senza conoscerlo e senza partire da un principio. Si va innanzi per istinto, per istimolo a disfare e a fare senza saper fare. Ma questo sovvertimento non durerà gran tempo, ché l'umanità non n'è contenta. Perciò noi veggiamo una volontà ardente di studiare, di arrivar nuovamente ad afferrare i principii solidi del vero. I Governi liberali, senz'accorgersene, aiutano a tutto potere questa tendenza, proteggendo e promovendo l'insegnamento. I risultati di questo studio non si vedranno subito, ché tutti ora in Italia mirano al massimo de' beni — a quello dell'indipendenza; ma appena si otterrà, allora lo spirito dell'uomo, stanco di vaneggiare e di dubitare, sorgerà in sè il bisogno di credere, e andrà a Cristo, all'Evangelo, e non già al prete che non li conosce; ed ecco iniziata una lotta morale colla potenza spirituale del sacerdote... Nulla di bene potrà fare un governo a favor del prete, anzi la sua Religione di Stato potrebbe spingerlo ad atti imprudenti. Salvate adunque lo Stato, consigliate al prete e al vostro governo la separazione de' due poteri, e proclamate l'abolizione della Religion di Stato e l'uguaglianza de' culti dinnanzi alle leggi.

Ma ci direte: noi abbiamo la libertà di coscienza. No — non è vero; abbiam soltanto un'effimera tolleranza. Quelle saranno sempre parole senza senso, se il Governo che le pronunzia non le mette ad effetto, separando i due poteri temporale e spirituale che ha nelle mani, come il papa. Un governo che ha un dicastero per gli Affari Ecclesiastici, che regola i culti, che processa; se vuole, le opinioni religiose, che ha leggi ad hoc, non è né piú né meno che un governo politico e papale, ingolfato come il pontefice nelle interminabili ed irreconciliabili quistioni de' due poteri. La Religione di Stato dà questi imbarazzi al Governo, gli lega le braccia, lo rende vacillante nella politica e talvolta pauroso per troppa prudenza. E infatti cosa hanno potuto fare la Francia e il Piemonte contro le esigenze della corte pontificia in questi ultimi anni? Nulla, salvo che di scrivere dispacci e circolari. Né i due governi polevano fare di piú, legati com'erano dalla Religione di Stato. E siffattamente operando, e senz'avvedersene essi hanno resa piú ferma la resistenza della corte papale, perché quella sapeva che i Governi co' quali disputava non erano liberi, essendo impacciati dalla Religion di Stato.

A che serve dunque questa religion di Stato? A dare imbarazzi al Governo, a farlo azzuffare coi preti, a mettere in repentaglio le franchigie liberali, a renderlo servo di Roma. Il Piemonte fu felice che in dieci anni non ebbe mai un ministero ultramontano che gli avrebbe fatto assaporar tutta l'amarezza della Religione di Stato. Ma le cose non per anche successe possono avvenire; ed anche avvenendo, se lo Stato non ha religione, nulla potrebbe fare un ministero clericale a pro del pretume esigente, ché inchiodato al governo politico dello Stato non potrebbe introdurvi le proprie velleità religiose.

Che i singoli membri d'un governo abbiano una religione, va bene, — ma che la professino come capi e rappresentanti della Religione di Stato, è assurdo, perciocché ciò fa dei reggitori dello Stato una specie di Conclave di Cardinali in ispada. E siccome abbiam già dimostrato che gl'interessi politici d'uno Stato non possono né potranno mai andar d'accordo cogli spirituali, i governanti saranno sempre alle prese colla corte di Roma. E continueranno a dirsi amici, ma nel core saranno nemici; — useranno in chiesa senza che alcun li creda religiosi, e nelle quistioni politiche imbrogliate dalle spirituali faranno un distinguo teologale, dicendo che vorranno bene alla Religione, non a chi n'è il capo. — Ciò produrrà sempre confusione, e non gioverà a chi che sia, perciocché chi ha Religion di Stato, deve fare di berretto al papa e al prete, ed ubbidir loro! — Non volete far ciò, ebbene abolite la Religione di Stato. Quando — quando vedremo noi al reggimento della cosa pubblica uomini di ferro schietto ch'abbiano il coraggio di compir quest'atto, attuarlo e farlo rispettare! — Se no, voi potrete fare un bel rumore di libertà; noi non saremo mai liberi, se il Vostro e il nostro morale è schiavo della Religione di Stato!

Proclamate l'UGUAGLIANZA DE' CULTI, ed allora lo Stato sarà sciolto dai legami della Religione, non riconoscerà il predominio di alcuna setta, non ne predileggerà alcuna a detrimento ed oltraggio delle altre, non s'imbroglierà piú nelle loro cose, non avrà stato discusso per esse, non ne pagherà piú alcuna, non s'incaricherà piú di fabbricar chiese, e chiuderà una volta per sempre le porte del ministero degli affari ecclesiastici. — Ma il papa, direte, ne reclamerà: che reclami pure — il papa forse è Dio? S'egli è cristiano, gioirà nel cuor suo di vedere attuato ciò che sta scritto nell'Evangelo. — Ma le masse ignoranti e superstiziose? Illuminatele, istruitele, provate loro che cosí sta scritto nell'Evangelo, e non temete, ché un Governo che teme, è un Governo perduto. Quando l'avete voluto, voi avete fatto prova del vostro coraggio civile, e le masse invece di agitarsi vi hanno applauditi. Strepitarono è vero quattro o cinque corbacci in giornali da sezzo, ma chi diè loro retta? — Ma i rumori che ne meneranno i preti? e che! temete quando avete la legge che colpisce i rivoltosi! — Osate! osate! e dateci vera libertà, perciocché la vostra Religione di Stato non è altro che la negazione d'ogni libertà morale.

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