Reddito di cittadinanza

(reddito di base - basic income)


Premessa

Visto che il testo è molto lungo, cerco di riassumerlo: è un testo critico verso il DDL 5 stelle e in cui puntualizzo l'origine ideologica del reddito di cittadinanza (e penso di averne legittimità a farlo dato che fino all'arrivo di Grillo io ero uno dei pochi a propagandarlo su internet) e la vera impostazione dal punto di vista della scienza economica con il "Credito Sociale", l'origine filosofica del concetto nel contrattualismo tomista e nei filoni libertari e giusnaturalisti che si sono succeduti, con disgressioni sull'area politica che lo sostiene nella sua forma compiuta e coerente (in origine l'estrema destra miniarchista che l'ha mutuato dal distributismo cattolico come "credito sociale" dando così origine al fascismo che da solo l'ha sostenuta fino a pochi anni fa) e quella che lo avversa furentemente puntando invece (e solo per gli scopi clientelari necessari al mantenimento del potere nella democrazia parlamentare) su iniqui e costosi sussidi o deleterie fissazioni di salari minimi (la democrazia parlamentare, il sistema della "volontà popolare", ed in particolare la social-democrazia ed il marxismo, la sinistra lavorista in generale insomma), ed in subordine il liberalismo anti-statalista che con scopi simili alla social-democrazia (ma indipendenti dal clientelismo parlamentarista) timorosamente (per il terrore costante di passare per antisemita) ne ha proposto brutte copie dai nomi più svariati che nonostante spesso li si faccia passare per redditi di cittadinanza non possono nemmeno essere definiti tali ma solo pelosi sussidi finalizzati ad interessi particolari (permettere di mantenere lo "statu quo" economico-finanziario anzichè di andare a modificarlo radicalmente quale è invece lo scopo del reddito di cittadinanza) e che vengono invariabilmente da ogni analista assimilati al reddito di cittadinanza pur essendo concetti totalmente diversi; difatti l'interesse di parlare di essi in questo testo consiste unicamente nello smentire quest'assimilazione, non di prenderli in considerazione come alternative "più o meno simili"; la recente arbitraria appropriazione del vero concetto distributista da parte di gruppi radical-chic e left-libertarian, alcuni con motivazioni totalmente esulanti da quelle che giustificano il reddito di cittadinanza, spesso addirittura diametralmente opposte, e comunque senza prevederne le necessarie modifiche collaterali al resto del sistema economico; le ideologie religiose (cattolici fautori con il concetto di "salvezza attraverso lo spirito santo", protestanti contrari con quello di "salvezza attraverso le opere") e le sette minoritarie; le tipologie socio-antropologiche umane "nordista-lavorista" e "sudista-produttivista" del capitalismo; analizzo le conseguenze che comporterebbe e le possibilità che aprirebbe alla modifica dell'intero sistema socio-politico-amministrativo, con disgressioni sui concetti politici ed i sistemi mediante i quali il regime vigente oggi riesce a mantenere non tanto il potere in sè e lo "statu quo" quanto la legittimazione popolare verso esso, soprattutto grazie all'assenza di alternative realistiche e la repressione "bonaria" tramite demonizzazione di quelle che invece lo sono. Le utopie sono uno specchio per le allodole che il potere usa appositamente, per mantenersi accampando un assenza di alternative ad esso e/o migliori di esso, presentandosi di conseguenza come il migliore *possibile*. E' facile accettare il confronto (quello che chiamano democrazia ma è solo ciò che LORO intendono con tale termine) quando si sa bene di non aver rivali potenziali ma solo mezze calzette! Dopo aver azzoppato i concorrenti validi. La democrazia di tipo parlamentare può essere definita in maniera quantomai calzante una "Tonia Harding". Quindi bisogna abbandonare le utopie ideologiche che vanno solo a favore di chi vuole resti tutto come oggi. Bisogna concentrarsi sulle problematiche poste dal sistema vigente, e soprattutto, di conseguenza, cercare di individuare soluzioni razionali che siano concrete, possibili, fattibili, non utopiche; e farlo senza dare ulteriori appigli alla demonizzazione a cui sarebbero inevitabilmente "bonariamente" sottoposte.

"Per i democratici, democrazia è solo quando la si pensa come loro" (Leonardo Facco)

La necessità di mettere on line questo testo è stata valutata ritenendo che esista già una soluzione per risolvere tutti quei singoli problemi sui quali il dibattito politico annaspa (il discutere sulle sfumature di colore della merda), ed essa si esplica nello studiare un’unica ed articolata proposta, prima di tutto economica, in secondo luogo politica, che faciliti automaticamente la risoluzione in blocco di tutte quelle apparentemente scollegate problematiche sociali che invece sono l'una la conseguenza dell'altra. Le comuni argomentazioni di ampia divulgazione sono generalmente fondate sull’ignoranza diffusa fra la popolazione in merito alle questioni economiche, e sulla conseguente necessità da parte della classe politica di barcamenarsi per far quadrare i conti e mantenere lo “status quo” attraverso imbonitrici strategie cerchiobottiste (tra cui le cadenzate farsesche “manovre economiche”) basate perlopiù sulla demagogia populista volta ad appagare le necessità pretese oclocraticamente dal volgo maggioritario. Preciso che non è che queste cose me le invento io così a casaccio come un alchimista, ma sono cose che si possono ricavare dallo studio di un qualunque banalissimo testo scolastico di economia già esistente, io non ho "ideato" nulla di nuovo. Questo testo potrà sembrare pregno di ragionamenti banali e superflui, di cifre snocciolate in maniera didascalica, di soluzioni contingenti incomprensibili o a primo acchito impraticabili, di concetti ripetuti alla noia, ma tali ragionamenti sono necessari proprio per consentire di comprendere appieno i concetti espressi, e per tacciare preventivamente i “pareri” degli azzeccagarbugli maestri dell’economia moderna, in special modo i soliti presuntuosi vetero-marxisti. Per quanto abbia cercato di semplificare al massimo il testo per renderlo comprensibile a tutti, una certa quantità di termini tecnici è invece stata necessaria per renderlo completo per chi già esperto della materia economica. Tuttavia, per facilitarne la comprensione e, si spera, la diffusione, ho cercato di spiegare in dettaglio i concetti più astrusi. Per quelli che non capiranno, nessuna ulteriore spiegazione sarà possibile; per quelli che capiranno, nessuna ulteriore spiegazione sarà necessaria.
Uno degli scopi di questo testo è dirimere il tipico equivoco: il reddito di cittadinanza non è beneficenza da uno stato prodigo, suo scopo non è *dare soldi* ma PERMETTERE l'applicazione di punti programmatici che se applicati senza esso non sarebbero sostenibili, punti necessari per poter realizzare un sistema economico razionale ed efficiente, al quale apporterebbe la necessaria compensazione alla riduzione rilevante del livello del costo del lavoro e della spesa pubblica e quindi di imposizione fiscale, che renderebbero più equa l'organizzazione e la ripartizione delle imposte e del lavoro salariato, con conseguente scomparsa totale della disoccupazione involontaria permanente, estensione del diritto all'esistenza libera da patemi, e da qui miglioramento della vita comunitaria e della giustizia sociale; ma quest'ultima è solo una conseguenza tra le tante, non il suo scopo come invece si tende ad immaginare accomunandola al concetto di erogazione monetaria ritenendolo erroneamente fine a sè stesso e sgravio da ulteriori conseguenze, che invece ci sarebbero eccome agendo esso sia da compensazione che da incentivazione sui parametri dell'intero sistema socio-produttivo. Questo testo non l'ho scritto per criticare ma per spronare, mi cruccia farlo notare, ma mi rode vedere questo strumento lasciato in mano ad incompetenti che non sanno come applicarlo e ne danno interpretazioni fuori dalla realtà mentre chi l'ha seminato e coltivato e saprebbe come utilizzarlo lo ripudia proprio ora che è maturo. Sarebbe sensato che chi ha seminato e curato raccolga i frutti quando è possibile farlo, invece di lasciarli raccogliere a persone che pur avendo trovato la pappa pronta fatta da altri, non sanno neanche usare il cucchiaio per mangiarla.

"Non aspettare che qualcun altro arrivi e parli al posto tuo. Tu puoi cambiare il mondo" (Malala Yousafzai)

Critica al progetto 5 stelle e a Wikipedia

Da ormai due decenni sono un sostenitore del reddito di cittadinanza di cui ne ho studiato le tematiche distributiste correlate, concetti propri da sempre dell'estrema destra (mentre ho letto con stupore nei commenti in una pagina 5 stelle una persona che lo definisce "troppo di sinistra"...), ed ho condotto tra il 2008-2009 aspre battaglie su wikipedia contro lo stravolgimento ideologico da parte di estremisti antifascisti su quelle martoriate voci (distributismo, credito sociale, socializzazione dell'economia, corporativismo, fiscalità monetaria, moneta di ghiaccio, demurrage, Ezra Pound, Silvio Gesell, ecc) arrendendomi dopo aver compreso la futilità di una lotta impari contro un nemico che tiene il coltello dalla parte del manico, e contro il quale l'impuntarmici si è rivelato a mio malincuore niente più che un deprimente "dare le perle ai porci". Tanto che inizialmente avevo perfino quasi ignorato il tema ripreso da Beppe Grillo, credendola solo una bizza temporanea che avrebbe abbandonato quando si fosse accorto di quale nemico avesse di fronte, ma quando poi ha fondato il movimento 5 stelle e proposto esplicitamente il reddito di cittadinanza io ne sono rimasto stupito ed entusiasta vedendo che ne era popolarmente acclamato, capirete, ho pensato "finalmente ANCHE qualcun'altro appoggia il nostro progetto, e, perdipiù" con ancor più mio stupore "senza venire accusato di antisemitismo", dopo anni di boicottaggio quando non proprio di denigrazione pressoché totali che vedevo accanirsi su di esso da tutte le parti politiche a sinistra di Alleanza Nazionale. Ebbene questo vuole essere uno sfogo, poiché mi è capitato a fine 2015 su un forum, di fronte all'accusa dei 5 stelle verso Matteo Renzi di volergli rubare l'idea (accusa poi rivelatasi infondata e perfino paradossale essendo egli la marionetta dell'incarnazione dell'opposizione al reddito di cittadinanza Carlo De Benedetti, dominus del nordismo), aver puntualizzato che anche loro stessi l'avevano presa dall'estrema destra, precisando quindi quasi casualmente che appunto il concetto di reddito di cittadinanza è sempre stato della destra, credendo che tutti lo sapessero già come cosa perfino scontata (per cui fino allora non avevo nemmeno mai pensato dovesse essere necessario precisarlo), e con mio allibire mi sono sentito chiedere "le prove". Ovviamente in un primo momento non capivo il senso di questa frase, quindi ho chiesto "ma le prove di cosa?"... ebbene quelle persone, su un forum 5 stelle, non solo non sapevano che il concetto di reddito di cittadinanza era portato avanti solo dall'estrema destra da decenni prima della nascita del movimento 5 stelle, ma perfino trovavano strana la cosa tanto da arrivare a chiedere "prove" di ciò! Mi chiedo il perché, essendo esso a rigor di logica chiaramente congeniale alla visione economica della destra... perlomeno della cosiddetta "destra sociale" cioè quella fascista.

"Il più delle volte l'ignoranza può essere vinta: noi non sappiamo perché non vogliamo sapere" (Aldous Huxley)

Forse nel loro immaginario credevano che il termine "reddito di cittadinanza" l'avesse inventato Beppe Grillo 4-5 anni fa? Quindi, sbigottito e pur considerando assurdo ed ingiusto doverlo fare, sono andato su google per portargli queste benedette "prove", dove fino a qualche anno fa la ricerca "reddito di cittadinanza" dava una manciata di risultati, perlopiù siti di estrema destra o signoraggisti, su Pound, Gesell, Belloc, Douglas, Auriti, De Simone, Bellia, Buontempo, fiscalità monetaria, complottismo, e "antisemitismo" (siti dove ovviamente Grillo a suo tempo ha appreso l'esistenza del concetto: vedasi qui). Oggi queste pagine sono state sommerse e relegate chissà dove da milioni di risultati su Beppe Grillo... comprensibilmente, certo, e le si può trovare solo facendo ricerche più particolareggiate. Così dall'iniziale incredula soddisfazione, 4-5 anni fa, di vedere che finalmente ANCHE QUALCUN'ALTRO si aggregava ad una NOSTRA proposta, si è passati ora al sentirsi chiedere "le prove"! Se fino allora avevo dato per scontato che chiunque anche tra i 5 stelle fosse consapevole che il reddito di cittadinanza era un concetto originale e proprio della destra sociale, ora col senno di poi capisco che mi sarebbe dovuta sembrare strana la cosa, anche se prima non ci avevo fatto caso pensando forse ad uno stupefacente rinsavimento di massa. Purtroppo non si trattava di tale ma di semplice ignoranza, come ha poi dimostrato l'incredibile richiesta di "prove". Ed è ironico che involontariamente ammettano tale loro ignoranza, in un articolo dal titolo "Ci siamo svegliati fascisti" nel quale Pierluigi Pagnotta scrive "non ci era chiaro che il fascismo presupponesse un reddito di cittadinanza", una frase che dal suo punto di vista dovrebbe essere polemicamente ironica ed invece è solo una plateale involontaria ammissione: non lo sapeva. Tale incomprensione che ne causa l'esclusione da quello che John Rawls chiama "overlapping consensus" è dovuta al fatto che dall'area fascista il reddito di cittadinanza è stato solitamente assimilato in connubio alla fiscalità monetaria nella peculiare versione di politica bancaria di creazione della base monetaria alternativa al signoraggista "quantitative easing", chiamata dai distributisti "credito sociale" (che va inteso nel senso di "sistema bancario sociale", non di "erogazione di un prestito sociale" come potrebbe essere frainteso). Difatti su wikipedia nel portale fascismo alla sezione "influenze concettuali" il reddito di cittadinanza compare, ma sotto la voce "credito sociale". Peccato che i 5 stelle non se ne siano accorti. L'introduzione delle politiche distributiste in Italia secondo il decreto-legge sulla Socializzazione era prevista per il 21 aprile 1945, politiche che, anche se non citavano esplicitamente il reddito di cittadinanza, avrebbero inevitabilmente (non si vede motivo perchè ciò non fosse) portato alla sua introduzione in tempi brevi. Ecco da cosa ci hanno liberati il 25 aprile di 72 anni fa. Dal reddito di cittadinanza, che oggi potremmo avere da almeno 70 anni. Ogni 25 aprile si festeggiano tot anni senza reddito di cittadinanza.

"Un punto, che è molto importante, riguarda il rapporto tra la socializzazione e i concetti politici che devono accompagnarla. Noi, con la socializzazione, non rinunciamo alla mussoliniana idea corporativa, ma anzi al contrario la rafforziamo e la svilupperemo con i provvedimenti che seguiranno quello sulla socializzazione" (Angelo Tarchi, 20 febbraio 1944)

Comprensibilmente in quel contesto social-democratico quale il regime fascista dal 1933 in poi a tutti gli effetti era, non sarebbe stato possibile attendersi di andare oltre al "sistema misto" per applicarne un "terzo". Prima di tutto bisogna puntualizzare che come "terzo" si intende un sistema a sè stante rispetto a liberismo e statalismo, non una via di mezzo tra i due quale è invece il socialismo e tutte le sue sfumature social-democratiche. Purtroppo la concezione è fallata dal tipico fraintendimento sul significato dei termini e sulla definizione del termine "capitalismo" troppo spesso abusato senza comprenderne il vero significato. I reginetti in questa generalizzazione sono i marxisti, che sono stati seguiti a ruota da tutti gli altri, loro avversari compresi, come per paura di discostarsi dalla visione culturale dominante.

«I principali membri attivi della professione di economista, la generazione che ha attualmente 40-50 anni, si sono uniti in una specie di politburo del pensiero economico corretto. In generale, come ci si deve aspettare da qualsiasi club di gentiluomini, si sono messi dalla parte sbagliata in tutte le questioni politiche importanti, e non solo di recente ma da decenni. Predicono disastri quando non succedono. Negano la possibilità di eventi che invece accadono. Si esibiscono in una sorta di fatalismo sulla “inevitabilità” di un problema (la disuguaglianza salariale) che subito dopo inizia a diminuire. Si oppongono alle riforme più fondamentali, più decenti e importanti, offrendo al loro posto dei placebo. Sono sempre sorpresi quando qualcosa di negativo (come una recessione) accade veramente. E quando finalmente si accorgono che certe posizioni sono divenute insostenibili, non rimettono in discussione le loro idee. Semplicemente, cambiano discorso» (James Kenneth Galbraith)

Come si può non notare e puntualizzare l'arretratezza dell'attuale sistema, cristallizzato come un dogma immutabile fermo alla rivoluzione francese? Da allora è stato inventato il treno, l'automobile, gli apparecchi elettrici, l'aereo, l'energia nucleare, ma l'impostazione dell'amministrazione pubblica è rimasta ferma a 200 anni fa! Ed il bello è che nessuno se ne rende conto! Paragonando l'attuale vetusto sistema alla democrazia organica non si può non notare come esso sia primordiale e rudimentale rispetto alla raffinatezza di essa.

"Tutti i concetti più pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati" (Carl Schmitt)

Che bello sarebbe vivere in un mondo dove non ci sia più niente da migliorare o comunque solo bazzecole e contingenze... dove lo stupido sono io e non tutti gli altri... un mondo dove non aver più ragione di struggersi di fronte all'estrema stupidità che oggi impera in questo, dalle persone ai vertici fino a quelle alla base, con la sensazione di impotenza che si proverebbe a "giocare a scacchi con un piccione" come dice il famoso paragone: "puoi essere anche il campione del mondo ma il piccione farà cadere tutti i pezzi, cagherà sulla scacchiera e poi se ne andrà camminando impettito come se avesse vinto lui". Che soddisfazione sarebbe, vedere gli attuali adoratori di questa merda rodere della felicità altrui che loro oggi avversano, vederli angustiarsi per un sistema che dia la felicità a tutti, apportata da un sistema sensato e razionale, alla facciaccia loro! Purtroppo è utopia. Ma sia chiaro, non è una questione di solidarietà ed empatia come la fa passare Guy Standing, ma di semplice buon senso: l'esistenza del reddito di base giova A TUTTI! In un modo o nell'altro. Standing si chiede il motivo per cui della crisi economica e relative reazioni a globalizzazione ed austerity non abbia giovato proprio la sinistra... perché loro sono i responsabili, ecco perché! Ci mancherebbe pure che i colpevoli vengano premiati anziché puniti! E per fortuna ora sembra che la piega che si sta prendendo sia questa, dopo decenni di obnubilamento, oggi forse anche grazie a internet la gente si sta svegliando. Un interpretazione di quanto sta succedendo, sempre secondo Standing, è che la società si sta restringendo, nel senso che sta calando la fetta di popolazione con pieni diritti di cittadinanza. Però, fa notare, la storia ci insegna che con il crescere dei gruppi emarginati cresce anche la percezione di illegittimità delle strutture che li emarginano. A un certo punto l'edificio diventa ingestibile, dato che si sta facendo del male a troppa gente. Indicativa è un immagine che gira nell'estate 2017 su internet: una raffigurazione della regina Maria Antonietta, con scritto "maestà, il popolo ha fame" e la sua risposta "gli si dia lo ius soli".
Secondo Standing la plutocrazia è una sorta di "super-cittadinanza", che sfugge agli obblighi ma riceve tutti i diritti, cercando in tutti i modi di limitare i diritti e inserire obblighi a tutti gli altri, ovvero tende a voler escludere gli altri dalla cittadinanza nel significato che Standing dà a questo termine. Spesso lo fa cercando di allearsi con le classi ad essa contigue contro quelle inferiori, ovverosia solitamente ed in particolare oggi con i salariati, ovviamente e rigorosamente col plauso dei sindacati, contro tutti gli altri ovvero contro i disoccupati. Perciò il salariato è stato il principale beneficiario di questa strategia plutocratica travestita da social-democrazia. Standing definisce i salariati (cioè quelli che il marxismo chiama proletariato) una sorta di circolo esclusivo, loggia massonica a tutti gli effetti nel suo risultato, che con la sua aderenza agli scopi della plutocrazia riceve in cambio tutta una sorta di benefits e gode di tutti i diritti di cittadinanza derivanti dall'esclusione di tutte le altre persone. Il loro ingrasso li rende propensi a sostenere le politiche plutocratiche, ed i risultati si vedono ad ogni votazione. Standing definisce i precari come "non-cittadini" imputando alla classe politica l'incapacità di immedesimarsi in essi, cosa che Standing definisce "gratuita ed immorale". I disoccupati non sono esclusi solo dal reddito monetario ma anche da servizi pubblici e beni comuni: senza ricorrere ad esempi estremi come i ticket sanitari, come puoi accedere anche solo alla biblioteca pur totalmente gratuita, se non hai i soldi per il biglietto dell'autobus per raggiungerla? Secondo Standing, chiunque abbia la possibilità di parlare dovrebbe mettersi a gridare contro l'iniquità e la diseguaglianza seminate dai governi. Dopo secoli di progresso dei diritti, dopo essere "arrivati ad un passo" dalla democrazia partecipativa o diretta, per la prima volta nella storia i governi stanno riducendo i diritti di tanti loro connazionali. Si è avviato perciò il regresso dei diritti, verso quella che Standing definisce "democrazia utilitarista". In definitiva, i partiti non puntano più al fare ciò che è meglio (verrebbe da chiedersi tuttavia quando mai l'abbiano fatto secondo lui...), e nemmeno a guadagnare il favore della maggioranza, ma solo a guadagnare il voto del 2% che fa pendere l'ago della bilancia al 51%. Una dittatura di quel 2% insomma. Poco importa loro se tale politica priva una minoranza dei diritti fondamentali, o anche fosse una maggioranza relativa, l'importante è accontentare quel 2%. Questo ha importanti conseguenze. Secondo Hannah Arendt la cittadinanza sarebbe "il diritto di avere diritti". Per Standing i nuovi esclusi divengono tali dopo essersi visti negare e sottrarre i diritti tipici della condizione di cittadino, spesso senza nemmeno accorgersene o comprenderne tutte le implicazioni. Standing contesta ai marxisti l'incapacità di capire che gli esclusi sono a tutti gli effetti una classe e non solo una "condizione sociale"; una classe le cui fila si stanno ingrossando sempre di più e per questo non può più essere ignorata, poiché una "condizione sociale" non può agire con obiettivi comuni e compatibili, ma un gruppo sociale si, e la questione non è se, ma quando esso agirà. Con la differenza, fa notare Standing, che se lo scopo delle altre classi è perpetuarsi e prevalere, lo scopo di questa è abolirsi, estinguersi. Questa caratteristica ne fa una forza trasformatrice, non egemonizzatrice. Lo Stato vuole sapere tutto di voi perché ancora non riesce a spiegarsi come avete fatto a sopravvivere. I disoccupati sono trattati dallo stato come persone da valutare, riformare, sanzionare, spingere, rendere più "collocabili", addestrare, aggiornare, istruire affinché siano più "socialmente responsabili" e via dicendo. Senza una voce che si opponga a questa oppressione, il sistema può trasformare i disoccupati in "non cittadini", privi di diritti, postulanti sottoposti a condizioni, dai quali ci si aspetta pure che si dimostrino grati. Non sapete quanto mi rode che ancora gli esclusi non si sveglino e gli dimostrino la loro gratitudine ai carnefici! Purtroppo come già detto, quando il momento verrà, i carnefici cadendo sempre in piedi saranno loro a guidare la rivolta degli esclusi, contro non si sa più chi a quel punto. Sia a destra che a sinistra è stato utile ignorare o sminuire il precariato finché era una minoranza, ma ora le cose stanno cambiando. Il brutto è che, come sempre, a raccoglierne i frutti saranno SEMPRE LE STESSE PERSONE, perché così è ed è sempre stato. Chi prima era il peggior conservatore, poi se ne uscirà vergine come se avesse avuto un illuminazione nel momento in cui il problema è sorto mentre prima non esisteva, e lui da illuminato nel momento in cui il problema è sorto vi ha lungimirantemente posto rimedio. Quelli cadono sempre in piedi quindi, mentre invece sarebbero da impiccare nella pubblica piazza oggi stesso. Lo stato esige che il precario svolga una gran quantità di lavoro per mantenere il sussidio attraverso numerosi passaggi attivi, barriere da superare. La vita ruota attorno alle code, ai moduli da riempire, alla presentazione di documentazione da un ufficio all'altro dei medesimi enti pubblici, ai colloqui frequenti, alle risposte a domande col trucco (la cui domanda stessa è la vera imbecillità, solitamente), procedure lunghe ed umilianti. Accettando un lavoro senza prospettive di durata si rischia di dover nel volgere di breve ricominciare la trafila da capo. Standing dice che nessuna persona razionale lo accetterebbe. Eppure il precario è costretto a farlo. Ed aggiungo io, gli assistenti sociali lo pretendono. E questa diventa la mia definizione, che confermo per esperienza diretta, degli assistenti sociali come persone avulse da ogni logica e razionalità. Purtroppo, il problema è che, per quanto demenziali possano essere, il coltello dalla parte del manico ce l'hanno loro. Quegli stessi assistenti sociali che fanno una smorfia quando rifiuti il piatto con dentro una merda che ti hanno porto alla tua richiesta di "cibo" (da incaricati quali sarebbero) e si permettono pure di commiserarti come se avessero pure ragione loro! Il precario è uno che dipende dalla volontà altrui, significa essere postulanti privi di diritti, soggetti alla carità o al benvolere discrezionali o regolamentati dei burocrati. Lo stato tratta i precari come gruppo, a seconda dei casi, da criticare, compatire, demonizzare, sanzionare, o penalizzare, non come oggetto di protezione sociale o di maggiore benessere. Il fatto è che non dovrebbe essere nemmeno quest'ultimo caso. Il precariato non va abolito come vorrebbe la gente come Standing, ma DIFFUSO. Tutti precari=nessun precario. Tutto il lavoro dovrebbe essere "precario", è ora di finirla con tutte le regolamentazioni sul lavoro che la precarietà la creano ESCLUDENDO solo alcuni dalla non precarietà. La precarietà si elimina rendendo TUTTI PRECARI ovvero NESSUN PRECARIO, e quindi abolendo le regolamentazioni che creano i NON precari. E come necessaria compensazione, il reddito di base.
Standing lungimirantemente fa notare agli ottusi politici che di questo passo, quel 2% che fa pendere l'ago della bilancia al 51% prima o dopo rientrerà negli esclusi... Il dibattito politico è in pieno disfacimento ovunque, con i social-democratici ormai prossimi all'estinzione. I loro vecchi slogan non attirano più. E la cosa più preoccupante è che sembra che essi non capiscano il motivo.

"La sinistra ha aderito al liberalismo economico perché era già acquisita all’idea di progresso e al liberalismo «societale», mentre la destra ha aderito al liberalismo dei costumi perché ha prima adottato il liberalismo economico. Alla stupidità delle persone di sinistra che ritengono possibile combattere il capitalismo in nome del «progresso», corrisponde l’imbecillità delle persone di destra che ritengono possibile difendere al contempo i «valori tradizionali» e un’economia di mercato che non smette di distruggerli: «Il liberalismo economico integrale (ufficialmente difeso dalla destra) reca in sé la rivoluzione permanente dei costumi (ufficialmente difesa dalla sinistra), proprio come quest’ultima esige, a sua volta, la liberazione totale del mercato» . Ciò spiega che destra e sinistra confluiscano oggi nell’ideologia dei diritti dell’uomo, il culto della crescita infinita, la venerazione dello scambio mercantile e il desiderio sfrenato di profitti. Il che ha almeno il merito di chiarire le cose" (Alain De Benoist)

John Ruskin e William Morris si scagliavano contro i valori del "labour" ed a favore di quelli del "work". Certo il lavoro è necessario, ma quello alienato e che consuma risorse ("labour") non dovrebbe essere elogiato bensì deprecato e ridotto il più possibile! Che è quello che sta facendo il mercato con l'automazione, ma anziché essere favorito il work ed osteggiato il labour, oggi la classe politica e sindacale fa l'esatto contrario! La sinistra montessoriana scopre di essere datata e fuori dal tempo, di vivere in una realtà distaccata dove le libertà e i diritti iniziano e finiscono nell'ambito di genere e di razza. Perdono consensi, ma non fanno alcuna autocritica, perché il sistema di credenze su cui basano la loro esistenza da generazioni crollerebbe come un castello di carte. Accusano gli altri di sabotare il loro mondo ideale di omogeinizzazione e menefreghisno, di essere colpevoli di non valer aderire agli standard di ignoranza e qualunquismo richiesti per far parte del 3° millennio, come se del futuro avessero capito tutto loro, e gli altri fossero solo comparse indisciplinate da educare o punire. Il punto è che le loro ragioni non sono razionali: si stanno attaccando a qualcosa (la centralità del lavoro) che, declinando (il grande disaccoppiamento segna il declino del lavoro salariato), si trascinerà dietro il sindacato insieme al benessere e al potere economico e politico della classe media, a quel punto conterà ben poco essere in ciò che rimane della working class perché il cittadino dietro al lavoratore non conterà più niente. Scrive Fusaro:
Provo sinceramente compassione per quanti a sinistra non hanno capito che per difendere i diritti del lavoro e delle classi lavoratrici occorre difendere, in pari tempo, la sovranità nazionale come luogo della possibilità politica di limitazione dell'economia. Per difendere il lavoro occorre regolamentare l'economia. Per regolamentare l'economia è necessaria la politica. Perché vi sia politica è necessaria la sovranità nazionale. Se si accetta il terreno niente affatto neutro della mondializzazione capitalistica, la battaglia per i diritti del lavoro e dei lavoratori è persa in partenza. Svegliamoci. E, soprattutto, svegliatevi amici delle mille sinistre che si riproducono ormai per gemmazione e che sempre più abbandonano la causa del lavoro per aderire alle cause arcobaleno.
Da come si stanno mettendo le cose, ogni giorno di più personalmente mi appare evidente che i grandi temi intorno ai quali si avviterà la vita politica non solo occidentale ma mondiale saranno la ridistribuzione della ricchezza e la biotetica. E il motivo è il progresso tecnologico. La tecnologia nel giro di pochi anni libererà interi settori dal lavoro umano, perchè lo faranno le macchine. Credo che gli unici lavori che resisteranno saranno quelli in cui la discriminante sia il gusto umano, che non potrà essere appannaggio delle macchine. Toccherà alla Politica, con la maiuscola, decretare se queste masse liberate dal lavoro dovranno essere costituite da uomini autosufficienti che avranno tutto il tempo di dedicarsi a cose più nobili che "spazzare le foglie", oppure folle di plebei che tagliate fuori dalla civiltà retrocederanno all'uomo di Neanderthal. E non credo di esagerare. Quindi la redistribuzione sarà un fatto necessario e in questo senso l'unica forza, non solo italiana ma addirittura europea, che abbia intuito tutto ciò sono i 5 stelle, che non mi fanno nessuna simpatia, però devo dire che su questo chi di dovere ci ha visto lungo. I temi bioteci saranno anche loro al centro del dibattito. Credo che per il futuro della civiltà umana sarà necessario un ritorno alla grande famiglia politica cattolica della dottrina sociale che è l'unica che possiede strumenti e paradigmi capaci di affrontare il "nuovo mondo", altrimenti sarà un inferno. Chiaramente mi riferisco al cattolicesimo distributista, l'unico capace della medietà del presente, senza torcicolli verso la reazione e senza ubriacature progressiste "futuriste". In quest'epoca noi stiamo subendo esattamente queste ubriacature. Non credo di dover specificare, sappiamo tutti cosa accade. E' necessario riappropriarsi delle funzioni catencontiche (il Kathecon è "il potere che frena") che il Capitale sta spazzando via attraverso la sinistra liberaloide a tendenza totalitaria: Famiglia, Religiosità, Cultura particolare e Nazione (o piccole patrie). Santa Romana Chiesa, con l'avvicendamento dei pontificati Ratzinger/ Bergoglio ha abbandonato il Kathecon e nel lessico cattolico questo significa l'avanzamento dell'Anticristo. Bergoglio è il papa del mondialismo. Quindi venuto meno il freno della Cristianità che è attualmente fuorigioco, non so se in modo irreversibile, ma entreremmo in un campo complesso qual è la Teologia, a noi non rimane altro che organizzarci politicamente. E' decisamente calzante la definizione che Sandro Gobetti ha fornito di questa fase storica, evocando l'immagine di una guerra che si starebbe consumando tra la old e new economy. Non ci sarà mai uno "stato della Silicon Valley" né un reddito di base strutturale emanato direttamente da Y Combinator, ma proprio l'analisi di cui sopra non può che portarmi a rievocare quanto accaduto nell'industria discografica all'inizio degli anni 2000: all'epoca il fronte che si venne a determinare vedeva schierati da una parte attivisti della revisione del diritto d'autore e utenti dei circuiti di P2P, mentre dall'altra si allinearono i grossi calibri delle major. Anche in questo caso la questione non era esclusivamente finanziaria (come non lo è nel caso del reddito di base) ma anche e soprattutto pertinente un modello di business che vedeva nel bene fisico uno strumento per esercitare potere su tutta la filiera. Un accordo non si trovò mai, poi arrivarono i giganti della new economy e come le navi dell'ammiraglio Perry forzarono il blocco navale giapponese, Spotify, Google Music e iTunes costrinsero le major a capitolare. L'evoluzione tecnologica esponenziale sta digitalizzando il pianeta, quindi questa dialettica, lungi dal rimanere confinata all'ambito dei beni immateriali, sta tracimando in ogni settore, dalla mobilità alla catena distributiva, dall'energia ai servizi fino all'industria. Al di là dell'importanza relativa (ma non secondaria) del progetto di Y Combinator, il punto che volevo far presente è che attraverso Martin Ford sappiamo che il 90% degli imprenditori della Silicon Valley sono a favore del reddito di base incondizionato. La old economy dell'industria petrolifera, la vecchia industria automobilista, il sistema bancario tradizionale e i loro collegati politici e sindacali con tutto il loro armamentario ideologico del secolo scorso sono paradigmaticamente contrari al reddito di base. Non riescono nemmeno ad elaborare un'idea del futuro, perché, come stiamo vedendo con "Industria 4.0", la mentalità lavorista diventa una pregiudiziale ideologica nei confronti di quelle trasformazioni radicali che l'innovazione richiede. Ad esempio come rapportarsi con la rivoluzione driverless senza liberarsi dal pregiudizio che lega il reddito al lavoro? Continueremo ad elaborare soluzioni inefficienti nel tentativo di forzare ideologicamente il fattore umano anche lì dove è ormai un ostacolo piuttosto che un valore aggiunto (negando invece il valore aggiunto del contributo volontario, dettato dalla passione, che una persona liberata dal sistema della schiavitù salariata può fornire all'economia). La old economy ricorda idealmente l'economia "labor-intensive" delle piantagioni, la new economy necessita un genere di contributo di massa che origini dalla passione, l'estro, gli interessi reali delle persone, il big data delle nostre vite. Non voglio idealizzare gli obiettivi dell'élite della Silicon Valley, il ruolo della politica è inderogabile perché prima o poi il reddito di base dovrà essere codificato in leggi e soprattutto perché sarà indispensabile puntare in alto, oltre l'importo indicato da membri dell'1% più ricco preoccupato fondamentalmente dalla perpetuazione del ciclo economico, per cui occorrerà indicizzare il reddito di base agli aumenti di produttività o alla crescita del PIL, ma resta il fatto che ritengo essenziale per partiti, movimenti ed associazioni che vogliano implementare il reddito di base cercare la sponda dei giganti della new economy, perché in questa battaglia possono essere nostri alleati, più dei vecchi arnesi della sinistra ideologica, ancorati a concetti e categorie mentali di 40 anni fa.

"Molti sindacati sono diventati troppo lavoristi nella seconda metà del ventesimo secolo e non sono riusciti a rispondere alle necessità e aspirazioni del precariato. I leader sindacali sono stati tra i più strenui oppositori del reddito di base incondizionato. Questo mi ha sempre colpito come qualcosa di triste. Quando ho chiesto ad un gruppo di leader sindacali ad una scuola estiva il perché di questa posizione uno mi ha risposto che la ragione era che se i lavoratori avessero avuto un reddito di base incondizionato non avrebbero aderito al sindacato. Questa è stata una frase terribile da ascoltare" (Guy Standing)

Se la mercificazione era vista come alienante, non è che la demercificazione fittizia del lavoro abbia dato risultati auspicabili, anzi. Con gli extra che avrebbero dovuto coprire i rischi contingenti (quelli che nascono da ciò che si fa) ma in realtà hanno finito per creare sempre più esclusione verso chi a questi benefits non ha diritto pur lavorando (per non parlare dei disoccupati ovviamente, non solo essi quindi). Falsamente definiti diritti dei lavoratori, erano in realtà vantaggi acquisiti per specifici gruppi che lottavano per garantirseli, e dai quali restano di conseguenza esclusi chi queste capacità non le ha, andando perciò a peggiorarne la situazione. Ovviamente i classici privilegiati di questo meccanismo sono identificati nei dipendenti del settore pubblico. Essendo calibrati sul rischio, e non sull'incertezza, questo tipo di sicurezza sociale esclude chi non ha rischio ma incertezza quella si. Nel caso del rischio è possibile calcolare le probabilità di un evento avverso, nel caso dell'incertezza no (essendo appunto incertezza). Sull'incertezza l'impatto degli eventi negativi è più forte poiché ha meno risorse per attutirli. Standing sostiene che essendo i salari il costo più flessibile, scendono più del normale in periodo di recessione, e ciò non aiuta ad incrementare la domanda di lavoro dato che le persone con redditi più bassi spendono di meno. Ovviamente confonde causa con effetto, casomai è --------. Da cui la soluzione che lui propone è la riduzione della flessibilità e la fissazione dei salari sul costo della vita, tutto il contrario di ciò che la logica direbbe e che andrebbe ovviamente a peggiorare ulteriormente ----------. Secondo lui la causa di tutto sarebbe la più debole condizione contrattuale dei lavoratori, anche qui ribaltando causa ed effetto, da tipico lavorista quale difatto è. Secondo lui, la corsa ai tagli salariali al ribasso rispetto agli altri paesi è la risposta sbagliata alla domanda sbagliata. Invece è proprio quella giusta. Uno dei capisaldi della scienza economica è il trade-off tra equità ed efficienza. Esso è uno dei pochi concetti errati di tale scienza, non perché sia errato di per sè ma perché si fonda su un presupposto errato ovvero sul concetto social-democratico di equità, che è in realtà a tutti gli effetti il suo esatto opposto, iniquità. Per cui l'errore non è della scienza economica ma del luogo comune a cui essa si riferisce in questo caso (ovviamente, in assenza di metri di paragone alternativi non essendo mai esistito un sistema efficiente nella storia del mondo). Quindi in realtà i conti tornano, equità equivale ad efficienza ed efficienza equivale ad equità; l'equità porta efficienza, e l'efficienza porta equità. Sono complementari. Standing definisce la tendenza ad affidare i governi a tecnici economisti (ad esempio Mario Monti) come "bracconieri diventati guardiacaccia". Quello che nemmeno lui riesce a capire è che definire "economisti" persone di una stupidità ed ignoranza incredibili su quella materia è fuorviante del vero senso della cosa. Più azzeccato sarebbe definirli "aspiranti" o "sedicenti" bracconieri, diventati guardiacaccia. Così il paragone assume un senso. Standing attacca le politiche di riduzione dei debiti, come se le partite di giro potessero essere responsabili dei problemi che identifica, e sulla base di ciò ne ricava che ridurre la disuguaglianza aumenta la crescita, mentre invece le due cose sono certo complementari, ma non sono l'una la causa dell'altra o viceversa, vanno di pari passo certo, ma non è che agendo artificialmente su una poi comporti lo stesso sull'altra, se non è un automatismo. Per cui sia i suoi discorsi sia quelli di quelli che lui critica su questo tema, austerity ecc, sono entrambi errati. Secondo Standing la strategia dell'austerity potrebbe ottenere a breve termine un limitato successo nel senso della conservazione della struttura economica della disuguaglianza ovvero nella perpetuazione dei problemi, non certo nella loro soluzione.

"La razza umana non risolve mai uno solo dei suoi problemi. Si limita a sopravvivere ai problemi" (David Gerrold)

Standing stesso, nonostante faccia parte di quella tipologia di persone che questo sistema lo hanno creato e lo sostengono, si chiede perché mai i disoccupati dovrebbero rispettare un sistema del genere. Un sistema che sta creando una società di senzatetto e mendicanti. Il lavoro incerto e volatile è la nuova norma, non l'eccezione. Laddove la norma proletaria era l'assuefazione al posto di lavoro stabile, il precariato si sta assuefacendo al posto di lavoro instabile, una situazione che non si può modificare non solo introducendo nuove regole ma nemmeno mediante la crescita economica. Servono mezzi ESTERNI. Mezzi atti a COMPENSARE una situazione che oggi è deletaria solo perché essi sono assenti, ma che in realtà andrebbe perfino estesa e compensata, non "risolta", perché non è essa il problema, il problema è l'assenza di compensazioni! Non finirò di ripetere che la causa dell'attuale situazione (che i media chiamano crisi e ne indicano la data d'inizio al 2008) è unicamente dovuta all'assenza del reddito di base! Finché non si capirà che la situazione problematica era prima, mentre oggi si sta progredendo, non si potrà mai riuscire ad uscire da questo impasse. Se si imputa un difetto a qualcosa che non è la causa, non si potrà mai risolvere la questione. La flessibilità del lavoro è un effetto benefico del progresso, ma lasciata senza compensazione crea un problema che non è essa a causare, ma appunto l'assenza di compensazioni. O forse siete di quei luddisti che evidentemente preferirebbero una società alla Charles Dickens? Brynjolfsson e McAfee imputano il "problema" all'automazione, e già il fatto di considerare un problema la liberazione dell'uomo dal lavoro la dice lunga... secondo Standing è una variante della luddista "fallacia del crollo della manodopera". Inoltre in un economia globale di mercato cercare di limitare l'instabilità dei posti di lavoro solo in un determinato paese non serve a nulla (e non serve certo spiegarne i motivi). Scandalizzati dall'idea che non si attribuisse sufficiente importanza al ruolo sociale e politico del lavoro. Ma è proprio da valutazioni di questo tipo che nascono le considerazioni sulla futura necessità del reddito di base: possiamo ridefinire cosa significhi avere un lavoro 2 o 3 volte, stabilire che sia un contratto a somministrazione, pagato voucher o lavorare solo per 2 ore a settimana in un magazzino, da cui poi ricavare tassi di disoccupazione consolatori, la domanda è: la "nuova" occupazione è in grado di alimentare finanziariamente la maggioranza delle persone? Perché a giudicare dai dati statunitensi, dove il 40% dei lavoratori percepisce meno di 20.000 dollari lordi all'anno non configurandosi quindi più come classe media, o da quelli tedeschi, dove 8 milioni di persone ora hanno quello che si definisce un "minijob", dovremmo arguire che la risposta sia no. Cioè che a livello di politiche redistributive è arrivato il momento di iniziare a scindere il reddito dal lavoro, come per altro sta già avvenendo nei fatti economici come indicato da McAfee e Brynjolfsson. Questo significa discutere della "dignità del lavoro" e di dignità in senso più ampio, che non è un concetto legato alla sfera occupazionale. Se c'è qualcosa di buono su Grillo è proprio questo: a differenza di molti politici non ti risparmia nulla della realtà. In che altro modo definire l'attacco al feticcio del lavoro che consente a realtà industriali superate, inquinanti, che hanno perso qualsiasi ratio economica, di rimanere aperte proprio perché nella nostra mente i concetti di reddito e di lavoro sono indistinguibili? In che modo un reddito di base potrebbe aiutare quelle trasformazioni industriali di cui il nostro paese ha fondamentale bisogno? A chi giova continuare a legare il concetto di reddito a quello di lavoro in modo totale in un'epoca in cui aumentano le disuguaglianze per effetto dell'incidenza del progresso tecnologico sui salari? La politica consiste anche nel farsi le domande giuste, che spesso sono domande scomode, in particolare per le élite economico-finanziarie. Standing, uno di sinistra, critica la "precarietà" e la relativa diminuzione di "benefits"... ma scusate... "lavorare meno lavorare tutti" non era un tipico slogan della sinistra? Ed il lavoro precario non ne è l'esatto equivalente??? Ma allora esattamente loro cosa intendevano con "lavorare meno lavorare tutti"??? Oggi che questo è l'andazzo, se ne lamentano??? Il lavoro saltuario permette a più persone di lavorare e meno, quindi di cosa si lamentano dopo averlo postulato da sempre??? Ed oltretutto lui fa distinguo tra lavoratori stabili e precari, quando invece la frattura è tra chi un lavoro non solo ce l'ha anche saltuario ma proprio *ha la possibilità di averlo* e chi invece ne è escluso totalmente a priori non solo da un lavoro effettivo ma proprio dalla possibilità stessa di averlo (incollocabili), questi ultimi sono le vere vittime, chi ha reddito zero perpetuo senza alcuna possibile prospettiva, non chi la possibilità almeno di avere un lavoro ce l'ha! La saltuarietà è solo una sfumatura di una condizione precisa che nel caso specifico è quella della collocabilità!
Marshall suddivide temporalmente il progresso nell'acquisizione dei diritti: civili (XVII secolo), culturali (XVIII secolo), politici (XIX secolo), sociali (XX secolo); Standing ne aggiunge un altro per il XXI secolo: i diritti economici. Ecco cosa gli attuali politici non riescono a capire nella loro ottusità. Il progresso stesso richiederebbe non il richiamo utilitarista a una maggioranza ma la visione di cosa costituisce una società buona. Peccato che a dirlo sia uno che di questa società ne è un sostenitore (checché lui ne voglia dire) e quindi non ha le capacità di guardare oltre.

"Matrix è un sistema, Neo. E quel sistema è nostro nemico. Ma quando ci sei dentro ti guardi intorno e cosa vedi? Uomini d'affari, insegnanti, avvocati, falegnami... le proiezioni mentali della gente che vogliamo salvare. Ma finché non le avremo salvate, queste persone faranno parte di quel sistema, e questo le rende nostre nemiche. Devi capire che la maggior parte di loro non è pronta per essere scollegata. Tanti di loro sono così assuefatti, così disperatamente dipendenti dal sistema, che combatterebbero per difenderlo" (Morpheus)

Sulla componente economica della vita associata si fanno due errori: la sottovalutazione e la sopravvalutazione. Il primo errore è commesso dai grandi "pensatori" secondo i quali le vere libertà e i veri diritti sono quelli - va da sé - di "pensiero", mentre la libertà economica non è altro che espressione di avidità ed egoismo. L'errore di sopravvalutazione risiede nell'idea marxiana che i rapporti economici costituiscano la "struttura" e i rapporti socio-culturali la "sovrastruttura" e la seconda dipenda dalla prima. E' inutile dire che i marxiani-marxisti commettono entrambi gli errori, poiché ne commettono un terzo che li lega: la teoria del plusvalore. Questa erratissima teoria fa pensare che il profitto d'impresa non sia altro che "sfruttamento" e dunque appropriazione indebita da parte del "borghese" di ciò che appartiene al "proletario". Non entriamo nel dettaglio, ma le cose che non capì Karl Marx sono molte di più di quelle che che capì (Armando Plebe, "Quel che non ha capito Marx"). Ma paradossalmente il secondo errore è commesso anche da alcuni liberisti (i quali tuttavia non commettono il primo). Costoro sono marxiani non marxisti, magari inconsapevolmente, ma marxiani, giacché accettano il paradigma interpretativo di Marx. In verità ciò che egli chiama "sovrastruttura" non è altro che l'ordinamento socio-culturale che influenza i rapporti economici (non viceversa). In altri termini è la "civiltà" che crea o non crea le condizioni dello sviluppo economico non viceversa (PELLICANI, Le fonti della vita). Ebbene questo è l'errore commesso ad esempio da chi pensa che la shaarja sia compatibile con la libertà d'impresa al pari di altri ordinamenti. Non è così, perché l'alimento fondamentale di tutte le libertà è qualcosa di incompatibile con le libertà positive: è il riconoscimento della distinzione tra la norma morale e la norma giuridica. Esiste però una proposta alternativa che è meno reclamizzata di altre, non ha sponsor illustri nella grande informazione, tanto per non dire appositamente boicottata, ma che ci pare convincente sotto tanti punti di vista, per realismo e praticabilità, efficacia e motivi ispiratori. Il suo caposaldo è il reddito di cittadinanza ed il suo nome è distributismo. L’adesione al reale, al senso comune ed alla ragionevolezza sono i punti di fondo filosofici del distributismo. Per il distributismo la realtà esiste, c’è là fuori, ed il compito dell’uomo è quello di cercare di adeguare la propria mente a tale realtà. Sembrerebbero cose scontate ma oggi non lo sono. Molte correnti filosofiche attuali sostengono infatti che non esiste alcuna realtà e che l’uomo sia il creatore di tutto ciò che esiste. Questa posizione consente al distributismo, da un punto di vista storico, economico, sociale e politico, di porsi al di là ed oltre ogni ideologia, se per ideologia si intende un programma di società dettato principalmente dalla volontà dell’uomo, sciolta da un legame fondante con il reale. In questo senso, e senza alcuna ombra di dubbio, la proposta distributista rappresenta un’alternativa netta e senza se e senza ma, al sistema liberista ed a quello social/comunista, che hanno dimostrato, sia dal punto di vista teoretico, sia dal punto di vista storico, il loro totale fallimento. Il pensiero distributista inoltre, lunghi dall’essere un’utopia, è radicato su ciò che unisce tutti gli uomini di retta ragione e buona volontà: il senso comune. Per questo esso non rappresenta altro che un modo virtuoso di entrare in contatto con il reale. Il distributismo non è contro il capitalismo, e non è una via di mezzo. Il distributismo come compensazione al liberismo è un estensione del capitalismo.

“Troppo capitalismo non significa troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti” (Gilbert Keith Chesterton, che in questa frase dà polemicamente al termine "capitalismo" l'accezione negativa comune)

Molti autori si sono arrabattati ad identificare la nascita del capitalismo. Con quello che comunemente questi definiscono capitalismo ci si riferisce in realtà al sistema economico di mercato in regime di proprietà privata e libera iniziativa, che nasce nel primo momento in cui due soggetti si sono scambiati due oggetti e quindi nella preistoria, mentre il capitalismo nel vero senso del termine nasce nel momento in cui la moneta ha permesso l'*accumulo* di ricchezza ovvero di capitale. Senza proprietà privata sarebbe infatti impossibile utilizzare in maniera efficiente ed ordinata tutto ciò di cui disponiamo. Pensiamo solo per un attimo cosa succederebbe se gli oggetti non fossero di proprietà privata ma lasciati di proprietà comune ovvero gratis: i soldi sarebbero solo inutili pezzi di carta, ma gli scaffali sarebbero vuoti e davanti i negozi le code per raccattare gli scarti sarebbero senza soluzione di continuità. Come era in Urss. Lo stesso dicasi della proprietà produttiva: che ne sarebbe di un campo agricolo, di un’azienda, se non fosse chiaro fin dall’inizio chi fosse il loro proprietario. Sarebbe impossibile organizzare anche la più piccola forma di produzione. Quindi "capitalismo" non è il termine scientificamente più adeguato per definire l'economia di mercato, perché se tutto il capitalismo è economia di mercato, non tutta l'economia di mercato è capitalista. Il capitale è una idea astratta, è un concetto del calcolo economico: è l'insieme di beni capitali a disposizione dell'imprenditore valutati a prezzi di mercato. Da cui due corollari: dove non c'è mercato libero, non c'è capitale. Anche se ci sono beni di capitale l'imprenditore non riesce a fare la stima del capitale, non si riesce a fare il calcolo economico per la migliore e più efficiente combinazione di beni di capitale. La stima imprenditoriale dei beni di capitale è la base del sistema di mercato. Il bene di capitale è tale perché qualcuno ritiene che possa servire come mezzo per raggiungere un fine.

"Il capitalismo è ciò che la gente pratica quando la si lascia in pace" (Leonardo Facco)

Per produrre beni di capitale è necessario il risparmio che definiamo come rinuncia al consumo immediato. Si sta risparmiando quando si rinuncia a consumare qualcosa immediatamente, quando si postpone nel tempo l'atto di consumare che costituisce un fine. Il capitalista è ogni agente economico che risparmia, e che mette a disposizione dei lavoratori il proprio risparmio affinché si producano beni economici. Ogni lavoratore è localizzato in qualcuna delle tappe del processo produttivo. Ad esempio, la produzione di una autovettura richiede molti anni, dal primo progetto alla produzione finale. E' un processo costituito da tappe con molti affluenti. Il mercato è generato e stimolato dalla funzione imprenditoriale, ovvero dall'insieme di tutti quegli imprenditori che cercano continuamente di offrire beni economici a un prezzo più basso e di qualità migliore in un ambiente concorrenziale, secondo un processo sociale interminabile e sempre in movimento. Il prezzo dei beni di consumo determina in maniera indiretta i prezzi dei fattori di produzione. Detto in altra maniera, i prezzi dei fattori di produzione sorgono come conseguenza dei prezzi dei beni di consumo. I prezzi non sono quindi dati dai costi, e la ricchezza non è data; a distribuirla è la "mano invisibile" automaticamente, a meno di interventi umani atti ad impedirlo. Ed è su questi che il distributismo si concentra. Generalmente, la basilare concezione economica che differenzia il distributismo dalle altre teorie economiche (in particolare da quelle di tipo marxista e keynesiana) è che secondo il distributismo, nel suo purismo logico-matematico, il punto focale dell’economia non deve intendersi rappresentato dai mercati tout court e dal valore nominale delle merci simboleggiato dal denaro, bensì da produzione ed allocazione (il meccanismo con cui si ripartisce la distribuzione dei beni e dei patrimoni tra le persone, ovvero non inteso come mero trasporto di merci), da cui il nome "distributismo" (e non come potrebbe essere frainteso da "distribuzione" o "re-distribuzione" per via del suo proposito di reddito di base, tenendo poi conto che esso ne viene inteso come retribuzione e non distribuzione), è perciò la teoria economica più estrema nella fede nel laissez faire e sul potere della mano invisibile. La sua filosofia non è l’equità, ma l’efficienza meritocratica, diminuire le imperfezioni dei mercati, della politica, della stessa statualità, realizzando una reale e orizzontale sussidiarietà. La proprietà privata, la libera concorrenza, la legge della domanda ed offerta, la libertà d’iniziativa, sono fondamentali per il funzionamento tout court del libero mercato e sono quindi imprescindibilmente la base anche del distributismo. Di conseguenza, mentre il comunismo marxista generalmente non permette alle persone di possedere proprietà (le quali sono sotto il diretto possesso dello Stato), e il liberismo (liberal-capitalismo) accentra i patrimoni (come inevitabile risultato di competizione arrivistica) consentendo solo a pochi di possederne ed escludendo tutti gli altri.

“Molti economisti suppongono, almeno nelle teorie astratte, una situazione di democrazia economica nella quale chiunque sia dotato di capacità imprenditoriali può ottenere il capitale per lanciarsi in un affare rischioso. Questo quadro delle attività del puro imprenditore è, a dir poco, irrealistico. Il requisito più importante per diventare un imprenditore è la proprietà del capitale” (Michał Kalecki, “Teoria della dinamica economica”)

Il distributismo cerca invece di favorire che la maggior parte delle persone diventi proprietaria dei mezzi di sostentamento e di abitazione, e più in generale l'indipendenza economica. Da cui "economia dei bisogni", che capovolge la concezione tipicamente lavorista del "far girare" l'economia "stimolando i consumi": non consumare per produrre, ma produrre per soddisfare il bisogno. In sostanza, la filosofia base del distributismo (che potremmo perciò definire "social-capitalismo") è la produzione come elemento fondamentale dell’economia; mentre la rendita speculativa è la base fondamentale del liberal-capitalismo, e la coercizione è quella del comunismo (statal-capitalismo) che basa la sua filosofia nell’acredine marxista verso i ricchi proprietari e la scarica ossessivamente nel rifiuto del concetto di "plusvalore". La ricchezza è sempre creata dall'imprenditore come definizione stessa chiunque egli sia. Bisogna far sì che il quadro istituzionale protegga la figura imprenditoriale ovvero produttiva, bisogna cioè che esso sia favorevole alla libera azione imprenditoriale, a che l'imprenditore possa investire correttamente. Bisogna proteggere e stimolare il risparmio e fare in modo che sia canalizzato a chi sa come impiegarlo ossia l'imprenditore. Solo così i lavoratori possono sperare di ottenere salari più alti e migliorare il loro standard di vita. E' il desiderio del singolo a soddisfare le necessità collettive. Tutti i difetti che gli sono imputati sono propri dell'accumulazione di capitale, non dell'economia di mercato. Il problema è che la vera causa dei problemi imputatigli non è nemmeno il capitalismo, ma di ogni intervento umano, che va inevitabilmente a mettere il bastone tra le ruote alla mano invisibile. Purtroppo molti critici fanno di tutta l'erba un fascio senza distinguere tra capitalismo come accumulazione di capitale ed economia di mercato, da cui interpretare come "malvagia" qualunque cosa che sia di proprietà privata, anche quando non possa essere definita "accumulazione capitalistica". Ciò ha determinato che non si riesca ad andare oltre a questa generalizzazione ovvero, in ossequio alle teorie marxiste, a non vedere alternative tra *capitalismo* e statalismo identificato come unico anti-capitalismo che non siano vie di mezzo tra i due. Di conseguenza abbiamo, con qualunque termine si definiscano, da un lato i sostenitori del capitalismo e dall'altro quelli dello statalismo; ai due estremi vi è l'anarchia (chiamata però anarco-capitalismo in ossequio ad un altro paradossale fraintendimento che vedremo più avanti) come totale assenza di organizzazione sociale, e dall'altro il comunismo marxista come proibizione e totale assenza di iniziativa privata ovvero monopolio di tutte le iniziative alle organizzazioni sociali pubbliche; tra loro, le varie sfumature, delle quali, quelle tendenti verso l'anarchia vengono chiamate "liberismo" e quelle verso l'iniziativa pubblica vengono chiamate "socialismo". Di un alternativa non viene nemmeno considerata l'esistenza; quelle che vengono da sempre chiamate alternative sono solo vie di mezzo. Ora, come capirete, l'accumulazione di capitale è trasversale e presente in qualunque sistema che preveda l'esistenza del denaro accumulabile. Di conseguenza è errato parlare di capitalismo in riferimento ad una sua qualunque precisa sfumatura, qualunque sia il tipo di giudizio affibiato al concetto al quale si intende riferirsi. Nelle opinioni critiche, i socialisti dovrebbero riferirsi al liberismo, ed i liberisti al socialismo. Ed i problemi che essi imputano al capitalismo, in realtà sono provocati proprio dall'intervento umano sull'economia. Da questi fraintendimenti ed incomprensioni ne deriva che nella nostra esistenza quotidiana constatiamo la difficoltà di provare a sfuggire ad un sistema che resta pervasivo ed onnipresente, e a cui soprattutto non si sa opporre un’idea univoca, realista e credibile di un'alternativa alla società attuale. I detrattori di quello che comunemente viene chiamato capitalismo infatti sono molti, ma si diramano in correnti e categorie, divergono sia in termini di provenienze, letture e temperamenti che anche in termini di prospettive e speranze. C’è chi per combattere i guasti del sistema odierno si appella ad una nuova autorevolezza dello stato-nazione, chi vaneggia la sollevazione di moltitudini anarchiche, chi auspica l'ulteriore statalizzazione della proprietà e dei mezzi di produzione, chi invece propone il ritorno alla campagna, alla terra e ad uno stile di vita essenziale e agricolo. Non si rendono conto che i guasti che imputano "al capitalismo" sono in realtà proprio e solo loro a causarli! Io personalmente ho sempre visto tutti i partiti politici scannarsi su quale sfumatura del colore della merda sia migliore, senza riuscire a vedere che oltre la merda esiste anche la cioccolata, che magari è più buona della merda, e non mi capacito di come si possa discutere su bazzecole frivole ed ignorare le questioni importanti. Ci viene spesso fatto notare che il programma distributista è "anti-costituzionale"... ma la cosa che mi colpisce è che secondo questi ciò significa che non è possibile metterlo in pratica... e non che bisogna abolire o cambiare QUEST'obbrobrio di costituzione come di fronte a tale asserzione la logica vorrebbe! Perfino la loro Costituzione è chiara, se lo stato è incapace di offrirti un lavoro ti deve assistenza. Se chi governa oggi è incapace di rispettare la sua stessa Costituzione ed incapace di trovare altre soluzioni, in questo contesto che senso ha discutere di aliquote, abolizione del Cnel, numero e vitalizi dei parlamentari, imu, ici, iva, fiscal compact, sistemi elettorali demenziali ai quali vengono dati altisonanti nomi in latino maccheronico e altre cazzate la cui discussione è totalmente superflua rispetto al ribrezzo che sono i fondamenti stessi del sistema odierno??? Prima le cose importanti, e solo una volta messe le cose come dovrebbero stare, cioè sostituire l'attuale merda (il sistema retto su questa costituzione) con la più buona cioccolata allora anch'io discuterei delle sfumature, stavolta del colore della cioccolata. Per non voler discutere le sfumature del colore della merda i distributisti vengono definiti manichei... ma quello che dicono è, ad esempio: le imposte reddituali sono la merda e discutere la sfumatura del loro colore (ovvero quale aliquota sarebbe meglio, come se fosse una cosa che si potesse decidere a tavolino tra l'altro) non ha alcun senso per chi la merda gli fa schifo solo guardarla, e preferisce la cioccolata; quando verranno sostituite con la cioccolata (imposte fisse) ecco allora saremo dispostissimi a discutere della quantificazione delle stesse ovvero delle SUE sfumature; ma discutere le sfumature del colore della merda lo lasciamo fare agli altri, a quelli ai quali la merda piace. Non esiste la possibilità di riformare questa fogna nauseabonda della quale il marciume è il suo stesso fondamento - bisogna ripulire tutto e partire da capo!

"La sola vera riforma delle istituzioni è che ve ne andiate tutti fuori dai coglioni" (Giorgio Gaber)

"Ma non è incostituzionale?". Vai a saperlo. Dopo settant'anni ancora non si è capito il significato di "a base regionale", tanto per fare un esempio. Magie della Costituzione più bella del mondo. E soprattutto vai a capire l'orientamento della Consulta che deve "interpretarne" il testo. In effetti di sti tempi da loro ci si può aspettare di tutto... D'altro canto, se nelle Costituzioni scrivi frasi generiche senza né capo né coda, si va di interpretazione. E l'interpretazione cambia a seconda degli interpreti, si sa. Ma ancora c'è chi racconta in giro che i costituenti ci hanno regalato la Costituzione più bella del mondo, quando pure loro dicevano apertamente che non soddisfaceva nessuno. E' stato il risultato di dover dare un colpo al cerchio e uno alla botte per accontentare due visioni antitetiche tra loro come quella democristiana e quella comunista. Ciò che i distributisti vedono è che statalismo e liberismo, con tutte le loro vie di mezzo e più o meno edulcorate, sono inefficienti sotto tutti i punti di vista rispetto alle possibilità potenziali sia umane che materiali, perché hanno dimostrato sia un’inconsistenza concettuale interna – dimenticando nelle loro asserzioni il riferimento alla reale natura umana – sia un’incapacità di plasmare positivamente il reale, producendo artificialmente una serie infinita di inefficienze, diseguaglianze, ingiustizie, precarietà e crisi economico-sociali, che stanno conducendo l’umanità sull’orlo di un baratro. Si può quindi dire che lo scopo del distributismo è far funzionare il capitalismo, ovvero impedire ai socialisti di rispondere "ma questa foto non fa vedere i poveri" quando gli si porta la foto notturna della penisola di Corea ogni santa volta che contro ogni evidenza dicono "il capitalismo è fallito".
Il salario dei lavoratori si è ridotto e ciò comporta molti danni anche economici come la restrizione o come la chiamò Monti la distruzione della domanda interna. All'estero non è diverso. In Germania c'è una svalutazione del lavoro portara dai mini job e dalla hartz iv. Che poi molti se ne vadano a lavorare in un altro stato magari maggiormente remunerati (bisogna anche tenere presente i costi della vita) perchè hanno delle capacità è un altro paio di maniche che fa comunque sempre parte di questo sistema marcio che porta la gente a doversi spostare. Molte aziende tedesche lavorano in Italia con personale italiano e delle eccelenze che questo paese ha ed ha distrutto per seguire molti ciarlatani esteri e interni. Personale che non ha nulla da invidiare e molto anche da insegnare. Noi ci consideriamo stupidi e non in grado perchè siamo masochisti. Mica si pretenderà che il il 90% degli italiani debbano essere laureati? Esistono mille lavori che una persona può fare, non tutti sono portati per lo studio ognuno ha le sue capacità e i suoi interessi. Che facciamo con questi? Li spediamo in un campo di concentramento? Gli stati del sud Europa in questo momento sono visti come un esercito di sottopagati da sfruttare come lo sono quelli dei paesi dell'est o di altri posti nel mondo penso ad esempio a fiat in Polonia o alla Skoda. Il discorso sul fatto che lavoriamo per produrre e non per soddisfare dei bisogni reali è verissimo. Nei pressi di Wolfsburg esiste un deposito grande quanto un intero paese, lontano dai centri abitati, dove sono parcheggiate un milione e mezzo (un milione e mezzo) di auto in perfette condizioni ma invendute. Perché sono lì? Perché un'azienda come Volkswagen non può permettersi di fermarsi, né di lasciare a casa migliaia di operai. Allora invece di ridurre il personale o ridurre il carico di lavoro, preferiscono costruire macchine pur sapendo che resteranno invendute. Allora ho chiesto: perché non regalare queste macchine a chi non può permettersele? Risposta: no, perché così si destabilizzerebbe il mercato. In pratica l'unica logica che segue questa versione malata del capitalismo è quella della produttività: bisogna produrre sempre e sempre di più, sempre più dell'anno precedente. Tutto deve essere sacrificato sull'altare della produttività. Vengono prodotte cose, utilizzando il tempo reale di persone reali, sottraendo loro energia e forza, non perché servano ma solo per una produzione fine a sé stessa. È una giostra impazzita dalla quale non si può scendere. Tutto questo ovviamente è legato alla crescita del PIL: l'unico modo per assicurare stabilità e benessere alle società capitaliste è la crescita del PIL: se il Prodotto Interno Lordo decresce, si assiste ad un aumento di povertà, disoccupazione e disordini sociali. Ma come si fa a tenere un PIL in costante crescita? È veramente possibile? E quali sono le conseguenze ambientali poi? Da sempre, esiste una parola per descrivere qualcosa che cresce a dismisura e in modo incontrollato: tumore. La risposta "perché così si destabilizzerebbe il mercato" è indicativa dell'incredibile ignoranza e stupidità che guida il sistema, e che determina lo stesso ------ di case vuote con migliaia di senzatetto, cibo buttato via con persone che hanno fame, lavoratori spremuti fino allo stremo e altri del tutto disoccupati. Eppure non è un segreto, la legge della domanda-offerta sta scritta in qualunque banalissimo testo scolastico di economia... sentire uno dire "perché così si destabilizzerebbe il mercato" fa intuire la sua ignoranza perfino di questa banalissima legge fondamentale... dato che il mercato lo sta destabilizzando proprio lui ignorando la legge domanda-offerta! Se le auto restano invendute, se le case restano vuote, se il cibo non viene mangiato, se la manodopera rimane inutilizzata, la causa è proprio la destabilizzazione del mercato causata dal voler ignorare l'esistenza di un punto di incrocio tra le curve di domanda ed offerta ovvero che PER SMERCIARE TUTTO CIO' CHE E' DISPONIBILE BASTA ADEGUARNE IL PREZZO!!!!

"Il liberismo, si è detto spesso, si nutre delle proprie crisi. Non si può escludere l'ipotesi che la stessa abbondanza finisca per nuocere al mercato, nella misura in cui questo può funzionare soltanto in una situazione di relativa scarsità dei beni prodotti" (Alain De Benoist)

La proposta distributista, invece, non si basa su un’astrazione concettuale, né è un parto della fantasia o dell’idealismo umano, ma è semplicemente la trasposizione razionale sul piano economico-politico-sociale del senso comune, cioè della capacità innata nell’uomo di riconoscere con la retta ragione il reale nelle sue svariate componenti. Il distributismo è l'alternativa capitalista al liberismo e allo statalismo. Entrambi sono due filoni di pensiero caratterizzati da un ottusa ortodossia e pregiudizi reciproci. La caratteristica del distributismo è di avere una visione pragmatica e quindi razionalistica delle cose, esente da ottusi pregiudizi ed ortodossia ideologica precostituita. Tale concetto lo si può riassumere così: c'è un problema? Lo si risolve. Cosa che liberismo e socialismo e tutte le loro sfumature non arrivano a comprendere con le loro ricette precostituite ed intoccabili, diverse per ognuno come se potessero esistere più soluzioni altrettanto valide ad un problema. Socialisti e liberisti hanno panacee, i distributisti no. Per i socialisti la soluzione buona per tutto è la statalizzazione ed il dirigismo. Per i liberisti l'assoluta libera iniziativa ed assenza di regole. Per il distributismo invece ogni questione ha una soluzione più efficiente NON a seconda delle opinioni, ma in quanto tale! Il distributismo è contrario alle intromissioni del pubblico laddove il privato sia in grado di far da sè in maniera efficiente, quindi in tutto eccetto difesa, giustizia, polizia; per questo è un sistema miniarchico. E' contrario all'imposizione di regole laddove non siano necessarie dove una loro assenza è fonte di inefficienza; per cui è contrario al dirigismo. Dato che generalmente l'interesse privato coincide con quello collettivo o comunque apporta maggior efficienza, il distributismo propende per lasciare il più possibile tutto all'iniziativa privata. Privilegiare gli interessi dei singoli o quelli della collettività? Solitamente l'interesse privato e quello collettivo coincidono, ma esistono casi nei quali invece stridono, in cui l'interesse privato va a scapito di quello collettivo, e su questo il distributismo esula dall'ottusità dei liberisti. Eppure non è una prerogativa dei distributisti ma esempi pratici ne abbiamo eccome, si pensi ad esempio ai consorzi agrari: oggi i contadini si uniscono in consorzio per acquistare macchinari agricoli che non avrebbe senso fossero posseduti da ciascuno di loro con relativa spesa personale, dato che l'utilizzo ne è limitato a pochi giorni all'anno; così li acquistano assieme suddividendosi la spesa e l'utilizzo a turno del mezzo. Questo può essere paragonato al distributismo rispetto al liberismo, la cui logica invece prevederebbe che ogni contadino debba arrangiarsi da sè. Per fortuna i contadini mostrano lungimiranza adeguando la realtà alle proprie esigenze (può essere parafrasata con la frase "la struttura del calabrone è fisicamente inadatta al volo, ma lui non lo sa e vola lo stesso") anziché fare inefficientemente solo gli interessi di chi vende trattori a scapito di quelli collettivi a partire dai propri stessi. Ovviamente è solo un esempio per far capire la differenza tra le due concezioni della società (ed il fatto stesso che il calabrone esiste e vola significa che al volo ci è adatto eccome, altrimenti non volerebbe e non esisterebbe). Come altro esempio si pensi ai software, che dopo aver richiesto migliaia di ore di lavoro per essere assemblati, possono essere duplicati con un click... la logica liberista vuole che siano messi nelle disponibilità solo di chi ha la possibilità di pagare escludendo perciò molte persone che ne trarrebbero beneficio e a sua volta da loro il beneficio ricadrebbe a ruota su tutti; la logica comunista invece vuole che siano messi a libera disposizione di tutti a scapito di chi li ha realizzati, con la conseguenza che nessuno più li realizzerà. La logica distributista invece vuole che siano si messi a libera disposizione di tutti anche a beneficio della conseguente ricaduta globale, ma che chi li ha realizzati ne tragga incentivo a realizzarli. E per ottenere ciò propone una diversa impostazione delle regole sui brevetti tesa a fare che le proprietà intellettuali siano molto fruttuose inizialmente per poi essere gradualmente messa nella disposizione di più persone possibile. Questo non è possibile ottenerlo lasciandolo al libero mercato, per cui si debbono prevedere azioni finalizzate a coniugare le rispettive convenienze. Queste azioni prendono il nome di "planismo". Il planismo è un metodo teso a eliminare gli sprechi e le inefficienze (e non a "difendere il consumatore"!) fondato sul condizionamento (libertà negative) anziché sulla coercizione dirigista (libertà positive), secondo il “Teorema di Baumol-Oates”. Quando l'assenza di organizzazione sociale nuoce a tutti come inutilizzo e quindi spreco di risorse, e quello sul trade-off dell'efficienza, ad esempio tra mobilità pubblica e privata, deve essere compito del governo rimediare. Nel caso della mobilità, se la maggior efficienza si esplica nell'iniziativa privata, quando essa determini lo scaricarsi dei costi aggiuntivi su altri parametri l'efficienza viene meno nel trade-off tra le due. Secondo le normali leggi economiche un alto costo di mercato dei mezzi pubblici determina l'aumento del ricorso al trasporto privato, collettivamente più costoso non solo in termini economici ma di esternalità prodotte. Di conseguenza per poter ottenere la riduzione di questi costi economici e sociali si deve incidere in qualche modo sul trade-off, incentivando la propensione all'uso del trasporto collettivo andando a determinare l'abbassamento dei prezzi della mobilità pubblica e l'innalzamento di quelli della privata. Il distributismo rifiuta l'imposizione coercitiva di regole dirigistiche, per cui ottiene ciò tramite il planismo. Nel caso della mobilità si veda il capitolo relativo. Quindi il planismo è una costruzione paradossalmente anti-costruttivista, per questi motivi il distributismo non si può definire una pianificazione dirigista, e per questo è stato coniato dal belga Henry De Man (dirigente del “partito operaio belga” ed in seguito sostenitore della Repubblica di Vichy) il termine “planismo” per definire e puntualizzare tale differenza, come concetto opposto a “dirigismo”, e quindi la pianificazione dell'abolizione delle pianificazioni, perché fondata proprio sul lasciare alla spontaneità (“laissez faire”) il più possibile ogni ambito della società, affidando ai privati, aziende, e organismi super-aziendali (consorzi, cooperative, e corporazioni) anche le responsabilità che oggi sono affidate allo Stato, in un ottica di "democrazia organica" e basando le regole sociali sul "planismo" ovvero sul condizionamento (libertà negative) anziché sulla coercizione (libertà positive), secondo il “Teorema di Baumol-Oates”, in modo da limitare la possibilità del sorgere del “dilemma del prigioniero”, per prevenire anziché curare i risvolti dell’“homo homini lupus” e “l’occasione fa l’uomo ladro”. Nella società fondata su libertà positive sono premiati o puniti non i comportamenti attivi ma quelli passivi; in quella fondata sulle libertà negative sono puniti o premiati i comportamenti attivi non quelli passivi. Di conseguenza le libertà positive sono oppressive ed ingiuste. Facciamo un esempio: nel campo del riciclo rifiuti la libertà positiva punisce il comportamento inattivo (non riciclare) ed è neutra verso quello attivo (riciclare); la libertà negativa premia il comportamento attivo (riciclare) ed è neutra verso quello passivo (non riciclare). Altro esempio: nella condotta le libertà positive premiano il comportamento passivo ed è neutra verso quello attivo (crimine); le libertà negative puniscono il comportamento attivo (crimine) e sono neutre verso quello passivo. Del “laissez faire” il distributismo è quindi l’apoteosi, una riduzione al minimo dello "Stato" ("miniarchia"), risultando addirittura un accentuazione del capitalismo, ma in modo meritocratico, non competitivo come comporterebbe il sistema anarchico individualista. Solitamente da parte delle opinioni di sinistra si tende difatti ad incolpare il sistema capitalista dei guasti sociali che viviamo, quando in realtà la causa di essi è originata proprio laddove vi è CARENZA DI CAPITALISMO!

“Confesso che devo sforzarmi non poco per immaginare lo scenario bizzarro e innaturale in cui un giorno l’umanità dimenticherà completamente il pronome possessivo” (Gilbert Keith Chesterton)

Come per il liberismo, anche per il distributismo la proprietà privata è il modo migliore per gestire i beni, naturali ed artificiali, di questa terra. In questo il distributismo prende le distanze nettamente dallo statalismo social-democratico e comunista. Ma a differenza del liberismo, il distributismo però sostiene non solo l’importanza della proprietà privata ma anche la necessità della sua massima diffusione: se abbiamo un’azienda che produce lavatrici con 100 operai, noi riteniamo che tale azienda potrebbe essere molto più efficiente e funzionale se i 100 operai fossero anche proprietari della ditta, e quindi compartecipi delle decisioni importanti riguardanti il suo sviluppo, la sua organizzazione del lavoro, la ripartizione degli utili. In questo modo il loro fine non sarebbe la mera esecuzione di un compito parziale e selettivo ma la salvaguardia del benessere dell’azienda stessa, a cui devolverebbero tutte le loro energie. La resa del singolo operaio aumenterebbe vertiginosamente, facendo così aumentare considerevolmente la resa totale dell’azienda. La massima diffusione della proprietà privata è quindi la condizione essenziale perché il più alto numero possibile di persone in una data regione possano sviluppare al massimo le proprie potenzialità. Poiché lo sviluppo di tali potenzialità costituisce alla fine il fattore determinante in grado di incidere sulla ricchezza reale di un territorio, si può sostenere senza tema di smentita che la massima diffusione della proprietà produttiva sia il principale requisito strutturale che sta alla base di ogni sistema economico realmente produttivo, stabile e quindi prospero. In questo il distributismo prende quindi le distanze in maniera netta dal liberismo. Per il distributismo il liberismo è infatti quel sistema economico-sociale che privilegia la separazione tra capitale e lavoro, privilegia cioè che chi lavora non sia proprietario dei mezzi di produzione, e che la proprietà, produttiva e non, venga quindi concentrata nelle mani di pochi. Il distributismo invita anche a riflettere sulla coincidenza pressoché totale tra proprietà, potere e libertà ed ad osservare che in questo senso liberismo e statalismo non siano altro che due facce della stessa medaglia: due sistemi, cioè, che si oppongono entrambi alla massima possibile diffusione della proprietà privata e del potere reale, e quindi della libertà, due sistemi che puntano inesorabilmente a ciò che Hillare Belloc già nel 1912 definì Stato Servile. Lo Stato Servile, secondo il distributismo, è proprio lo scenario che descrive meglio la condizione attuale della società, con il paradosso che viene fatto passare, dai mass media e dalla cultura asserviti ai poteri forti, come il sistema di massima libertà mai raggiunto dall’umanità.

“Se non restaureremo l’istituzione della proprietà, non potremo scampare alla restaurazione della schiavitù” (Hilaire Belloc, in "Lo Stato Servile", 1912)

Il modo per raggiungere questo obiettivo non è la pianificazione burocratica e l'esproprio come per il marxismo, ma il planismo ovvero l'incentivazione tramite mezzi atti a favorirla spontaneamente senza alcuna limitazione alle libertà personali. Il caposaldo del planismo, il punto di partenza per realizzare un sistema distributista, è il reddito di cittadinanza. Quello del reddito di cittadinanza è un tema che in Italia rimane ancora tabù, respinto spesso con argomentazioni legate ai costi o con toni paternalistici verso il suo presunto incentivo all’ozio che esso rappresenterebbe. Si tratta però di argomentazioni molto deboli, come vedremo. Quando vengono messi di fronte all’evidenza dei dati e della sostenibilità economica provata della misura gli avversari del reddito di cittadinanza sono soliti tirare fuori il loro asso nella manica paternalista: “dare soldi alla gente per non fare niente è diseducativo e porta a non fare niente”. Ma si tratta di una affermazione, anche in questo caso, se non bastasse la logica stessa, smentita dai fatti. “In tempi di crisi come possiamo permettercelo?”... ma se è proprio perché si è in un periodo di crisi che è ancora più necessario!!!! Questi la logica non sanno nemmeno cosa sia... Tutti che si credono brillanti economisti o sociologi ad andare nei forum 5 stelle a ripetere sempre le stesse identiche ciancie. "Tassare maggiormente i redditi più alti"... "metteteli in un fondo per finanziare le imprese per infrastrutture e energie alternative e per agevolare sgravi fiscali aumentare i salari minimi... così si riparte" e altre stupidaggini avulse da ogni logica economica, "sarebbe meglio che i soldi venissero investiti nella creazione di posti di lavoro, investimenti statali mirati alla ripresa economica"... ma è proprio a questo che serve il reddito di cittadinanza! Almeno cambiassero repertorio, no, sempre le stesse identiche stupide frasi ripetute di continuo senza alcuna cognizione! Alla fine del reddito di cittadinanza non frega molto a nessuno, ed i pochi che se ne interessano hanno paura che diventi una sorta di "carità" istituzionalizzata o un modo per non cercare più lavoro, forse perché così si comporterebbero loro. L'umiltà di riconoscere che ci può essere gente diversa da loro non riescono a trovarla, niente, non ce la fanno a capirlo. Quello che più stupisce è che ci sono persone non ricche che danno contro a chi sta peggio di loro, senza neanche sapere come stanno le cose e come funziona il reddito di base, senza pensare che domani anche per loro stessi potrebbe non essere più superfluo. Altri lo rifiutano solo perché lo ha portato alla ribalta un partito che non è il loro, sia per non esserci assimilati sia per invidia di "non averci pensato prima". In prima fila quasi sempre ovviamente quelli targati Pd, ma non solo. Forse perché loro stanno bene e degli altri se ne fregano. Magari fosse solo così! Invece pur di andare contro il movimento 5 stelle qualche povero è disposto a mettersi contro i poveri senza rendersi conto di favorire il gioco dei farabutti e di tutti quei partiti che hanno paura che si finisca di scoperchiare tutto il marciume che hanno prodotto e sul quale campano, in un paese confuso, sull’orlo del dissesto e con una classe politica che capitalizza il proprio analfabetismo economico oltre quello degli elettori. Come commentare altrimenti il fatto che una manifestazione per i poveri come quella indetta da Grillo ad Assisi nel maggio 2017 ha fatto flop, mentre quella indetta dai ricconi a Milano lo stesso giorno abbia riscosso un tale successo? Mi domando cosa abbiano per la testa i centomila scesi in piazza a Milano per manifestare in sostegno della deportazione di massa di schiavi che la neolingua liberal-democratica ha scelto di chiamare "immigrazione di massa". Voi lo trovate normale un mondo dove anche i poveri vanno alla manifestazione dei ricchi e non a quella dei poveri? Quella di Milano è stata la manifestazione dei "cumenda", c'è ben poco da dire oltre a questo, e i poveri illusi che ci sono andati che sono talmente obnubilati da non rendersi conto di essere andati ad una nuova "marcia dei 40.000"!!! Come dice Herbert Spencer nel suo libro "L'uomo contro lo Stato", se questa preoccupazione costituisse un incentivo a impegnarsi personalmente per rimuovere la sofferenza meriterebbe davvero approvazione e lode. Ma la stragrande maggioranza delle persone che desiderano mitigare per il tramite della legge le sventure, lo vorrebbero fare a spese dagli altri, e perlopiù senza il loro consenso. E' facile fare i filantropi a spese altrui. I poveri meritevoli vengono così tassati per aiutare quelli immeritevoli. Il totale delle tasse imposte nelle grandi città per i pubblici bisogni è giunto a un tale livello che non può essere superato senza infliggere grandi sofferenze ai consumatori. Coloro che si dichiarano tanto sensibili alla povertà si rivelano del tutto insensibili al fatto che la lotta per l’esistenza diventi più dura per i veri poveri. Anche quella che da vicino può apparire beneficenza, da lontano si rivela una non piccola malvagità, una bontà che diventa crudeltà. L’amministrazione non sarà mai del tipo che si vagheggia, e pertanto la schiavitù non sarà mite. L’immaginazione socialista presume che la burocrazia funzionerà come vorremmo, cosa che invece non accade mai. I difetti della natura umana come la sete di potere, l’egoismo, l’ingiustizia o la falsità, che possono portare le organizzazioni private alla rovina, produrranno inevitabilmente mali maggiori e più irrimediabili quando l’organismo organizzativo è enormemente più esteso, complesso e controlla ogni risorsa, perché ad esso non si potrà opporre nessuna resistenza. Ci sono buone ragioni per credere che coloro che hanno saputo conquistare il potere in una organizzazione sociale socialista non si faranno scrupoli nel raggiungere ad ogni costo i propri fini. Il risultato finale sarà il dispotismo più completo. Il socialismo sfocia inevitabilmente nel dispotismo, è nella sua natura stessa. Non deve destare meraviglia il fatto che coloro i quali oggi cantano l’elogio del mondo deterritorializzato, senza frontiere e senza confini, sono, poi, gli stessi che stanno contribuendo all’innalzamento di una barriera sempre più alta e più impenetrabile tra ultimi e primi, tra Servo e Signore, tra la base e il vertice, tra gli schiavi e gli schiavisti. E pure la beffa che uno di questi pasciuti, Roberto Vecchioni, si permette pure di insultare definendo, lui, imbecilli tutti quelli che non sono andati alla manifestazione dei ricchi... è purtroppo chiarissimo che cosa abbiano per la testa coloro i quali (pedagoghi del mondialismo, ammiragli della finanza, delocalizzatori e globalizzatori sorosiani) favoriscono tanto queste manifestazioni quanto le suddette deportazioni. I centomila sono in parte dei rimbecilliti dalla propaganda, in parte degli ideologicamente convinti rimasti a 50 anni fa, in parte dei ciechi alle evidenze, i classici buonisti "col culo degli altri".

"E' facile essere molto compassionevoli quando sono gli altri ad essere costretti a pagarne il prezzo" (Murray Rothbard)

Chi li manovra sono gli intrallazzatori che da questa situazione traggono vantaggio. E non è che dalle altre parti la situazione sia migliore: anche i "cumenda" dei "tea party" e i bifolchi della Lega sono da sempre contrari. Gli uni perché credono che porterebbe via soldi alle loro tasche e gli altri perché "porca miseria un nero che abita da 10 anni in Italia con cittadinanza italiana ne avrebbe diritto e lo toglierebbe a un italiano nostrano". Quindi che si fa? Semplice. Nulla. Famiglie intere italiane e non, ringrazieranno i concittadini per la solidarietà mostrata ma dubito voteranno Salvini e Renzi. Bambini tolti alle famiglie ringrazieranno i signori contrari, che per la "paura" che i loro genitori si adeguino troppo al reddito e vivino "di rendita", lo precludono condannandoli così a ben altri problemi. Gli stessi però che non lesinano 20.000 euro al mese ai loro rappresentanti senza nulla da obiettare. Una volta per tutte prendiamo coscienza di appartenere a un popolo "democraticamente" di merda! Come poter definire chi pretende di giudicare una cosa rigorosamente senza averla capita? Si legge su "Famiglia Cristiana" del maggio 2017:
«Potrei essere favorevole se è una misura di emergenza di breve periodo concepita per risolvere situazioni disperate, di gente che non riesce nemmeno a mettere insieme il pranzo con la cena. Ma sono contrario se diventa una misura stabile. Perché senza lavoro si può sopravvivere, ma per poter vivere bisogna lavorare. La Costituzione all’articolo uno parla di una Repubblica fondata sul lavoro, che significa lavoro per tutti, non reddito per tutti»
Parole sante o ipocrite, dipende solo dal punto di vista: sante, in un mondo ideale, in cui l'uomo, e non il denaro e il profitto, è considerato cardine della società; ipocrite e vuote, in un mondo come il nostro in cui il lavoro non è garantito a tutti e in cui l'obiettivo cardine sono la ricchezza e il profitto. Se non fosse che, il titolo dell'articolo di cui questo testo è parte è "I poveri hanno bisogno di lavoro, non di soldi"... Che equivale a dire "si agli schiavi ma no ai cittadini"? Con quale diritto continuano a intromettersi in uno Stato laico? Con quale diritto dispensano verbo senza tenere conto di 4 milioni di poveri accertati e di 8 milioni relativi? Con quale faccia si pongono al di sopra della vita umana? Con quale criterio decidono chi arriva a fine mese, chi mangia o no, chi deve vivere o meno? Chi sono loro per dire cosa è giusto e cosa è sbagliato? Solo il fatto che sia un giornale cattolico a scrivere simili scempiaggini dovrebbe svegliare la gente da una Chiesa ipocrita e dai suoi commentatori blasfemi della vita, che per scrivere titoli così demenziali bisogna essere parecchio obnubilati eh! Ma la gente lavora così per hobby secondo loro? La gente lavora per i soldi! Quindi i poveri hanno bisogno di soldi, non di "lavoro"! Se il lavoro non c'è, cosa vogliamo lasciarli morire di fame i poveri??? E sarebbe famiglia cristiana questa????? Come si può essere cosi miopi? Dimostrando poi di non aver compreso per niente gli scopi del reddito di cittadinanza! Sembra quasi come se le istituzioni cattoliche siano interessate a mantenere le persone nella povertà. Da una parte si riempiono la bocca di belle parole sull'aiuto ai bisognosi, dall'altra sono assolutamente contrarie a che le istituzioni provvedano effettivamente a portare aiuto. Aboliamo anche la carità, allora... Questa specie di crociata iniziata da Famiglia Cristiana contro una misura di aiuto per i poveri e gli esclusi può a prima vista sembrare incredibile, ma in realtà si inserisce appieno nell'ideologia nordista del Bergoglio. Si scomoda il fior fiore dei professoroni per affermare che "non serve l'assistenza, occorre il lavoro". Eh, grazie al cavolo! Quale lavoro? Quello che autorizza i datori di lavoro ad usarti per un giorno "di prova" e rimpiazzarti per non doverti pagare? Come cercarlo se gli uffici di collocamento non funzionano? Si sopravvive senza lavoro, e come, andando a rubare? Chiedendo l'elemosina? Gli unici lavori che propongono le agenzie interinali sono come direbbe un Papa normale contro la dignità dell'essere umano, di quei lavori dove non puoi comprare casa, auto ecc... agenti, finti lavori, tele lavoro, call center, porta a porta, questi sarebbero lavori??? Queste sono solo prese per il culo! Ma questi professoroni lo sanno che il lavoro non c'è, e quel poco che non è una truffa vera e propria è al limite della schiavitù? Se non si trova lavoro e, non si trova, sempre più disoccupati, devono avere, per caso, il decoro e la discrezione di morire di fame, in silenzio ovviamente. I poveri, una volta, non erano poveri, lavoravano e dignitosamente vivevano ora dignitosamente, devono morire visto che il lavoro stabile non si trova. Uno schifo di società, stipendi bassissimi senza alcuna compensazione di base, e di contro, tutto il resto costi proibitivi, fatevela na passeggiata!

"La presenza di innumerevoli disoccupati, la crudele necessità di mendicare un posto fanno apparire il salario piuttosto che un salario una elemosina" (Simone Weil)

Che bella scoperta ha fatto l'economista illuminato di Famiglia cristiana... se ci fosse lavoro per tutti con retribuzioni giuste, il problema non esisterebbe!!! Un genio proprio! Non da meno di quelli che blaterano stupidaggini che solo da chi non ha mai veramente lavorato un giorno in vita sua possono uscire, del tipo "l'essere umano senza un'occupazione è morto"... no, l'essere umano senza un reddito è morto casomai! E a rincarare la dose arriva puntualmente (e con sorpresa di tutti quelli ignari di cosa sia l'osservanza nordista) il discorso dell'attuale papa, il nordista Bergoglio alle cui parole "dev’essere chiaro che l’obiettivo vero da raggiungere non è il reddito per tutti, ma il lavoro per tutti", Renzi commenta con “ciò che ha detto a Genova sta coerentemente dentro la grande storia della dottrina sociale della Chiesa Cattolica” che non può che suonare come una presa per il culo a tutti quelli consapevoli che il reddito di cittadinanza si fonda proprio sulla dottrina sociale della chiesa cattolica espressa nella Rerum Novarum a cui Renzi fa riferimento non si comprende dandogli quale astrusa interpretazione della stessa che è invece piuttosto chiara e non dovrebbe poter essere fraintesa fino ad un talmente spudorato completo capovolgimento dei suoi attributi... per poi pure infierire con “ma assume un valore straordinario in questo preciso momento storico” cioè un momento in cui la gente sta iniziando a dover rovistare nei cassonetti per raccattare il cibo buttato via e per cui nel quale il concetto di reddito di cittadinanza, se prima poteva essere accettabile la sua assenza, proprio in questo momento assume carattere di urgenza! A questo punto diventa perfino superfluo il continuo del commento “Ve lo ripropongo perché credo che sia fonte di grande ispirazione e riflessione. Davanti alle ideologie che chiedono di dare a tutti un reddito, di far mantenere le persone con un assegno sociale Papa Francesco rilancia sulla necessità non di un reddito per tutti, ma un lavoro per tutti.” Sta cagata indecente dovrebbe essere fonte di ispirazione e riflessione??? Certo, ispirazione e riflessione di fino a quale punto possa spingersi la stupidità umana del dire che la sopravvivenza per la quale il concetto di reddito è la base stessa che Bergoglio definisce "mantenere le persone con un assegno sociale" è l'ideologia di una fazione e non una necessità universale delle persone, che secondo lui non è il reddito ma il lavoro a fronte del fatto che sono parole dette da uno che avrebbe potuto e dovuto crearlo sto lavoro ma non l'ha fatto. Perché “senza lavoro per tutti non ci sarà dignità per tutti”. E allora perché tu, Renzi, non hai creato lavoro per tutti??? Quindi se il reddito non devono averlo tutti, quelli che ne sono esclusi cosa dovrebbero fare secondo tale logica? Questa storia della realizzazione tramite il lavoro bisogna iniziare a dimenticarla. La libertà più grande in assoluto è quando tu puoi mantenerti (economicamente) da te stesso senza dover chiedere nulla a nessuno. Quando non c'è questa possibilità e sei col cappello in mano e devi confidare nella carità altrui, allora il reddito di cittadinanza diventa tanto più necessario quanto più ti toglie dalle grinfie, non dico delle mafie (che quello purtroppo è la regola), ma almeno dall'egoismo altrui. Questo non lo può capire e non lo potrà mai capire chi non è mai stato veramente in stato di necessità. Essere dipendente da qualcuno, quando questo magari può pure permettersi di essere cattivo con il consenso delle autorità o addirittura l'avvallo della società, è il peggior castigo che esista perchè oltre ad essere danneggiati significa pure essere beffati! Mi baso anche sulla mia esperienza personale, è piuttosto fastidioso essere beffati da persone che identifichi chiaramente come inferiori rispetto a te.

"Nessuno deve venire personalmente assoggettato a chicchessia per il fatto che questi possiede capitali” (Eric Fromm)

Se si facesse una critica costruttiva si dovrebbe dire cosa non va, e poi dare una soluzione al problema, ma evidentemente è più facile dire frasi tipo "bisogna dare il lavoro a tutti"... facile così! Ci arriverebbe anche un bambino a questo, tutti vorrebbero un lavoro, ma come? Come lo dai? Se il lavoro sta via via drasticamente diminuendo per via della tecnologia? Ma la popolazione sta aumentando? Come lo dai a tutti? Con una magia? A volte ciò che giusto non è la realtà, un reddito di base è la scelta più logica, poi che lo faccia Grillo o Standing o qualsiasi altro non importa, se non sono i soldi a dare la dignità a un uomo, lo è ciò che i soldi sono necessari per acquistare. Un padre di famiglia che ha perso il lavoro e non ha i soldi per sfamare il bambino, vestirlo, mandarlo a scuola, un reddito di base è più dignitoso che andare a chiedere l'elemosina ad amici, alle chiese la roba per vestire, il cibo alla Caritas, nel mentre che aspetta un occupazione. L'affermazione del Papa è ovvia e pericolosa. Che facciamo, mentre si cerca un lavoro per un disoccupato, questo cosa mangia senza un minimo di sostegno economico??? Paradosso assurdo, che in molti fanno finta di non capire, il papa e tutti quelli che hanno il pasto assicurato tutti i giorni parlano alla stessa maniera senza rendersi conto delle sciocchezze che dicono... meglio il lavoro che un assegno mensile? Che discorsi! Lavoro per tutti, si ma dove sta questo lavoro per tutti? Se il lavoro non c'è e nemmeno si riesce a trovare, cosa si deve fare? Rimanere senza sostegno minimo per poter solo vivere? E perchè perdere la dignità per seguire consigli di chi problemi non ne ha? Allora meglio un pezzo di pane sicuro nell'attesa, spesso vana, dell'arrivo di un lavoro, che la fame totale per seguire linee politiche e sociali assurde e interessate di gentaglia che pare apra la bocca solo per dargli aria, ignoranti come delle merde! Che tra l'altro bisogna finirla con sta cazzata che il lavoro va *cercato*! Come se la disoccupazione fosse causata non dall’assenza di lavoro, ma dalla gente che non si dà abbastanza da fare per cercare lavoro... ma vi sembra normale ragionare in questo modo? Tra gli oppositori al reddito di cittadinanza prevale l’idea che la gente sia fannullona e attribuisca un valore molto alto all’ozio. Forse vale per loro, ed i risultati di tale concezione si vedono! Quando viceversa viene denigrato l'aspettare come deprecabile fatalismo. Il lavoro invece va proprio ASPETTATO! Non cercato! Che senso ha cercare una cosa che non esiste??? Se ci fosse, non ci sarebbe bisogno di cercare! Quando ci sarà, sarai tu ad essere cercato! Quindi non esiste un alternativa all'aspettare, non è un opinione, è un dato di fatto empirico! E su questo assioma dovrebbe basarsi la sistemazione dei centri per l'impiego invece che sull'attuale doversi arrangiare da sè. Ma se poi ci si deve arrangiare da sè, che senso ha l'esistenza stessa dei centri per l'impiego???? E sorvoliamo sulla solita stupidaggine del voler definire la dignità da parte di gente che ne è priva come i due compari in questione, ed i loro seguaci che regolarmente poi si scatenano al seguito sui forum, "Gesù era per i poveri e Papa Francesco sposa in pieno quella direzione segnata da chi si è fatto crocifiggere contro la cattiveria umana"... ah, essere a favore che non tutti debbano avere un reddito ovvero che chi il lavoro non ce l'ha debba morire di fame sarebbe essere a favore dei poveri? E i cattivi sarebbero gli altri? Non fa una grinza no? Ecco bravo il Papa insegnasse pure a dare posti di lavoro al Vaticano, assuma lui tutti quanti, oppure per legge facciamo lavoro di rotazione: quello che lavora oggi dà il lavoro a chi non lavora: un mese per ciascuno non fa male a nessuno. E poi ne parliamo. Secondo Bergoglio bisogna "non rassegnarsi all’ideologia che sta prendendo piede ovunque, che immagina un mondo dove solo metà o forse due terzi dei lavoratori lavoreranno, e gli altri saranno mantenuti da un assegno sociale"... quindi dobbiamo rassegnarci all’ideologia vigente finora, che non vede alternativa a un mondo dove solo metà o forse due terzi dei lavoratori lavoreranno, e gli altri dovranno arrangiarsi che nella maggior parte dei casi significa o finire in galera o morire di fame o mangiare alla Caritas? Perché la situazione è questa e la scelta è solo tra queste due alternative. Altre non ce ne sono. Oggi, alla luce di quest'ultima dichiarazione (curiosa e spiazzante per chi non aveva già capito il suo pollo) sulla non necessarietà di un reddito per tutti (e contestuale riconoscimento della necessità di un lavoro per tutti: utopia, favola irrealizzabile nell'era della robotica e dell'iper automazione dei processi) un senso di disorientamento assale tutti quelli che inconsci della collocazione nordista di Bergoglio ne sono rimasti spiazzati. Pare che Bergoglio creda che il lavoro sia ancora quello degli anni settanta, con gli operai che avvitavano bulloni e segretarie che battevano a macchina documenti. Le parole dure del Papa contro la "meritocrazia che legittima la diseguaglianza" ci sembrano mortificare proprio quel lavoro per il quale il Pontefice reclama, invece, dedizione e dignità. Sempre il Papa spiega che: "Il talento, secondo questa interpretazione, è un merito non un dono". Ma la "meritocrazia" dei talenti, colpevolizzata dal pontefice, non é la stessa della omonima parabola narrata nei Vangeli? Sembrerebbe una paradossale incoerenza se non fosse che sta parlando di due cose ben diverse. "La tanto osannata meritocrazia sta diventando una legittimazione etica della diseguaglianza"... ma tanto osannata da chi se nemmeno esiste???? Criticare la competizione chiamandola col nome della sua antitesi non è criticare l'antitesi! Purtroppo si tratta dell'ennesimo caso di analfabetismo lessicale: il concetto per il quale usa erroneamente il termine "meritocrazia" è chiaramente in realtà "competizione". Se chiamiamo una cosa con un altro nome non ci si capisce più niente. "Competizione" e "merito" sono due concetti antitetici, e quello che sta criticando lui è la deprecabile competizione, non l'auspicabile meritocrazia che oggi in Italia non esiste e quindi non le si può imputare alcuna colpa. Lui criticando la competizione sta criticando proprio l'ASSENZA di meritocrazia! Ma se usa il termine opposto cosa ci si capisce??? Che c'entra la meritocrazia con la sua frase "chi pensa di risolvere i problema della sua impresa licenziando la gente non è un buon imprenditore"? Ma dove la vede sta meritocrazia??? Il problema oggi è costituito dall'indegnità del lavoro, non del reddito (lo andasse a dire ad uno dei vari miliardari che riceve centinaia di migliaia di euro di rendita che il reddito senza lavoro ti rende indegno). Tra l'altro esiste un conflitto di interesse evidente: il giorno dopo che nel nostro paese fosse istituito un reddito minimo garantito vero e proprio gli italiani che fanno la fila alla Caritas andrebbero a fare la spesa al supermarket. A questo punto non ci si stupisce delle reazioni da parte 5 stelle tipo "la chiesa come la sinistra, per sopravvivere hanno bisogno dei peccatori e dei poveri", che è solo una generalizzazione: non *la* chiesa e *la* sinistra, ma le loro fazioni nordiste di cui il papa attuale per la prima e Renzi per la seconda sono espressione. Immancabile anche la risposta di Grillo a cui i soliti commentatori parossistici vomitano le solite cagate avulse da ogni senso tipo "se grillo avesse un po di dignità starebbe zitto e prenderebbe appunti davanti alla lezione che gli ha impartito il papa, invece di replicare stupidamente come un bambinetto offeso"... e quale sarebbe sta lezione che gli avrebbe impartito? Ci spiegassero questa loro teoria. Casomai se Renzi e Bergoglio avessero un po di dignità starebbero zitti invece di nuocere all'umanità mettendo bocca su cose che non riescono a capire! Secondo i due compari nordisti chi ha lavoro ha dignità e chi non lo trova? Si attacca al tram fino a quando lo si realizza per tutti? Bella lezione. Alle persone come loro, invece, con la pancia piena e la testa piena di pregiudizi, che fanno la morale da un pulpito privilegiato, dovrebbe seccarsi la lingua ogni volta che nominano il reddito di cittadinanza giusto per sciacquarsi la bocca. Quelli che hanno la faccia tosta di definire parassiti gli altri quando i veri parassiti sono proprio loro che continuano a votare questi politici che gli continuano a garantire i loro privilegi e che hanno portato alla rovina tutti gli altri, loro sono la rovina dell'Italia! Non i disperati senza lavoro o che si barcamenano ad alternanza con altri interinali per avere un modo di sostentarsi. Ci sono cittadini più fortunati e altri meno fortunati, è sempre stato cosi dalla notte dei tempi e la società cosiddetta civile ha sempre mascherato la cosa in vario modo e maniera, ma oggi con la tecnologia le cose si sanno meglio e più in fretta e tenere in piedi l'impalcatura sociale diventa sempre più difficile, i cittadini di bassa classifica che pur sono la bellezza di dieci milioni circa di italiani non solo vengono offesi dal sistema in continuazione facendoli sentire dei parassiti quando l'unica colpa che hanno è stata di nascere nella parte "sbagliata" della popolazione ma poi vengono pure avversati dalle istituzioni che non gli concedono nemmeno quel minimo per sostentarsi e continuare a vivere sia pur sotto la soglia di benessere sociale che è normale nelle attuali società industrializzate; sono visti come un errore del sistema, un qualcosa che esiste ma che non è voluto ed è questo l'aspetto paradossale ed inquietante, non tanto se concederanno il reddito di base o no, ma il capire che c'è una cospicua e numericamente non trascurabile fascia della popolazione civile che viene vissuta dal sistema come un accidente, come un errore, come una falla del sistema, cittadini di serie C e difettati. Rosario Napoli, presidente del Movimento dei disoccupati e precari, lancia un appello a tutti i disoccupati:
dobbiamo costituirci classe sociale e lottare per rivendicare i nostri leggittimi diritti che non si possono fermare al reddito di cittadinanza ma dobbiamo pretendere un autority che sappia intervenire e disciplinare e monitorare costantemente il sociale, non possiamo lasciare al caso la nostra vita, del resto è il problema che storicamente hanno sempre avuto le minoranze in ogni sistema, questo il passo epocale che l umanità si spera farà, quello di riuscire a tutelare anche le minoranze qualunque esse siano e non considerarle semplicemente delle zavorre del sistema, questa è l'attuale lettura che se ne fà, bisogna trovare il modo di condividere e far compartecipare tutte le forze di un sistema al sistema stesso, del resto il sistema non può essere giudicato solo ed esclusivamente in termini di produttività reale, anche tra il fior fiore internazionale dei ricercatori scientifici solo l'un per cento di questi arrivano a scoperte da premio Nobel che effettivamente portano un beneficio alla popolazione, gli altri prendono signori stipendi e stanno tutta una vita a ricercare senza poi apportare nessun miglioramento al sistema, lo stesso dicasi di tutto l'impianto legislativo dove per utilizzare un termine mutuato dall'industria ci sono parecchi esuberi di avvocati e magistrati vari che non realizzano un profitto sociale di cui il sistema potrebbe anche fare a meno. Come vediamo il problema riguarda tutta la società civile e proprio per questo i dieci milioni di poveri e il relativo reddito di cittadinanza non sono un anomalia e non sono una regalia che il sistema fà ma sono parte integrante del sistema a tutti gli effetti in una rotazione che si auspica il più possibile attiva nel futuro. Chi ha la sfortuna di nascere povero deve aver la possibilità garantita dal sistema di sopravvivere, non possiamo come individui farci togliere la dignità!
Come dovrebbero interpretare questi le aberranti parole dell'attuale papa? Dopo il danno, pure la beffa! Uno dei grandi problemi italiani riguarda la gente lobotomizzata che ripete le cose che sente dire senza alcun raziocinio. Quelli che dicono "il lavoro nobilita l'uomo, non i soldi"... bene, allora, visto che abbiamo due concetti diversi di cosa siano dignità e nobiltà, veniamoci incontro con reciproca soddisfazione: mi dai tutti i soldi che guadagni col tuo lavoro, così ci sentiamo entrambi degni e nobilitati, ok? A te il tuo dignitoso lavoro, a me il mio dignitoso sostentamento. In ossequio alla coerenza almeno. No certo, dignità è chiedere continuamente aumenti salariali... Se da un lato sostengono che a dare la dignità non sono i soldi, però se li tengono ben stretti criticando il reddito di cittadinanza per la "mancanza di coperture", un'alibi per i contrari che temono di vedere intaccati i privilegi di cui godono. Forse hanno paura che con qualche soldo in più gli altri si sentano un pelo piu sicuri e rialzino la testa e inizino a pensare piu positivo, cosa che non si vuole, bisogna stare a testa bassa e prendercela con il migrante e sputare sangue per permettergli di fare i loro porci comodi come fanno da 50 anni se non di più. Il problema della disoccupazione e della precarietà semplicemente non vogliono risolverlo, perché se avessero voluto o volessero veramente non staremmo qui a parlarne! Non gliene frega niente a nessuno... anzi pare proprio che questa situazione vecchia e cronicizzata stia bene a tutti i governi e basta! Questi pseudo-scienziati che parlano dall'alto del loro scranno: che propongano loro una soluzione concreta per aumentare i posti di lavoro. Oppure evitino di fare inutile retorica. Il lavoro per tutti o lavorare meno e tutti, é utopico. I disoccupati disperati servono al sistema, altrimenti come si potrebbero ricattare i lavoratori? Le persone fuori dai cancelli servono per far sgobbare di più e per meno chi un lavoro ce la. Questa società ci parla di felicità ma ha bisogno di alimentare l'opposto per reggersi. E pensare che basterebbe un reddito di base a risolvere ogni problema... Scrive Auriti:
Il diritto di pretendere, che distingue l’uomo dalla bestia, soddisfa il bisogno di giustizia, il bisogno della certezza del diritto e conferisce all’uomo la dignità giuridica di essere “soggetto”, non “oggetto”, di diritto. Sorge a questo punto la domanda: “come è possibile dare all’origine la proprietà del pane a chi non ha il diritto di pretenderla? E’ ovvio che se do il pane a chi non è proprietario il gesto è riconducibile alla categoria dell’“elemosina”, non del “diritto sociale”. Si dà infatti, ad ognuno, non l’elemosina, ma il suo denaro per comprare il suo pane in piena dignità giuridica. Si realizza così la società organica della democrazia integrale in cui il popolo non ha solo la sovranità politica, ma anche quella economica. I cattolici devono accettare la dottrina sociale della Chiesa perché altrimenti essa viene relegata nella soffitta delle utopie dimenticate.
Il distributismo con il suo modello di implementazione del reddito di cittadinanza si pone proprio l'obiettivo di rimediare alle lacune lasciate aperte dal sistema odierno: solo l'incapacità di guardare oltre il proprio naso determina che come unica alternativa alla povertà si veda il sussidio corrisposto solo a chi sia contemporaneamente povero e incapace di lavorare, a condizione che ne faccia domanda e fornisca le prove di essere in possesso dei requisiti previsti dalla legge, e se non dovesse più avere questi requisiti, ad esempio se trovasse lavoro, perderebbe i diritti, il che di certo non lo motiva a migliorare la propria posizione. Il reddito di cittadinanza non è una distribuzione "gratuita" o "giustificata" da inutili e dispendiosi "scavi di buche"! Non è un sussidio alla povertà! Il fine del reddito di cittadinanza non è creare assistenzialismo come la propaganda di regime vuole farvi credere, ma determinare le conseguenze derivanti dalla garanzia di una fonte di sussistenza permanente per tutti. La sua definizione più azzeccata è che è una cosa che la società smette di negare all'individuo.

“Non essendo soggetto ad alcuna condizione, il reddito di cittadinanza si distingue dai sussidi sociali, che esigono come contropartita la ricerca di un’occupazione” (Alain De Benoist)

Mike Warot, un ingegnere di Allied Gear, ha affermato: "Finiremo per avere il reddito di base incondizionato, o la rivoluzione". Si ma la gente come lui dov'è stata finora? Io per anni da ben prima che arrivasse in politica Grillo mi sono trovato a confrontarmi con gli antifascisti furiosi ed ancor più coi "calvinisti" (che almeno questi ultimi si lo sanno bene a chi "appartiene" il concetto di reddito di cittadinanza) sul web per portare avanti il concetto (sono l'autore originario di molte delle varie pagine sul tema in wikipedia, quelle iniziali, non come sono state ridotte ora o addirittura cancellate da quella gentaglia che vi impera), ben consapevole che, al tempo, fosse impossibile considerare realisticamente il proporlo (anche il tentativo di Buontempo pur giocoforza edulcorato è stato ugualmente boicottato con sdegno dai politicanti dal 2006), ma comunque studiandolo nei testi dedicati, pianificandolo accuratamente scrivendo appunti dedicati sul tema perlomeno per propagandarlo ideologicamente, nei forum di discussione, tra la furente ostilità degli integralisti religiosi anti-cattolici; dopotutto se ancor oggi i commenti che ricevo a questa pagina sono di questo tipo:
"Ma andate a lavorare che non avete fatto un c.... In tutta la vita, altro che reddito di cittadinanza"
"State cercando di raccattare voti con le regalie per nascondere tutta la vostra inadeguatezza. Va a lavorare!"
"Il reddito di cittadinanza serve solo a creare nuovi parassiti che verranno pagati con le nostre tasse"
"Il reddito di cittadinanza è un incentivo al fancazzismo"
"Puttanata!!!!!!creare LAVORO è la soluzione buffoni!"
"Bufala per ottenere voti"
"Se lo beccheranno chi non ha diritto"
"Lavoro ce n'è se uno lo vuole!"
"Il lavoro rende liberi!"
"Siete solo dei poveri comunisti!!!"
...pensate quando non era ancora "di moda"... Che l'acredine che ne trasuda è indicativa delle motivazioni che spingono queste persone ad aprire la loro e-mail per scrivere delle cose che non comprendo come loro possano non pensare che a me, cioè a chi le legge, suonino come un auto-definirsi degli idioti... ma che senso ha? Cosa hanno di proficuo? Quale arricchimento apportano al tema? Anche se insensate, le critiche utili le analizzo e le riporto in varie parti del testo, ma a queste... cosa si può mai rispondere? Quale utilità potergli dare, oltre al poterle portare come esempio di una stupidità altrimenti inconcepibile?

"Se dò da mangiare ai poveri vengo chiamato santo - se chiedo che i poveri siano sfamati vengo chiamato comunista" (Hélder Camara)

Anni fa si aspettava il "duemila" con impazienza... Ci si attendeva una vita migliore, più evoluta, e invece siamo tornati alla barbarie. La cosa che mi fa più rabbia è l'enorme quantità di gente comune, e ormai pezzente, che giustifica questo sistema, o comunque lo tollera come inevitabile... Forse si sentono realizzati perché hanno lo smartphone? Generalmente chi commenta con pareri negativi il reddito di cittadinanza, spessissimo non sa neanche di cosa parla. "Così la gente il lavoro non se lo cercherà più! Piuttosto pensate a un modo per migliorare il lavoro stesso!"... ma quale lavoro???? Che almeno ce lo dicano dove si trova così facilmente questo lavoro che loro vedono disponibile per tutti... dicono che c'è, ma non ci dicono dove... voi che sapete dov'è, diteci dove a noi che lo cerchiamo, no? Che senso ha dire che c'è a chi una cosa la cerca, senza dire dove? Ormai è diventato perfino un superfluo ed inutile ritornello dover rispondere "assumimi" a quelli che nei forum criticano il reddito di cittadinanza col loro repertorio di pregiudizi qualunquisti e superficiali, o "vai all'ultimo piano, buttati giù, sbatti le braccia e vola" alle cazzate tipo "volere è potere" perché a quanto pare non sortisce alcun effetto: "lavare la testa all'asino si spreca acqua e sapone". Non "la gente il lavoro non se lo cercherà più", ma la gente NON DOVRA' più sprecare risorse nell'inutilità di cercare una cosa inesistente! Lo si potrà finalmente e giustamente ASPETTARE senza patemi come avrebbe sempre dovuto essere! "Mi dite come cacchio fate a procurarvi i soldi per vivere senza un lavoro? Andate in giro a rapinare le banche?"... Ora ditemi come si può concepire questa frase, come dovrebbe essere interpretata da uno qualunque dei milioni di disoccupati a reddito zero, e quale possibile risposta dare... semmai dovremmo domandarci come mai oggi è *ancora* indispensabile lavorare per vivere (per vivere, ho detto, non per comprarsi una villa da 500mq) quando l'economia attuale ha raggiunto livelli di produttività tali per cui poche persone sarebbero in grado di erogare prodotti e i servizi sufficienti per tutti.

“C’è un sacco di lavoro del quale potremmo benissimo fare a meno; ciò che serve davvero non è più, ma meno lavoro” (Graeber)

"Eppure ancora oggi siamo costretti a lavorare", contesta Pietro Muni. Il lavoro esiste? Ma quali sono le proposte di lavoro, che loro, nel loro disinteresse, vedono? Call center? Bella forza!!! Certo, il sistema lavorista ha una fantasia sterminata quando si tratta di inventare lavori inutili che servono solamente a giustificare una redistribuzione sempre più diseguale della ricchezza, dato che l'evoluzione tecnologica rende il lavoro sempre più marginale nei processi produttivi e distributivi. Andrew McAfee del MIT, il primo a rendersi conto che il lavoro perdeva terreno in termini di PIL nei paesi evoluti, alla fine non riusciva a trovare ragioni per negare l'approssimarsi della fine della società del lavoro di massa, era solamente preoccupato per il ruolo che il lavoro svolgerebbe nell'equilibrio psicologico umano. Eppure Guy Standing del Basic Income Earth Network spiega che il lavoro obbligatorio è importante per la tua felicità se pensi che debba esserlo, ovvero, perché abbiamo interiorizzato valori tipici dell'economia industriale. Ma se ci fermiamo un attimo a riflettere sull'enorme potenziale produttivo di intelligenza artificiale e robotica, quello che secondo Sergey Brin di Google dovrebbe donare all'economia capitalista facoltà ogni qualsiasi immaginazione, allora non si può che ritenere profetiche le parole di Buckminster Fuller quando affermava che "dovremmo davvero liberarci della nozione speciosa secondo cui, in ossequio ad una visione darwinistica-malthusiana dell'esistenza, un individuo deve giustificare la propria esistenza lavorando, quando siamo vicini a una rivoluzione tecnologica che renderà possibile produrre moltissimo con pochissimo lavoro umano" mentre il nostro compito dovrebbe essere "tornare a scuola e riflettere su quello a cui stavamo pensando quando qualcuno ci ha detto che dovevamo lavorare per procurarci da vivere".

"Con l'aumento dell'efficienza meccanica, la produzione di cui si è ora parlato richiederà sempre meno tempo e fatica umana. In una sana economia questa fatica, per varie ragioni, dovrebbe essere distribuita fra una quantità molto considerevole di persone" (Ezra Pound, Abc dell'economia)

Per cui piantiamola con le "bufale" sulla "qualità del lavoro" sulla "produttività" e magari sull'attaccamento all'azienda (favola per fortuna ora quasi del tutto scomparsa)... come giustamente dice Poletti per aver un posto di lavoro (e per conservarlo) ci vuole tanta costanza ... gli allenamenti per il calcetto non finiscono mai, perché questa è l'Italia... ed ovviamente i nostri politici non fanno altro che rispecchiare quel che siamo. Tutto fatto a cazzo, tutti ben sanno che per trovare lavoro servono unicamente la fortuna, le conoscenze giuste e giocare al calcetto. Per non parlare delle agenzie interinali, posti dove solo se sei amico o parente di una delle zoccole che ci lavora riesci, forse, a trovare qualcosa, altrimenti entri per chiedere informazioni sugli annunci in vetrina (timorosamente, eh, perchè le poverine devono cazzeggiare e chiaccherare di come hanno passato la serata, tanto i soldi pubblici arrivano lo stesso) vieni guardato con disprezzo e trattato con arroganza! Ci hanno impedito di lavorare onestamente da autonomi, e da dipendenti ti costringono a condizioni schiaviste, per cui, se non ce la fai, devi solo soccombere, tu e i tuoi figli, e ciò secondo Alfonso Luigi Marra è frutto del consumismo che ha definito come una "cultura" mirante a realizzare la subordinazione dell’umanità alle logiche economiche anziché delle logiche economiche all’umanità. Consumismo che si è configurato come una tendenza a monetizzare tutto, compresa la fruizione di ciò che dovrebbe rientrare tra i diritti fondamentali, fino a creare un sistema basato in pratica sull’obbligatorietà del denaro. Un obbligo al cui mancato assolvimento consegue la morte civile ed, in sempre più casi, anche fisica. Secondo Marra, questo è un democidio premeditato e organizzato. Progresso? Quale progresso? Siamo in 7 miliardi di individui con più di 4 miliardi di automobili tra vecchie nuove e invendute, lo stesso dicasi per tv, cellulari, lavatrici, frigoriferi, biciclette ecc... All'uomo serve una casa, del cibo, di che vestirsi. Di ulteriormente necessario ci sono solo i servizi primari alla persona ospedali, scuole, mense, energia, un mezzo di trasporto per muoversi, ecc. Bene se si ragiona in questi termini questo lo abbiamo tutti già da un pezzo, e il resto diventa perfino superfluo. Ma se viene impedito il solo accesso ad una minima quantità di denaro, come si fa??? "L'introduzione del reddito di cittadinanza non sarebbe altro che il solito clichè della soluzione a valle per un problema a monte: se la produzione industriale cala progressivamente perchè i posti di lavoro sono sempre meno, a che serve dare ai cittadini dei soldi se non c'è niente da comprare?"... ma porcogiuda, se la produzione industriale cala è proprio e solo perché ci incidono le esternalità tra le quali proprio la totale mancanza di un anche minimo potere d'acquisto di fasce sempre più ampie di popolazione, non perché "i posti di lavoro sono sempre meno"! Se i posti di lavoro sono sempre meno non è perché la produzione cala e "non c'è niente da comprare" ma la produzione cala perché a causa dell'assenza di reddito da lavoro non si attua alcuna compensazione a fronte di ciò per consentire alle persone di comprare! E i posti di lavoro calano perché a parità o aumento di produzione c'è sempre meno bisogno del lavoro umano! Quindi "come facciamo a ridistribuire ricchezza che non abbiamo?"... ma chi avrebbe detto che non ce l'abbiamo? Non ci arrivano proprio a capire che il punto della questione è proprio questo, è una cosa che proprio esula dalle loro capacità di comprensione il fatto che se la produzione cala non è perché si è al limite delle possibilità di crescita ma perché tale possibilità viene bloccata da esternalità appostevi artificialmente! Al limite delle possibilità di crescita invece ci siamo sotto eccome, ed a tenerci sotto è l'assenza di potere d'acquisto con cui scambiare la produzione potenziale! Mi sembrava che sia Papa Francesco che anche il nostro Presidente parlassero della necessità di ridurre le disuguaglianze sociali. E se di lavoro né abbiamo sempre meno come credono queste persone che si possa colmare il divario se non con la redistribuzione del reddito? Misteri della fede! Ma ripeto che non è una questione di solidarietà e cazzate del genere, è una questione di pura razionalità! Alle multinazionali che impiegano robot per produrre beni, un reddito minimo garantito in un prossimo futuro, sarà anche la loro salvezza, perché se gli uomini avranno sempre meno lavoro, qualcuno dovrà comprare ciò che le macchine producono. Per cui bisogna sostituire il reddito da lavoro con un altro reddito! Ma non può farlo il privato, deve essere il pubblico. E ci si sente rispondere che "ci sono ettari di terra che aspettano di essere lavorati! Che strano, il progresso. Dovrebbe farci stare meglio invece ci fa morir di fame!"... innanzitutto sono ettari di terra che richiedono ormai pochi trattori e qualche macchinario per essere coltivati. Non servono più migliaia di braccia come ai tempi dei campi di cotone schiavisti. E in secondo luogo ciò che già oggi viene prodotto dagli appezzamenti esistenti basta e avanza per sfamare la popolazione esistente, per cui secondo loro che senso dovrebbe avere produrre per buttare via? Se già oggi la produzione in surplus viene buttata via nonostante ci siano persone affamate alle quali non può essere portata perché non hanno i soldi per pagare perlomeno i costi di trasporto? Quindi si, non il progresso, ma la mancanza di gestione del progresso tecnologico sta facendo morir di fame una sempre più ampia fascia di popolazione. Il progresso va gestito. Se cambiano le condizioni la societá e la politica devono cambiare di conseguenza. Non possiamo applicare regole dell'ottocento ad uno scenario dove il lavoro umano é destinato a sparire. Servono nuove regole e nuovi sistemi. Il progresso è gestito. Solo che è gestito dalle multinazionali in luogo della politica. Il fatto é che gli scopi delle multinazionali non coincidono con le necessitá della societá. Per questo la politica, quella buona, dovrebbe prendere in mano il timone. Spostare la tassazione dal lavoro alla produzione. In questo modo la convenienza economica dell' automazione verrebbe meno e la forza lavoro riacquisterebbe mercato. Anche un vecchio capitalista come Henry Ford aveva capito che una società di consumo può funzionare solo se le persone che producono i beni sono anche in grado di acquistarli. Ora, non sono i robot che compreranno tutti quei begli oggetti, né i disoccupati, d'altronde. La società dei consumi che abbiamo conosciuto scomparirà per eliminazione dei consumatori. Se molti posti di lavoro saranno sostituiti dai robot, dobbiamo assicurarci che le persone abbiano comunque soldi da spendere o l’effetto perverso dell’innovazione sarà di paralizzare tutta l’economia. Oggi anche chi è fortunato di un lavoro averlo lavora perfino di più rispetto a 20 anni fa e per la metà dello stipendio, e per cosa? Per arrivare ad andare in pensione a 70 anni se ci arrivi e se ci vai. Sarebbe questo il progresso? Bisogna eliminare tutte le pretese del superfluo e instaurare una società che si basi sul benessere di tutti. Il malessere delle persone e l'aumento dei disoccupati è l'unico modo che gli incapaci che stanno al vertice trovano per abbassare il costo del lavoro e per i partiti per reperire voti clientelari. Una classe politica che pare fatta a uso e consumo della satira, su cui si potrebbe solo ridere se non fosse che è una classe politica che fa danni. Parlano di ridistribuzione della ricchezza in un sistema studiato apposta per portare ricchezza a chi già la detiene (basti pensare agli 80 euro di Renzi...). E tutto per l'egoismo di chi governa e di chi ha i soldi che impone il modello dell'usa e getta e altri sistemi inefficienti. Gli incompetenti parassitari, sindacalisti, burocrati, banchieri imprenditori parassitari con le pezze al culo, il vero cancro della terra, questi sono i nemici del reddito di cittadinanza, che si nascondono dietro le ideologie politiche e religiose mettendo gli uomini gli uni contro gli altri per ridurli nelle catene del consumismo. Ci sono tanti benpensanti che credono di possedere il verbo e la ragione assoluta, certi che così facendo si possono mantenere i loro avidi vizi nascondendo la loro pochezza morale e la loro solitudine da vigliacchi. Sono amati solo per il loro denaro, sono rispettati solo per il loro denaro e sono invidiati solo per il loro denaro. Come esseri umani sono delle merde, un branco di delinquenti protetti da un sistema di delinquenti.

"L'uomo è tanto incline alla sistematicità e alla deduzione astratta che è pronto a deformare premeditatamente la verità, pronto a chiudere occhi ed orecchi, pur di giustificare la propria logica" (Fëdor Dostoevskij)

La crisi della quale convenzionalmente si data l'inizio nel 2008 ha un solo responsabile: l'assenza di un reddito di base! Ditelo a quelli che dicono che il reddito di base è socialismo, quando in realtà è un approccio "market oriented": l’alternativa è una massiccia ingerenza dello Stato nella vita delle persone con case sociali, sussidi, ammortizzatori ecc. Molti paesi soprattutto del Nord Europa hanno benefici generosi per i disoccupati ma producono un esito paradossale: chi non lavora riceve più soldi di chi accetta un posto di lavoro poco attraente, per esempio in un fast food. Le resistenze maggiori al reddito di base le si trova proprio nei Paesi che hanno una solida tradizione di welfare state. Ottusamente, sono molto restii a mettere in discussione il sistema socialdemocratico da loro tanto decantato come "terza via" (si consideri che perfino tra gli iscritti al Pci negli anni '80 un sondaggio mostrò che essi vedessero nella Svezia il sistema ideale... anziché nell'Urss! Motivo per cui tale sondaggio venne tenuto nascosto al pubblico). Il PD vuole i cittadini in povertà per continuare a prenderli per culo, chi difende questi farabutti o è un corrotto o un farabutto come loro, ci sono milioni di famiglie alla povertà, anziani ché rovistano nei cassonetti e altri che hanno rinunciato a curarsi per colpa di scellerate privatizzazioni attuate senza le necessarie liberalizzazioni e adeguate compensazioni, giovani senza futuro, lavoratori schiavizzati, legge Fornero e altre fatte solo per rattoppare una barca che fa acqua da tutte le parti, rendendo di fatto una falsa democrazia, un paese invaso da immigrati non controllati che in maggioranza sono dei delinquenti, rapinatori e molestatori, coi cittadini che non si sentono più sicuri nelle loro case e chiedono di potersi armare, un paese allo sbando tra corrotti indagati e arresti indirizzati ad hoc e ancora stiamo perdendo tempo a parlare di destra o sinistra, due facce della stessa medaglia che continuano a prendere per il culo i cittadini. Ed il bello è che del vero marciume gli italiani ne sono ancora tenuti all'oscuro! Eppure sono segreti di Pulcinella... quelli che chiedono un referendum sul reddito di cittadinanza, ignari che la costituzione italiana lo proibisce esplicitamente. Io chiederei a tutti quelli che si riempiono la bocca di queste tematiche senza conoscerle minimamente uscendosene con sparate tipo "come cacchio fate a procurarvi i soldi per vivere senza un lavoro?", di tacere, di rispettare l'onestà intellettuale, o di ammettere lo stato delle cose, che sfugge ancora a loro come alla grande massa. L'ingiusta stigmatizzazione dei disoccupati arriva a partorire paradossi altrimenti talmente inconcepibili che non ci si riesce nemmeno a fare l'abitudine e che da talmente irritanti sono è perfino fastidioso riportarli, ma è necessario per dimostrare i livelli ai quali la stupidità umana può giungere: "ci sono milioni di italiani sottopagati che lavorano 8 ore al giorno per quattro spicci, e voi volete regalare soldi ai disoccupati?"... ma che discorso sarebbe???? Ma quale logica paradossale può portare a partorire un simile concetto? Una logica che si può illustrare con questo paragone: nel momento in cui il terreno coltivabile è maggiore della quantità di frumento accantonata per la sua semina per cui essa non basta per seminare l'intero campo, anziché convogliare verso la semina la quantità di semi che esubera dalle necessità alimentari, distruggerla; se ci sono sementi in esubero rispetto alle necessità alimentari umane e campi lasciati incolti per mancanza di semente, che senso ha distruggerne anziché usarle per la semina??? Tutt'al più il surplus dell'anno venturo lo si userà per alimentare bestiame per produrre carne ottenendo così il ribasso del suo prezzo, l'estensione del suo consumo, la parallela sostituzione del consumo di cereali con carne, quindi in una spirale ("beni di Giffen") ulteriore riduzione del fabbisogno di cereali. Ma perché lasciare incolto ciò che si può sfruttare? Quindi, "ci sono milioni di italiani sottopagati che lavorano 8 ore al giorno per quattro spicci, e voi volete regalare soldi ai disoccupati?" si traduce in "ci sono milioni di italiani i quali hanno la possibilità di contraccambiare per acquisire il pane ma non per comprarsi un automobile, e voi volete permettere che anche chi non ha la possibilità di ricambiare (pur essendo disposti a farlo qualora gli venga data, definizione di "disoccupato") usufruisca dello stesso pane esistente, anziché buttarlo via apposta?"... vi spiego una cosa: buttare via il pane esistente in surplus ("bene raggiungibile") invece di fare in modo di renderlo disponibile anche a chi al fornaio (che giustamente non lavora gratis) non ha niente da dare in cambio, non crea automobili dal nulla. L'automobile per lui non c'è perché non è stata prodotta l'automobile, non perché il pane che a lui non serviva è stato lasciato prendere a chi non ha niente con cui scambiarlo. Buttarlo via non avrebbe creato un automobile.

"La moneta è infatti, in ultima istanza, uno strumento di compressione o riconoscimento dei diritti e delle libertà personali: non garantire un reddito a tutti significa, per estensione, schiavizzare l'umanità" (Giacinto Auriti)

Il reddito di base non è "prendere una parte del tuo stipendio e darla via ad un tizio a caso. E così ogni mese. Sarai più povero, ma lui sarà felice"... no tu non saresti proprio per niente più povero perché non è una parte del tuo stipendio ma una ricchezza che oggi è inutilizzata, sprecata, distrutta! Il reddito di base in senso generale non implica affatto un indirizzo fiscale così preciso, caratterizzarlo semplicemente come un passivo per il pubblico è come affermare che sia nella Svezia degli anni settanta che nella Francia pre-rivoluzionaria era in vigore un sistema di tassazione: fino a quando non stabilisci in che modo organizzare il sistema fiscale non hai dato nessuna direzione specifica a questa misura redistributiva. Fautori della destra repubblicana statunitense vorrebbero semplicemente prendere il budget destinato attualmente al welfare e redistribuirlo sotto forma di reddito di base, ma sarebbe come dire: visto su 10 persone 2 guadagnano 100 euro ed i restanti 8 complessivamente altri 100 spartiamoci i 100 di quegli 8 in parti uguali, in altre parole, non risolvi niente. Il reddito di base non ha questo scopo, cioé gravare ulteriormente sul lavoro che già non ce la fa a finanziare i servizi di welfare essenziali e ancor meno vi riuscirà in futuro, lo scopo è distribuire qualcosa che oggi viene sprecato, non redistribuire qualcosa togliendolo ad altri! Quindi invece di lamentarsi che il pane vada sia a chi lavora per 8 ore e a chi invece no, dovrebbero ritenersi fortunati di poter ottenere non solo pane ma grazie ai "quattro spicci" anche carne e verdura alle quali chi non lavora "8 ore" non vi ha accesso perché quei "quattro spicci" nemmeno li ha!!! Casomai ci sono milioni di disoccupati e chi un lavoro retribuito ha la fortuna di averlo non dovrebbe infierire contro chi la sua fortuna non ce l'ha! Per arrivare a capovolgere la cosa in maniera così ignobile bisogna essere veramente ottusi! "Perchè io devo lavorare più di quarant'anni per avere una pensione da fame... e altri soggetti senza far niente hanno diritto al reddito di cittadinanza... perchè? Spiegatelo"... perché i beni che quei soggetti acquisterebbero col reddito di cittadinanza ESISTONO e per questo sarebbe più sensato che fossero usufruiti, non sprecati solo per far piacere a te!!! Darli a loro non li toglie a te! Il tuo lavoro ti permette e la tua pensione ti permetterà di avere anche molto altro oltre a quel poco che vorresti negare a loro! Ecco perchè!!! Il "pane quotidiano" dovrebbe essere un diritto inalienabile e come tale interpretato, non come un boccone che arriva da uno stato prodigo e tolto a qualcun altro, perché dare qualcosa che esiste in surplus reale o potenziale (e per questo definito "raggiungibile") a chi altrimenti non vi avrebbe accesso non è *toglierlo a qualcun'altro*: dal diritto di accesso al "pane quotidiano" a chi oggi non vi ha accesso autonomo, chi lavora non ci rimette un bel nulla perché il "pane" necessario per sè già ce l'ha e non è che in alternativa ne mangerebbe di più!!! E tantomeno gli toglie l'automobile e altri beni secondari, casomai il contrario, è la povertà altrui che si estende anche sugli altri come sottoccupazione. Perché la disoccupazione è appunto inutilizzo di due braccia che potrebbero comunque produrre qualcosa per quanto poco e ritenuto superfluo. "Dacci oggi il nostro pane quotidiano" in questa frase sta l'essenza, il cuore della Dottrina Sociale della Chiesa: visione universale di diritto sociale che riguarda la collettività di tutti gli stati. A questo punto dobbiamo fare una riflessione: per dare ad ognuno il pane quotidiano gli dobbiamo dare il mezzo per scambiarlo ossia il denaro per comprarlo perchè altrimenti la Dottrina Sociale della Chiesa rimane relegata nel mondo delle grandi utopie, come fino ad oggi è rimasta. Il cuore del problema socio-economico è garantire ad ognuno il mezzo (denaro) per comprare pane. Infatti quello che manca, oggi, non è il pane da mangiare ma il denaro per comprarlo.

"50 milioni di uomini muoiono di fame ogni anno pur se si distruggono gli eccessi di produzione di generi alimentari, i surplus agricoli vanno distrutti perchè non c'è nessuno che li compra anche se c'è gente che muore di fame" (Giacinto Auriti)

Continua Auriti – "quando parla Cristo e dice: 'dacci il nostro pane quotidiano'... che vuol dire nostro? Significa non solo avere il pane, ma anche il diritto di pretenderlo! La proprietà del pane, il principio del 'tutti proprietari' che fu valorizzato da Papa Leone XIII nella enciclica Rerum Novarum, è il cuore del diritto sociale, il cuore della Dottrina Sociale della Chiesa che ha il suo sviluppo politico nel distributismo col suo reddito di cittadinanza. Quando si nega il diritto si nega il godimento giuridico". Quindi il "pane quotidiano" dovrebbe essere un diritto inalienabile NON per caritatevole buonismo, ma per il semplice motivo che ESISTE e non è razionale sprecarlo inefficientemente anziché utilizzarlo! L'economia non è a somma zero, non è una torta di dimensioni predefinite dove, se qualcuno prende una fetta, la sottrae ad altri. La libertà di mercato crea continuamente ricchezza, aumenta la torta. Il reddito di cittadinanza potrebbe influire al rialzo solo sui beni primari risorgenti ai quali le persone destinatarie oggi hanno già accesso tramite altre vie (altrimenti sarebbero morti e quindi non avrebbero più alcun bisogno, ipso facto), quindi non implica alcuna concorrenza su tutti gli altri beni poiché chi campa solo col reddito di cittadinanza lo userà interamente per i beni citati in sostituzione dell'assistenza pubblica o privata che già oggi glieli fornisce (quindi il saldo è in pareggio), mentre in chi ha anche altri redditi il reddito di cittadinanza non potrebbe modificare i consumi indotti in quanto andrebbe perlopiù a sostituire come spesa i servizi oggi gratuiti. Mentre viceversa la riduzione del costo del lavoro porterebbe un ribasso dei prezzi dei beni secondari cioè proprio di quelli che i "milioni di italiani sottopagati che lavorano 8 ore al giorno per quattro spicci" ambiscono acquisire. E ciò significa, se non fosse chiara l'antifona, che rendere disponibile il pane anche a chi al fornaio non può pagarlo avvia un meccanismo che porta a produrre più beni secondari. E questo perché l'aumento del livello di reddito minimo (ovvero che nessuno avrà più un reddito personale inferiore alla cifra del reddito di cittadinanza) comporterà inevitabilmente un rincaro dei prezzi dei beni primari, determinato proprio dall'aumento di potere d'acquisto delle fasce reddituali basse; tra l'altro sarà una riduzione su un aumento lento ma costante di potere d'acquisto dovuto all'aumento di efficienza del sistema economico, per cui solo temporanea limitatamente ad un certo periodo fino ad essere annullata ad un certo punto; dall'altro lato, la riduzione del costo del lavoro porterà un ribasso dei prezzi dei beni secondari, in particolare quelli nei quali il costo del lavoro incide in proporzione maggiore (quindi soprattutto i servizi, compresi quelli non più gratuiti). Ovviamente, a fronte di un rincaro medio del costo della vita prevedibile di 20 euro mensili, il bilancio in potere d'acquisto sarà più che positivo per tutti quelli che il reddito di cittadinanza lo ritirano (320-20=300); sarà in negativo solo per chi non lo ritira (quindi chi per il quale non avendone bisogno tale rincaro della vita gli è irrilevante), ma compensato dal ribasso dei prezzi dei beni secondari (conseguente al ribasso del costo del lavoro). Nel caso delle fasce reddituali medie, ovvero di chi ritira il reddito di cittadinanza ed ha un salario abbastanza alto, la variazione generale dei prezzi è ancora più marcatamente incidente, per cui a fronte della compensazione della riduzione salariale per i salari alti, si può comprendere come i poteri d'acquisto aggregati rimarrebbero sostanzialmente invariati a fronte delle variazioni dei prezzi e dei salari, ma crescenti al decrescere del reddito effettivo, il cui risultato sarebbe la perfezione distributiva. Dato che non tutti avranno capito (mi riferisco ai contrari al reddito di cittadinanza...), lo spiego con parole a loro comprensibili rivolgendomi direttamente a loro: il reddito di cittadinanza va anche a voi!

“I diritti altro non sono che i doveri che ciascuno ha verso se stesso” (Pietro Muni)

Ergo: non credete che lo stesso reddito di cittadinanza funga da equa compensazione di qualunque eventuale realisticamente possibile aumento complessivo di costo della vita? Che tra l'altro sarebbe esso stesso a determinare in quanto aumento di potere d'acquisto ceteris paribus... e sotto questo punto di vista diventa una mera partita di giro. Se li guardiamo da un punto di vista naturale, i diritti consistono nel riconoscere ogni individuo come portatore degli stessi bisogni. Per cui è esatto dire che il reddito di base è neutro. I sussidi invece la torta la contraggono, impediscono di espandere il benessere, aumentano i poveri. Un disoccupato è una risorsa sprecata che ulteriori automobili potrebbe costruirle! E rivolgendomi sempre ai contrari: produrre più beni secondari ne abbassa i prezzi! Invece oggi vengono sprecate tonnellate di cibo a causa dell'inefficienza distributiva, e invece di rimediare a ciò facendo in modo che la domanda possa equivalere all'offerta potenziale (e il metodo efficiente per farlo è il reddito di base), ci vogliono convincere a mangiare insetti, sti pezzi di merda!!! Quanto ai soliti inconcepibili discorsi su dignità ecc: la dignità deriva dal reddito, non dal lavoro! I discorsi stereotipati su "lavoro che nobilita" e simili mi suonano come un assenza di dignità da parte di chi li pronuncia, o meglio, assenza di cognizione di COSA SIA la dignità. Solo dall'assenza della cognizione del significato stesso del termine si può spiegare al concetto "il reddito di cittadinanza va anche a voi" la risposta "non mi piace l'idea che qualcuno debba mantenermi". Però gli stipendi e il loro aumento a chiederli ci si abbassa, si? La dignità, questa sconosciuta... Potrei capire che uno sia contrario sia al reddito di cittadinanza che ad aumenti salariali, ma quale astrusa logica guida l'essere contrari al primo e favorevoli al secondo??? Non ha alcun senso! Vorrei tanto poter riuscire a capire come in una stessa persona possa conciliarsi la contrarietà al reddito di cittadinanza con l'auspicio di aumenti salariali... non è la stessa cosa?????? Che differenza fa se la medesima cifra in più viene fornita alla stessa persona come reddito di base o in aggiunta al salario???? La sola differenza starebbe nel fatto che così sarebbe fornita anche a chi il salario nemmeno lo ha!!!! E secondo questi ciò sarebbe malvagio??? Chi il salario non ce l'ha allora che dovrebbe fare secondo queste nemesi di Robin Hood??? Quindi sarà anche meglio così, cioè darli a tutti, o no??? No, secondo loro normale è dare soldi senza motivo a chi già li ha e quindi non ne ha nemmeno bisogno, e al tempo stesso negarli a chi ne avrebbe bisogno... il bello è che poi magari sono gli stessi che criticano il fatto che il reddito di cittadinanza andrebbe anche ai ricchi!!! Per cui oltre alla dignità, questi nemmeno la coerenza sanno cosa sia. Poi ognuno la vede a modo suo, la stupidità non è una colpa, però non è accettabile che si ritenga perfino quasi scontato che quelle loro "opinioni" che io vedo come folli e paradossali, debbano valere anche per me. Chi è contro il reddito di cittadinanza o ha una bella pensione o ha un bello stipendio, per questi è facile dire che il reddito di cittadinanza non è una cosa buona, che brutta cosa che è l'ipocrisia. Ma che cavolo vorrebbe dire "il lavoro dà dignità alla persona, non l'assistenzialismo"??? Ma si rendono conto che è una frase che non ha alcun significato??? Io sono sempre più convinto che certe frasi fatte le scriva chi la dignità non sa nemmeno che cosa sia. Forse perché troppo ben pasciuto, beato lui. Solo il reddito di cittadinanza può garantire questo e cioè la dignità, la dignità di non andare sempre ad elemosinare un pasto alla mensa dei poveri ma farlo a casa propria con la propria famiglia. Dignità è non dover subire un ricatto da parte di un topo di agente interinale che sa che può dettarti le sue condizioni perché sa che la legislazione è fatta su misura attorno a lui. Il reddito di cittadinanza anche a quello deve servire, dopodiché se il primo del mese ti viene riconosciuto il reddito di cittadinanza e il giorno dopo ti impongono di scegliere tra un contratto in un call center a 40 km da casa o uno stage non retribuito, che senso ha ciò? E' chi crede ancora nella possibilità di perpetuare il sistema di schiavitù salariata attuale a vivere nelle cronache di Narnia, compresi i politici che millantano la creazione di nuovi posti di lavoro: i massimi istituti di ricerca sono divisi solo circa l'entità degli esuberi che ci attendono per effetto delle tecnologie esponenziali, 5 milioni nei paesi OCSE secondo il World Economic Forum, 10 milioni nei soli Stati Uniti secondo Forrester Research, e tutto questo, notare bene, *al netto* dei nuovi posti di lavoro. Secondo Andy Haldane, economista capo della Bank of England, 15 milioni di posti di lavoro sono a rischio automazione nel solo Regno Unito, Oxford Martin Programme e Bruegel ritengono il 47% della forza lavoro americana e il 50% di quella europea a rischio automazione entro 15 anni, McKinsey ha già evidenziato come il 45% delle attività possano essere svolte dagli algoritmi, i sistemi di deep learning e la robotica di cui disponiamo *oggi*, senza parlare di quelli che saranno sviluppati tra 10 anni, tenendo conto del fatto che sono tecnologie che progrediscono in scala logaritmica secondo la legge di Moore. La progressiva marginalità del lavoro dai processi produttivi porta ad un deficit cronico della domanda aggregata che a sua volta può generare una crisi letale del ciclo produzione/consumi. I telegiornali parlano di un aumento della produttività, a cui però corrisponde un incremento dei poveri. La Boldrini dichiara che servono investimenti. Quello che sta accadendo ha un nome: "grande disaccoppiamento" della produttività dai salari mediani, ed è un processo di natura tecnologica che benché iniziato con la rivoluzione industriale 200 anni fa, si è evidenziato nelle sue forme deleterie soprattutto all'inizio del nuovo millennio. In precedenza produttività e salari crescevano in modo uniforme: man mano che eravamo in grado di produrre nuova ricchezza questa si traduceva in un aumento dei salari. Ma la lenta acquisizione di gradi di indipendenza da parte della tecnologia iniziata con l'informatica degli anni novanta ha comportato prima ad una stagnazione degli stipendi, e ora una decrescita del potere d'acquisto, che infatti si va contraendo in tutti i paesi avanzati, dalla Germania agli USA fino al Giappone. La tecnologia sta distruggendo i posti di lavoro a medio reddito/media specializzazione per creane di precari e scarsamente retribuiti noti come gig economy e minijobs, molto diffusi ormai ovunque, che bastano appena per la sussistenza; il problema, per ora, è di quelli che neanche a queste briciole ci hanno accesso. E saranno sempre di più, è inevitabile se non si pone rimedio. Ulteriori progressi tecnologici imminenti, all'introduzione della guida driverless a reti neurali convoluzionali evolute porteranno alla fase due di questo fenomeno: disoccupazione di massa. Purtroppo i salvifici "investimenti" a cui fa riferimento la Boldrini non serviranno che a peggiorare la situazione, come sempre, infatti oggi, è una statistica inconfutabile, la maggior parte di essi viene dirottata verso la tecnologia anziché il capitale umano: Commerzbank e ING hanno investito 900 milioni di euro in smart software, il risultato non sono certo stati nuovi posti di lavoro ma esuberi a migliaia. La Cina sta investendo moltissimo nella robotica di nuova generazione, che sta portando all'eliminazione del 90% della forza lavoro delle fabbriche (e con aumenti di produttività fino al 250%!). E' un paradigma, quello in cui viviamo ancora mentalmente, che si sta sgretolando rapidamente senza che nemmeno ce ne rendiamo conto. Assistiamo al prodromo di questa transizione di fase, sotto forma di una inflazione patologicamente bassa che nessun quantitative easing riesce a risollevare, di un drastico aumento della disuguaglianza, di un deficit ormai cronico dei consumi e di una progressiva instabilità sociopolitica che ha portato, ad esempio, all'elezione di Donald Trump e alla brexit, eppure la maggior parte di noi resta cieca di fronte all'evidenza. Gli oligarchi, le élite, i manager delle aziende della new economy sono molto meno sprovveduti di noi: nei loro meeting esclusivi non fanno che parlare del personale che potranno eliminare grazie alle tecnologie esponenziali, Martin Ford ci riferisce come la maggior parte degli imprenditori della Silicon Valley ritenga inevitabile l'istituzione prima o poi di un reddito di base incondizionato per impedire il crollo del sistema socioeconomico, alcuni di loro hanno fondato una società, chiamata Y Combinator, che sta sperimentando un reddito incondizionato di circa 1500$ ad Oakland. Questo trial si unisce a quello di nazioni come Finlandia e Canada, anch'essi impegnati nel progettare un "pavimento reddituale", indipendente dal lavoro, atto a fornire alla società un fondamento finanziario adeguato per affrontare la rivoluzione tecnologica in corso. E questi che ci ritroviamo qua non fanno altro che berciare "il lavoro! il lavoro!"... Dovremmo chiederci come sia possibile nel 2017 avere ancora un'idea tanto anacronistica dell'economia e della società. Ed ora mi trovo i simpatizzanti 5 stelle seppur apparentemente favorevoli, non solo ignoranti sull'origine della teoria economica il cui nome hanno dato al loro mero sussidio quale è in realtà la proposta che sostengono, ma perfino a rispondermi "dove sono le prove" come fosse perfino un eresia!

"Sembra sempre impossibile, finché non viene fatto" (Nelson Mandela)

Il loro lo definisco "mero sussidio", poichè dopo questo episodio mi sono premurato di andare a capire bene come fosse impostato il progetto dei 5 stelle, dato che alcuni commenti letti in quella discussione mi avevano messo la pulce nell'orecchio che si trattasse di qualcosa di diverso dal vero concetto di reddito di cittadinanza, e difatti ho riscontrato proprio questo. Tra l'altro ho visto che non sono nemmeno l'unico ad essersene accorto: articolo di Andrea Balossino che conferma che il tanto sbandierato “reddito di cittadinanza” dei 5 stelle non è affatto un reddito di cittadinanza. Dal testo della loro proposta di legge se ne deduce che i 5 stelle con "reddito di cittadinanza" intendano invece un banale sussidio di disoccupazione, cosa che il concetto di reddito di cittadinanza non è, e non è quello il suo scopo, cioè non ha uno scopo assistenzialistico come sembra invece lo intendano loro, destinato solo a precise persone (chi "è rimasto indietro", nel loro ingenuo gergo retorico derivato dal narcisismo classista) e perciò con scopo prettamente clientelare o narcisista che non può che risolversi in un atto non finalizzato a risolvere i problemi ma bensì a permettere di perpetuarli mantenendo a galla lo "statu quo". E qui si inseriscono le critiche sulla classe politica esistente che "indegna del termine e connivente che gozzoviglia senza alcun ritegno nè vergogna nel trogolo" come per sottintendere non che la classe politica odierna sarebbe incapace di introdurlo nei modi sensati come penso anche io, ma nel senso che "andrebbe a mangiarci"... ora, in che modo, verrebbe da chiedere. Invece, vale l'esatto contrario, è l'assenza di un sistema di garanzia economica universale che legittima tutta una serie di interventi particolari (tutela della povertà, sussidi di disoccupazione, salvataggio di aziende per ragioni sociali, sussidi alle imprese "che creano lavoro", formazione professionale...) sui quali i politici ed i burocrati ci mangiano sopra! Tutti questi interventi sono gestiti discrezionalmente dai nostri pessimi politici producendo clientele e sprechi. Il reddito di cittadinanza, essendo un criterio semplice e generale, non è discrezionalmente manipolabile e quindi non ci sono nicchie delle quali poter approfittare per "mangiare", per tale ragione è avversato dai politici e invece dovrebbe essere benvisto da chi ha di loro una pessima stima.

"Il potere non si oppone al credito sociale perché pensa che non funzionerebbe, ma si oppone per il timore che funzioni" (William Aberhart)

E da ciò si evince anche la tipica contestazione che si trova spesso nei loro forum, nel "timore" che esso "diventi" una scusa per eliminare "le altre" forme di welfare... che già l'uso di "altre" andando ad implicare che chi lo usa interpreti il reddito di cittadinanza come tale, è indicativo di non aver nemmeno capito a cosa sia finalizzato... andare a sostituire totalmente l'assistenza statale (ovvero i suoi costi e la sua iniquità) è proprio lo scopo del reddito di cittadinanza... il SUO SCOPO esplicito, e non "scusa per diventare". Andare ad aggiungersi ad essa non avrebbe alcun senso, sarebbe solo un'inefficiente ridondanza che solo aggiungerebbe costi ad altri costi, soprattutto nella versione da loro proposta sotto forma di sussidio e quindi anche iniqua ed inefficiente... "utile" solo a far "vivacchiare" il sistema vigente, non cambiarlo. E un altra solita contestazione: "ha un senso solamente se viene erogato con limiti prestabiliti e rigidi nel tempo: età, effettiva condizione lavorativa, tempo limitato"... ma qui si sta parlando del reddito di cittadinanza... se "viene erogato con limiti prestabiliti e rigidi nel tempo" non è più un reddito di cittadinanza ma appunto un banalissimo sussidio. E poi: "ovviamente senza un riordino effettivo dei centri per l'impiego non avrebbe senso"... il reddito di cittadinanza è un tema che non ha nulla a che vedere con la questione lavorativa direttamente, quindi "ovviamente" a non aver senso è citare in suo riferimento i centri per l'impiego, che sono totalmente irrilevanti nella sua discussione (se non indirettamente). Nonchè le altre varie contestazioni che vedremo, di quelli che pur approvandolo lo fanno con la motivazione "riteniamo che lo Stato debba farsi carico dei poveri e dei disoccupati"... CARICO????? Magari il loro mero sussidio sarebbe un carico, ma il reddito di cittadinanza non è un carico ma l'esatto opposto, uno scarico, uno dei suoi scopi è proprio permettere la riduzione della spesa pubblica e quindi del livello di imposizione fiscale. Il reddito di cittadinanza non è un sussidio, proprio perchè gli mancano le caratteristiche dei sussidi cioè essere dati solo a qualcuno sottoposto a condizioni per averli, che è ciò che ne farebbe sussidi apposta per approfittatori che determinando la trappola della povertà spingono a non lavorare, cosa che il reddito di cittadinanza per via della sua universalità incondizionata non può a rigor di logica determinare ("less liability"). In quanti sarebbero disposti a lavorare e sopportare i problemi che ne derivano sapendo che ci sono 780€ su cui poter contare? Certo in Italia sono il minimo per sopravvivere in autonomia, ma per molti sarebbero abbastanza per accontentarsi e quindi non aspirare a meglio. Una bella faccia tosta hanno a definirlo "un'argine alla povertà"... quello dei 5 stelle è un incentivo alla povertà, altrochè argine! Una propaganda senza sbocco degna del "venghino signori venghino" per accaparrarsi voti degli ignoranti, alla faccia della sofferenza dei cittadini, ormai stanchi di questa partitocrazia fatiscente, questa folle Repubblica che, nata altisonatamente per contrastare qualsiasi possibile presa di potere del singolo, ha messo nelle mani di una casta il potere, e con una folle ed eterna burocrazia sta distruggendo qualsiasi cosa.

"Il sussidio è l'anticamera della truffa e la via maestra per tenere in vita burocrati e parassiti" (Leonardo Facco)

Dopotutto cosa ci si può aspettare da un movimento dove impera l'anarchia (che loro chiamano "democrazia diretta" o "partecipativa" interpretando ciò come fosse una cosa buona, alla faccia dell'evidenza delle conseguenze di tale prassi, il caos programmatico) e Grillo fa i salti mortali per dare un colpo al cerchio e uno alla botte ricevendo in cambio dagli avversari accuse di essere un demagogo e populista, e definito "un comico che parla di democrazia partecipata però solo se comanda lui da solo... che condivide le scelte sul web che però devono essere le sue perché altrimenti caccia chi la pensa diversamente... che giudica tutti i politici ladri e corrotti... che dice, sulla base di una analisi di mercato, quello che il popolo vuol sentire dire, come si fa per vendere un profumo, un oggetto di designer". La parola populista nasce nel mondo marxista. La usavano i fautori della rivoluzione nei confronti di quelli che difendevano i contadini dal rischio che avrebbe loro causato un forzato abbandono delle terre. Vinsero i marxisti e persero i populisti e sappiamo come è andata a finire. Uno che voglia dirsi liberale (che cosa voglia dire poi non lo si è ancora ben capito, a quanto pare) prima di usare parole e slogan che vengono dalla parte opposta dovrebbe per lo meno sapere di che cosa parla quando parla. Non ce la fanno... sono per forza marxisti nel dna. Non comprendono che il trionfo della visione antropologica di Marx è quella che loro sostengono! Il marxismo è stato talmente pervasivo che perfino i suoi nemici usano i suoi termini. Ora, ancorché coscienti che i termini "demagogia" e "populismo" sono usati e soprattutto abusati, da una certa politica che se ne fa uno scudo per perpetuare i propri "privilegi di casta", non si può prescindere da entrambe le "strategie": l'esercizio di autoapprendimento unito ad una sorta di "educazione civica" permanente e diffusa, condite entrambe dall'essenziale ingrediente del "buon esempio". Non per niente, il distributismo punta molto sulla questione "antropologica" del mutamento sociale. Il distributismo non pone il suo accento sulla famiglia “tradizionale”, se per tradizionale si intende ciò che viene “tradotto” semplicemente da una generazione all’altra, senza nessuna riflessione sulla sua congruità e ragionevolezza. Il distributismo vuole invece porre l’accento su quelli che sono i reali bisogni e sulle modalità per una loro possibile realizzazione. In questo senso, alla luce del senso comune che è in dotazione a tutto il genere umano, il distributismo sostiene che l’unione duratura di un uomo ed una donna costituisca il nucleo sociale fondante, dalla cui solidità e coesione dipende la solidità e coesione di tutto il corpo sociale. La famiglia quindi è quello spazio naturale in cui si forma il futuro uomo, attraverso un nutrimento materiale, psicologico e spirituale che lo porteranno ad essere lui il vero “capitale umano” che, sviluppati i propri talenti, sarà poi in grado di contribuire al benessere delle comunità. Se si vuole realizzare il bene comune, per i distributismo non si può prescindere dall’adeguare i vari strumenti legislativi alle esigenze di quell’entità sociale naturale che chiamiamo famiglia e che preesiste a qualsiasi ordinamento statuale.

“Non si ripeterà mai abbastanza che ciò che distrusse la famiglia nel mondo moderno, fu il capitalismo. Nessun dubbio che potrebbe essere stato il comunismo, se il comunismo ebbe mai la possibilità di uscire da quei confini primitivi e quasi mongoli in cui è fiorito. Ma per quanto ci riguarda, ciò che ha spaccato i focolari, e incoraggiato i divorzi, e ha guardato con sempre più disprezzo alle virtù domestiche, è l’epoca e la potenza del capitalismo. E’ il capitalismo che ha portato le tensioni morali e la competizione affaristica tra i sessi, che ha sostituito all’influenza del genitore l’influenza del Datore di lavoro; che ha fatto si che gli uomini abbandonassero le loro case per cercare lavoro; che li ha costretti a vivere vicino alle loro fabbriche o alle loro ditte invece che vicino alle loro famiglie; e soprattutto che ha incoraggiato per ragioni commerciali, una valanga di pubblicità e di mode appariscenti che per loro natura uccidono tutto ciò che erano la dignità e il pudore dei nostri padri e delle nostre madri” (Gilbert Keith Chesterton con la moglie Frances, in "The Well and the Shallows", 1935)

Lo sviluppo di ogni comunità civile non può altro che partire dal basso. Il presupposto irrinunciabile è l'aggregazione naturale dei vari corpi sociali già esistenti sul territorio, ciascuno in relazione ad una specifica funzione sociale-lavorativa. Anche l'economista e sociologo Giulio Sapelli nel suo "Capitalismi" (Boroli editore, 2009) ammette che la cooperazione "può avere una funzione strategica nel gestire servizi che un tempo erano tipicamente delegati alla gestione statale e ancor più municipale". Dovremmo cioè pensare allo stato e al suo intervento come ultima ratio, ossia come intervento posto in atto solo quando società civile e società politica non possono raggiungere gli scopi prefissati, definendo il volto di una nuova statualità, da collocare nell'intersezione tra economia e politica, in cui l'associazionismo sia un nuovo soggetto istituzionale, che supera il rapporto individualistico tra cittadino e stato. Si tratta non di perdere i valori della sovranità popolare, ma di riformularli superando i fallimenti del modello rappresentativo attuale. Secondo Sapelli, "per realizzare un mondo in cui possa essere realizzata la sussidiarizzazione delle sue società e delle sue strutture, un grande progetto istituzionale di costruire una democrazia prestatale dei mercati anziché della prussiana protervia dello stato ordinatore verticistico degli interessi, l'equilibrio delle rappresentanze deve essere sostituito da una loro competizione regolata e trasparente; e tra le rappresentanze devono essere incluse quelle della società del benessere a struttura mutualistica e quindi anche cooperativa". Inconsapevolmente sta descrivendo la democrazia organica corporativa.

"Dopo tanti anni in cui ho pensato anch'io a trasformazioni palingenetiche del mondo, ora sono sempre più convinto che una buona parte della nostra salvezza possa venire innanzitutto da microcambiamenti sociali e personali" (Giulio Sapelli)

Certo "non con l'illusione di un mondo utopico dell'autogestione o l'isola felice di una società perfetta, ma perlomeno per diminuire le imperfezioni dei mercati, della politica, della stessa statualità, realizzando una reale e orizzontale sussidiarietà". Finché si continuerà a demandare la soluzione dei problemi concreti ad entità altre rispetto ai cittadini ed alle famiglie stesse, siano queste entità lo Stato, la regione, le province, i comuni, i partiti, semplicemente questi problemi non verranno risolti. Paradossalmente noi siamo ancora schiavi della mentalità della rivoluzione francese che, con la pretesa di liberarci dall'oscurità del medioevo, ha abolito da un giorno all'altro l'istituto delle corporazioni, ci ha privato dei tanti poteri reali che prima avevamo, inculcandoci il dogma che lo Stato venga prima delle famiglie e dei corpi sociali che costituisco la società civile ed invertendo così l'ordine naturale delle cose.

"Lo stato non esiste. Esistono solo individui e famiglie" (Margaret Thatcher)

Altro che democrazia! Viviamo in un oligarchia in cui il potere è saldamente concentrato nelle mani di pochi, e ad assegnarglielo con tutti gli onori è il popolo stesso obnubilato dalla propaganda di quell'oligarchia che in nome di quella che fa passare per democrazia approfittando della fallacia cognitiva delle persone riesce a mantenersi al potere agitando lo spauracchio di chi invece instaurerebbe una VERA democrazia: gli anti-democratici! In generale, la persona che cade nella sindrome di Stoccolma, nel corso e a causa della costrizione e violenza psicologica alla quale viene sottoposta, sviluppa, paradossalmente, sentimenti di solidarietà con il proprio aguzzino, arrivando alla negazione dell'evidenza, alla giustificazione e accettazione delle violenze sofferte e, in ultima analisi, al totale volontario soggiogamento. Negazione della realtà dei fatti, giustificazionismo, totale volontaria sottomissione. Non vi ricorda la situazione del nostro Paese? Quella della distorta percezione da parte di molti di quanto sta accadendo nel nostro tessuto sociale, della fideistica esaltazione delle mistificazioni istituzionali, e del rassegnato assoggettamento delle nostre libertà all'altrui arbitrio. E se questa che ha "colpito" gli italiani è una diffusa sindrome di Stoccolma, chi è l'aguzzino? È singolare come certe cose vengano capite solo dai disoccupati... in questo paese quasi tutti gli altri sono caratterizzati da una superficialità disarmante... Scrive Claudio Cozzoli, presidente dell’associazione venditori ambulanti:
Lo Stato è diventato biscazziere, insensibile alla salute dei meno abbienti, tirchio con i derelitti, magnanimo con i ricchi e potenti, passivo con i criminali e cattivo con i piccoli imprenditori, rei soltanto di essere l’ultimo ostacolo alla completa colonizzazione che sta operando la “grande distribuzione organizzata”, dei giochi d’azzardo, del commercio, dei servizi e della criminalità; e tutto questo scaricando le colpe su fumosi ed equivoci vincoli europei, che nulla hanno imposto all’Italia se non la piena collegialità delle decisioni di tutte le forze politiche presenti nel parlamento europeo, quindi anche italiane! Nessuno sa fin quando le cose possano continuare ad andare avanti di questo passo, ma è certo che fra poco tempo la stragrande maggioranza della popolazione, stanca della mancanza di denaro, del lavoro per giovani e vecchi, di una decente sanità, di sicurezza pubblica, qualcosa farà. E quel giorno nessuno accusi la stampa o i social network di fomentare i cittadini per quello che accadrà: perché qualcosa accadrà, e sarà l’inizio della fine dello Stato come lo conosciamo!!
Così come abbiamo visto per il termine "capitalismo", e come è per molti altri, anche in questo caso la cognizione è fallata dalla questione semantica: i fautori della democrazia parlamentare si sono praticamente impadroniti dell'intero concetto di democrazia, con la conseguenza che chi pur essendo contrario alla dittatura ma essendo contrario alla forma parlamentare della democrazia passa per anti-democratico in toto. E così come in tutti gli altri casi, di fronte alla concezione comune non fa nemmeno niente per smentire ciò ma anzi l'asseconda arrivando ad auto-definirsi così come i suoi avversari desiderano, in questo caso "anti-democratico". Ovviamente da ciò ne hanno buon gioco gli oligarchi ai quali una vera democrazia nuocerebbe, per cui ne propagandano una finta (quella attuale) demonizzando furentemente come anti-democratici i suoi critici cioè i fautori di una vera democrazia. Che come abbiamo detto ci cascano al tranello, purtroppo, proponendo come unica alternativa a questo sistema fintamente democratico non la vera democrazia come sarebbe comprensibile, ma la dittatura. Davanti alla propaganda dell'oligarchia nessuno riesce ad andare oltre a queste due opzioni. Eppure sono i primi a scagliarsi contro le dittature "altrui"... Tali pregiudizi gli impediscono di capire che lo scopo della democrazia come comunemente intesa si esplica come funzione specifica impedendo agli "0" di prendere il potere, anche se a causa dei medesimi "paletti" impedisce pure ai "10" di farlo (rivelandosi perciò come un governo dei "5" ossia dei mediocri); dato che in una situazione competitiva è più facile che a prendere il potere sarebbero gli "0" e non i "10" (e di esempi storici ne abbiamo a bizzeffe), viene da sè capire come "5" sia almeno meglio di "0". Per questo sarebbe opportuno fare un preciso distinguo tra i possibili tipi di democrazia tra i quali quella che oggi viene ritenuto il suo unico significato, quella parlamentare (in lingua russa: "sovietica"), è SOLO UNO dei tipi possibili. Detto ciò, il sistema parlamentare è fallimentare poiché non esistono soluzioni valide una quanto l'altra a seconda di opinioni, ma una sola soluzione più efficiente delle altre, per ogni tematica. Le soluzioni meno efficienti sono dettate solamente dalla stupidità ed ignoranza di chi la sostiene. Il problema sorge quando a poter decidere, cioè chi detiene il potere, è un ente stupido ed ignorante, che sia una persona o una folla di votanti. Ora, a fronte dei pro e contro, viene spontaneo cercare di pensare ad un sistema che coniughi i pregi ed elimini i difetti. Oggi ci si è ormai quasi assuefatti alle notizie di cronaca giornalistica che ci riportano i reati di corruzione o concussione dei nostri “onorevoli” rappresentanti politici, a tutti i livelli, da quello comunale per finire a quello nazionale ed europeo. Un’assuefazione molto pericolosa perché ci può spingere a considerare quasi normale una situazione di degrado che non lo è affatto. Ancora più pericolo pensare che l’unica vera causa di tale degenerazione sia di natura morale. Il sistema di rappresentanza partitico di per sé è il migliore che esista – si dice – il problema è la mancanza di una dirittura morale degli uomini ai vertici. Questo significa guardare il dito quando si indica la luna. Come è possibile infatti sostenere che un’organizzazione politica che prevede la privazione pressochè totale del potere reale dei cittadini di decidere le questioni essenziali della loro vita socio-lavorativa, per concentrare tale potere nelle mani di un’elitè ristretta – i parlamentari – sia il migliore strumento possibile di rappresentanza? Poiché questi parlamentari vivono in un loro mondo – il mondo della burocrazia e dell’amministrazione statale – separato e distante dal mondo in cui vive l’uomo della strada, cosa dovrebbe trattenere tali rappresentanti dall’utilizzare la loro posizione per trarre vantaggi personali e per appoggiare quanti sono in grado di sostenerli con il potere dei soldi? E’ chiaro che l’occasione fa l’uomo ladro, e questo sistema – il sistema partitocratico – sembra fatto apposta per indurre il singolo in tentazione. Né si può sostenere che l’istituzione partito possa di per sé costituire una garanzia di trasparenza ed onestà, perché l'esperienza dimostra che i partiti vengono votati indipendentemente dalla loro moralità. Il partito per definizione rappresenta un corpo estraneo e divisorio rispetto alla totalità della società civile, il raggruppamento di un minoranza settoriale della comunità che condivide una specifica visione del mondo in contrapposizione ad altri cittadini. Il partito va bene quindi come entità culturale ma nel momento in cui fagocita ogni spazio del vivere civile e diviene un contenitore finalizzato alla spartizione del potere, assecondando quella che è la sua natura costitutiva, condanna la società civile stessa, fatta di famiglie e corpi intermedi concreti, ad un ruolo forzatamente secondario. Il partito inoltre, dipendendo per il suo sostentamento da un aiuto di tipo finanziario – di per sé infatti non produce nulla – è quanto mai condizionabile nelle sue scelte di fondo dagli umori e dalle convenienze dei suoi finanziatori. La compulsione frenetica da parte dei moderni demagoghi ad impedire ogni forma di autonomia personale non fa altro che peggiorare tale situazione. Questo spiega perché per esempio negli Stati Uniti i programmi dei partiti repubblicano e dei democratico, finanziati in egual misura dalle grandi banche internazionali – sembrano quasi sovrapponibili per quanto riguarda la visione di fondo delle questioni sostanziali attinenti l’economia e la finanza. I partiti quindi, come sostenevano i distributisti Chesterton e Belloc agli inizi del secolo scorso, non sono altro che uno strumento di potere nelle mani della grande finanza e delle multinazionali per controllare e dirigere da dietro le quinte l’attività legislativa. Il problema non è dunque morale ma strutturale! Ma il problema non è l'istituzione partitica in sè, ma il sistema che ad essi dà tutto il potere, cioè il parlamentarismo, che diventa partitocrazia. Ce lo dimostra il fatto che negli ultimi 70 anni, malgrado il succedersi vorticoso di formazioni politiche sempre nuove, la sostanza non è mai cambiata ed anzi la perdita progressiva di potere reale da parte del popolo à stata proporzionale all’aumento degli inciuci tra politica e finanza. Se andiamo più indietro nel tempo poi, dal 1861 agli anni ’30, la situazione appare ancora peggiore: si constata infatti una serie infinita e continua di scandali e collusioni perverse tra politica e finanza, in Italia e nel mondo, di cui ormai si è persa o si è voluto far perdere la memoria, come se la storia non fosse un continuum ma un eterno e depressivo presente. Paradossalmente quindi si può sostenere che quei pochi politici onesti ed in buona fede che oggi esistono – immersi come sono in un sistema strutturalmente perverso – sono dotati necessariamente di una tempra morale superiore alla media, che gli consente di non soccombere immediatamente di fronte allo sfacelo di cui sono testimoni. Vengono percepiti - e probabilmente si percepiscono – come pesci fuor d’acqua, degli illusi idealisti. Inevitabilmente la maggior parte di loro finisce comunque col cedere, cioè o col conformarsi al generale clima di corruttela o col distanziarsi dalla politica disgustati. Che fare quindi? Esiste un’alterativa alla partitocrazia, che non sia la dittatura del partito unico o tecnocratica o il ritorno ad improbabili monarchie? Certo, un’alternativa esiste, un’alternativa fattiva e praticabile che, utilizzando un po’ di buon senso, tutti potrebbero arrivare a cogliere. Si tratta semplicemente di ridare potere alla società civile, articolata nei vari comparti socio-lavorativi che costituiscono la vita pulsante delle nostre comunità. E' necessario incominciare a lavorare per restituire in forma più organica poteri reali ai cittadini e questo può essere fatto in un solo modo: aggregando le persone sui territori per comparto e funzione lavorativa, indipendentemente dalla loro appartenenza ideologica, partitica, religiosa, e creare forti contenitori, con alto tasso di democrazia interna, che siano in grado di discutere e decidere le principali questioni socio-lavorative ed economiche che riguardano la vita quotidiana delle persone, senza mai uscire ovviamente dalla cornice più ampia del bene comune. La democrazia organica corporativa, l’unica forma rappresentativa realmente democratica in grado di dare voce alle sacrosante esigenze della gente e non di quelle di burocrati che vivono fuori dalla realtà. Ma, per fare un esempio, è mai possibile che a TUTTI gli utenti in coda alla motorizzazione manchi sempre qualche cosa???? Non si pongono il dubbio che se regolarmente A TUTTI manca invariabilmente qualcosa, magari il problema non sta nella distrazione degli utenti, ma nelle assurde pretese della burocrazia???
Secondo Douglas, "il corretto funzionamento del Parlamento è quello di forzare tutte le attività di natura pubblica per essere svolte in modo che gli individui che compongono il pubblico possano trarre il massimo beneficio da esse. Una volta che l'idea è stata afferrata, l'assurdità criminale del sistema dei partiti diventa evidente". Essenziale risulta quindi fornire occasioni concrete per esercitare questa responsabilità e diventare "democraticamente maturi", tramite l'unica forma razionale di democrazia alternativa alla dittatura, la democrazia organica, l'espressione comunitarista del sistema politico della "dottrina sociale della chiesa cattolica" formulata dal beato Giuseppe Toniolo nei primi anni del secolo scorso sulla base del suo primo programma sociale cristiano, nel quale è visibile l'interesse alle problematiche legate alla divisione del lavoro e alla distribuzione della ricchezza, chiamato "Programma dei cattolici di fronte al socialismo" (oggi noto come Programma di Milano, 3 gennaio 1894) stilato sulla base del'enciclica "Rerum Novarum" del 1891 di Leone XIII, da cui deriva la concezione di democrazia organica poi ripresa dagli scritti di Toniolo e pianificata da Carlo Alberto Biggini durante la Rsi e ulteriormente arricchita da Gianfranco Legitimo e Tommaso Demaria (fondatore del Movimento Ideoprassico Dinontorganico, che custodisce e promuove l'alternativa ideoprassica a comunismo e liberalismo) nel dopoguerra, e solo parzialmente ed in forma errata applicata nella fase terminale dei regimi di Franco e Salazar in Spagna e Portogallo per darsi un aria meno autocratica nel tentativo di proporre un alternativa al mero passaggio dalla dittatura alla democrazia parlamentare che tanti guasti mostrava provocare nel resto del mondo, nonché da umanisti tipo Martin Buber, Emmanuel Mounier, Adriano Olivetti, e più recentemente dai gruppi cosiddetti "etno-nazionalisti völkisch", che danno al concetto un impostazione dirigistica e hippie che poco ha da spartire con l'ente dinamico di Demaria che completa la metafisica aristotelico-tomista nella democrazia organica di natura corporativa intesa come forma di sistema elettorale libertario alternativo alla liberticida democrazia parlamentare che per via delle conseguenze della necessità di populismo e demagogia è l'antitesi della libertà: Walters descrive la democrazia parlamentare come un processo di polarizzazione che trasforma le persone in "hooligans", fanatici - persone con "punti di vista intensamente di parte" che "non possono fare a meno di gridare ridicolmente o aggredire quelli che non sono d'accordo con loro" -, trasformando così la gente da "collaboratori di mercato" in "nemici civici" in un paese lacerato dove la libertà personale è perennemente appesa ad un filo e dove la legislazione è ostaggio dei parlamenti, tanto che per questo motivo nella democrazia organica essi sono esautorati del potere legislativo, non sussistendo più alcuna necessità in tal senso. I partiti ed i sindacati potrebbero anche rimanere ed i loro rappresentanti essere eletti in un parlamento, ma il potere dello Stato e del governo sarebbe limitato a coordinare le attività delle gilde corporative, a correggere tutte quelle tendenze che fuoriuscissero dai binari del bene comune, a garantire la solidarietà e l’aiuto ai più deboli, a fare rispettare le leggi e l’ordine pubblico, ad intervenire là dove la società civile non fosse in grado di operare in maniera costruttiva. Il potere reale, nella maggior parte dei casi, rimarrebbe nelle mani dei cittadini, anche attraverso le gilde stesse. Lo Stato quindi, lungi dall’essere abolito, rimarrebbe, ma sarebbe più leggero. Contrariamente allo Stato capitalista, lo Stato distributista non si ritrarrebbe però per lasciare spazio ai capitalisti, ai detentori cioè di capitale, ma favorirebbe in tutti i modi l’unione tra capitale e lavoro e quindi la distribuzione della proprietà e del potere reale, per mettere i singoli nella condizione di sviluppare al massimo le proprie capacità, all’interno delle regole condivise elaborate dalle corporazioni. La legislazione nella democrazia organica si svolge perciò secondo l'attuale concetto di "decreto", sui quali il parlamento non avrebbe alcuna voce in capitolo. Le funzioni del parlamento perciò sarebbero notevolmente ridotte, rendendo possibile ridurre il numero dei parlamentari e la cadenza delle sedute plenarie (probabilmente limitate ad una media di 10 all'anno), mentre l'attività delle commissioni rimarrebbe grossomodo l'attuale e costituirebbe la gran parte del lavoro dei parlamentari. Il sistema della democrazia organica grazie alla sua impostazione decentrata sussidiaristico-personalistica nella gestione della "mente collettiva" si rivelerebbe potenzialmente come governo dei "10" ossia dei migliori (meritocrazia), poiché nessuno dei 58 milioni di italiani sarebbe a priori escluso dalla partecipazione diretta a tale "mente" e sarebbero spontaneamente le idee migliori ad affluire all'alto partendo dal basso (mentre oggi il concetto di "partecipazione" dal basso è inteso solo come muta approvazione elettorale di candidati stabiliti arbitrariamente su una teorica media statistica e quindi inevitabilmente mediocri, escludendo perciò sia gli "0" che i "10"). Se ne ricava che la democrazia organica coniuga i pregi della democrazia a quelli delle dittature, eliminando i difetti di entrambe. I 4 connotati di Juan Linz sono rispettati.
Come sottolineato più volte, il populismo e la demagogia sono patrimonio comune sia degli istituti di cosiddetta "democrazia diretta" sia di quelli cosiddetti "rappresentativi"; Alexis de Tocqueville lo ha mostrato già due secoli fa e non dobbiamo quindi inventarci nulla, soprattutto oggi che questa classe politica nel suo insieme e nessuno dei partiti escluso è ormai totalmente autoreferenziale e l'elettore viene dopo, ad esempio, quando le parti avranno finito di scannarsi tra loro per vedere CHI fa e COME la legge elettorale.

"In generale però, le oligarchie finanziarie preferiscono i governi democratici a quelli autoritari. La stabilità del sistema è consolidata da periodiche consultazioni popolari che ratificano l'operato dei governi autoritari - questo e non altro è il normale significato delle elezioni parlamentari e presidenziali democratiche - ed evitano alcuni pericoli molto reali di dittatura personale o militare alla stessa oligarchia. Per questo nei paesi capitalistici sviluppati, specialmente se hanno una lunga storia di regime democratico, le oligarchie sono riluttanti a far ricorso ai metodi autoritari nell'affrontare movimenti di opposizione o nel risolvere difficili problemi; ed escogitano invece metodi più sottili ed indiretti per realizzare i loro fini... Con tali metodi... la democrazia è in grado di servire gli interessi dell'oligarchia molto più efficacemente e durevolmente di un regime autoritario. La possibilità di ricorrere ad un regime del genere non è mai esclusa - anzi la maggior parte delle costituzioni democratiche lo prevedono esplicitamente per i periodi di emergenza - ma decisamente esso non è la forma preferita dalle società capitalistiche regolarmente funzionanti" (P. A. Baran - P. M. Sweezy, "Monopoly capital")

Il dibattito sulle leggi elettorali da adottare è una cosa inconcepibile, come se uno valesse l'altro. A San Marino nel 1957 è bastato cambiare la legge elettorale (con un colpo di stato militare) per modificare totalmente il governo, dal partito comunista alla democrazia cristiana, stessi voti, legge elettorale diversa. Secondo voi è normale? Secondo voi questo è compatibile con la democrazia? E ci si sente dire "non esistono leggi elettorali buone o cattive in sé, ma coerenti o meno con il sistema istituzionale nel quale operano"... ma che discorso sarebbe??? Ok, ma allora non chiamatela democrazia però! Che democrazia è quella nella quale si può plasmare a piacimento il meccanismo elettivo per adeguarlo alle proprie esigenze? Facile così! In che modo la mancanza di rispetto della volontà degli elettori può essere definito democrazia? Instaurare una dittatura chiamandola democrazia! E queste stesse persone avrebbero criticato la democrazia sudafricana perché i neri non avevano diritto di voto! Qualunque metodo che non sia "chi prende più del 50% dei voti vince" non può essere definito democrazia! Il bello è che esiste pure dibattito! "Pensare di adottarne una sperimentata altrove e supporre di poterne ricavare i medesimi effetti è stolto. Come trovarsi su una vetta innevata e proporsi di fare una nuotata sol perché ci si accinge a calzare le pinne. È importante il modo in cui si contano i voti e li si trasforma in seggi parlamentari (a questo serve la legge elettorale), ma non solo è parimenti decisivo cosa fanno gli eletti, come formano i governi, quali equilibri distinguono i poteri, ma anche i costumi contano. Quelli degli eletti e quelli degli elettori. Dimenticarlo significa praticare una vasta diseducazione elettorale" che è solo un mare di superflue cazzate se il principio stesso fondamentale matematico del voto è stravolto! Sono capaci tutti di vincere modificando le regole a proprio favore! E poi chiamarla democrazia! Il problema non è chi lo fa, ma chi non obbietta!

“Un tempo non era permesso a nessuno di pensare liberamente. Ora sarebbe permesso, ma nessuno ne è più capace. Ora la gente vuole pensare ciò che si suppone debba pensare. E questo lo considera libertà” (Oswald Spengler, "Il tramonto dell’Occidente")

Cosiddetti "istituti" perché, purtroppo o per fortuna, in ogni caso la democrazia diretta è in realtà una comoda finzione... non esiste e non è mai esistita se non, forse, nelle Agorà ateniesi anch'esse preda del demagogo di turno. Illudersi sul fatto che l'espressione popolare nel referendum sia espressione di democrazia diretta, quando l'agenda politica è decisa comunque da un ristretto numero di individui equivale al cullarsi nella stessa illusione secondo la quale nel plebiscito o nella commedia elettorale risulti la volontà popolare. L'istituto del referendum è non solo tollerato ma proprio sostenuto da chi sta al potere, per un motivo molto semplice: quando non vuole prendersi una responsabilità, può lavarsene le mani affidando la decisione alla massa tramite referendum. E chi s'è visto s'è visto. Il popolo si frega con le sue stesse mani? Cazzi suoi. I referendum sul tema del nucleare sono assai indicativi, il popolo ha votato contro, ma poi si lamenta dei costi delle bollette e dell'inquinamento... no cari, se avete votato contro il nucleare non avete alcun diritto di lamentarvi delle conseguenze del vostro voto: il prezzo alto dell'energia elettrica e l'inquinamento dell'aria, perchè la causa siete stati proprio voi!!! Dietro l'abolizione del nucleare, e quindi dietro al colpo inferto per sempre alla nostra indipendenza energetica, c'è la sconfitta della Ragione. Ora la domanda diventa: perchè il potere ha voluto delegare al popolo tale "scelta" (che scelta non era dato che la volontà del potere era ben chiara ed il risultato previsto)? Per lo stesso motivo per cui 20 anni prima avevano perseguitato Felice Ippolito, dopo aver così allora bloccato lo sviluppo nucleare italiano, cancellarlo definitivamente, come da armistizio di Cassibile.

"Se votare servisse a qualcosa non ci farebbero votare" (Mark Twain)

“Lasciate che la gente creda di governare e sarà governata” (William Penn)

La costituzione italiana proibisce espressamente referendum su certi temi economici tra i quali rientrerebbe pure il reddito di cittadinanza. In obbedienza alle clausole dell'armistizio che ha assegnato la sovranità del nostro paese ad un altro, anche consultare il popolo su temi di politica estera è proibito. Ecco che costituzione abbiamo, ditelo a Benigni. Solo essendo coscienti di questi limiti e della strutturale imperfezione dell'esercizio democratico comunemente inteso, sospeso fra l'isteria irrazionale dell'assemblearismo e l'oligarchia del parlamentarismo puro, si può essere già un pezzo avanti potendo guardare al futuro, ad un metodo elettorale veramente razionale ed efficiente collocando questa riflessione come realtà storica dell'attuale situazione italiana ed europea. Questo metodo è la democrazia organica, senza dover arrivare agli eccessi della "epistocrazia" (una forma di governo con la quale la capacità del qualificato prevarrebbe sulla volontà del popolo in ciò che Walters descrive come "un esame - simile a un test di naturalizzazione - per i futuri elettori"), definita dall'ideologo Jason Brennan come specificamente anti-democratica, critica a cui Walters risponde vantando a suo sostegno un "pedigree di pensatori conservatori che si estende da Burke, a Mill, a John Adams, che risale addirittura a Platone", concludendo che i democratici ed i libertari "bleeding-hearth" sanno solo riconoscere i problemi sociali persistenti ed esprimere una vaga preoccupazione per questi, ma proponendo molto poco in fatto di soluzioni, mentre quelle che propongono non fanno altro che peggiorare i problemi. Nella democrazia organica invece la "capacità del qualificato" è stabilita comunque dagli elettori, per cui ogni accusa di anti-democraticità sarebbe solamente la solita stupidaggine di quelli del "non voglio delegare"... no, vuoi andare tu stesso in parlamento? Andiamo tutti 58.000.000 assieme? Vogliamo fare un referendum a settimana? La "partecipazione" deve servire per capire cosa serve sul territorio... deve servire per portare lavoro e per fare incontrare l'offerta con la domanda... ma senza cadere nella totale "critocrazia", derivazione dello Stato liberale che non prevede governi ed ivi neppure elezioni, dove vi è il solo Stato naturale di diritto, composto unicamente dal sistema giudiziario (magistratura) e dalle forze di polizia e di difesa. Per quanto criticabile, un governo minimo non può mancare, sennò sarebbe il caos. Lo Stato deve promuovere lo sforzo individuale, può e deve guidare l'autorealizzazione dell'individuo, ma non deve eliminare il rischio d'impresa, non deve essere né schierato con l'imprenditore né con il lavoratore, deve garantire a tutti le stesse possibilità, deve aiutare tutti a far tutto ma a fare e non a pretendere di avere... ma non può consistere, per deresponsabilizzarsi, nel permettere a persone ignoranti di metter bocca su cose che non capiscono! E nemmeno pretendere di non dover delegare come se ognuno pretendesse di essere il portatore unico della Verità!

"L'intuizione di Casaleggio padre è stata proprio quella di mettere in connessione sulla Rete persone inattive e frustrate dando loro il movimento che gli mancava, il M5S" (Aldo Grasso)

Inevitabile citare a tal proposito il fantozziano "ma così ci vorranno almeno mille anni!"... Purtroppo Grillo deve dare un colpo al cerchio e uno alla botte... ricevendo accuse trasversali, dalla sinistra di essere troppo di destra, troppo liberista, e dalla destra di essere troppo di sinistra, troppo statalista... da cui ne deriva inevitabilmente e comprensibilmente un programma fumoso e contraddittorio, "riduzione del debito pubblico con forti interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi", questo è il nocciolo del programma alla voce economia (perchè tutti gli altri punti non sono che una sorta di lista della spesa di provvedimenti qualcuno anche condivisibile ma irrimediabilmente e completamente scollegati l'uno dall'altro, senza pretesa alcuna di coerenza nel loro complesso) è chiaro come il sole che è talmente "alternativo" all'esistente che Mario Monti lo sottoscriverebbe non una ma 10 volte, e quindi lo sanno anche loro che i problemi odierni tra cui l'attuale livello di disoccupazione non può far altro che crescere con la divaricazione della forbice da gap tecnologico facendo apparire il movimento 5 stelle solo come un salvagente del sistema per mantenersi a galla lasciando la situazione generale inalterata, incanalando la "protesta" per impedire modifiche vere, come tra l'altro loro stessi hanno confermato più volte definendosi come "diga" alle "destre", evidentemente anche da essi implicitamente ritenute l'unica area politica che possa veramente cambiare qualcosa (dopotutto non ci si può certo aspettare che a farlo possa essere qualcuno che l'inizio di questo aberrante sistema lo festeggia ogni 25 aprile... perchè andare a PEGGIORARE ulteriormente il sistema stesso non è *cambiarlo*!). Scrive Lorenzo Castellani:
C'è un governo incolore, di reduci e di un partito che tiene in scacco il Paese con le proprie beghe interne, che non si capisce bene cosa stia facendo a parte l'ennesima manovra per apparare i buchi in bilancio, i partiti tradizionali non hanno più una idea che sia una per liberarsi di clientelismi, capitalismi corrotti, bande territoriali, distribuzione di marchette, oligopoli e burocrazie statali e para-statali. Le idee che li accomunano sono: tutela dei pensionati, dei dipendenti pubblici e di capitalisti amici. Un buco nero per il futuro, in pratica. È tracollato qualsiasi dibattito sulle riforme istituzionali e amministrative, mentre le istituzioni (Regioni ecc) continuano a sperperare i nostri soldi e a negare qualsiasi principio meritocratico/competitivo. I partiti anti-establishment sfruttano la democrazia delle emozioni per il proprio consenso ma la classe politica che esprimono è la più scarsa di sempre (l'unico Paese occidentale che regredisce nel livello d'istruzione dei politici), senza una visione politica ed economica, con idee strampalate e prive di fondamento reale. Gente che se va bene, una volta al governo, fa come la Raggi a Roma o Tsipras in Grecia. Contrastano un certo politicamente corretto vero, ma sostituendolo con uno nuovo. Il mondo delle imprese è sempre più (giustamente) isolato dalla politica perché tanto nessuno rappresenta chi produce davvero. La cultura è assediata da neo-superstizioni anti-scientifiche, girano per convegni e tv pseudo-studiosi che in un mondo giusto sarebbero arrestati per abuso della credulità popolare e tentata strage, l'istruzione è anestetizzata dall'egualitarismo più letale che fabbrica masse di creduloni inoccupabili, la cultura sussidiata dallo Stato con il politico di turno che decide chi fa film e spettacoli, la cultura imprenditoriale si assottiglia per i rischi regolatori e politici di fare qualsiasi cosa in Italia ed è meglio vivere di rendite finanziarie o immobiliari. Si continua con la storiella della scuola pubblica solo per conservare interessi di insegnanti e sindacati. Qualsiasi piccola riforma sensata si sfracassa sui regolamenti, i ritardi dell'amministrazione pubblica, le sentenze dei giudici. A volte uno avrebbe anche delle idee o qualche visione per l'Italia e il suo futuro, ma questo scenario fa desistere anche da scriverle. Si ondeggia così tra momentanee reazioni dettate da questa corsa verso il nulla e una profondissima indolenza rassegnata.
Il grillismo assume un senso proprio sotto questo punto di vista, e qui ci viene incontro Alfonso Luigi Marra, che già nel 1985 scrisse un lungimirante saggio intitolato "La storia di Giovanni e Margherita" sulle ragioni per le quali è così chiaro anche ai poteri, che proprio essi, gli stessi poteri, hanno dovuto creare dei loro finti "antagonisti", quelli che lui chiama le "puzzette", che certo li infastidiscono, ma hanno il cruciale ruolo di distrarre dalla soluzione razionale, che invece li distruggerebbe. La perfetta sintesi del concetto nichilista di ideologie senza senso perché usate machiavellicamente come "troian" per affermare condizioni lontane anni luce dalle credulonerie dei militanti del nulla, quelli che ripetono che viviamo sotto l’asfissiante dittatura globale finanziaria-turboliberista e bla bla bla, il cui prototipo sono notoriamente i centri sociali "okkupati" delle variopinte moltitudini desideranti che confondono il comunismo con la liberalizzazione delle droghe, con il libero godimento trasgressivo post-familiare e con la dissoluzione di ogni identità comunitaria borghese e proletaria tanto che potrebbero con diritto essere intitolati a George Soros o a David Rockefeller più che a Marx e Lenin: il loro finto ribellismo anti-borghese e di una pro-mondializzazione nascosta dietro allo slogan di "no global" è, infatti, il versante sinistro della ribellione delle élites deterritorializzate contro la vecchia cultura borghese e proletaria, in nome del capitalismo assoluto senza proletari e senza borghesi, ma solo con plebi senza diritti e senza lavoro.

"La globalizzazione liberista a destra e la globalizzazione anarchica a sinistra, marceranno separate e colpiranno unite qualsiasi programma di liberazione nazionale e sociale, infallibilmente connotato come populista” (Costanzo Preve)

Populista è chi, invece di ragionare storicizzando cause ed effetti, spara sentenze e pregiudizi da bar, basati su invenzioni demagogiche delle "puzzette" avulse dalla realtà dei fatti quando appare di tutta evidenza almeno ai più smaliziati che nella realtà si tratti di situazioni gravissime che vanno ben al di là del bieco pettegolezzo. Da cui il concetto "rivoluzione per non cambiare nulla", base del codice morale del nuovo "occidentalesimo", come Marra chiama l'attuale sistema. Un cambiamento, quello che Marra propugna da 32 anni, basato sulla scoperta del modo di formazione del pensiero di cui ai suoi libri, e che "passa attraverso il rivolgere l’analisi contro di sé per così – una volta abbattute le barriere dell’inconscio fittizio e guariti da quest’antichissimo male che è l’occidentalesimo e le sue perversioni consumistiche – poter finalmente capire chi sono davvero i nemici ed i veri mezzi per abbatterli". "Rivoluzione per non cambiare" la cui prima, grande espressione, secondo Marra, furono Lega Nord, Forza Italia, ed Alleanza Nazionale, "inventate per confondere allora l’opinione pubblica proprio come oggi i Fusaro e tanti altri, tra cui Grillo e i grillini", per fare in modo che su esse convergessero i critici (e si ricordi che Msi e Lega Nord alle elezioni del 1993 raggiunsero quasi il 50% nei rispettivi ballottaggi contro la sinistra) anzichè verso organizzazioni veramente rivoluzionarie, alternative al sistema vigente del quale (al tempo) il Pds avrebbe dovuto rappresentare il cardine (come sappiamo non andò così, per fortuna, ma non è che l'alternativa sia stata poi molto diversa). Basti solo pensare al famoso "ghe pensi mi", che rende alla perfezione il concetto espresso da Marra sui finti "incendiari" che in realtà sono pompieri travestiti. Trucchi però troppo ovvi perché possa sfuggire che "le maggioranze – benché ormai in bilico e pronte a cambiare realmente – sono colluse con i poteri, altrimenti saprebbero come respingere gli inganni". Maggioranze che fingono di non capire che la "disattenzione" verso i temi inerenti le politiche economiche ha dei motivi ben precisi, non gli specchi per le allodole come i salvataggi delle banche, anzi le perversioni della finanza sono rese possibili solo "dalla collusione di un azionariato vastissimo, una rete mondiale di centinaia di milioni di persone, magari perdenti, ma – per poco ancora – prontissime ad assistere alla fine del mondo pur di non rinunciare all’illusione di lucrare anch’esse qualcosa". Lamentandosi delle tasse e del canone rai, usati come parafulmine dal sistema stesso che li impone, per nascondere le vere aberrazioni.

"Un governo che ruba a Peter per pagare Paul può sempre contare sull'appoggio di Paul" (George Bernard Shaw)

"Puzzette" di regime che ci riempiono di "dotte", "graziose" sintesi dell’invero arcinota situazione, ma si tengono lontane dall’indicare che l’unica soluzione, secondo Marra, è "cessare di reggere la coda al mostro o, al limite, di tagliargli le unghie, e tagliargli invece la testa". In definitiva, parafrasando Marra, Grillo ai potenti taglia le unghie, non le teste. Quindi, come evitare che una torma di cittadini esasperati tenuti pervicacemente a digiuno (in senso letterale ma non solo) non tanto da qualsiasi concetto di macroeconomia ma perfino dai più elementari princìpi di giustizia sociale alla fine mettano mano ai forconi e vadano a cercare chi li ha ridotti in quelle condizioni (5 Stelle compresi, dovessero andare al governo)? La situazione caotica che vige nel movimento 5 stelle è indicativa. E da questo caos originano molte delle critiche al loro sussidio a cui hanno solo dato il nome "reddito di cittadinanza", definito dagli avversari con epiteti tipo "solenne fregatura, trait-d'union tra decretini felici e liberisti d'ogni epoca, provvidenza che segna automaticamente il destino del welfare, insieme con la legalizzazione della deflazione salariale, in un mercato del lavoro che non intacchi il principio legislativo della precarizzazione", nell'incapacità di discernere che se questa definizione può calzare con il sussidio proposto dai 5 stelle, esso non è un reddito di cittadinanza! Non è certo un caso che fin dall'inizio il dibattito sul sussidio dei 5 stelle sia stato caratterizzato da letture fintamente "meritocratiche", cioè moralistiche e punitive: chi rifiuta per la terza volta un lavoro - qualunque lavoro, a discrezione del proponente - perde il diritto all'elemosina. Chi non dimostra di cercare lavoro per tot ore al giorno, idem. Chi fa lavoretti in nero, pure. La condizionalità del beneficio è uno strumento di governo dove all'indipendenza economica si sostituisce il ricatto. La definizione e il controllo dei requisiti apre orizzonti illimitati di potere per il burocrate, il moderno dominus, che può imporre il proprio modello etico-politico e i propri interessi mediante la carota (che in realtà è il bastone) del peloso obolo ricattatorio.

"La democrazia è collettivista per natura. La democrazia consente alla maggioranza di imporre le sue idee a coloro i quali non condividono questi punti di vista. Le votazioni permettono alle persone di vivere a spese degli altri o addirittura di espropriarle. Questo crea inevitabilmente tensioni sociali e comporta la perdita di produzione. Dopo un certo tempo ogni democrazia soffre quindi degli stessi problemi del socialismo, anche se in forma più lieve: burocrazia eccessiva, stagnazione economica, perdita della libertà, centralizzazione, corruzione e conflitti sociali" (Frank Karsten)

Prima accusano il bonus cultura dei 500€ e gli 80€ di essere mancia elettorale, poi propongono un sussidio che diverso non è, chiamandolo "reddito di cittadinanza"... alla faccia dell'incoerenza. Per forza poi che i loro avversari lo denigrano come "reddito di fannullaggine" definendolo uno strumento di marketing elettorale. La proposta dei cinque stelle è in vigore da anni all'estero, Italia e Grecia sono gli unici paesi europei a non disporre di qualche forma di reddito minimo garantito. E' chiaro che il reddito minimo garantito ha, concettualmente parlando, dei limiti. Philippe van Parijs lo definisce "welfare per il XX secolo", strutturato cioè per la società del lavoro di massa del secolo scorso, ma inadatto a superare la precarietà permanente e la distribuzione sempre più diseguale della ricchezza conseguenza dell'incidenza delle tecnologie esponenziali sul sistema economico. E' per questo che Olanda, Finlandia e Canada stanno sperimentando modalità redistributive molto più radicali, il reddito di base incondizionato, che non comporta "trappole per la povertà" ovvero rappresenta un vero reddito addizionale ed inalienabile, indipendentemente da ciò a cui i riceventi intendono dedicarsi. E i trial condotti fino ad oggi in India, Namibia e Canada dimostrano chiaramente che le persone non smettono di lavorare quando ricevono questo reddito aggiuntivo. Ma lasciando stare gli esperimenti condotti con metodi dirigisti in maniera pressapochista, l'accurata dimostrazione empirica dei risultati a livello personale di un reddito di cittadinanza ce l'abbiamo già ora proprio qui a casa nostra: le pensioni per i disabili al 75%. Esse coinvolgono moltissime persone (basta anche solo un insufficienza renale, e non è nostro interesse qui ora polemizzare su questo punto), perlopiù comunque abili al lavoro e che vi si rivolgono proprio per risolvere la loro disoccupazione tramite l'inserimento nelle categorie protette. Questa pensione è di 285 euro al mese netti, che unitamente allo stipendio-tipo dei lavori in categorie protette (sui 400 euro al mese) permettono a queste persone di vivere decentemente senza doversi lamentare dell'effettiva esiguità dello stipendio da lavoro. Anche per i normo-dotati 400 euro al mese oggi sono la norma nei lavori intermediati dalle agenzie interinali, solo che loro non hanno l'integrazione dei 285 euro al mese. Ecco, sotto questa luce oggi la pensione di 285 euro può essere considerata un reddito di cittadinanza. Basterebbe estenderla a tutti. E qui nel paragone tipicamente polemico con le pensioni di invalidità abbiamo il "visto che gli italiani sono molto bravi ad aggirare le leggi e fregarsene della cosa pubblica, non c'è il rischio che poi magari possa spingere molta gente ad accontentarsi e magari con qualche lavoretto in nero riuscire tranquillamente ad arrivare a fine mese?"... il rischio??? Ma se lo scopo del reddito di cittadinanza è proprio questo!!!! Se per loro il permettere di "arrivare tranquillamente a fine mese" è male, qual'è il loro auspicio esattamente? Che la gente muoia di fame??? Ridurre le necessità, o "accontentarsi" come lo chiamano loro, ovvero non avere esigenze insoddisfatte, è male? Auspicano quindi che la gente sia affamata? E come si concilia l'accusa *di lavorare* con l'altra tipica di essere "fannulloni e parassiti che pretendono di vivere alle spalle degli altri"? Che si decidano: è male voler lavorare o voler non far niente? Come sempre, anche qui vale la canzone di Antoine, "se lavori ti tirano le pietre, non fai niente e ti tirano le pietre"... Se le leggi e la cosa pubblica sono irrazionali, se le regolamentazioni del lavoro causano problemi enormi, aggirarle e fregarsene (quello che loro chiamano "lavoro nero") non è moralmente giusto? E magari sono quelli che si lamentano continuamente delle leggi e della cosa pubblica! Che si mostrano per i forcaioli che sono coi soliti "la verità è che i furbetti lavorano in nero, dichiarano reddito zero, non pagano le tasse, piangono miseria e magari finirebbero per usufruire di questo ulteriore reddito"... a cui a questo punto sarebbe solo da rispondere ironicamente "ok, ma hanno anche dei difetti?"... mentre invece dai 5 stelle arriva sempre la solita risposta: "è prevista una sanzione pesante per chi ne approfitta ecc"... Ecco, punire, solo questo sono capaci di proporre. "Ai furbi che vengono scoperti a fare dei giochetti per ottenere 3-4-5 redditi di cittadinanza in un'unico nucleo familiare si toglie il medesimo per un anno a tutti 3, 4 o 5", "chi si dice malato e inabile a qualsiasi lavoro lo deve dimostrare con referti di almeno tre medici specialisti diversi", "quelli che sono in grado di lavorare, di poter fare qualsiasi cosa, devono farlo per almeno 4 ore al giorno per la collettività, sabati compresi", "alla terza volta che si rifiuta il lavoro collegato al reddito di cittadinanza tale reddito si toglie via", o ancor peggio "bisogna costituire un binario differente per i cittadini con precedenti penali escludendo quelli che hanno scontato lunghe pene detentive per omicidio volontario, tentato omicidio, rapina e sequestro di persona", tanto per far si che la povertà non li costringa a reiterare i reati... E allora eliminiamo anche l'assegno di invaliditá perché c'è chi se ne approfitta, eliminiamo i bonus luce gas e affitto perché c'è chi lavora in nero. Che cazzate! Aboliamo anche la carità, allora... Non sono molto diversi dai loro avversari, quelli che "invece di impiegare enormi quantità di denaro pubblico sui sussidi si dovrebbero impiegare per ridurre il carico fiscale e favorire le assunzioni" e "il compito dell'amministrazione pubblica non è dare lavoro, è creare le condizioni affinché i privati possano dare lavoro"... ma se il problema non è ancora risolto (e con questi al governo non lo sarà mai), cosa fa intanto la gente? Crepa???!!! Certo chissenefotte di chi manda i propri figli a mangiare dai nonni mentre i genitori quando mangiano lo fanno una volta al giorno. A questo punto meglio sarebbe aumentare le pensioni allora, così i nonni dei disoccupati, ricevendo più soldi, potrebbero dare paghette più sostanziose di quelle attuali ai nipotini. Si, ma chi un nonno non ce l'ha? Il confronto non è tra il 5 stelle ed un convento di verginelle votate a Dio ma tra una forza politica certo ingenua ed inesperta ma nata con buone intenzioni ed una classe politica che, negli anni, ha dimostrato ampiamente di essere inetta ed incompetente sotto tutti i punti di vista, corrotta, senza onore e strafottente verso i bisogni dei cittadini (se così non fosse il 5 stelle neanche avrebbe ragione di esistere), branco di lupi famelici, con la pancia strapiena ma sempre più voraci... chiamati popolarmente "CASTA". Di cosa ci vogliono convincere? Non c'è nessun presupposto per avere ancora fiducia in un sistema e in una classe politica che SE NE FOTTE dei cittadini, che predica bene e razzola male, che parla A NOI di stringere la cinghia dall'alto dei loro stipendi di 10 mila e passa euro, con indennità e rimborsi spese di ogni tipo, vitalizi a 40 anni che vanno in eredità. E come una presa per il culo sempre a promettere di ridurre i costi della politica... ma di cosa ci vogliono convincere?! Quelli che sono contro il reddito di cittadinanza sono coloro che un posto lo hanno ottenuto chissà come e se ne fregano degli altri... l'Italia è una repubblica fondata sull'egoismo e sulla petulanza. Qui non si tratta di trovare un modo per poter ricevere il reddito di cittadinanza, purtroppo non c'è lavoro e i pochi che ne hanno uno vero sono fortunati perché conoscono politici o parenti e sono raccomandati! Tutti gli altri lavorano solo per qualche mese e la gente preferisce lavorare che avere un sussidio, ma se non si trova nessun lavoro e hai una famiglia da mantenere bisogna lasciarli morire di fame? Per chi? Per quei parassiti che si arricchiscono sfruttando le leggi assurde del governo con voucher o contratti in somministrazione o tirocini per poi riciclare i dipendenti in continuazione, mentre le imprese vengono talmente tassate e multate per cose assurde per poi non pagare i dipendenti e fallire!! "Non credo che gli italiani siano pronti ad una cosa così, gli italiani si sa, sono un popolo di furbi, una cosa così farebbe fregare le mani a molti indolenti che non aspettano altro che una nuova forma di assistenzialismo da sfruttare, cucendosi addosso questo nuovo abito a misura o peggio facendolo fare ad una persona vicina con i requisiti", "questa proposta invece di stimolare la creatività produttiva andrebbe a stimolare la creatività del faccio meno tanto c'è chi pensa per me"... no, le persone vanno stimolate ed incentivate a tirar fuori il meglio di se, certo, e credo pure che abbiamo molto da offrire, basta semplicemente non tartassare chi i parametri produttivi di crescita li ha, li sta mantenendo, sta generando assunzioni, il suo prodotto è a basso impatto ambientale, rispetta il posto in cui vive, è troppo ovvio? Che chi è dentro a tutti questi parametri debba pagare meno tasse? Difficile da applicare per un commercialista nuovi parametri da far rispettare al suo cliente? Appena un ragazzo dopo aver studiato è laureato e cerca di creare una attività in proprio superando le mille barriere frappostegli, lo stato è subito pronto a studiare come portargli via tutto ciò che guadagna. Oggi con la tassazione che c'è in Italia qualsiasi attività o iniziativa è diventata fallimentare. Conoscete politici che abbiano investito i loro soldi in qualche attività lavorativa? A parte gli avvoltoi che circondano le municipalizzate in attesa del via per poterle spolpare. È una vera tristezza ma se le leggi non cambiano non cambierà mai nulla! La colpa non è del cittadino che andava in pensione dopo 15 anni di contributi, ma delle leggi che lo permettevano. Se un governo mette in pratica leggi sbagliate senza rispondere dei danni che arreca, possiamo sempre noi cittadini addossarci le colpe? Soprattutto le generazioni che sono succedute! Io più che mentalità truffaldina sono preoccupato dell'egoismo che c'è in Italia, di quelli che hanno lavoro! Vorrei vederli se (o meglio, quando) lo perderanno e rimarranno col culo per terra e senza aiuti senza alcun sostegno! Alla faccia del loro egoismo! E, oltre al danno la beffa, sentirmi rispondere che non devo criticare quelli che lavorano "per me"... quando le pagine dei 5 stelle sono impestate di abituè che non fanno altro che attaccare e dileggiare chi chiede il reddito di cittadinanza, che nemmeno capisco quale sia l'interesse... ma cosa li spinge a farlo? Posso capire una volta, ma sempre sempre e sempre...??? E con le stesse medesime cazzate ogni volta, almeno variassero repertorio. Anch'io a volte scrivo critiche nelle pagine altrui, ma solo quando mi capita di leggerle casualmente, non in un modo così persistente che indica che le si segue appositamente! Ma come si permettono di giudicare chi è rimasto senza lavoro? Non bastano i problemi che si devono affrontare. Ci mancano anche i coglioni che certamente un lavoro ce l'hanno ancora e si prendono il diritto di giudicare chi non ha la loro fortuna. Magari si credono pure sagaci a rispondere "i soldi ci sono e sono di chi ha un lavoro". Parlare con frasi fatte è da persone senza esperienza su quello che pretendono discutere. E poi, lasciatemi dire, lezioni dai carnefici non le accetto. "Perché c'è gente che si uccide di lavoro, emigra, si specializza, inghiotte bocconi amari pur di lavorare mentre altri devono ricevere un regalo gratuito pagato con il sudore della mia fronte!! Spiegamelo, perchè???!?"... ma certo che bisogna essere proprio auto-lesionisti per fare una domanda la cui risposta è nella domanda stessa! Perchè chiede... serve veramente spiegarglielo??? Per fare in modo che la gente non debba più uccidersi di lavoro, emigrare, e inghiottire bocconi amari pur di lavorare!!!!! Ecco perché!!! Quelli che fanno certi commenti se stavano con le pezze al culo vedevi come invocavano di "ricevere un regalo gratuito pagato con il sudore delle fronti" questi che oggi dicono "basta con le leggi per mantenere i fannulloni"! Visto che adesso ritengono che il lavoro ci sia per tutti e lo stipendio pure, "nei musei, nei parchi, negli ospedali, nei boschi e nei torrenti", cosa ne direbbero di cedermi il loro e trovarsene un altro? Visto che secondo loro è tanto facile. No perché io questo mondo delle favole come lo descrivono loro non lo vedo proprio! Certo, domani vado in un ospedale e mi metto a spazzare per terra, per l'esattezza nel reparto di psichiatria così non ci sarebbe nemmeno il bisogno di un TSO, sarei già lì, mi porto pure il pigiama. Con l'automazione che imperversa e regola sempre più la nostra vita, con risvolti positivi da un lato e negativi dall'altro, il reddito di cittadinanza è destinato inesorabilmente a diventare lo strumento fondamentale per dignità e sopravvivenza a quei cittadini cui viene impedito di trovarsi uno spazio nella società, che rischiano la povertà e l'emarginazione. È una tappa obbligata che incontra ancora delle resistenze solo perché chi vi si oppone alla sua realizzazione teme di perdere i propri privilegi. Il reddito di cittadinanza in questo paese di lecchini e ruffiani senza dignità non conviene a nessun partito... dovrebbero chiudere i propri uffici e sindacati... luoghi dove vanno a piangere e leccare i cittadini per un posto di lavoro o per i loro "diritti"... quindi voti sicuri che si perdono se viene attuato il reddito di cittadinanza. Ma con quella cazzata del sussidio 5 stelle siamo alle solite pratiche liturgiche e alla medesima propaganda, che ben abbiamo imparato a conoscere e interpretare, nell'operato di governo dell'ex premier. No perchè se è cosi è inutile sbandierarlo come un sostegno per disoccupati e povera gente che si aggrappa a sogni irrealizzabili, sennò è la solita fumosa speranza illusoria ed allora non è tanto diverso da ciò che criticano, tanto che fa bei titoli e poi vai a leggere bene la legge ed è la solita fregatura che con una sfacciataggine inaudita, pensano di fare passare come finissimo cioccolato svizzero, ciò che invece assomiglia di più ad una puzzolentissima merdona. Hanno criticato Renzi per gli 80 euro e poi vogliono elargire assistenzialismo senza nemmeno sapere come fare e con la pretesa di riuscire a proporre tre offerte di lavoro ad ogni disoccupato... Stanno facendo fiasco ovunque perché sono purtroppo incapaci di capire che bisogna mediare e non sempre e solo contestare tutto quello che fanno gli altri che è per loro da buttare. Un manipolo di persone che gridano e creano solo confusione ma senza concludere niente di niente. Vittime del loro fanatismo hanno una visione delle cose talmente approssimativa ed ignorante che si contraddicono in continuazione. Da un lato piangono quando si parla di bail-in e di risparmiatori/obbligazionisti che pagano il conto delle banche che saltano, dall'altro se lo stato interviene ad arginare queste situazioni protestano perché "favoriscono i banchieri". Ragazzi miei, delle due sceglietene una!! Più che di riforme, questo Paese appare sempre più bisognoso di una totale rivoluzione copernicana!

"Votano, e in questo modo creano il problema. E hanno pure il coraggio, dopo, di lamentarsene. E' come darsi la martellata sui coglioni e dare la colpa al martello" (Clouds Walden)

Il problema è infatti l'opposto esatto: nell'immediato futuro il grande disaccoppiamento della produttività dei salari mediani inizierà a trasformarsi in disoccupazione tecnologica strutturale (d'altra parte gig economy, mini job e voucher possono coprire il fenomeno fino ad un certo limite), parliamo di una perdita di decine di milioni di posti di lavoro in base alle stime degli istituti più qualificati. Quindi, è evidente che avremo una percentuale consistente della popolazione attiva che non sarà più occupata in forme di lavoro salariato, non importa se vorrà o meno lavorare, per cui preoccuparci dell'offerta di lavoro é decisamente l'ultimo dei nostri problemi. Quanto poi alla così detta questione etica, non esiste, si tratta solo della proiezione valoriale della società del lavoro di massa, ma la società cambia con il mutare dei modi di produzione, e con essa i suoi valori e la sua etica. Quanto alle motivazioni "psicologiche" sono prive di qualsiasi fondamento, e lo dimostra la vita piena di interessi della classe abbiente, che già oggi non è sottoposta al ricatto salariale. Per accontentare le persone che si dichiarano contrarie al reddito di cittadinanza e anche in ossequio all'ipocrisia potremmo creare tanti e tanti posti, come quelli che chissà quanti di loro stessi già occupano. Posti che si dicono di lavoro, ma in realtà sono posti e basta. Posti nei quali si morirebbe di noia se non si fuggisse subito dopo aver timbrato il cartellino. Posti conquistati chissà come e chissà a che prezzo. Forse giocando a calcetto. Ma come si può non capire che prima dei diritti dei lavoratori (ovvero di chi il lavoro ce l'ha) ci dovrebbe essere il diritto di ognuno a poterlo avere un lavoro; e che prima del diritto al lavoro viene il diritto di vivere, e dignitosamente qualora ve ne sia la possibilità (ed oggi c'è eccome), apposta per cui si presta il proprio tempo ad altri. Quindi quando e se occupazione non ce n'è per tutti, avere comunque riconosciuto un reddito di base che permetta agli uni di continuare a vivere onestamente e agli altri di sentirsi più sicuri nelle strade e nelle proprie case. Oppure... ma si dai lasciamoli morire di fame sti disoccupati fannulloni di merda specialmente chi ha superato la cinquantina. Poi se uno di loro sbrocca e ti stacca la testa per rapinarti che ce ne frega. Inaspriremo le pene, innalzeremo muri, metteremo telecamere ovunque, e chiederemo il porto d'armi per tutti e l'impunità per legittima difesa, di giorno e di notte; come in Venezuela, dove anche i preti girano con la pistola in tasca... li si che si sta da dio!

"L'estensione dello stato causa la proliferazione delle leggi; la proliferazione delle leggi causa la moltiplicazione degli illeciti, reali o potenziali; la moltiplicazione degli illeciti causa infine, prima la diffusione e poi la banalizzazione dei crimini. Lo stato non è più la soluzione dei problemi ma diventa il problema" (Giulio Tremonti)

Ha ragione Alessandro Catanzano quando scrive: "Adesso i giornalisti si accorgono che in Venezuela c'è un problema. Ma le parole socialismo, stato, non vengono nemmeno pronunciate. Per confondere usano dittatura, dittatore, esercito". Normale, in un mondo dove chi è la causa di un problema, si scaglia contro i mulini a vento chiedendo di aumentare le misure che dei problemi ne sono la causa stessa e che non possono che andare a peggiorarlo ulteriormente. Oggi è di moda accusare il liberismo o come lo chiamano loro il "neo-liberismo". Ma dove starebbe sto "liberismo"???? Dove lo vedono il liberismo in questo sistema dominato dal lavorismo dirigista???? Ancor'oggi un paese come l'Italia è mezzo comunista: il 50% è direttamente spesa pubblica, a questo si deve aggiungere la maggior parte delle banche e delle cooperative controllate più o meno direttamente, le municipalizzate che qualcuno chiama ex ma che sono ex manco per il cazzo perché il fatto che siano state trasformate in società per azioni se poi le azioni sono possedute quasi per intero dagli enti pubblici funge solo da sotterfugio con lo scopo di far passare per "privatizzazione" la neo-patrimonializzazione della classe politica (o "boiardizzazione" potremmo definirla), cioè il tentativo di accaparramento dell'attuale patrimonio pubblico tramite operazioni di insider trading da parte dei politici "furbetti del quartierino" ad "amici" prestanome, traffico la cui scoperta e relativi scandali ha di fatto bloccato ogni ulteriore possibilità di cessione di azioni ai privati. In più le maggiori imprese quotate in borsa controllate dal pubblico (ENI, Snam, Terna, Enel, Leonardo Finmeccanica, Poste, Snam, Italgas, Alitalia, Rai, ecc, ecc). Ed il restante 50%, il settore privato, è comunque ostaggio di questi dementi tramite imposizioni draconiane il cui caposaldo è il famigerato statuto dei lavoratori. E come dice Carlo Lottieri, se ora l'esecutivo salverà 13mila posti di Alitalia, sarà solo per bruciare risorse che - qualora lasciate nelle tasche di chi le ha prodotte - con ogni probabilità potrebbero crearne molti di più (teoria dell'equilibrio economico generale). Una delle ultime battaglie di retroguardia è stato il "no" al lavoro festivo, conseguente alla pretesa d'imporre a tutti come devono vivere.

"Egoismo non è fare quel che si vuole, ma pretendere che gli altri facciano quello che vogliamo noi" (Fulvio Rossato)

Si vive in un paese metà sovietico ma per qualcuno il problema è il liberismo. Turbo, o neo, ovviamente. Ma dove cazzo lo vedono???? L'ultimo residuo di liberismo in Italia è caduto assieme al governo Tambroni nel 1960. Il liberismo persiste ancora solamente nei camion che trasportano acqua su e giù per la penisola. Da decenni viviamo in un sistema dominato dalle filosofie economiche keynesiane di stampo lavorista dell'osservanza nordista, avviato da Alberto Beneduce nel 1933 per tenere in vita artificialmente aziende moribonde salvandole dal fallimento contrariamente ad ogni buon senso ("mano invisibile") che vuole che se una produzione è in perdita, essa cessi per lasciare risorse ad altre evidentemente più utili anziché permetterle di sprecare inutilmente a loro scapito. Un sistema che stava per essere abbandonato con Einaudi e Fanfani ma che purtroppo grazie a Gronchi e Saragat non solo fu perpetuato ma anzi divenne il cardine stesso dell'economia italiana prima con Enrico Mattei e Felice Balbo e poi con il centro-sinistra che cercò di applicarlo non solo ad aziende già decotte di suo ma perfino di rovinare quelle sane, e ci riuscì con l'industria elettrica (col simbolico suggello della tragedia del Vajont) ma per fortuna furono fermati da Antonio Segni e da Giovanni De Lorenzo prima di poter continuare nella loro opera col sistema bancario, assicurativo, e l'industria saccarifera. La follia pubblicizzatrice ricominciò tra il 1975 ed il 1978 con le municipalizzazioni dei servizi che ancor oggi non solo ci ritroviamo sul groppone ma siamo perfino impossibilitati a privatizzare a causa degli avvoltoi ("amici di amici" in collusione coi boiardi che ora le gestiscono) che da anni circondano le carcasse in attesa del via libera, la strada auspicata dai cosiddetti "neo-liberisti" per porre termine all'"era della stupidità" keynesiana ed il ritorno al liberismo, tuttavia i tentativi compiuti negli Usa da Reagan e in Gran Bretagna dalla Thatcher non fanno certo ben sperare, ed effettivamente le proposte precise dei neo-liberisti odierni (gli "evasori del canone rai") non sono certo esempi di lungimiranza... non vanno molto oltre le "supply side" reaganiane-thatcheriane che senza le necessarie compensazioni sono chiaramente fallite e ciò è innegabile (altrimenti non sarebbero state abbandonate...). Per questi motivi sarebbe ora di proporre si le loro politiche fondamentali liberiste, ma dotate delle adeguate compensazioni, e puntualizzare che non c'è da inventarsi nulla dato che già da 100 anni esiste una teoria economica consistente in "liberismo compensato" ed è il DISTRIBUTISMO. Il fondamento del distributismo è sicuramente quello di "supply side" cioè di economia da stimolare dal fronte dell'offerta (come se fosse un opinione e ci fossero alternative sensate poi...) fondata sulla legge di Say e quindi la teoria degli sbocchi: ogni cosa messa in vendita viene venduta (la domanda si adegua all'offerta), e se ciò non avviene è solo a causa di variazioni artificiali dell'offerta (imposte, dazi, ecc). Il distributismo identifica nella questione della distribuzione il cardine dell'economia, ove vi coniuga i 4 criteri condizionali: Ognuno di essi singolarmente provoca disservizi e/o ingiustizie nell'allocazione. Il distributismo risolve semplicemente tutti questi 4 criteri che gli altri sistemi hanno lasciato finora irrisolti. Unica soluzione, il distributismo, che è nè più nè meno che liberismo compensato, come il "capitalismo del popolo" di Kelso, che è esso stesso fondamentalmente distributismo. In alternativa al liberismo senza compensazioni e al lavorismo keynesiano. Il distributismo è il capofila di tutte quelle ideologie politiche cosiddette "interclassiste" che mettono la produzione al centro. Se manca il lavoro e se anche quanti hanno un'occupazione spesso possono contare su retribuzioni modeste, questo si deve al fatto che lo Stato pesa come un macigno sull'economia: esso sottrae un'enorme quantità di risorse e, oltre a ciò, impedisce quello sviluppo dei rapporti contrattuali che è alla base di ogni crescita. Avere eliminato i voucher, ad esempio, renderà ancora più difficile la vita di tante imprese e ostacolerà ancor più quanti cercano di guadagnarsi da vivere. Se il miglioramento delle condizioni di vita deriva sempre e soltanto dalla libera inventiva, dall'impegno e dal moltiplicarsi degli scambi, in questi anni i governi (spesso subendo i diktat sindacali) hanno fatto quasi tutto il possibile per impedire la crescita. Indicativo è il ribaltamento dei concetti domanda/offerta di lavoro, come se "il lavoro" venisse inteso come qualcosa che oggettivamente qualcuno "ti dà" quando invece è l'opposto, è la forza-lavoro che mette a disposizione soggettivamente il proprio servizio a chi ne ha necessità e per questo è disposta a scambiarlo con reddito; questo stravolgimento viene solitamente definito come un errore veniale, ed invece è molto indicativo della cognizione sballata che vige sul lavoro, cognizione tipicamente lavorista e che si esplica poi nel definirlo "un diritto". Come tutti i beni anche la domanda ed offerta di prestazione d'opera può essere illustrata genericamente dalle linee in un grafico, con quella dell'offerta (cioè il prezzo al quale una data quantità di persone è disposta ad offrire il proprio servizio) ascendente e quella della domanda (cioè il prezzo al quale chi necessita di un servizio ha la possibilità di utilizzare una determinata quantità di unità) discendente; il punto in cui si intersecano è quello in cui le due propensioni incontrandosi determinano il prezzo e le unità utilizzate, detto in questo caso "salario di equilibrio"; quando esso corrisponde all'utilizzo di tutte le unità disponibili si dice che "si trova all'ottimo paretiano"; più la linea dell'offerta è alta rispetto a quella della domanda e meno possibilità ci sarà di ottenere unità da parte della domanda, e meno possibilità di essere utilizzate da parte dell'offerta, e viceversa; quindi qualunque spostamento artificiale compiuto dall'esterno ("esternalità") va ad incidere su tale equilibrio. Le imprese sono disposte ad assumere un elevato numero di lavoratori se i salari sono bassi, mentre in presenza di salari alti ne assumono meno. La fissazione legale della posizione delle linee (prezzi minimi o massimi fissati per legge), o un apposizione arbitraria di costi, o viceversa di incentivi; tali azioni vanno a spostare le linee, con il risultato di sballare l'equilibrio naturale spostandolo su una posizione di squilibrio; l'area tra esse corrispondente al numero di unità inutilizzate rispetto a quella naturale è detta "perdita secca".

“La ricerca della giustizia sociale è il maggiore ostacolo all’eliminazione della povertà ed è il cavallo di troia del socialismo” (Friedrich von Hayek)

Oggi le imposte ed i contributi obbligatori ("cuneo fiscale") applicati al costo del lavoro innalzano artificialmente la linea dell'offerta, col risultato che essendo più costosa meno unità può ottenerne chi richiede il servizio, con le relative conseguenze che non potendo utilizzare tutte le unità disponibili, alcune di esse rimangono inutilizzate; nel caso in questione trattandosi di persone umane, la perdita secca prende il nome di "disoccupazione". Ovviamente a rimanere inutilizzate saranno le unità più costose ovvero quelle meno produttive (cioè quelle che a parità di costo producono meno o a parità di produzione esigono un salario più alto), allo stesso modo in cui, per fare un esempio, ad essere sfruttati per primi sono i giacimenti di petrolio superficiali e solo come ultima istanza si ricorre alle sabbie bituminose. Ma se l'inutilizzo immediato di un deposito di sabbie bituminose in assenza di necessità non provoca alcuna perdita, l'inutilizzo di una persona determina che quella persona non avrà un reddito che gli è necessario in maniera continuativa poiché la persona non si può spegnere o accantonare come scorta in attesa di utilizzo, ma necessita di un sostentamento continuo. Alzare la linea della domanda o abbassare quella dell'offerta fino a farle intersecare all'ottimo paretiano determina il completo utilizzo di tutte le unità disponibili; ora, la linea della domanda non è realisticamente spostabile (solo costosissime sovvenzioni possono farlo) poiché i beni non sono un opinione e sangue da un muro non si può cavarne nel momento in cui tutti gli altri costi sono fissi. La scarsità di domanda non esiste, esiste la scarsità di domanda ai prezzi che l'offerta esige, solitamente perché su di essa gravano esternalità. Costi troppo alti, fanno abbattere la domanda perché richiederebbero prezzi fuori mercato. La scarsità di produzione è solo una conseguenza, anche scontata della cosa. In altri paesi invece, siccome i costi sono bassi, la domanda di beni non è crollata e quindi nemmeno la produzione. Ma i costi sono bassi perché non hanno la spesa pubblica italiana e imposte applicate in maniera irrazionale. La linea della domanda perciò non si può abbassare, si può abbassare solo quella dell'offerta, e per farlo basta semplicemente eliminare i costi spurii quando esternamente appostivi, perché sono essi ad alzarla artificialmente. Lo stesso detto sopra riguardo la cognizione sballata che vige sull'interpretazione del lavoro si riperquote nell'interpretazione di un erogazione reddituale fornita senza condizioni a tutti. Si consideri poi che un reddito di base determinerebbe una riduzione dell'inclinazione della curva dell'offerta nel verso di una sua maggior orizzontalità, con il fulcro nel punto in cui il reddito complessivo viene mediamente ad uguagliarsi. Per cui con l'abolizione delle esternalità, la compresenza di un reddito di base permetterebbe di eliminare totalmente la disoccupazione involontaria, semplicemente adeguando all'uopo la sua entità appositamente al livello che mostri di ottenere un grado di inclinazione che faccia corrispondere l'intersezione tra le linee all'ottimo paretiano (100% di occupati, e tra tutte una cifra che lo determini c'è, non è solo un ipotesi accampata come speranza, è semplicemente matematica). Si consideri che una disoccupazione ufficiale del 12% corrisponde ad una reale del 20% almeno ("inattivi" o "scoraggiati").

basic income

Come capirete questa è una generalizzazione macroeconomica caratterizzata da un alta varianza. Il computo è teorico poiché ci sarà sempre una certa percentuale di incollocabili, ma essendo ridotti a quantità minime sarebbe possibile impiegarli tutti da parte delle istituzioni come datore di ultima istanza in lavori a regia; a quel punto la disoccupazione si ridurrebbe solamente ai tempi di attesa di prima occupazione terminata la scuola (tempi ridotti praticamente a zero dato che coinciderebbero con l'esaurimento annuale delle liste), ai tempi tra una nuova assunzione, al rientro nelle liste di incollocabilità (lavori a regia), e in quella volontaria. Partendo dal presupposto che la riduzione ceteris paribus degli orari di lavoro è possibile solo al raggiungimento dell'ottimo paretiano ovvero letteralmente quando non c'è niente di più da poter fare, viene spontaneo porsi la domanda: dato che oggi di cose da poter fare ancora ce ne sono eccome, allora cosa limita gli orari di lavoro anche laddove non ci sono leggi ad imporli? Semplice, il costo di opportunità sulle ulteriori ore lavorabili aggiuntive chiamato "legge dell'utilità marginale decrescente" o "legge dei costi marginali crescenti". Al che un altra domanda sorge spontanea: perchè allora invece di utilizzare solo le ore più utili di tutti, vengono spremuti fino al limite estremo dell'utilità meno persone possibile al contempo perfino sprecando le intere ore utili di tutti gli altri? Per le esternalità appostevi, ovvero contributi e imposte sui redditi, che vanno ad aumentare artificialmente il costo degli interi orari in maniera aggregata andando ad appianare artificialmente l'opportunità percepita di ogni unità oraria (cioè non permette variabilità delle linee di domanda/offerta a seconda dell'orario, che restano fisse indipendentemente da tutto). Una situazione normale vorrebbe invece che l'utilità marginale decrescesse progressivamente, cosa che le esternalità impediscono, determinando proprio la situazione nella quale chi utilizza la manodopera sia costretto a spremerla il più possibile, e la manodopera è costretta a spremersi il più possibile (perché le frontiere dell'opportunità sono spostate artificialmente dall'appianamento delle utilità). L'abolizione delle esternalità determinerebbe proprio la diminuzione del costo di opportunità della prima unità oraria ed un aumento progressivo delle ulteriori ore, ovvero rimetterebbe le frontiere sul loro punto di equilibrio naturale variabile, e quindi ristabilirebbe l'utilità decrescente; ora, nonostante la percezione così sia variata, l'uniformazione dei salari orari dal lato della domanda, come potrete capire non permetterebbe comunque di comportare modifiche reali sugli orari, per cui vi chiederete a che pro... certamente, se così fosse, ma consideriamo una contemporanea introduzione di un reddito di base che in quanto base reddituale renderebbe più conveniente la rinuncia alle ore aggiuntive la cui opportunità sarebbe percepita come più costosa rispetto ad oggi dall'eliminazione delle esternalità che oggi le appianano. Ora, essendo ciò regolato comunque dalla legge domanda/offerta, non permetterebbe comunque la diminuzione ceteris paribus degli orari (perchè il risultato sarebbe solo la variabilità delle linee di domanda/offerta a seconda dell'orario ossia l'aumento di salario delle ore aggiuntive), ma eliminerebbe totalmente la disoccupazione (perché ad essere maggiormente convenienti sarebbero le prime ore lavorate di chiunque) con la conseguenza, come detto non di una riduzione di orari, ma ceteris paribus aumento di produttività e di produzione che potrebbe essa portare al raggiungimento dell'ottimo paretiano e quindi alla naturale diminuzione degli orari di lavoro. Mi rendo conto che è un discorso intricato, ma è il massimo della semplicità con cui lo si possa spiegare, però credo che il senso dovrebbe essere chiaro a tutti.
E proprio in relazione a ciò colgo l'occasione ora per chiarire (pazzesco doverlo fare!) che questo è il modo in cui sarebbe eliminata la disoccupazione, non "costringendo la gente" a fare qualcosa che essa stessa già vorrebbe fare ma non gli viene consentito, critica che lascia intendere che la disoccupazione di massa sparirebbe se tutti accettassero di lavorare in qualsiasi condizione (che nemmeno mi capacito da quale folle logica possa saltare fuori questa interpretazione), a causa dei "diritti" altrui, accusa mossaci da gente per la quale evidentemente, e non si sa secondo quale logica, la disoccupazione sarebbe causata... dai disoccupati stessi (da loro evidentemente giudicati come persone che a lavorare bisogna costringere, se non fosse chiaro il senso, che il lavoro non ce l'hanno perché non lo cercano, non quindi che lo desiderano ma non lo trovano poiché semplicemente non c'è, non per altri motivi, definizione stessa del termine)!!! Per cui oggi con un reddito di base di 0 (non esistendo) secondo loro non si è costretti dal bisogno a dover lavorare (come se questa possibilità dipendesse dalla propria volontà poi), ma invece con 320 lo si sarebbe! Ma secondo loro, anche fosse, la costrizione della necessità creerebbe di per sé nuovi posti di lavoro???? Se voi trovate normali simili ragionamenti, io li trovo semplicemente pura follia. Domenico De Masi (autore del libro “Lavorare gratis, lavorare tutti”, nel quale propone le modalità con cui costringere il mercato del lavoro a impiegare tutti i disoccupati) fa notare che siamo in presenza di una mutazione epocale per cui riusciamo a produrre sempre più beni e servizi con sempre meno lavoro umano, eppure si imputa ai disoccupati il peccato della loro disoccupazione come se, avendo voglia di lavorare, tenessero a portata di mano un ottimo posto di lavoro che si ostinano colpevolmente a rifiutare. E, a furia di essere considerati colpevoli, finiscono per sentirsi colpevoli anch’essi, succubi di un’alienazione che inclina alla depressione. Indurre alla vergogna i disoccupati e i loro familiari è un capolavoro del capital-sindacalismo perché tramuta la rabbia in rassegnazione e garantisce pace al sistema. Come dice sempre De Masi, nessuno ha deciso la propria nascita e tuttavia, secondo questo sistema implacabile, dopo essere nato, ognuno deve dimostrare di meritare la vita. Non “ognuno”, a dire il vero. Perché vi è un’infima minoranza che detiene privilegi di ricchezza, potere e sapere mentre la quasi totalità è tenuta a dimostrare giorno per giorno, attraverso il lavoro, la propria utilità al sistema, cioè al profitto. E se il sistema del profitto gli toglie il lavoro, cioè l’unica condizione necessaria alla sopravvivenza, impedendogli così di dimostrare la propria utilità, non è il colpevole sistema che deve vergognarsi ma il disoccupato incolpevole. Per alimentare questo paradosso, si perpetua una teatrale messa in scena che va dalle pompose proclamazioni costituzionali (“L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”) alla pretesa burocratica che milioni di disoccupati dimostrino agli uffici di collocamento, almeno una volta l’anno, di avere effettuato la ricerca “effettiva e permanente” di un lavoro che non troveranno mai per il semplice fatto che non esiste. E in questa farsa perversa che non si riduce sono alle aberrazioni uscite dalle bocche della Fornero e di Poletti si consuma l’esclusione, la decadenza, il confino, la deportazione di milioni di uomini e donne cui si chiede letteralmente di scomparire dalla società, di stare buoni nelle periferie sociali, di non osare proteste, di accucciarsi nel cantuccio riservato agli scarti umani, di convincersi che si è esodati non solo dal lavoro ma anche dalla vita, cioè superflui, dal momento che è inutile vivere se non si è vantaggiosi per il profitto. Venti anni fa la scrittrice francese Viviane Forrester pubblicò L’"orrore economico", un libro sul declino del lavoro che destò una forte impressione e provocò una discussione accanita in tutta Europa. Poi, come il libro stesso aveva previsto, le sue accuse caddero nel dimenticatoio e si tornò a parlare di lavoro con le menzogne di sempre. Quel libro è stato profetico e i venti anni trascorsi dalla sua pubblicazione ne hanno confermato la forza. Benché la tragedia che esso profetizzava sia ormai viva e terribile sotto i nostri occhi, tuttavia continuano imperterrite le sue mistificazioni. Ormai il libro è introvabile nelle librerie. Ci sono perciò buone ragioni per riprendere le idee che la Forrester espose con forza nel suo libro. Il titolo – L’horreur économique – è esso stesso un grido che prende spunto da tre versi di Arthur Rimbaud: “Al riparo dai nostri orrori economici – egli freme al passaggio – dei cacciatori e dei barbari…”. In cosa consiste questo orrore? Consiste nel fatto che tutta la nostra ricchezza, il nostro prestigio, la nostra rispettabilità, le nostre opportunità, le nostre tutele, qualsiasi forma di sopravvivenza, derivano dal nostro lavoro. Ma il lavoro viene negato a un numero crescente di persone che, per questa deprivazione, sono gettati nella disperazione. La mancanza di lavoro non dipende da chi non ce l’ha, e tuttavia gli viene imputata come se fosse colpa sua. Una colpa di cui vergognarsi. Ogni giorno ci viene raccontato che la disoccupazione è effetto di una crisi passeggera ma, nei fatti, la crisi non passa e, anche se passasse, nessuno ci assicura che, con essa, cesserebbe anche la disoccupazione perché non è detto che gli imprenditori, avendo più soldi da investire, assumano lavoratori piuttosto che ricorrere ai robot. E mentre vengono contrabbandati come rimedi i più astrusi sotterfugi (come il Jobs Act o i voucher) di cui ormai conosciamo tutta l’inefficacia, mentre vengono esibite statistiche ridicole (come un incremento dello 0,2%) di cui è lampante la futilità, milioni di persone si macerano in una sofferenza sorda, acuita dalla vergogna per il fallimento, benché incolpevole. Una vergogna che coinvolge, insieme al disoccupato, anche i suoi familiari: la madre che si umilia a implorare un lavoro purchessia per la propria figlia; il padre che inventa scuse penose per nascondere a se stesso e agli altri la disoccupazione del figlio. Chiaramente nello scenario attuale uscire da quella che continua a essere chiamata crisi ma che, per De Masi, è il preludio della fine del nostro sistema economico così com'è, con le scelte che continuano ad essere portate avanti è utopico.

"La libertà, come tutti sappiamo, non fiorisce in un paese che sta sempre sul piede di guerra, o che si prepara a combattere. Una crisi permanente giustifica il controllo su tutto e su tutti, da parte del governo centrale" (Aldous Huxley)

Scrive De Masi che "a questo punto dobbiamo scegliere: piena occupazione oppure pieno progresso tecnologico? Comunque si sta parlando in via teorica, la realtà è questa: l' attuale ordine sociale collasserà nel medio termine, nessuno ha un piano b quindi ci saranno disordini e violenze, guerre, una drastica riduzione della popolazione ed i superstiti torneranno a fare i contadini, gli allevatori, i cacciatori, gli artigiani, i soldati e le prostitute. Che vi piaccia o meno". La crisi della quale convenzionalmente si data l'inizio nel 2008 ha un solo responsabile: l'assenza di un reddito di base! E la sua introduzione è l'unico modo con cui non solo far finire tale "crisi", ma proprio portare il sistema economico stesso sui binari di una normalità che non è MAI esistita! La compressione salariale e' dovuta alla artificioso aumento del costo del lavoro (tramite tasse sul lavoro e vincoli demenziali), il che fa si che parte dell'offerta rimanga insoddisfatta. L'assunto più illogico ed ignorante a contestazione è: non si può ottenere una crescita infinita in un pianeta finito. Tutto ciò descrive la limitatezza di una tale visione: la capacità di combinazione tecnologica delle risorse genera un aumento dell'output con il medesimo input. Detto in parole povere faccio di più con meno risorse. Gli attuali strumenti di misurazione del valore economico sono totalmente inadeguati e imprecisi, questo perché non c'è un fine logico-scientifico. Al diminuire della quantità di risorse in un sistema, aumenta il prezzo, dunque diminuisce il consumo ed il bisogno rimanente genera nel mercato spinta innovatrice alla ricerca di nuovi metodi di combinazione delle risorse. È vero che stiamo danneggiando il pianeta, ma la risposta non è certo la decrescita felice, perché oltre ad essere un concetto ingenuo è anche un concetto presuntuoso e personalista (per nulla relativista) perché è contro la logica del libero mercato. Le risposte possono essere incentivi pigouviani alle imprese verso la sostenibilità ed investimenti in Sharing Economy e Circular Economy per aumentare il tasso di riciclabilità di una risorsa. Comunque libero mercato certamente non significa liberi individui o pari opportunità come sembrano intenderlo i decrescisti, ma supervisione dello stato senza eccessivi interventismi (che come si sa sono più probabilmente soggetti a corruzione e inefficienza perché gli individui che li attuano non hanno interessi personali nella riuscita dell'opera). Per il resto non esistono risposte semplici, ma certamente deve esserci un fine (perlomeno apparente), se una logica vuole risultare efficace. E nella decrescita felice, l'unico fine è un atto masturbatorio ed egoistico di un individuo che vuole raccontarci quanto ha vissuto bene nell'isoletta. Si certo, e tutti i restanti 7 miliardi di persone? E poi che sarebbe sto "sfruttamento"?... perchè il sospetto è che sia la solita etichetta che i piagnucolosi di ogni risma (ma spesso maggioritari) attaccano a qualsiasi scambio volontario nella speranza che il "sovrano" obblighi la controparte a pagare per quello che offrono più di quello che vale... Anche tu quando fai la spesa cerchi i prezzi più convenienti, o no? Tutti hanno interesse a guadagnare, e ci mancherebbe. Pagare poco ovvero cercare di risparmiare mica è concorrenza sleale o cattiveria. I salari sono prezzi, ed il prezzo non prevede alcuna dimensione morale, ma viene determinato dalla domanda e dall’offerta. I commercianti che sembrano far pagare più del dovuto non fanno altro che spingere il prezzo ai limiti estremi: se lo alzano più di quanto i clienti sono pronti a pagare, questi a smetteranno di acquistare e i primi dovranno abbassare il prezzo.

Ca. 350 a.c.: nella Politica, Aristotele afferma che il valore dei beni sia misurabile in base a un solo parametro: la necessità.
529-534 dc: i tribunali dell’Impero romano proteggono i proprietari dall’obbligo di vendere i possedimenti a un prezzo inferiore a quello di mercato.
1544: secondo l’economista Luis Saravia de la Calle, il prezzo deve essere stato stabilito da una "valutazione comune" basata sulla qualità e sull'abbondanza.
1890: Alfred Marshall ipotizza che il prezzo sia determinato dalla domanda e dall’offerta.
1920: Ludwig Von Mises sostiene che socialismo sia destinato a fallire perché il prezzo è l’unico mezzo per stabilire il bisogno.

No lo sfruttamento non si applica ad ogni "scambio volontario" ma a quel tipo di "scambio volontario" che le persone con poche risorse attuano verso quelle che per nascita e condizione sociale hanno di più (che sono la maggioranza dei ricchi). Lo "scambio volontario" esiste solo quando tutti possiedono la libertà dal bisogno ed una vita dignitosa. A questa stregua chiunque accampi una presunta non dignitosità della sua condizione per coartare gli altri a dargli cio che vogliono. Troppo facile cosi. Tutti hanno bisogni e desideri da soddisfare, e lo scambio volontario è solo quando chiunque può rinunciare ad un'offerta senza che la controparte lo aggredisca e/o il rifiuto peggiori la sua condizione di partenza. Un grande talento, necessita di un grande ambiente per poter eccellere. Senza un ambiente adeguato si finisce per "marcire". Ma la questione non è solo di talento, ma anche di etica (non è che chi il talento non lo ha ma ha la caratura debba essere sminuito per quanto comunque vale). Abbiamo visto come a rimanere inutilizzate saranno le unità più costose ovvero quelle meno produttive (cioè quelle che a parità di costo producono meno o a parità di produzione esigono un salario più alto). Zelo ed etica non sono sempre complementari... quando lo sono costano molto in produttività, mentre singolarmente costano molto meno, e lo zelo senza etica costa ancora meno dell'etica senza zelo; lo zelo è caratteristica dei lavoristi, mentre l'etica dei produttivisti. Di conseguenza sono i primi a risultare più vantaggiosi. Ecco la risposta al "ma chi vive male si pone delle domande su come vive la sua vita? Ha studiato? Cerca di migliorarsi tutti i giorni? Stare a casa ad aspettare l'elemosina non cambierà la loro vita". Chissà perché ci inculcano questo meme che è tutto "colpa nostra"? E' il collettivo che ha tracimato e annullato l'individuale? No, è studiato apposta. Sono i carnefici che divulgano questi concetti. Con il senso di colpa manipolano le masse. E' sempre lo schema di "peccato originale". Io colpe NON ne ho e accuse dai carnefici non le accetto; ognuno parli per se. Il più delle volte vive male proprio chi ha studiato, proprio chi è più capace. Ci sono molte persone che fanno un sacco di cose gratis, come i software open source senza essere pagati. E sicuramente non stanno a casa ad aspettare quella che i loro carnefici dispregiano come elemosina. Magari fanno pure lavori umili per poter vivere dignitosamente, impegno evitabile che li distoglie dal poter sfruttare ed incrementare le loro capacità. Zuckerberg stesso ha ammesso "se avessi dovuto sostenere finanziariamente la mia famiglia invece di avere del tempo per dedicarmi alla programmazione informatica, me ne starei senza dubbio assieme a voi oggi". In qualche modo, il sostegno e l'agiatezza finanziaria dei suoi genitori hanno agito come un reddito universale, evitandogli di dover fare dei lavoretti per aiutarli a sbarcare il lunario. Avrebbe anche una funzione di considerevole boost dei salari incrementando il potere contrattuale dei lavoratori. Questo spingerebbe le aziende ad investire di più in robotica e intelligenza artificiale, che dal canto loro farebbero lievitare ulteriormente la produttività in un virtuoso loop positivo. Il reddito di base è il complemento ideale della fase storica che stiamo vivendo, l'altra faccia della medaglia dell'economia dell'automazione. Il reddito base universale è l'idea giusta per stimolare l'innovazione tecnologica.

"La nostra società dovrebbe misurare il progresso non soltanto attraverso unità di misura economiche (PIL), bensì analizzando quanti cittadini abbiano un ruolo significativo al suo interno" (Marc Zuckerberg)

Il reddito di base incentiva queste attività gratuite e ne permette una maggior diffusione, incentivando con ciò anche l’imprenditorialità: se hai un paracadute, puoi permetterti di rischiare un pò di più. L’alternativa è avere persone sempre più arrabbiate e frustrate che votano chi predica rabbia. I sindacati ti rubano il lavoro e te la prendi con i robot o con gli immigrati. Così per non farci mancare poi davvero nulla, rimane insoluta e attualissima la questione degli immigrati che arrivano con ogni mezzo in Italia, usata ad hoc per sviare dai problemi VERI. E' incredibile come con tutti i problemi veri e concreti che ci sono, il modo identificato come più conveniente per raccattare voti sia scagliarsi contro gli immigrati, che certo come è impostata oggi è un problema, ma un problema conseguente di tutti gli altri. Su questo tema, alcune voci maliziose - che chi scrive respinge a priori - riferirebbero all'unisono, che la migrazione in atto, sarebbe - uso il condizionale - il frutto di un articolato processo ideato dal "grande fratello" tramite la stupidaggine del "piano Kalergi", per la modificazione genetica e antropologica della razza umana occidentale. Così facendo dalla migrazione, oltre che creare competitività nel lavoro e riduzione dei costi medesimi, si otterrebbe dalla fusione di queste due razze, un modello genetico più resistente all'usura del duro lavoro, dunque più produttivo e maggiiormente "addomesticabile" alle nuove esigenze di un mercato del lavoro sempre più flessibile e meno portato alla contestazione avverso una politica sempre più autoritaria. Per cui ora ci troviamo la classe politica a scannarsi su un problema secondario ignorando i problemi impellenti! Approvare lo "Ius soli" proprio ora sarebbe come..... inventare l'automobile prima di aver inventato la ruota. Ossia ci sono problemi ben più impellenti senza risolvere prima i quali, la modifica delle regole sulla cittadinanza non è sostenibile. Lo sarà dopo aver risolto le cose prioritarie, tipo introdurre il reddito di cittadinanza e altre cose correlate ad esso.

“La sinistra, avendo perso la sua ideologia, ha sposato la causa (ritenuta illuminata e progressista) delle porte aperte a tutti, anche le porte dei Paesi sovrappopolati e afflitti, per di più, da una altissima disoccupazione giovanile. Per ora i nostri troppi e inutili laureati sopravvivono perché abbiamo ancora famiglie allargate (non famiglie nucleari) che riescono a mantenerli” (Giovanni Sartori)

E' compito della politica generare un'ambiente adeguato e garantire la fluidità sociale ed imprenditoriale necessaria ad incrementare la domanda di lavoro al fine di ottenere una sana competitività, che porti veramente ad eccellere i migliori. La competitività dei "bassi salari", non è altro che una competitività illusoria, in quanto è sintomo di un sistema fragile e disorganizzato che nel lungo termine annichilisce la spinta generatrice di valore di coloro che permangono e slancia gli individui maggiormente ricercati ad approfittare dell'unica libertà rimasta, ossia quella di circolazione globale degli individui. Molto più semplice, coerente, e senza distinzioni astruse tra uomini, che come noto dovrebbero avere pari diritti e libertà... Lo stato cattivo, vietando la schiavitù e fissando delle condizioni salariali, dovrebbe appunto permettere a questo scambio di essere veramente volontario e per questo ci vogliono quelle cose brutte chiamate tasse. Con l'unico risultato che chi quelle condizioni non le vale (ad insindacabile giudizio di chi compra), trova le porte sbarrate, e al posto di poco, non guadagna nulla. Ottima mossa. E se invece bastasse un reddito di base? Il reddito di base garantisce la parte di reddito destinata a coprire i bisogni di BASE. Le persone non cercheranno più un impiego perché devono SOPRAVVIVERE, ma perché nessuno desidera accontentarsi di SOPRAVVIVERE. Potranno così negoziare le loro condizioni di lavoro per soddisfare le loro comodità, più che i loro bisogni vitali. Le condizioni di lavoro miglioreranno per motivare le persone, che già avranno una base di reddito, a impegnarsi di più. I primi potranno più facilmente negoziare condizioni di lavoro migliori a tempo parziale, se desiderano, e gli altri potranno ottenere un lavoro più facilmente. Dal canto loro, le IMPRESE saranno sollevate dalla responsabilità di far VIVERE le persone. Saranno incoraggiate ad automatizzare i compiti più ripetitivi e meno attraenti. La solita storiella autorazzista dei "furbi autoctoni" lascia il tempo che trova, di fronte ad evidenti necessità. Così come i commenti del tipo "prendere soldi senza lavorare! Ma siamo nel paese dei balocchi?", semplicemente vomitevoli e dovuti ad un ignoranza abissale di chi non riesce a guardare più in là del proprio naso. Tra persone che vedono nel mondo solo negatività, altre che pare vivano nel mondo della favole... ma persone che vivono nella realtà e la vedono come tale ce ne sono???? Il reddito di base va inteso come un diritto, non come un "boccone che arriva" oggi "da attendere". E qui occorre rispondere al "ma di che vi preoccupate? Alla fine anche senza saper fare nulla e senza fare nulla vivrete meglio di chiunque altro nella storia dell'umanità. Certo, chi avrà più competenze sarà inevitabilmente avanti, quindi potete svilupparle, studiare è fondamentalmente gratis ormai, anzi è probabile che molto presto vi pagheranno per sviluppare competenze, una pizza a settimana costa infinitamente di più. Alla fine è solo una questione di priorità, preferire la pizza od il pacchetto di sigarette o vivere una vita agiata al di sopra di quanto potete anche solo immaginare. Stranamente chi si lamenta di non avere soldi poi è sempre con una sigaretta in bocca"... il problema non è questo, magari fosse così, ci si potrebbe benissimo accontentare. Ma qui si parla che ci sarà chi non avrà niente ma proprio il NULLA più totale, tipo che ci sarà il 90% delle persone che finirà sotto i ponti a mangiare erba e chi avrà tutto. Cosa succederà quando anche i parenti e le organizzazioni di carità rimarranno anche loro con una mano davanti e una dietro passando da mantenitori a mantenuti loro stessi? Quando tra 20-30 anni ci saranno milioni di sessantenni che non avranno alcuna pensione e più nessuno a sostenerli, cosa si farà? Perché prima o poi ciò accadrà, è inevitabile. Finché non accade si può andare avanti, ma è chiaro che quando si comincerà ad avere una disoccupazione strutturale enorme sarà necessario un cambio di paradigma, altrimenti avere anche solo metà della popolazione disoccupata senza alcun sostegno sarebbe una bomba sociale che non converrebbe a nessuno miliardari compresi.

“Noi siamo fieri del progredire della nostra civiltà, esaminiamo con soddisfazione ciò che consideriamo come suoi successi in tutte le branche della vita sociale, ma osserviamo pure che la nostra esistenza è spesso fondata sui principi più ingiusti e crudeli, e che l’umanità dell’avvenire ne parlerà con la stessa ripugnanza che noi proviamo oggi per la schiavitù e la tortura, come errori di altri tempi, che la civiltà ha abolito” (Lev Tolstoj)

Alla luce di tale consapevolezza, che senso ha dire "sono favorevole al reddito di base, ma solo per poco tempo"??? Che senso avrebbe secondo loro??? Se deve essere "solo per poco tempo" allora tanto vale non farlo! Quale scopo avrebbe oggi con un limite temporale??? Sembrano quelli che quando è stato inventato il cinema lo consideravano solo una moda passeggera destinata a durare poco tempo. Mentre invece man mano che si va avanti appare sempre più chiaro che la discussione sull’opportunità o meno di introdurre un reddito di base si dimostra sempre più superflua... è evidente che non è più una questione di se, ma di quando. Gli scenari futuri lasciano pensare che assicurare a tutti un reddito di base sarà piuttosto una scelta obbligata, a quel punto anche solo per far fronte all’automazione del mondo del lavoro, che nei prossimi anni porterà ad un allargamento della forbice tra licenziati e riassorbiti sempre più insostenibile. Una situazione del genere obbligherebbe volenti o nolenti gli stati a creare un reddito di cittadinanza. Il punto è: perché non ora???? Si aspetta che sia già tardi? Per molti lo è già o lo è già stato! La crisi della quale convenzionalmente si data l'inizio nel 2008 ha un solo responsabile: l'assenza di un reddito di base! Quindi già ora la situazione paventata si sta realizzando, con una marea di gente che a fronte della produzione potenziale non ne ha accesso per motivi artificiali. Già oggi non c'è alcuna tutela per i 50enni che, se escono dal mondo del lavoro, sono troppo "vecchi" per ricollocarsi e troppo "giovani" per maturare il diritto a una pensione che non avranno mai. Bene, allora restituitemi i contributi versati che almeno mi arrangio. La possibilità di potere ritirare il monte contributivo dovrebbe servire proprio a questo, e potrebbe essere fatto sotto forma di reddito di base. Il problema difatti non è che ci sia qualcuno che abbia accesso ad una cosa superflua che esiste (e quindi qualcuno può usufruirne proprio poiché esiste). Il problema è quando qualcuno NON ha accesso a qualcosa che esiste, e quindi l'accesso è impossibilitato per ragioni innaturali. Tanto per rispondere a quelli del "Per mangiare devi lavorare! Devi produrre quello che mangi! Se sei fesso mangi pane e cipolle! Se sei capace mangi caviale! Il capace non deve dividere il suo caviale con i fessi e incapaci!": con il reddito di cittadinanza il capace continuerà a mangiare caviale, ed il fesso il pane e cipolla almeno lo avrà. O secondo loro magari sarebbe meglio aprire le camere a gas per la gente alla quale il pane gli viene impedito di produrselo?

“Non ha alcun valore che vi sia qualcuno che dica: io sono nelle condizioni di poter pagare; è, per l’appunto, un’ingiustizia che qualcuno possa permettersi ciò che è superfluo, mentre anche solo uno dei suoi concittadini sia privo di ciò che è necessario o non sia nelle condizioni di poterselo permettere” (J.G. Fichte)

A cosa serve produrre prodotti se poi si fa in modo che solo poche persone possono comprarli? Investire in macchine per poi non aver clienti non serve a nulla. Ford l'aveva capito bene, ma non può essere il privato a prendersi la briga perché non è un privato che può fornire il reddito di cittadinanza. Il solito mito, duro a morire, che le aziende vendono se girano parte dei profitti ai loro clienti che in questo modo vanno a comprare da loro, è solo un emerita stupidaggine priva di logica. Ford non ingrassava la massa ma ingrassava se stesso, comprensibilmente. Il capitalista ha un solo interesse, e cioè guadagnare, e ci mancherebbe. Anche voi quando fate la spesa cercate i prezzi più convenienti, o no? Ogni datore di stipendio vuole pagare i suoi dipendenti il meno possibile ma contemporaneamente la sua convenienza è che gli altri datori di stipendio paghino tanto i loro dipendenti di modo che questi compreranno tanti suoi prodotti. Ma se un meccanismo si inceppa? E questi ti obbiettano "di che vi preoccupate?", sottintendendo che nessuno morirà di fame... si ma non è certo questo il modo giusto, vivere alle spalle di parenti o di carità e cose così, nella perenne incertezza del futuro. Non lo è ora, non lo sarebbe nel futuro paventato, e non lo è stato mai, per questo ridurre lo scopo del reddito di cittadinanza alla disoccupazione incipiente è solo perché oggi vi è tale motivazione, ma non significa che il suo scopo sia questo, è solo che queste persone non riescono ad andare oltre alla sua funzione come toppa, mentre invece le sue ragioni sono indipendenti dalla disoccupazione attuale, per cui avrebbe dovuto essere fatto decenni fa, non oggi che la situazione è già critica da quel punto di vista! Ed invece se ne saltano fuori con nuovi sussidi che non risolvono un bel nulla! "E chi paga contributi , tasse ecc... e perde il lavoro non avrà più una mobilità, mi spiegate perchè dovrei lavorare, pagare contributi e tasse, aprire un mutuo di anni, e poi non ricevere nulla nel momento di difficoltà perchè i soldi devono andare a qualcuno che magari non ha nemmeno la cittadinanza?", si chiede Claudia Casella, polemicamente "giuro io voglio che i 5 stelle vincano perchè appena i boccaloni grillini si accorgeranno che i 780 € non spettano a loro scoppierà finalmente il casino di cui, forse, questo paese ha bisogno". Occorre dire che la proposta 5 stelle ha dei vantaggi: farebbe cessare "l'accanimento terapeutico" sull'Italia traghettandola verso un meritatissimo fallimento con perdita di sovranità sul modello Grecia. Un casino che i potenti si arrabattano con tutte le forze a posticipare, rattoppando qua e là, oggi con supporto 5 stelle. No non è che la classe politica non riesca a trovare una soluzione ai problemi, è che NON c'è la volontà di farlo perchè la miseria e lo scontro sociale fa comodo a tanti oltre a stabilire forme di controllo che destabilizzano la vita comune a favore della loro dittatura schiavistica! Secondo Fusaro, il nuovo ordine mondiale post-1989 si è venuto strutturando nella forma di una rifeudalizzazione del rapporto sociale capitalistico. Il tutto nel quadro di uno spazio globale unificato che si lascia inquadrare come la realizzazione di un “nuovo Medioevo”. Nel nuovo quadro storico, la forma sociale del classismo presenta, in effetti, forti e inconfessabili analogie con la struttura feudale: l’oppressione passivamente subita dai dominati raggiunge un’intensità straordinaria, con il ritorno della corvée (stage, falso volontariato modello Expo di Milano, finti part time, ecc.) e con il riposizionamento del Servo in funzione di soggetto supplicante (“precario”, da prex, la “preghiera”) e non rivendicativo e con la ridefinizione del Signore come dominus absolutus, come feudatario svincolato e decisore autocratico. L’idea di Paul De Grauwe che Grecia e Spagna abbiano "avviato un processo di svalutazione interna con risultati positivi" è un pò incoerente coi dati: la disoccupazione nel 2016 è stata al 23.7% in Grecia e al 19.6% in Spagna. Non ci vuole una gran virtù a far scendere i salari quando una persona su cinque è a spasso. Alla luce dei dati, più che un successo di questi paesi l’analisi di De Grauwe evidenzia una perdita di contatto con la realtà quotidiana. E tanto per cambiare, la loro soluzione va come sempre a peggiorare ulteriormente le cose, come ad esempio per far fronte al costo del lavoro artificialmente gonfiato dalle imposte gli imprenditori chiedono immigrati ma non vogliono pagare le relative tasse necessarie a ripianare le esternalità che l'immigrazione comporta... dato che se l'immigrazione consente di ridurre il costo del lavoro, va però a rendere disoccupati gli autoctoni, i veri disperati che non vengono coi barconi, ma che abbiamo nella porta accanto alla nostra. Barconi invisibili in un oceano di ignoranti.

"Non c'è nessuna barca che possa raccoglierci. Se si affonda lentamente, se si annega, nessuno al mondo se ne accorgerà" (Simone Weil)

La Ministra Kyenge spiega che il lavoro degli immigrati è "fattore di crescita", visto che quasi un imprenditore italiano su dieci è straniero. E quanti sono gli imprenditori italiani che sono contestualmente falliti? I dati dicono molti di più. Ma questi paragoni si fanno male, visto che "imprenditore" è parola elastica. Metti su un negozietto da quattro soldi e sei un imprenditore. Per giustificare i flussi migratori, che non sono spontanei ma indotti da loro, dicono che i colonialisti hanno depredato l'Africa. Che chi sostiene ciò si guardi il docu-film "Africa addio" di Prosperini e Jacopetti (che, per aver mostrato la realtà, fu accusato, guarda un pò, di "fascismo") tanto per farsi un idea, dato che la povertà dell'Africa inizia con la DE-colonizzazione! A depredare l'Africa è stato chi gli europei ha voluto mandarli via! E questi sono gli stessi che oggi inducono gli africani a venire qui: non contenti di aver depredato l'Africa grazie al venir meno del colonialismo, ora imperterriti approfittano pure della situazione da loro creata per sfruttarne qui in Europa i relativi profughi. Dato che tutti i paesi neo-indipendenti hanno applicato politiche economiche keynesiane, ma in paesi dove la coscienza etica è carente i risultati sono stati questi! L'unico modo in cui le economie social-democratiche riescono a sopravvivere è solo grazie alla coscienza etica produttivista dei singoli. La coniugazione di dirigismo keynesiano con assenza di etica produttivista genera solo povertà.

"Manca, nella burocrazia, la molla dell'interesse individuale e non c'è nemmeno l'ombra di una preoccupazione per l'interesse collettivo" (Benito Mussolini)

La violenza radical-chic delle parole, della neo-lingua. Populismo, fascismo, chiusura mentale, analfabetismo funzionale, provincialismo: termini utilizzati in maniera dozzinale contro chi cerca di porre dei paletti alle retoriche della sinistra imperative per tutti. Il paradosso di una democrazia accettata solamente quando corrisponde agli auspici di una classe autodefinita democratica e tollerante ma fondata sull'occupare spazi informativi, culturali e politici in maniera compulsiva ed esclusiva, impedendo fisicamente un reale e aperto confronto. Che quando non vince dà luogo alla sindrome del complotto, secondo cui il potere sarebbe così spaventato da inventare chissà quale broglio per modificare l’esito del voto se ce ne fosse bisogno, oltre alla solita retorica del definire "di protesta" (e perciò considerato passeggero) ogni voto che non aggradi ai padroni della democrazia, dove qualunque cosa fanno loro è bene, qualunque cosa faccia chi ha l'etichetta di fascista (sempre buona per tutti gli usi) è male, nel perenne paravento dell'antifascismo "in assenza di fascismo", come giustamente dice Diego Fusaro: mi è sempre stato incomprensibile come quelli dei centri sociali identifichino il loro avversario in una fascia corrispondente a meno dell'1% dell'elettorato e quindi totalmente irrilevante, anziché nell'oligarchia al governo... o meglio, esiste un unica spiegazione possibile, perfino ovvia, ovvero che essi rispetto a quell'oligarchia al governo ne siano al soldo contro i suoi avversari che sono solo per caso limitati a quel solo 1%, altre possibili spiegazioni mica ce ne sono. L'accanita difesa dell'immigrazione ne è la dimostrazione nel momento in cui anche l'uomo qualunque si unisce agli avversari dell'oligarchia. Paradigma della storia di una pseudo-sinistra che spesso ha finito con l'astrarsi pure dalla sua missione storica, quella della difesa delle fasce sociali più deboli e del lavoro. Una democrazia impotente verso la soluzione ai problemi reali, ma attivissima nella difesa dei privilegi acquisiti attraverso NON meriti. Deportazione di massa di nuovi schiavi è il vero nome che andrebbe attribuito alla cosiddetta immigrazione di massa: il capitale coltiva il mito immigrazionista, giacché non vede l’ora di vedere sbarcare masse di disperati, pronti a essere sfruttati in ogni modo pur di avere salva la vita e la possibilità di non essere rispediti, come merci di second’ordine, in patria. E' la bellezza della mondializzazione, almeno per i suoi cinici sostenitori, con le loro usuali geremiadi contro le frontiere, i confini e le tutele protezionistiche del lavoro e della produzione non multinazionale. E guai a chi osi metterne in discussione i presupposti: sarà subito diffamato come xenofobo e populista dai tanti cultori – così spesso in cattiva fede – del pensiero unico politicamente corretto al servizio di sua maestà il capitale che tanto deprecano senza nemmeno riuscire a rendersi conto di essere nè più nè meno che abietti trafficanti di schiavi!

"Se non puoi avere schiavi in patria, cercali all'estero, affinché in patria i senza lavoro implorino la schiavitù" (Claudia Casella)

Facile così! E nemmeno ne fanno segreto! Ci sono regolarmente appelli degli imprenditori alle istituzioni a regolarizzare gli immigrati in modo da poterli assumere... e poi ci sono i fanatici che imperterriti negano l'evidenza credendosi pure sagaci nei loro commenti, blaterando frasi qualunquiste del tipo "come mai in Lombardia e Veneto, dove ci sono molti più immigrati che al sud, anche i salari sono molto più alti" come per instillare che la presenza di immigrati non diminuisce il costo del lavoro... "al contrario di ciò che affermano le loro teorie xenofobe (ma ammetterlo proprio no, eh?)"... ed il fatto stesso che questi appiccichino perfino con sicurezza, come fosse una cosa perfino scontata ed innegabile, etichette surreali che stanno solo nei loro desideri come per decidere loro cosa uno deve pensare, è già di per sè indicativo di che tipo di persone siano... ma restando al discorso salariale esposto, mica si rendono conto che hanno invertito causa ed effetto: se nelle regioni ricche ci sono più immigrati, è proprio perchè i salari sono più alti, non che la presenza di immigrati non li riduca rispetto a quelli che sarebbero senza di loro! Ragionare con la logica è essere xenofobi? La logica è la logica, non è xenofoba o xenofila, è la logica e basta! Uno dovrebbe adeguarsi al loro qualunquismo esente dalla logica per non "dover ammettere" di essere xenofobo??? E si deve sentire gente come Marco Furfaro dire "la differenza è tra chi vuole alzare muri e chi vuole gestire il fenomeno"... e chi è che oggi lo starebbe gestendo??? L'impressione è che nessuno stia gestendo un bel niente! Raccattare e poi lasciare allo sbando non è *gestire*! Se per loro ciò è gestire, magari dovrebbero rivedere la loro strategia gestionale, perché che ci sia una gestione del fenomeno non è l'impressione che se ne ha. Ad essere terribile è l'impostazione data oggi al sistema di accoglienza e la cognizione comune che si ha della questione da entrambe le parti sul concetto di "gestione": chi per un motivo chi per quello opposto si lamentano degli attuali centri di accoglienza, e bella forza, ora ditemi quale senso ha un centro di accoglienza (il termine con quale nella neo-lingua politically correct si definisce il concetto di "campo di concentramento") dal quale chi ci sta dentro PUO' USCIRE LIBERAMENTE!?!? Il senso di tale installazione è (o dovrebbe essere, in un mondo normale) appunto proprio che chi ci sta dentro non possa uscire. Se può uscire, a cosa serve l'installazione??? E quale lo scopo di uscirne da parte di persone che per definizione non hanno alcun rapporto col territorio nel quale il centro si trova??? Per andare dove???? Non è una questione di "sicurezza" degli abitanti attigui e cazzate simili, ma proprio il senso logico, all'interno di tali installazioni dovrebbe (sempre in un mondo normale) esserci tutto ciò che può servire all'esistenza, a che pro uscirne??? Quale utilità quindi il permetterlo??? E se lo si permette, quale utilità l'esistenza stessa di questi campi??? Allora tanto vale smantellarli e far sciamare gli immigrati in giro per l'intera nazione anziché concentrarli tutti in un posto facendo lamentare gli abitanti!!! Va benissimo accoglierli e sfamarli per salvarli da guerre e carestie, ma questo non implica permettergli di circolare liberamente per l'intero territorio nazionale! I musulmani vogliono applicare la sharia? Bene, ma lo facciano nel settore loro riservato. I sikh vogliono girare col loro coltello tradizionale? Idem. Lì nessuno glielo vieterà. Non si deve impedire l'immigrazione, anzi, ben venga se rappresenta una risorsa, ma solo SE lo rappresenta, non come oggi è definita tale da gente tipo la Boldrini nonostante vada a nuocere a sempre più italiani! A dirla tutta non servirebbe nemmeno pretendere che sia una risorsa, o che non sia un peso, ma almeno che non sia fonte di specifici problemi per i cittadini! Ed un modo perché l'immigrazione smetta di rappresentare un nocumento agli autoctoni esiste ed è il reddito di cittadinanza! Oggi abbiamo da un lato quelli che la considerano una disgrazia in ogni caso, e dall'altro quelli che la considerano una risorsa senza che lo sia veramente... gli unici a dire che POTREBBE essere una risorsa se solo si facessero le cose nel modo giusto tramite la compensazione del reddito di cittadinanza sono i comunitaristi. Ma no ovviamente, a nessuno va bene neanche così... e c'è da stupirsene? In riferimento all'accusa all'imprenditoria nostrana di approfittare dell'immigrazione per ridurre i salari e di conseguenza di auspicarla ed incentivarla difendendola con le unghie e con i denti tramite i mezzi della propaganda, si accusa ME di aver scritto un "manifesto dell'utilitarismo becero tipico delle élites finanziarie"... Ma vi rendete conto del paradossale capovolgimento che viene fatto perfino quasi con noncuranza, come fosse una cosa perfino scontata??? Quando sono proprio le "élites finanziarie" a volere la situazione attuale nella quale l'immigrazione è una risorsa PER LORO SI, a scapito della "feccia" italiana che viene esclusa dal reddito lavorativo. Io scrivo un discorso CONTRO l'utilitarismo e questi lo invertono e accusano IL MIO discorso di essere utilitarista??? Insistendo con "il diritto alla mobilità non può sottostare a condizioni di convenienza"... e a me lo dici???? E' alle "élites finanziarie" che lo devi dire, poiché sono loro che li fanno venire qui per loro convenienza!!! La mia non è una critica sull'utilità o meno degli immigrati, io critico chi li fa venire qui per sfruttarli pretendendo di raccogliere gli utili senza dover compensare gli oneri verso i cittadini ai quali la concorrenza straniera (certamente UTILE alle "élites finanziarie", non lo nego di certo io) va a nuocere! Che sono perlomeno quelli con reddito zero perché se la riduzione dei prezzi connessa a quella del costo del lavoro è già una forma indiretta di compensazione per chi un reddito lo ha, cosa apporta a chi avendo reddito zero qualunque calo dei prezzi è pressoché irrilevante rispetto al danno cagionato dalla totale assenza di reddito? Ma non critico nemmeno gli imprenditori, loro si limitano a sfruttare una situazione esistente (anche se soffiandoci sopra, ma è comprensibile dal punto di vista della loro utilità). Voi per quale motivo fate le cose che fate? Per utilità!

"Ho un bel guardare, leggere, osservare, interrogare; non vedo un solo abuso, che si eserciti su scala abbastanza ampia, che sia cessato per la volontaria rinuncia di coloro che ne traggono profitto" (Frédéric Bastiat)

Ma dopotutto aver definito utilitarista il mio discorso anti-utilitarista è in linea con il tipico bias radical chic/sinistrato/buonista/europeista medio che fa grandi ragionamenti economici freddi e cinici, senza cadere nel sentimentalismo o nella compassione nei confronti di chi questa Europa se la prende nel culo, tipo i pensionati da 400 euro al mese o i giovani senza futuro. Allo stesso tempo però mi cascano come adolescenti infatuate dinnanzi al loro cantante preferito quando si parla di immigrati, ma mai per la nonna che con la pensione vive di l'ansie per le bollette o di qualche spesa imprevista dopo una vita di lavoro. Invece davanti ad un ragazzotto africano qualsiasi i loro occhi si fanno a forma di cuore... si fottano gli equilibri economici, lo spread, la spesa pubblica, diventano umani, umani con gli stranieri e disumani con i vicini di casa. Lo puntualizzo perché quest'accusa surreale è stata una cosa che mi ha stravolto, che non mi potevo neanche lontanamente aspettare, è stata un fulmine a ciel sereno, e ciò nonostante io sia abituato ad assistere alla stupidità altrui, ma questa è stata veramente oltre ogni possibile immaginazione. Certo col senno di poi ho peccato di ingenuità nel non attendermela, ma capirete, a fronte e contro quelli che vogliono utopisticamente alzare muri, io faccio un discorso di tolleranza solidaristica verso gli immigrati, ed anche così non gli va bene, anche così non gli basta... ma esattamente cosa è che vogliono? Cosa pretendono che si dica più di questo? I muri non gli vanno bene, niente muri non gli va bene, ma allora cosa bisogna proporre di più? Quale alternativa vedono loro a questa, per conciliare le due opposte posizioni? Non ci arrivano a capirlo che sono loro con questa loro pretenziosità a creare quelli che vogliono muri? La critica è alla politica che lascia le cose allo sbando, quando dovrebbe, se non regolarle, quantomeno attuare una compensazione ai danni che l'immigrazione provoca, e ciò si può esplicare solamente nell'introduzione di un reddito di cittadinanza che prenderebbe sotto tale luce anche la forma di un compenso così ulteriormente motivato destinato ai cittadini come soggetti direttamente danneggiati dall'immigrazione. E sotto questa luce assumerebbero senso le somme nominali di denaro pubblico derivato da una parte della frazione dell'utile che gli immigrati apportano al settore produttivo da destinare a tale compenso pigouviano. Non dimentichiamo un altro dettaglio non trascurabile: dato che il reddito di cittadinanza sarebbe elargito solo ai cittadini (da cui il nome), ne deriva che i lavoratori stranieri (qualora non divenuti cittadini secondo le leggi vigenti) avrebbero un potere d'acquisto di tot euro (la cifra di reddito di cittadinanza qualunque essa fosse) inferiore a quello degli italiani pur avendo lo stesso salario, per cui consentirebbe di praticare una discriminazione economica non imputabile al datore di lavoro e quindi non passibile di critiche, disincentivando così automaticamente l'immigrazione senza bisogno di interventi dirigistici. Per le stesse ragioni non sarebbe ritirabile da italiani all'estero (in questo modo si disincentiverebbe la fuga dei cervelli e dei pensionati nei paradisi fiscali) poiché rappresenterebbe un deflusso netto di ricchezza non dovuto a motivi reali. Sarebbe un disincentivo anche al fenomeno dell'urbanesimo (per quanto sia già oggi in atto la tendenza opposta). Vivere in un paesino è un vantaggio in termini di benessere, la verità è che le persone che vanno via dai paesini lo fanno perché sono costrette dal bisogno di lavorare, se gli dai il minimo per vivere saranno ben felici di rimanervi o rientrarvi. Alla faccia di quelli che contestano il fatto che "sarebbe dato anche agli immigrati", che non si vede da quale logica lo ricavino... perchè dovrebbe essere così? Chi avrebbe detto ciò? Come se dicessi a qualcuno "mi compro la lavatrice nuova" e questi mi rispondesse "ma non hai paura che non si apra il paracadute?"... ma che c'entra? Da dove cavolo sarebbe saltata fuori sta cosa??? Ecco, se si cercava un ritornello d'una banalità disarmante qui sopra lo abbiamo trovato nella sua pienezza. Fintanto che la discussione resterà ancorata a simili stereotipi da quattro soldi -diffusi a piene mani da chi ha interesse a impoverire ancora di più gli italiani- difficilmente sarà possibile affrontare con serietà l'argomento. Se non fosse chiaro il discorso (e lo preciso perché dubito che per gli apologeti dell'immigrazione lo sia) io NON sto dicendo di fermare l'immigrazione. Quello che sto dicendo è: venga pure, ma che venga introdotto in cambio il reddito di cittadinanza! A me non danno fastidio gli immigrati; a me danno fastidio gli italiani tipo la Boldrini che ne fanno, non si capisce nemmeno a quale scopo o per quali motivi (a parte per puro narcisismo), l'apologia ad ogni costo attaccando come dei cani rabbiosi chiunque non sia d'accordo con loro. Se poi a fronte di ciò pure contrastano l'introduzione del reddito di cittadinanza... fate voi.

"Il valore di emancipazione determinato da un reddito di base è superiore al valore del denaro stesso impiegato allo scopo. Si dà alle persone un senso di controllo del loro tempo e della loro vita, in modo che i *valori* del lavoro crescano rispetto alle *esigenze* del lavoro. Al momento, la società è affetta da una carenza di altruismo e di tolleranza, dovuta a frustrazione e percezione di privazione della libertà. Abbiamo riscontrato empiricamente che grazie alla sicurezza di fondo apportata dal reddito di base le frustrazioni sono venute meno ed i valori di altruismo e tolleranza reciproca sono aumentati. I valori di interazione e partecipazione alla vita sociale crescono, i valori della cittadinanza sono rafforzati. Ci si percepisce finalmente liberi. Anche solo per questo, sarebbe in ogni caso un denaro ben speso" (Guy Standing)

Un paese democratico "fondato sul lavoro" dovrebbe garantire davvero un lavoro a tutti, e non solo in linea puramente teorica, e dovrebbe anche creare le condizioni affinché nessuno sia costretto a svolgere lavori verso cui non si senta inclinato o eccessivamente usuranti o rischiosi, ma anzi dovrà creare condizioni di lavoro atte ad elevare la dignità della persona e la sua autostima. La storia antica abbonda di iniziative adottate dai sovrani allo scopo di migliorare, o di rendere meno penose, le condizioni di vita dei propri sudditi, ma si tratta di concessioni, non di diritti. Ma in generale, più che dalle concessioni dei sovrani, i cittadini più disagiati venivano sollevati dalle opere umanitarie e filantropiche messe in atto da associazioni laiche o religiose. In Europa, fino al XVI secolo, l’assistenza ai meno abbienti resta compito della carità locale privata, a volte coordinata da congregazioni religiose. La sussistenza non è mai garantita e la nozione stessa di reddito minimo è sconosciuta. Il passaggio dalla carità al diritto è avvenuta solo in Età moderna grazie all’affermazione delle politiche di Welfare State (o Stato assistenziale o Stato sociale o Stato del benessere). Sinceramente io fin da piccolo osservando la società davo perfino per scontato che esistesse qualcosa come il reddito di base, è da adulto che sono rimasto incredulo nell'apprendere che invece una cosa simile non è mai esistita. È giusto riconoscere il diritto ad un reddito indipendente dal lavoro? Se il diritto al reddito garantisce la vita dei cittadini meglio di quanto faccia il diritto al lavoro, il non riconoscerlo sarebbe una sorta di condanna capitale del cittadino che non riuscisse a trovare lavoro o non avesse voglia di lavorare. Negando a questo cittadino il diritto a campare, lo costringiamo a scegliere fra lavorare controvoglia, con tutte le conseguenze del caso (bassa produttività, assenteismo per malattie, visite mediche, esami diagnostici, ricoveri, medicine, controlli, e via dicendo, tutte cose che, alla fine, potrebbero costare allo Stato più di quanto gli costerebbe corrispondergli un reddito minimo), oppure vivere di carità o di espedienti o di criminalità (tutte cose queste che hanno comunque un costo sociale).

“Non vi è motivo alcuno per cui in una società libera lo stato non debba assicurare a tutti la protezione contro la miseria sotto forma di un reddito minimo garantito o di un livello sotto il quale nessuno scende. È nell’interesse di tutti partecipare a questa assicurazione contro l’estrema sventura, o può essere un dovere morale di tutti assistere, all’interno di una comunità organizzata, chi non può provvedere a se stesso” (Friedrich von Hayek)

Quale sorte attende i "Neet", i giovani che non studiano e hanno smesso di cercarlo un lavoro? Per costoro il lavoro non è né un diritto né un dovere, ma semplicemente un miraggio, e poiché la Costituzione non ha previsto un diritto ad un reddito minimo, ma ha posto il lavoro a fondamento dei diritti, chi non lavora ed è privo di risorse accantonate è di fatto tagliato fuori dai diritti e la sua stessa sussistenza viene a dipendere dalla disponibilità di aiuti sociali o dalla famiglia o dalla carità. Anche se il lavoro lo si potesse garantire a tutti, ci sarebbe sempre un certo numero di persone inabili o inadeguate a svolgerlo in modo un proficuo per cause di varia natura: patologie, infortuni, dabbenaggine, mediocrità, indolenza, infingardaggine, svogliatezza, accidia, ignavia e via dicendo, definiti "incollocabili". Verranno genericamente bollati come fannulloni e discreditati. Con un’importante eccezione: i figli di papà che vivono di rendita e senza lavorare. Sorprendentemente, di norma, a loro il termine "fannullone" non viene applicato. Il lavoro non è dunque un diritto. Ma non è nemmeno un dovere. Esistono, infatti, persone che vivono esclusivamente del lavoro altrui. Sono tantissimi e molti di loro appartengono a quella stessa classe dominante che demonizza quanti si rifiutano di lavorare. Sarebbe lungo anche il semplice enumerarli. Ebbene, nel nostro paese per essi il lavoro non è un dovere, perché di fatto essi non hanno alcun bisogno di lavorare, eppure godono del massimo rispetto e sono anche onorati. Due pesi e due misure? Il fatto che in Italia il lavoro non è né un diritto né un dovere si può spiegare solo in un modo: esso non è pensato per la persona. Che il lavoro non sia concepito in funzione della persona lo possiamo ricavare da alcuni fatti ben noti. Il primo è l’esistenza di cittadini costretti a svolgere lavori che essi ritengono degradanti o troppo gravosi/rischiosi o incompatibili con le proprie condizioni fisiche o mal retribuiti, in una parola, lesive della propria dignità. Qualora si rifiutassero, essi non solo verrebbero a mancare del necessario per la sussistenza, ma verrebbero anche bollati dall’opinione pubblica come persone che non hanno voglia di lavorare o che sono prive del senso del dovere e, in quanto causa del proprio male, non meritevoli di solidarietà sociale. Il secondo fatto è che l’entrata e l’uscita dal lavoro sono regolate secondo parametri prestabiliti e uguali per tutti, come se tutti i cittadini fossero uguali, ciò in obbedienza ad una logica che è più attenta a certe esigenze burocratiche dello Stato che ai bisogni delle persone. Basti pensare ai contratti di lavoro collettivi. Essi si basano su una convinzione che è anche una constatazione: dal lato dei lavoratori subordinati, il potere contrattuale o è collettivo o non esiste. Scrive Pietro Muni:

Il fatto che, in un paese in cui il lavoro è considerato diritto e dovere, vi siano milioni di cittadini che non lavorano, dovrebbe, a rigore, essere riconducibile a un dolo: o dello Stato che non riconosce un diritto, o del cittadino che non osserva un dovere. In entrambi i casi ci aspetteremmo l’intervento della magistratura per il pieno rispetto del dettato costituzionale. Ma invano. Né si registrano moti di indignazione da parte del popolo. Così, quello che dovrebbe essere un’anomalia finisce per diventare normale. Da parte sua, lo Stato giustifica la sua inadempienza diffondendo l’idea che un certo livello di disoccupazione sia da considerare un fatto fisiologico
La versione razionale del comunitarismo sostiene che una persona vale per quanto essa da e riceve nella propria comunità, una fonte di sostentamento non deve sfaldare i legami che intercorrono tra le persone della comunità. L'assistenza affidata ai privati rende dipendenti da essi, e capirete da soli quando essi sono enti religiosi cosa voglia dire... non molto diversa dal ricatto lavorativo che il sussidio 5 stelle non risolve ma amplia. Ben diverso è il discorso se invece di parlare del sussidio 5 stelle si parla del vero reddito di cittadinanza, che andrebbe ad eliminare la dipendenza da qualcuno, parenti o carità che sia, rendendo così implicitamente la persona parte attiva della comunità del territorio, e a differenza dei sussidi è un sostegno NON per rendere l'individuo totalmente indipendente e autonomo ma per renderlo maggiormente partecipe alla vita comunitaria, tanto che la sua filosofia stessa non è quella di un "assistenza" ma di una controprestazione al contributo che il cittadino da al sistema economico rispettando le leggi dello stato (siamo cioè in una visione del contratto sociale nella quale l'individuo accetta l'autorità dello stato ricevendo in cambio non solo protezione ma anche il sostentamento base) ed in specifico quelle garanti della proprietà privata (come retribuzione di un canone per i diritti di utilizzo della propria "quota" spettante di risorse), nonché a essere disponibili alla difesa e protezione civile (per cui chi non lo ritira ne sarà esentato). E' una questione di principio: se quando ero io a chiedere di poter essere utile in cambio di un reddito tale mia offerta era rifiutata, come possono ipotizzare perfino come niente fosse che nel momento in cui loro chiedano il mio aiuto, io mi metta a disposizione così come niente fosse??? E pure gratis magari!!! No, se nel vostro mondo vale il "chi ha avuto ha avuto chi ha dato ha dato", nel mio NO. E ciò dovrebbe valere, e avrebbe sempre dovuto valere, per tutti gli esclusi. Quando verrete voi a cercare me come niente fosse, avete capito male: non aspettatevi che io ci sia. Il maggior riferimento va chiaro alla chiamata alle armi: io sarei il primo a voler partecipare senza chiedere niente in cambio alla difesa della mia nazione, ma se ciò deve essere dopo che la mia stessa nazione mi ha snobbato per tutta la vita fino a quel momento negandomi anche il reddito di sopravvivenza, impedendomi perfino di fare il servizio militare tra l'altro, sarebbe una questione di principio e giustizia rifiutarmi! Ci mancherebbe pure!!! Ed il bello è che avrebbero pure la faccia tosta di punirmi, loro a me!!! Prima non c'era niente da farmi fare? Bene, allora dovevate ricompensarmi il VOSTRO inutilizzo della MIA disponibilità implicitamente indicato dalla mia stessa esistenza! Altrimenti come potete pretendere che dopo che la mia capacità è stata bistrattata per tutta la vita, io poi accetti di assecondare le vostre esigenze così come niente fosse??? Se volete che io RIMANGA sempre disponibile, dovete mettermici nelle condizioni di esserlo! Se fosse per voi io non esisterei, sarei morto per fame, quindi, quando avrete bisogno di me, consideratemi tale, inesistente, così come state facendo in questo momento! No che mi chiamate solo quando serve a voi! Questa avrebbe dovuto essere da sempre la filosofia della renitenza alla leva, questa ne sarebbe la giustificazione giuridica valida, perché valida moralmente lo è eccome e quindi dovrebbe esserlo anche giuridicamente! L'unico modo per non renderla più valida sarebbe la riscossione del reddito di cittadinanza come vincolo contrattuale legato alla disponibilità permanente. Dato che ciò non è mai sussistito, ogni condanna per renitenza alla leva finora è stata illegittima moralmente. Suo scopo e risultato sarebbe di conseguenza anche dare una legittimità allo stato ed alle leggi, rivitalizzando così le realtà organiche naturali in cui l'individuo ha sempre vissuto come la famiglia, la professione, l'impresa, il comune; lo stato diverrebbe in tal modo mero regolatore, ordinatore e disciplinatore, tramite la base retribuita a tutti dal reddito di cittadinanza in sostituzione di tutti i campi dove oggi le istituzioni pubbliche si intromettono.

“Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri: i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, egli è vicino ad essi, ma non li vede; li tocca ma non li sente affatto; vive in se stesso e per se stesso e, se gli resta ancora una famiglia, si può dire che non ha più patria. Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. E' assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Rassomiglierebbe all’autorità paterna se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente nell’infanzia, ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l’unico agente e regolatore; provvede alla loro sicurezza e ad assicurare i loro bisogni, facilita i loro piaceri, tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità; non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di pensare e la pena di vivere? Così ogni giorno esso rende meno necessario e più raro l’uso del libero arbitrio, restringe l’azione della volontà in più piccolo spazio e toglie a poco a poco a ogni cittadino perfino l’uso di se stesso. [...] Ho sempre creduto che questa specie di servitù regolata e tranquilla, che ho descritto, possa combinarsi meglio di quanto si immagini con qualcuna delle forme esteriori della libertà e che non sia impossibile che essa si stabilisca anche all’ombra della sovranità del popolo” (Alexis de Tocqueville, La democrazia in America)

Rispetto a questa visione illustrata da Tocqueville, il reddito di cittadinanza elimina il "potere immenso e tutelare" di uno stato paternalista che pretende di regolare ogni aspetto, lasciandolo invece alla libertà personale di procurarsi da sè i beni che si ritiene necessari e di garantire la propria sorte autonomamente. Lo stato potrebbe smettere quindi di essere "assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite", non perchè esso decida così (il che equivalendo alla conferma di essere tale, sarebbe un controsenso), ma spontaneamente per il venir meno in modo automatico delle cose che determinano tale prerogativa, responsabilizzando le persone all'indipendenza anzichè tenerle legate a sè come una chioccia. La socialità umana in tal modo può arrivare a creare un'armonia che rende superfluo lo stato, al contrario della carenza di socialità che fa si che gli individui socialmente problematici debbano essere controllati da un'istituzione superiore. Questo non è un discorso anarchico, perchè non si tratta di una forzatura ma di ciò che avverrebbe spontaneamente da sè in seguito all'introduzione di un reddito di base dai parametri sensati. Dai sussidi esso differisce anche per la sua radice filosofica: un sussidio è qualcosa di ricevuto, mentre reddito è qualcosa di prodotto, quindi è proprio per questo che non si chiama sussidio ma reddito, perchè il suo fondamento filosofico è che non è qualcosa di regalato da altri, non è qualcosa di cui la collettività si fa "carico", ma qualcosa di tuo che ti viene restituito o per meglio dire retribuito (non "re-dis-tribuito" perciò) in cambio di qualcosa che tu "hai concesso" in uso ad altri (sarebbe più esatto dire "ti tocca concedere" perchè non c'è mai stata e non c'è possibilità di scelta), e non è giusto dover morire di fame o di freddo o gettato alla carità della strada solo perché non ha redditi di alcun genere, né da lavoro, né immobiliari, né pensionistici o altre rendite private, né da fondi, ecc, non per propria colpa ma perchè questi diritti li ha dovuti cedere ad altri vedendoseli quindi sottrarre (non per niente il termine spesso usato per definire chi non possiede proprietà è "diseredato") con l'avvallo delle istituzioni pubbliche.

“Lo confesso, non sono affascinato dall'idea di vita professato da coloro i quali considerano la normale situazione degli esseri umani quella della lotta per il successo: che il calpestarsi, scontrarsi, prendersi a gomitate, pestarsi i piedi rappresentino quanto di meglio si possa desiderare per il genere umano” (John Stuart Mill, “Princìpi di economia politica”)

E' proprio perchè lo stato con il sistema attuale è inefficiente che bisogna dare la possibilità a tutti di arrangiarsi da se. E come se non così? Mi viene detto se non sarebbe lo stesso invece fornire gratuitamente beni e servizi... In precedenza ho usato l'esempio del trasporto pubblico gratis per mostrare come le cose possono essere incentivate con la concorrenza anziché con regole dirigistiche. Lo riprendo qui poiché esso può essere usato anche in altro caso, in senso opposto, per mostrare anche come la gratuità di una cosa ne determina l'abuso, nel caso in questione, quale sarebbe il risultato del trasporto pubblico gratis? Che gli autobus sarebbero stracarichi costringendo ad aumentare le corse e quindi la quantità di mezzi e di personale ed il consumo di carburante, perchè la gente che oggi per fare 500 metri va a piedi prenderebbe l'autobus. Fornire gratuitamente beni e servizi significa incentivarne l'uso ovvero farne fare un abuso ("free-riding"), il che rappresenta una spesa aggiuntiva che si potrebbe evitare. Di una somma di denaro invece se ne fa l'uso che si ritiene necessario, compreso il biglietto dell'autobus, e quindi si cercherà di risparmiarsi di pagare per percorrere 500 metri, usando la stessa cifra per altre spese più necessarie, senza influire sull'uso da parte di chi avendone davvero bisogno li pagherebbe ed a causa della gratuità per tutti si vedrebbe limitato nell'uso che per lui è una necessità e non un vezzo. Ma bisogna valutare i pro e i contro, nel caso in questione il pro sarebbe che complessivamente andare a ridurre il trasporto autonomo può risultare più conveniente alla società rispetto al nocumento apportato dall'abuso di quello pubblico. Purtroppo come sempre la comprensione delle cose è inficiata dall'incapacità di guardare alle conseguenze e non alla mera erogazione come se fosse fine a se stessa. Soluzioni che in apparenza sembrano andare a favorire gli approfittatori a scapito dei bisognosi, possono tuttavia essere più convenienti alla collettività. Non è tutto oro quel che luccica. Ma provate anche voi stessi ad immaginare quali conseguenze potrebbe determinare un reddito di base. Perchè dire "a tutti, anche a chi non abbia difficoltà ad affrontare il giornaliero" non è che poi sarebbe esente da conseguenze come se fosse fine a se stesso eh. Lo scopo sono le conseguenze, non il dare tot ai tizi. Se lo si analizza sul solo dare tot ai tizi, non si potrà capirne il senso, e quindi si daranno risposte basate sul solo dare tot ai tizi. "Dare soldi anche a chi non ne avrebbe bisogno non è giusto"... lo scopo del reddito di cittadinanza non è dare soldi a chi ha bisogno, ma fare in modo che più nessuno abbia bisogno. "Perchè già sto paese è pieno di ineguaglianze"... ah e darlo solo a qualcuno e a qualcun'altro no sarebbe l'uguaglianza? Strano concetto che hanno di uguaglianza... Un pò come quelli che rispondono che la differenza tra schiavitù e lavoro salariato sta nel libero arbitrio... si certo ma cos'è il libero arbitrio in assenza di alternative? La libertà di scegliere tra la ghigliottina e l'impiccagione? Douglas stesso ha definito la libertà come la capacità di scegliere e di rifiutare una scelta, una possibilità che però nella realtà oggi non esiste. Un pò come la differente concezione di libertà personale tra dittatura e democrazia: "la dittatura è una persona che decide se devi vivere o morire; la democrazia sono più persone che decidono se devi vivere o morire" (Leonardo Facco). Facile così. E tutti contenti. Il problema delle monocrazie è quando c'è un pazzo, un criminale, un idiota, al potere. Il problema delle democrazie sono tutti quei folli, criminali, e idioti che ti stanno attorno e hanno il diritto di voto. Ogni giorno.

"Se per democrazia si intende il governo in base alla volontà illimitata della maggioranza io non sono un democratico" (Friedrich von Hayek)

Quindi se la differenza tra schiavitù e lavoro salariato sta in un libero arbitrio che però oggi non esiste perchè mancano del tutto le alternative per una possibile libera scelta, se ne ricava che...?
Da una fiaba di Fedro:
Un giorno un lupo emaciato dalla fame s'incontrò con un cane ben pasciuto. Fermatisi, dopo i saluti: "Dimmi, come fai ad essere così bello? Con quale cibo sei ingrassato tanto? Io, che sono molto più forte, muoio di fame". Il cane schiettamente: "Puoi star così anche tu, se presti al mio padrone ugual servizio"; "Quale?", chiese. "La guardia della porta, la custodia della casa dai ladri nella notte" "Ma io son pronto! Ora faccio una vita grama sopportando nei boschi nevi e piogge; quanto è più facile vivere sotto un tetto, starsene in ozio, saziandosi di abbondante cibo!" "Vieni dunque con me". Mentre camminano, il lupo vede il collo del cane spelacchiato dalla catena. "Amico, cos'è questo?". "oh, non è niente". "Ma ti prego, dimmelo". "Poichè sembro troppo vivace, mi legano di giorno, perchè riposi quando è chiaro e sia poi sveglio quando vien notte; al tramonto, slegato, me ne vado in giro dove voglio. Mi danno il pane senza che lo chieda; dalla sua mensa mi getta ossi il padrone; gettano pezzi i servi e quel che avanza del companatico. Così senza fatica il mio ventre si riempie." "Ma se ti vien voglia di andartene , è permesso?" "Ah, questo no", rispose. "Goditi quello che vanti, cane. Neanche un regno vorrei, se non libero".
Come potete capire anche voi, il reddito di cittadinanza equivarrebbe ad un lupo o cane contemporaneamente sia libero che pasciuto. Ecco, lo scopo del reddito di cittadinanza è anche aprire le alternative per una possibile libera scelta, per trasformare perlomeno concettualmente il lavoro salariato da schiavitù obbligata a libera scelta. Coniugare efficienza con efficienza. Non è per demagogia che uno dei partiti canadesi rifacentisi al reddito di cittadinanza si chiama "Partito abolizionista del Canada" in riferimento all'abolizione di tale schiavitù. La sopravvivenza non può fondarsi sul libero arbitrio avvallato dal sistema sociale, poichè chi non ha un euro... che il pane costa 2 o 4 che differenza passa, visto che si ha zero? La retribuzione di un reddito minimo è fondamentale come diritto alla mera sopravvivenza e alla libertà di scelta. Il punto non è se sia superfluo per alcuni e assolutamente vitale per altri, o se sia una scusa per non lavorare o per rilanciare se stessi, il punto è il diritto di vivere in una società giusta e razionale, cosa che dovrebbe essere un aspirazione universale. Hyman Minsky si è anche occupato di politiche sociali e, in particolare, di politiche del lavoro. Dal 1960 in poi, fu un forte sostenitore della necessità di un intervento dello stato per creare posti di lavoro, mentre riteneva che i programmi di assistenza e i sussidi avrebbero creato una dipendenza cronica dei soggetti più deboli. Anche Keynes riconosceva che quando lo sviluppo non riesce ad alimentarsi spontaneamente, quando il mercato sottrae quel reddito diffuso che rende solido lo stesso mercato interno, questo reddito deve essere garantito dallo stato. Solo che lui agiva in modo errato; eppure ha vissuto contemporaneamente all'apice delle teorizzazioni del credito sociale, il fondamento scientifico del reddito di cittadinanza. Il reddito di cittadinanza è finalizzato proprio a creare posti di lavoro, ed è l'unico modo per poterlo fare senza inefficienti costrizioni dirigiste. Il credito sociale nasce ad opera di Clifford Hugh Douglas dal presupposto della regolazione della massa monetaria, come alternativa al "quantitative easing" da sempre usato dalle banche centrali di ogni paese, riforma monetaria con lo scopo precipuo, come riportato da Douglas, di "diffondere il potere economico e politico ai singoli individui" per "costruire una nuova civiltà basata sulla sicurezza economica assoluta per l'individuo", ciò che lui chiama "democrazia economica" o "controllo democratico del credito" (ovvero del circolo della moneta nel sistema distributivo dei beni), ed in chiara contrapposizione al marxismo riferisce il credito sociale come "aristocrazia dei produttori al servizio della democrazia dei consumatori".

"Non mi interessa seguire il percorso del mio dollaro, ma mi preoccupo di seguire gli effetti della mia obbedienza" (Henry David Thoreau, Disobbedienza civile)

La sua teoria nasce applicando principi di ingegneria (ovvero di logica matematica) al sistema economico. Per questo possiamo definire i distributisti come i "puristi" dell'applicazione della logica matematica all'economia. Il credito sociale non va confuso con l'"elicottero monetario" di Milton Friedman, che è, come il quantitative easing, un metodo di mera creazione della massa monetaria cioè del mezzo fisico "banconota", non di distribuzione della ricchezza che esso veicola. L'attuale metodo, il quantitative easing, comporta, per lo più, uno scambio con depositi bancari e l’acquisto di debito (i titoli di Stato) da ripagare: “do ut des” si procede con un acquisto di titoli di Stato, allo scopo di assecondare la domanda del mercato (cioè non di andare ad influirvi esso stesso) evitando così un eccessivo rialzo dei tassi ed allo scopo di mantenere invariato il costo del denaro da parte della banca centrale; attraverso la liquidità raccolta vengono effettuate le spese pubbliche e di conseguenza tagliate le imposte da parte del governo. Nella solita visione tipica della visione economica social-democratica avulsa dalle leggi matematiche e dal buon senso logico, l’idea alla base dell’elicottero monetario vede la banca centrale che, nella lotta contro la deflazione (che ovviamente loro interpretano come deleteria anzichè come sintomo della crescita economica quale invece dovrebbe essere), cerca di stimolare la propensione al consumo (e quindi la domanda, secondo loro, come se i beni nascessero dal nulla in seguito alla necessità sentita) dei risparmiatori attraverso questa nuova massa monetaria, non più scambiata con le banche tramite titoli, ma distribuita direttamente senza contropartite. Per cui con l’elicottero monetario le forze in atto andrebbero direttamente ai soggetti come moneta anzichè indirettamente come minori tasse (che resterebbero perciò interamente calcolate sulla spesa pubblica), e secondo la sinistra “dei diritti”, cronicamente incapace di andare oltre analisi sentimentali e belle parole, permetterebbe di "influenzare direttamente la domanda aggregata e rilanciare la spesa pubblica, aumentare i consumi dei beni primari e, quindi, influire direttamente sulle piccole e medie imprese che vedono aumentare i propri profitti innescando un circolo virtuoso per esse e per i loro lavoratori" (sempre piccole e medie imprese... e quelle grandi che sono, il diavolo???), senza creare i presupposti per un reciproco scambio: una sorta di “beneficenza finanziaria”, o “quantitative easing per il popolo” come lo definisce Daniele D'Avino, con lo scopo, secondo quelli del "lato della domanda" come abbiamo visto, di far aumentare i consumi, come se ciò fosse una cosa buona! Viene da chiedersi perchè non propongano di ridiffondere il virus del vaiolo, sai come aumenterebbero i consumi di bare? Milton Friedman per primo descrisse l’elicottero monetario nel 1969 in un suo studio sulle alternative al quantitative easing, e negli ultimi tempi in tema di deflazione dell'euro il concetto è tornato con forza d’attualità: banconote che “piovono” dal cielo direttamente ai cittadini (e non agli erari come il quantitative easing), per colmare la deflazione ma sorpassando l’intermediario bancario e la reciprocità. L'unico esempio pratico di "elicottero monetario" è stato compiuto in Cambogia dopo la caduta dei Kmer rossi, ma fu una necessità dato che avendo loro distrutto tutti i soldi, questo era l'unico modo di reintrodurli. Tuttavia oggi Mario Draghi, presunto “pilota” dell’elicottero, avrebbe discrezionalità su come, quando e dove portare questa “benevola perturbazione”.

"Il debito è il sistema moderno per imporre la schiavitù" (Ezra Pound)

Dato che la necessità di regolazione della massa monetaria si effettua "una tantum" a seconda delle necessità, e il credito sociale invece lo prevede in maniera permanente e costante (tramite emissione di moneta decrementante), si potrebbe definire il reddito di cittadinanza come un "elicottero monetario" permanente, ed il credito sociale come la contemporanea sussistenza in maniera permanente di entrambi i sistemi di “finanziamento monetario della spesa pubblica”, composto da fiscalità monetaria che è praticamente un quantitative easing permanente a tasso di interesse negativo, e da reddito di cittadinanza come "dividendo nazionale" (come lo chiama Douglas) ossia "elicottero monetario" permanente. Nel suo romanzo "Il trucco del cappello superiore", parte della sua "Trilogia del gatto di Schrödinger", Robert Anton Wilson ha descritto l'attuazione da parte del presidente degli Stati Uniti di un futuro alternativo di una forma di credito sociale, in cui il governo emette un dividendo nazionale a tutti i cittadini sotto forma di "aiuti commerciali", che possono essere spesi come un denaro, ma che non può essere prestato a interesse (al fine di placare il settore bancario) e che alla fine hanno una scadenza (per prevenire l'inflazione e la tesaurizzazione). Friedman insomma ha solo scoperto l'acqua calda, un reddito di cittadinanza "una tantum" e per tutt'altri scopi.

"Noi crediamo che i bisogni più urgenti del momento potrebbero essere soddisfatti mediante ciò che noi chiamiamo un dividendo nazionale. Questo sarebbe fornito dalla creazione di nuova moneta - con esattamente gli stessi metodi come sono ora utilizzati dal sistema bancario per creare nuovo denaro - e la sua distribuzione, come potere d'acquisto, a tutta la popolazione" (Clifford Hugh Douglas)

Come già accennato, il primo scopo del reddito di cittadinanza è sostituire la solita concezione di assistenza pubblica. E' spesso sostenuto che l'attuale sistema delle prestazioni sociali è pieno di difetti, ed è stradimostrato che questi servizi sono svolti con efficienza solo dall'iniziativa privata. Tali argomentazioni sull'inefficienza pubblica includono gli elevati costi di gestione, gli errori di esclusione (gruppo target che non ricevono il beneficio), gli errori di inclusione (persone che erroneamente ricevano il vantaggio), la corruzione e il costo di accesso per il beneficiario, che comprende il tempo, gli sforzi, l'umiliazione e la sofferenza, per mano della burocrazia. La spesa per la protezione sociale in Italia è in linea con la media europea. In Italia, infatti, ci sono già numerosi programmi di aiuti alla povertà e di sussidi alla disoccupazione, sia a livello locale che nazionale: assegni di assistenza, assegni familiari, indennità di frequenza minori, pensioni di inabilità, indennità di accompagnamento, buoni bebè, cassa integrazione, cassa integrazione in deroga, indennità di mobilità, e le nuove Aspi e Naspi. Il problema è che questi aiuti sono spesso “mal mirati”. Le persone che vengono aiutate da questo insieme di strumenti non coordinati sono, secondo una ricerca della Bocconi, solo per il 27% ne avrebbero una vera necessità, mentre molti di più che ce l'avrebbero (quelli che vengono definiti spregiativamente, dai loro carnefici, "bamboccioni") ne sono esclusi. L’introduzione del reddito di cittadinanza, uniformerebbe e razionalizzarebbe tutti questi aiuti, in modo da rendere più semplice la gestione e meglio dirigerla verso chi ne ha davvero bisogno, ciò che avverrebbe in maniera automatica senza bisogno di burocrazie a indirizzarla. Non sarebbe perciò IN ALCUN caso una spesa in più. Ma questo non significa che basti solo distribuire i soldi così come niente fosse: un serio tentativo di attuazione del reddito di cittadinanza passa attraverso un lavoro lunghissimo, fatto di revisione in toto del sistema fiscale, dei vari sistemi di welfare e di tutti gli ammortizzatori sociali. Insomma, una mole di lavoro che il nostro giurassico (nei movimenti) e biblico (nei tempi) parlamento è fin troppo abile a scansare coi suoi "ritardi d'intervento" (la proposta Buontempo è in parlamento dal 2006...). Tralasciando le lacunose risposte ricevute dai vari ministri dell’economia che si sono succeduti, che fanno sospettare una mancanza di voglia di leggere la proposta, quindi figurarsi di attuarla. Dopotutto non è nemmeno realistico il fatto stesso di pensare che questa classe politica lo possa introdurre, figuriamoci nei modi giusti e saperlo gestire! Tanto che, sinceramente sulle applicazioni sperimentate in pratica nel resto del mondo io non ne ho molto interesse, nel senso che se fossero esattamente uguali a quello che descrivo in questo testo non farebbero inevitabilmente che confermare quello che già so con certezza, se invece fossero altra cosa non mi possono interessare proprio per questo. Comunque che fosse esattamente come quella poundiana-auritiana è praticamente impossibile perchè sarebbe una cosa troppo rivoluzionaria in una miriade di aspetti che oggi come oggi sarebbe improponibile, non solo in tema di welfare. Cosicchè non si riesce mai a far combaciare le reciproche aspettative, e da cui deriva anche il caos interno ai 5 stelle.

"Non ci dovrebbero mai essere compromessi riguardo i principi morali. In qualsiasi compromesso tra il cibo ed il veleno, solo la morte può avere il sopravvento. In qualsiasi compromesso tra il bene e il male, solo il male trae beneficio” (Ayn Rand)

Se i 5 stelle volessero proporre in parlamento il vero reddito di cittadinanza anche senza "citarne la fonte" ben venga comunque, ma non che ci rubino il solo nome per appiccicarlo ad una cosa del tutto diversa delegittimandolo così agli occhi della gente quando inevitabilmente (per come da loro impostato) fallirà rivelandosi non solo inutile ma perfino deleterio per gli scopi prefissi ma utile a mantenere a galla il sistema vigente! Chiamino la loro proposta col suo nome cioè sussidio temporaneo di disoccupazione, non reddito di cittadinanza che ha anche nella parola stessa tutto un altro significato ben chiaro e che proprio in quanto tale è sempre stata avversata (e pure furentemente!) da quella gente (di cui Renzi e il suo partito catto-comunista sono gli eredi legittimi) che ora in parlamento accetta di discuterne coi 5 stelle quando fino a 5 anni fa sarebbe stato illusorio solo considerarlo non per altro ma perché accusata di essere una teoria economica antisemita. Con Grillo quindi non è più una teoria economica antisemita? Lo scrivo quasi come uno sfogo, poiché a sentirmi dire "e le prove?" dopo anni di esaurimento nervoso per combattere contro i furenti nemici del reddito di cittadinanza (gli antifascisti generalmente, ma suddivisi in due distinte categorie che vi descrivo più avanti), quando il movimento 5 stelle non era ancora neanche nei sogni del comico Grillo, mi sono sentito defraudato, e penso sia comprensibilmente legittimo no? Così dopo averlo sostenuto e propagandato per 20 anni mi sento chiedere "le prove" da questi ultimi arrivati che tra l'altro non hanno nemmeno mai sentito il termine stesso "credito sociale" che è il fondamento originario del reddito di cittadinanza come complemento alla fiscalità monetaria! Come mi dovrei sentire? Dov'erano loro quando appena provavo a scrivere qualcosa sulle voci relative in wikipedia subito arrivava qualcuno a cancellare (anche l'intera pagina, come ripetutamente successomi proprio anche con la voce "credito sociale" e con quella "reddito di cittadinanza" che poi è stata ricreata nel 2013, ma nelle forme che potete vedere ora, da altri) o a metterci il colore rosa sopra e mi bloccava l'ip umiliandomi come fossi un vandalo? Dov'erano 10-20 anni fa tutti questi benpensanti dalla faccia pulita che oggi nei video su youtube paiono appropriarsi del termine "reddito di cittadinanza"? Dov'erano quando tale termine era un tabù che chiunque solo osava pronunciare veniva bollato come complottista nazista razzista antisemita? E' facile presumere che erano anche loro dalla parte di quelli che dileggiavano i soli che allora osavano proporlo, i beceri fascisti. A partire da quando il reddito di cittadinanza è stato "sdoganato" da queste pretestuose accuse, e perché? A cosa è dovuta questa "conversione", tutti questi "folgorati sulla via di Damasco", sono diventati tutti fascisti di botto? Un simultaneo rinsavimento collettivo? No, nessun rinsavimento di massa, è stata solo cancellata l'insegna "fascista" dal reddito di cittadinanza... semplice. Basta solo cambiare il colore ad una cosa, e quella diventa di colpo buona quando prima era sterco del demonio. Poco male, l'importante è che venga sostenuta e magari realizzata, chiunque sia a farlo.

"Quando vedi la tua verità fiorire sulle labbra del tuo nemico, devi gioire, perché questo è il segno della vittoria" (Giorgio Almirante)

Ma lasciato ad ogni interpretazione come scatola vuota in mano ai 5 stelle e ai politicanti attuali è pericoloso! Cavilli, condizioni, distinguo, quante difficoltà... atteggiandosi a risolutori, tutto per non perdere il potere sul popolo, hanno preso sempre più potere i tiranni "lor signori" preti, politicanti, industrialetti, sindacalisti, giornalai, servi, "indemoniati" e/o deficienti, di coloro che avevano in mano e controllavano il sistema che hanno nascosto e ritardato le conquiste e il progresso tecnologico e ci hanno procrastinato la liberazione dalla schiavitù da lavoro fino ad oggi. Quelli che se ne sono appropriati, i 5 stelle, in assenza del retroterra politico-ideologico di una cultura economica distributista si sono rivelati incapaci di pianificarlo nei modi corretti; purtroppo pare che ormai gli unici legittimati a portarlo avanti siano loro... incredibile, certo... ma in linea col tipico masochismo dei neo-fascisti che anche in questo caso riaffiora, per cui quando il reddito di cittadinanza era il diavolo erano gli unici soli a sostenerlo, ed ora che il termine è diventato "di moda" lo ripudiano solo per non voler essere assimilati ai grillini... così invece di raccogliere i frutti che i loro predecessori hanno amorevolmente coltivato fin dalla semina, ora che sono maturi li lasciano raccogliere ad altri... a degli incompetenti che nemmeno sanno come utilizzarli, così che se prima mi trovavo contro i furenti antifascisti, ora che il fronte si è capovolto mi trovo contro i fascisti (o meglio, quelli che pensano di esserlo, ma se vanno contro ad un concetto fondamentale ed inscindibile della destra sociale quale è il reddito di cittadinanza, qualche dubbio sul loro concetto di fascismo me lo pongo...) e non potete capire quanto mi roda personalmente questa cosa dopo tutto l'impegno che ci ho messo e dopo la felicità provata inizialmente nel vedere che il nuovo movimento fondato da Beppe Grillo si aggregava ad una nostra tipica proposta. Un ulteriore paradosso si raggiunge quando, precisando al portavoce di un movimento che si è dato il nome di "Destra sociale", che il reddito di cittadinanza appartiene a loro, anche questi arrivi al punto di chiederti "le prove"! Ci mancava anche l'aver dato un nome ad un movimento senza nemmeno conoscere i capisaldi ideologici di quell'area politica il cui nome si è preso a riferimento per il proprio movimento... e rispondere "non seguiamo mode"... certo, ma non ha neanche senso ripudiarla solo quando una cosa diventa "di moda" quando la si è sostenuta quando "di moda" non lo era. Per finire a veder proporre, come ha fatto recentemente CasaPound, la cagata che hanno chiamato "reddito nazionale di natalità", inutile e deleteria dato che casomai il reddito di cittadinanza dovrebbe partire dall'iscrizione alla scuola, non certo l'opposto, proprio per NON incentivare le nascite. Scrive a conferma uno dei massimi esperti di reddito di base, Pietro Muni: di norma non è previsto uno specifico reddito di cittadinanza per i minori, in quanto si presume che essi siano inseriti e contabilizzati in un contesto familiare e soggetti alla potestà di una qualche figura genitoriale. No, per CasaPound tutto il contrario! La tipica demenziale filosofia del "difendere strenuamente la vita prima che nasca, ma dopo che sei nato sono cazzi tuoi", in questo caso con la "strenua difesa" estesa ma solo fino a un certo punto, e solo successivamente il solito "sono cazzi tuoi", tutto il contrario di come dovrebbe essere! A meno di creare proprio a quel punto ulteriori bocche da sfamare, allorché si potrà campare col loro "reddito di natalità" fino a che non giunga il certo punto che viene meno anche quello, in un circolo vizioso che così diverrebbe inderogabilmente necessario con tutte le conseguenze che possiamo (a meno di essere uno di CasaPound, evidentemente) immaginare. Una logica che non fa una piega: si avrebbe il reddito di sopravvivenza fin quando non dovrebbe servire, e lo si perderebbe proprio nel momento in cui inizierebbe a servire! E per ripristinarlo bisognerebbe perpetuare appositamente questo circolo vizioso aggravando ulteriormente la situazione! Ma secondo voi è normale un idea simile??? Ora, viene spontaneo chiedersi quindi che cosa voglia CasaPound, ovvero quale progetto preveda come suo programma di governo, di diverso da qualunque altro partito, dato che il reddito di cittadinanza è il fondamento imprescindibile del sistema economico della destra sociale (se non è il fondamento la sopravvivenza, cosa lo è?), non attuarlo vorrebbe dire non poter fare alcuna altra modifica al sistema economico attuale... perchè questa cosa del reddito di natalità non è una modifica, è solo una sfumatura inutile e deleteria, tra l'altro già esistente (cosa vogliono di più?), un "discutere del sesso degli angeli mentre i turchi vandalizzano la città".

"L'essenziale è invisibile agli allocchi" (Antoine de Saint Exupery)

E non è che negli altri partitini di destra oggi si sia messi meglio. Le imposte sui redditi che non si sente NESSUNA parte politica voler toccare, a riprova della superficialità e pochezza in particolare dei partitelli nazionalisti e destrorsi, che dovrebbero essere i primi a volerle abolire, imborghesiti come sono manco probabilmente sanno cosa è e come funziona il sistema tributario! Ormai la destra sociale è diventata un circolo di radical-chic reazionari che ha buon tempo a discutere di massimi sistemi e cazzate marginali, tanto per fare un pò di scena, nel mentre il paese va allo scatafascio sotto i colpi dell'idiozia antifascista. L’estrema destra italiana è un’area politica talmente priva di prospettive, valori e idee da essere costretta a guardare cosa succede in casa altrui, ed avere la sua unica soddisfazione nell’esultare nel caso in cui uno dei suoi punti di riferimento all’estero abbia un successo elettorale. Molti tra coloro che si reputano seguaci di quell’idea oggi guardino con favore a personaggi come Trump e Le Pen, appoggiando in ciò una politica liberticida e neocolonialista, figlia dello sciovinismo più becero, praticamente solo come contrapposizione ai tipi di umanità che compone l'informe ressa che si accalca attorno ai loro avversari. Forze che fingono di fare la nostra stessa lotta, il gioco iniziato da Berlusconi nel 1994: far deragliare, per ottenere il sostegno mediatico ed occulto dei poteri che fingono di combattere, le spinte sociali al vero cambiamento sul binario morto della "rivoluzione per non cambiare nulla". Dobbiamo rendercene conto, perché avere obiettivi errati confonde e disgrega e porta a risultati errati. Che l’estrema destra italiana non si renda conto di questo fa pensare che oggi ci si trovi in una situazione peggiore di quando era presente il Movimento Sociale Italiano: infatti all’interno di quel partito, seppur dentro correnti minoritarie, erano ancora presenti certe istanze sociali. Oggi invece tutto ciò è definitivamente scomparso, fagocitato dall’arroganza, dall’arrivismo e dall’impreparazione politica di un manipolo di servi in cerca di bandiera.

"La lotta per il potere può essere terribile, ma la lotta per le briciole del potere è sempre patetica" (Ramón Eder)

Difatti quelli dei centri sociali contro chi si accaniscono più violentemente? Contro Berlusconi che è stato presidente del consiglio per anni? Contro Bossi e il suo partito che al nord raccoglieva il 40% di voti? Contro Monti, Prodi, Dini, Maccanico, Renzi? No, ovviamente, si accaniscono contro anonimi sconosciuti ai più che è già tanto se riescono a raccattare le firme necessarie per alle elezioni presentarcisi anche solo! Quale l'utilità stessa di presentarsi alle elezioni sapendo di raccattare meno dell'1%? Se non proprio appositamente sotto questa luce, quella già identificata lucidamente da Jünger nel suo "Trattato del ribelle", di partiti finalizzati a dare solo l'impressione che un opposizione al sistema sia lasciata libera di sussistere ma senza poterlo essere veramente. Questi poveri illusi e tutti coloro che vanno dietro alle loro farneticazioni non si rendono conto che in un sistema fintamente democratico come quello attuale quando qualcuno fa davvero paura gli viene impedito in un modo o nell’altro di partecipare alle competizioni elettorali, e non lo si mette minimamente in condizione di poter vincere. Se viene permessa l'esistenza stessa è proprio perché inutile reprimerla, ed anzi funzionale a dare l'impressione di magnanimità. Oggi votare i partitini di destra è come dare un cerotto a uno che è già morto: non solo è inutile, è pure una presa per il culo. Non applicare il reddito di cittadinanza come punto di partenza vorrebbe dire dover lasciare tutto come è oggi, e allora di cosa stiamo parlando? Allora cosa è che vogliono di diverso da qualunque altro partito? Tanto varrebbe aderire, non dico al Pd, ma almeno a Forza Italia! Se sono distinti da un partito come Forza Italia un qualche distinguo nei contenuti programmatici dovranno averlo da esso, o per loro è solo una questione di colore e slogan? Che basti solo baloccarsi con asinate come il federalismo e la sovranità e berciare profluvi di cazzate olistiche "dio-patria-famiglia" o mitologie pagane e "new age" per distinguersi da tutti gli altri partiti?

"Quando i comizi fascisti diventeranno assemblee mortifere di preti e chierici salmodianti un diaes irae impossibile, io non sarò più fascista" (Benito Mussolini)

Ditemi quale differenza c'è tra Forza Italia e CasaPound se il programma è lo stesso? Se non vogliono applicare i progetti della destra sociale alternativi e diversi dal sistema attuale e di quello che vogliono tutti gli altri partiti, che cavolo contestano allora ad esempio a Gianfranco Fini se poi vogliono le sue stesse cose???? L'applicazione del reddito di cittadinanza come PRIMO atto da parte di una forza di destra sociale che andasse al governo dovrebbe essere da dare perfino per scontato, anzi proprio lapallissiano, un inutile pleonasmo, ci mancherebbe pure che una volta al governo, dopo che i loro predecessori hanno sostenuto un progetto soli contro tutti e contro le furenti critiche, questi "eredi" lasciassero tutto com'è ora invece di applicare il sistema economico che gli appartiene e del quale il reddito di cittadinanza è il fondamento imprescindibile. Eppure pare che sia proprio così... masochismo puro. Io posso anche capire gruppi retrogradi boulangisti sul tipo dei nazionalisti di Saya che definire fascisti è solo una capziosa forzatura, ma proprio CasaPound che vorrebbe dirsi "destra sociale" e che porta non un nome a caso, ma il nome del PADRE putativo del reddito di cittadinanza e dovrebbe a rigor di logica essere in prima linea a sostenerlo, invece di cavalcarlo approfittando del know-how posseduto e della legittimità sulla "proprietà" dell'idea, cosa fa? Lo ripudia!? Viene quindi spontaneo chiedersi in base a cosa abbiano dato il nome Pound al loro movimento... se anche Fiamma Tricolore e Forza Nuova hanno nel loro programma il reddito di cittadinanza, a maggior ragione ce lo si aspetterebbe da un movimento nato per scopi sociali e che vuole collocarsi più "a sinistra" di esse e che perciò ha preso il nome dal padre adottivo del sistema economico propugnato dalla destra sociale... Fino a pochi anni fa CasaPound perculava (non senza ragioni) gli altri movimenti e partitini della destra radicale per il loro becerume, soprattutto in tema di immigrazione, definendoli "destra terminale". Oggi fa manifesti con su scritto "basta feccia" e ripudia il reddito di cittadinanza... Non gli è bastato schierarsi con la lobbi dei tassisti contro Uber, no... a questo punto viene spontaneo consigliargli di cambiare nome in "CasaFini" e allearsi con Alfano o Salvini... Ora, viene da chiedersi, questi sedicenti "destro-sociali", se da un lato rigettando le teorie economiche distributiste si adeguano conseguentemente a quelle ebraico-calviniste, mediante quale motivazione giustifichino il loro antisemitismo (poichè, se non tutti, qualcuno di essi ci sarà a definirsi tale)... poichè se il fascismo (fattore che lo contraddistingue nettamente dal nazismo) va contro NON agli ebrei in quanto tali ma ai dogmi economici dell'ebraismo religioso, la ragione è unicamente per la diversa visione dell'economia, non per altro.

“L’orgoglio nazionale non ha affatto bisogno dei deliri di razza” (Benito Mussolini - Emil Ludwig, “Colloqui con Mussolini”, Mondadori, pag. 55)

"Noi non siamo contro gli ebrei perché d'altra religione e d'altra razza ma dobbiamo opporci ch'essi coi loro denari mettano il giogo degli schiavi sui cristiani" (Alcide De Gasperi, 1906)

Il paradosso si raggiunge sentendo Guy Standing affermare che "il reddito di cittadinanza può fermare l’ondata dei movimenti populisti neofascisti che stanno giocando sulle paure e sul senso di insicurezza lavorativa delle persone" quando fino a 4 anni fa era proprio il reddito di cittadinanza ad essere definito pressochè universalmente un istanza populistica demagogica dei movimenti neofascisti! Anzi, non "una", ma, tra tutte, proprio LA "regina" delle istanze populistiche neo-fasciste, venendo identificato erroneamente come una strategia clientelare sullo stile di Achille Lauro (e se non è identificabile come l'apoteosi del populismo il "regalare soldi"... fraintendendo lo scopo della proposta poundiana, che non è *dare soldi* fine a sè stesso come Lauro o Pannella per ottenere voti "di scambio") o solo per interesse personale essendo per antonomasia il neofascismo composto di sottoproletari inoccupati che "tirano a campare" e quindi direttamente interessati ad esso. Tanto che a causa di questa ignominiosa "fama" vigente sul reddito di cittadinanza, i gruppi neo-fascisti stessi, allora convinti che non fosse tanto infondata e negabile e tantomeno "sdoganabile" (era un ipotesi fino a 4 anni fa assolutamente inimmaginabile...), erano restii ad inserirla ufficialmente tra i propri programmi, cosicchè restava, almeno ufficialmente, relegata a gruppi "eretici" estremi del fascismo "di sinistra" quali il "Movimento Antagonista - Sinistra Nazionale" di Flavio Laghi, "Fascismo e libertà" di Giorgio Pisanò, i "comunitaristi" sul tipo dei "nazional-anarchici" di Troy Southgate. Ed in tutti questi solo come credito sociale (si veda ad esempio la pagina wikipedia sul Movimento Fascismo e Libertà), a complemento della fiscalità monetaria, elemento sistemico aggiuntivo e quasi superfluo, perchè tra tutte le proposte del pur tanto popolarmente deprecato fascismo, il reddito di cittadinanza sembrava essere la più demonizzata e quindi la meno presentabile, l'ULTIMA a poter avere una qualche chance di divenire popolarmente accettabile... la più utopistica, e lo posso confermare personalmente perchè, lo ammetto, io stesso lo pensavo. Paradossale col senno di poi, vero?

"La verità prima di emergere passa generalmente attraverso tre fasi: nella prima essa è ridicolizzata, poi è violentemente contrastata, e infine è accettata come un dato del tutto naturale" (Arthur Schopenhauer)

Alle versioni irrazionali sul tipo di quella dei 5 stelle si sono recentemente posizionati tutti quelli che pur di sinistra non sono su posizioni obamiane, liberal, radical-chic, immigrazioniste, boldriniane, pro-rivoluzioni colorate sorosiane, anti-Putin, anti-Assad, ecc., cioè quelli che la sinistra disprezza come "rossobruni" o "nazimaoisti" (categoria che esiste unicamente dal punto di vista teorico anzi per essere più precisi esiste unicamente nelle paranoie degli oramai residuali gruppetti della sinistra cosiddetta antagonista) rifacentisi genericamente al nazional-comunitarismo di Jean Thiriart a sua volta derivato dal nazional-bolscevismo di Ernst Niekisch, e all'eurasiatismo del Partito nazional-bolscevico russo di Dugin: il defunto Preve, Gianfranco La Grassa, Enzo Erra, Franco Cardini, Miro Renzaglia, Socialismo Patriottico, Patria Socialista, Socialismo Nazionale, il quotidiano Rinascita, il Campo Anti-imperialista, la casa editrice Arianna, Massimo Fini, Fernando Rossi, Moreno Pasquinelli, Diego Fusaro, Paolo Bogni, i decrescisti, i sovranisti, ed a un certo momento... pure il comunista bordighista Marco Rizzo! Categoria nella quale Massimiliano Panarari inserisce pure i 5 stelle (facendo appello alla "base illuministica, empirica e incrementale" di scrollarseli di dosso), mostrando che una comprensione mediatica di cosa sia in realtà il movimento 5 stelle è ancora lontana.
Tra i gruppi propriamente fascisti la posizione ufficiale restò relegata ai predetti gruppuscoli minoritari (tra i quali il principale era "Fascismo e libertà", che possiamo definire quello che più si avvicinava al vero fascismo) fino al 1995, quando, liberatisi dalla palla al piede dei reazionari di Fini, prima il Movimento sociale fiamma tricolore e poi Forza Nuova poterono inserire ufficialmente il reddito di cittadinanza tra i loro programmi, tanto che nel 2013 Roberto Fiore, in relazione ai programmi del neo-nato movimento 5 stelle di "nazionalizzazione della Banca d’Italia, eliminazione dei sindacati, reddito di cittadinanza", aveva chiesto riferendosi a Grillo: "perchè porta in tour il programma di Forza Nuova?". Idem da parte di Fiamma Tricolore il cui segretario Luca Romagnoli lamentava la scopiazzatura da parte di Grillo dei temi a loro più cari: "dopo essersi appropriato di idee e proposte politiche della destra radicale come la nazionalizzazione della Banca d’Italia, la sovranità monetaria con il ritorno alla moneta nazionale e quant’altro, se n’è uscito con l’'innovativa' proposta di reddito di cittadinanza: peccato che il comico si sia scordato di raccontare agli intervenuti al suo Tsunami-show, che tale idea è una battaglia sociale di Fiamma Tricolore sin dalla sua nascita nel 1995". Ed oggi tutti ad applaudire alle parole di Guy Standing "il reddito di cittadinanza può fermare l’ondata dei movimenti populisti neofascisti"! Se il modo di fermarli è attuare i loro programmi, ma ben venga!!! Come diceva Deng Xiaoping, l'importante non è di che colore è il gatto, l'importante è che prenda i topi!

"Ogni idea rivoluzionaria segue tre fasi di reazione. Primo: è del tutto impossibile. Secondo: è possibile, ma non ne vale la pena. Terzo: ho sempre detto che era una buona idea!" (Arthur C. Clarke)

Da ciò se ne ricava che evidentemente il reddito di cittadinanza era tanto deprecato per una semplice ragione: "chi disprezza compra", come dice il proverbio... non era tanto il concetto in sè a disgustare le persone (poichè, così come oggi, anche allora solo pochi erano al corrente delle vecchie accuse di antisemitismo economico che vi aleggiano), ma il fatto che fosse un istanza si desiderata ma non praticabile poichè "di proprietà" fascista. E in un mondo che odia così furentemente tutto ciò che riconduce al fascismo, non era ammissibile apprezzarne anche una sola sua proposta per quanto desiderabile essa potesse essere. Evidentemente "sdoganarlo" richiedeva che se ne omettesse l'indicibile origine. Ora, viene spontaneo chiedersi, se un domani, quando per la spontanea evoluzione delle prospettive sociali prevista da Schumpeter ("progresso"), verranno inevitabilmente sostenuti progetti che con lungimiranza i fascisti da soli sostengono da sempre, verrà anche in quel caso omessa tale ideazione pregressa... e non è un ipotesi campata in aria, è già successo con il reddito di cittadinanza, con la critica alla moneta europea, e sta iniziando ad accadere con la democrazia organica (da poco introdotta in Italia nelle elezioni provinciali senza che sia fatto il minimo accenno al fatto che è il sistema elettorale propugnato da sempre dall'estrema destra), accadrà anche con tutto il resto? Incredibilmente parrebbe proprio di si! Oggi si è arrivati a livelli che anni fa sarebbe stato impensabile per i vilipesi fascisti: essere sorpassati a destra dall'uomo qualunque, la "maggioranza silenziosa", incarnata dalla cosiddetta "casalinga di Voghera" alla quale i social network hanno dato oggi voce! Ma il politicamente corretto si ha comunque verso il medesimo meccanismo discriminatorio il cui senso è riassumibile dal nome di un gruppo esistente su facebook "di sinistra e antirazzista, ma contro l'invasione straniera"... ovvero, quando ti dici di sinistra e anti-razzista puoi pure permetterti... di essere razzista e di destra!!! Ovviamente in questo contesto il paria diventa per parafrasi chi si dice letteralmente "di destra e razzista, ma a favore dell'immigrazione". Evidentemente l'importante è l'involucro, non il contenuto. Che è un pò come quella fastidiosissima frase che mi sono sempre sentito dire "sono di sinistra ma sono d'accordo con te su questo, questo, questo", che per loro significa "tu sei cattivo, io sono buono, ma sono d'accordo con te su questo, questo, questo", sullo stile del recente "ho molti amici gay" o "ho molti amici immigrati", quest'orrido distinguo a dire da una posizione di auto-presunta superiorità perfino data per scontata (come se ne concordassi perfino tu!) "io buono, tu cattivo; io migliore perchè anche se sei cattivo dimostro bonariamente di non odiarti". "A differenza di te che sei cattivo, io sono buono ma gli immigrati li ammazzerei tutti"... ah e il cattivo sarei io e il buono tu??? E sulla base di quale logica??? Purtroppo l'alienazione ideologica questo ha determinato, che "di sinistra" significhi "buono" e "di destra" "cattivo", per cui basta solo dirsi "buono" per potersi permettere di essere una bestia (il famoso "uccidere un fascista non è reato" e concetti politically correct similari) mentre a dirsi di destra si può essere buono come un santo ma si sarà sempre il cattivo da ammazzare o da paternalisticamente "tollerare" guardandolo dall'alto al basso. No, cari, non ci fate una bella figura davanti a me a dirvi "di sinistra" come se deste per scontato che anche per me ciò equivalga come per voi a dirsi "buono" o "migliore", e dicendovi d'accordo con me su cose sulle quali io non concordo proprio per niente, perchè se poi palesate idee malvagie che io non ho mai detto e pretendete pure di metterle in bocca a me, non me ne frega dell'etichetta ma della realtà dei fatti! Ed anche se non palesaste idee retrive ma vi limitaste a dirvi di sinistra, per me destra e sinistra non equivale a cattivo e buono ma a sensato e stupido, per cui definirvi di sinistra davanti a me equivale a definirvi stupidi, non buoni o cattivi. Stupidi. Peccato che non arrivino a capirlo. Io rabbrividisco a leggere sul web certi commenti di gente che augura la morte nei modi più svariati agli immigrati e condivide notizie palesemente assurde su reati imputatigli o su surreali diritti elargitigli o su frasi inventate affibiate alla Kyenge. Ma loro possono farlo. In questo paese è lecito augurare la morte a uno straniero o gioirne quando accade, l'importante è non essere fascista. Un fascista è il diavolo anche quando depreca Salvini e gente come Del Debbio e Belpietro per il loro gettare benzina sul fuoco sulla questione immigrazione, mentre un antifascista può pure permettersi di inneggiare ad uno sterminio di massa. Normale. Quindi ci si può permettere di sostenere l'antisemita e populistico reddito di cittadinanza, l'importante è essere esteriormente "di sinistra e antirazzista". Anzi dal 1994 non è nemmeno necessario dirsi di sinistra, ma almeno non dirsi fascista. Quando ci si dice fascista si può pure essere un buon samaritano ma si troverà sempre una ragione di delegittimazione delle proprie azioni e parole, mentre dicendosi "non fascista" ci si può permettere di auspicare muri, ruspe, naufragi, andare a prendere gente casa per casa, ecc, liberamente. Certo si sarà criticati, ma bonariamente, non con l'odio puro che solo sui fascisti è scagliato anche senza che aprano bocca, solo per l'etichetta. L'esempio lampante è la Lega nord, che anzi può essere considerata proprio il risultato di ciò: ha potuto dar voce alla gente stereotipata descritta nella canzone "quelli che ben pensano", tipologia di gentaglia ben rappresentata dalla persona peggiore in assoluto mai esistita in ambito politico, Umberto Bossi (il succitato "casa per casa" è suo...), l'incarnazione stessa del concetto "due braccia rubate all'agricoltura". Il razzismo folkloristico, stile Ku Klux Klan, oggi tipica prerogativa della Lega Nord, quello è stato ed è il più grande strumento dei provocatori, di un razzismo esteriore creato ad arte, tra "conferenze di Wansee", bimbi iracheni "annegati da naziskin", film con vecchi nazisti che infilano gatti in un forno, pazze norvegesi che ad Assisi si auto-incidono svastiche in fronte, e i vari "Luis Marsiglia" di cui è costellata la storiografia e la cronaca. La scusa più buona su cui campare e dietro cui velare la realtà. Ovviamente il tutto suggellato dall'inversione che quando chiunque, comunisti compresi, compie violenze, come viene accusato? Di fascismo... e così si prendono due piccioni con una fava. Salvini fomenta aizza e crea i presupposti della violenza fascista? No che casomai è accusando chi compie violenze di essere fascista, che è come accusare una persona presa a caso, si incentiva l'autore a ripetersi? Il problema è che a causa di ciò affluiscono di continuo nei partitini dell'area proprio questo tipo di gente, che proprio per cercare di legare a sè sono costretti ad assecondarne le castronerie. Se si va in giro a dire che i fascisti sono razzisti, è prevedibile e comprensibile che tutti i razzisti si dicano pure fascisti, o no? Che poi in realtà questi di fascista non abbiano nulla, è irrilevante per l'opinione pubblica. Normale. Evidentemente, dopo essere stati accolti, in CasaPound hanno finito per diventarne i proprietari, così si può spiegare la piega presa ultimamente da essa, che di fascista oramai non ha più nulla.

"Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia" (Vangelo secondo Giovanni)

Il relegamento nell'oblio dell'origine del reddito di cittadinanza ha determinato che di recente wikipedia ha inserito anche un template apposito per il reddito di base, contenente un elenco dei nomi di persone legate ad esso. Bene, credete che almeno tra questi nomi ci siano le personalità che storicamente hanno studiato e sostenuto il reddito di base? Pura illusione. Ci sono solo nomi di persone che se ne sono occupate quasi timorosamente, dando apporti limitati ed ambigui se non proprio sballati del tutto; chi ha dedicato la propria intera vita al vero significato di reddito di base non risulta nell'elenco, e non si sta parlando di pinchi pallini ma di persone che hanno già una loro voce in wikipedia, basterebbe solo linkarla nel template... Anche per Wikipedia basta solo omettere l'origine fascista perché venga a non essere più una teoria economica antisemita, evidentemente, quando prima invece, e non si sa sulla base di cosa, secondo loro lo era e per questo non aveva diritto di esistere sulla loro enciclopedia. Non pretendo dare importanza a Giacinto Auriti (probabilmente una delle voci la cui versione è quasi per antonomasia stessa identificata come il più alto risultato di un opera preordinata di puro vandalismo col beneplacito degli amministratori stessi se non proprio loro azione diretta, e chiunque può constatarlo coi propri occhi nella pagina di discussione di quella voce), o ad economisti semi-sconosciuti morti da cento anni come Silvio Gesell, ma almeno il "padre putativo" Ezra Pound dai... a difesa di Wikipedia devo puntualizzare che di recente è stato aggiunto Douglas, vabbè meglio di niente. Dopotutto, se nella voce stessa il reddito di base fosse ricondotto al fascismo, non sarebbe stato descritto in modo così corretto, ma così come la voce fiscalità monetaria la definizione sarebbe stata stravolta e resa incomprensibile; poterla descrivere così accuratamente ha richiesto giocoforza di ometterne ogni riferimento al fascismo e al credito sociale, definito (quando la voce esisteva) "un'invenzione di Giacinto Auriti"... non è proprio per niente un invenzione di Auriti, anche lui l'ha preso dalla tradizione economica della terza via distributista alternativa a capitalismo e socialismo alla quale i cattolici dovrebbero far riferimento in quanto sviluppo della dottrina sociale della Chiesa cattolica. Il fatto per cui "wikipedia" si sia sempre accanita in tal modo sulle voci relative al distributismo in una maniera che non ha eguali in nessun altro ambito, mi è sempre stata oscura, o più esattamente, la sospetto, ma è un pensiero talmente indegno sull'umano intelletto che mi vergogno a nome dell'umanità anche di ammetterlo a me stesso, una roba che va oltre ogni limite di decenza. E lo so perché io ho contribuito a wikipedia fin dalla sua nascita in una vasta gamma di ambiti, praticamente in tutti eccetto le arti e lo sport, quindi non posso non aver notato la cosa, talmente è attuata in modo spudorato dai cretini del "sostengono, senza fornire particolari spiegazioni, che la fiscalità monetaria permetterebbe di eliminare il ricorso al debito pubblico" (frase nel febbraio 2017 ancora presente dopo 10 anni nella relativa voce in wikipedia)... SENZA FORNIRE SPIEGAZIONI????? Ma uno deve essere proprio deficiente per aver bisogno che gli si spieghi la cosa evidente ed ovvia che se uno stato prevede di poter creare tutta la moneta necessaria non avrà a rigor di logica più bisogno di ricorrere al debito pubblico!!! Capite con che cretini mi sono dovuto confrontare io??? Che poi il ricorso alla creazione illimitata di moneta sia da deprecare (pur essendo l'unico modo fattibile per eliminare il debito pubblico, oltre all'annullamento dello stesso) è un altro discorso, ma no "senza spiegare come"! Il "come" è implicito nel meccanismo stesso! E guai a toccarla quella sacrosanta frase!!! In una frase in cui si chiede una spiegazione, non viene permesso di darla questa spiegazione, ma ditemi se secondo voi è normale che dopo aver cancellato ogni spiegazione presente nella versione originaria su cosa sia la fiscalità monetaria (si veda lo screen di una versione riportata in un forum), abbiano poi la faccia tosta di scrivere "senza fornire spiegazioni", dopo che sono stati proprio loro a cancellarle quelle spiegazioni? Appositamente in maniera da renderla non solo fumosa, ma proprio incomprensibile quale è ora, lasciando stare solo le baggianate superflue e aggiungendo poi cose palesemente false, tipo (cosa stata presente per anni nella voce, ma ora cancellata) l'assimilarla ad una tassa sui conti correnti per far credere che colpisca il risparmio (da dove potessero aver ricavato ciò, mi era incomprensibile, dato che non è così: chi è che risparmia tenendo i contanti sotto al materasso oggi?), oppure inserirla nella "teoria del complotto bancario" e relativa critica al signoraggio, quando invece la fiscalità monetaria è addirittura un signoraggio aumentato dato che presume che l'emettitore di moneta (lo stato) nemmeno debba ritirare la moneta emessa (dato che essa decrementa, definizione stessa di "demurrage" base della fiscalità monetaria geselliana-poundiana). Chi sostiene la teoria del complotto bancario e critica il signoraggio a maggior ragione dovrebbe quindi criticare la fiscalità monetaria, e non l'opposto cioè sostenerla! Ma nonostante la logicità di ciò, evidentemente c'è qualcuno a cui interessa far credere una cosa per un altra. Aberrante era poi la puntualizzazione "ad hoc", anche questa solo di recente eliminata, avulsa dai fondamenti economici della legge di Say e della neutralità della moneta, che la fiscalità monetaria "impoverisce" le persone creando inflazione, che indica perlomeno non aver capito niente poichè come può un inflazione "inversa" (cioè un tasso di interesse negativo) creare inflazione???? Casomai causerebbe DEFLAZIONE se non venisse reimmesso nuovo denaro a sostituire l'aggregato valore decrementato! Il quale andrebbe solo a sostituire nei prezzi le percentuali già oggi sottratte con le imposte attuali e con l'Iva, non "impoverendo" un bel niente! Per finire, fallito il tentativo di cancellazione della voce, ripiegare sulla censura delle singole parti di testo con la solita tipica scusa della "non accademicità" che nella voce in questione si traduce nella frase "non trova riscontro nella letteratura economica", come se ciò significasse "non esiste", perchè questo è ciò che tale loro frase vorrebbe instillare, con la brutta mania che hanno di nascondersi dietro quella stupidaggine che loro chiamano "peer review" che certamente nella loro piccolezza mentale nemmeno si rendono conto che è paragonabile alle confessioni di stregoneria estorte dietro tortura: così come è facile far confessare così, facile è delegittimare qualcosa così. Basta solo che qualcuno dica che "manca la peer review", e automaticamente l'oggetto cessa di esistere; così come una donna diventava strega per averlo confessato. Non è un paragone azzardato, chi usa i concetti di "peer review" ed "accademicità" per stabilire se una cosa è vera o no (cioè non se abbia senso o no, che è un altro discorso certamente, ma se esista o no, capite la differenza?) sono rimasti mentalmente alla stessa epoca della caccia alle streghe, quando bastava il "peer review" sull'"accademicità" dell'accusa per stabilire se le streghe esistono o no. Il fatto che il buon senso logico stesso dica che non esistano, è irrilevante: quello che conta è solo il "peer review", il consenso, e l'"accademicità" dell'accusa. Come dire che quando si forma una "teoria dominante", secondo loro "l'onere della prova" sta a chi contesta tale teoria dominante... "Non si può difendere la libertà di ricerca storica e poi ripetutamente contravvenire al metodo della scienza storica"... in questo mondo capovolto l'onere della prova sta non a chi dovrebbe averlo (chi sostiene una cosa) ma a chi la prova LA CHIEDE. Certo, secondo loro se una teoria è dominante è a priori vera... non importa se sia stata creata ad arte dal nulla, l'importante è che sia dominante... si certo ma se è la teoria dominante stessa ad essere nata senza alcuna prova, è o no lecito chiedere le prove? Io non contesto e tantomeno nego un bel nulla, io solo chiedo le prove! Quindi il metodo storico-scientifico presuppone che se esiste una tesi dominante questa non deve essere dimostrata? Bella logica! Dopo che sono quelli che ti obbiettano "ognuno ricorda solo ciò che gli piace ricordare" e altri discorsi sullo stile del "bue che dice cornuto all'asino", cosa si può pensare oltre a "senti da che pulpito..."? Il loro ragionamento è un pò come se io andassi a dire "6 milioni di anni fa un astronave aliena è atterrata sulla terra" e pretendessi che fossero tutti gli altri a dover portare le prove che ciò NON sia accaduto, anzichè dover essere io a portare prove che sia accaduto. Ma secondo voi è normale? Bene, sappiate che probabilmente anche voi stessi credete a cose sulle quali non esiste alcuna prova ma solo un immenso "sentito dire" perpetuato incolpevolmente da alcuni e rinfocolato dolosamente da altri. Le tesi dominanti sono condivise dalla maggior parte degli studiosi? Bella forza! Dato che vengono considerati studiosi affidabili solo quelli che ci credono a quelle tesi!!! E sentirsi rispondere "non per niente si chiama negazionismo"... No: "non per niente" TU lo chiami così! Io non nego un bel nulla! Io solamente chiedo prove e CONSTATO che nessuno finora ne ha mai trovate da portare! Anzi non pretendo nemmeno prove, ma almeno un senso logico, non solamente svariati "sentito dire"! I quali poi regolarmente sono avulsi da ogni buon senso logico e dalla realtà stessa, mostrando palesemente da sè quanto siano campati in aria senza che sia io a doverlo dimostrare! Inutile, come dare le perle ai porci. Quante donne sono state bruciate sul rogo a causa della "peer review"? Quanta cultura va oggi perduta sempre a causa di questi moderni ottusi "inquisitori"? Questa cosa ha un nome preciso, si chiama CENSURA, ed ironico è che i primi ad auspicarla siano regolarmente esattamente gli stessi che accusano i fascisti di bruciare i libri... ergo, qualunque cosa fanno loro è bene, qualunque cosa faccia chi ha l'etichetta di fascista è male. Il modo di dire "la volpe quando non arriva all'uva dice che è acerba" non ha mai trovato più azzeccata applicazione che alle opposizioni alla voce "fiscalità monetaria" su Wikipedia...

"Non basta negare le idee degli altri per avere il diritto di dire 'Io ho un'idea'" (Giovanni Guareschi)

“Una persona che ha una convinzione – scriveva Festinger – è difficile che la cambi. Ditele che siete in disaccordo con lei, e se ne andrà. Mostratele fatti e numeri, e metterà in discussione le vostre fonti. Fate ricorso alla logica, e non sarà in grado di capire il vostro punto di vista”. Il concetto di “dissonanza cognitiva” fu introdotto da Festinger per descrivere le situazioni in cui lo stesso individuo può coltivare credenze e comportamenti tra loro incoerenti, che inducono automaticamente a ricercare una qualche consonanza attivando diverse strategie di elaborazione cognitiva o comportamentale compensatoria. Cadute le cosiddette ideologie, molti, rimasti orfani e disorientati, si sono gettati tra le braccia della nuova "religione"... Alla ricerca della sicurezza perduta!
Dopo la voce su Auriti, quella che ha subito i maggiori attacchi è stata quella su Ezra Pound, col tentativo di ometterne ogni riferimento al suo interesse auto-didatta per l'economia (si veda anche in questo caso la pagina di discussione relativa alla voce su wikipedia, in particolare questa), e le voci relative proprio a tale suo interesse: signoraggio, fiscalità monetaria (che ha subito diversi tentativi di cancellazione finora sventati), credito sociale (che di recente ho potuto notare essere stata proprio del tutto cancellata... e per la terza volta), e appunto reddito di cittadinanza (cancellata nel 2008 e poi ricreata nel 2013). Si veda inoltre un farneticante dossier stilato su di me da un suo utente con lo scopo di delegittimare i miei contributi. Jaron Lanier nel suo saggio "Tu non sei un gadget" del 2010 ha criticato aspramente il paradigma culturale ottimista sull'intelligenza collettiva delle folle indistinte che agiscono in rete, basato sulla tiritera wikipediana sul "consenso", tipico della democrazia deliberativa: a tale proposito, ha definito il progetto editoriale dell'enciclopedia Wikipedia come un "maoismo digitale", definizione quantomai azzeccata e che non avrei saputo esprimere meglio.

"Wikipedia è un'aberrazione fondata sulla leggenda che il sapere collettivo sia inevitabilmente superiore alla conoscenza del singolo esperto e che la quantità di informazioni, superata una certa soglia, sia destinata a trasformarsi automaticamente in qualità" (Jaron Lanier)

Dato che una delle filosofie base di wikipedia è la “regola della maggioranza” che diventa per parafrasi “censura delle minoranze” o più esattamente "logica del branco", secondo gli studi sulla psicologia delle folle di Gustave Le Bon e sulla folla instintiva di Gabriel Tarde; censura il cui compito spetta agli amministratori eletti dai frequentatori; è quindi prevedibile aspettarsi quale sia la qualità di questi amministratori. Il paragone con gli inefficienti sistemi elettorali parlamentaristici dell'attuale democrazia viene spontaneo. Comunque, Wikipedia è conosciuta per le lacune causate da omissioni artefatte, più che per falsità vere e proprie, per cui questa, sia chiaro, da parte mia non è una critica a wikipedia, ma solo a determinati suoi utenti e al sistema implementato che permette ad alcuni di dirigere tutto a proprio piacimento con la scusa accampata del "consenso", difetto tipico delle democrazie deliberative; per questo motivo io ho continuato a contribuire nonostante tutto, perché non sarebbe giusto rinunciarvi a causa del branco di mele marce, ma almeno sulle voci "sensibili" non mi ci sono più voluto impelagare da allora, sperando che nel frattempo magari le cose cambiassero e lo facesse qualcun'altro, in particolare quella su Auriti. Io non ho mai approvato le specifiche teorie ed i modi esagitati di Auriti, in particolare i paradossali discorsi sul signoraggio, ma non posso non provarne simpatia di fronte alle campagne denigratorie mossesi nei suoi confronti, che hanno portato fino alla farsa quando mentre stava sperimentando il credito sociale con soldi suoi nel suo paesetto di poche centinaia di abitanti, dopo averci rimesso decine di milioni di tasca sua, si è visto capitare striscia la notizia con l'accusa di truffa (poichè per gestire i fondi elargiti da Auriti il comune creò l'Assessorato per il Reddito di Cittadinanza... ebbene si, un comune italiano ha già avuto un assessorato "per il Reddito di Cittadinanza")... fate un pò voi. Ovviamente tutto si è risolto appunto in una farsa (una truffa nella quale lo scopo del "truffatore" è rimetterci lui...), ma è indicativo di quanto potenti e determinati siano i nemici del reddito di cittadinanza, no? Alla luce di ciò, il problema non è mai stato specificatamente economico, ma piuttosto di "mentalità". Una grossa fetta di opinione pubblica, anche operai che lavorano e che credono erroneamente che non trarrebbero nessun vantaggio da esso, ma soprattutto imprenditori, confindustria, ecc. soprattutto questi ultimi, non solo pensano che poi la gente non sarebbe più "affamata", come se ciò fosse una cosa negativa, ma soprattutto temono, e questo parzialmente a ragione, che poi non potrebbero più giocare sull'incertezza perché nessuno accetterebbe più il lavoro a quelle condizioni. Ma dopotutto cosa ci si può aspettare... questo mondo è talmente keynesiano che un organizzazione come Confindustria è più di sinistra del sindacato più a sinistra di un ipotetico mondo normale. C'è poco da stare allegri, se gli imprenditori sono questi... proni per interesse o per ignoranza alle ideologie sindacal-lavoriste. Ovviamente viene regolarmente omessa la diminuzione del costo del lavoro che va anche a loro vantaggio più di ogni altro parametro, oltre alla diminuzione del peso fiscale. Il reddito di cittadinanza non si fa principalmente per due motivi: gli interessi di chi preferisce l'assistenza mediata da una parte (il mondo comunista-sindacale) e la contrarietà feroce di tutto il mondo delle imprese, che in tale riforma vede solo un aumento di imposte. Così come quest'ultima, quasi sempre le obiezioni sono fondate sul fraintendimento e sul ritenerlo inseribile nel contesto odierno e attuabile da questa classe politica... niente di più lontano dalla realtà: qui nessuno prospetta questo, ma casomai "prima del reddito di cittadinanza va eliminata la banda di ladri"... certo, questo è propedeutico, mica ci si può aspettare che mollino di loro volontà il gustoso osso che stanno spolpando!

“Per uccidere tutti i pesci bisogna prima seccare il mare” (Confucio)

E' utopico pensare che possa essere applicato mediante andata al governo di un partito che lo sostiene, poiché la presenza al governo è effimera ed il sistema vigente è bloccato dalla costituzione. Ragion per cui l'unica via che può seguire un percorso rivoluzionario non è quella dell'ottenimento del potere tramite voto ad un partito che la sostiene, che avrebbe le mani legate dal fare alcunché, ma tramite l'assorbimento delle proposte da parte dei partiti esistenti che oggi non la considerano. A cui ovviamente dovrebbe seguire la modifica dell'attuale costituzione umanistica verso un senso razionalistico.

"Questa è, di fatto, la definizione di una rivoluzione pacifica, se una simile rivoluzione è possibile. Se l'esattore delle tasse, od ogni altro pubblico ufficiale, mi chiede, come uno ha fatto, 'Ma cosa devo fare?' la mia risposta è, 'Se vuoi davvero fare qualcosa, rassegna le dimissioni'. Quando il suddito si è rifiutato di obbedire, e l'ufficiale ha rassegnato le proprie dimissioni dall'incarico, allora la rivoluzione è compiuta" (Henry David Thoreau, Disobbedienza civile)

E sorpresa sorpresa, Renzi in un tweet del 25 maggio 2017: "Il fatto che il Tar del Lazio annulli la nostra decisione merita il rispetto istituzionale che si deve alla giustizia amministrativa ma conferma - una volta di più - che non possiamo più essere una repubblica fondata sul cavillo e sul ricorso. Non abbiamo sbagliato perché abbiamo provato a cambiare i musei: abbiamo sbagliato perché non abbiamo provato a cambiare i TAR"... incredibile... è la prima cosa sensata che sento dire da Renzi... che gli è successo? Una botta in testa? Ed alla risposta di un suo fan "basta col parlamentarismo esasperato, la partitocrazia ha distrutto l'Italia, ci vorrebbe una grande riforma istituzionale ed elettorale" risponde "a chi lo dici..." indicando approvazione... ma che sta succedendo? Gli hanno rubato l'account???? Sono piacevolmente sorpreso in un Renzi che si accoda a ciò che i fascisti dicono da 70 anni. Ma vano è sperare che i dilettanti allo sbaraglio di Grillo riescano a capirlo. Dalle cui incomprensioni derivano le stupide critiche del tipo "un espediente del sistema per convincerci a rassegnarci alla disoccupazione"... "rassegnarci"???? Rassegnarci all'assenza di reddito vuoi dire forse? Cerchiamo di non fare confusione tra lavoro e reddito, la gente lavora per il reddito, non così per hobby. Nel momento in cui ho un reddito, che me ne frega di non avere un occupazione??? Ben venga, altrochè "rassegnarsi"!!!! "Io voglio il lavoro no beneficenza"... a cui per adeguarsi al loro livello sarebbe da rispondere polemicamente "io invece voglio beneficenza no lavoro" che sarebbe certamente più sensata della loro anche non fosse che il reddito di cittadinanza non è beneficenza. La mia opinione non ti inficia di poter avere un lavoro; la tua opinione inficia me ad avere la "beneficenza". Farsi gli affari propri no? "Così saremo tutti pensionati a 780€ al mese"... il che sarebbe un sogno per molti! Perché il senso di quella contestazione, se non fosse chiaro, è che 780 euro sarebbero pochi... se per te non va bene, devi sminuirlo anche a chi per il quale è un sogno inarrivabile? Come dice un vecchio proverbio: "la persona sazia non crede a quella digiuna" - cari i miei pasciuti, se per voi 780 euro sono pochi, per me che ho zero, 780 euro sono una cifra che neanche oso sognare! Un esempio che calza a pennello, i nostri "cari" politici, dall'alto dei loro lauti guadagni, cosa ne possono capire della povertà? Al di là dell'ironia e del sarcasmo "da pancia piena", quello che non si vuole capire è il perché del reddito di cittadinanza. Non è solo la scomparsa di lavoro per via della tecnologia, e tanto meno che "sempre più persone rimarranno indietro" o "di non rimanere ai margini della società", ma piuttosto di non accettare la logica "io sono migliore e vado avanti e tu no quindi muori di fame" oppure "il lavoro c'è, e le famiglie non muoiono di fame, anzi, i ristoranti e i pub sono pieni e le autostrade intasate da macchinoni ultrapotenti ....Non parliamo poi dei centri estetici o delle boutique o dei centri commerciali con la gente che riempie i carrelli stracolmi di ogni cosa necessaria e superflua". Certo che il lavoro c'è, per chi ce l'ha. Certo che non muore di fame, chi non muore di fame. Certo che i ristoranti e i pub sono pieni, di persone che possono permettersi di andarci. Certo che le autostrade sono intasate da macchinoni ultrapotenti, di chi li possiede. Certo che nei centri commerciali gente riempie i carrelli stracolmi di ogni cosa necessaria e superflua, potendolo fare. Il fatto che la gente che da quei ristoranti, pub, autostrade, boutique, centri commerciali sta fuori non la vedi, è proprio perché in quei posti non ci va perché non se lo può permettere! E' una stronzata basarsi sui ristoranti che vedi pieni e sulle autostrade: cosa vuol dire?? Anche le sezioni dove si votava per le primarie del Pd avevano la fila davanti; se ne dovrebbe ricavare che il Pd otterrà il 100% alle elezioni? Non si può selezionare un campione in modo cosi idiota come se valesse universalmente. Quindi di tutti quelli che invece queste cose non le possono avere e fare, che vogliamo farne? Certo che c'è tanta gente che vive bene e nel lusso. Si può permettere la vacanza, il ristorante, il cinema, la palestra, la beautyfarm ma, questo non significa che ciò sia per tutti: oggi milioni di persone da tuttociò ne sono escluse. Non guardate solo al vostro bel giardino, ma pensate a chi rimane emarginato dalla società e sicuramente non si trova nei bei posti che frequentate voi, accanto a quel benessere, invisibile ai vostri occhi, c'è chi soffre la miseria ogni giorno! Non si tratta di "mettersi una mano sulla coscienza" e nemmeno di pensare che in questa situazione potreste finirci anche voi, ma di pensare che da questa situazione anche già ora ci rimettete anche voi! "Il giorno che rimarrò senza lavoro farò i salti mortali per trovarne un altro o crearne un altro, non resterò in casa ad aspettare il sussidio" lo pensavo pure io quando il lavoro ce l'avevo. Ora sono anni che sono senza lavoro. E' facile parlare finché non si sa come funzionano realmente le cose, quando non ci si è dentro. Ti creerai un lavoro? Davvero? Ora te lo dico io la sola cosa che potrai fare: sarai talmente deluso che finirai sotto i ponti. Inventarsi un lavoro... facile convincersene quando non se ne ha davvero la necessità. Come se non avessimo tutti sotto gli occhi l'accanimento che sta subendo Uber. "Quindi stare ad aspettare che la manna cada dal cielo?"... aspettare???? No nessuno sta aspettando, stanno AGONIZZANDO casomai!!! "Quindi piangersi addosso e più facile che farsi il culo"... ma farsi il culo a fare cosa???? A spedire curriculum???? E quale l'utilità? Fine a sè stesso? Ogni disoccupato permanente SA che per persistere nell'inutile ricerca di un lavoro che oggi NON C'E' bisogna essere veramente ma veramente deficienti!!! "Basta rimboccarsi le maniche e non fare tanto gli schizzinosi"... gli schizzinosi???? Rifiutare di umiliarsi e di privarsi della dignità implorando INUTILMENTE gente indegna sarebbe essere schizzinosi??? Ma è permesso doversi sentire far la morale da gente che dimostra di essere non solo così priva di dignità, ma perfino a sottintendere e voler insegnare a me che il loro sia il modo di pensare giusto? Loro accusano me di piangermi addosso quando nella stessa frase mi consigliano implicitamente di abbassarmi a implorare dei cretinetti?

"Non sono io a dover cercare il lavoro, è il lavoro che deve cercare me!" (Totò, dal film "Le motorizzate")

Come se credessero che potesse essere utile poi... loro stessi ignari della realtà poiché disinteressati ad essa, dato che, o conosci qualcuno o ti capita per caso un colpo di fortuna, altra via OGGI NON ESISTE! Poletti in un certo senso ha ragione sulla sostanza: per avere un lavoro, in Italia, devi conoscere. Per conoscere, devi riuscire a tessere delle relazioni sociali, ma ha omesso di precisare: quelle giuste però. A meno, ripeto, di un casuale colpo di fortuna, posto giusto - momento giusto. Nella ricerca di lavoro IL LIBERO ARBITRIO NON ESISTE! Esiste solo "il caso". Per cui a che pro "farsi il culo, rimboccarsi le maniche"? In ciò che intendono loro ovviamente, "spedire curriculum" e stupidaggini simili... perché per quello che intendo io, le maniche me le rimbocco ed il culo me lo faccio eccome! Ma presumibilmente secondo loro accusare questa classe politica ed auspicare un colpo di stato (perché, oltre quelle altre citate, utopiche, altre possibilità di trovare lavoro non ce ne sono a parte appunto far modificare l'intero sistema che oggi lo impedisce) cercando costantemente nel proprio piccolo di favorirlo, è "piangersi addosso"? No io non mi piango addosso, io mi rimbocco le maniche cercando nel mio piccolo di farmi il culo per favorire un colpo di stato!!! Un rivolgimento che ripulisca a fondo questa fogna nella quale ci è toccato capitare, e consenta di cominciare a vivere in una società libera e razionale. Se secondo loro questo è piangersi addosso, consiglierò questa tesi come linea di difesa processuale al mio eventuale futuro avvocato... certo non pretendo di poter essere determinante, ma di certo non sto a "piangermi addosso" ma anzi lavoro indefessamente per ottenere lo scopo prefisso. L'unico che possa essere minimamente proficuo in questo contesto, il lavoro, il reddito, oggi. Tutto il resto, curriculum, calcetto, e cazzate simili, è solo indegna fuffa. Di che mi lamento? Non tanto (o comunque non solo) di quello che potremmo avere e non abbiamo a causa dell'inefficienza con la quale viene condotto il sistema, quanto dell'insicurezza che ciò determina nella vita delle persone, e tutte le conseguenze che ciò determina e dalle quali nessuno ne è esente. Non è lecito lamentarsene? Io mi chiedo come perlomeno quelli che da questo inaccettabile sistema ne sono danneggiati direttamente possano accettarlo così supinamente: disoccupati in primis! Questo testo dovrebbe essere preso a Manifesto dai disoccupati!

"Quando ti rendi conto che, per produrre, è necessario ottenere il consenso di coloro che non producono nulla; quando hai la prova che il denaro fluisce a coloro che non commerciano con merci, ma con favori; quando capisci che molti si arricchiscono con la corruzione e l'influenza, più che di lavoro e che le leggi non ci proteggono da loro, ma al contrario, essi sono protetti dalle leggi; quando ti rendi conto che la corruzione è ricompensata, e l'onestà diventa auto-sacrificio; allora puoi affermare, senza paura di sbagliarti, che la tua società è condannata" (Ayn Rand)

E' da oltre cinquant'anni, ormai, che siamo sottoposti ad una martellante campagna di "deficientizzazione di massa", da parte di quel potere che, dopo il fallimento del suo tentativo di poter condurre questo paese permettendo contemporaneamente alla stupidità di elettori ignoranti di averci voce in capitolo, ha dovuto acconsentire alle aberranti istanze della sinistra, dalla statalizzazione dell'Enel allo statuto dei lavoratori, che con sempre più esigenti richieste ha portato alla situazione odierna dopo aver causato gli anni di piombo per necessità di fermare la devastazione in atto. Le disgrazie italiane iniziano difatti col fallimento della legge elettorale maggioritaria del 1953 che spostò la marcia verso sinistra realizzata effettivamente a partire dal 1960 con Fanfani che cercò di salvare il salvabile dopo il fallito tentativo di Antonio Segni di fermarla. Fino a quel momento l’inflazione fu in discesa, e nel 1959 iniziò addirittura una crescita negativa dei prezzi (ovvero la loro diminuzione). Il miracolo economico italiano raggiunse il suo culmine durante il governo Tambroni, ed iniziò il suo declino con la sua caduta, quando fu chiaro che era stata presa la via del centro-sinistra; i prezzi ripresero a salire il giorno stesso della caduta di Tambroni, e l'economia toccò il suo fondo nel 1975, l'anno in cui l'entrata al governo del Pci sembrò più vicina, e la ripresa iniziò solo quando tale prospettiva apparve sventata, con la morte prima di Moro e nel volgere di breve di La Malfa (che era quest'ultimo il vero ideologo del compromesso storico; Moro ne era solo il regista).
Fra il 1951 e il 1961 l’inflazione tornò a scendere: 2,9 per cento di media. Il debito dello Stato era al 30 per cento del pil, contro il 135 di oggi. La riforma fiscale di Ezio Vanoni arginò parzialmente un’evasione spaventosa con aliquote modestissime: grazie alla soglia d’esenzione di 240.000 lire, un operaio non pagava nulla, un impiegato il 2 per cento. Per arrivare all’8 bisognava guadagnare 10 milioni all’anno, che valevano molto di più degli equivalenti 150.000 euro di oggi. Chi denunciava 100 milioni pagava il 23 per cento. L’aliquota del 50 per cento colpiva i redditi da mezzo miliardo di lire, ma nemmeno i grandi industriali si avvicinavano a questa soglia. Vista sui numeri, nonostante il grave vulnus dell’evasione, un’Italia da sogno. Al punto che nel 1959 il governatore della Banca d’Italia, Donato Menichella, riceveva l’Oscar della Lira e il 25 maggio di quell’anno un giornalista del quotidiano britannico Daily Mail coniava la magica definizione di “miracolo economico italiano”. Tra il 1951 e il 1963 il prodotto interno lordo (PIL) aumentò in media del 5,9% annuo (con un picco dell’8,3% nel 1961). Nel medesimo periodo il reddito nazionale lordo italiano passò da 14.900 miliardi di lire a 31.261. La crescita media della produttività fu dell'84%, accompagnata da un incremento dei salari del 49 per cento.
Identificare le cause principali del miracolo economico in tasse basse, la possibilità di evadere il fisco e una moneta relativamente stabile è però invertire causa ed effetto: ciò fu una conseguenza della libertà di impresa. Il miracolo economico fu una conseguenza inintenzionale del fatto che, dopo la catastrofe della seconda guerra mondiale, lo Stato italiano ripartiva quasi da zero. Gli apparati di controllo fiscale, le burocrazie, i titolari di interessi acquisiti non avevano ancora avuto il tempo di organizzarsi e di svilupparsi. Nessuno si aspettava il miracolo economico, nessuno lo previde, nessuno lo pianificò. Avvenne solo grazie alla debolezza dello Stato fiscalista, burocratico e inflazionista. La crescita terminò e declinò quando tale libertà venne o sembrò venir meno, con la prospettiva (poiché in finanza a fare i danni maggiori sono gli effetti sulla percezione e quindi le prospettive, che l'effettiva realtà) di un centro-sinistra che chiedeva nazionalizzazioni, protezionismo, e barriere alla libertà di impresa. Dopo l'evidente fallimento del centro-sinistra, da una parte c'era chi propendeva per il ritorno al centrismo, dall'altra chi per "più avanzati equilibri" (certo non si può dire che gli mancasse la fantasia...), estendendo al Pci la compagine governativa. Dopo anni di lotta tra le due fazioni (dal 1969 al 1973 ogni dicembre vi fu un tentativo di colpo di stato; quello del 1974 fu anticipato ad agosto dall'ex partigiano Edgardo Sogno), nel 1974 la decisione venne affidata implicitamente a un referendum che solo in apparenza non c'entrava nulla: il referendum sul divorzio, la cui scelta non era solo sul tema ufficiale (che il promotore, Fanfani, avevano solo usato come scusa) ma sulla strada futura da intraprendere all'intero sistema politico, se verso destra o verso sinistra; quando in caso di vittoria del NO sarebbe stata presa la strada di destra (ritorno al centrismo con Fanfani), con la vittoria del SI fu presa la strada verso sinistra con Moro. Peccato che i liberali convinti di aver votato a favore del divorzio non siano consapevoli che invece hanno votato per l'ulteriore rovina dell'Italia, non per il divorzio che era totalmente secondario in quel referendum (e lo dice uno che abolirebbe il concetto di matrimonio stesso). E non contenta, con l'intenzione di istituire degli Stati Uniti d'Europa fondati sulle aberranti filosofie nordiste, ci ha imposto l'attuale Comunità Europea... ben venga l'unità europea, ma non certo in questo modo, non certo QUESTA! Oggi l'uomo non si ribella, perchè a differenza dello schiavo di ieri, oggi l'uomo è anche servo e ama il suo padrone che lo guida con il bastone e lo ricompensa con la carota. E, dunque, non ci si deve stupire più di tanto per questa esaltazione social-democratica: si tratta di una semplice reazione pavloviana... in linea con quello che chiedono all’unanimità i partiti e i commentatori di oggi, secondo cui, da parte della sinistra non è eccessiva l’attuale tassazione al 70% del settore privato, la priorità va data alla lotta all’evasione fiscale, da parte neoliberista la soluzione ad ogni problema è abolire il canone Rai e chiudere Equitalia, e da parte populista è il recupero della mitica “sovranità monetaria” col ritorno alla lira. Qualcuno di normale lo abbiamo? Riportare l’Italia in quella situazione però è impossibile perché la tendenza dello Stato è sempre quella di espandersi, mai di ridursi. Il ciclo di vita delle istituzioni politiche è sempre lo stesso: dal laissez-faire al dirigismo, e infine al crollo catastrofico. Poi si ricomincia da capo. E' un perverso circolo vizioso. Ma arriverà il giorno in cui mecenati e lacchè verranno cacciati da una elitè sensata. Nel mare magnum della deriva nichilistica e sofistica della politica italiana, dove cinismo e macchiavellismo sembrano ormai dominare incontrastati, solo il reddito di cittadinanza come un diritto civico e costituzionale potrebbe consentire una ripresa.

"Disprezzo il socialismo perché arricchisce gli incapaci e i criminali coi soldi dei poveri" (Leonardo Facco)

Certo in generale la maggioranza dei cittadini italiani bene o male qualcosa ha ancora, e chi non ha nulla vive con un parente o un compagno/a che magari lavora e magari negli anni di lavoro un appartamento se lo è comprato (o ereditato), magari con anni di mutuo a tassi altissimi senza nessun aiuto dallo stato e si ritroverà senza reddito e pure costretto a pagare le tasse, quindi coglione due volte chi lavora o ha lavorato, perché con la proposta 5 stelle sarebbe in ogni caso escluso dal loro sussidio. Ma non si può andare avanti così! Gli sfigati (poveracci anche se possiedono un appartamento che però non gli paga le bollette), senza lavoro, cosa faranno? Venderanno il loro appartamento, utilizzeranno i soldi per andare in affitto qualche anno e poi quando saranno finiti i soldi saranno finalmente adatti anche loro per ricevere il fantastico sussidio dei 5 stelle (che nel frattempo sarà fallito)? Gente che ha lavorato una vita e improvvisamente o perché ha perso il lavoro o perché non ha potuto pagare e gli hanno portato via la casa, si trova costretto a chiedere aiuto. C'è chi lo ottiene in famiglia chi invece è costretto a chiederlo alla Caritas. Indipendentemente dalle condizioni personali attuali, vivere costantemente con la paura di perdere tutto è bello, no? Possiamo essere in disaccordo sulle modalità e sulla cifra (i 780 sono quelli dell'irrealizzabile proposta 5 stelle) ma il reddito di cittadinanza o chiamatelo come volete è un passo che l'umanità sarà costretta a fare, altrimenti si farà avanti una società priva di umanità... "Avete rotto le palle con questo reddito di cittadinanza. Basta! Non se ne può più"... scusate eh, ma finché non viene fatto (ed è inevitabile prima o poi, fatevene una ragione, si chiama PROGRESSO) mi pare più che lecito che ne venga chiesta continuamente la realizzazione, o no? La logica, questa sconosciuta... Bisogna stare attenti quando lo si sminuisce in una proposta utopistica o in una misura di assistenzialismo e basta. Slegare il reddito dal ricatto del lavoro è l'unica via per liberare l'essere umano e rendere il lavoro umano. In fabbrica si è costretti al ricatto del reddito per sopravvivere, tutto questo, comunque la si voglia girare, si chiama schiavitù, fino a che ad ogni cittadino non sarà garantito un reddito di base indipendente dal lavoro non ci sarà autosufficienza dell'individuo, e se l'individuo è dipendente allora non è libero ma è schiavo. Inutile girarci attorno. A quelli del "il lavoro rende liberi, il reddito di cittadinanza creerebbe sudditanza e dipendenza dalla carità sociale" risponde Simona Barsantini:
La mia libertà deve essere sancita dalla povertà e dalla miseria di altri o dalla comune umanità solidale? Perché le possibilità di accesso al lavoro sono diversificate. Secondo i loro standard io avrei dovuto dichiararmi sconfitta a 43 anni quando nonostante tutto non trovavo lavoro come dipendente. Mi rendeva libera questo? Sono diventata una professionista per campare ma mi rende libera questo? Io ho potuto farlo perché avevo i mezzi. Ma chi non li ha? Lo lasciamo morire per paura di una sudditanza? Facciamo portare via i figli a famiglie per paura di una dipendenza dalla carità sociale? È chiaro che accanto a un reddito di cittadinanza debba svilupparsi il lavoro. Ma è altrettanto chiaro che per essere civile l'umanità non deve fare una selezione naturale come in natura. Vince il più forte e aggiungo io il più furbo o ipocrita. Serve più solidarietà verso i propri simili e più coraggio nel non rimanere intrappolati in dogmi. La sudditanza o la dipendenza si combattono creando lavoro e meno profitto personale, ma senza dimenticare che si parla di persone.
L'obiezione disinteressata (cioè non quella di chi ne è contrario per proprio interesse ma solo per mera opinione) al reddito di base è invece frutto di una fallacia cognitiva, di un concetto socio-economico gretto ed anacronistico, si ritiene cioé che la ricchezza pro-capite sia ancora generata in prevalenza dal lavoro, per cui un reddito garantito secondo loro equivarrebbe ad un furto ai danni di chi dispone di un reddito salariato e non in una equa retribuzione derivante dai vantaggi di una economia di rendita dall'eredità di secoli di progresso ovvero del lavoro dei nostri avi accumulato nei mezzi tecnologici e non del solo lavoro dei singoli oggi.

"Il livello di produzione di una società [...] incorpora l’apporto storico delle generazioni precedenti. Quindi, la distribuzione di un reddito d’esistenza manifesta la quota di produzione che rientra oggettivamente nell’ambito di questa eredità comune" (Alain Caillé)

Purtroppo oggi la società è divisa tra quelli che si autodefiniscono il partito del lavoro (cioè gli imprenditori, gli operai, gli impiegati, gli artigiani e commercianti, le partite iva, gli agricoltori, gli operatori nel terziario, ecc) quindi in contrapposizione con i privilegiati e gli assistiti (le imprese sussidiate dallo stato, i pensionati abili e sani, i percettori di ammortizzatori sociali, gli statali, i nobili e borghesi che vivono di rendita, i sindacalisti, i professionisti della politica, i vip, tutti quelli non soggetti alla concorrenza del libero mercato, ecc). Ed ovviamente entrambi si oppongono al reddito di cittadinanza. Frapposti tra i due schieramenti si trovano i comunitaristi, ossia chi esula dal dualismo della contrapposizione tra chi si crede di essere migliore degli altri e chi si crede di essere più furbo degli altri. Il grado di evoluzione di un essere umano e quindi dell'umanità, è dato dalla capacità di saper comprendere al di là di stereotipi e pregiudizi. Il che è sorprendente se si pensa che è la stessa mente umana che usa tali semplificazioni e quindi tutto è rimandato all'intelligenza. Se poi si scopre che possediamo una multi intelligenza con vari aspetti e abilità diversificate in ognuno di noi, si comprende anche come mai l'uomo non evolve ma involve. E' più semplice e meno doloroso che trasformare. Quando faremmo nostro il concetto che la nostra sopravvivenza non è data dal soccombere di un nostro simile, avremmo raggiunto un buon livello di evoluzione verso qualcosa di molto più sorprendente che la comune umanità. E quando pienamente consapevoli metteremo questa umanità al centro di ogni diatriba, problema o decisione... il risultato non sarà che perfetto. Hanno poco da lamentarsi, gli "evasori del canone rai": sotto questa luce, la tassazione è un equa retribuzione (e, ripeto, non una redistribuzione!) di una rendita sulle risorse di cui qualcuno si è appropriato e dei progressi tecnologici ricevuti in eredità, non un espropriazione del frutto del loro lavoro, lavoro che hanno potuto realizzare proprio grazie alle tecniche ereditate ed all'estromissione di altri dalle possibilità di utilizzo. Quelli che "certo che aumentare le pensioni minime, va bene, ma per chi ha lavorato 23 anni con regolari versamenti di contributi, oggi percepisce 705€ netti al mese, non essendo una minima nessun aumento, per non parlare delle pensioni sociali, che senza aver pagato nulla e senza sacrifici, oggi prendono quasi lo stesso importo, non solo, non avendo nulla, non pagano nemmeno tasse" o "mio padre con 35 anni di contributi prende 680 euri al mese, mia moglie lavora e prende 800 euri al mese... e voi volete dare pensioni minime e reddito di cittadinanza a 780 euri al mese?" oppure "e quelli che hanno lavorato e versato, che percepiscono 800 euro al mese, devono vedere che chi non ha mai lavorato e versato percepisca 780 euro???" e "il reddito di cittadinanza è un offesa per tutti quei cittadini e lavoratori che hanno lavorato, anche duramente, versando i contributi previdenziali, pagando le tasse, ecc. ed oggi usufruiscono o prenderanno una pensione inferiore al reddito proposto dal M5s" e "In pratica saranno sempre i più deboli a pagare (lavoratori e pensionati), Questo se non è un voto di scambio gli si assomiglia molto"... Poveri lavoratori, sfruttati da chi sta morendo di fame... io sono semplicemente allibito nell'apprendere che esista qualcuno che ragiona in una maniera talmente aberrante... ma si può ragionare in questo modo???? No, è la negazione del reddito di cittadinanza ad essere un offesa per tutti i disoccupati ai quali chi lavora per comprarsi il superfluo sta togliendo la possibilità stessa di sopravvivenza casomai!!!! Fatevi un esame di coscienza prima di aprire la cloaca e vomitare merda! In Italia, Paese cosiddetto occidentale quindi civile esiste la povertà per milioni di famiglie che non sanno cosa mettere a tavola, e questi vengono a lamentarsi dei redditi di chi un reddito lo ha, come se toglierlo ad altri aumenti il loro e di conseguenza darlo ad altri lo diminuisca a loro!

"La maledizione della povertà non ha giustificazione nella nostra epoca... E' venuto per noi il momento di civilizzarci tramite un’abolizione totale, diretta ed immediata della povertà" (Martin Luther King)

Il nemico non è chi HA FAME ma chi AFFAMA; chi getta nella DISPERAZIONE i popoli e non chi è DISPERATO; chi costringe gli esseri umani a fuggire, non chi fugge; chi provoca l'immigrazione, non chi la subisce. Svegliamoci! E' il capolavoro del potere quando si pensa che il nemico sia chi sta più in basso di noi e non chi sta sopra di noi! A questo punto tanto vale esagerare anche noi e dare agli avidi egoisti per i quali pare la filosofia di vita sia "mors tua vita mea" la meritata risposta che sarebbe giusta ma indicibile: esattamente, come è GIUSTO CHE SIA! Si chiama RISTABILIRE la Giustizia! Alla facciaccia loro e di tutti quelli del "coi soldi di chi lavora e paga le tasse"... no, coi soldi che oggi è chi lavora e paga le tasse a RUBARE a chi al quale viene impedito di lavorare e pagare le tasse! Restituire il maltolto ai derubati non è derubare i ladri. Chi ha ragioni per lamentarsi è chi al quale queste risorse sono sottratte, casomai! La gelosia è una forma emotiva importantissima, perché costituisce un filtro creato negli individui dalla natura allo scopo di far sì che, quando taluno vuole produrre un cambiamento, tutti gli altri scattino automaticamente per fermarlo finché non abbiano verificato (cosa di per sé stessa che è arduo aspettarsi) la convenienza della proposta. Quando però la tendenza ad una ragionevole conservazione diviene conservatorismo e si trasforma in perverso, diffuso vizio, anche la gelosia degenera, diventa patologica e pervade l'individuo, cioè si trasforma in gelosia/vizio, ovvero invidia. Il timore che il reddito di cittadinanza si possa affermare e causare i cambiamenti che promette, e che tutti dicono di volere, è tale che ci si sta scagliando contro tutto il degenere (depravato) mondo neo-conservatore espressione della "schaudenfraude" più bieca di quelli che cianciano a vanvera di "ascensore sociale" (che cazzo sarebbe???) e fanno l'apologia della "classe media" perpetuando l'idea di un inesistente divisione della società in classi implicitamente dicendo che ce n'è una, quella media, non si sa sulla base di cosa, migliore delle "altre" e quindi più degna di sostegno da parte della politica nel difendere il loro orticello, nella loro pochezza e opportunismo accattonico a causa del quale, per conservare quasi sempre pressoché nulla, stanno soffocando la vita, non solo della società, ma anche di loro stessi e dei loro cari, perché l'invidia è una malattia che consuma soprattutto chi la prova, col pieno supporto di quelli della "rivoluzione per non cambiare" (grillini, leghisti, fratelli d'Italia, CasaPound e, peggio di tutti, "complottisti" vari), che non è che siano molto diversi, nei loro ragionamenti lavoristi nei quali si inserisce appieno il grillino "chi è rimasto indietro"... al quale si aggrega il pregiudizio classista: ci si preoccupa della possibile devianza della working class se non svolge un lavoro salariato (la stupidaggine "l'ozio è il padre del vizio"), ma, si noti, non esprimiamo la stessa preoccupazione nei confronti del jet-set che vive di rendita.

“Il tempo libero è una cosa ottima per i ricchi, piuttosto buona per i professori di Harvard e pessima per i poveri. Più sei benestante e più si ritiene che tu abbia diritto al tempo libero. Per chi vive di sussidi pubblici, avere del tempo libero è considerato una cosa riprovevole” (John Kenneth Galbraith)

Ora, qualunque persona di buon senso come diceva già cento anni fa Paul Lafargue ed oggi Cynthia Fleury, saprà che è l'esatto opposto: sono le preoccupazioni dettate dalla necessità ad abbruttire le persone, non certo "l'ozio"! Il "potranno decidere se lavorare o stare sul divano"... decidere se stare sul divano o lavorare vale da che mondo è mondo in qualunque luogo (eccetto quando si è schiavi ovviamente), il reddito di cittadinanza non influirebbe per nulla su tale personale libertà di scelta, rispetto ad oggi, anzi, permetterà di sfruttare le proprie capacità alle quali si è più portati... "tutti soldi che noi daremmo a questi giovani che potranno finalmente fare ciò per il quale sono portati: il fashion blogger!", come se ci fosse qualcosa di male nello sgravio dalle fatiche per dedicarsi a qualcosa di più piacevole in assenza della necessità di qualcosa di più proficuo. Guarda caso nessun lavorista accusa di parassitismo chi gira a mettere volantini pubblicitari nelle cassette della posta eh! Un "servizio" molto "utile" no? Il fashion blogger che non nuoce a nessuno e non spreca risorse è il parassita, secondo i lavoristi, chi riempie le altrui cassette della posta di inutili fogli di carta ricavata abbattendo alberi è il probo lavoratore... normale... in un mondo capovolto, dove evidentemente l'accezione data al termine "lavoro" è quella della scienza fisica e non dell'utilità sociale apportata. Una visione simile l'ha esposta recentemente, nel talk show La Gabbia, Massimo Cacciari. A suo parere, l' innovazione "libererà quei tipi di lavoro che le macchine e i robot renderanno superflui e gli uomini potranno dedicarsi a cose ben più nobili".

"L'artista deve essere prima di tutto indipendente da preoccupazioni materiali. Le vere grandi opere non possono nascere se l'artista deve lottare con le preoccupazioni quotidiane e lavorare per vivere e non per l'opera" (Benito Mussolini)

L'alienazione e la criminalità sono il frutto della povertà che deriva dall'assenza di reddito non dall'assenza di lavoro inteso come mera occupazione di tempo! Tuttavia, dato che nella mentalità lavorista reddito e lavoro sono ancora un binomio inseparabile, si collegano ancora la dignità e la probità mentale delle persone ad una organizzazione temporale che scaturisce dal sistema della schiavitù salariata e non da un reddito garantito e da una qualsiasi attività volontaria seppur superflua ma almeno non socialmente ed ecologicamente deleteria.

"Il reddito di cittadinanza costituisce un considerevole progresso sociale della nostra autonomia che favorisce l’uscita dal capitalismo salariale a vantaggio del lavoro autonomo, così come un’economia rilocalizzata, integrante la dimensione ecologica e orientata verso lo sviluppo umano [...] Il reddito garantito è l’istituzione che permette il passaggio dal lavoro forzato al lavoro scelto in una società più cooperativa e conviviale" (Jean Zin)

E' un dato di fatto che il progresso tecnologico sta eliminando sempre più posti di lavoro a medio reddito per crearne di precari e scarsamente pagati in quel settore chiamato gig economy, secondo uno studio di David Autor, economista del Mit di Boston sul fenomeno della deflazione tecnologica, sempre più generalizzata. In diversi settori, si è raggiunto un tale livello di efficienza, che c'è sempre meno bisogno di personale. Ma le ore che uno deve lavorare sono sempre le stesse, rendendo impossibile una maggiore parcellizzazione del lavoro. A diminuire sono i posti di lavoro. I lavoratori insomma non hanno smesso di condividere la torta, che per alcune aziende continua a crescere. Ma sono sempre di meno quelli che arrivano a mangiarla. Le cosiddette “start-up” ed in particolare le “superstar companies”, i giganti dell’economia come Google, Facebook, Amazon, Walmart che dominano interi settori di mercato e non hanno bisogno di molti lavoratori per produrre profitti miliardari. Ciò non vuol dire che il lavoro sparirà, ma che a causa dell’automazione, dell’informatizzazione, della robotizzazione, si producono sempre di più beni e servizi con sempre meno ore di lavoro umano, e per finire con sempre meno uomini. Il primo a occuparsi a fondo della questione dell'incipiente divaricazione tra estromissione e riassorbimento ("deflazione tecnologica" o "disaccoppiamento tecnologico") fu, nel 1995, Jeremy Rifkin. Egli teorizzò l'avvento di una era di "post mercato" che definì "fine del lavoro" (anche se non certo in senso letterale), in cui i lavoratori inutili sarebbero stati drenati verso il volontariato, l'"economia del dono", il mutualismo, e retribuiti tramite "salari fantasma" (come la riconoscenza, il contraccambio, la "visibilità", il risarcimento spese, i buoni pasto, altre erogazioni in natura, o tutt'al più "mance"), che oggi alcuni autori come Marco Bascetta interpretano con la nascita, dopo primario, secondario, e terziario, di un settore "quaternario", settore del lavoro libero e dell'integrazione sociale come settore di accoglimento degli esclusi dai processi produttivi e dei servizi, in quei lavori consistenti in attività personali e autonome, nel quale paradossalmente "la piena occupazione è già stata raggiunta" e si dà appunto nelle forme di "attività senza reddito o quasi che permeano l'intera società e ne consentono il funzionamento". In pratica siamo passati da un mondo del lavoro dove alcuni di lavoro ne avevano anche un secondo, ad uno fatto solo di "secondi lavori" senza neanche avere il primo. Corrado Del Bò scrive in merito: "Occorre chiedersi, in temi di economia immateriale, quante delle 24 ore della giornata sono lavorative nel senso di produttive di valore e chi (e come) deve eventualmente compensare la produttività extralavorativa. Da questo punto di vista, il reddito di base sarebbe una sorta di salario che spetta a tutti, perché, nell’età della produzione simbolica, nessuno è davvero escluso dal processo produttivo (che non è più solo individuale, ma anche sociale), ma alcuni sono esclusi dalla sua remunerazione". Tutto si esplica nella situazione reale esposta in una frase ironica diffusa sul web: "c'è tantissimo lavoro in Italia. Il problema sono quelli che pretendono uno stipendio in cambio". Stagisti, assistenti universitari, apprendisti: pensate a quanti giovani lavorano senza percepire un regolare compenso... nel quale il lavoratore che non viene pagato è, nei fatti, un disoccupato che lavora. Senza contare i dannati della "gig economy", l'economia del lavoretto, dell'"alternanza scuola-lavoro", animata dai polpacci di quanti consegnano pasti a domicilio in bicicletta o si improvvisano tassisti tramite app. La retorica sociologica degli "stage, tirocini, lavorare gratis, prendere 4 voucher di merda e saltare di gioia, fare straordinari non pagati, essere pronti, prostrati, reperibili, flessibili, disponibili a trasferte e trasferimenti, produttivi, realisti, austeri, precari, disperati, affamati, livellati, frustrati, sfruttati, consumati, spacciati". Fino a qualche decennio fa sarebbe stata chiamata "schiavitù", ma oggi ci appare perfino come la norma... così come lo era appunto la schiavitù nell'Antica Grecia. E' l'effetto della "teoria della rana bollita" di Noam Chomsky, considerare normale ciò che prima non lo era, in seguito ad una lenta abitudine ad essa. Fino all'inversione letterale delle cognizioni. Lo stesso che è avvenuto coi fari delle auto accesi di giorno (20 anni fa tutti quelli che ti incrociavano ti segnalavano la dimenticanza) e con il fumo nei bar (se un non fumatore odorava di fumo veniva dato per scontato fosse stato in un bar). Ne consegue che la distribuzione della ricchezza tramite il lavoro continua a degradarsi e che diventa sempre più pesante farsi carico degli inoccupati (o dei non occupabili). Il problema che si pone è che man mano che questa massa di diseredati si allargherà sempre più, ad un certo punto i problemi conseguenti non saranno più ignorabili come si fa oggi... e non li si potrà più "nascondere sotto al tappeto". In tali condizioni, prima o poi, il sistema cozza contro i suoi limiti interni.

"Oggi possiamo immaginare che i disoccupati, ottenendo ciò che spetta loro, finiranno per modificare profondamente il mercato del lavoro rendendo più giusta e più pacifica l' intera umanità" (Domenico De Masi)

Ora, sin dall’istante in cui si riesce a produrre sempre più beni con sempre meno uomini, il problema essenziale smette di essere quello della produzione per diventare quello della sua distribuzione. In tali condizioni, si tratta infatti di sapere come un volume di merci sempre crescente potrà essere assorbito mentre si assiste a una riduzione globale del potere d’acquisto di sempre più persone (cioè non "aggregato") – continuando a crescere la capacità di vendita, mentre la capacità di acquisto diminuisce per una fascia sempre più ampia. Se non si risolverà questo problema, la disoccupazione aumenterà contemporaneamente alla produzione, e la crescita allargherà meccanicamente il fossato tra i "ricchi" (chi ha un reddito stabile) e i poveri (chi non ha alcun reddito o lo ha saltuariamente). Ma questa evoluzione, se si traduce negativamente nella disoccupazione e precarizzazione del lavoro, reca anche in germe la speranza di una progressiva emancipazione del lavoro salariato e dei fenomeni di sfruttamento del lavoro vivo che gli sono legati. Bisogna infatti comprendere bene che una macchina che sostituisce un uomo sopprime un posto di lavoro, dunque un salario, ma non il lavoro da effettuare. Non è dunque il lavoro a scarseggiare, ma l’occupazione. La generalizzazione di questo fenomeno potrebbe facilitare l’instaurazione di un reddito di cittadinanza andando a fungere da giustificazione verso gli oppositori. In un contesto di rarefazione dell’occupazione, scrive Jean Zin, "delle due l’una: o le protezioni sociali sono legate all’occupazione con le conseguenze di disuguaglianza ed esclusione che conosciamo, tanto più in quanto l’occupazione diventa discontinua e precaria, o le protezioni sociali sono legate alla persona, e ciò deve tradursi come minimo in un reddito garantito". Si passerebbe così da un’economia ridistributiva-lavorista a un’economia distributiva-produttivista (detta anche "economia dei bisogni").

"La ridistribuzione delle ricchezze tramite il lavoro non riesce a impedire che il potere d’acquisto di una parte crescente della popolazione diminuisca a vantaggio dei patrimoni più grossi. Bisogna dunque sostituire questa ridistribuzione attraverso il lavoro con la distribuzione delle ricchezze prodotte, dal momento che esse lo sono con sempre meno lavoro" (Marie-Louise Duboin)

Secondo Andrè Gorz si potrebbe, infatti, sostenere che, nel contesto di una progressiva rarefazione dell’occupazione, la società umana potrà sopravvivere solo mediante una retribuzione del potere d’acquisto che non corrisponda più interamente al valore di un lavoro, gravante solo sui proprietari, in quanto sempre più parte della produzione (ovvero sempre meno parte di "plusvalore", come lo chiama lui da buon marxista) non è più legata direttamente ad esso. Lo stesso Gorz rispondeva alle relative obiezioni: "non si tratta di perseguire, nella rivendicazione di un reddito sociale garantito, l’obiettivo illusorio di una ristrutturazione del capitalismo [...] Si tratta, al contrario, di concepire questa rivendicazione come un modo di affrontare il capitalismo là dove si crede inattaccabile, ma diventa in realtà più vulnerabile: sul piano della produzione". Si tratterebbe, in altri termini, di far sì che il reddito di cittadinanza apra la strada a un’appropriazione del lavoro e della produzione – permettendo di liberarsi della produzione ALTROVE che nella produzione. "Solo l’auto-produzione fuori mercato", aggiunge Gorz, "ossia l’unificazione del soggetto della produzione e del soggetto del consumo, offre una via d’uscita per sfuggire a questa determinazione da parte del capitale del contenuto dei bisogni e della modalità della loro soddisfazione". Ma ovviamente la sostituzione del lavoro organizzato con l'autoproduzione non è considerabile realisticamente (il risultato della Cambogia di Pol Pot è evidente). Se uno di sinistra come Gorz ammette come una priorità quella di diminuire il costo del lavoro (ossia "abbassare i salari", detto in termini lavoristi) a carico dei vituperati "capitalisti", qualcosa anche a sinistra si sta muovendo... Quindi, nonostante lo scopo del reddito di cittadinanza non sia "dare soldi", perlomeno la motivazione "solidaristica" sostenuta dalla sinistra "illuminata" potrebbe comunque fungere da motivante, se non proprio verso i contrari, almeno verso gli indecisi per interessi contrapposti.

"Il reddito di cittadinanza permetterebbe al contempo di sradicare la povertà, sopprimere la disoccupazione, ridurre le disuguaglianze e le ingiustizie sociali ed emancipare l’individuo" (Baptiste Mylondo)

Il principale vantaggio del reddito di cittadinanza è con ogni evidenza che sarebbe tale da rimettere in discussione il lavoro salariato come base del capitale e dei rapporti sociali. Aiutando ad uscire dal quadro del lavoro dipendente generalizzato, creando una sorta di alternativa al lavoro salariato, impedirebbe a quest’ultimo di colonizzare tutte le sfere dell’esistenza, contraddicendo nello stesso tempo l’idea, diffusa dal padronato come dall’ideologia dominante, che il lavoro salariato è l’unica base possibile della società, la sola fonte di coesione sociale, e che senza di esso non si può vivere "degnamente". Ad esempio, nell'ambito della "forbice tecnologica", contribuendo a realizzare la transizione tra due periodi in cui si dispone di un reddito da lavoro, permetterebbe di sopportare meglio i costi dell’attesa o di transazione. Quanto alla bestia nera degli "evasori del canone rai", la questione del finanziamento che analizzerò a fondo più avanti, che deve essere anzitutto formulata e puntualizzata bene, Alain de Benoist riporta un esempio usato da Yoland Bresson:
«Il problema posto dal reddito di esistenza non è quello del volume o della massa di risorse necessarie, poiché il suo livello dipende precisamente da questo volume, ma unicamente quello della sua ripartizione. In altri termini, non pone un problema di costo, ma di distribuzione. Pensiamo, ad esempio, a quattro giocatori di carte. Invece di distribuire a caso le 52 carte del gioco, si dà prima un asso a ciascuno dei giocatori, e poi si distribuiscono a caso le restanti 48 carte. Il numero di carte del gioco non è variato, ad essere cambiato è il modo di distribuirle. Chi perde in questa nuova distribuzione? Gli estremi: il campione, che dovrà d’ora innanzi fronteggiare dei giocatori che possiedono almeno una buona carta, esattamente come il datore di lavoro che offrirà un posto di lavoro a un disoccupato indotto dal suo reddito d’esistenza a far valere meglio le sue scelte, e d’altra parte i cattivi giocatori, che non potranno più imputare alla sola sfortuna i loro successivi fallimenti. L’introduzione del reddito di esistenza è così riducibile a un semplice problema di ripartizione delle ricchezze esistenti»
Da questo punto di vista l'opposizione al reddito di base incondizionato è una forma di occulta ostilità lavorista di stampo fabianista verso i disoccupati e alla necessità di un nuovo strumento di retribuzione reddituale per combattere la disuguaglianza crescente, ed è anche una forma di politica pro oligarchia molto miope. E la farsa si raggiunge quando la critica tipica fatta dai lavoristi ai sindacati riguarda non le cose deleterie (che la gente invece crede buone), ma l'inefficienza, cioè la cosa che in quanto andando a limitare gli effetti delle cose cattive che tutti credono buone (e quindi ne lamentano l'inefficienza attuativa), è invece quella buona! Che i sindacati siano inefficienti è una manna dal cielo! Guai se fossero efficienti! Si giunge al paradosso di leggere: "se è vero che negare qualsiasi garanzia reddituale al cittadino garantisce una maggiore deflazione salariale in stati dove il welfare si fonda ancora sulle tasse sul lavoro, supporto alle politiche di austerity che trasferiscono ricchezza dalla classe media alle élite globali, è anche vero che in questo modo vengono colpiti artificialmente i consumi interni, la domanda aggregata e gli investimenti"... frase che è molto indicativa per comprendere la cognizione totalmente sballata che generalmente vige sul reddito di cittadinanza, tra cui, sulla base di un inesistente aumento di tasse che si crede "necessario" a coprire le sue cifre, che il reddito di cittadinanza porterebbe "inflazione salariale", che a loro vedere sarebbe cosa buona, mentre di contro la sua inesistenza determinerebbe una "deflazione" salariale necessaria alle politiche di austerity come se ciò lo decidesse un orco cattivo per trasferire "ricchezza" dalla solita santissima "classe media" ai vituperati "ricchi"... ovvio, così i ricchi potranno mangiare 100 chili di pane al giorno, alla faccia della "classe media" a cui quel pane viene dispettosamente sottratto (ovviamente la "classe" povera non frega a nessuno...)... E poi si giunge a leggere un certo Mario Seminerio a dire "l’effetto perverso potenziale ed assai probabile del reddito minimo garantito risiederebbe nel rischio di un crollo dei salari"... Certo che ce ne vuole per considerare come un male il calo dei costi di un fattore... la diminuzione del costo del lavoro è proprio uno dei pregi del reddito di cittadinanza! Quando poi in realtà è proprio il contrario: non esiste niente di più deflattivo per i salari che l'assenza totale di forme di reddito garantito: in questo modo il ricatto nei confronti del lavoratore è massimo. In questo senso il reddito di base incondizionato, proprio in quanto non sottoposto al vincolo della condizionalità, è il modo più efficace per restituire potere contrattuale ai cittadini. Tra l'altro anche il nero non ha senso in questo caso, non più di quanto non ne abbia oggi. Nei fatti, l'introduzione di un reddito di base comporterebbe una necessità di rialzo dei salari più bassi, ma una possibilità di riduzione di quelli più alti; è solo aggregatamente che il costo del lavoro si ridurrebbe. Ma come si può pretendere di farlo capire a chi continua imperterrito con la solita cazzata dello "stimolare i consumi" dal "lato della domanda" per far "girare" l'economia... normale, viene da chiedersi perchè per farla "girare" ancora di più quelli che sostengono ciò non lascino tutte le luci di casa sempre accese... distruggiamo tutto per poi doverlo ricostruire, sai come "gira" poi l'economia, i consumi interni, la domanda aggregata, l'indotto, e gli investimenti? Tutt'altro discorso è quando la domanda è tenuta artificialmente al di sotto del suo livello naturale (che è quello in cui si incrocia con la linea dell'offerta nel punto ideale), a causa di esternalità quali le imposte. E di nuovo il solito Mario Seminerio, “le tasse alte non fanno male alla salute, in effetti. Si limitano a disincentivare l’attività economica. Ma non sarebbe un problema, perché alla fine ci sarebbe il reddito di cittadinanza a pagare il crescente numero di nullafacenti che ci ritroveremmo. Ragionamento un filo circolare?” Sa Seminerio cos'altro disincentiva l'attività economica? L'assenza di consumi. Inutile incrementare l'offerta se la domanda è insufficiente, anche questo è un ragionamento un filo circolare che ricorda la storia economica degli ultimi 15 anni. Tra l'altro il deficit di domanda scoraggia anche gli investimenti che oggi per ragioni tecnologiche incrementano l'output di prodotti e servizi ma non necessariamente l'occupazione. Ora forse si comprenderà per quale motivo questo non è affatto un ragionamento circolare. E sono proprio le "soluzioni" alla Seminerio, quelli che vogliono lasciare una massa di gente a potere d'acquisto zero, ad alterare artificialmente la linea della domanda! Ripeto per l'ennesima volta che peggiorare un problema non è la soluzione a quel problema! Avere un reddito, gli permetterà di avere denaro da spendere per SOPRAVVIVERE, ed avere dignità. Ma il punto non è questo, il punto è che questo reddito, dato che questi individui non hanno altre fonti di reddito, verrà speso, e quindi compenserà il limite oggi artificialmente imposto alla domanda dall'esistenza di redditi zero (e non "farà aumentare" la domanda così dal nulla, non c'entra niente con Keynes!). Questo perchè coloro che prima non avevano soldi da poter spendere, adesso li hanno, grazie al reddito, e quindi c'è un aumento effettivo della domanda. Con l'aumento di domanda, cresce il lavoro e quindi il bisogno di forza lavoro per erogare beni e servizi, richiesti grazie al reddito di chi prima non lo aveva. Aumenta quindi il lavoro, e le stesse persone che si ritrovavano ad avere bisogno del reddito di cittadinanza, verranno assorbite dallo stesso lavoro che loro hanno generato con la domanda. Per quanto minima sarebbe l'influenza del ritorno della linea della domanda su quella naturale, contribuirebbe già di per sè a genererare nuovi lavoratori, che inizieranno a guadagnare e a spendere, mantenendo costante il livello di domanda data dal reddito di cittadinanza. Domanda che è assente se non si ha un reddito. Quindi il timore che il reddito di cittadinanza provochi inflazione in sostanza è una opinione obsoleta, se non, detta in modo più appropriato, totalmente imbecille perchè è una cazzata. Quando si capirà che il reddito di cittadinanza genera lavoro, e non è solo e semplice sussistenza, allora si potrà anche esprimere un parere costruttivo. Al contrario, la stagnazione e deflazione che si verifica oggi fa arricchire molti, basta pensare un pò per sapere chi. Lo strumento più inflazionistico esistente ad oggi sono le tasse, i tributi, le imposte, che gonfiano oltre ogni dire i prezzi finali di vendita. Basterebbe documentarsi, ovvero non considerare l'informarsi come il più grande e terribile dei nostri nemici. La rendita *E'* più forte del lavoro, sono stati scritti libri su questo argomento, ad esempio "Il Capitale nel XXI secolo" di Thomas Piketty descrive sapientemente quanto accade in un'economia tecnologica dove i profitti da investimenti in tecnologie superano quelli da investimenti in capitale umano. Questo è quello che sta accadendo in un mondo dove al lavoro va una porzione sempre minore di ricchezza (il 75% 30 anni fa, il 50% oggi), non importa quanti posti, magari insulsi o superflui, puoi creare. E di nuovo il solito Mario Seminerio, “Quindi: abbiamo uno stato ridicolo che non sa neppure dare lavoro aprendo e chiudendo buche, però lo stato deve rilanciare ricerca, politica industriale, riassetto del territorio e quant’altro. Una notevole metamorfosi, non trovate?” In realtà non c'è nessuna contraddizione: si sa come fare ricerca e sviluppo e come preparare un piano industriale, ma i tentativi fatti fino ad oggi per rivitalizzare il mercato del lavoro si sono dimostrati inefficaci. Oggi il fare impresa e il creare occupazione non sono più legati da un nesso di consequenzialità diretta perché lo sfruttamento delle tecnologie esponenziali può dare vita ad un'azienda "disruptive" per altre realtà ad intenso sfruttamento di manodopera per cui apparentemente stai creando posti di lavoro, in realtà li stai distruggendo, ed il fatto che le prime 5 aziende su 7 nel mondo per capitalizzazione di mercato appartengano proprio a questo profilo ci dice qualcosa sulla mutata natura dell'economia. Tuttavia, il fine dell'impresa privata è produrre ricchezza, non occupazione, scopo delle istituzioni pubbliche deve essere distribuirla rimediando perciò alle lacune della libera iniziativa. Ad impedirlo è la gente come lui, perché purtroppo ancor oggi il sistema economico è affidato a chi tira fuori il solito coniglio dal cilindro keynesiano di far "scavare buche per poi riempirle", come Eduardo Porter, o come il sociologo Guy Aznar che giudica il reddito di cittadinanza "pernicioso" perché, secondo lui, porrebbe l’individuo in una situazione di "dipendenza sociale totale". Ah, un reddito basilare distribuito incondizionatamente permanentemente che permetterebbe a tutti di sopravvivere indipendentemente da ogni altro parametro provocherebbe "dipendenza sociale totale", non il ricatto "ricambiami o muori di fame"!?!?

"La sinistra fa sempre il gioco del grande capitale, a volte perfino senza saperlo" (Oswald Spengler)

Degni eredi di quell'Ernesto Rossi fautore del lavoro obbligatorio pagato in natura (che lui chiamava "reddito sociale"), a suo dire per evitare lo "stigma disonorante" di ricevere la carità... o di quel Robert Castel che scrive "il lavoro realizza l’esigenza morale di non divenire o restare un assistito"... da cui ne ricaviamo che purtroppo l'opposizione al reddito di cittadinanza deriva appunto dall'ottusità di persone incapaci di vedere al di là del proprio naso... carità e assistenza sto cazzo! Restituzione e Diritto casomai! Però nel ricevere nel salario più di quanto quella mansione (non la persona) meriti la gente non ci vede alcun vergognoso "stigma" eh! E a quanto pare, nemmeno nel rubare... No, i seguaci del "lavorismo" non provano alcuna vergogna a chiedere ingiustificati e superflui aumenti salariali, sempre e sempre di più... io mi sentirei più in colpa a ricevere nel salario più di quanto quella mansione valga ovvero di quanto io apporti alla produzione, non ad avere incondizionatamente lo spettante diritto fondamentale alla sopravvivenza! Ma in un mondo capovolto lo strano sono io, ovviamente, in un mondo dove pare essere più onorevole sottrarre indebitamente o tramite coercizione o ricevere come carità che detenere un giusto diritto in assenza di necessità produttive. Cosa c'è di disonorevole nell'avere ciò che spetta di diritto? Questo bisogna mettersi in testa, che il reddito di cittadinanza non è una carità, ma un diritto! Disonorevole sarà ricevere più del necessario o di spettante e/o dover scavare buche in cambio casomai! L’errore consiste qui nell’assimilare al "lavoro", e più particolarmente al lavoro salariato, ogni forma di attività umana come fosse fine a sè stesso. Il già citato Paul Lafargue, genero di Karl Marx, già a suo tempo mosse un'aspra critica alla "strana follia che si è impossessata di uomini e donne della società moderna: l'amore per il lavoro". Il lavoro è necessario per produrre, ma non è una cosa da esaltare come fosse fine a sè stessa! La faccenda che il lavoro "nobilita" non è stata dimenticata come dicono i residuati del "lavorismo", è proprio che è un emerita stronzata paradossale, e ormai sempre meno persone lo negano come si è invece sempre fatto fino a poco tempo fa. In questo sta la distinzione tra la categoria antropologica (che descrivo meglio più avanti) dei "lavoristi" e quella che per comodità di linguaggio chiamo "anti-lavoristi". Difatti bisogna valutare bene il significato delle parole, poichè anti-lavorismo è sinonimo di produttivismo, non sua antitesi. In sostanza, produttivista è sinonimo di anti-lavorista, e lavorista è sinonimo di anti-produttivista. A volte la sola modifica lessicale cambia del tutto il senso, a volte do troppo per scontato che tutti interpretino le cose allo stesso modo, invece le parole vanno soppesate per evitare interpretazioni personali. Caratteristica dei "produttivisti" è considerare il lavoro come necessario mezzo di produzione, mentre i "lavoristi" neanche si capisce quale possa essere la loro cognizione precisa... "stipendificio" fine a sè stesso parrebbe la più azzeccata, da cui il considerare i salari una "variabile indipendente", come se i beni nascessero dal nulla. E tutte le relative conseguenze e derivazioni (luddismo, decrescismo, scioperismo, assenteismo, ecc).

"E' importante non confondere lavoro e occupazione" (Alain de Benoist)

Secondo de Benoist (e dello stesso parere sono Maurizio Blondet e Massimo Fini) l'opinione che il reddito di cittadinanza sarebbe stigmatizzante è una perversione mentale, perché, a differenza degli aiuti concessi salvo disporre di risorse economiche, i beneficiari non dovrebbero dimostrare la loro povertà ("prova dei mezzi"). Detto altrimenti, il fatto di percepire il reddito di esistenza non sarebbe sinonimo di un qualunque stato di "marginalizzazione". Essendo incondizionatamente distribuito a tutti, cumulabile con qualunque altro reddito o attività senza altra degressività, si esercita in permanenza, a priori, e non su richiesta e a posteriori, il reddito di cittadinanza sfugge peraltro a ogni mercanteggiamento politico e non induce alla frode, contrariamente alla maggior parte delle prestazioni sociali. Il reddito di cittadinanza rappresenta un cambiamento nella logistica dei redditi e non un nuovo sussidio sociale redistributivo che va ad aggiungersi agli altri. Tuttavia il crescente interesse per il reddito di base non significa un’agevole avvio all’implementazione. Per quanto solidamente logici possano essere gli argomenti economici in suo favore e per quanto a lungo possano aver circolato, critiche da lungo tempo smentite continuano a essere sollevate contro di esso, indipendentemente dal fatto che queste affermazioni sono stato solidamente rigettate in numerose diverse lingue, esse continuano a rialzare la loro stupida testa, e dubbie soluzioni parziali continuano a essere brandite come “alternative”, quali il “lavoro garantito”, la “piena occupazione”, il reddito minimo garantito condizionato, per finire con il recente "lavoro di cittadinanza". Ci si ostina insomma ad andare ad arrabattarsi per cercare qualcosa che è già sotto il naso. Ci sono ancora altri malintesi (o vere e proprie distorsioni della realtà) che vanno affrontati anche tra chi non lo rigetta a priori, in particolare tra la titubante sinistra riformista o antagonista, contorsionismi intellettuali affermanti che il reddito base e il reddito minimo garantito sono “più o meno la stessa cosa”... dire che reddito di cittadinanza e imposta negativa sui redditi o altri tipi di sussidio sono "più o meno" la stessa cosa è come dire che cucchiaio e forchetta sono "più o meno" la stessa cosa. E' lecito immaginarseli mangiare la minestra con la forchetta... Vi danno in pasto dei nomi e voi non ragionate sulle condizioni e l'IMPORTO. L'importo è fondamentale. I soliti luoghi comuni sono politicamente dannosi, perché hanno indotto la sinistra a sostenere proposte che loro definiscono “più morbide” che non risolvono un bel nulla e sono solo placebi. Alain Caillé, ad esempio, si è pronunciato per un reddito di esistenza a "condizionalità debole" che sarebbe riservato solo alle persone più povere. Anche con tutte le buone intenzioni, la sinistra non riesce proprio a togliersi di dosso l'acredine verso i "ricchi" e così per non dare anche ad essi una cosa che nemmeno prenderebbero buttiamo via il bambino con l'acqua sporca... rimettendoci tutti, a partire da chi ne trarrebbe il maggior vantaggio cioè i più poveri, e al contempo della condizionalità "debole" sostengono una quantificazione "forte" sostenendo che quando di entità bassa, sarebbe "un sistema di sovvenzione ai bassi salari che invita le imprese a usare ed abusare della flessibilità del lavoro e a ridurre le remunerazioni offerte, il che è esattamente l’obiettivo opposto a quello del reddito di cittadinanza"... no, proprio quello è uno degli obiettivi del reddito di cittadinanza! Sullo stesso piano Yann Moulier-Boutang, attuale direttore della rivista francese Multitudes, la rivista Cash, organo dell’Association des chômeurs et des précaires (ACP – Associazione dei disoccupati e dei precari), il Comitato d’agitazione per un reddito garantito ottimale (Cargo) di Laurent Guilloteau, la rete No Pasarán, il giornale libertario La Griffe, il MAUSS del citato Caillé, Jacques Robin e Patrick Viveret della rivista Transversales Science/Culture, da diversi movimenti ecologisti.

"Marx lamentava che il capitalismo affamasse i lavoratori, ora i marxisti lamentano che li colmi di troppi consumi: serve più coerenza, signori" (Sergio Ricossa)

E da parte dei neo-favorevoli la situazione non è molto migliore... andando da un estremo all'altro, mi tocca ritrovarmi ste specie di hippy "no global" sul tipo di Naomi Klein a descrivere il reddito di cittadinanza come finalizzato unicamente a ridurre la povertà e puntare sempre e solo su cazzate solidaristiche, "il divario tra ricchi e poveri", "il trasferimento della ricchezza", "lotta all’evasione e ai paradisi fiscali", "potrebbe portare in essere delle reti alternative di produzione e favorire lo sviluppo sostenibile della comunità", "una maggiore partecipazione politica e sociale", "invita i cittadini più privilegiati a contribuire", "ridurre la concentrazione di reddito al vertice dove il denaro produce altro denaro da accumulare", anche quando sostenendone la versione razionale comunque incapaci di capirne i risvolti collaterali o perfino invertendoli come quello sul costo del lavoro e deprecando "i ricchi" giustificando con le solite manfrine classiste un prelievo fiscale da "redistribuire" "ai poveri" che sta solo nella loro incapacità di vedere oltre ed analizzare a fondo le potenziali conseguenze. In questo modo perpetuando i pregiudizi e rendendolo perciò utopico da far accettare da chi al quale così facendo lo fanno percepire come una minaccia. Questa ostinata idea che il reddito base sarebbe un’aggressione alle "classi medie" e ai "ricchi" incoraggia gli atteggiamenti di farsesco attendismo e titubanza. Dagli anni '70 infatti tutti i governi si danno da fare per ostacolare e ingabbiare il mercato del lavoro, salvo poi proporre complesse scorciatoie come i voucher. Come dice il gollista Yoland Bresson, i governi che si sono succeduti in questi ultimi decenni hanno continuato a trattare la disoccupazione come un incidente passeggero che era bene integrare in attesa del ritorno del pieno impiego. Essi hanno dunque privilegiato il trattamento sociale della disoccupazione e l’assistenza, il cui finanziamento è stato assicurato principalmente dal lavoro salariato. Poiché quest’ultimo continua a restringersi, si è entrati in un circolo vizioso dal quale loro non sanno come uscirne. Gilles Yovan rincara la dose: "L’occupazione viene a mancare anche se la società non vuole sentir parlare di crisi del lavoro dipendente e rigetta questa evidenza, preferendo addebitare alla congiuntura il persistere di una disoccupazione di massa nei paesi europei".

"L’esigenza di una solvibilità universale dei cittadini superiore a ogni altro criterio, come fattore di integrazione al gruppo sociale e di capacità di esercitare i diritti e gli obblighi loro incombenti" (Janpier Dutrieux)

Gli economisti mainstream sono insopportabilmente superficiali. Credono che basti contenere certi parametri entro una data fascia d'oscillazione e - oplà - il gioco è fatto, siamo tutti felici e contenti. Non si chiedono, però, come ci si arrivi: in questo, ricordano tanto il buon Procuste, che adattava gli "ospiti" della sua grotta al letto, stirandogli le gambe o tagliandole, alla bisogna... I dati della disoccupazione non piacciono? Nessun problema! Sposta la quantità che più desideri verso gli inattivi (cioè chi non si iscrive a quell'inutilità dei centri per l'impiego) e la disoccupazione magicamente scende. Facile no? Si chiama "far di necessità, virtù". Come far passare l'avere il frigo vuoto come una buona occasione per mettersi a dieta... ottimismo, certo, ma l'ottimismo non riempie la pancia. A questo punto "disoccupazione zero" sembrerebbe più una minaccia che un auspicio... "Io però vedo anche gente che il lavoro lo scansa"... No, quello che vedi scansare non è lavoro, è schiavitù. Un lavoro giusto nessuno (o quasi) lo scansa, poichè lo scopo di cedere ad altri il proprio tempo è il ricevere qualcosa in cambio, che può anche non essere soldi se uno non ne ha bisogno, ma se invece non ha altre fonti di sostentamento quella è la cosa di cui necessita, non di "perdere tempo" e basta perchè non si ha di meglio da fare. Il salumiere non regala il salame, ma vuole in cambio qualcosa: soldi. Quando il salumiere regalerà il salame, si potrà lavorare gratis. De Masi scrive nel suo “Lavorare gratis, lavorare tutti”: "Se chi lavora 40 ore settimanali riducesse il proprio orario a 36 ore, la disoccupazione si azzererebbe. Il punto, quindi è riuscire a convincere un occupato a cedere le sue ore a un disoccupato". Bella forza! Si sciopera lavorando gratis così gli occupati dovranno scendere a patti con disoccupati e datori di lavoro... si si abbiamo trovato la soluzione finale, ora siamo più tranquilli. Perché non comincia lui per primo dando il buon esempio? Potrebbe cominciare distribuendo gratis il suo libro anzichè mettergli un prezzo. L'accoglienza della proposta è divisa: c'è chi risponde "ci vada lui a lavorare gratis! Anzi, glielo pago io lo stipendio...a suon di calci in culo!", e chi invece risponde "ci sto. Se è d'accordo la banca a non voler indietro i soldi del mutuo". E poi che significa lavorare gratis? Un dipendente di una azienda o uno statale mi lascerebbe lavorare 4 delle sue 40 ore? Io che entro di punto in bianco nella sua azienda come un estraneo... a fare cosa? Dovremmo lavorare gratis come forma di protesta? I call center e i truffatori del porta a porta si sfregano le mani, scommetto... Fa tutto un ragionamento per poi finire con un "speriamo che i ricchi non se ne approfittino"... Per convincere a far lavorare meno quelli che hanno un lavoro, occorre quindi convincere i disoccupati a fare quello che l’economia postula da sempre: concorrenza. Ovvio che basterebbe abolire i compensi minimi stabiliti per legge. Peccato che la Cgil avrebbe qualcosa da obbiettare... a meno che... non lo si faccia passare per "volontariato"! Fanno il diavolo a quattro per 50 centesimi in più o in meno, ma vuoi vedere che sul lavoro gratis non avrebbero nulla da obiettare? Non ci sarebbe da stupirsene. Secondo De Masi per essere sicuri di non sbagliare, serve che i disoccupati entrino sul mercato del lavoro a costo zero. In quel modo, chi lavora vedrebbe crollare il proprio reddito. Questo in caso si tratti di autonomi. I dipendenti, invece, verrebbero rapidamente sottoposti ad arbitraggio di manodopera da parte dei datori di lavoro, che assumerebbero a costo zero licenziando chi è sopra quel livello. Il costo zero serve per compensare le diseconomie legate a licenziare gente formata in impresa, è chiaro. Alla fine del giro di giostra, col rilancio a costo zero, tutte le imprese si troverebbero in casa lavoratori gratis. Anzi, le prime ad aver licenziato, al termine dell’aggiustamento, potrebbero anche riprendersi i dipendenti originari, per non perdere il loro capitale umano formatosi on the job. Per questo De Masi esagera polemicamente arrivando al punto di proporre di lavorare perfino gratis: "Se su 3 milioni di disoccupati 1 milione lavorasse gratuitamente, si spaccherebbe il mercato, costringendo chi lavora di più a lavorare di meno. Se iniziassero tutti a lavorare gratuitamente, nel giro di poco tempo troverebbero un lavoro pagato"... si certo ma per poter lavorare gratis bisogna avere i soldi per poterlo fare. Che sia questo uno dei motivi per cui il lavoro è pagato? E sempre lo stesso motivo per cui gli schiavi venivano nutriti e vestiti? Sotto certi aspetti gli schiavi di una volta stavano meglio di noi, almeno per come siamo conciati oggi. Lo schiavo era una proprietà del padrone, e il padrone aveva tutto l'interesse a far fruttare l'investimento. Per questo motivo, lo schiavo aveva l'esistenza garantita, seppur miserabile. Con l'avvento del capitalismo e del libero mercato, il lavoratore, poiché giuridicamente libero, deve mettere la propria forza lavoro in vendita. Ma se nessuno acquista quella forza lavoro perché non può acquistarla o perché non ne ha bisogno, la persona vedrà messa a repentaglio la propria esistenza. Esattamente ciò che accadde negli Usa post-1865. Ecco perché il reddito di cittadinanza è il primo passo per garantire a tutti il diritto ad esistere.

“Essere libero significa non dover dipendere da un altro individuo per vivere, non essere condizionabile da quest’altro individuo; chi dipende da un altro per vivere non è libero” (Daniel Raventos)

Ma se il problema è l'assenza di reddito, che senso ha proporre oltretutto di lavorare gratis? E chi assicura poi che il lavoro lo garantissero pagato dopo lo "sciopero"? Esistono fin troppe forme di "lavoro gratuito" (vedi i giorni di prova, i tirocini e cose del genere) e non mi pare il caso di crearne un'altra, che farebbe solo comodo ai tanti disonesti. I disoccupati già ora se lavorano gratis (o quasi) lo fanno nella speranza di essere assunti. Esistono già ora tante forme di precariato o sottoccupazione, che assomigliano al lavoro gratuito o semigratuito; forme di lavoro non retribuito (adeguatamente), che di fatto abbassano anche i diritti e gli stipendi di chi invece gode di un contratto di lavoro stabile. Ma nessuno produce merce che non vende. Il giovane che lavora gratis non avrebbe reddito e qundi di conseguenza, pur lavorando, non aiuterebbe l'economia italiana e soprattutto la sua di vita perchè non riuscirebbe a realizzarsi nel breve termine. Con il rischio di ridurre ancora una volta lo stipendio medio di un lavoratore italiano che pur di non lavorare gratis accetterebbe somme bassissime pur di campare e non alzarsi la mattina senza un soldo. Chi ne potrà giovare invece saranno le aziende che avranno lo stesse prestazioni con lo stipendio ridotto. Le aziende non assumono perchè il costo del lavoro è altissimo e i consumi sono troppo bassi, perciò non c'è bisogno di aumentare la produttività. Qui il problema non è ridurre il dato dei disoccupati (alla fine è solo un dato) ma concedere a questi uno spiraglio concreto e immediato di ottenere un potere d'acquisto cosi da riprendere i consumi elementari. Il discorso di De Masi è un pò come tagliarsi le palle per far dispetto alla moglie... che senso ha proporre cose intricate quando basterebbe l'abolizione delle imposte sul lavoro per ottenere gli stessi risultati semplicemente? Il problema sono le imposte sul lavoro, non ha senso pensare soluzioni intricate senza prima eliminare la causa dei problemi. "Ecco se per alcuni giorni 6 milioni di persone lavorassero gratis il mercato del lavoro sbancherebbe e gli occupati sarebbero costretti a venire a patti coi disoccupati e a ridurre il proprio orario di lavoro"... non ha molto senso.... il problema è il sistema fiscale! Un lavoratore in più per un azienda equivale a una vagonata di tasse in più da pagare, se dimezzi l'orario di lavoro aumentando il numero di dipendenti, aumenti anche le tasse da sborsare! Figurarsi se un'azienda è pronta a imbarcarsi in una situazione del genere! I sociologi possono raccontare quel che vogliono, finchè il regime fiscale non cambia la situazione rimarrá sempre questa! E non scordiamoci dei manager, altro tumore del mondo del lavoro, troppo tesi all'arricchirsi esageratamente a scapito dei fattori. Sembra più un cane che si morde la coda... il problema di fondo è che in Italia gli occupati lavorano tante ore (molte di più di quelle di Germania e Francia) perchè il costo del lavoro in Italia è altissimo e un'azienda, se deve scegliere tra assumere due lavoratori che lavorino ciascuno 4 ore e un solo dipendente che invece ne lavori 8, è ovvio che per una mera questione di costi, sceglie di assumere una sola persona anzichè 2! Quando tutto questo si risolverebbe semplicemente diminuendo significativamente il costo del lavoro (e le tasse in generale) in modo da permettere alle aziende di poter assumere, espandersi, lavorare di più e meglio. Se ciò avvenisse si potrebbe poi anche parlare di reddito di base che permetterebbe a tutti i lavoratori (soprattutto quelli che svolgono lavori con retribuzioni molto basse), perlomeno di poter avere comunque una vita dignitosa e non fare la fame... Purtroppo il lavoro gratuito "drogherebbe" ancora di più il mercato del lavoro, a beneficio del capitalista naturalmente; il risultato sarebbe solo quello di fomentare ancora di più la guerra fra poveri (fra chi il lavoro rischia di perderlo e quelli che vorrebbero prendere il loro posto. Gli stipendi in Italia sono bassi perchè il costo del lavoro è troppo alto. Pochissime persone potrebbero permettersi di rinunciare a ore di lavoro (e quindi di stipendio). Con 1.000 euro al mese in Italia si campa male, per mantenere dei figli dignitosamente bisogna arrivare almeno a 1.500 (se si è in tre). Questa è la realtà. Ed il risultato dell'abbassamento dei salari orari sarebbe che ci si troverebbe costretti a lavorare ancora di più casomai! Ma dopotutto è un pensiero in linea con uno che scrive "il vero dramma del disoccupato è non fare nulla tutto il giorno"... ovviamente a dirlo non può essere altro che uno che in vita sua non è mai rimasto per un solo istante senza nemmeno un soldo in tasca. Il punto è che non è certo necessario arrivare a questi livelli estremi, basterebbe solamente abolire ogni esternalità legislativa sul lavoro e tutto andrebbe nel suo equilibrio naturale. Ma guai, eresia per i sindacati! La logica autoritaria dei sindacati, nei fatti, può solo aumentare la disoccupazione. Le strutture dirigistiche che condizionano la vita produttiva (la Cgil e non solo), ogni I° maggio scendono in piazza in nome dei lavoratori e a "difesa del lavoro", ma sono impegnate in attività che impediscono a molti giovani e meno giovani di avere un reddito col quale potersi costruire un futuro. Il sistema di presunte tutele che è stato costruito spesso nega la possibilità d'interrompere un rapporto di lavoro anche quando il dipendente non è necessario all'azienda. Ma secondo il loro cervellino, quale sarà il risultato? Mica ci arrivano che il risultato è che chi potrebbe assumere personale extra si dovrà guardar bene dal farlo??? Tutto ciò, unito al prelievo fiscale esorbitante, frena molte imprese dall'assumere e spinge pure a trasferire fuori dalle frontiere i propri impianti. Statalismo e demagogia sono all'origine del disastro italiano. Se i sindacati non lo comprendono e non cambiano rotta, sperare in un futuro migliore è proprio da ingenui o da sprovveduti. Invece che autocelebrarsi nelle piazze, allora, i sindacalisti dovrebbero fare un esame di coscienza e rivedere le proprie linee di condotta. Alla lunga il rischio che questa ottusità porti la corda a spezzarsi è tutt'altro che improbabile.

"Quando avrete abbattuto l'ultima fabbrica, quando avrete fatto fallire l'ultima azienda produttiva, quando avrete tartassato fino all'asfissia l'ultima partita iva, allora vi accorgerete che i dipendenti statali e i pensionati non danno da mangiare a un paese" (Marco D'Auria)

Appare del tutto evidente come il percorso con le priorità date alle impellenze in materia di bilancio, - mangi la minestra o salti dalla finestra - passando in primis dalla riduzione dei costi del lavoro, attraverso lo spianamento dei diritti di lavoratori e pensionati con le conseguenti contrazioni salariali, sia così arrivato un pò in sordina e quasi senza accorgercene, ad una depauperazione "desertificazione" generale del paese, gravato com'è, da una tassazione diretta e sopra tutto indiretta e locale, che con ogni espediente attinge orizzontalmente sopra tutto dalle classi sociali più deboli. Il ceto medio si è così polverizzato e urla la propria rabbia, sotto il peso di una crisi economica senza precedenti. La produzione industriale ripiega ineluttabilmente verso strategie di sopravvivenza delocalizzando, quando può, le attività produttive per sfuggire alla morsa fiscale di un paese che ha un debito pubblico da primati, una disoccupazione allarmante, e una classe dirigente "casta" attonita e smarrita, impegnata da lungo tempo in una lotta senza confini, per la scrittura di una legge elettorale che mira solo a garantire a sè medesima sopravvivenza, ergo privilegi, stipendi e pensioni d'oro. Dove il mandato politico ricevuto dagli elettori e le promesse fatte in campagna elettorale, diventano carta straccia, e tutti quanti hanno le mani libere per intrigare e schierarsi spudoratamente col vincitore di turno. E a fronte dei problemi da loro causati, si scagliano contro uno di questi problemi da loro creati: l'evasione fiscale. Ah il problema non è la spesa pubblica, ma l'evasione conseguente... La spesa pubblica (della quale l'evasione fiscale è una conseguenza!) è così drammatica da spingere il governo a misure come lo "split payment" sulle forniture statali per recuperare l'IVA, che altrimenti gli evasori si fregano anche quella, e che a sua volta causa altri problemi alle imprese aggravandone la situazione. Lo "split payment" sulle forniture private è invece stato rigettato dall'Europa, per cui continuano a fregarsi anche l'IVA e non solo i redditi. Non è un caso se con la riforma tributaria degli anni '70 (il decennio rosso) cominciò a salire vertiginosamente la pressione tributaria e a mutare la figura di contribuente in quella di suddito da vessare. Fu un procedimento voluto a tavolino da quella stessa gentaglia che impediva l'introduzione del colore nelle trasmissioni Rai (La Malfa...), mediante l'imposizione, oltre che di prestazioni patrimoniali, anche di un tipo di prestazione personale continuativa ai datori di lavoro e ai committenti, che diventarono esattori per conto dello Stato, mediante l'obbligo di effettuare e versare una ritenuta su ogni retribuzione o compenso corrisposto. Lo Stato prendeva così diversi piccioni con una fava: riduzione drastica dei costi di accertamento e riscossione delle imposte, correlativo arruolamento forzoso a costo zero di milioni di contribuenti nel procedimento suddetto, anticipazione delle entrate finanziarie rispetto all'iter logico. Ma dove lo Stato fece bingo fu sul fronte psicologico di massa, e quindi politico. Questo sistema ha infatti diviso il mondo del lavoro dipendente da quello autonomo, nel quale si è continuato a dover dichiarare a fine anno i redditi. Tale aspetto, correlato alle statistiche sull'evasione fiscale gonfiate ad arte, ha scatenato l'invidia di coloro che "non possono (!) evadere" per gli altri, portando alla divisione dei contribuenti tra gli "onesti" (= dipendenti) e gli autonomi. Tralasciando ogni commento sulla logicità e sugli interessi particolari (...sindacali) di tale suddivisione, ciò che conta è che per questo "conflitto (apparente) di interessi" il fronte dei contribuenti è stato diviso, il che ha permesso allo Stato di governare indisturbato. Una perfetta applicazione del principio imperiale romano "divide et impera". Finché questa situazione rimarrà invariata, i sudditi resteranno tali, perché non riusciranno a superare le loro divisioni. Ecco perché l'abolizione del cuneo fiscale sul lavoro assume anche un valore strategico nella lotta per il recupero di un rapporto fiscale equilibrato tra il cittadino e lo Stato, e perché è quindi una priorità non solo in tema di eliminazione della disoccupazione, assieme all'abolizione di ogni altra regolamentazione dirigistica del lavoro. Non si tratta di abolire diritti come accusano loro. Il modo con cui lo stato può determinare affitti massimi e salari minimi non è imponendoli, ma andando a non sfavorire la concorrenza. Non servono imposizioni, la concorrenza basta già di per sè. L'importante è non ostacolarla. Cosa che purtroppo questo stato fa e ampiamente. Nel caso dei salari il pubblico può andare a DETERMINARNE planisticamente il minimo semplicemente FACENDO CONCORRENZA, ovvero impostando i salari dei dipendenti pubblici su livelli per i quali al privato non converrebbe scendere sotto di molto, pena la preferenza della forza-lavoro a rivolgersi verso l'amministrazione pubblica. Ovviamente ciò vale solo in un contesto di piena occupazione, per ottenere la quale, come abbiamo appena visto, è necessario abolire ogni esternalità sull'offerta di lavoro e introdurre un reddito di base. In questo modo verranno determinati i salari minimi, poiché la concorrenza dell'amministrazione pubblica indurrà i privati a non scendere sotto tali cifre. Idem per gli orari: quanto e come lavorare dev'essere una scelta individuale, senza che lo stato prescriva orari e modalità, basta la sola concorrenza a determinarne le propensioni. Senza contare che il raggiungimento dell'ottimo paretiano determinerebbe la possibilità di riduzione degli orari (poiché non ci sarebbe più niente da poter fare per aumentare ulteriormente la produzione) che oggi non è possibile. Sul mercato non ci si "accaparra" un bel niente. L'unico modo per ottenere il favore di tutti i clienti e' offrire il servizio migliore al minor prezzo. Se monopolio significa offrire il miglior servizio possibile al prezzo piu basso possibile, benvenga il monopolio. Appena si crea un minimo di concorrenza sui prezzi, ecco che si invoca la mano protettiva dello stato. E man mano, anche per le piccole imprese, restano solo quelle insane, che profittano di un mercato del lavoro schiavista nel quale ognuno è lasciato allo sbando, perché evidentemente sanno di essere protetti perché fanno le veci. Quelli che vengono indicati come professionisti che chiedono tariffe sono delle capre ignoranti di economia elementare e aspiranti parassiti. D'altro canto se si vive in un paese dove chi lavora nel mercato competitivo è stato massacrato da regolamenti assurdi e imposte indecenti, resta spazio solo per parassiti d'annata, per aspiranti tali, e schiere di ignoranti in cerca di protezioni e sussidi. L'Italia è talmente statalista che non riesci a trovare alcuna differenza fra un tassista e un forestale. Ma non tutti sono fortunati come i tassisti dove lo stato garantisce loro il sussidio sotto forma di protezionismo rispetto ad ogni forma di concorrenza. Ma il problema non sono *i* tassisti ma la "mentalità da tassista". Le cose possono essere incentivate con la concorrenza anziché con regole dirigistiche. Facciamo un esempio, trasporto pubblico gratis: quale sarebbe il risultato? La gratuità determinerebbe una sostituzione del trasporto autonomo con quello pubblico. Ossia il trasporto pubblico gratuito sarebbe di incentivo alla rinuncia all'uso e al possesso stesso dei veicoli privati, che allorquando agevolmente rinunciabili (e si presume che quando la rinuncia è volontaria sia così) grazie alla gratuità del trasporto pubblico (ovvero ad una ulteriore maggior convenienza rispetto a quello autonomo), permette un enorme risparmio collettivo in tema di carburante e veicoli, che solo in parte verrebbe ridimensionato dall'abuso di quelli pubblici e dall'utilizzo sporadico del noleggio a pagamento. Questo esempio può essere applicato per rappresentare il trade-off. Non si deve essere manichei e confondere la programmazione economica (elastica) con la pianificazione (rigida), e per questo essere contrari a priori. In questo i liberisti sbagliano. Se una misura imposta è collettivamente più vantaggiosa, è opportuno che venga applicata. L'esempio fatto sul trasporto pubblico può essere applicato al sistema fiscale di tipo georgista che è teso proprio alla programmazione sul vantaggio collettivo, ovvero sulla quantificazione delle rispettive imposte fisse. Ad esempio quella che vedremo sui distributori di benzina, o quella sul trasporto merci: se quello su gomma è preferito per ragioni di elasticità aziendale (ovvero di non dover sottostare alle esigenze del trasporto di massa), è però collettivamente meno vantaggioso perché riduce l'economia di scala, per la quale è maggiormente conveniente il trasporto di massa ovvero quello su rotaia o per nave. Per questo, disincentivare tramite la programmazione del livello impositivo al trasporto merci su gomma se è deleterio all'elasticità aziendale è invece vantaggioso per la collettività sotto tutti i punti di vista. E questo non vale solo per il metodo di trasporto ma anche per le destinazioni del tipo di merce, ovvero: certo per chi vende acqua minerale è conveniente venderla nel più ampio territorio, ma che senso ha trasportare bottiglie d'acqua da nord a sud o viceversa quando anche in loco vi sono venditori di acqua che trasportano in senso inverso? La funzione programmatrice dello stato in questi casi è palesemente utile: se il venditore del sud non venderà più al nord, dato che altrettanto non potrà fare quello del nord al sud, quello del sud venderà la quota di quello del nord al sud, e quello del nord al nord! Senza dover sprecare carburante e mezzi che potrebbero essere impiegati per funzioni più utili che trasportare di quà e di là merci fungibili (cioè intercambiabili). Ma questo solo lo stato può programmarlo attuando incentivi e disincentivi, perché se quello del sud rinunciasse a vendere al nord ma quello del nord non rinunciasse a vendere al sud, quello del sud ne avrebbe un danno inaccettabile, che lo obbliga a non poter rinunciare di propria volontà a vendere al nord. Ovviamente questo ragionamento non si può applicare a tutte le merci dato che i distretti hanno vantaggi comparati ad altre zone, ma sull'acqua non esiste alcun vantaggio comparato con altri distretti se non rispetto ad un deserto arido! Il bello di questa umanità è che a fronte del nemmeno poter considerare di toccare la libertà di vendere (e quindi dover inefficientemente trasportare) acqua in bottiglia dal Piemonte alla Sicilia, si trova invece talmente normale l'affidamento alla burocrazia della distribuzione domestica dell'acqua potabile al punto di accanirsi in una maniera fanatica contro chi osa proporre la privatizzazione delle relative "municipalizzate" (l'ormai famigerato slogan "acqua pubblica!")... ma che senso ha??? O l'una o l'altra!!! L'acqua è gratis... si certo ma per portarla in casa servono degli impianti, che non sono costruiti e gestiti gratis. Il petrolio invece i terrestri lo devono pagare a qualche entità extraterrestre? Anche quello è gratis! Sta lì, a nostra disposizione. Secondo la loro logica anche il petrolio dovrebbe essere distribuito gratis! Posso capire una società dove si difenda l'"acqua pubblica" e si proibisca il trasporto per 1.000 km di acqua in bottiglia (una società socialista quindi), o viceversa si permetta il trasporto dell'acqua minerale e si privatizzi la distribuzione urbana dell'acqua potabile (una società liberista quindi), ma è una incoerenza pazzesca una società che a fronte dello scagliarsi con un tale furore contro la privatizzazione degli acquedotti permette però senza un fiato il commercio dell'acqua in bottiglia!!! Cosa sarebbe, una via di mezzo consociativa che coniuga i lati inefficienti dell'uno con quelli... inefficienti dell'altro? Quello che oggi si esplica nei serbatoi sui tetti delle case in Sicilia: impedire all'iniziativa privata di rifornirle mediante tubazioni ma al contempo permettere di rifornirle mediante autobotte determina che esse saranno rifornite da autobotti anziché da tubazioni! Come conseguenza che l'interesse dei possessori di autobotti sarà nell'impedire (con modi più o meno illeciti ovviamente) ai gestori pubblici di realizzare quelle tubazioni! Ecco, abbiamo così un altro esempio con cui illustrare il distributismo rispetto agli altri sistemi: il liberismo è a favore dell'efficiente privatizzazione degli acquedotti ma contro la proibizione dell'inefficiente trasporto acqueo su camion - il socialismo è contrario all'efficiente privatizzazione degli acquedotti ma contro (o se ne frega) la proibizione del trasporto acqueo su camion - il distributismo è a favore dell'efficiente privatizzazione degli acquedotti e all'altrettanto efficiente proibizione del trasporto acqueo su camion. Il distributismo coniuga efficienza con efficienza, ed è l'unico a farlo!
Nei computi che sono stati fatti, la fonte di finanziamento più frequentemente allegata è il trasferimento di una parte dei fondi oggi assegnati alla protezione sociale. Nel sistema del reddito di cittadinanza, questa protezione non ha più, infatti, la stessa ragion d’essere, eccezion fatta per la previdenza sociale (che è un’assicurazione e non un sussidio), mentre altri tipi di aiuti sociali come aiuti all’alloggio, buoni pasto, e i sussidi agli handicappati sarebbero affidati ai quartieri tramite detrazioni automatiche (ne parlerò più avanti). Il resto del finanziamento sarebbe assicurato dalla soppressione di un certo numero di nicchie fiscali e da una riforma della fiscalità diretta e indiretta che preveda, in particolare, la soppressione delle aliquote e la loro sostituzione con un semplice sistema di imposizione fissa di tipo georgista e patrimoniale. L’ostacolo principale al reddito di base oggi è politico (e patologico se l’avidità e l'acredine sono da intendersi come patologie psichiatriche). Quella che è davvero spaventosa è la generale accettazione di uno status quo in cui la maggior parte delle persone diventa davvero sempre più povera al di là della propaganda finto-pauperista dei bohemienne fatta dagli attici di Manhattan.

"Colui che si affida totalmente ai suoi simili appare loro come un individuo inutile ed egoista; ma chi si concede parzialmente ad essi viene definito un benefattore e un filantropo" (Henry David Thoreau)

Il reddito base non è (solo) una misura contro la povertà ma una parte integrante di una politica economica complessiva che stimolerebbe la crescita economica e darebbe a tutti i membri della società un’esistenza materiale garantita e con essa una libertà effettiva. La regolamentazione ed il proibizionismo creano criminalità, povertà, monopoli od oligopoli, limitazione della libertà, aumento di burocrati e delle tasse, invadenza dello Stato, aumento dei prezzi, diminuzione della qualità. La liberalizzazione crea libertà, prosperità, libero scambio, diminuzione di burocrati, diminuzione delle tasse, diminuzione dello "Stato" e del crimine, diminuzione dei prezzi e aumento della qualità. Alcuni miniarchisti sostengono che lo Stato lo si può limitare in modo permanente attraverso una Costituzione, attraverso la separazione dei poteri, ecc. Ma come ha detto Anthony Jasay, è come mettere una cintura di castità per una fanciulla e lasciare la chiave ai piedi del letto. L’imperfettismo non ha soluzioni ottime da offrire, non promette la fine della conflittualità, non presume che i vincitori siano immancabilmente i migliori; ha poco più che la raccomandazione di tentare di evitare i mali peggiori, frazionando i poteri e bilanciandoli. La libertà effettiva dei non ricchi reca il seme di un potere politico sovversivo ed è per questo motivo che il potere presenta (anche tramite le "puzzette") pannicelli caldi quali il salario minimo e l'imposta negativa che gli "evasori del canone rai" (detti anche "tea party"), che ritengono che le tasse siano una rapina, appoggiano come una forma di carità. Ma la carità è l’antitesi della giustizia. Dipende da umori liberamente decisi dei più abbienti donare ai poveri non liberi cui è negata la dignità umana precisamente perché sono costretti a essere destinatari della carità. Il reddito base non beneficia direttamente tutti ma si interessa di alleviare il fardello della parte non ricca della popolazione, e come conseguenza di ciò beneficia TUTTI.

"Le libertà civili sono inscindibili dalle libertà economiche perché ciascuna libertà può emergere solo in presenza delle altre libertà" (Luigi Einaudi)

Eppure le sue fondamenta sono da ricercare proprio nel pensiero liberale classico del quale i "tea party" vorrebbero dirsi eredi, e nella sua insistenza che una persona non può essere libera se non le sono garantiti i mezzi dell’esistenza materiale. Uno dei molti vantaggi del reddito base universale è che libererebbe le persone dalla tirannia del mercato dell’occupazione, garantendo il diritto umano più fondamentale di tutti, quello dell’esistenza materiale. Un reddito base sostiene non solo il diritto a una vita dignitosa ma, in termini pratici, consentirebbe anche alle persone di ampliare le loro vite e di difendersi dalle aggressioni alla loro libertà e dignità. Alain De Benoist lo definisce perciò "investimento sociale", che così come il diritto di voto, il diritto al reddito di cittadinanza deriverebbe dal solo fatto di essere cittadino. Il reddito di cittadinanza manifesta così il riconoscimento politico di un diritto incondizionato alla sopravvivenza materiale di ogni cittadino. E proprio per questo i marxisti si oppongono: diversi autori, solitamente marxisti, infatti, temono che l’introduzione di un reddito di cittadinanza disarmi ogni contestazione radicale, sostenendo che così "verrà meno l'opposizione al potere", "individuo-massa sempre pronto a genuflettersi allo stato papà che passa la mancetta mensile", "che accetterrà tutti i vari diktat che i governi di turno faranno ingurgitare al popolo", "il mantenuto a cui lo stato papà elargisce 4-500 euri mensili, diverrà il cane da guardia del sistema, diverrà colui il quale se il sistema dovesse venire meno vedrebbe perdere quel poco, quelle briciole che lo stato gli regala", un pò come dire che mangiando viene meno la fame... ed intendere la conseguente "sazietà", la stabilità sociale, come una cosa negativa... ma porcogiuda, se il problema sociale che tutti vogliamo oggi risolvere è perlomeno la povertà e le sue conseguenze, una volta risolta, tale problema sociale viene meno assieme alla necessità di risolverlo (essendo stato risolto), o no? Se il problema di cui oggi mi lamento è la fame, una volta sfamato che ragione dovrei avere di continuare a lamentarmi? Secondo la loro logica dovrei non voler essere sfamato in modo da poter continuare a lamentarmi... ma che senso ha??? Lamentarsi fine a sè stesso quindi??? Un pò come andare in Africa durante una carestia e dirgli "non possiamo darvi il cibo poichè se ve lo diamo poi smettereste di lamentarvi della fame". Ma il cervello ce l'hanno sti qua??? Evidentemente, quelli che ragionano così sono quelli che si lamentano di professione, quindi se i loro burattini non avessero più nulla di cui lamentarsi, rimarrebbero disoccupati. I critici del "neoliberismo" riescono ad andare oltre ogni possibile immaginazione...

"La psicanalisi è un mito tenuto in vita dall'industria dei divani" (Woody Allen)

Io mi lamento se ho fame, non perchè mi piace. "Al prezzo però dell’annientamento ontologico dell’essere di quelle persone... caduta antropologica divenendo da uomini seppur poveri, ma dignitosi consapevoli del proprio essere uomini a quello di plebaglia mantenuta oziante"... certo, la possibilità di sopravvivenza fondamentale è un annientamento della personalità... un peggioramento della propria condizione... mi si annienti pure, mi si peggiori la situazione permettendomi di mangiare... per favore! E non si fraintenda, il senso non è "Franza o Spagna...", non si tratta cioè del "meno peggio", si tratta di scegliere tra il buon senso e l'acefalia. Il "dignitosi" poi è perfino una presa per il culo, detto dalla bocca di gente che non fa altro che chiedere continui aumenti salariali... la dignità questi non sanno nemmeno cosa sia, solo così si può spiegare un tale stravolgimento dell'uso del termine. "Affermiamo che l’indipendenza economica derivante dal frutto del proprio lavoro"... in che modo il salario può essere definito "indipendenza economica" e non proprio DIPENDENZA economica poichè legato proprio solo alla casualità di un lavoro averlo e di poterlo non avere più in qualunque momento? Indipendenza economica casomai sarà legata ad una fonte reddituale INCONDIZIONATA e PERPETUA quale il salario NON E'. "Se il lavoro garantisce dignità e indipendenza, l'assistenzialismo crea schiavi"... no è proprio l'esatto opposto!!!

"Per molti, libertà è la facoltà di scegliere le proprie schiavitù" (Gustave Le Bon)

"Distruzione della persona, degradazione antropologica e contemporaneamente far si che una massa con pulsioni potenzialmente ribellistiche non solo venga annullata, irretita, resa inoffensiva, ma si trasformi in pretoriani del regime stesso"... certo, di un regime che oggi può essere solo l'auspicabile RISULTATO di una pulsione potenzialmente ribellistica o rivoluzionaria contro QUESTO REGIME attuale! Ben venga quindi che pulsioni potenzialmente ribellistiche vengano meno allorquando vengano meno i problemi che oggi le determinano! Ci sarebbe solo tutto di onorevole nell'essere pretoriani del regime stesso che abbatta l'attuale e introducendo il reddito di cittadinanza e tutte le cose collaterali permetta di risolvere tutti i problemi odierni! "Non è che questa massa sarà la prima ad accorrere al, parafrasando Orwell, minuto d’odio che il sistema via via riserva ai propri nemici?"... se per nemico intendono (come sottinteso) colui che oggi impedisce l'attuazione di soluzioni che renderebbero migliore la vita di tutti... a voi la risposta. Quelli delle svariate perle riportate in varie parti del testo, quelli dei "non siamo capaci a leggere i regolamenti di un parco se può entrare o no il cane, vogliamo dare da mangiare a truffatori e gente che non vuole lavorare?", "evasori totali finti poveri senza redditi dichiarati, rom, gente che non ha voglia di lavorare, falliti a tasca piena etc etc. favorisce forse l'inerzia di chi si accontenta", "schiavismo che serve per omologare la vita dei cittadini al ribasso (un piatto di riso per tutti e stop) nel nome dell'uguaglianza....questo vogliono i porci dell'Alta Finanza!", "il reddito serve come paracadute ma deve essere limitato nel tempo fino al reintegro al lavoro", e tante tante altre farneticazioni che infestano internet. Pensarla come quelli vuol dire fasciarsi la testa prima di essersela rotta! Ma perché dobbiamo tirarci indietro senza neanche provare? "Creare lavoro è la soluzione", Il reddito di base dà lavoro, è lavoro, non beneficenza! Essere contrari al reddito di base significa essere complici della fine del nostro paese e delle sofferenze di milioni di persone. E' incredibile come una misura che può evitare a tanta gente di andare a cercare gli scarti nell'immondizia dei mercati o peggio di suicidarsi sia così rabbiosamente avversata da gente che continua con noncuranza a mantenere politici parassiti pagando i loro stipendi, vitalizi e pensioni d'oro, e tutta la marea di aberrazioni di cui pullula questo paese! Meglio ingrassare la casta piuttosto che aiutare gli italiani, tuoi concittadini, gente come te, che non ce la fanno a campare!! Dei soldi che regali a quei ladri corrotti che hanno rovinato il Paese, distrutto il made in Italy e fatto scappare le nostre imprese all'estero, non ti preoccupi?? Condanniamo i 5stelle che vogliono togliere a chi sta in alto e dare a chi sta in basso, sono proprio dei bastardi a volere una cosa del genere, no?? Assurdo!! Continuate a votare chi ci ha portato a questo punto e poi lamentatevi fino al giorno della vostra morte... gli italiani sappiamo solo piangere ed offendere nulla di più... e quelli del "facciamo un referendum", ignari che in Italia sono proibiti referendum su temi economici. Come se poi oggi tali "pretoriani" non esistessero, quando ciò che i fanatici della democrazia attuale che cianciano di "anticorpi" senza nemmeno rendersi conto di cosa stanno parlando, non fosse abbastanza... certo, basta usare termini con accezione "buona" e tutto è a posto. "Anticorpi" li chiamano... Le strategie di marketing subliminale che fanno appello al cliché, alle pulsioni elementari, puntando sulla deformazione dello spirito critico e la manipolazione dell'inconscio, hanno "colonizzato il nostro cervello" (espressione coniata da Bernhard Willem Holtrop), la propaganda fatta di incredibili bugie che non si riesce a capire come la gente possa crederle plausibili, ma se c'è chi preferisce chiamare ciò "avere gli anticorpi", è libero di farlo. Già abbiamo visto di quelli che Marra chiama le "puzzette", i finti rivoluzionari del "ghe pensi mi", i finti "incendiari" che in realtà sono pompieri travestiti. Nella realtà non c'è alcuna possibilità di azione oltre agli schemi/paletti prefissati dal "dominus"... c'è la demonizzazione mediatica martellante nei confronti di chiunque si ponga come antagonista al sistema e infine ci sono le balle, raccontate ai giornalisti e da loro propalate con l'unico scopo di togliere di mezzo - democraticamente s'intende - bisogna ricordarsi sempre di fare le cose nel modo più proficuo - chiunque abbia idee non conformi a quelle prescritte e provi a diffonderle. “Complottismo” è l’oggi in voga etichetta con cui si demonizza ogni prospettiva che demistifichi la versione ufficiale dei fatti o la grande narrazione edulcorante e ad alto tasso ideologico che arriva sia a far passare una cosa per un altra solo cambiandogli nome, o addirittura ad invertire il significato dei termini. “Flessibilità” la precarizzazione neoschiavile dei giovani lavoratori e “competitività” la possibilità per i dominanti di rimuovere senza riserve e impedimenti politici i diritti sociali dei dominati. Cercano di ridicolizzare la verità e la logica, di chi non è ancora schiavo delle loro bugie! Il sistema grazie ad una incessante propaganda ha sviluppato gli "anticorpi" e - qualora non bastassero - ha dei validissimi antibiotici, tutt'altro che impalpabili. Certo... ti lasciano agire finché servi allo scopo di puntarti il dito contro... ma prova ad avere più consenso del dovuto e ti si faranno con addosso i calzoni, nei modi che loro sanno bene applicare.

“La libertà di parola senza la libertà di diffusione è solo un pesce dorato in una vaschetta sferica” (Ezra Pound)

Secondo Ágnes Heller, infatti, l’intervento della distopia si pone comunque in un’ottica socialmente utile, dal momento che la sua narrazione funge da monito per il presente, mostrando le possibili conseguenze delle nostre azioni odierne. Questa tipologia di “prevenzione” appare estremamente più congeniale e più affine alla nostra generazione rispetto alla proposta di nuove “società ideali” che scontano proprio il peso di un passato fallimentare". Piero Gobetti accusava gli italiani di essere dei "cortigiani" desiderosi di essere comandati da un "Duce, domatore, deus ex-machina" "al quale delegare le proprie responsabilità" e "dal quale attendere la propria salvezza"... visione che appare perfino paradossale essendo quello italiano il popolo che in querulità (ciò che gli odierni antifascisti chiamano "anticorpi") è secondo al mondo solo dopo quello indiano (quello dell'India, non i pellerossa americani), e che in confronto "cortigiani" verso un "Duce" lo sono tutti gli altri popoli casomai. L'esempio lampante l'abbiamo visto con la storia dei marò, lo scontro fatalità proprio tra i due titani della petulanza mondiale. E' ironico come lo stesso Mussolini l'avesse notato e quindi rispetto a Gobetti la vedesse all'esatto opposto... famosa è la frase di Mussolini "governare gli italiani non è difficile, è inutile", che illustra una situazione sociologica italiana esattamente opposta a quella descritta da Gobetti. Dato che alcuni potrebbero non capire cosa intende Mussolini con "inutile", lo spiego con un esempio attuale: recentemente (2017) nei Tg si sono viste le immagini di persone che si stendevano davanti alle ruspe per bloccare la costruzione di un gasdotto. Però nella loro casa il gas lo usano e se venisse a mancare si metterebbero anche per questo a protestare. Quindi uno che governa cosa deve fare????? Questo, Gobetti, non essendo mai stato messo in tale condizione, non poteva capirlo, ma così è la realtà come descritta da chi, Mussolini, invece nella condizione c'era. Mussolini non sapeva che pesci pigliare oltre a lamentarsene (ed i risultati sono stati evidenziati dagli eventi del 25 luglio 1943), chi gli è succeduto invece, i democratici, erano assai abili a risolverlo: con il terrore. Ecco perchè un governo fascista non può perdurare in una società come questa, dato che i fascisti in quanto anti-machiavellici rifiutano con sdegno morale di usare mezzi subdoli come il terrorismo. Ed anche qui abbiamo il paradosso, dato che i machiavellici governanti democratici, per nascondersi, chi sono andati ad usare come marionetta? Proprio le persone che sarebbero state le meno adatte allo scopo cioè proprio quelli che il machiavellismo lo rifiutano più di tutti, i fascisti! Così sono riusciti a prendere due piccioni con una fava: ottenere i risultati auspicati, demonizzando contemporaneamente il loro avversario con un accusa perfino paradossale. Peccato che la gente ciò non lo sappia, e regolarmente cada nella trappola.

"Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza non merita né la libertà né la sicurezza" (Benjamin Franklin)

Al punto che qualche anno fa in occasione di un attentato ad opera di una setta religiosa in Giappone, la neo-lingua democratica raggiunse il suo apice quando i media coniarono il termine "neo-buddismo"... ora, ovviamente tra gli spettatori vano era pretendere che qualcuno si chiedesse quale fosse il significato inteso con questo termine da chi lo usava... quando il buddismo sarebbe venuto meno da doverne creare uno nuovo? Ovviamente il senso non era quello del termine cioè "nuovo", ma gli era stato fatto assumere un significato che non c'entra niente con il termine "neo", che nella neo-lingua diventava quello di "estremo" nel senso di "terroristico", a prestito, ovviamente, da "neo-fascismo" e "neo-nazismo" sottilmente fatti quindi passare per similari nell'atto. E, quindi, si arriva a Machiavelli, "il fine giustifica i mezzi". Effettivamente, non puoi cambiare all'istante la testa degli altri. Quindi, qualsiasi cosa tu voglia comunicare, alla fine, devi usare per forza quei canali. Altrimenti sei cassato a priori. Con il rischio che, alla fine, facciano loro cambiare te. Ecco perchè il fascismo è perdente in partenza in una società irrazionale come quella odierna.

"Il principe di Machiavelli pratica sicuramente l'inganno e la crudeltà, ma il suo obiettivo non sarà mai quello di imporre agli altri una particolare forma di governo o di religione, o più genericamente un set di credenze o valori. Può decidere di modificare gli equilibri di potere, ma solo se crede che ciò renderà più stabile il suo dominio. Un obiettivo razionale, fondato sull'interesse personale. I puritani ideologici che vogliono portare la felicità agli altri si cimentano in tali operazioni molto più spesso, e più a fondo. Disimpegnarsi implica, per gli zeloti dell'ideologia, la distruzione del loro intimo cosmo di valori; al contrario, il principe machiavelliano, abbandona un'operazione solo quando i costi superano i benefici. Un mondo governato da uomini politici che perseguono il loro interesse come il fornaio di Adam Smith, e lasciano in pace gli altri: il migliore in cui sperare, forse" (Branko Milanovic)

“Noi, figli dell’avvenire, come potremmo trovarci a nostro agio nel tempo attuale?” (Friedrich Nietzsche, La gaia scienza)

Nel regno del Politicamente Corretto e della democrazia a taglia unica. Bertold Brecht, nel 1953, in riferimento alle minacce del segretario dell’Unione Scrittori agli operai nella Germania Est, scherniva così il distacco del governo dalle masse: "Il popolo / si era giocata la fiducia del governo / e la poteva riconquistare soltanto / raddoppiando il lavoro. Non sarebbe / più semplice, allora, che il governo / sciogliesse il popolo e / ne eleggesse un altro?". Sì, perché, come nella orwelliana Fattoria degli Animali, tutti sono uguali, ma alcuni (i benpensanti e soprattutto gli intellettuali autonominati, la finta intellighenzia del pensiero unico molliccio, anzi viscido) lo sono più degli altri, per cui, per la proprietà transitiva, molti sono meno uguali. La stessa avulsione dalla logica che vigeva in Urss, dove dopo aver fatto la rivoluzione continuavano paradossalmente a dirsi rivoluzionari... ma scusa, nel momento in cui la rivoluzione l'hai fatta e sei tu a governare, i rivoluzionari diventano gli altri e tu il contro-rivoluzionario! Oppure vuoi fare un altra rivoluzione, per cosa, per capovolgere quella che hai già fatto? Ma si può ragionare in sta maniera??? Quanto ancora ci vorrà perchè tutta questa illogica follia venga buttata nella spazzatura? Perchè tale irrazionalità del pensiero non rimane fine a sè stessa ma ha influsso su tutto quanto! Per questo interstardirsi a considerare il lavoro come l'unica fonte legittima di reddito, che secondo la sinistra equivale a condannare i lavoratori a redditi sempre più bassi e all'irrilevanza politica (che forse quest'ultimo è proprio il loro scopo, che per quanto buono, c'è modo e modo!), ciò equivale ad invertire causa ed effetto, poichè è la richiesta politica di salari oltremisura che è alla radice del "lavoro come l'unica fonte legittima di reddito"! Identificare a sinistra l'alternativa al regime attuale, equivale ad affidare l'incarico di risolvere un problema a chi quel problema l'ha creato. Che senso ha???? Ora, "i detentori del potere economico e politico", ricorda André Gorz, "temono soprattutto una cosa: che il tempo fuori dal lavoro salariato possa divenire il tempo dominante dal punto di vista sociale e culturale, che le persone possano osare impadronirsi di questo tempo per darsi da fare [...] Il capitalismo bada che le persone si concepiscano solo in termini di forza lavoro su un mercato dell’occupazione e che, se non trovano un datore di lavoro, debbano prendersela solo con se stessi, ossia col fatto che non sono abbastanza 'impiegabili'". Se qualche gruppo di persone controlla le risorse necessarie per la sopravvivenza di un individuo, l'individuo non ha altra scelta ragionevole diversa dall'assecondare tutte le richieste del gruppo che controlla le risorse. Prima della creazione di governi e padroni, gli individui hanno avuto accesso diretto alle risorse di cui avevano bisogno per sopravvivere. Ma oggi, le risorse necessarie per la produzione di cibo, riparo e vestiario sono state privatizzate in modo tale che alcuni hanno ottenuto una quota e gli altri no.

"Il primo segno di giustizia dovrebbe essere garantire al popolo un minimo crescente in ragione del progresso sociale" (Charles Fourier)

Indipendentemente dalla evoluzione delle macchine il reddito di base va visto come salto culturale nei confronti del concetto di uomo e di società (quindi dell'idea di Stato). Douglas stesso ha descritto Credito Sociale come "la politica di una filosofia". In questo senso il reddito di base non è assolutamente associabile al concetto di assistenzialismo. Il reddito di cittadinanza non è una "provvidenza"! Richiede e introduce una nuova costituzione culturale. "Il movimento cooperativo è fondato sulla convinzione che nella tua città, nella tua comunità, le immediate soluzioni ai problemi del lavoro, del credito, dell'instabilità famigliare e del rispetto di sè medesimi sono nelle tue mani; che la sola soluzione in cui veramente credi sia quella da te stesso delineata e per cui ti assumi la responsabilità" altroché assistenzialismo! Se chi governa oggi è incapace di rispettare la sua stessa Costituzione ed incapace di trovare soluzioni a favore del lavoratore e del cittadino, vedete voi... Se vogliamo lasciare nella Costituzione italiana l'articolo 1 dovremmo leggerlo (se non scriverlo) compiutamente: "... è una Repubblica fondata sul lavoro libero". Non è il lavoro che ti fa libero. La libertà esistenziale è quella che ti consente di lavorare al meglio secondo le tue capacità. I lavori alienanti vadano adeguatamente ricompensati per consentire recuperi... Chiediamoci cosa si intenda per dignità (il concetto è presente nel primo articolo della costituzione federale tedesca, ma anche li avvengono interpretazioni arbitrarie - sussistenza sotto stretto controllo ricattatorio). Le parole vengono usate purtroppo senza senso comune... "I poveri non creano lavoro, solo il capitale può crearlo". Siete d'accordo con questa affermazione che Briatore ha rilasciato all'Huffington Post? Perché allora la frase dell'imprenditore piemontese ha suscitato tanto scandalo? Il motivo sta certamente nel fatto che siamo tutti pervasi, per una serie di nefaste influenze variamente cattocomuniste, da un ingiustificato rifiuto della ricchezza, del capitalismo nel suo complesso (nell'incapacità di discernerne le diverse forme), delle logiche imprenditoriali, ma soprattutto perchè ha usato il termine sbagliato: chi sarebbero questi "poveri"? Un elefante è un elefante, ma "povero" non è un qualcosa di concreto, è una condizione, una variabile, per cui la frase "i poveri non creano lavoro" è un concetto privo di senso, un pò come dire "i simpatici non creano lavoro"... e bella forza! Il concetto che più realisticamente intendeva esprimere è che non si può stabilire per tutti cosa è di valore e cosa non lo è, che è il tipico modo di pensare dei comunisti, di chi vuole decidere per tutti cosa è giusto e cosa è sbagliato, in un supremo atto di arroganza e incatenamento delle libertà. Ciò che le persone producono ha tanto valore quanto gliene danno le persone che lo "acquistano". Se queste persone guadagnano tanto è perché hanno prodotto tanto valore, sono state scelte. Certo, magari secondo alcuni queste attività hanno valore zero, ma è un opinione personale, non è corretto imporla ad altri. Stesso discorso vale per le eredità. Se uno ha ereditato molti soldi, vuol dire che qualcuno aveva creato valore ed era stato premiato dalla società e, alla fine della sua vita, ha deciso di trasferirlo alle persone che amava. E sicuramente sapere che avrebbe potuto trasferire quel valore lo ha incentivato. Pochi si impegnerebbe così tanto a soddisfare i bisogni della gente se poi non potessero trasferire il valore ottenuto alle persone che amano. Infatti uno può anche trasferire il valore a se stesso, per esempio io produco tanto oggi, e poi fra dieci anni non faccio niente e mi godo i frutti del lavoro fatto negli anni passati. Se non potevo godermi i frutti nel futuro, lavoravo così tanto? No, e anzi probabilmente mi deprimevo pure, visto che sarei stato limitato artificialmente ad una vita di lavoro, perché il comunista di turno che si crede Dio ha deciso che devo essere "produttivo", ovvero lo schiavo dello Stato. Questo ovviamente non implica considerare gli ereditieri come meritevoli, anzi! Il problema non è tanto la ricchezza, quanto una società che giudica il valore di una persona sulla base della ricchezza. Ma che valore ha uno che l'ha ricevuta in regalo???? E con questo abbiamo accennato i fondamenti applicati alla contingenza odierna. Bene, oltre ai 5 stelle, negli ultimi anni sono spuntati come funghi tutta una serie di personaggi mai sentiti prima quasi a farsi padroni del reddito di cittadinanza, perfino vantando retroattivamente origini lontane negli anni; ora, io non voglio certo metterlo in dubbio, sarà anche vero, ma sta di fatto quanto ho già detto: fino a 5 anni fa il concetto di reddito di cittadinanza era universalmente accomunato al fascismo e per questo demonizzato, e proprio come la peggiore tra tutte le eresie fasciste, la più populista. Forse era proprio per questo che gli odierni neo-sostenitori prima erano così restii dall'ammettere di esserne favorevoli e se ne stavano nell'ombra? Serviva l'italiano Beppe Grillo per convincerli a fare outing? Perchè è solo dopo Grillo che sono saltati allo scoperto anche tutti i vari sostenitori esteri eh!

"Non c'è nulla di più forte di un idea quando scocca la sua ora" (Victor Hugo)

Non so se sia una coincidenza o se le due cose siano legate ovvero Grillo gli abbia funto da apripista. Io posso parlare solo per la mia esperienza personale che vi ho già descritto, e dove fossero e cosa facessero fino a 5 anni fa quelli del Basic Income Earth Network fondato nel 1986, mi è ignoto. Di certo non sono stati a supportarmi quando assieme a pochi altri (Gino Salvi, Domenico de Simone, Niccolò Bellia, Fabrizio Fiorini, Gianuario Mugoni, Romano Guatta Caldini, Carlo Gariglio, ecc) mi vedevo sbranare in wikipedia e nei forum di usenet dagli antifascisti ogni volta che il termine "reddito di cittadinanza" veniva scritto. Certo anche la destra ne ha un pò sottovalutato la potenzialità, bisogna ammetterlo, perchè a loro stessi pareva una cosa effettivamente troppo populistica ed impossibile da far accettare ai non fascisti, ma ora che incredibilmente è diventato popolare è insensato continuare a considerarlo secondario, perchè anche se l'hanno sempre visto come utopistico, rimane comunque un progetto loro, sul quale hanno tutte le carte in regola per vantare la paternità, e ora che è diventato realistico sarebbe sbagliato lasciarlo in regalo ad altri che neanche si degnano di citarne la fonte ed anzi con arroganza ne chiedono "prove" (ma dove vivevano questi fino al 2013?), perchè Grillo è dalla destra che l'ha preso (fino a prima di Grillo tutte le pagine che trattavano di reddito di cittadinanza erano pagine di estrema destra, come optional della fiscalità monetaria. Di Basic Income Earth Network mai sentito parlare fino a poco tempo fa). Invece di raccogliere i frutti che si ha coltivato fin dalla semina, non è molto intelligente ora che sono maturi lasciarli raccogliere ad altri... a degli incompetenti che nemmeno sanno come utilizzarli, perchè come reddito di cittadinanza mica mi riferisco a quell'assurdo sussidio proposto dai 5 stelle che gli hanno solo dato il nome reddito di cittadinanza ma mica lo è. E ora che qualcuno si sta accorgendo dell'innegabilità di questa paternità, stanno iniziando a saltare fuori siti "negazionisti" a titolare "Auriti non ha mai proposto il reddito di cittadinanza", nei quali andando a leggere il testo se ne ricava che il ragionamento sul quale basano il titolo è che Auriti il reddito di cittadinanza lo ha proposto come "credito sociale" ovvero come complemento alla fiscalità monetaria... e in che modo ciò equivale a "non l'ha mai proposto"??? Certo, l'ha proposto come complemento alla fiscalità monetaria, e quello che ne ricavo io è che l'ha proposto, non che "non l'ha proposto"! Il senso del loro discorso sembrerebbe interpretabile nel senso di una logica secondo la quale se uno propone il reddito di cittadinanza non a scopo di "beneficenza" non è più un "reddito di cittadinanza"... pensiero comprensibile da parte di gente alla quale pare impossibile inculcare che la beneficenza la fanno i sussidi, questo è il termine con cui si indica un erogazione monetaria a scopo di "beneficenza", mentre "reddito di cittadinanza" è un termine con cui si indica un erogazione monetaria NON a scopo di pelosa beneficenza ma come DIRITTO fondato su precisi presupposti contrattualisti, giusnaturalisti, e consequenzialisti! Come complemento alla fiscalità monetaria, ovvero come "credito sociale", l'hanno proposto e sostenuto in origine tutti quelli che lo fondano su un ragionamento economicistico razionalista, cioè i consequenzialisti distributisti a partire da Douglas e Gesell, anche se non tutti oggi considerano il reddito di cittadinanza necessariamente legato alla fiscalità monetaria ma sostengono che può fondarsi anche solo sul georgismo (e alcuni, tra cui Götz Werner e Thomas Straubhaar, sull'Iva) senza necessità di fiscalità monetaria anche fosse solo aggiuntiva. Ecco, probabilmente gli equivoci sono nati da questa distinzione semantica cioè dall'uso prevalente del termine "credito sociale" per indicare il connubio fiscalità monetaria / reddito di cittadinanza anzichè dei termini distinti, da questo probabilmente nasce l'ignoranza sull'origine distributista-fascista del reddito di cittadinanza. Attualmente solo pochi lo fondano sulla fiscalità monetaria (Oswald Sigg in Germania, Yoland Bresson in Francia, Niccolò Bellia e Domenico De Simone in Italia, ed alcuni gruppi del "credito sociale" nei paesi anglosassoni). Altro campo di "negazionismo" è quello rifacentesi al sindacalismo, dove, giocando sulla confusione, anche lì si tenta di impadronirsi di una primogenitura, che regolarmente andando a leggere bene si riferisce in realtà al "salario di sussistenza" (o "salario universale"), originariamente progettato da Bernard Friot, che è tutt'altra cosa ed anzi perfino in contrasto sia col concetto di reddito di base sia con quello di reddito minimo. Da questi equivoci ne deriva che anche i grillini parlano di reddito di cittadinanza ma in realtà, a dimostrazione di quanta sia precaria la loro consistenza culturale, fanno riferimento piuttosto ad una forma di reddito minimo garantito, che è cosa diversa. Quindi quando i grillini avanzano la loro proposta di “reddito di cittadinanza” condizionato alla formazione professionale ed all’obbligo di accettare una proposta di lavoro stanno perorando una forma di reddito minimo garantito, dunque una antica idea liberal-sindacalista, e non di reddito di cittadinanza. Differenze ci sono anche tra libertari radicali e distributisti, ma le basi sono quelle anche se concepite con metodi diversi e per ottenere risultati diversi: le motivazioni generalmente addotte in favore del reddito di base sono raggruppabili in due grandi famiglie, quella delle ragioni normative e quella delle ragioni consequenzialiste (o analitiche). Le prime interpretano il reddito di base come riforma socio-economica necessaria alla realizzazione di una società che redistribuisca le risorse economiche (di questo fanno parte i 5 stelle e tutti quelli che lo interpretano come mero sussidio, in particolare in merito all'incipiente automazione del lavoro, tipo Elon Musk, Bill Gates, Nathan Schneider, Marc Andreessen, Sam Altman, Peter Diamandis, Federico Pistono), secondo la loro concezione personale di cosa si possa intendere con "giusto". Nello specifico modello dei 5 stelle poi, secondo la loro definizione, viene prevista l'erogazione anche se solo ai poveri "volenterosi" (con esclusione quindi dei barboni, cioè di chi ne avrebbe più bisogno) viene data una "spinta formativo-professionale retribuita per dargli qualche chance per ripartire nel mondo del lavoro". I punti deboli della loro posizione sono sempre quelli: Quanti hanno realmente capito come funziona il sussidio dei 5 stelle?
Dai vari commenti confusi che si leggono in giro, parrebbe in pochi. Preferiscono ascoltare i ciarlatani di professione che ne parlano in maniera distorta, che andarsi a leggere i documenti ufficiali. Del resto è troppo faticoso mettere in moto quei pochi neuroni rimasti nella testa dell'italiano medio, essendo caciarone, superficiale e spocchioso. Per ottenere il loro "reddito di cittadinanza" che tale non è si dovrà avere un Isee sotto i 6.500 euro, quindi è una balla tirare in mezzo 10 milioni di persone, la platea sarà molto più ristretta. Basta cercare la vera proposta di legge, e così si capisce perché "costerebbe" così "poco". Il meccanismo funzionerebbe in modo da integrare redditi da lavoro molto bassi, portandoli alla soglia minima identificata in 780 euro mensili per i single. L’effetto perverso potenziale ed assai probabile risiederebbe nel rischio di un crollo dei salari, per soggetti non qualificati (e forse non solo per loro) e più in generale nell’ulteriore sviluppo del nero, che in effetti i grillini pare vogliano contrastare col penale, non è chiaro come ma fa sempre figo e non impegna. La valutazione dei 5 stelle è di 6 milioni di soggetti, quasi 8 se viene abolita la Naspi e come previsto rimane la misura unica di sostegno al reddito, a questi vanno aggiunti diversi milioni di persone che pur guadagnando 8000/10000€ all'anno preferirebbero prendere il sussidio e stare a casa perché sarebbe netto rispetto alle spese ed ai sacrifici di un lavoro a basso reddito. Se i centri per l'impiego avessero impieghi da proporre allora non esisteva la disoccupazione; per cui a tanti lavoratori a 1.000€ al mese converrebbe di più stare a casa e prendere il sussidio, i giovani sarebbero disincentivati a cercarsi un impiego sotto la soglia del sussidio magari lontano da casa per poter poi rendersi autosufficienti; in ogni caso i soldi per tutti non ci sono in assenza di ulteriori modifiche al sistema fiscale (che la loro proposta non pare prevedere: le coperture del sussidio 5 stelle, sono pressoché farlocche o irrealistiche tranne la solita spremuta fiscale)come ampiamente dimostrato da studi se non bastasse la matematica spicciola; già ora parlano di eliminare le detrazioni, il 90% delle quali sono quelle familiari sul 730 quindi spese mediche, interessi, affitti ecc. Ovunque c'è un sussidio simile, è sostenuto da due fattori che ne delimitano il perimetro, un mercato del lavoro dinamico e uno scherno sociale verso i poveracci che ricorrono al sussidio, basta vedere la difficoltà nella ricca Germania di uscire dalla trappola dei minijob o in Gran Bretagna la considerazione che si ha di chi prende il sussidio. Questi temi non se li pongono nemmeno, perché affrontano la questione solo dal punto di vista ideologico. Da questo punto di vista non ha torto chi lo definisce "buffonate acchiappavoti dei parassiti e dei nullafacenti!". Solo che non è un reddito di cittadinanza, e tale opinione è indicativa del male che l'assurda proposta dei 5 stelle porta al concetto. Ma quello che non torna è che queste persone che si scagliano contro il sussidio che del reddito di cittadinanza ha solo il nome sono solitamente favorevoli proprio ai sussidi di disoccupazione e alla cassa integrazione!!! Ma che senso ha???? Si scagliano contro una cosa chiamata con un altro nome e poi sono favorevoli alla stessa cosa quando chiamata con altro nome??? Ma si pensi agli 80 euro di Renzi, quelli si che gli stanno bene!?!? Quelli che si sono stati un’elemosina degradante!!! Seminerio scrive “è buffo che i 5 stelle li vedano come un’elemosina degradante, pur essendo erogati a gente che lavora”... in che modo il fatto che siano dati a gente che lavora ne escluderebbe la definizione di elemosina ed a maggior ragione di degradante? "Ma non faccia una piega a consegnare 780 euro al mese a gente che non lavora e che potrebbe continuare a non lavorare"... forse, caro Seminerio, cifra a parte, sarebbe il caso di sostituire "non lavora" con "non ha un reddito", no? Ma come si può pretendere di ragionare con uno che definisce il reddito di cittadinanza come un "farsi esplodere da soli in una stanza di cemento armato"?
Il reddito di base, scrive Charles Murray sul Wall Street Journal, è un’idea che deve essere attuata bene, e per non fallire deve convertire tutti i trasferimenti sociali in un sussidio unico, forfettario e uniforme per tutti i cittadini. Innanzitutto, il reddito di base funzionerà solo se sostituirà tutti i sistemi esistenti e le burocrazie che li gestiscono: nel caso in cui fosse uno strumento che va ad aggiungersi a quelli esistenti, segnerà il fallimento previsto da tutti i suoi principali critici. In sostanza, si riaprirebbe il magna magna statalista, con relativa corruzione. E' una decadenza inevitabile, quando si amministrano soldi altrui. La cosa pubblica oggi si trova nella condizione di dover intervenire lì dove la mano invisibile del mercato non può supplendo a quella porzione di reddito che il lavoro ha ceduto alla tecnologia nel corso degli ultimi anni. Il reddito di cittadinanza, dal punto di vista del welfare, è un sistema molto più trasparente e semplice dei numerosi programmi di assistenza sociale oggi esistenti; più efficace ed efficiente data l'assenza di mezzi di prova o di amministrazione simile che permetterebbe minori costi, e verrebbe finalmente ad essere slegato dalla supervisione paternalistica delle politiche di welfare-state condizionate. Si consideri poi che un reddito di base può ridurre il crimine, riducendo in tal modo le spese necessarie in materia di polizia e di giustizia. Paul Mason ha dichiarato che un reddito di base universale ridurrebbe le elevate spese mediche associate alle malattie della povertà, riducendo lo stress, malattie come ipertensione, diabete di tipo II ecc diventerebbero meno comuni, dato che con la maggiore autonomia si riduce la competizione interna, si migliora l'ambiente di lavoro, con il risultato che lo stress negativo e le malattie mentali e psicosomatiche diminuirebbero, e con esse il male del XXI secolo, la sindrome metabolica. Un documento informativo (in inglese) pubblicato nel marzo del 2017, esamina i potenziali effetti psicologici di un reddito di base universale.

"Il benessere promesso dalla modernità si è trasformato in uno straordinario malessere esistenziale" (Massimo Fini)

Guardate i paesi coinvolti nella sperimentazione del reddito di base: non vi dice niente il fatto che siano tra i più ricchi, avanzati e civili del mondo? Paragonate alla situazione italiana, dove non esiste alcuna garanzia reddituale e ammesso che un domani qualcosa arrivi sarà vincolata allo svolgere una qualche attività umiliante per soddisfare le pruderie moralistiche dei nostri connazionali idioti? Viceversa, i paesi con il tenore di vita più basso, sono ai primi posti per il consumo di lotterie e giochini vari. In Italia, il business del gratta e vinci porta nelle casse dello Stato milioni di euro ogni anno. Se ne deduce che lo Stato, pubblicizza il gioco d'azzardo e fa delle leggi che lo vietano. In questo scenario da fantascemenza, molte persone si sono rovinate e lo Stato ne è contento. Il gioco d'azzardo che rovina la gente si, il reddito di cittadinanza no. E si deve leggere commenti tipo "non credo che nel nugolo di persone che passano le giornate in tabaccheria, tra lotto e grattaevinci, siano in molti a condividere il concetto di dignità del lavoro"... no casomai è proprio quella gente là a sostenere la dignità del lavoro... Oggi mettere in contrapposizione forme di reddito garantito e la così detta dignità del lavoro è una banale semplificazione: il mondo è molto più complicato di così e ricorrendo alla retorica lavorista si scelge di ignorare l'evento più trasformativo della nostra epoca. La contrapposizione lavoro - reddito garantito è medievale, qualsiasi sistema economico moderno necessita di forme di reddito garantite: il modello fordista-taylorista, come ci è stato eloquentemente spiegato, è morto e sepolto, il lavoro non può più assicurare la continuità del reddito, e spesso nemmeno uno stipendio decente: Il progresso tecnologico sta continuando a distruggere i posti di lavoro a medio reddito / media specializzazione e ci porterà a percentuali considerevoli di disoccupazione tecnologica strutturale, quindi, visto che parliamo di dignità, dignità è un reddito adeguato, e se il lavoro non può più garantirla bisogna ovviare con misure che possano distribuire una ricchezza, che, grazie alle tecnologie esponenziali, sta scomparendo dalle mani di sempre più persone. Questo lo iniziano a capire perfino i multimiliardari come Mark Zuckerberg. Ne è esempio lampante la condizione cinese o meglio il fenomeno della cinesizzazione delle masse dei lavoratori (ormai status di tendenza fin quasi la "normalità" in quasi tutti i paesi del mondo). L'occupazione, dunque, non può essere, in se stessa, la soluzione ai mali socio-economici del mondo... Piuttosto, diviene strumento principe di serrato controllo sociale e dipendenza. Secondo Scott Santens nell'occidente evoluto non siamo semplicemente privi degli strumenti cognitivi ma *scegliamo* di ignorare il degrado crescente del lavoro perché è il valore su cui abbiamo fondato la nostra società. I segni che la tecnologia stia impattanto sul tenore di vita, la disuguaglianza e il volume della domanda ci sono già tutti, semplicemente, ci rifiutiamo di vederli. Perlomeno quelli che non ne sono ANCORA toccati. Ci crogioliamo in questa eterna speranza del ritorno di una mitica età dell'oro della società del lavoro di massa come gli uomini del medioevo che anzichè guardare avanti e costruire i loro stati-nazione ancora fantasticavano sul ritorno dell'impero romano. Dobbiamo imparare a guardare avanti, e prendere atto della realtà: non c'è bisogno di attendere che la guida driverless o i sistemi di deep learning facciano milioni di esuberi perchè il progresso tecnologico eserciti un effetto deflattivo sui salari, questo processo si è tradotto nell'economia dei voucher, nei minijob, della gig economy, dei delinquenti dei porta a porta e degli stage "gratuiti". E' controproducente fermarsi all'osservazione dei dati sul tasso di disoccupazione diramati dai governi: un'economia che si fonda sul lavoro come strumento di raccordo fra produzione e consumi continuerà a generare lavori scarsamente significativi e retribuiti fino a quando non perderà portanza con il prosciugamento del ciclo produzione-consumi. Le truffe che giocano sulla disperazione continueranno ad aumentare sempre più. Noi NON dobbiamo augurarci di arrivare a quel punto prima di riconoscere l'essenzialità di misure che riprogrammino la nostra economia per adeguarla al panorama tecnologico del XXI secolo. Perfino Mark Zuckerberg ha affermato che abbiamo bisogno di un nuovo patto sociale, che il suo fondamento sarà il reddito di base incondizionato già supportato da molti suoi colleghi della élite della Silicon Valley (Elon Musk, Sam Altman, Chris Hughes ecc). A questo punto dovremmo domandarci cosa impedisce di riconoscere ciò che appare evidente perfino ad una persona non toccata direttamente dai cambiamenti socio-economici. E' veramente grottesco che anche uno come Zuckerberg, che appartiene ai ricchi che in teoria dovremmo tassare capisca quanto sia fondamentale istituire un reddito di base incondizionato, mentre noi, i diretti interessati, continuiamo ad autopunirci col flagello delle nostre anacronistiche idee lavoriste. Di quale fenomeno di difesa del vissuto siamo vittime, quale dissonanza cognitiva, quale mentalità ci tiene prigionieri impedendoci di pensare "out of the box", o meglio "free from the chains", a parte la consuetudine con un sistema che però va sgretolandosi, un autolesionista istinto di autoconservazione e la paura dell'ignoto? Già da diversi anni il progresso tecnologico sta esercitando una pressione sul lavoro che sta riducendone la rilevanza e la quota di PIL ad esso dedicata. La nuova occupazione è cronicamente precaria, scarsamente pagata e spesso anche poco gratificante, difficile in condizioni del genere parlare di dignità del lavoro. Il futuro non promette niente di meglio in quest'ottica, anzi, secondo il World Economic Forum robotica, intelligenza artificiale e guida driverless aggiungeranno 5 milioni di esuberi a quelli già esistenti nei paesi OCSE già entro il 2021. Queste persone si riverseranno in altri settori produttivi causando ulteriore deflazione dei salari. A questo punto non è proprio più possibile fare a meno di una garanzia reddituale di base, che consente al cittadino massima libertà d'azione dato che gli verrebbe versato anche lavorando incrementando così il suo potere d'acquisto e di contrattazione. La disuguaglianza sta aumentando esponenzialmente e la domanda aggregata dei paesi evoluti è ormai cronicamente insufficiente, dobbiamo intraprendere altre strade. Se l'unica possibile giustificazione all'accesso al reddito rimarrà la produttività del singolo non faremo altro che assistere ad una progressiva ed inesorabile contrazione dei salari non compensata da alcunchè, e solo dei pochi che un salario ce l'avranno, che poi impatterà sul sistema nel suo complesso, per questo esiste la necessità di disaccoppiare il reddito dal lavoro, in modo che le istituzioni governative non possano utilizzare il mezzo per schiavizzare cittadini costringendoli in attività vessatorie o inutili, tipo i corsi di "formazione" e le ricerche di lavori inesistenti previste dalla proposta dei 5 stelle. I corsi di formazione, e in generale l'istruzione di livello superiore, dovrebbe essere garantita a prescindere perché siamo entrati da tempo nell'era della formazione continua. Ad esempio gli americani sono costretti a coniugare studio e lavoro al solo scopo di mantenere la propria posizione. Naturalmente questo incide sui redditi che sono già bassi. In molti paesi esiste anche il problema soverchiante del debito universitario, e la nuova occupazione a basso reddito rende sempre più complicato restituirlo, in altre parole hanno trovato un sistema ulteriore per ricattarti, oltre l'indigenza i debiti, così sei obbligato ad accettare qualsiasi lavoro solo allo scopo di ripagarli. Anche se dovessimo transitare in un'era post-lavorativa la formazione continuerebbe ad essere fondamentale nell'ottica della democrazia liquida nella quale è richiesta una preparazione adeguata, o, come dice Martin Ford, semplicemente per consentire una convivenza più pacifica, dato che l'intolleranza e la violenza originano proprio dall'ignoranza e la scarsità di mezzi cognitivi.

"Se i posti di lavoro e un reddito di base incondizionato fossero finanziariamente e politicamente realizzabili, sarei un sostenitore di entrambi. Ma se dovessi scegliere tra una sola di queste due politiche rispetto all'altra, preferisco il reddito di base. Questo perchè penso che la garanzia di accesso alle risorse di cui le persone hanno bisogno per sopravvivere è prioritaria rispetto a garantire loro il diritto di vendere il loro lavoro" (Michael A. Lewis)

Perché si ostinano a chiamarlo reddito di cittadinanza poi, se non lo è? Sono passati troppi anni per credere che dipenda da ignoranza di significato. La confusione e l'ambiguità che si vengono a creare forse sono voluti. Da un lato creare aspettative esagerate e dall'altro rassicurare l'elettorato xenofobo. Anche volendolo paragonare a forme di reddito minimo esistenti da decenni in alcuni stati europei, quello dei 5 Stelle avrebbe perlomeno una grossa pecca, quella di non essere su base individuale. In realtà coprirà poche persone, in quanto essendo collegato ad un isee di 6.500 euro, basterà in casa un reddito decente o una pensione decente, perchè molti disoccupati rimangano fuori, dunque una manovra ancora legata al concetto di isee e non di "basic income" e dignità personale di chi privo di reddito, potrebbe avere un isee altissimo... ma materialmente non avere niente, quando all'anagrafe si è coabitanti con un padre o fratello che hanno un reddito. Ma nessuno fa caso al quoziente familiare? Se uno guadagna tot euro ma a suo carico ha 4 persone, questa persona al momento del 730 dovrebbe avere un iseu pari a zero o quasi, dovrebbe avere assistenza sanitaria quasi gratis, perchè se questo guadagna 12.000 euro netti diviso 4 componenti del nucleo familiare a suo carico fa 3.000 euro a testa, ma questo non viene considerato! Così chi ha avuto una liquidazione nell'anno o l'anno precedente non gli spetta. Chi ha lavorato almeno 6 mesi nell'anno precedente non gli spetta, perché supererebbe il tetto massimo previsto dal ddl. Ai proprietari di un alloggeto, anche se pagano il mutuo, non gli spetta anche se non hanno alcun reddito. Se hai avuto anche una piccolissima eredità non ti spetta. Nel momento che dovrebbero elargire il reddito di cittadinanza, esso sostituirebbe l'attuale assegno di disoccupazione o la cassa integrazione. Quindi se facciamo i conti VERI, i lavoratori ci rimetterebbero con il ddl proposto dalle teste di cappero. Quello dei 5 stelle è calibrato solo per gli eterni "fuori corso" come loro, che grazie al partito, da eterni disoccupati, si sono trovati un lavoro. Come già detto, esso alla povertà non ne è un'argine, ma un incentivo! Innanzitutto quella di 780 euro è una cifra che praticamente nessuno che abbia una minima conoscenza scientifica-filosofica del reddito di cittadinanza ritiene sensata, le cifre ritenute sensate per l'Italia sono sui 300 euro, ed è a questa che io mi riferisco in questo testo come cifra di un reddito di base per l'Italia. Alcuni parlamentari del movimento 5 stelle non solo comprendono alla perfezione il tema della disoccupazione tecnologica ma sono anche schierati a favore dell'istituzione del reddito di base incondizionato, come Dario Tamburrano e Cominardi, Beghin e Fraccaro. Tuttavia i personaggi oggi più in vista nel movimento, come Di Maio o Di Battista, pare abbiano idee molto differenti. L'ideale sarebbe stato che la base si coagulasse intorno agli esponenti di sopra, è per questo che è importante diffondere consapevolezza sugli argomenti: fino a quando le persone continueranno ad avere una visione antiquata dell'economia sosterranno politici che non possono offrire da questo punto di vista soluzioni realmente efficaci. Pur di fare propaganda sulla pelle delle persone li prendono per il naso strumentalizzando le loro aspettative spacciando banali sussidi per redditi di cittadinanza. Di Maio e compagnia vanno dicendo che in alcuni dei comuni da loro amministrati sono già in atto sperimentazioni, ovviamente di grande successo, del reddito di cittadinanza: mai balla fu più grande di questa. Quello che il M5S si intesta come grande risultato, sperando di incassare qualche voto in più alle prossime amministrative che, visti gli splendidi esempi del buongoverno di Roma, per fare un esempio, saranno disastrose, altro non è che una fake news, l'ennesima. I comuni in questione, infatti, spacciano per reddito di cittadinanza le borse lavoro, una misura welfare della durata di qualche mese, in uso da anni negli enti locali: cosa c'entra questo con il reddito di cittadinanza? Quindi: gli amministratori M5S spacciano per reddito di cittadinanza una buona vecchia borsa di lavoro, esperienza che nelle amministrazioni esiste da almeno quindici anni. Che cosa hanno fatto di nuovo? Marketing: hanno solo cambiato il nome del bando per vendere al mercato delle facili bugie un risultato che non esiste. A difesa del movimento 5 stelle va detto che offre libertà di veduta su questo tema lì dove i partiti tradizionali ritengono il reddito di base incondizionato ancora un'eresia. Anche Grillo in realtà è molto più allineato con Tamburrano e Cominardi piuttosto che con Di Maio, eppure il movimento nel suo complesso si è assestato intorno a questa strategia incrementale, dei "baby steps", che ha ancora degli ottusi risvolti lavoristi. E' uno sbaglio perché tempo che il reddito minimo venga istituito in Italia sarà già obsoleto in Europa, dove giustamente si guarda altrove. In altre parole, siamo ancora una volta in ritardo, perché se il reddito di cittadinanza non esiste da nessuna parte, almeno un dibattito c'è, altrove. A proposito, i 5 stelle come interpretano il fatto che nel resto d'Europa ci sia un dibattito sul reddito di cittadinanza? Come si concilia il dibatterne, con una presunta sua applicazione già in corso? Il 12 gennaio 2017 il comitato lavoro e pensioni del Parlamento del Regno Unito ha tenuto un udienza sul reddito di base universale, concludendo che "la misura rischia di essere una distrazione da una riforma del welfare veramente praticabile" ed esortando il governo a "non sprecare energie su di essa". Esiste già in tutta Europa? No, non esiste e non è mai esistito da nessuna parte nel mondo. Nemmeno in Alaska, dato che quella è solo una mera imposta pigouviana distribuita direttamente ai cittadini e non un reddito di cittadinanza. Qui in Italia non si boicotta solo l'approvazione, si boicotta la discussione stessa. Lo scenario di inediti sconvolgimenti economici e tecnologici che stiamo vivendo impone di osare: è arrivato il momento di proporre delle strategie radicalmente nuove, perché radicalmente trasformativi sono i cambiamenti che ci troviamo ad affrontare. Eppure ancora molti tra i 5 stelle espongono un punto di vista molto conservativo, che fa ancora fatica a prendere atto della realtà, senza parlare del futuro. Tra gli altri partiti ovviamente è ancora peggio: ci si domanda ancora se il progresso tecnologico stia causando un aumento della disuguaglianza. Dove vivono? Solo perchè i problemi determinati dal disaccoppiamento non toccano loro direttamente, non esistono? La percentuale di PIL che il lavoro cede progressivamente al capitale è un dato di fatto, non un opinione. Credono che in un modo o nell'altro non vada a toccare tutti? Non "prima o poi", perché già lo fa. Non è che perché una cosa non la si vede, questa non esiste. Come si suol dire, "una farfalla che sbatte le ali in Cina può provocare un terremoto in Cile". Si parla di automazione come se riguardasse solamente il lavoro manuale quando il senso della transizione di fase che stiamo vivendo è che proprio il lavoro intellettuale, ad elevata specializzazione, sarà per la prima volta oggetto di automazione grazie ai progressi dell'intelligenza artificiale. Sembra che la novità sia l'avvento di Uber nella sua forma attuale, quando tra pochi anni la guida driverless "rischia" di fare milioni di esuberi, e non solo tra i conducenti di taxi ma anche nell'indotto e nell'industria automobilistica. Il possesso dell'automobile sarà soppiantato dal noleggio diffuso automatizzato ("car sharing"). Questa pregiudiziale peserà molto nel momento in cui si cercherà di "rivisitare la politica dei salari". Con quali mezzi, se non verrà conferito al cittadino uno strumento che gli consenta di opporre resistenza alla svalutazione del lavoro dandogli la facoltà di dire no al lavoro sottopagato e allo sfruttamento? I 5 stelle pensano veramente che il loro peloso pastrocchio sarà di utilità? Ma la domanda più spontanea è: perché si ostinano ad arrabattarsi a pianificare regolamenti complicati quando gli si mette sotto il naso la semplicità del vero reddito di cittadinanza? Andrea Balossino si chiede i motivi di questa ottusa incoerenza 5 stelle quando i motivi sono evidenti e sono quelli ripetutamente evidenziati da Vittorio Sgarbi ovvero che il movimento 5 stelle ha raccattato una massa di incompetenti allo sbaraglio, che per quanto mossi da buone intenzioni, chi come me si interessa di politica perlomeno dall'età di 15 anni non può non notarne l'inadeguatezza come pesci fuor d'acqua catapultati all'improvviso senza alcun merito e capacità in una realtà a loro estranea, come ha candidamente ammesso Roberta Lombardi. Possono pure infarcirsi di nozioni amministrative con le quali pretendere di fare lezioncine agli altri, ma non riusciranno mai a capire i fondamenti ideologici della politica intesa come scienza sociale come chi per il quale essa è la ragione di vita e non una bizza improvvisa mossa da intenti polemici contingenti. Il problema nella democrazia oclocratica è che ad essere votati dalla plebaglia sono loro, con tutte le relative conseguenze.

"Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alla prossima generazione" (Alcide de Gasperi)

"In un uomo di stato, la cosiddetta 'cultura' è in fin dei conti un lusso inutile. Può essere sostituita dall'ingegno e meglio ancora dall'intuizione. Per diventare un uomo di stato non è proprio pregiudizialmente necessario di aver divorato e digerito lo scibile umano" (Benito Mussolini)

Eppure anche in rete si trovano una miriade di siti che cercano di fargli notare le stesse cose che scrivo io in questo! Ma i 5 stelle, ottusi ed autoreferenziali continuano imperterriti sulla loro visione "normativa" dell'erogazione anzichè quella consequenziale pur avendogli dato il nome. Più che sventolarglielo sotto il naso cosa si può fare???
Per ragioni consequenzialiste si intendono invece le ragioni avanzate dal libertarismo consequenzialista (noto anche come consequenzialismo libertario o liberalismo consequenzialista) in relazione alla posizione libertaria di un libero mercato e forti diritti di proprietà privata per i motivi che portano a conseguenze favorevoli, come ad esempio la prosperità e l'efficienza, semplicemente attraverso il calcolo costi-benefici, valutando il conto delle conseguenze. E' in contrasto con il libertarismo deontologico, noto anche come "libertarismo dei diritti naturali", che considera l'origine della proprietà nella forza e nella frode come immorale, a prescindere dalle conseguenze. A differenza dei libertari deontologici, i libertari consequenzialisti non necessariamente vedono tutti i casi di uso della forza (in primis la tassazione) come intrinsecamente immorali (vale a dire, che non esprimono una fede in diritti naturali). Piuttosto, la loro posizione è che azione politica e libertà economica portano a migliori conseguenze sotto forma di felicità e prosperità, e solo per questo motivo dovrebbe essere supportata qualunque azione che porti a ciò. A differenza delle posizioni libertarie deontologiche, i consequenzialisti libertari sostengono le azioni che ritengono portare a conseguenze favorevoli indipendentemente dal fatto che queste contemplino l'uso della forza. Ad esempio, a differenza dei libertari deontologici, oltre al supporto al prelievo coatto delle tasse, alcuni consequenzialisti libertari sostengono perfino l'esproprio, con il teorico politico David Friedman in prima linea nel sostenere una forma consequenzialista di anarco-capitalismo in cui il contenuto della legge è comprato e venduto, piuttosto che vi sia un codice che vieta l'inizio giuridico stabilito dalla forza.

“Con qualche notevole eccezione, gli uomini d’affare favoriscono la libera impresa in generale ma s’oppongono ad essa quando questa viene a riguardarli” (Milton Friedman)

Milton Friedman, David Friedman, Peter Leeson, Ludwig von Mises, e Friedrich Hayek sono tipici libertari consequentalisti. La versione più estrema è quella "bleeding-hearth" di Roderick Long che riunisce le varie anime del libertarianismo di sinistra e filo-anarchiche che propugnano il reddito di cittadinanza; si dividono in "contingenti" (Fernando Teson), "anarchici" (Benjamin Tucker e Thomas Hodgskin), e "duri" (Matt Zwolinski, Jason Brennan, e Kevin Vallier); alcuni inseriscono in questo filone anche l'economista Bryan Caplan, David Friedman, e l'anarco-capitalista e antiteista Todd Seavey. Sotto questi punti di vista si intende consequenzialisticamente il reddito di cittadinanza, con riferimento alla supposta maggiore efficienza ed efficacia di questa policy rispetto ai sistemi di welfare condizionato oggi esistenti nonché sulle altre conseguenze che determinerebbe o sulle modifiche al sistema che permetterebbe di apportare, in primis quelle fiscali, e non ultima quella contrattualista in tema di legittimazione dell'intera organizzazione sociale umana. Difatti tra gli economisti che hanno trattato del reddito di base per le sue ricadute sul sistema economico, generalmente riconducibili all'ambito di una "terza via" di cui tutti sembrano volersi appropriare come detentori del concetto, suddivisi tra social-liberisti e distributisti, esiste un importante dibattito appunto etico sulle relative motivazioni connesso al tema delle capacità di base e delle condizioni materiali della libertà (Amartya Sen, Philippe Van Parijs, Frank Lovett, Andrè Gorz), dei diritti di base (Henry Shue e Luigi Ferrajoli), della giusta proprietà delle risorse esterne (Robert Nozick, Hillel Steiner, Peter Vallentyne), della legittimazione giuridica del potere e la legittimità delle regole sociali in tema di criminalità (John Rawls), del marxismo analitico di stampo anglosassone ("Gruppo settembre"), il variegato ambito artistico, poiché permetterebbe il sostentamento a chi crea senza averne un guadagno, fino a Ailsa McKay, femminista e sostenitrice del reddito di cittadinanza in funzione dell'indipendenza finanziaria della casalinga, per finire coi distributisti che coniugano tutte queste tematiche. E dulcis in fundo... Toni Negri! Indipendentemente dalle diverse motivazioni di partenza e dalle conseguenze auspicate, tutti questi possono essere raggruppati sotto la forma consequenzialista, che vede nel reddito di cittadinanza un mezzo, non un fine come è invece per i "normativi" (tra cui i 5 stelle). Anche se sarebbe più esatto specificare: il concetto di reddito di cittadinanza è consequenzialista e basta; quelli che lo interpretano come sussidio hanno preso solo la sintesi concreta saltando totalmente l'analisi astratta attraverso la quale dalla rappresentazione ed intuizione si giunge dialetticamente al reddito di cittadinanza come concetto (in parole povere fanno come "lo stolto che si costruì la casa sulla sabbia") interpretando di conseguenza esso solamente come mera norma priva di possibilità di ulteriori conseguenze, e da incapaci di comprendere o di voler approfondire analiticamente le conseguenze lo propagandano fine a sé stesso, pure infuriandosi quando gli si fanno notare le conseguenze che apporterebbe e permetterebbe di apportare se applicato come si deve. E a fronte di ciò lo pianificano con modalità e in forme esenti da ogni buon senso logico-matematico (in particolare nelle cifre). Da "ultimi arrivati" insomma hanno solamente preso il concetto erogativo come fosse fine a sé stesso. Se così fosse, ci sarebbe bisogno di tutto sto can can? I sussidi sono sempre esistiti, quello proposto dai 5 stelle non sarebbe una cosa così rivoluzionaria da dovergli perfino dare un nome. Forme di condizionalità dipendenti dall'accettazione di offerte di lavoro o prestazioni lavorative obbligatorie si iscrivono nel quadro del così detto reddito minimo garantito, una forma di sussidio di disoccupazione universale piuttosto che un nuovo diritto, suscettibile a degradare in forme di schiavitù come la HARTZIV tedesca (della quale i 5 stelle vanno tanto fieri...). Secondo il sociologo Shulteis: "c’è qualcosa che non possiamo negare: il modello di successo della Germania poggia le proprie spalle su una ampia fascia di poveri. Il principio del sostegno a patto d’impegno su cui è strutturato il welfare tedesco può evolvere in una forma di giudizio totale sulla vita del cittadino, soprattutto quando il sussidio diventa una condizione prolungata". Ovvero il welfare della locomotiva tedesca non come strumento di inclusione per coloro che perdono il lavoro, ma come mezzo di controllo sociale.

"Quando dalla gente si pretendono doveri e non le si vogliono riconoscere diritti, bisogna pagarla bene" (Johann Wolfgang Goethe)

Il bello è che poi i 5 stelle vantano a pappagallo le conseguenze analitiche come potessero risultare anche dal loro semplice sussidio solo perchè gli hanno dato lo stesso nome! Chiamare "di cittadinanza" un sussidio di indigenza (integrazione al minimo dei redditi), a carattere dunque condizionato, è una piccola ma imperdonabile nefandezza mediatica da neo-lingua orwelliana. Se è stato dato in origine il nome "reddito" e "di cittadinanza" o "di base" un motivo c'è, non è stato così scelto e assemblato a casaccio come se un termine valesse l'altro come sembra interpretino loro. Ma se lo sono mai chiesto il motivo per cui si chiama così? Dalla cui incapacità di comprenderne il senso del termine stesso deriva poi l'impostazione che ne danno: la scelta di proporre un sistema farraginoso ed opprimente, capace di non disturbare gli sprechi ed il potere delle burocrazie, è libera scelta della politica e non oggettiva necessità: la farsa della proposta di lavoro triplice con penale, in presenza di diminuzione progressiva dei posti di lavoro, è solo un contorno stucchevole degno di chi dice di voler cambiare per non cambiare alcunché, con aggiunta di reale rischio di declino schiavistico associato all'evidente sistema ricattatorio ("o fai uno dei lavori che ti propongo o muori di fame", una pacchia per i despoti dei "tirocini" a 400 euro) al quale cercano di rimediare con il minimo salariale obbligatorio, che non può far altro che andare a peggiorare ulteriormente la loro proposta andando a generalizzare sulle diverse mansioni (per cui alcune non saranno svolte, con relativa disoccupazione dei potenziali addetti). Ovviamente dato che dalla loro proposta mancano del tutto le modifiche collaterali sensate necessarie a colmare le lacune che si aprirebbero (in primis dal punto di vista fiscale), di fronte alle obiezioni mossegli sono costretti a barcamenarsi per capire come tamponare le falle, anche scimmiottando goffamente le proposte consequenzialiste che captano qua e là, anche in tema di liberalizzazioni. Per normalizzare il mondo del lavoro, anche nelle tutele per i lavoratori necessita un welfare universale svincolato dalle dinamiche produttive. Erik Olin Wright, ad esempio, interpreta il reddito di base come un progetto per riformare il capitalismo in un sistema economico che abilita il lavoro in relazione al capitale, nella concessione al lavoro di un maggiore potere contrattuale con i datori nel mercato del lavoro, che può progressivamente de-mercificare il lavoro con il disaccoppiamento del lavoro dal reddito, senza bisogno di quegli interventi dirigistici sindacali che oggi sono il cancro della vita comune. Ci vuole il reddito di cittadinanza senza intermediazioni. La soluzione tipica della sinistra, il dirigista statuto dei lavoratori presuppone un rapporto di lavoro subordinato, autoritario a prescindere, in cui il lavoratore dipendente, per sua stessa natura, rimane l'anello debole della catena produttiva, il che non dovrebbe essere (e potrebbe non essere). Questo appare dalla retorica padronale condivisa anche dai vertici sindacali della CGIL e dei quanti che invece di battersi per il reddito di cittadinanza, ripropongono l'introduzione dell'art.18 dello statuto dei lavoratori. Bisogna togliere ai sindacati il potere di contrattazione e di rappresentanza, e restituirlo ai lavoratori, ovvero ai legittimi proprietari di questi diritti e interessi, restituire ai dipendenti un loro legittimo diritto, una loro libertà oggi monopolizzata da sindacati che sono residuati di epoche che è meglio dimenticare. Il cittadino dovrebbe avere un reddito da lavoro, certo, ma in surplus al minimo necessario per la mera sopravvivenza in dignità. Non difendersi tutta la vita dal datore di lavoro che gli viene contrapposto dalla situazione attuale, dalla retorica della dignità legata al lavoro, dalla retorica della meritocrazia e dell'assistenzialismo sulla quale i sindacati campano. Se nel liberalismo la libertà è solitamente intesa come assenza di interferenza, il repubblicanesimo parla della libertà nei termini di assenza di dominio. I sostenitori del reddito di cittadinanza seguaci dell'antica tradizione repubblicana, come Daniel Raventos, partono dalla nozione di libertà come tipico metodo di auto-governo di questa tradizione politica rappresentata da autori e pensatori diversi come Aristotele, Cicerone, Machiavelli e Robespierre. Nucleo di questa nozione di libertà è la tesi che chi non ha una base materiale sufficiente a garantire una esistenza sociale autonoma per sopravvivere dovrà chiedere il permesso a terzi e, di conseguenza, sarà sottoposto alla volontà di questi. Un auto-governo di coloro che non hanno questa base materiale è quindi impossibile, e quindi non possono essere considerati soggetti liberi. Per i repubblicani democratici, ognuno dovrebbe essere libero, e per questo motivo tutti dovrebbero avere diritto ad una base materiale minima che garantisce il loro diritto di esistenza e, quindi, la libertà. Anche per essi quindi il fondamento stesso di una società che voglia dirsi non schiavistica deve essere il reddito di base. Già oggi più della metà della popolazione nella moderna società del benessere dipende per il proprio reddito da quello di altri o da benefici sociali. Ma in modo sbagliato però.

"Lo stato deve a tutti i suoi abitanti i mezzi di sussistenza, cibo, abbigliamento adeguato e sicuro e uno stile di vita che non pregiudica la loro salute" (Charles de Montesquieu)

Pertanto, i proprietari di tali risorse devono compensare tornando ai non-proprietari un canone sotto forma simbolica, sufficiente almeno a permettere loro di acquistare le risorse e i beni necessari per sostenere i loro bisogni di base. Questa ridistribuzione deve essere incondizionata perché la gente può ritenersi libera solo se non è costretta a passare tutto il proprio tempo ad offrirsi agli altri semplicemente per fornire beni di prima necessità a se stessi e alle loro famiglie. In base a tale argomento, la libertà personale, politica e religiosa valgono poco senza il potere di dire di no. E' incredibile che tanti dicano che in Italia la libertà è anche troppa. Ovviamente si può spiegare solo con la mancanza di comprensione del significato del termine. Confondono il caos che c'è oggi in Italia con la libertà. Non sanno che il caos è il contrario della libertà, perché è libertà ampia per alcuni, quelli che hanno le possibilità di manipolare, e oppressione infinita per gli altri, i manipolabili. La libertà o è per tutti in uguale misura, altrimenti non è libertà, ma caos. La democrazia è intrinsecamente incompatibile con la libertà. La prima parla del popolo genericamente con tutte le conseguenze liberticide di tale generalizzazione, la seconda riguarda il primato dell'individuo. In questa prospettiva, il reddito di base prevede una libertà economica, che, in combinazione con la libertà politica, libertà di credo, e la libertà personale di stabilire lo stato di ogni individuo come una persona libera. Il distributismo (del quale il credito sociale è il cardine monetario) è sempre stato favorevole alla più totale liberalizzazione del mercato del lavoro. Ma non in queste condizioni. Se offri alle imprese la libertà di contrattare il salario che vogliono, di licenziare quando vogliono con la possibilità pure del ricatto di spostare la produzione all'estero, DEVI dare anche un potere contrattuale alla controparte, altrimenti la rendi schiava. Questo è stato il motivo per cui le politiche reaganiane-tatcheriane sono fallite. E non poteva essere altrimenti, senza una relativa compensazione!

"Oggi i fini possono essere conseguiti soltanto col rifiutare i mezzi ai quali il primo liberalismo si era affidato" (Hans Kelsen)

Innanzitutto è chiaro che ogni attività imprenditoriale, per poter realizzarsi, ha bisogno di capitale. Gli investimenti nascono dal risparmio (ossia, dalla preferenza a differire nel tempo l'utilizzo di una risorsa, ad essere oculati nelle spese, ad accumulare). Una delle funzioni cruciali della moneta è proprio questa: funziona da riserva di valore. Senza risorse non vi è la possibilità di costituire e gestire mezzi di produzione e, di conseguenza, valorizzare il lavoro umano. E' anzi ben noto che se la stessa persona, emigrando da un'area all'altra, può guadagnare assai di più questo dipende in primo luogo dalla possibilità di applicare le proprie qualità e il proprio tempo a strutture produttive di migliore qualità: più costose e più efficienti. In un sistema economico si è disposti a cedere del denaro in cambio di un prodotto o un servizio che ci è utile e che quindi ci fa stare meglio. Chi idea una soluzione che migliora la società facendo stare meglio molte persone, riesce a guadagnare tanti soldi e allo stesso tempo a creare lavoro. Il valore di un bene esiste solo durante uno scambio e NON coincide né col costo, né col prezzo di una merce ("teoria marginalista soggettiva del valore" della Scuola Austriaca). Da questa definizione deriva la teoria dello scambio. In uno scambio volontario entrambi gli agenti ottengono un vantaggio, aumentando per ciascuno il valore posseduto privandosi del bene che per loro ha meno valore e acquisendo ciascuno un bene che per loro ha più valore. Uno scambio non avviene tra beni di "pari valore", ma sempre per via di differenti valutazioni dei due partecipanti. Viceversa uno scambio non volontario, siccome non è volontario diminuisce il valore di uno, aumentando il valore dell'altro. In particolare, depaupera quello che subisce lo scambio e arricchisce quello che lo forza. Anche la spesa di un ladro produce reddito per qualcuno. Il discorso non ha senso dal punto di vista economico. Allora liberalizziamo i furti a valanga così i ladri spendono e permettono alle attività di vendere i prodotti. Un ladro spende (soldi non suoi) e genera indotto. Uno che fa debito che non ripagherà mai genera indotto lo stesso. Però entrambi questi comportamenti producono danni economici, invece che benessere e così fa la spesa pubblica.

“Lo Stato è oggi ipertrofico, elefantiaco, enorme e vulnerabilissimo, perché ha assunto una quantità di funzioni di indole economica, che dovevano essere lasciate al libero gioco dell’economia privata. Lo Stato oggi fa il tabacchino, il postino, il ferroviere, il panettiere, l’assicuratore, il navigatore, il caffettiere, il biscottiere, il bagnino, ecc., ecc. Ogni azienda statale è un disastro economico. [...] Due tendenze tengono il campo: l’una socialista, che vorrebbe ancora accrescere la mostruosa mole dei monopoli di Stato; l’altra che si oppone ad ogni nuovo monopolio, non solo, ma vuole smobilitare lo Stato di tutto il fardello insopportabile delle sue gestioni economiche. Il fascismo è antimonopolista" (Benito Mussolini, Il popolo d’Italia, 7 gennaio 1921)

E il reddito di base è la soluzione per coniugare i vantaggi per le imprese con le protezioni per i cittadini senza necessità di ulteriori regolamenti e nocivi sindacati. Adam Smith, John Locke, John Stuart Mill, Thomas Paine, William Ogilvie sono identificati come i principali pensatori proto-Georgisti. Il "dividendo del cittadino" è una proposta politica basata sul principio georgista che il mondo naturale è patrimonio comune di tutte le persone. Si propone che tutti i cittadini ricevano pagamenti regolari ("dividendi") da entrate derivate dalla locazione tassando il monopolio del prezioso terreno e delle altre risorse naturali. Nel suo moderno senso più ampio, il dividendo del cittadino ha preso la denominazione di reddito di base universale o di cittadinanza (generalmente "di base" è il termine usato dai liberisti e/o nel mondo anglosassone, "di cittadinanza" dai distributisti e/o nell'area latina). Altri teorici che si appoggiano verso diversi tipi di prospettive economiche che hanno sostenuto il reddito di base includono James Meade, Bertrand Russell, Frances Fox Piven e Harry Shutt. Friedman invece propose l'imposta negativa sul reddito, mentre Meade propende per un sistema di dividendo sociale finanziato dalla proprietà pubblica degli asset produttivi. Russell ha sostenuto il reddito di base insieme alla proprietà pubblica come mezzo per ridurre la durata media della giornata di lavoro e di raggiungere la piena occupazione. Fox Piven ritiene che da una garanzia di reddito trarrebbero beneficio tutti i lavoratori per via della loro liberazione dall'ansia che deriva dalla "tirannia della schiavitù del salario " e fornirebbe opportunità per le persone a perseguire diverse occupazioni e sviluppare le potenzialità non sfruttate per la creatività.

"Il capitalismo bada che le persone si concepiscano solo in termini di forza lavoro su un mercato dell’occupazione e che, se non trovano un datore di lavoro, debbano prendersela solo con se stessi, ossia col fatto che non sono abbastanza 'impiegabili'" (André Gorz)

L'opzione 5 stelle invece, al pari delle solite manovre di "solidarietà" che si configurano come una vera e propria elemosina concessa al popolo in nome del mantenimento del potere (i famosi "80 euro" di Renzi, che hanno reso palese l'apice raggiunto oggi dalla stupidità umana che non sembrava più superabile dopo il programma TV "affari tuoi" e i passanti che brindano nelle ricevitorie del lotto per vincite di sconosciuti), si inserisce storicamente nel filone dei sistemi politici social-democratici nei termini di assenza di soluzioni ai problemi che inevitabilmente, a causa della loro stessa natura, vengono a crearsi all’interno delle società rette da questi stessi sistemi e di quelle a loro vincolate da rapporti vetero o neo-coloniali (in riferimento allo status dell'Italia nei confronti degli USA). In tale contesto si inseriscono i “bonus”, i provvedimenti di sostegno al reddito, le misure a favore degli incapienti; ma anche la tassazione dei redditi elevati, le concessioni e le agevolazioni sociali, se non estrapolate dal contesto politico-economico keynesiano (la "società salariale-assistenziale" di Andrè Gorz), si configurano come fumo negli occhi utile solo a offuscare le responsabilità e le colpe che ricadono sulla gestione inefficiente della cosa pubblica. Prassi tipica dei socialisti, che di fatto sono dei borghesi falliti e perciò statalisti, a cui non gliene importa nulla della condizione del "proletariato", fanno compromessi con le classi dirigenti e i sindacati e danno solo mance alle classi subordinate mantenendole così buone; e magari fanno gli chic manifestando per gli immigrati, per i carcerati, ecc.. Quindi sono di fatto elitari, pianificatori, e godono dei privilegi statali (stipendi, sussidi, leggi, ecc..). Difatti si consideri che se i socialisti chiesero inizialmente l'introduzione del salario minimo fu per tagliare fuori dalla concorrenza e dal mercato del lavoro i lavoratori meno produttivi (proposito che raggiunge il culmine nei fabianisti). Le stesse teorie economiche alternative volte, nelle intenzioni, alla ricerca di soluzioni basate sull’equità e sulla giustizia, improntate sulla collettivizzazione, sul dirigismo d’apparato e sul protezionismo, sono state storicamente condannate proprio in quanto manifestatesi nei termini di “capitalismo di Stato” e si sono auto-distrutte configurandosi in apparati burocratici ed inefficienti che sono stati espressione delle loro stesse teorizzazioni socio-economiche stataliste.

“Là dove si è voluto esasperare ancora di più il capitalismo, facendone un capitalismo di Stato, la miseria è semplicemente spaventosa” (Benito Mussolini, dal rapporto tenuto alle gerarchie del Regime, il 17 ottobre 1932)

Sono quindi state condannate dalla storia politica ed economica, ma soprattutto sono state risucchiate dal vuoto pneumatico in cui consisteva il loro fondamento dottrinario, quello cioè che delineava – ricalcando lo schema adottato dal "capitalismo" da loro stessi aborrito - la tragica figura del reddito legato unicamente al salario da lavoro, ovvero dell’homo oeconomicus tanto quanto il sistema capitalista che volevano abolire. Di questa umanità avrebbero voluto – nella loro critica al sistema capitalista – appianare e uniformare universalmente il diametro, renderli tutti uguali; bella teoria, ma la pratica è tutt'altro, quando lo schema, la visione del mondo, restavano gli stessi del capitalismo che dicevano di voler abbattere; solo che affidato a burocrati statali anziché libere persone. L’unica risposta sensata alle lacune del capitalismo lavorista e alla sterilità delle dottrine marxiste che hanno pretenziosamente tentato di contrastarlo, risiede nel produttivismo, e quindi nel distributismo con il suo reddito di cittadinanza. Solamente tramite il reddito di cittadinanza e quindi il distributismo è possibile dare al concetto di "lavoro" la vera accezione produttiva in luogo di quella lavorista di "stipendificio indipendente".

"La scienza moderna è riuscita a moltiplicare le possibilità della ricchezza; la scienza, controllata e pungolata dalla volontà dello stato, deve risolvere l'altro problema: il problema della distribuzione della ricchezza, in modo che non si verifichi più l'evento illogico, paradossale e al tempo stesso crudele, della miseria in mezzo all'abbondanza" (Benito Mussolini)

Da un articolo scritto in occasione del 1° maggio 2017 nella pagina del movimento distributista italiano possiamo trarre un sunto della visione e del programma dei distributisti oggi:
Il Pescara oggi è ultimo nella classifica di serie A, matematicamente retrocesso in serie B. Se si decidesse di fare una festa alla squadra per celebrare i suoi successi, cosa penserebbe l’opinione pubblica? Che l’iniziativa sarebbe una vera follia od una colossale presa per i fondelli. Possiamo dire che la stessa cosa accade oggi, primo maggio 2017, per il lavoro. Altro che festa del lavoro! Se si volesse evitare ogni ipocrisia, ci sarebbe solo una cosa da celebrare questo giorno per il lavoro: il suo funerale! Un tale accento necrofilo non nasce da un morboso pessimismo ma semplicemente da un sano realismo. Possiamo affermare senza tema di smentita che oggi il lavoro infatti è proprio morto, nel senso che ha perso quella forza vitale e propulsiva che in epoche passate ne ha fatto l’elemento fondamentale in grado di produrre prosperità e benessere a chi lo praticava. Le epoche passate a cui mi riferisco sono quel periodo della storia dell’umanità in cui il capo famiglia medio, indipendentemente dalla sua appartenenza ad un partito politico od ad una fazione di potere, era in grado di svolgere un’attività lavorativa dignitosa, e di mantenere con il frutto del proprio operato se stesso ed una famiglia di almeno quattro persone, essendo anche in grado di mettere da parte qualcosa. Sto parlando del paradiso in terra? No, sto parlando per esempio dell’Inghilterra del XV sec., circa due secoli prima che la confisca dei beni ecclesiastici da parte di Enrico VIII ed il conseguente avvento di quel tipo di capitalismo riducesse in miseria la stragrande maggioranza del popolo britannico. Di cosa si tratta? Si tratta dell’effetto nefasto che l'etica calvinista ebbe, nel corso di tutta la sua storia, sul lavoro, dal momento in cui predicò sin dall'inizio dal punto di vista teoretico e, quel che è peggio, realizzò nei fatti la separazione netta tra capitale e lavoro. Questa separazione fu il fattore esiziale che condannò il lavoro ad una morte certa, attraverso un lenta e progressiva agonia che dura da secoli. Il social-comunismo, nelle sue varie forme e derivati, tra cui per esempio il keynesismo, malgrado si fosse presentato in apparente opposizione al capitalismo, favorì invece tale processo fatale in modo forse ancora più determinante, rinforzando la separazione tra capitale e lavoro e concentrando capitale, proprietà e potere nelle mani dell'apparato burocratico statale. In questo senso appare evidente a chiunque sia aperto ad accogliere i dati di realtà che ci giungono da secoli di storia quanto capitalismo calvinista-lavorista e social-comunismo siano in realtà due facce di una stessa medaglia, di un sistema cioè che mira allo svilimento e svuotamento del fattore lavoro in favore dell’accumulazione di beni e risorse da parte di una minoranza elitaria della popolazione, sia essa l’apparato centrale di uno Stato burocratico o la grande finanza. Come distributisti, ben consci di questa situazione e di come il lavoro si trovi oggi in una condizione agonizzante, schiacciato sotto il peso incombente e prevaricante da una parte della finanza e del grande capitale nordisti e dall’altra dallo Stato, che agisce ormai solo per conto di questi, non ci sentiamo di unirci il primo maggio al coro dei festeggiamenti, semplicemente perché riteniamo che non ci sia nulla da festeggiare. C’è invece da combattere una battaglia quanto mai dura e aspra perché il lavoro si rialzi dal suo letto di morte e torni ad essere lo strumento privilegiato di espressione delle capacità e del valore umano, disponibile per tutti, perché torni ad essere il metro principale in base al quale venga distribuita la ricchezza materiale, la proprietà, il peso sociale ed il potere reale, relegando la finanza e la moneta a meri mezzi finalizzati alla sua massima crescita ed espansione. Per far questo occorre l'attuazione di due cose principali: che capitale e lavoro tornino ad unirsi nelle stesse persone, che ci si adoperi cioè per la diffusione più ampia possibile della figura del lavoratore-proprietario, e che la moneta torni ad essere di proprietà dei cittadini e degli Stati al momento dell’emissione, eliminando debito pubblico e privato e tasse esose e ridimensionando la casta dei saprofiti sociali ed usurai chiamati banchieri (quelli attuali, non l'attività bancaria in sè). Questi due punti sono parte fondamentale e non negoziabile del progetto distributista. Quando essi saranno realizzati, e solo allora, si potrà pensare a festeggiare davvero il lavoro, evitando le esternazioni ipocrite di questi giorni, in cui chi esalta il lavoro con parole sterili e retoriche lo condanna poi ad una morte certa nei fatti. Apriamo le porte al distributismo quindi, contro le spinte mortifere di capitalismo lavorista e social-comunismo, oggi grandi alleati nella lotta contro il lavoro.
Il distributismo, unica economia possibile in un mondo razionale in quanto fondata sulla logica stessa, e, unica forma in cui può inverarsi la sostanza dell’amministrazione della cosa pubblica relativamente alla gestione dei beni materiali e dell’influenza che il patrimonio spirituale, intellettivo e scientifico di una comunità su questi può esercitare, ha trovato il proprio fondamento in tutte le organizzazioni comunitarie, sociali e nazionali che – fuori da ogni metafora – i suoi portatori definiscono "tradizionali" e i suoi nemici definiscono "regime totalitario". Esso ha la sua forza proprio nell’essere istanza totalitaria, nel comprendere quindi la totalità degli aspetti socio-politici – e non solo economici – della vita dell’uomo all’interno delle strutture sociali e produttive in cui è inserito, che vanno di conseguenza ricondotte allo Stato come mero garante di queste istanze, non più come dirigente. Totalità significa modificare da zero la società, non solo le sfumature. Dalla dottrina distributista cristiana all’ordinamento socioeconomico feudale, dal pauperismo francescano, al comunitarismo organicista, dal più genuino "sindacalismo nazionale" e anarchismo rivoluzionario europeo fino alle migliori espressioni delle rivoluzioni nazionali, sociali e fasciste del secolo scorso, si è sviluppata quindi una secolare dottrina economica che prevedeva la rottura del vincolo individualista che ha legato l’uomo al lavoro rendendolo – negli ordinamenti precedenti e attuali – oggetto dello sfruttamento – e negli ordinamenti burocratico-marxisti – oggetto della mercificazione e della riduzione a mero indice produttivo della propria vita. Fuori da questo schema ogni cosa perderebbe di senso: senza il patrocinio dello Stato, in cui la Nazione ha il proprio compimento materiale e spirituale, è impossibile imprimere una simile politica economica. Per quanto minimo, lo Stato è un male necessario, perché nessuno ha mai dato la dimostrazione che gli individui possano vivere in equilibrio stabile senza l'amministrazione unitaria delle parti di utilizzo comune e della sicurezza. Certo senza l'intervento delle istituzioni pubbliche i privati non costruirebbero improduttive infrastrutture di pubblica utilità, non finanzierebbero la ricerca pura (o comunque non abbastanza), non valuterebbero gli impatti ambientali e le altre esternalità negative dell'impresa, non garantirebbero diritti e servizi come quello di essere curati e istruiti gratuitamente a tutti i cittadini, le regole sulla convivenza ed il loro rispetto, tramite le corporazioni garantire la trasparenza del mercato, il rispetto dei contratti, la fissazione degli standard, controllare la sicurezza dei prodotti, la protezione tramite brevetti delle proprietà intellettuali, le regole per l'ingresso nel mercato con le licenze, gli affidamenti dei lavori con gli appalti, la difesa sia interna che esterna. A queste dovrebbe essere aggiunta la garanzia al diritto all'esistenza libera e senza patemi, oggi assente. Anzi, oggi lo stato i patemi li procura e la libertà la reprime: lo stato è indispensabile, come anche il medico lo è. Ma, come chiede David Friedman nel suo "L'Ingranaggio della libertà", "lo chiamereste per curarvi un mal di pancia o un ronzio nelle orecchie se ogni volta si arrogasse il diritto di fare razzia dell'argento di famiglia, di usare il vostro spazzolino da denti e di ingravidare la domestica?"

"Io definisco una società anarchica come una società dove non sia legalmente possibile aggredire coercitivamente persone o proprietà" (Murray Rothbard)

La proprietà privata proprio perchè è tale necessita di uno spazio comune per manifestarsi ed essere difesa altrimenti in economia prevale il principio del darwinismo economico che apre le porte alla stessa situazione che si avrebbe in un mondo in cui non esistesse la proprietà privata! Spazi comuni sono una cosa, beni pubblici un'altra. Non è un sofisma: è un fatto. I privati possono accordarsi di destinare uno spazio, poniamo il cortile interno di una casa, ad uso comune. Comunque, la proprietà è privata. Un bene pubblico, ad esempio del Comune, è di proprietà del Comune stesso, ovvero di una ristretta cerchia di persone che ne destinano l'uso ai propri "amici". Quindi, pubblico non è sinonimo di tutti indistintamente. Per questo, rispetto alle ipotesi di Stato minimo di Alberto Esplugas Boter e di Rothbard, il comunitarismo distributista è anche più restrittivo, perché ritiene fattibile una giustizia esclusivamente privata tramite arbitri, ricomprendendo il problema dell'esecuzione coattiva delle sentenze nell'ambito dell'ordine pubblico. Dunque, per i comunitaristi, a stretto rigore all'amministrazione comune statale andrebbero solo difesa esterna e parzialmente condizioni di sicurezza interna, per consentire il corretto svolgimento degli affari privati. Questa una delle grandi differenze con le teorie di stampo marxista o anarchico, le quali sostengono le "libertà positive" (ovvero fondate sull'imposizione), mentre il comunitarismo sostiene quelle negative (cioè quelle naturali). La richiesta, appunto paradossale ma reale, è di una restrizione delle libertà positive e di un aumento dei vincoli normativi naturali che devono regolare la vita civile. In assenza di tali vincoli si è infatti sperimentato che il libero arbitrio produce una solo cosa: miseria, prevalenza del più forte sul più debole e concentrazione della proprietà nelle mani di pochi. La questione è di centrale importanza perché mina alla radice il concetto di libertà su cui si basa la democrazia liberale. Sulla definizione e sul rapporto tra liberalismo e democrazia si può ricorrere alla lezione di Norberto Bobbio, interpretata in maniera inevitabilmente soggettiva. Il liberalismo è inteso come limitazione dei poteri e delle funzioni dello Stato (in nome della libertà individuale) che assume però un significato pieno solo rispetto al concetto di democrazia intesa come distribuzione del potere ai cittadini (in nome dell’uguaglianza). Liberalismo e democrazia, libertà ed eguglianza sono compatibili? Bobbio riteneva di sì solo se la democrazia viene intesa in senso formale (eguaglianza dei diritti) e non nella sua accezione sostanziale (eguaglianza dei beni). Accettata la compatibilità della libertà con l'eguaglianza formale, occorre aggiungere che a partire dall'Ottocento l'eguaglianza ha interessato prima i diritti civili, poi quelli politici, infine quelli sociali. L'inclusione dei diritti sociali non è una esclusività dei movimenti socialdemocratici. La riforma sanitaria di tipo universalistico realizzata in Gran Bretagna nel 1948 ed i programmi di assistenza gratuita per anziani e indigenti attuati negli Stati Uniti a partire dal 1965 furono il frutto di una politica e di una cultura liberista.

"Il popolo è lo stesso ovunque. Quando gli fai d’oro le catene, non odia il vincolo" (Arthur Schopenhauer)

Questo non può però significare ad esempio permettere ad un industria di scaricare liberamente cloro nell'atmosfera... a livelli tipo Michael Rozzeff che accusa lo stato di imporre cose che è necessario imporre poichè se lasciate al libero arbitrio sarebbero deleterie a tutti; gli esempi che lui usa: fumare in un bar, l'utilizzo del casco e delle cinture di sicurezza, far uso di una lampadina della luce ad incandescenza, inserire i fosfati nei saponi, dover utilizzare una lavatrice con il carico frontale, la pressione massima stabilita nell'erogazione dell'acqua nelle doccie, il limite di capienza per il serbatoio dello sciacquone, le mutilazioni genitali (circoncisione eccetera). Per quanto repressive, sono tutte cose che non possono essere lasciate a libera scelta, perchè tale scelta andrebbe a scapito di tutti, come il furto, come l'omicidio. Non si tratta del desiderio di imporre le proprie opinioni, perchè i punti elencati non sono opinioni ma dati di fatto inopinabili. Qualcuno interpreta forse in modo positivo le mutilazioni genitali? Certo qualcuno ci sarà, ma credo converrete che l'unica spiegazione può essere identificata in problemi mentali, quindi non un opinione libera ma indotta da una patologia che altera la percezione della realtà di quell'individuo, un incapacità di intendere e volere liberamente quindi. Non si tratta perciò delle "proprie ragioni" e di volerle imporre agli altri, ma del buon senso che non è opinione di qualcuno ma è appunto buon senso. Rozzeff scrive "il desiderio di promulgare una legge e di imporre il proprio punto di vista agli altri è, a mio modo di vedere, così stupido, così ignorante, così limitato e miope, così immorale, così inumano, così privo di giudizio, così insensibile, così distorto, così liberticida, così anti-volontaristico, così anti-individuale, così irragionevole, così intollerante, e così pregiudizievole per la persona umana"... invece permettere di mutilare per il resto della sua vita un neonato che non può scegliere nè opporsi come lo vogliamo definire? Tale libertà infatti, a ben guardare, è una libertà utopica, cioè letteralmente un “non luogo”. E’ cioè la stessa libertà che hanno le cellule cancerogene di proliferare senza più ordine e misura, producendo una grande massa di cellule non più legate da vincoli funzionali se non quelli appunto della massima crescita, con la conseguenza delle morte del tessuto ospitante ed, infine, del tumore stesso. Dal punto di vista sociale ciò corrisponde alla morte del tessuto sociale con la formazione di una massa di “disoccupati”, cioè di persone che hanno perso la possibilità di sostentamento e sono ridotti ad una condizione di esclusione sociale se non proprio di indigenza vera e propria. L’esperienza ci insegna infatti che la libertà vera, sia sul piano personale sia sul piano socio-economico, non è quella condizione in cui rinunciamo ad ogni vincolo ma, all’opposto, quella in cui scegliamo liberamente e consapevolmente dei vincoli che ci aiutano a sviluppare al massimo le potenzialità disponibili. Rothbard sostiene che è sbagliato concedere diritti civili alle minoranze, perchè i diritti non si concedono, si hanno, dovrebbero essere spontanei, non stabiliti da un istituzione. Quando un governo concede dei diritti l'unico modo per far rispettare tale concessione è "imporre" delle regole arbitrarie. Sono i diritti fonte di libertà o è la libertà fonte di diritti? Ovviamente si parla dei diritti civili, non certo dei diritti naturali inalienabili dell'individuo che sono pre-costituzionali. I diritti qualcuno li deve sempre pagare, magari assumendosi i corrispondenti doveri. Se ciò non avviene i diritti finiscono. Credere di garantire i diritti obbligando qualcuno ad assumersi i corrispondenti doveri, o spremerlo (opprimerlo) per pagare i diritti ad altri è la strada più breve per raggiungere la rovina. La libertà, che in genere non costa nulla, basta garantirla nel modo più ampio possibile, responsabilizza gli individui e li obbliga ad essere artefici del loro futuro e dei loro diritti e, al contempo, concorre a creare ricchezza che permette di sostenere chi non può farlo autonomamente. Come fa notare Massimo Franceschini nel suo "Linee guida per l'attuazione dei diritti umani", in Italia continuano a promettere diritti superflui mentre al contempo vengono repressi diritti naturali inalienabili quale il reddito di cittadinanza per contratto sociale.

"Ogni diritto in più è una libertà in meno" (Carlo Lottieri)

In campo economico questo vuol dire esercitare una coercizione, ad esempio, nei confronti di un datore di lavoro oppure, peggio ancora, nei confronti di un candidato meritevole che non può essere assunto perchè deve cedere il posto ad un soggetto che gode di diritti concessi dalla legge. I diritti universali sono per definizione negativi (ovvero "non puoi fare questo"), mai positivi ("devi fare questo"). Tu NON hai il diritto di derubarmi, NON hai il diritto di aggredirmi, NON hai il diritto di impedirmi di ottenere un lavoro, NON hai il diritto di limitare l'espressione del mio pensiero e della mia parola. Correlativamente io ho il diritto di non essere aggredito, derubato, zittito, ho il diritto di cercarmi un datore di lavoro che voglia assumermi o di comprarmi una casa da qualcuno che vuole vendermela. Al contrario i diritti positivi sono violenza, perchè se io ho un diritto qualcuno avrà un obbligo. I diritti negativi sono come il sole: "se io mi abbronzo a te non rubo niente". Un mondo di diritti declinati al positivo non può che essere un mondo in cui domina lo Stato, il quale è andato configurandosi come l'istituzione che meglio di tutti può imporsi con la forza agli individui. Infatti nessuna mafia o apparato criminale privato possiede la quantità e la qualità di armi, uomini e mezzi per dominare sulle persone. Tutti coloro che si richiamano allo Stato perchè imponga ciò che essi ritengono essere moralmente giusto, sono delle persone intrinsecamente IMMORALI, e non importa che la loro filosofia di vita sia per me giusta e desiderabile. Su internet gira una vignetta con la foto di due panchine nel Sudafrica dell'apartheid, dove c'è scritto su una "bianchi" e sull'altra "neri"; sotto c'è la stessa foto, ma al posto di "neri" c'è scritto in inglese qualcosa che fa intendere che è riservata alle minoranze come garanzia spettantegli di diritto; la prima foto descrive il razzismo, la seconda la giustizia sociale. Eppure la foto è la stessa...

"C’è un’enorme differenza fra il trattare le persone allo stesso modo e il tentare di renderle uguali. Mentre la prima è la condizione d’una società libera, la seconda sta a indicare, come Tocqueville ha scritto, 'una nuova forma di servitú'" (Friedrich von Hayek)

Ciò implica una presa di distanza netta e risoluta dal concetto di libertà impositiva – e quindi falso e mortifero – del lavorismo nordista, che propone una democrazia – altrettanto falsa e mortifera – che si esaurisce nel voto partitocratico e che esita inevitabilmente nella dittatura del più forte, cioè di un’elite ristretta che detiene il potere economico-finanziario. Si può dire difatti che le "autoproclamatesi" democrazie, siano in realtà effettivamente regimi "plutocratici", sorta di dittature basate sulla manipolazione della volontà popolare. I cittadini non hanno né la conoscenza né i nobili motivi necessari per prendere decisioni coerenti e giuste per il bene comune, e quindi assume la forma di "oclocrazia" ossia i poteri sono in mano alla massa ("popolo" inteso in senso dispregiativo), con tutte le relative conseguenze deleterie. E quest'analisi non è un dileggio campato in aria come rancorosa polemica, ma deriva dalle analisi di tutta una pletora di filosofi che hanno studiato la democrazia come mero sistema elettorale, secondo Schumpeter "produzione di un governo" grazie alle pratiche di un consenso guidato, comprato, manipolato anche nei regimi che riconoscono "la santità della maggioranza", nei quali sono i pochi a esercitare il potere contando su un consenso passivo. Bernard Barber, teorico del sistema sociale, critica un certo numero di filosofi che hanno scritto di politica, tra cui John Rawls, Bruce Ackerman, e Robert Nozick, con la presunzione di arrivare ad emettere ordini del giorno solamente per un giusto ordine politico ed in assenza di una discussione democratica ed in contrapposizone alle castronerie di Hannah Arendt, J. L. Talmon, Franz Neumann, Raymond Aro e le loro "politicamente corrette" analisi dei "totalitarismi" tese a far passare il concetto come "dittatura", ignari di quanto già esposto dai "pre-orwelliani" Spengler, Heidegger, Jünger, Pareto e successivamente dai "post-orwelliani" David Easton, Charles Wright Mills ("grande gabbia burocratica"), Norbert Elias ("società degli individui"), nonché, ce lo si passi, Schumpeter. Eppure anche filosofi dello stesso stampo della Arendt sono stati in grado di farne analisi sociologicamente più realistiche, ad esempio Louis Althusser, Herbert Marcuse, Michel Foucault. Per non dire Max Hockheimer e Theodor Adorno coi loro studi sull'influenza dei mass-media. Magari la Arendt avrebbe fatto meglio ad approfondire Macchiavelli...

"Il filosofo è un prete mascherato" (Friedrich Nietzsche)

Oggi la politica ha un’anima mostruosa. Forse l’ha sempre avuta. Ma allora erano i nostri cuori e i nostri occhi a essere diversi. La politica oggi è mostruosa solo perchè ha creato un meccanismo di autodifesa ed autotutela nel quale la democrazia non può più intervenire, dove il voto non serve a nulla, e dove la Costituzione è diventata carta straccia. I vari Almirante, Berlinguer, Moro, Taviani, Longo, i politici della Prima Repubblica erano dei Santi in confronto alla feccia che abbiamo ora a tutti i livelli istituzionali. Non ce da stupirsene, in un paese, dove la sostituzione del sistema elettorale proporzionale con quello maggioritario invece di risultarne la sopravvivenza di due soli partiti come è in ogni altro paese del mondo, ha dato il via ad una schizofrenica creazione continua di micro-partiti che dicono tutti le stesse identiche cazzate e quindi uno vale l'altro. Solo gli stolti possono pensare che i parassiti eliminino sé stessi.

"I politici non hanno smesso di rubare. Hanno smesso di vergognarsene" (Pier Camillo Davigo)

Votare questa melma è stato e sarà sempre inutile ed inconcludente, anzi deleterio poichè gli dà una pretesa e presunta legittimazione. Nessuna riforma fatta dalla politica partitica attuale potrà eliminare le pensioni d'oro, i vitalizi, gli stipendi da nababbi, i diritti acquisiti immorali, gli sprechi e le inefficienze attuali, nonché le infinite prassi corruttive e ladrocini attuali. Lo si può fare solo per via non istituzionale, ovvero rivoluzionaria, buttando dalla finestra il sistema costituzional-democratico e la masnada infinita di parassiti che lo infetta. La decisione del popolo, piuttosto che le idee dei filosofi di “navigare attraverso strani mari del solo pensiero”, dovrebbe determinare le questioni di giustizia distributiva. La democrazia prevede che pensare diversamente è essere antidemocratico. Se sia meglio oggi dove il voto è inutile, o ieri dove il voto era determinante ma era causa di terrorismo, non sta a me dirlo, dato che la mia opinione è negativa verso entrambe le ipotesi ugualmente. Per quanto riguarda un altro gruppo, i cosiddetti "straussiani occidentali" (scuola di pensiero di Strauss che cerca di far rivivere la scienza politica di Platone e Aristotele, suddivisa in due scuole: la "west coast" e la "east coast") diretto da Harry Jaffa, è difficile dare ai suoi membri anche molto questo credito. Un argomento per la democrazia è: Abraham Lincoln ha favorito il sistema? Il tentativo elaborato di Jaffa, per sostenere che Lincoln ha interpretato correttamente la "Dichiarazione di Indipendenza" americana e per supportare un sistema di democrazia egualitaria, sembra di interesse puramente storico. Perché la posizione di Lincoln dovrebbe essere di una qualsiasi importanza oggi? Ognuno dovrebbe avere il controllo dei propri affari, nella misura in cui la sua libertà non lede l’eguale libertà degli altri. Nessuno ha il diritto di schiavizzare un altro e fare di lui un mero strumento. Nella versione di questo argomento, c'è il sospetto che ci sia dietro l’appello di Jaffa la Dichiarazione a sostegno di una repubblica egualitaria. Se “tutti gli uomini sono creati uguali”, come può un sistema politico essere giustificabile se alcuni hanno diritto di dominare sugli altri?

"Questo nuovo Dio che ha nome suffragio universale [...] con o senza suffragio universale, è sempre un oligarchia che governa" (Vilfredo Pareto)

In questo si inserisce il teorema di Amartya Sen sull'incompatibilità tra libertà ed efficienza paretiana: A ha la possibilità di istruire B che però non vuole essere istruito, per cui A deve scegliere tra forzare la volontà di B e quindi essere illiberale, oppure non forzarla e allora B starà peggio ma come ha voluto lui. Il teorema non è nient'altro che la rappresentazione di un bene meritorio, ed evidente può essere fatto il riferimento ad esempio al Cile di Allende: lasciare che i comunisti devastino liberamente il loro stesso paese, oppure PER IL LORO STESSO BENE impedirgli di farlo? Secondo tale teorema la dittatura prima di tutto non è UN SISTEMA a sè stante ma una contingenza che qualunque tipo di sistema di governo può adottare quando ciò sia necessario al bene nazionale, dato che quando un intero popolo impazzisce bisogna forse lasciarlo distruggersi con le sue stesse mani? Se la maggioranza decide democraticamente di proibire le libertà, bisogna lasciar fare?

"La democrazia è due lupi e un agnello che votano su cosa mangiare a pranzo. La libertà è un agnello ben armato che contesta il voto" (Benjamin Franklin)

Quelli che criticano la dittatura sono poi i primi in relazione al movimento 5 stelle a dire "questi pericolosi arruffapopolo devono essere messi al più presto in condizioni di non nuocere. Dovessero mai andare al governo la loro incapacità e la follia delle loro idee sarebbero una sciagura" o ad auspicare il divieto del fascismo o la cancellazione delle pagine fasciste da facebook ecc e a fare l'apologia di una cosa della quale non si capisce invece come non se ne vergognino ossia lo scempio di piazzale Loreto che Pertini stesso definì spettacolo degno di tribù non civilizzate. La dittatura non è assolutamente una prerogativa e tantomeno un punto fermo del fascismo, e ancora tantomeno del pensiero mussoliniano; le democrazie liberali sono tali solo perchè, e fino a quando, non hanno MOTIVO di instaurare una dittatura, e a quel tempo non avevano avuto il percorso italiano che sfociando nelle contingenze dei primi anni '20 aveva reso NECESSARIA la dittatura in Italia, e a conferma di ciò abbiamo l'esperienza della democratica Spagna: cosa è successo quando i comunisti si sono avvicinati al potere? Forse che se questa condizione si fosse verificata in Gran Bretagna, il suo modus operandi sarebbe stato diverso da quello spagnolo? E per quanto riguarda gli Stati Uniti d'America, non serve neanche tanto ricorrere a congetture, dato che il liberticidio (maccartismo) era praticato pur in ASSENZA di un vero pericolo! Pensate quindi se il pericolo ci fosse stato davvero! In Italia tra il 1926 ed il 1945 per questioni che sono state contingenti QUELLA era la maggior libertà POSSIBILE!

"Se il carro precipita, credo di far bene se cerco di fermarlo; se il popolo corre verso un abisso, non sono reazionario se lo fermo, anche colla violenza" (Benito Mussolini)

L'ignoranza su questo tema è immensa, tanto che, a loro vedere, gli ignoranti danno perfino per assodato che quando le democrazie liberali instaurano la dittatura (vedi Pinochet come esempio), a loro dire ciò diventa automaticamente fascismo... ma secondo quale logica??? L'abbiamo vista come è finita in Cile, quando la dittatura non serviva più, è stata abolita, semplice, ritornando al sistema precedente. Come è successo in Spagna nel 1975, che solo l'ignoranza può definire essere stata fascista fino allora. Probabilmente anche per il fascismo sarebbe stato così, una volta finita la necessità, si sarebbe abolita la dittatura, ritornando al sistema precedente, il fascismo in questo caso, non l'italietta di Nitti. Spagna e Cile una volta abolita la dittatura sono ritornate al sistema precedente che con la dittatura si era sostenuto; ma tale sistema non era il fascismo! In Italia tornare al sistema pre-fascista avrebbe anche potuto succedere, ma ciò sarebbe stato un abolizione parallela del fascismo assieme alla dittatura. Ma non è che la fine della dittatura avrebbe dovuto voler dire la fine del fascismo per tornare all'italietta! Sarebbe benissimo potuto continuare il fascismo, senza dittatura. Alla facciaccia di chi dice cose del tipo "oggi i fascisti possono permettersi di scrivere liberamente grazie ai partigiani"... fanno talmente tenerezza nella loro ingenuità che viene perfino pena a renderli edotti della realtà, ossia che nel caso il fascismo fosse persistito fino ad oggi, non ci sarebbe nè più nè meno che libertà di quella che c'è già, magari pure di più, e non si vede perchè secondo loro avrebbe dovuto essere diversamente. O meglio, lo si capisce, si, sulla base del pregiudizio basato sull'esperienza del regime fascista, nella loro incapacità di capire che la dittatura non è una prerogativa del fascismo ma durante il periodo coincidente col ventennio essa vi sarebbe stata indipendentemente dal fascismo, chiunque ne fosse stato il protagonista, poichè a volerla ERA IL RE. Ed anche se nessuno ha la sfera di cristallo per vedere come sarebbe andata, è abbastanza irreale ipotizzare che sarebbe perdurata fino ad oggi se il fascismo fosse rimasto in sella. Sarebbe scemata col venir meno delle necessità che l'avevano determinata, e sempre per l'assenza di sfera di cristallo non possiamo sapere quando, ma considerata la situazione esistente nel 1934 certamente a breve: se non ci fossero stati tutti gli eventi che poi hanno portato alla guerra probabilmente anche ben prima del 1945, realisticamente nell'arco di 2-3 anni cioè entro il 1937; quando senza le interferenze del Re (che TOLLERAVA il fascismo SOLO per il lato bonapartista) anche ben prima del 1937, nella prospettiva in cui, senza le conseguenze della crisi del '29, le sanzioni, la guerra di Spagna, ed il riarmo tedesco, Mussolini avrebbe sicuramente scatenato ciò che aveva poi esplicitamente promesso in un discorso del 25 ottobre 1938 e chiamava "terza ondata", anti-monarchica, che non avrebbe potuto che consistere nell'instaurazione della Repubblica e nel contemporaneo ripristino delle libertà di associazione e di stampa che ERA SEMPRE STATO IL RE A VOLER MANTENERE PROIBITE. Ora alla luce di ciò, chiedetevi di chi è stato l'interesse nell'aggressione all'Abissinia e nell'alleanza con la Germania... Ciò avvenne perché la monarchia sabauda analogamente ad una parte consistente, per non dire maggioritaria, dell'alta borghesia industriale e finanziaria italiana avrebbe preferito che il fascismo che si limitasse a ridare vigore allo Stato liberale decrepito ed impotente, secondo le parole d'ordine del "ritorno allo Statuto" reinterpretate in una chiave maggiormente autoritaria ed anti-parlamentare rispetto al periodo 1913-1922. Non altro.

"Il fascismo che non è più liberazione, ma tirannia; non più salvaguardia della nazione, ma difesa di interessi privati e delle caste più opache, sorde, miserabili che esistano in Italia; il fascismo che assume questa fisionomia, sarà ancora fascismo, ma non è quello per cui negli anni tristi affrontammo in pochi le collere e il piombo delle masse, non è più il fascismo quale fu concepito da me, in uno dei momenti più oscuri della recente storia italiana" (Benito Mussolini)

Ovviamente il ripristino delle libertà che erano state soppresse per volere sabaudo non avrebbe significato ripristino della democrazia parlamentare, come se le due cose fossero complementari (cosa che non è nemmeno un pò nonostante la gente tenda a fraintenderlo); il monopartitismo (che non è sinonimo di dittatura come anche in questo caso la gente tende a credere) avrebbe anche potuto permanere, ma più realisticamente sulla base di quanto è noto abbiamo due possibilità: o l'abolizione del partito fascista (come più volte ipotizzato da Mussolini), e quindi l'instaurazione di quello che chiamiamo "tecnocrazia"; o, in virtù delle politiche distributiste, l'instaurazione della democrazia organica corporativa e quindi del multi-partitismo e multi-sindacalismo (dai quali il sistema elettorale organicista-corporativo non può prescindere per forza di cose). L'ipotesi più realistica è che anche se si fosse instaurata la tecnocrazia, comunque prima o dopo sarebbe stata introdotta la democrazia organica-corporativa. Ma di sicuro non il ritorno al sistema parlamentare dell'italietta! A meno, ovviamente, come già detto, di una soppressione del fascismo stesso da parte di forze avverse, come poi è stato.

“Le cose da Mussolini già fatte lo condurranno prima o poi ad un serio conflitto con il capitalismo” (Bernard Shaw in un’intervista concessa al “Manchester Guardian”, 1937)

Io non critico la democrazia come "declino dello stato" come dal punto di vista di Thomas Mann, Oswald Spengler, Giuseppe Prezzolini, Giovanni Papini, Carl Schmitt, Ernst Jünger, o come retrograda critica ai "principi dell'89" come Friedrich Nietzsche, o Joseph Schumpeter, o gli elitisti Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca, Roberto Michel che hanno sconfinato nell'irrazionalismo con Henry Bergson, ma dal versante opposto, cioè l'ingigantimento dello stato, la deriva nomocratica (la sovranità delle leggi, che solo difficilmente i regnanti possono modificare), quindi più dal punto di vista di Alfredo Rocco, cioè come mero sistema elettorale, secondo Schumpeter "produzione di un governo" grazie alle pratiche di un consenso guidato, comprato, manipolato anche nei regimi che riconoscono "la santità della maggioranza", sono i pochi a esercitare il potere contando su un consenso passivo, ma proprio per questo sono costretti a mettere in atto esigenze per instradarlo questo consenso. Quindi io non critico *la* democrazia, ma il parlamentarismo! Cioè la forma che affida al parlamento la legislazione con tutte le relative nefaste conseguenze di cui oggi tutti si lamentano incapaci di capire che sono causate dal parlamentarismo!!! Purtroppo oggi sono tutti incapaci di discernere le due cose ed invece intendono quella parlamentare come l'unica forma di democrazia considerando le due cose un tutt'uno, perfino i suoi critici ne parlano facendo confusione tra i due termini usando "democrazia" quando ciò che invece intendono è il solo parlamentarismo!

“La democrazia è solo un modo per metterlo nel culo alla gente col suo consenso” (Massimo Fini)

Tanto per farvi capire, io fin dall'età di 14 anni ho avuto la percezione di questo sistema come di un bambino gigantesco, e credo che il senso possa essere chiaro; ebbene, di recente sono venuto a conoscenza, con stupore, che già Gramsci definì in tal modo il fascismo... ora io non voglio polemizzare su chi tra i due avesse ragione, benché al momento avessi trovato perfino paradossale l'appiccicare tale definizione non alla democrazia parlamentare ma al fascismo (o comunque se viene appiccicata al fascismo, a maggior ragione lo dovrebbe essere al parlamentarismo), ma almeno vorrei enfatizzare la mia visione (indipendentemente che valga o meno anche l'altra): io ho sempre identificato questo attuale sistema come un bambino gigantesco, e ciò spontaneamente, era semplicemente come lo percepivo, e personalmente ragioni per giustificare tale percezione ne ho eccome, derivate dalla mia esperienza personale. Ovviamente, ragionando con lucidità e accantonando i pregiudizi, l'analisi che ne ricavo è non di una contrapposizione tra la mia opinione e quella di Gramsci, ma di una percezione comune sugli aspetti comuni ad entrambi i regimi. Ovvero, gli stessi aspetti che io identifico come tali nella democrazia parlamentare, valgono anche ancorchè sussistenti durante il fascismo, ovvero praticamente tutto dato che nonostante gli accenti che si tende a dare a certi aspetti, sinceramente bisogna ammettere che le differenze fondamentali tra il ventennio mussoliniano e tutto il resto della storia dell'Italia unita sono pressochè irrilevanti oltre all'aspetto esteriore. Qualunque diversa interpretazione è solo ingenuità.

"Il cinismo è l'arte di vedere le cose come sono piuttosto che come dovrebbero essere" (Oscar Wilde)

Se prima della caduta della monarchia l'effimero tentativo di intraprendere la via della socializzazione e del credito sociale con la creazione nel 1926 dell'"Ente Nazionale Cooperative" e con la riforma della Banca d'Italia non poteva altro che rivelarsi impossibile da portare avanti per l'ostilità dei "padroni del vapore", delle altre politiche distributiste non sarebbe nemmeno stato possibile considerarne realisticamente la proposta di sperimentazione in un contesto che vedeva i "padroni del vapore" avversi ad ogni minimo tentativo di Mussolini di apporre una qualche modifica al sistema economico, il corporativismo per come applicato (se mai lo fu veramente...) durante la fase finale del ventennio fu fallimentare o quantomeno inutile, si risolse in un governo che invece di essere *per* la borghesia era *con* la borghesia, cioè i suoi interessi erano insediati direttamente nello stato senza più le normali mediazioni, poiché interpretato con aspettative velleitarie di conciliazione forzata della "lotta sempre latente ed esistente fra il capitale e lavoro" tra le due parti inconciliabili, anziché come semplice metodo di sistema amministrativo su base sindacale quale è il suo senso stesso. Le corporazioni non sono sindacati, perché non si occupano solo di rivendicare diritti settoriali di parte del mondo lavorativo ma di affrontare e gestire tutte le questioni davvero importanti – dalla formazione alla pensione ed alla tutela previdenziale. Le gilde si fanno promotrici di una visione organica ed umana del lavoro, raccogliendo al proprio interno apprendisti e professionisti già affermati, giovani e vecchi, dipendenti e proprietari, appartenenti a tutte le classi sociali ed a tutti ruoli lavorativi. Le gilde non si limitano a rivendicare ma propongono costruttivamente anche soluzioni e sono in grado di trovare al proprio interno le risorse per far fronte ai principali problemi socio-economici-organizzativi, senza dover ricorre necessariamente ad interventi assistenziali statali. Le gilde distributiste favoriranno al loro interno la massima diffusione della proprietà privata, in modo da mettere chiunque lo voglia nella condizione di poter diventare proprietario o con-proprietario dei mezzi di produzione, diffondendo quindi equità, prosperità e stabilità economico-sociale. I vari rappresentanti delle gilde potranno poi riunirsi in un consiglio cittadino e formare l'equivalente degli odierni assessorati, in grado di comporre le singole proposte in un visione comune, e dialogare poi, da una posizione di forza e non subordinata, con i rappresentanti delle amministrazioni pubbliche. Quale spazio avrebbe il rappresentante di una gilda o corporazione per prendere decisioni, firmare proposte, sostenere atti che vadano contro quanto democraticamente deciso in seno alla corporazione stessa? Praticamente nessuno, perché ogni sua azione pubblica cadrebbe sotto l’occhio attento e vigile dei membri della gilda stessa ed a questi – e solo a questi - dovrebbe poi renderne conto.

"Il motivo di quello che è stato, non il fallimento dell’idea corporativa, ma la sua inefficiente realizzazione pratica, si deve, a mio modo di vedere, a un fatto: la sua applicazione solitaria. E' logico che sul piano giuridico non era possibile risolvere le lotte secolari di classe perché da un lato noi avevamo il lavoro, semplicemente con i suoi riconosciuti diritti di associazione, dall’altro noi avevamo il capitale con tutte le sue prerogative, cioè con tutte quelle possibilità che a un certo momento potevano effettivamente avere il potere di imbrigliare lo Stato. del resto anche il sistema delle commissioni di fabbrica, instaurato nell’ultimo periodo, non poteva portare al risultato sperato. La socializzazione dell’azienda significa quindi creare il catalizzatore del corporativismo se non addirittura la corporazione funzionante, significa far cooperare efficacemente tutti i vari fattori produttivi nell’interesse dei partecipanti alla vita dell’azienda, subordinati, in ogni caso, a quelli più alti della vita della Nazione" (Angelo Tarchi, 20 febbraio 1944)

Anche riguardo le vantate "conquiste sociali" del fascismo, il sociologo Leo Löwenthal ridimensiona la cosa, facendo notare come esse facessero parte di un più ampio progresso "secolare" esteso a tutto il globo, e perciò non opera specifica del regime fascista italiano. Altrimenti, come dice, "si rischia di accreditare ad esso ciò che, invece, era il frutto di una tendenza generale in atto in tutti i paesi che avevano raggiunto un certo grado di sviluppo". Questo sembra ulteriormente dimostrare l'assenza di vere differenze sostanziali tra l'Italia del ventennio e qualunque altro paese contemporaneo. Solo nella statalizzazione del sistema economico sul tipo keynesiano (IRI) con scusa lo scopo di salvare aziende che altrimenti sarebbero fallite, il fascismo si spinse più in là rispetto a tutti gli altri paesi "capitalisti", facendo dell'Italia fascista il secondo (o terzo, se vogliamo proprio considerare come stato indipendente la Mongolia) stato comunista al mondo. Su questo ovviamente i capitalisti non avevano nulla da obiettare, anzi, dato che da un lato tale operazione salvava quelli decotti dall'altrimenti inevitabile fallimento completo, e dall'altro dato che, a differenza di quanto tutti credono, l'interesse del capitalista sta nella difesa NON *del capitalismo* in sè ma solo del proprio orticello, la statalizzazione di quello altrui gli è sempre ben gradita visto che gli toglie dai piedi potenziali concorrenti e allo stesso tempo gli mette a disposizione una fonte agevolmente sfruttabile per i propri interessi, quale le aziende statali sono. Al contrario, un azienda socializzata non potrebbe portare alcun vantaggio ai capitalisti, ed anzi gli sarebbe concorrenziale, da cui l'ostilità da parte loro.

"Da parte industriale e confindustriale vi sono l'opposizione e la preoccupazione, storiche, nei confronti di una organizzazione della produzione non capitalistica basata sul principio democratico "una testa, un voto", anziché capitalistico "una lira, un voto". Da questo punto di vista, da parte confindustriale si può accettare un sistema cooperativo formato da piccole imprese che non sono in grado, né vogliono giocare a tutto campo, ma l'esempio di grandi imprese, capaci di crescere e competere rappresenta quasi un affronto anche ideologico" (Lodovico Festa)

Si può senza ombra di dubbio affermare che il comunismo è stato il più grande affare mai fatto dai "padroni del vapore". Purtroppo in questo caso interesse personale e interesse collettivo non coincidono... l'inefficienza delle aziende statali nuoce alla collettività (e quindi prima di tutti al "proletariato") molto più di quanto convenga personalmente ai capitalisti privati. Alla luce di ciò, e solo di ciò, gli antifascisti avrebbero pure ragione a deplorare il fascismo, se lo facessero per questo motivo; purtroppo invece lo fanno per motivi sbagliati, in maniera perfino paradossale diametralmente opposti a quelli condivisibili.

"Noi potremo realizzare lo Stato corporativo non soltanto sul piano dell’impresa ma anche sul piano dello Stato, nel senso cioè che siano le forze produttive dei lavoratori a determinare quella che è la necessità economica nei vari settori produttivi e quindi ancora a dare l’apporto diretto a tutta la vita economica dello Stato" (Angelo Tarchi, 20 febbraio 1944)

Anche la creazione a scopo planistico dell'"Ente nazionale per l'organizzazione scientifica del lavoro" sempre nel 1926 si rivelò inutile e restò lettera morta di fronte all'opposizione degli industriali retrogradi.
Per venire ad un compromesso si può differenziare per età: la democrazia parlamentare è un bambinone di 2 anni, il ventennio fascista un adolescente di 15, ed il comunismo un vecchio di 90 anni con demenza senile in fase avanzata. Vogliamo una buona volta applicare un sistema sociale che corrisponda ad un adulto di dimensioni adeguate all'età?

"Esiste una tendenza al dispotismo insita nel potere stesso e la cosa non cambia, ma semmai, diventa più pericolosa in una società democratica" (John C. Calhoun)

In effetti, il reddito di cittadinanza è talmente connaturato alla democrazia che il semplice fatto di disattenderlo dovrebbe di per sé suscitare seri dubbi sulla democraticità di uno Stato.

"Uno Stato che non sia in grado di garantire il diritto fondamentale di una vita dignitosa a ciascun cittadino non solo non dovrebbe essere definito democratico, ma non dovrebbe neppure essere definito uno Stato civile, quale che sia la causa della sua inadempienza" (Pietro Muni)

Ed invece è tuttora considerato un privilegio perché ancora nessuno si è sognato di applicargli la retorica dei diritti acquisiti, della meritocrazia e tutte le altre menate che vengono applicate al lavoro dipendente o ai pensionati. Sullo sdoganamento del reddito di cittadinanza accaduto di colpo 3 anni fa, ci viene un utile spiegazione da Thomas Kuhn, nel suo libro “Struttura delle rivoluzioni scientifiche” del 1962, sosteneva che le grandi mutazioni nella scienza non avvengono gradualmente ma per bruschi cambiamenti che introducono una visione diversa, alternativa, degli stessi fenomeni che prima venivano interpretati secondo le teorie correnti. Kuhn definisce tali eventi un cambio di “paradigmi”. Il nuovo paradigma prima viene prima ferocemente rigettato dall’establishment, che lo demonizza ed in alcun modo è disposto ad accettarlo; poi attecchisce in una fascia sempre più ampia di persone fuori dall’establishment; infine rovescia l’establishment e si impone come paradigma dominante. Abbiamo visto questi fenomeni succedere con il superamento della teoria eliocentrica, con il passaggio dalla scienza positivista a quella moderna e da quella moderna a quella post-moderna. Ma per capire come questo giro di boa sia potuto accadere bisogna partire da lontano, dalla ricerca delle origini del capitalismo e dei sistemi vantati come alternativi, nell'analisi di Costanzo Preve.

"La mente che si apre ad una nuova idea non torna mai alla dimensiose precedente" (Albert Einstein)

Marx analizza le basi del capitalismo, individuandone l'inizio con la teoria dell'accumulazione illimitata, basata sul valore di scambio delle merci, che ha soppiantato il valore d'uso. Così facendo, tutto il lavoro umano è sostanzialmente diventato una merce, cosa che ha anche determinato il tipo di relazioni interpersonali e di struttura sociali. A questa analisi, va affiancata un'opera di interpretazione e di, seppur parziale, recupero delle teorie di Adam Smith, David Ricardo, Jean Charles, Léonard Simonde de Sismondi, Charles Bray, William Thompson, Thomas Hodgskin, John Gray, e John Francis Bray (definiti, a torto o ragione, "proto-comunisti"). A differenza di ciò che comunemente si crede, il “comunismo” nasce dalla borghesia, per meglio dire dalla coscienza infelice della borghesia. Questa classe, che storicamente fu la forza motrice del capitalismo, si è trovata nella situazione di crisi, dovuta all'impossibilità di coniugare le forze del mercato con la sua volontà di emancipazione dell'intera umanità. Questo è un aspetto molto importante, per capire le tendenze odierne. Ciò che il grande capitale internazionale sta facendo è procedere alla forzata eliminazione del ceto medio, la borghesia, proprio per sbarazzarsi della classe sociale che potrebbe ribellarsi ponendo fine al dominio mercantilista, basato sulla mercificazione di ogni rapporto sociale. Un processo simile sembra accadere dal punto di visto politico. Il crollo del muro di Berlino nel 1989 ha segnato la fine del paradigma comunista, lasciando orfani di un punto di riferimento forte milioni di persone in tutto il mondo. L’apparente rivale del comunismo, il liberal-capitalismo, che sembrava destinato a regnare incontrastato, mostra ancora una volta tutte le sue deficienze – quelle deficienze strutturali che aveva già mostrato nella crisi degli anni ’30 del secolo scorso - ed è palesemente incapace di porsi come valido modello di riferimento per l’azione politico-sociale. Tutto ciò ha generato un senso di sbandamento collettivo, un venir meno di contenuti in grado di aggregare grandi masse ed il ripiegamento, da parte delle persone più intellettualmente oneste e consapevoli, nel piccolo e nel micro: piccole iniziative sociali, micro partiti o liste civiche locali che si occupano di temi specifici senza aver più una visione globale, con programmi invariabilmente tutti uguali e fondati sul già esistente, varianti da esso solo nelle sfumature. I politici del vecchio establishment, anche loro disorientati, in una sorta di vana coazione a ripetere, tentano di riprendere vecchi paradigmi – il comunismo ed il liberal-capitalismo lavorista – e di ripresentarli con abiti nuovi: una minestra riscaldata, a cui probabilmente non credono in cuor loro nemmeno loro. Chiusi nel ristretto recinto dei loro paradigmi, condannano i pochi che ancora li seguono a diventare schiavi delle banche e dell’elitè finanziaria globalizzata. Come si può parlare di progressismo in riferimento ad un partito luddista?

"Mi sembra che sia uno degli errori più frequenti e pericolosi del nostro tempo credere che la libertà economica e la società ad essa legata non siano conciliabili con criteri di valutazione cristiani. Questa inesorabile concezione è responsabile del fatto che gran parte del clero si senta attirata verso la sinistra socialista, favorendo cosi, in modo tragico il vero nemico morale del cristianesimo, il comunismo. La verità è che proprio i moventi più forti per l'economia di mercato e per la libertà economica sono di natura etica. Sono i valori morali del nostro patrimonio occidentale che richiedono l'economia di mercato, e non il sistema economico opposto, vale a dire il collettivismo. Per converso, l'economia di mercato e la libertà economica hanno bisogno di quei valori morali del patrimonio occidentale" (Wilhelm Röpke in "Etica Cristiana e libertà economica", capitolo "il Vangelo NON è socialista")

Di fronte a questo vuoto desolante e deprimente, si erge il distributismo, la proposta cioè di un paradigma del tutto diverso da comunismo e liberal-capitalismo lavorista, in grado di superare le aporie e le incongruenze che questi due sistemi hanno generato e continuano a generare. Il distributismo è una presa di distacco netta, precisa, inequivocabile dai fondamenti strutturali che caratterizzano comunismo e liberal-capitalismo lavorista. In sintesi: il distributismo rigetta senza compromessi l’assunzione di fondo che lega questi due modelli, cioè che la proprietà ed il potere, invece che essere massimamente diffusi e distribuiti nel corpo sociale, debbano concentrarsi nelle mani di pochi. Per il comunismo infatti è buono e giusto che sia una struttura statale centralizzata a detenere la proprietà dei mezzi di produzione, il capitale ed il potere di decidere le politiche legate all’attività socio-lavorativa, mantenendo quindi separati lavoro e capitale e relegando i cittadini in una condizione di cronica impotenza. Allo stesso modo, per il liberal-capitalismo lavorista è buono e giusto che capitale e lavoro debbano rimanere separati e che potere e proprietà dei mezzi di produzione siano prevalentemente concentrati nelle mani di pochi, i capitalisti. Nessuno di questi due sistemi riconosce la centralità della famiglia e dei corpi sociali intermedi nella vita economica ma entrambi concepiscono fondamentalmente la società come un’aggregazione di individui singoli. E’ evidente a tutti, inoltre, come negli ultimi decenni questi tratti comuni di comunismo e lavorismo abbiamo dato vita ad una vera e propria alleanza tra questi due sistemi, un’alleanza cioè tra uno stato centralista ed accentratore e l’oligarchia economico-finanziaria nazionale ed internazionale, con il risultato di una progressiva ed inarrestabile concentrazione di risorse e potere nelle mani di una sempre più ristretta fascia di persone – il famoso 1% della popolazione ormai noto a chiunque – la trasformazione dello Stato in un esattore fiscale per conto del mondo finanziario e la progressiva e costante perdita di potere reale da parte dei cittadini.

"Non appena la libertà economica che l'economia di mercato concede ai suoi membri è rimossa, tutte le libertà politiche e le carte dei diritti diventano inganno... La libertà di stampa è un puro inganno se l'autorità controlla tutti gli uffici stampa e le cartiere. E così sono tutti gli altri diritti dell'uomo" (Ludwig von Mises)

Che fare dunque?
Molto semplice: Invece che disperdersi in mille rivoli protestatari privi di una visione unificante, è necessario affrontare di petto la questione centrale, cioè il fallimento del lavorismo capitalista e del comunismo e di tutti i loro derivati e vie di mezzo, e proporre una visione totalmente alternativa, coerente, ragionevole, pratica, in grado di sostituirli, cioè una terza via, ma vera, non quelle vantate dalle "vie di mezzo" che non sono e non possono per definizione stessa essere "terze" ovvero alternative. Questa visione è il distributismo e si basa su cinque punti cardinali: E in subordine (alle necessità e possibilità riscontrate) come "credito sociale": Solo seguendo questa visione generale, questa strada, in maniera coerente e costante, in qualunque contesto istituzionale ci si trovi – quartiere, comune, provincia, regione, Stato - si potrà davvero operare dei cambiamenti che incidano concretamente e strutturalmente sulla qualità della nostra vita. Nelle società moderne l'uomo viene definito "cittadino" e in quando "cittadino" usufruisce dei diritti fondamentali. Secondo i teorici del "lavorismo" l'uomo facente parte della società civile deve essere definito "lavoratore" e in quanto "lavoratore" usufruisce dei diritti fondamentali. Fornendo potenzialmente a tutti un reddito incondizionato, però, si andrebbe incontro a una società in cui lavorare diventa un’opzione. Una società post-lavoro, insomma; difficile da accettare in una “Repubblica fondata sul lavoro” come la nostra, in cui il lavoro è anche “una forma di affermazione e costruzione dell’identità personale” concetti vuoti e perfino paradossali ultimamente accampati dal nemico numero uno del reddito di cittadinanza (sotto forma di marionetta di De Benedetti) Matteo Renzi. A dar manforte a Renzi interviene (e non ce ne si può certo stupire...) uno degli ultimi residuati dell'"intellighenzia" culturale di gramsciana strategia, Michele Serra: “Riuscite a immaginare un mondo nel quale la propria fisionomia individuale e sociale non sia anche il frutto di quello che si è capaci di fare? Io no. Sono cresciuto nel mito del ‘lavoro ben fatto’, dell’operaio Faussone (Primo Levi, ‘La chiave a stella’). (...) Una eventuale società di assistiti, nella quale il ‘lavoro ben fatto’ diventa appannaggio di pochi privilegiati, non sarebbe forse una società di depressi, anche se con la pancia piena?”. Questo significa invertire causa ed effetto, dato che lo scopo del reddito di cittadinanza è riempire pance oggi tenute artificialmente vuote in una società dove già "il ‘lavoro ben fatto’ E' appannaggio di pochi privilegiati" quale è quella di oggi, non "sarebbe" ed "eventuale", poiché tale già lo è, e non che sarebbe il reddito di cittadinanza a creare! A un ragionamento di questo tipo risponde l'economista Andrea Fumagalli sottolineando la differenza generazionale: il “mito del lavoro” ben si applica a chi, com’è il caso dei figli del dopoguerra e dei decenni successivi, ha goduto di uno scambio equo: la disponibilità a lavorare in cambio di diritti, tutele e garanzie. Più difficile proporre questa visione a una generazione che semmai ha davanti a sé il “miraggio del lavoro”. Evidentemente Serra vive ancora negli "anni formidabili" del suo simile Mario Capanna... Quindi, a fronte di una realtà che è nel frattempo cambiata, nella quale "la propria fisionomia individuale e sociale non sia anche il frutto di quello che si è capaci di fare" già è castrata senza che sia il reddito di cittadinanza (che non c'è) a determinarlo, casomai “è vero invece che ci sarebbe maggiore possibilità di esprimere se stessi nella gestione libera e autonoma del proprio tempo. Si tornerebbe al concetto di otium latino, sfruttando il tempo liberato per svolgere attività di proprio gradimento, per partecipare all’attività sociale della comunità di riferimento, per costruire relazioni migliori e magari per brevettare invenzioni significative”. La lingua latina distingue nettamente il labor, che evoca il lavoro penoso ed oppressivo, e l’opus, l’attività creativa. “Lavorare” (laborare) ha spesso il significato di “soffrire”: "laborare ex capite", “soffrire di mal di testa”. Viceversa la parola otium non designa affatto la pigrizia o il fatto di “non fare niente”, bensì l’attività superiore orientata verso la creazione, di cui il commercio rappresenta la negazione (negotium, “negozio”).

"In fondo [...] si sente oggi che il lavoro come tale costituisce la migliore polizia e tiene ciascuno a freno e riesce a impedire validamente il potenziarsi della ragione, della cupidigia, del desiderio d’indipendenza. Esso logora straordinariamente una gran quantità di energia nervosa, e la sottrae al riflettere, allo scervellarsi, al sognare, al preoccuparsi, all’amare, all’odiare" (Friedrich Nietzsche, "Aurora")

Viene spontaneo allora chiedersi: l'auspicio della gente della risma di Serra rimasti fermi ai tempi di Cipputi è "una società nella quale il lavoro è appannaggio di pochi privilegiati, una società di depressi con la pancia vuota” quale E' GIA' quella attuale? In prima linea nel dibattito sul reddito di cittadinanza ultimamente si sta ponendo il quotidiano Il manifesto con articoli di entrambe le parrocchie. Non c'è da stupirsene essendo il Manifesto espressione di quella sinistra estrema che guarda con meno sfavore verso la destra sociale, in contrapposizione, per quanto possa sembrare paradossale, alla destra del Pci ("bordighista-migliorista", rappresentata prima da Amendola e poi da Napolitano per intenderci) che invece è la più avversa (poichè il loro punto di vista di una destra interna è di un area che guarda con meno sfavore verso la social-democrazia, che in quanto diametralmente opposta al fascismo ne deriva appunto che guardando verso essa per diretta conseguenza volta le spalle al fascismo), mentre a guardare con meno sfavore il fascismo era la sinistra "leninista" di Pietro Ingrao (da non confondere con quella sovietica-operaista di Cossutta, tutt'altro che compiacente) dalla quale si era scisso il gruppo del Manifesto. Non per niente i "fascisti rossi" di Stanis Ruinas (ex della Rsi che avevano poi aderito al Pci) si identificavano nella sinistra del Pci, mica nella destra come si potrebbe erroneamente pensare. Nell'edizione del 29 gennaio 2017 scrive Laura Pennacchi «La motivazione con cui da parte di molti si giustifica il reddito universale è del tipo "tanto il lavoro non c’è e non ci sarà o quello che c’è è di tipo servile"»... perchè, non è forse così? Loro forse vivono in un universo parallelo dove il lavoro c'è, ci potrà essere, e quello che c'è non è servile? E: "con questa motivazione, però, il reddito di cittadinanza viene a comportare una sorta di accettazione rassegnata della realtà così come è, quindi una sorta di paradossale sanzione e legittimazione dello status quo" e qui il paradosso vano è pretendere comprendano che lo fanno loro dato che casomai è proprio il loro mettere i bastoni tra le ruote che va a mantenere lo statu quo CHE E' IL REDDITO DI CITTADINANZA CHE ANDREBBE A SCARDINARE... "per il quale si verrebbe a essere esentati dal rivendicare trasformazioni più profonde", trasformazioni che tutti sappiamo quali siano dal loro punto di vista, l'aumento dello stato che certo non manterrebbe lo statu quo, no, andrebbe A PEGGIORARLO... "e l’operatore pubblico si vedrebbe giustificato nella sua crescente deresponsabilizzazione (perché per qualunque amministratore è più facile dare un trasferimento monetario che cimentarsi fino in fondo con la manutenzione, la ricostruzione, l’alimentazione di un tessuto sociale vasto, articolato, strutturato)"... giustificato???? Gli sarebbe tolto il gustoso osso di bocca casomai! Almeno ammettono involontariamente che il reddito di cittadinanza E' PIU' FACILE rispetto alle intricate pastoie burocratiche fonte di sprechi e corruzione (il citato "osso") che fanno dei loro amati boiardi statali i peggiori nemici del reddito di cittadinanza. Per finire con le solite tipiche farneticazioni marxiane "accumulazione e della produzione del sistema economico capitalistico nella sua distruttiva versione neoliberista" e "considerazione delle diseguaglianze come problema solo distributivo e redistributivo" dalla cui assenza DA PARTE LORO di comprensione ne deriva la loro ostilità, dato che così è, ed è proprio dalla mancanza di comprensione che il problema è proprio SOLO distributivo che deriva il loro arrabattarsi a cercare soluzioni ad una causa già evidente e che loro negano. Il primo passo per risolvere un problema è perlomeno essere consapevoli di quale sia il problema... come si può pretendere di risolvere un problema senza nemmeno sapere da cosa sia determinato? Ed ancor peggio intestardirsi a negarlo quando già si sa qual'è poichè gli viene mostrato... e le loro soluzioni basate su cause inesistenti le abbiamo viste a cosa hanno portato.

"I socialisti sono come Cristoforo Colombo: partono senza sapere dove vanno. Quando arrivano non sanno dove sono. Tutto questo con i soldi degli altri" (Tiziano Papagni)

Tra cui il solito "lavorare meno per lavorare tutti", lo slogan dei sindacati... abbiamo visto com'è andata a finire... il pubblico impiego, roccaforte della Cisl e della partitocrazia, a 36 ore, mentre il settore privato a 48 ore... non considerando i 100 diversi tipi di contratti di lavoro, la precarietà, l'art. 18, il lavoro definito nero, ecc, che, a proposito, pare che chi se n'è appropriato, i comunisti, siano all'oscuro che "lavorare meno per lavorare tutti" è uno slogan coniato da Pound nel 1933 nel suo libro "Abc dell’economia"... Ovviamente in tale dibattito non viene fatto il minimo accenno ad Ezra Pound. Nell'edizione del 27 febbraio invece Il manifesto pubblica questo articolo favorevole di Roberto Ciccarelli, sorprendentemente critico verso la "sinistra lavorista", il cui succo possiamo sintetizzare dal commento polemico della loro lettrice Valeria Finocchiaro: "non credevo che il Manifesto e gli intellettuali di sinistra avrebbero mai potuto superare a destra i liberali più agguerriti in maniera così plateale". Poi si legge della trovata di Laura Pennacchi fatta propria prima da Fassina ed ora da Renzi del "lavoro di cittadinanza" (un concetto non solo privo di senso ma perfino strafottente nei confronti dei disoccupati) e di "non voler dare stipendi a chi non vuole far nulla"... NON VUOLE???? Alla faccia del populismo, questo vive proprio fuori dal mondo! Ignoranza volontaria e di comodo. Facile apostrofare i soggetti privi di un reddito, privi di qualsiasi diritto, come parassiti non dediti al lavoro, quando la colpa di tale condizione è della gente come lui, come Renzi! Quel "non vuole" è una frase di cui deve solo vergognarsi per la sua cieca stupidità! E allora tutt'Europa è un'Europa di parassiti. Tutta l'umanità è parassita, secondo questa logica! Si consideri che si sta parlando della stessa persona, Renzi, che ha dato 80 euro NON a chi ne avrebbe avuto bisogno, ma a chi già un reddito (e pure cospicuo, sopra gli 8.000 euro annui) ce l'ha... Ma che senso ha??? Che poi non si capisce nemmeno per quale motivo sia stata ideata questa erogazione, a quale fine auspicato avrebbe dovuto portare... Su quale logica può fondarsi il dare una qualunque forma di aiuto economico NON a chi ne ha bisogno ma SOLO a chi NON ne ha bisogno??? Troppo facile sarebbe... poterlo definire almeno "palliativo"... ma non è mica finita, fosse solo questo, vabbè, ma no, addirittura bisogna andare a raggiungere appositamente livelli di "lungimiranza" incommensurabili, che pare li cerchino apposta col lanternino, leggendo che per ottenere questa elargizione bisognava avere un reddito superiore agli 8.000 euro annui, ora salta fuori che chi li ha ricevuti ma in quell'anno ha avuto un reddito inferiore agli 8.000 euro, deve pure restituire gli 80! E si gongolano che perciò non può essere definita una misura populistica... Bella forza! Certo che non lo è, sussidiare SOLO chi NON ne ha bisogno e poi pretendere pure la restituzione se chi li ha ricevuti nel frattempo è diventato ancora più povero (e quindi non si comprende nemmeno come si possa attendersi che possa essere in grado di restituire qualcosa che non ha più... dato che ovviamente non è che uno che non ha altri mezzi di sussistenza possa pure permettersi di risparmiare il poco che ottiene) non può essere definito populismo, e nemmeno un "palliativo", c'è solo un termine adeguato per poterlo definire: pura demenza! Non c'è molto di cui gongolarsi... Sarebbe perfino superfluo fare commenti. "Se uno non ce la fa devi dargli un paracadute, devi aiutarlo, devi creargli un'occasione di lavoro, devi FARGLI FARE formazione professionale"... in ultima analisi è proprio QUESTO l'assistenzialismo, di cui Renzi taccia invece il reddito di cittadinanza. E - peggio - dimostra come si passa dall'assistenzialismo del "dare un aiuto", del "buon cuore cattolico", direttamente alla prevaricazione del cittadino, obbligato a formarsi, come se fosse un bambino da educare da parte dello Stato. Con questa malsana idea: devi essere minacciato di povertà per obbligarti a lavorare. Una motivazione propria ovviamente non è prevista. Se vuole i nostri voti, dovrebbe riconoscere prima di tutto che ha a che fare con delle persone adulte, sufficientemente motivate di voler fare qualcosa di sensato e utile nella loro vita. Non con dei bambini da istruire su come lavorare. O da punire se non si impegnano come vuole babbo.

"Chi dice che il lavoro è un valore e un diritto, o è ignorante o è in malafede. O forse non ha mai lavorato" (Alessandro Pertosa)

A quelli che dicono "perché garantire un reddito per non lavorare anziché assumere per lavorare? A parità di risorse impiegate nel secondo caso si produrrebbe valore per la collettività, attraverso la formazione e l'inclusione lavorativa dei percipienti, magari impiegandoli in compiti di utilità sociale. Sarebbe certamente più giusto, etico, adesivo ai principi di efficacia-efficienza-economicità e, last but not least, dignitoso. E' così blasfemo pensare a uno Stato che stimola la domanda di lavoro? Al punto che preferisce uno Stato che fa la carità?". Tipici discorsi perbenisti di gente sofistica, che crede nelle favole di un "valore per la collettività" che la collettività non richiede poichè se lo richiedesse lo pagherebbe e se non lo paga (e quindi non viene fatto) è perchè gli è superfluo, è veramente difficile arrivarci? Il lavoro garantito è un pò come garantire un cavallo a tutti, per contrastare l'introduzione delle automobili. E a che serve, visto che la tecnologia non richiede più lavoro di massa? Certo... puoi mandare milioni di persone con i badili a sistemare il territorio. Ma oggi questi lavori si fanno con le macchine movimento terra. Il lavoro di centinaia di uomini fatto da una macchina in maniera più precisa, sicura ed efficiente. Puoi anche mandare migliaia di persone negli uffici postali a timbrare lettere. Ma oggi la gente preferisce fare tutto online, senza personale a fare alcunché e inviando raccomandate o richiedendo un certificato direttamente dal divano di casa, a qualsiasi ora. Si vuole forse peggiorare il livello dei servizi per garantire lavoro a tutti? Il luddismo causerebbe il contrario dell'impostazione dell'economia al servizio dell'uomo e del pianeta: se usando l'automazione puoi produrre la stessa quantità di beni e servizi, impiegando meno risorse, ostinarsi a continuare a usare gli esseri umani equivale a fare un danno, al pianeta e agli uomini. Se ad esempio posso ottenere un certificato da casa tramite computer, senza dover andare al comune per richiederlo, risparmio il mio tempo (beneficio per me), o dipendenti risparmiano il loro tempo (beneficio per loro), nessuno deve prendere la macchina o usare i mezzi pubblici per recarsi dove i servizi vengono erogati (beneficio per l'ambiente), non bisogna impiegare suolo ed energia per i locali pubblici in cui tali servizi vengono erogato e per illuminarli e scaldarli (beneficio per l'ambiente). Quando le auto a guida autonoma saranno diffuse ovunque le città cambieranno volto. L'auto di proprietà non avrà più senso per la maggior parte delle persone. Uno studio dimostra che con una flotta di auto a guida autonoma in car sharing, pari al 10% dei veicoli attualmente circolanti, si riuscirebbe a garantire lo stesso livello di mobilità, con un tempo di attesa medio di 4 minuti, e ad un costo inferiore, per spostarsi. Immaginate quali benefici ci sarebbero per l'ambiente! Ma significa anche milioni di posti di lavoro persi nel settore dell'aurotrasporto, della produzione automobilistica e nell'indotto dei servizi. Come vogliamo sostituirli? Vedete alternative al reddito di base? Sinceramente, io preferirei che si continuasse a pagare lo stesso il dipendente delle poste che viene licenziato perché non serve più, pur utilizzando i servizi che lo hanno sostituito. Disponga pure del suo tempo nel modo che più gli piace. E' libero, affrancato dal lavoro. Il suo lavoro lo fa molto meglio un sistema informatico. Che senso ha costringerlo a impiegare il suo tempo in attività che peggiorano la qualità del servizio? Secondo questa logica, allora perchè non propongono pure che le merci siano trasportate a spalla da milioni di camminatori anzichè da camion e treni? O le miniere svuotate dall'acqua coi secchi anzichè dalle pompe elettriche? Per come ragionano sono portati a pensare che si ha diritto ad un'esistenza solo se si è produttivi quando invece l'uomo ha diritto all'esistenza più degna possibile a prescindere dal lavoro. E se questa POSSIBILITA' c'è, perchè non approfittarne? Se non ci fosse, ovvio, non si può cavare sangue da un muro, ma dato che c'è... perché se i soldi ci sono per il lavoro di cittadinanza, ci sono pure per il reddito di cittadinanza, per questo Giovanni Dosi così commenta il lavoro di cittadinanza: "con l’efficienza dello Stato italiano è difficile pensare che funzioni... non siamo capaci neppure di dare soldi alla gente per fingere di lavorare, quindi meglio pagarli direttamente e finirla lì, no?". Gli stessi medesimi soldi, per uno ci sarebbero, e per l'altro no? Se ci sono per uno ci sono anche per l'altro senza dover chiedere niente in cambio! Che senso ha far "scavare buche per poi riempirle"? Solo per sprecare inutilmente ulteriori risorse? Creare lavoro fittizio costa e quindi riduce la cifra destinata al suo stesso pagamento. E solo per spregio verso le persone si vorrebbe ridurre l'efficacia di questa misura? Perché altri motivi non se ne vedono: è solo un puro dispetto. Non sarebbe meglio dare un taglio alla messa in scena e trasferire direttamente il denaro? Ma perché dover sempre andare da un estremo all'altro? Di lavori di pubblica utilità ce ne possono essere pure di utili, non solo "scavare buche per poi riempirle". Il "lavoro di cittadinanza" non è mica incompatibile con una base integrativa incondizionata, possono coesistere le due cose assieme. Il reddito di cittadinanza deve essere una base, un integrazione, non un sostituto del salario, per questo i 780 euro dei 5 stelle sono troppi. Il punto non è come, ma che venga fatto, sia esso senza alcun ritorno in termini di scambio sia inteso come compenso per una qualsiasi prestazione, anche inventata di sana pianta dallo stato. Scrive Pierluigi Bianco: "Il lavoratore stabile rappresenta un modello sociale di carattere eminentemente politico: la stabilità è infatti intesa come una forma di tutela atta a conservare il libero esercizio dei diritti politici garantiti dalle costituzioni democratiche. Infatti solo l'uomo liberato dai bisogni primari (prima casa, lavoro stabile, contratto collettivo di lavoro, sanità, previdenza), può essere in grado di godere della necessaria autonomia atta a garantirgli la libera partecipazione politica. Nella condizione della precarietà, tali diritti restano sostanzialmente preclusi: se nulla il lavoratore può decidere circa la sua sfera individuale e familiare (regolate dall'andamento dei mercati), tanto meno egli potrà esercitare la propria libertà in campo politico". Non bisogna dimenticare che il diritto all'istruzione, ai più alti gradi del sapere per i capaci e i meritevoli (dove il merito è certamente il profitto, ma inteso come il frutto del lavoro dello studente che diventa cittadino per rendere socialmente valide le proprie capacità), ha una funzione economica (è il sapere che produce ricerca, innovazione e quindi nuovo sviluppo economico), politica (una società che si rispetti ha bisogno di chiunque abbia la possibilità di intendere e di apprendere) e umana (il valore di una Costituzione può essere avvertito se offre ad ogni cittadino la possibilità di elevarsi moralmente ed intellettualmente). Il consumatore moderno purtroppo non ha valori di riferimento se non la sovrastruttura ideologica che fa propri i valori della libertà dei mercati, della vita sregolata e dell'individualismo illimitato che si traduce in una sorta di "selezione naturale" dove le libertà reali dei soggetti, la capacità d'essere realmente soggetti pensanti ed autonomi diventa, sempre più, un privilegio per pochi. Per cui viene proposto il "lavoro di cittadinanza"... Rispondo semplicemente: ma perchè secondo loro immancabilmente una cosa esclude l'altra???? Chi ha mai detto che non possa essere fatto ANCHE come dicono loro? Certo che si può! I disoccupati si può "impiegarli in compiti di utilità sociale ecc ecc" e cosa esclude di corrispondergli contemporaneamente anche una base reddituale incondizionata? Non c'è niente ad escluderlo, non sono due cose contrastanti, anzi sarebbe proprio la base reddituale costituita dal reddito incondizionato universale a rendere possibile il lavoro sociale (la cui caratteristica è essere pagato poco proprio in quanto superfluo) come integrazione monetaria del reddito base. Il reddito di base, ovvero quello erogato dallo Stato "per non lavorare" come dicono loro non va considerato "una carità" in quanto in realtà è solo una prima parte di un processo molto più grande e strategico che ha come obiettivo la piena occupazione. E' l'unico modo possibile per poterlo fare. Infatti non basta il solo dare soldi nelle tasche delle famiglie (per non lavorare... secondo loro) e nelle casse delle aziende (per non produrre, secondo loro...?) bisogna che queste elargizioni coi tempi e nei modi assolutamente spontanei e naturali sviluppino il movimento economico. Il reddito di base, quindi, è la biada che alimenta il cavallo, che solo dopo averla assimilata, è pronto per caricarsi ogni sorta di soma. La vera sfida del futuro non sarà nemmeno se dare un reddito di base a tutti... quello sarà inevitabile. La vera sfida sarà il ruolo dell'essere umano. Si evolverà per la prima volta in maniera autoindotta, per modificazione genetica, in modo da reggere il passo dell'intelligenza artificiale, o diventerà una sorta di "animale domestico" della nuova specie di "esseri viventi" creati dall'uomo, autocoscienti, pensanti e con capacità cognitive infinitamente superiori?

"Il fascismo ristabilisce nel mondo contemporaneo gli equilibri necessari, ivi compreso quello fra uomo e macchina: questa può soggiogare l'individuo, ma sarà piegata dallo Stato, il quale la ricondurrà al servizio dell'uomo e della collettività come strumento di liberazione, non come accumulatrice di miserie" (Benito Mussolini)

E con questo non mi riferisco solo a quelle categorie che necessitano tutele. Non è giusto pensare che l'uomo abbia valore solo finchè produce. L'essere umano ha valore in quanto uomo. Il pensiero dominante porta a pensare l'essere umano come oggetto e non come soggetto. Parlano di giustizia ed etica, ma non si rendono conto dell'ipocrisia insita nell'usare queste parole in un discorso in cui si vuole negare il sostentamento di base alle persone? Un sostentamento ESISTENTE, non che dovrebbe essere creato apposta o tolto ad altri! Non voglio dire che le loro proposte non siano "adesive ai principi di efficacia-efficienza-economicità", ma la base per realizzarle è e resta il reddito di base prima di tutto il resto! Così e solo così si può "stimolare" (davanti a questi termini mi chiedo sempre cosa intendano con queste parole...) la domanda di lavoro! Ma se non ho un cazzo da farti fare, perché dovrei assumerti? A fare cosa??? La loro tipica risposta keynesiana "ci sono ingegneri, fabbri, manovali ed il denaro è l'unica cosa che non scarseggia. Il denaro è prodotto da carta e inchiostro"... certo che c'è il denaro: tu lavoreresti per 200 euro al mese? Questo è il denaro che c'è, oggi, in cambio di ulteriore lavoro. Che come già detto, si esplica in una frase ironica diffusa sul web: "c'è tantissimo lavoro in Italia. Il problema sono quelli che pretendono uno stipendio in cambio".

"Il denaro dell'erario è sacro sopra ogni altra cosa. Esso non piove dal cielo e non può essere nemmeno fatto col giro del torchio che, se potessi, io vorrei spezzare" (Benito Mussolini)

"E' tanto disgustoso che un paese che si è dotato di una Costituzione che mette la parola 'lavoro' in cima alla piramide dei diritti (e doveri) impieghi una quota significativa di spesa pubblica per creare lavoro?"... no è tanto disgustoso un paese la cui costituzione usa vagamente il termine lavoro senza dargli un significato preciso e il cui popolo lo ritiene non solo un diritto ma perfino un dovere e che debbano essere impiegati soldi per crearlo anzichè esserne creati. Tralasciando poi le solite stupidaggini sulla dignità e la carità, che nel 2017 sarebbe anche ora di finirla con questa mistificazione che capovolge l'oggettività. Ciò che dà dignità all'essere umano non è il lavoro, altrimenti i più degni sarebbero gli schiavi. Ciò che dà dignità è la libertà. Libertà di dedicare il proprio tempo a ciò che si ama, non a ciò che qualcuno decide dobbiamo fare in cambio di poter vivere. Se ricevere un reddito senza doverlo barattare col proprio tempo fosse poco dignitoso, chi vive di rendita volendo mantenere la dignità o rinuncerebbe alla rendita o si metterebbe a spazzare le strade gratis. Invece in fondo è il desiderio di chiunque quello di poter avere una rendita per potersi liberare dall'obbligo di lavorare. Qualcuno spazzerebbe le strade gratis, qualcuno no. Oggi la tecnologia consente questo. L'automazione ha attraversato diverse fasi, riducendo di volta in volta lo spazio residuo per il lavoro umano: Fin qui è ciò che è successo finora. Ma adesso siamo all'alba di una nuova rivoluzione: l'automazione cognitiva. Si tratta dell'automazione dei processi intellettivi, quelli che molti considerano ancora qualcosa che solo gli esseri umani possono e potranno mai fare. La capacità delle macchine di identificare sé stessi e altri nello spazio e di coordinare le azioni, creando applicazioni come i veicoli che guidano da soli o il negozio senza commessi, che capisce da solo cosa i clienti hanno preso dagli scaffali e fatturano automaticamente l'importo. Sono soluzioni già attuali e in uso in via sperimentale in alcuni paesi. Amazon ha lanciato il suo primo negozio senza commessi, Amazon Go. Questo livello di automazione, quello dell'Intelligenza Artificiale Generale, spiazzerà in breve tempo qualsiasi attività produttiva umana e conosceremo un livello di disoccupazione di massa mai sperimentato prima. Ma non si salveranno neppure le cosiddette professioni alte: avvocati, commercialisti, medici... saranno tutti sostituiti in maniera più efficiente da software di intelligenza artificiale. Anche questo, allo stadio prototipale è già realtà. Una società americana ha sostituito un intero dipartimento legale di diritto fallimentare con IBM Watson. E anche nell'ambito delle diagnosi mediche, Watson è oggi impiegato, sia a supporto degli stessi medici, sia in servizi online, sebbene le diagnosi e le relative terapie, per ragioni "politiche" debbano essere ancora convalidate da un medico umano. Ma è solo una tappa intermedia. Un software di IA è in grado di valutare con una precisione infinitamente maggiore i dati di un paziente, confrontandoli con quelli di tutte le patologie esistenti al mondo, dai casi più comuni a quelli più rari. Cosa che nemmeno il medico più esperto sulla faccia della terra è in grado di fare. Stiamo parlando di macchine che imparano, esattamente come fanno gli esseri umani. Watson può fare l'avvocato, il medico, guidare una macchina... tutto dipende da come lo si istruisce. Impara dalle informazioni che gli si fornisce e dai propri risultati, inclusi i propri errori. Ci saranno ovviamente macchine che ripareranno altre macchine e macchine che progetteranno macchine. E' ovvio. Sono anch'esse attività automatizzabili dalla combinazione dell'automazione cognitiva e dell'automazione industriale. Quindi il "lavoro di cittadinanza" potrebbe anche avere un senso, ma dovrebbe essere solo supplementare al reddito di cittadinanza con destinazione chi avrebbe come unico reddito quello appunto di cittadinanza; di certo non nel senso inteso da Renzi e Fassina cioè l'obbligo di lavorare per ottenere l'intero reddito minimo vitale. Con il reddito di cittadinanza rivendichiamo un Diritto alla Dignità. Non un "pò d'assistenza", non una rendita, non una carità filantropica. Il reddito di cittadinanza sostenuto ed affermato tanto come ius existentiae, diritto di esistenza, o diritto alla sussistenza, "il diritto a non essere costretti a vivere in povertà", come lo definiscono Elena Granaglia e la sociologa Magda Bolzoni. Il diritto alla sussistenza: un diritto che non senza ragione Henry Shue ritiene essere il diritto fondamentale, alla base di ogni altro diritto in quanto senza la sua previa soddisfazione è impossibile usufruire degli altri diritti garantiti dall’ordinamento, per questo definiamo il reddito di cittadinanza come la base su cui dovrebbe poggiarsi la società. La Dignità che può essere il risultato di un lavoro, con cui apre la costituzione italiana. Ma la Dignità va difesa e garantita anche quando un "posto di reddito/lavoro" non c'è. E quello c'è sempre meno. Per non perdere la rotta è necessario attenersi ai fatti: secondo la sinistra il reddito di base è il cavallo di troia ideato dall'oligarchia internazionale per costringerci ad accettare retribuzioni sempre più basse. Ma la porzione di PIL in quota lavoro è in calo costante dagli anni ottanta e ha subito un tracollo a partire dal 2000. Quindi le retribuzioni sono già più basse di quanto potrebbero essere, e non certo a causa del reddito di cittadinanza che non esiste, e neanche a causa dell'"oligarchia internazionale", ma a causa delle perdite secche costituite dalle imposte che è la sinistra a volere; la sola differenza è che non c'è un reddito di cittadinanza ad integrare la cifra già oggi mancante. L'élite economico-finanziaria *NON* ha bisogno del reddito di base per ridurre gli stipendi e tagliare "diritti", le è sufficiente attendere che il grande disaccoppiamento e l'immigrazione facciano il resto. Per quanto riguarda invece la coercizione ad accettare qualsiasi proposta di lavoro è l'assenza di reddito l'arma di ricatto più forte (il così detto ricatto salariale). Ne consegue che il reddito di base è superfluo a conseguire il primo scopo e controproducente per il secondo. Oggi molte "opportunità" di lavoro rendono meno di 1.000 euro, a volte nemmeno 500, quindi non sottovalutare l'impatto sulla tratta degli schiavi dell'introduzione di una base reddituale inalienabile di anche solo 300 euro. Il diritto al reddito restituirebbe ai cittadini la facoltà di dire NO. No al ricatto, no allo sfruttamento, no alla logica ottusa che affida il destino delle democrazie occidentali ad un inutile scontro tra capitale e lavoro. Non possiamo più contare solo sul valore di ciò che il nostro lavoro produce per riscuotere ciò che ci spetta in quanto membri di una specie cha ha saputo moltiplicare la ricchezza mediante la scienza e la tecnologia, lo scontro non può che spostarsi sul terreno della politica. Un reddito di cittadinanza innanzitutto responsabilizza ("empowerment") l'individuo ad un inserimento-reinserimento in società, ad essere produttivo per la società. Fermo restando che un individuo in stato di povertà tutto vuole fare men che meno il parassita o non lavorare. Comodo invece finanziare 20 miliardi di euro alle banche fallimentari piuttosto che istituire un reddito base. Loro sì (i finanziatori di quelle banche) che sono "lavoratori", come gli stessi dirigenti "altamente qualificati" che hanno portato questo paese nella situazione attuale. Tutti i posti di lavoro non necessari o che non dovrebbero essere pagati (a partire da quello di Renzi), come li chiamate? Non sono già di per sé redditi di cittadinanza? Con la differenza che essendo iniqui e fuori misura (e quindi sono sussidi) comportano sprechi ed altri effetti negativi, che un reddito di cittadinanza effettivo non comporterebbe. Casomai chi fa un lavoro inutile è mille volte più parassita di chi non fa nulla, poiché quest'ultimo almeno non spreca risorse e non incide sui poteri d'acquisto altrui. E non fatemi elencare i lavori inutili perchè sennò ne abbiamo una lista che non finisce più.

"Una delle caratteristiche dell’èra economica secondo i suoi aspetti più squallidi e plebei è appunto questa specie di autosadismo, che consiste nel glorificare il lavoro come valore etico e dovere essenziale, e nel concepire sotto specie di lavoro qualsiasi forma di attività" (Julius Evola, "Gli uomini e le rovine")

Ma secondo quale logica un reddito minimo sarebbe antitetico al lavoro? Al contrario, è perfettamente complementare: è un istituto in grado di migliorare il lavoro fornendo eguaglianza di opportunità in entrata, oltre a migliorarne la qualità. Durante un interessante intervento di Federico Pistono (autore di "I robot ti ruberanno il lavoro, ma va bene così") a Sky TG 24 l'intervistatore si chiede stupito come sarà possibile erogare un reddito di base svincolato dal lavoro se ormai anche il lavoro paga poco o niente non vedendo come tra le due cose ci sia più continuità logica di quella che riesca a cogliere: il reddito è una necessità, dell'economia oltre che delle persone che ne devono usufruire, invece al lavoro, a causa di quel processo del grande disaccoppiamento che Pistono cita e che origina dal progresso tecnologico, ne va sempre meno. Questo implica che, se continueremo ad essere retribuiti solo in base al nostro contributo all'economia produttiva, principio che secondo molti dovrebbe essere ancora oggi alla base del meccanismo di redistribuzione della ricchezza (anche se di fatto non lo è più e i dati sulla disuguaglianza lo dimostrano), verremo pagati sempre meno ed in modo sempre più discontinuo. Da notare come esista (per ora) una notevole resistenza da parte degli osservatori più tradizionalisti a prefigurare automazione e reddito di base come elementi complementari, eppure non c'è niente di più errato del considerare il dividendo di cittadinanza come una passività, anziché un meccanismo capace di rendere un'economia tecnologica capace di autoalimentarsi. In sostanza, è proprio anche il fatto che il lavoro "paga poco" a dare un senso al reddito di cittadinanza ed a renderlo possibile! Altri fanno ancora osservare che è abbastanza contraddittorio voler restringere la sfera produttiva attraverso un reddito di cittadinanza, mentre questo reddito sarebbe prelevato su quest’ultima... *voler* restringere "la sfera produttiva"???? E qui torniamo al discorso su Serra: la "sfera produttiva" rimane quella che è già ora! No "voler". Contraddittorio casomai è il voler esprimere opinioni su una cosa senza nemmeno premurarsi di andare a capirne i meccanismi! Anche Jean-Marie Harribey è ostile al reddito di cittadinanza, per il fatto che il lavoro resta oggi un "vettore essenziale di integrazione sociale". "Il diritto al lavoro dovrebbe dunque continuare a prevalere sul diritto al reddito", la sostituzione del concetto di "piena attività" a quello di piena occupazione non rappresentando altro che una "deriva liberale". "Solo il lavoro", ritiene Harribey, "è creatore di valore suscettibile di essere distribuito sotto forma di redditi monetari". Obiezione simile a quest’altra: poiché la distribuzione del reddito di cittadinanza è garantita dallo Stato, il cui bilancio dipende in parte dai profitti delle imprese, se questi profitti calano, non si rischia di non garantire più il reddito? E' l’argomento avanzato da Jean-Paul Lambert, secondo il quale "a lungo andare, un tale reddito minaccia il suo stesso sistema di finanziamento". Obiezione sensata, certo, da parte di gente che continua imperterrita a sostenere il paradosso che il reddito di cittadinanza debba essere finalizzato "all'aumento dei salari" ovvero del costo del lavoro anzichè come buon senso logico vuole alla sua RIDUZIONE! Dato che le cifre per il reddito di cittadinanza arrivano in termini reali, oltrechè dalla riduzione delle imposte, dalla riduzione del costo del lavoro, la questione non si pone, e porla significa non aver capito niente del reddito di cittadinanza. Ed alla solita obiezione su "dove saranno reperiti i soldi di cui lo Stato ha bisogno per compensare gli stipendi bassi dei futuri lavoratori?", dando per scontato che la risposta sia "tassando ulteriormente le aziende", io non voglio fare l'avvocato del diavolo, ma, anche se così fosse (e non lo è, ma è l'esatto opposto), queste "ulteriori tasse" si compenserebbero sui maggiori utili derivati dalla diminuzione dei dipendenti collegata all'aumento dell'automazione. Sarebbe comunque tutto grasso che cola anche fosse tutto limitato a ciò. Ovviamente con tutte le relative modifiche che esso sia apporterebbe spontaneamente sia che sarebbe possibile attuare in sua conseguenza. Ragionare in termini di situazione attuale inserendovi il reddito di cittadinanza come se tutto il resto poi rimanesse uguale è quindi segno di poca lungimiranza o di disonestà. Se ponessero obiezioni fondate avendo capito cos'è, le si potrebbe anche analizzare, ma considerare obiezioni che derivano dall'aver capito fischi per fiaschi non è possibile nè accettabile.

"Prima di discutere con qualcuno occorre sapere e capire fino a che punto quella persona può comprendere le nostre parole. Per quelli che sanno, il parlare nonostante l'impossibilità di essere compresi dall'altro è sempre una perdita di tempo e di energia. Chi è saggio, parla solo quando è certo che chi ascolta è in grado di capire" (Georges Ivanovič Gurdjieff)

Così siamo tra l'incudine e il martello di quelli che da una parte dicono che sono 222 miliardi sono troppi, e dall'altro quelli che dicono che 320 euro sono troppo pochi... paragonandolo con il sussidio dei 5 stelle. Preferite continuare a pagare tasse in più di quanto si potrebbe fare introducendo il reddito di cittadinanza? Quello dei 5 stelle non è un reddito di cittadinanza per cui non si può fare paragoni con quello che invece di far ridurre le tasse sarebbe all'opposto solo un aumento netto. Per Michel Husson, su "Critique communiste", la società non deve fondarsi su un diritto al reddito, ma su una divisione del lavoro in nome del principio "lavorare meno per lavorare tutti". Già Philippe Van Parijs e Yannick Vanderborght hanno risposto a questo argomento evidenziando che anche il reddito di cittadinanza costituisce proprio una modalità di divisione del lavoro, a fronte dell'impossibilità di ridurlo senza aver raggiunto l'ottimo paretiano. Scrive in merito Bertrand Russel:
La tecnica moderna infatti ha reso possibile di diminuire in misura enorme la quantità di fatica necessaria per assicurare a ciascuno i mezzi di sostentamento. Ciò fu dimostrato in modo chiarissimo durante la guerra. A quell'epoca tutti gli uomini arruolati nelle forze armate, tutti gli uomini e le donne impiegati nelle fabbriche di munizioni, tutti gli uomini e le donne impegnati nello spionaggio, negli uffici di propaganda bellica o negli uffici governativi che si occupavano della guerra, furono distolti dal loro lavoro produttivo abituale. Ciò nonostante, il livello generale del benessere materiale tra i salariati, fu più alto che in qualsiasi altro periodo. Il vero significato di questo fenomeno fu mascherato dalle operazioni finanziarie: si fece credere infatti che, mediante prestiti, il futuro alimentasse il presente. Il che, naturalmente, non era possibile; un uomo non può mangiare una fetta di pane che ancora non esiste. La guerra dimostrò in modo incontrovertibile che, grazie all'organizzazione scientifica della produzione, è possibile assicurare alla popolazione del mondo moderno un discreto tenore di vita sfruttando soltanto una piccola parte delle capacità di lavoro generali. Se al termine del conflitto questa organizzazione scientifica, creata per consentire agli uomini di combattere e produrre munizioni, avesse continuato a funzionare riducendo a quattro ore la giornata lavorativa, tutto sarebbe andato per il meglio. Invece fu instaurato di nuovo il vecchio caos: coloro che hanno un lavoro lavorano troppo, mentre altri muoiono di fame senza salario. Perché? Perché il lavoro è un dovere e un uomo non deve ricevere un salario in proporzione di ciò che produce, ma in proporzione della sua virtù che si esplica nello zelo.
Ma zelo ed etica non sono sempre complementari... quando lo sono costano molto in produttività, mentre singolarmente costano molto meno, e lo zelo senza etica costa ancora meno dell'etica senza zelo; lo zelo è caratteristica dei lavoristi, mentre l'etica dei produttivisti. Di conseguenza sono i primi a risultare più vantaggiosi. Così, si può notare come, regolarmente, ogni obiezione al reddito di cittadinanza si fondi unicamente sul non averne capito nulla. Dopotutto sono gli stessi che in Italia hanno interpretato la frase di Enrico Giovannini "porteremo le persone alla soglia di povertà" in un senso opposto a quello che leggerebbe una persona normale, definendola una gaffe... non è una gaffe, è lo stesso progetto dei grillini, dare un sussidio EQUIVALENTE alla "soglia" di povertà (che loro identificano in 780 euro), ergo: portare le persone che sono SOTTO la soglia di povertà, alla soglia. Come i grillini abbiano potuto intenderla in altro modo, mi resta incomprensibile. Anche qualora i 5 stelle proponessero il vero reddito di cittadinanza, ma inserito nel contesto attuale invariato, non potrebbe che rivelarsi utopico e fallimentare. Certo sarebbe già un passo avanti la sola proposta, per cui tuttavia a favore dei 5 stelle devo ammettere che spulciando ho trovato anche consolanti versioni più calzanti, quelle alle quali aggiungono il termine "di base" e "incondizionato" (qui), verificando quindi che tra essi non c'è univocità sul significato del termine, quindi una speranza c'è ancora, difatti esistono anche esponenti del movimento, come Tiziana Beghin, Riccardo Fraccaro, Claudio Cominardi o lo stesso Grillo che invece comprendono bene la tematica della rivoluzione tecnologica in atto con l'annesso postulato della disoccupazione tecnologica / reddito di base. Questo vuol dire che se il movimento 5 stelle non è complessivamente schierato a favore del reddito di base "consequenzialista", non è nemmeno ideologicamente contro, a differenza di quello che accade negli altri partiti a partire dal PD dove l'ordine di scuderia è impedire qualsiasi forma di redistribuzione reddituale che non passi attraverso un lavoro ormai sempre più precario e svalutato (l'insensato e irrispettoso neologismo renziano "lavoro di cittadinanza"...) o al limite su ulteriori sussidi mirati ed in quanto tali inefficienti ed iniqui per definizione stessa; durante le ultime elezioni abbiamo avuto la possibilità di scegliere tra chi voleva istituire perlomeno il minimo indispensabile in termini di tutele reddituali e chi non ne aveva la minima intenzione, e alle ultime primarie del PD abbiamo favorito chi voleva eliminare le ultime garanzie residue (Renzi) perseguendo un irrealistico programma di stampo lavorista a chi invece aveva voleva introdurre perlomeno il reddito minimo garantito (Civati). E' per questa ragione che la sinistra italiana rischia di compiere un errore gravissimo a lasciare un tema del genere nelle mani del Movimento 5 Stelle (il cui fondatore, Gianroberto Casaleggio, era sostenitore della versione libertaria, ma la stupidità degli altri membri ha fatto sì che le proposte di legge depositate dal M5S siano relative ad un normale sussidio). Un errore a cui non si sta ponendo rimedio, se si considera che il leader del più grande partito della sinistra italiana – che al momento è ancora Matteo Renzi – ha definito (ed a ragion veduta...) il reddito di base “la cosa meno di sinistra che esista” e che Sel-Sinistra Italiana (che, con l'acqua alla gola, ha obtortocollo dovuto considerare anch’essa una sua proposta a riguardo) batte su questo chiodo con molta meno convinzione dei grillini. Nel programma di SEL si parla esplicitamente di un reddito minimo garantito di 600 euro, ma in diverse interviste Nichi Vendola ha parlato della necessità di introdurre un reddito di cittadinanza. Per quanto sia chiaro che i politici non hanno ben capito la differenza tra i due concetti, i loro programmi sono più precisi. SEL e Rivoluzione Civile hanno nei loro programmi degli accenni al reddito minimo garantito, senza però precisare esattamente cosa intendano. Eppure il reddito di base sarebbe difendibile non solo in un quadro normativo libertario, ma anche con riferimento alla tradizione socialista e marxista che si potrebbe considerare la linea di pensiero più lontana da quella libertaria. Tanto che, idealmente, quella del reddito di cittadinanza potrebbe essere la nuova grande battaglia della sinistra; una battaglia in grado di dare un nuovo orizzonte a un’area politica che proprio sul lavoro sta perdendo la sua identità; un sol dell’avvenire da inseguire per arrivare a una società in cui nessuno sia più costretto ad accettare qualunque tipo di trattamento economico e di sfruttamento orario perché privo di alternative.

"Non ci sono lavori che gli italiani non vogliono più svolgere. Ci sono salari che gli italiani non possono più accettare" (slogan del Movimento Sociale Fiamma Tricolore)

Diego Fusaro ci svela quello che lui definisce "segreto di Pulcinella":
il capitale ha smesso di rivolgersi alla destra per fare le sue "riforme". Si rivolge ora alle sinistre, per confondere al meglio i "militonti" che attribuiscono fede incondizionata alle forze del quadrante sinistro nel frattempo divenute forze di rappresentanza del capitale. Amici che votate PD o SEL pensando di essere progressisti, sappiatelo: il solo progresso che, così facendo, tutelate è quello del capitale nella sua maestosa cavalcata che sta annichilendo diritti e conquiste sociali. L'aveva profetizzato Agnelli a suo tempo: verrà il tempo che occorrerà rivolgersi alle sinistre per fare le riforme di destra. La sinistra - la sola sinistra oggi esistente - è quella che sta lottando in nome del capitale. Questo non è un argomento per passare a destra, ovviamente: ma per abbandonare la dicotomia destra-sinistra e per reistituire un progetto culturale e politico di difesa del lavoro contro il capitale, degli oppressi contro gli oppressori.
La battaglia sul reddito di cittadinanza potrebbe riunire la sinistra a quella fascia della popolazione che dalla sinistra si è sentita tradita: i precari, le finte partite Iva (ma pure quelle vere), il popolo dei voucher, i lavoratori a cottimo della on-demand economy, i disoccupati e tutta quella nuova generazione di non garantiti che si sono sentiti abbandonati da una sinistra e da un mondo sindacale che scende in piazza solo in difesa di chi, comunque, ancora può contare su tutele certe, su una pensione assicurata e più in generale su quei diritti che sono stati ormai trasformati in privilegi (come gli straordinari pagati o le tredicesime). È proprio nel vuoto di idee offerto ogni volta che si parla di giovani e lavoro che la sinistra ha perso la sua battaglia, lasciando che fosse il Movimento 5 Stelle a impugnare, tra contraddizioni insanabili, quella che potrebbe essere la soluzione per conciliare due generazioni di lavoratori senza mettere l’una contro l’altra. Il reddito di base e la costruzione di una società post-lavoro potrebbero rappresentare un progetto a lungo termine con la giusta dose di utopia. “Non esiste un solo motivo razionale per spaccare il Pd” ha scritto il Direttore di “Repubblica” (il quotidiano dell'osservanza nordista; quello di quella sudista è "Il giornale"). Ma, a ben riflettere, il motivo c’è e non consiste nelle bizze di politicanti così stupidi da non vedere ciò che persino il Direttore di “Repubblica” riesce a vedere. Consiste in solide cause sociologiche che riguardano la distribuzione sempre più iniqua della ricchezza, del lavoro, del potere, del sapere, delle opportunità e delle tutele. La crescente disuguaglianza radicalizza lo scontro tra le parti sociali e trasforma il dialogo in un contrasto ideologico sempre più simile a una lotta di classe che, dichiarata estinta, era invece in letargo. Dall’immediato dopoguerra al 17 marzo 1972, quando fu eletto segretario Enrico Berlinguer, il PCI rimase un partito prevalentemente comunista nella dottrina, nei programmi e nelle fonti di finanziamento. Poi si trasformò in un partito social-democratico, con frequenti tentazioni liberal-democratiche. In fine, con la tanto attesa realizzazione del "compromesso storico" tra Pci e Dc nella formazione del Pd, e l’avvento della segreteria Renzi, le riforme promosse, e le alleanze stipulate hanno marcato una drastica svolta verso il neo-liberismo. L’operazione è stata assecondata anche dal fatto che, mentre il liberismo è via via evoluto in neo-liberismo, il marxismo non ha mai saputo evolvere in neo-marxismo. Il problema è stato che è stata guidata da persone che restavano nel loro intimo social-democratici e quindi statalisti. Si tratta di una incolmabile distanza tra due modi di intendere la società, la politica e l’economia che corrispondono a due segmenti altrettanto distanti della base elettorale. Grazie alla scissione, Renzi avrà finalmente un partito tutto suo, corrispondente più o meno al 20% dell’elettorato: la rinascita della Dc né più né meno e quindi il fallimento di quel coacervo di tutte le peggiori ideologie che è il "compromesso storico" che quelli attendevano dal lontano 1973. Non male, se si pensa che ci ha messo solo 4 anni per appropriarsi di questo tesoretto politico mentre Craxi in tutta la sua vita non riuscì mai a superare il 16% dei voti. Meno bene se si pensa che quel 22%, per diventare ago della bilancia e acciuffare il Governo, avrà bisogno di allearsi con un introvabile 30%. E ora, nelle ore travagliate in cui maturano le condizioni della scissione Pd, filtrare indiscrezioni secondo le quali anche anche Matteo Renzi avrebbe affidato a Tommaso Nannicini, l’economista da palazzo Chigi passato a coordinare il programma del partito, una svolta radicale per il sostegno al reddito, purtroppo, quello che ne è uscito da queste "menti eccelse", è l'assurdo neologismo "lavoro di cittadinanza" il cui senso nemmeno è possibile capire al di là del puro fumus demagogico, una misteriosa entità che, sfuggendo a qualsiasi classificazione scientifica, esce dalle categorie del reale per entrare nel mondo dell'astrattismo. La proposta sul "lavoro di cittadinanza" di Renzi? Il parere di Alessandro Giglioli dell'Espresso:
Secondo questa proposta, infatti, la società, attraverso le sue istituzioni e la sua fiscalità, non deve intervenire a ridistribuire i capitali accentrati a causa del mix recente di mutamenti tecnologici e scelte economiche; né ritiene che vi sia un problema di rarefazione del lavoro, determinato dalla robotizzazione e degli algoritmi, che rende indispensabile (per il mantenimento stesso della stabilità sociale ed economica) un meccanismo diverso da quello classico (salario in cambio di manodopera) per consentire a tutti un'esistenza dignitosa e una partecipazione alla dinamica di produzione e consumo. La società, attraverso le sue istituzioni, così si limita invece ad agevolare i tuoi skill, le tue chance di essere utile al mercato del lavoro. Nella piena fiducia che, se tu ti aggiorni, sarai assorbito da detto mercato. C'è appunto un'ideologia, alla base della convinzione che un intervento di questo tipo sia risolutiva e rappresenti un'alternativa al reddito minimo: l'affidamento mani e piedi al mercato. La convinzione che questo possa risolvere da solo, una volta oliati i suoi meccanismi, i disastri da esso stesso creati: disoccupazione, precarizzazione, diminuzione e discontinuità di reddito, emarginazione ed esclusione sociale. Il Jobs Act, nella sua impostazione, andava nella stessa direzione: era cioè basato sul teorema che se lo Stato offriva al mercato del lavoro il diritto di demansionare, telecontrollare e licenziare a piacere, il mercato del lavoro sarebbe rifiorito. Abbiamo visto com'è andata. Ha ragione Nannicini, questo è un altro pezzo di Jobs Act. Lo è non tanto in sé (agevolare i know how va sempre bene, ci mancherebbe) ma come presunta ricetta (alternativa al reddito minimo e al welfare reale) per combattere il crac sociale che si è verificato negli ultimi dieci anni. Ed è un pezzo di Jobs Act perché nell'affidare tutto al mercato contiene il rifiuto di un intervento che bypassi il mercato stesso e ne sia indipendente. Con tutto il rispetto: l'agevolazione degli skill funziona davvero (ha cioè un'incidenza reale) quando un'economia cambia crescendo, quando l'ascensore sociale si muove, quando le dinamiche nazionali e internazionali sono positive; nella disastrata situazione attuale, accanto al problema di creare competenze c'è il problemuccio che il mercato assorbe sempre meno competenze, quali che siano. Quindi siamo lontanissimi da un intervento realisticamente d'impatto. Siamo di fronte a cosmesi, nel migliore dei casi; nel peggiore, a un imbroglio. Non so, con precisione, che cosa ci sia dietro il rifiuto ideologico dei renziani verso il reddito minimo (condizionato o universale che sia). Ed è curioso che, nel suo viaggio alla Silicon Valley, Renzi non abbia maturato un po' di interesse verso il dibattito e gli esperimenti in merito che avvengono proprio da quelle parti. Nannicini, di scuola bocconiana, forse ha una reale fiducia nella famosa "mano invisibile". O forse anche lui crede, come dicono diversi della sua parte, che «un reddito non basta, è il lavoro a dare dignità alla persona». Il che ha un suo fondamento - la questione è lunga - ma curiosamente proviene dalla stessa area politico-culturale che (anche prima di Renzi, s'intende) in nome dell'affidamento al mercato ha svuotato il lavoro proprio della sua dignità. E lo ha fatto avvicinandolo ogni giorno di più alla schiavitù: riducendolo a chiamata, all'ora, a voucher, senza diritto alla malattia o alle ferie, telecontrollabile, demansionabile, ricattabile, sottopagabile, a cottimo - e licenziabile a uzzolo. Ma senza attuare niente che andasse a compensare queste pur giuste riforme. Prima hanno svuotato il lavoro della dignità, ed ora ci spiegano che il reddito minimo non si può fare perché "è il lavoro a dare dignità". Persino in Francia il centrista indipendente Emmanuel Macron, il candidato fino ad oggi in predicato del ballottaggio contro la Le Pen (Fillon oggi è tornato a superarlo) e che pure rifiuta l’idea di reddito di cittadinanza proposta dal socialista Benoit Hamon, propone da parte sua un onerosissimo raddoppio del già esorbitante ed iniquo sussidio chiamato “reddito di solidarietà attivo”. Ignorare il dibattito sul reddito di cittadinanza è oggi il grande errore della sinistra.
Non è un errore, è solo coerente con la visione politica della sinistra della quale la base di consenso è per antonomasia stessa l'Italia parassitaria, difatti quanto al "Non so, con precisione, che cosa ci sia dietro il rifiuto ideologico dei renziani verso il reddito minimo (condizionato o universale che sia)"... i distributisti invece lo sanno eccome, cosa c'è: non è farina del suo sacco, ma del suo burattinaio De Benedetti, il gauleiter italiano di George Soros, il nemico numero 1 del reddito di cittadinanza come incarnazione della filosofia nordista. Della quale il "compromesso storico" tra i comunisti ed i peggiori democristiani è sempre stato il pallino, a suo tempo (1994) guastatogli solo dal tempestivo intervento di Silvio Berlusconi. Alla faccia del “Movimento Roosevelt”! Una società nella quale i fautori del luddismo si auto-definiscono progressisti (senza che nessuno abbia apparentemente da obiettarne...) non è una società capovolta? Il tutto mentre in Gran Bretagna i laburisti, con John McDonnell, approntano un gruppo di lavoro per investigare sul reddito di base universale per iscriverlo nel manifesto del partito, implicandovi la revisione del welfare e l'accantonamento dei sussidi dipendenti da verifiche sul reddito a favore di pagamenti forfettari ed incondizionati a tutti i cittadini. Nel 2016 McDonnell aveva già affermato che avrebbe potuto vincere il dibattito sul reddito di base all'interno del partito laburista ma ora intende pubblicare uno studio sull'idea con Guy Standing (quello che vuole contrastare il fascismo applicando il fascismo...), uno dei suoi consiglieri economici per incoraggiare una discussione in Europa sull'argomento. Parlando dell'idea proposta da Benoit Hamon durante le primarie socialiste alle elezioni presidenziali francesi McDonnell ha aggiunto: "E' interessante che anche il governo di Narendra Modi abbia presentato uno studio in India sulla necessità di sviluppare idee relative al reddito di base e circa il modo di implementarle nel tempo". All'improvviso è diventata… un'idea "il cui tempo potrebbe essere decisamente giunto"... "I venti stanno gonfiando le vele del reddito di base in questo momento". Facile così. Ma dove sono stati finora? Già decenni orsono, Anna Arendt si chiedeva: “Cosa succede in una società basata sul lavoro se il lavoro viene a mancare?”. La Svizzera prima, la Finlandia dopo, poi l’India, ora il candidato socialista francese alla presidenza Hamon, si pongono il problema del reddito di cittadinanza e di come finanziarlo. La causa di questa preoccupazione è evidente: abbiamo imparato a produrre più beni e servizi con meno lavoro umano. Poiché le macchine sono sempre più potenti, non si demotivano, non vanno al bagno, non scioperano, non chiedono la pausa pranzo né le ferie, ormai sono capaci di sfornare più prodotti di quanti ne sfornino i lavoratori. Quando le macchine erano meccaniche o elettromeccaniche, finivano per creare più posti di lavoro di quanti ne distruggevano: l’automobile sostituì i cavalli e creò lavoro per i gommisti. Poi le macchine divennero digitali e si cominciò a capire che i rapporti erano cambiati: il bancomat, ad esempio, ha soppiantato 3.500 cassieri solo in Italia. Si pensò di tamponare il problema con la flessibilità e ne venne fuori il Jobs act che (forse) ha creato 400.000 posti con un investimento di 20 miliardi aggravando quindi la condizione di chi disoccupato lo è rimasto, cioè il 12% e quella giovanile al 40% perché, intanto, le macchine hanno continuato a raddoppiare la loro potenza ogni 18 mesi, secondo la legge di Moore. Ora abbiamo a che fare con le piattaforme e con l’intelligenza artificiale che presto soppianteranno milioni di lavoratori: non solo operai e impiegati, ma persino manager e professionisti. Tutto questo era stato lucidamente previsto già nel 1930 da Keynes che ci mise in guardia: in futuro il problema non sarebbe stato più come produrre beni ma come distribuire equamente il lavoro che diminuisce e come impiegare con intelligenza il tempo libero che cresce. Il capitalismo è capace di produrre sempre più ricchezza e, per ridurre i costi, affida la produzione alle macchine. Fin che possono, gli uomini s’inventano nuovi lavori, ma poi le macchine "rubano" anche quelli. Non resta, dunque, che da intraprendere un’imponente opera di distribuzione non solo del lavoro, ma anche di tutto ciò che al lavoro è collegato: la ricchezza, il potere, il sapere, le opportunità e le tutele.

“Il patrimonio di un paese è il risultato congiunto degli sforzi e dell’inventiva e perizia ereditata nel tempo da generazioni e generazioni di un’intera società. Per questo motivo, tutti i cittadini dovrebbero condividere la rendita di questo patrimonio attraverso una sua ridistribuzione sotto forma di premi e incentivi” (George Douglas Howard Cole)

Poiché, anche in presenza di un reddito minimo, occorrerà del tempo per convincere i lavoratori occupati a cedere una parte del loro lavoro ai disoccupati, nel frattempo è urgente assicurare a questi ultimi il minimo vitale con un reddito di cittadinanza. I politici lungimiranti progettano il reddito di cittadinanza universale, i politici paleozoici anelano alla piena occupazione sperando in strane alchimie. In vista della piena disoccupazione occorre ripensare il sistema di tassazione. Il problema è sempre quello dell'ideologia sottostante, cioè del "modus pensandi" degli imprenditori. Per costoro ciò che conta è il profitto a qualsiasi costo. Poco importa se le famiglie muoiono di fame a causa della disoccupazione. Certo è che se il lavoro verrà svolto dai robot, chi sa lavorare solo di braccia avrà vita dura. Ma anche chi lavora di testa dovrà inventarsi qualcosa che al momento non sappiamo. Inoltre diminuiranno i pezzi, Ma di quali prodotti? Quelli di prima necessità? Quelli di beni mobili o immobili? Ma anche se i prezzi diminuissero, con quale denaro verrebbero acquistati da chi il lavoro non ne ha? E soprattutto come impiegare il tempo per queste persone che non avrebbero e non hanno speranza di un'altra occupazione? I soliti burocratisti sostengono che dal momento che la disoccupazione è causata dai robot, non resta che tassare il lavoro di questi ultimi, che non significa tassare direttamente "i robot" come i suddetti propongono invariabilmente di fare. Secondo i burocratisti la necessità di tassare le imprese proporzionalmente al livello di automazione è necessaria per impedire che i loro guadagni aumentino drasticamente (i robot non richiedono stipendi, tredicesime, ferie, malattie; solo acquisto e manutenzione) senza che nulla venga restituito alla società e per far sì, magari, che contribuiscano per via fiscale all’introduzione di un reddito di cittadinanza. E' controproducente tassare i robot, a ben vedere tutte le tasse si scaricano sui consumi a danno delle classi medie e dei poveri che sono (in Italia) l'80% dei consumatori. L'attuale sistema di tassazione infatti è incostituzionale perché opposto all'art. 53 dove dice che tutti devono contribuire secondo le proprie capacità, così non è in quanto il milionario/miliardario, per esempio, per quanto possa consumare non potrà partecipare alla tassazione statale come fanno tutti gli altri cittadini che spendendo tutto il loro reddito per vivere contribuiscono nella misura del 50%. E quindi come lo si tassa? Semplicemente dando un reddito incondizionato agli umani! Questo semplice atto equivale a "tassare" realmente l'automazione senza bisogno di tassarla nominalmente (se aumenti il costo di un fattore diminuirà in proporzione quello di tutti gli altri rispetto ad esso)! Oggi i disoccupati sono 3,1 milioni in Italia, 26 milioni in Europa, 197 milioni nel mondo. Per ora reagiscono con la depressione e il suicidio. Prima o poi potrebbero cambiare bersaglio. L'industria, in senso lato (includendo anche i servizi), produce e distribuisce ricchezza attraverso il lavoro e restringe la divaricazione sociale. Il problema non risiede nella robotizzazione dell'industria, che, con una sana imprenditorialità, sarebbe capace di rinnovarsi e di creare nuovi orizzonti per il lavoro. Il vulnus sta nella degenerazione della finanza e del sindacalismo e nell'ipocrisia di chi, potendolo istituzionalmente fare, non detta regole idonee a contenere lo strapotere di questa finanza malata prona ai sindacati, che stanno distruggendo l'industria, la fiducia ed i risparmi della gente comune e che sta progressivamente generando una pericolosissima e forse incontrovertibile divaricazione sociale... E il fondamento deve essere il reddito di cittadinanza. E ora, sorpresa sorpresa, il ministro Poletti lancia anche lui il reddito di cittadinanza (ormai è diventata la fiera delle banalità, il salto su questo carro...), e i giornali sottotitolano "ecco chi lo avrà". Vano sperare che si rendano conto che c'è un ossimoro: "di cittadinanza - chi lo avrà"... se è "di cittadinanza", vuol dire che c'è l'avranno tutti - se non ce l'avranno tutti, non sarà più "di cittadinanza". Ma il senso delle parole sto Poletti lo conosce? Ma ufficialmente il governo Gentiloni l'ha chiamato "reddito di inclusione"... sul quale è perfino superfluo elencare i parametri per ottenerlo (non è che da quella gente ci si possa aspettare molta fantasia...), i poveri hanno ben poco da esultare ed i 5 stelle hanno fatto bene a votare contro questa farsa (per quanto non è che il loro progetto sia poi molto diverso...) che non fa altro che aumentare il "poverty gap" creando poveri di serie A che lo ricevono e poveri di serie B che non lo ricevono, il nome è perfino una presa per il culo perchè andando ad escludere i più bisognosi (i 40enni privi di alcun reddito e che sono perciò COSTRETTI a coabitare coi genitori) che tali resteranno ed anzi ancor peggio nel paragone con quelli che lo riceveranno dato che così saranno ancora più esclusi, il nome più calzante dovrebbe essere sussidio di ESCLUSIONE. Tutto questo perché i parametri di reddito del nucleo familiare, sono fatti a ghigliottina, dove in uno stato di diritto invece non dovrebbe esistere. Quando in più occasioni è stato ribadito da varie associazioni che la soglia di reddito deve essere calcolata INDIVIDUALMENTE altrimenti le misure di reddito garantito, anziché divenire uno strumento di emancipazione, diventano un monumento al familismo tipico della società italiana. Purtroppo da questo punto di vista anche i 5 stelle continuano ad insistere col reddito familiare, muovendosi nel solco di una tradizione politica rispetto alla quale un movimento moderno avrebbe dovuto decisamente agire in discontinuità. Naturalmente alla base di tutto c'è il computo dei beneficiari, quindi delle coperture, a fronte dei vantaggi, in termini elettorali, di questa misura, ma forme di reddito garantito così strutturate falliscono completamente il segno, prima di tutto perché raggiungono una parte minima di coloro che dovrebbero coprire, quindi perché non sono efficaci dal punto di vista della redistribuzione della ricchezza che vorrebbero prefiggersi ed infine perché questi strumenti non devono essere un costo ma un mezzo per attivare una politica economica di tipo trickle up, l'unica che può davvero funzionare in uno scenario in cui il capitale è sempre più indipendente dal lavoro. E' chiaro che se uno vive da solo e non supera il tetto stabilito di reddito poichè già riesce a sostenersi grazie ad entrate non registrate, gli è facile ottenerlo. Mentre se una famiglia di 4 persone supera anche di 1 euro il tetto massimo, oppure anche se non lo supera ma abita in una casa di proprietà (il che in entrambi i casi significa che già deve mangiare alla mensa dei poveri), ne è esclusa. Quindi il singolo che neanche avrebbe necessità si vede assegnare il sussidio, la famiglia che ne avrebbe bisogno no. Se proprio si deve parametrarlo su un tetto, almeno che sia sensato: il problema sono le soglie, che dovrebbero essere semmai per ogni componente del nucleo a scaglioni di maggioranza. Ma anche così resta sempre lo stesso discorso: perchè fare le cose più complicate di come le si potrebbe fare? Il risultato non sarebbe molto diverso da quello dei 5 stelle. Anche quello dei 5 stelle in verità non dice niente di nuovo e di concreto, sono solo propagande nebulose, che non spiegano neanche che andrebbe anche a chi non ha la cittadinanza italiana (o perlomeno a tutti gli stranieri che provengono dall'unione europea). E non dicono che se uno ha ereditato un mini appartamento non ne avrebbe diritto (essendo sara parametrato all'ISEE). E che chi ha avuto un lavoro per 12 mesi non ne avrà diritto e nemmeno avrà altra mobilità (una volta scaduta quella attualmente esistente). I requisiti sono: un ISEE sotto i 6.000 € (500 € al mese), avere almeno un figlio minore e NON AVERE la casa di proprietà. Ma se una famiglia con figli minori ha un reddito di 500 € al mese e deve pagare l'affitto, che costa PIU' di 500 €, come campa? Se solo per l'affitto deve spendere PIU' di quello che guadagna? In pratica chi possiede qualcosa o ha qualche risparmio con anni di sacrificio rimane fregato e non avrà più aiuti neanche se perde il lavoro e non ha alcun reddito. In pratica si ottiene di impoverire chi ancora ha qualche piccola proprietà, andando nel verso opposto della diffusione della proprietà che dovrebbe essere la tendenza auspicabile. In Italia gli incapienti e cioe quelli che non pagano nemmeno le tasse perché hanno un reddito zero sono 12 milioni. Sulla base dei parametri necessari per riceverlo Gianluca Bonifazi ha calcolato che da esso ne sarebbero esclusi il 68% dei disoccupati. Il che significa che se consideriamo anche chi ha un reddito inferiore agli 800 euro mensili, a spanne possiamo dire che sarebbe escluso il 90% dei bisognosi (tra cui TUTTI i PIU' bisognosi, quelli con reddito zero netto). Per forza allora che il "costo" sbandierato dai 5 stelle è attorno i miseri 14 miliardi all'anno!!!! Anche se la cifra dell'erogazione calcolata matematicamente è 780x12=9.360 euro; 9.360x6.000.000=56 miliardi... ovvero, anche qualora la cifra erogata sia aggiuntiva al raggiungimento dei 780, come è stato possibile calcolare il totale già ora traendolo da una selva reddituale? Per cui nessuno riesce a capacitarsi da dove i 5 stelle abbiano tirato fuori la cifra di 14 miliardi... Idem per quello di Gentiloni. Ma senza risolvere alcunchè ed andando ad aggiungersi alla spesa pubblica invece di sostituirla. Il problema tipico (e mica riescono a rendersene conto eh?) di queste misure difatti non è tanto la cifra netta della dichiarazione dei redditi stabilita come soglia necessaria per ottenerlo, ma che essa si basa su quello "familiare", così che i primi che avrebbero bisogno e dovrebbero essere aiutati cioè chi avendo reddito zero è costretto a coabitare coi genitori, non ne ha diritto poichè il reddito complessivo "familiare" (lo metto tra virgolette perchè tale coabitazione forzata non è quasi mai volontaria come lo sarebbe in una vera famiglia) supera immancabilmente (ovviamente, altrimenti sarebbe già tutta la "famiglia" a stare per strada...) qualunque soglia realisticamente stabilibile. Così questi sussidi li prende invariabilmente chi ne ha meno bisogno cioè chi grazie a un reddito che per quanto minimo (ma mica tanto "minimo", abitare da soli costa oggi, per IL SOLO abitare, cioè a fondo perduto, almeno 600 euro al mese, quindi almeno 800 per non morir di fame) già gli permette di abitare autonomamente, mentre non lo prende chi avendo reddito zero (o comunque sotto gli 800 euro) è costretto a coabitare e quindi non potrà emanciparsi MAI in quanto chi ha reddito zero non potrà ovviamente mai riuscire a rientrare in parametri che per essere raggiunti richiedono di avere GIA' un reddito personale di almeno 800 euro, qualunque ne sia la fonte. Secondo loro chi è che può star già a vivere autonomamente non in una casa di proprietà con un reddito inferiore ai 500 euro se la spesa minima complessiva necessaria a vivere autonomamente in affitto è 800? Ergo se il reddito massimo per riceverlo è 500, e quello minimo necessario a permettere di poter rientrare negli altri parametri è di 800, chi cavolo è che può rientrare in tali parametri??? Nessuno!!! A questo punto quindi diventa perfino superfluo discutere sull'assurda differenza fatta sul possesso di una casa. Chi abita in una casa di proprietà ma ha reddito zero cosa dovrebbe fare secondo loro, venderla per dover poi spendere negli anni seguenti tutto il ricavato per pagare un affitto??? Così dopo qualche anno si ritrova senza soldi e pure senza casa, sotto i ponti. Evidentemente il loro scopo è crearli i barboni. Si prendono tutto. Così saremo tutti schiavi dello stato e del governo. Se si voleva dare il colpo di grazia, hanno trovato il modo. Vi sembra normale? E a rincarare la dose arriva di nuovo Briatore: "Quei giovani che dicono di soffrire la distanza da casa e che considerano uno sforzo allontanarsi dal focolare domestico"... no, considerano uno sforzo dover lavorare per un guadagno netto di 100 euro nel momento in cui tutto il restante salario deve essere impiegato solo per l'abitazione autonoma! 100 euro spendibili per alcuni valgono la pena di allontanarsi dal "focolare domestico", per altri no, è più che comprensibile. In relazione a ciò una ulteriore riflessione andrebbe fatta sul concetto di "soglia di povertà" criticato da alcuni perché secondo loro ci sarebbe il fondato sospetto che la soglia di povertà attuale (definita dai 5 stelle in 780 euro) non sia una vera soglia di povertà, sostenendo che "una volta la gente era denutrita e moriva di fame, poi grazie alla rivoluzione industriale (quelle industrie tanto odiate che vorrebbero far chiudere perché deturpano l'ambiente, però i loro prodotti li usano...) si è diffusa una tale ricchezza che non solo siamo passati da 30 a 60 milioni di italiani in 100 anni ma è anche raddoppiata l'aspettativa di vita, è crollata la mortalità infantile (grazie soprattutto ai vaccini, ah ci sono pure quelli contro i vaccini non ce li dimentichiamo). Ma tutto questo a questi bambini viziati della nuova generazione cresciuta nella bambagia non basta. La soglia di povertà oggi si manifesta quando non puoi comprare l'iPhone 6S su ebay o su Amazon"... ecco, la risposta a questi è che 800 euro è OGGI effettivamente il minimo necessario alla sopravvivenza NON per vezzo e desiderio del superfluo, ma perchè quelle sono le spese minime determinate dal costo della vita (che è esso artificialmente gonfiato, in termini di mera esistenza, non tanto nello scaldarsi e nutrirsi, quanto nell'abitare, a causa dei costi spropositati degli affitti oggi avulsi da ogni legge economica)... se "questi bambini viziati della nuova generazione cresciuta nella bambagia" puntassero a comprare l'iPhone 6S su ebay o su Amazon dovrebbero esigere almeno 1.200 euro al mese, non 800... questo ovviamente non significa che la proposta di 780 euro sia quella giusta, poichè lo scopo del reddito di base non è fornire la cifra minima alla sopravvivenza autonoma, ma DETERMINARLA. Difatti, penserete, 320 (la cifra che più avanti andremo a vedere come la più sensata) non permettono una sopravvivenza autonoma... e questo significa guardare il dito quando si indica la luna, poichè, lo ripeto, lo scopo del reddito di base NON E' DARE SOLDI, lo scopo del reddito di base sono le conseguenze che porterebbe tra cui la riduzione AL MINIMO fisiologico della disoccupazione tramite la riduzione degli orari a sua volta tramite quella del costo del lavoro e a sua volta tramite l'abolizione delle imposte gravanti su esso. Una base di 320 euro al mese resterebbe limitata a questi solo per un numero limitato di persone, perlomeno tutti quelli esclusi per qualche motivo (perlopiù temporaneamente in attesa di rientrare nella fascia di classifica) dai lavori a regia (che avrebbero un reddito di 520); ma per la maggior parte delle persone determinerebbe in generale un reddito netto di almeno 800 euro; anche per gli altri, comunque risolverebbe quei casi nei quali i genitori possano supportare i figli coi restanti 300-500 e non di più, e nei restanti casi almeno i 320-520 ridurrebbero il peso economico sui genitori fonte di dissidi a volte sfocianti in delitti. Ora, a seconda dell'entità della riduzione del costo del lavoro, sarebbe possibile calcolare matematicamente in teoria il relativo aumento di posti di lavoro al lordo di quelli del gap da automazione. Certo non è una valutazione che posso essere in grado di fare io, ma l'Istat certamente potrebbe farlo. Ma tutto questo lo vedremo più avanti nel testo, intanto ci limitiamo a puntualizzare che 320 è la cifra identificata anche dal ministro Poletti come "minimo vitale", e 285 netti è la cifra dell'attuale pensione per i disabili al 75% (cioè la stragrande maggioranza dei disabili). In Germania e Inghilterra il sussidio netto per i poveri è rispettivamente di 330 e 356 euro a persona (i restanti del lordo non sono spendibili ma hanno forma di contributi per l’affitto e le bollette). Come già detto l'importo è fondamentale, poi lo puoi anche chiamare "cavoli a merenda", io non voglio nemmeno fare polemiche sul nome, è irrilevante il nome con cui lo si chiami, di cittadinanza, di base, "di esistenza" (come lo chiama l'economista Andrea Fumagalli), o "dividendo sociale", "dividendo nazionale", "dividendo territoriale", "reddito sociale", "reddito universale", "reddito garantito", "reddito d’autonomia", "reddito di dignità", "dividendo universale", "dotazione incondizionata di autonomia", "buono di Stato", "credito sociale", "salario sociale", "quota proprietaria di cittadinanza", "assegno universale", "reddito minimo universale". L'importante è il contenuto. Insomma, senza crederci troppo o farsi troppe illusioni, sui 5 stelle si potrebbe contare come interlocutore, anche se perfino nelle pagine dei loro rappresentanti traspare una cognizione di "reddito di cittadinanza" ben diversa dal suo significato reale e dagli scopi per cui è stato ideato.

"Lo Stato non deve sostituirsi ai cittadini là dove essi sono in grado di fare da soli" (dall'enciclica "Quadragesimo Anno" di Pio XI, 1931)


Origine storica del reddito di cittadinanza

Dio, nella Bibbia, assegna all’uomo il dominio sulla terra, oltre che il suo utilizzo. La prerogativa dell’uomo è, dunque, utilizzare ciò che gli fornisce la natura e, attraverso il discernimento della legge naturale, plasmare la realtà per raggiungere i propri scopi e sopperire alle proprie necessità. In Inghilterra, nel 1217, cioè due anni dopo l'emissione della "magna carta", veniva emessa la "carta della foresta". Questo breve ma potente documento garantiva i diritti delle persone sulle terre comuni, da utilizzare per l'agricoltura, pascolo, caccia, pesca, raccolta, acqua e legna. Essa dava un riconoscimento ufficiale di un diritto che gli esseri umani fino ad allora avevano quasi dato per scontato quasi ovunque: esso solo metteva per iscritta la consuetudine che presupponeva che nessuno dovrebbe essere escluso dalle risorse necessarie per la sopravvivenza. Contemporaneamente all'emissione della "carta della foresta", con la fine del feudalesimo sorse una diatriba tra francescani e domenicani su questo tema. Per i francescani, basandosi sulla proibizione biblica dell'usura ed interpretando come tale la proprietà esclusiva, la proprietà privata non dovrebbe esistere ma l'utilizzo di ogni cosa dovrebbe essere in comune. I Domenicani, all’opposto, insistevano sul fatto che qualunque utilizzo di risorse implichi necessariamente il possesso, il dominio e il controllo delle risorse stesse e, pertanto, la proprietà, come a loro dire, assegnato da Dio. La questione verteva quindi su a chi esso avesse effettivamente assegnato il dominio e sotto quale forma. Se in precedenza il sistema feudale aveva impedito di porsi la questione, l'emergere della borghesia comunale determinava la necessità di dirimere ogni dubbio etico.

"La proprietà privata è acquisita dagli individui attraverso le loro personali capacità, il loro lavoro e impegno e gli esseri umani, in quanto individui, detengono pieni poteri su di essa; ciascuna persona può ordinarla, amministrarla, mantenerla o alienarla a suo piacimento dal momento che ne è padrona, fintanto che ciò non provochi un danno a un altra persona" (Jean Quidort)

Per dirimere la questione intervenne come "arbitro" Tommaso D'Aquino, per cui, per conciliare le due parti, in alternativa alla proibizione della proprietà privata come proposto dai francescani sulla base della stessa proibizione dell'usura (che come tale essi identificavano la proprietà privata), i tomisti proposero un risarcimento in solido agli individui a compensazione del danno ricevuto dalla privazione delle possibilità di utilizzo comune di un bene quando esso viene assegnato in uso esclusivo a qualcuno, come danno provocato a tutti escluso il proprietario dall'impedimento a tutti gli altri di usufruirne, per cui, indipendentemente da quale sia il diritto originario grazie al quale esso vanti il possesso esclusivo su quel bene (spesso arbitrario nell'origine feudale ereditata, non lo si può negare), egli dovrebbe comunque rifondere gli altri individui per tale danno cagionato ad essi e di conseguenza impedendogli di poterlo contestare. Si tratta quindi di un contratto implicito all'accettazione del risarcimento come rinuncia a rivendicazioni sull'oggetto del contratto, che nell'epoca moderna verrà formulato come "teorema di Baumol-Oates". Ma questo diritto - il diritto di utilizzo - è venuto sotto attacco brutale all'inizio nel 15° secolo, quando i nobili ricchi iniziarono a recingere le terre comuni per difendere i loro profitti. Nei secoli seguenti, le recinzioni, come è noto, si sono ingrandite di decine di milioni di acri in mani private, spostando gran parte della popolazione dalle campagne alle città. Esclusi dai mezzi di sopravvivenza di base, la maggior parte delle persone erano state lasciate con l'unica alternativa di delinquere o di vendersi per un salario, per la prima volta nella storia dell'umanità. Partendo da questi presupposti, Tommaso Moro in "Utopia" nel 1516 aveva descritto un’isola dove a ciascun abitante fossero assicurati mezzi di sussistenza senza dover dipendere da un lavoro, identificando nell'accettazione di un erogazione reddituale fissa la firma implicita di un "contratto sociale" tra individuo e collettività teso all'impegno a rispettare la proprietà altrui e le altre regole della società ovvero a non delinquere, come soluzione alla criminalità. “Provvedere affinché tutti abbiano i mezzi per guadagnarsi da vivere”, scrive Moro, avrebbe contribuito a far scendere il tasso di criminalità molto più efficacemente dell’impiccagione, che peraltro, come confermerà anche Cesare Beccaria secoli dopo, aveva uno sgradevole effetto collaterale: l’aumento del numero di omicidi. Più che al reddito garantito, però, Moro mirava all’impiego garantito; ragion per cui se si vuole cercare la più antica proposta veramente vicina al reddito minimo bisogna guardare a un altro umanista: Juan Luis Vives. Il filosofo elaborò nel 1526 una dettagliata proposta – destinata al sindaco di Bruges con il titolo “De Subventione Pauperum” – in cui descrisse la necessità che fosse il municipio della città a occuparsi di garantire un minimo di sussistenza a tutti i suoi residenti. Vives prevedeva inoltre che questa sorta di reddito minimo dovesse spettare a tutti: “Anche quelli che dissipano le loro fortune in una vita dissoluta – attraverso il gioco, le donne, il lusso esagerato, le scommesse – dovranno ricevere il cibo; perché nessuno dovrebbe morire di fame”. In un’epoca in cui il problema non era tanto la disoccupazione, ma la povertà (“anche i vecchi e gli stupidi possono imparare un lavoro in pochi giorni, come scavare buche o portare l’acqua”, scriveva Vives; oggi il problema è proprio che a breve questi lavori non esisteranno più), ancora non veniva presa in considerazione la possibilità che qualcuno potesse ricevere soldi senza in cambio offrire quanto meno la disponibilità a lavorare. Il moderno movimento di riforma agraria ha avuto origine nel corso dell'ultimo quarto del XVIII secolo, in Gran Bretagna. I suoi scopi e fini sono diversi da quelli delle guerre dei contadini (1381, 1449, 1549) ed i Diggers (1649), perchè questi hanno combattuto sia per un ripristino della comunità di villaggio o l'istituzione di un comunismo, ma qui si ripropone un compromesso tra il comunismo e la proprietà privata, al fine di aumentare il numero degli agricoltori e, in generale, per migliorare la condizione della popolazione lavoratrice. I pionieri sono Thomas Spence (1750-1814), William Ogilvie (1736-1813), e, in una certa misura, Thomas Paine (1737-1809). tutti sostengono la dottrina del diritto naturale, secondo la quale la terra e la proprietà di essa erano, nella condizione originaria della società, o "stato di natura", la proprietà comune del genere umano, in modo che ogni bambino venuto al mondo ha avuto ipso facto un diritto inalienabile ad una quota pari al patrimonio comune. William Ogilvie fu il primo nel 1781, a trattare specificatamente il tema con un saggio sul diritto della proprietà fondiaria nel quale proponeva la distribuzione della proprietà della terra. Così come i fisiocratici, identificava nell'agricoltura la fonte principale di ricchezza (le idee in esso contenuto dovevano essere riprese e sviluppate un centinaio di anni più tardi dal riformatore sociale americano Henry George). A questo primo approccio fece seguito Spence ed i "levellers". Nel suo Saggio Ogilvie rivendica il diritto per nascita di ogni cittadino di una parte uguale nel valore della proprietà fondiaria, e delinea gli strumenti politici concreti con cui questo sarebbe potuto progressivamente essere raggiunto. Fillebrown fornisce un'analisi ponderata della proposta di Ogilvie: "Il nodo del problema della terra, secondo l'analisi di Ogilvie, sta nella riconciliazione" del conflitto tra "i crediti da una parte uguale di terra, che coinvolge il diritto di occupazione, e la pretesa di una parte uguale, basata sul lavoro" - "finora le nazioni hanno aderito alla prima di queste massime, trascurando la seconda". L’idea viene poi ripresa da Nicolas de Condorcet che, all’epoca della Rivoluzione Francese, aveva proposto una forma di “contratto di assicurazione sociale” prima di essere condannato a morte. Da cui "contrattualismo", ripreso successivamente da Thomas Hobbes, John Locke, Jean-Jacques Rousseau, e più recentemente John Rawls, Peter Vallentyne, Hillel Steiner, Michael Otsuka, e David Ellerman. Alcuni di loro però presero pieghe irrazionali.

"Il primo uomo che, recintato un terreno ebbe l’idea di dire: questo è mio, e trovò persone così ingenue da credergli, fu il vero fondatore della società civile. Quanti delitti, guerre, assassinii, quante miserie e orrori avrebbe risparmiato al genere umano colui che, strappando i paletti o colmando il fossato, avesse gridato ai suoi simili: guardatevi dall’ascoltare questo impostore; siete perduti se dimenticate che i frutti sono di tutti e la terra non è di nessuno” (Giangiacomo Rousseau, “Discorso sull’origine dell’ineguaglianza”)

Rousseau, come Marx (e parzialmente Immanuel Kant), dimostra ingenuamente di non comprendere per nulla la natura umana; non è mai esistito un primo uomo che recintò un terreno e disse "questo è mio". Piuttosto esistette un primo uomo più furbo e forte degli altri che recintò un terreno e disse "questo è mio e a chi contesta gli spacco la faccia". Se Rousseau e Marx avessero compreso meglio il feudalesimo ed il suo retaggio odierno (mafia) forse ci saremmo risparmiati ulteriori delitti, guerre, assassinii, miserie, e orrori. Se la terra è di tutti, che interesse ha il contadino a seminare qualcosa che chiunque potrà raccogliere? Torneremmo tutti a dover mangiare bacche raccolte sugli arbusti e topi crudi catturati a mani nude. Ad ucciderci a vicenda (allora si!) senza nemmeno motivo. "Homo homini lupus", altroché "fondamentale bontà dell'uomo" di anarchica speranza. La mancanza di comprensione del trascendente da parte di Marx si evince anche dalla sua critica metodologica ad Hegel, nell'incomprensione del concetto ontologico di una società "memetica" che si dà una religione come pensiero proprio ed unico di una collettività organica, e dello "Stato" come "leviatano", "macro-organismo vivente", che si dà una costituzione ed usa il sovrano come un alias. Da ciò il suo materialismo dialettico contrapposto all'idealismo hegeliano, entrambi travalicati dal razionalismo già contemplato dalla Scolastica medievale e successivamente anche da Toqueville, Wilhelm Dilthey, Leopold Von Ranke, Friedrich Meinecke, Arthur Schopenhauer, fino a sconfinare nel nichilismo di Friedrich Nietzsche e poi in Jakob Burckhardt e Soren Kierkegaard.

"Il governo davvero costituzionale non poggia su quello che è scritto in una carta, ma su ciò che è scolpito nella coscienza" (Joseph De Maistre)

Fin dalla nascita della civiltà le società sono state improntate implicitamente al personalismo, che solo negli ultimi 200 anni è stato inquadrato da studiosi come Gabriel Marcel, Nicolaj Berdjaev ("esistenzialisti"), Lavelle, Le Senne ("spiritualisti"), Thibon, De Fabregues ("tradizionalisti"), e i "democratici" Archambauld e Jacques Maritain (il più importante tra essi, che riprende il tomismo verso un umanesimo integrale). Da essi sorge la filosofia del comunitarismo, avente alla sua base il concetto politico di democrazia organica in un estensione applicata al senso comunitario come "vita in comunità" ovvero che cerca di collegare l'individuo alla comunità in opposizione all'individualismo, concezione stravolta da gruppi cosiddetti "etno-nazionalisti völkisch" e personaggi già elencati tipo Olivetti e Martin Buber, che potremmo definire irrazionali, nei quali il significato di comunitarismo assume una connotazione tutt'altro che liberale quale dovrebbe essere. Secondo i comunitaristi razionali l'unico modo di andare a riunificare le diverse teorie del liberalismo è risalire alla sua base antropologica che consiste nella persona essenzialmente autonoma e sovrana, nel comunitarismo organico derivato dal federalismo comunale di Carlo Pisacane (da non confondere con il "municipalismo libertario" di Murray Bookchin che consiste nella municipalizzazione delle attività, non necessariamente nel federalismo politico comunale) che dovrebbe essere particolarmente apprezzabile da quegli ambiti "identitari" rifacentisi all'etno-nazionalismo völkisch, movimenti autonomisti, sovranisti, federalisti, regionalisti, delle piccole patrie, tribalisti, ruralisti, che rifiutando il "suprematismo" sono riconducibili al "nazional-anarchismo" di Hans Cany, Peter Topfer, e Troy Southgate e che propongono un ordine sociale pan-eurasiatico decentralizzato nel quale singole comunità volontariamente stabiliscono e mantengono comunità distinte al posto degli attuali stati nazionali o dell'aberrante comunità europea attuale, collaboranti proprio in virtù del rispetto per le differenze biologiche e culturali, viste da loro come ricchezza di espressione della natura, non inerente alla medesima progenie o stirpe di persone dalla comune nascita. E quindi i seguaci di Helmut Franke (teorico della "rivoluzione conservatrice" "contro il mondo moderno" che affonda le sue radici intellettuali negli scritti di Julius Evola e del neo-spengleriano Francis Parker Yockey, ma anche negli scritti di Ernst Jünger e nella sua figura dell'Anarca, mentre possono essere associati a precursori della corrente anche alcuni concetti di Nietzsche o Louis-Ferdinand Céline, e le idee economiche di Louis-Auguste Blanqui) che auspicano un'organizzazione sociale basata non più sullo Stato come figura istituzionale più importante, ma all'opposto su piccole entità.

"Noi crediamo nel decentramento politico, sociale ed economico. In altre parole, noi desidereremmo vedere un declino positivo per cui tutti i concetti burocratici come l'ONU, la NATO, l'Unione europea, la Banca Mondiale e perfino gli stati come la Germania e l'Inghilterra siano sradicati e conseguentemente sostituiti da villaggi-comunità autonomi" (Troy Southgate)

Purtroppo esistette Marx, con le sue farneticazioni avulse dalla realtà ed i proseliti che fecero in tutto il mondo. Nel 1842 quando fu coniato il termine "comunismo" Marx era un liberale che scriveva in un giornale tedesco. L’inventore del termine è E. Cabet autore nel 1842 del romanzo filosofico "Viaggio in Icaria"; fautore di una comunità dei beni e di un lavoro obbligatorio moderato, da costituirsi gradualmente (a forza di persuasione e quindi con il concorso di tutta la società) per irradiazione di colonie modello a base industriale già proposte da Owen (l’inventore del socialismo, nel 1827). Cabet coniugava il comunismo con il cristianesimo; e in questo si differenziava dal socialismo derivato dal libertarismo anche per volere abolire la proprietà privata e per l’insistenza sullo sviluppo della meccanizzazione, dello sviluppo dell’industria, di un incremento della produttività. Il comunismo cristiano pre-marxista si può riassumere nella definizione di Cabet: "l’uomo nasce uguale, non affatto simile in forze e bisogni.. ma uguale in diritti, tutti cioè hanno un pari diritto di vivere, di soddisfare tutte le funzioni della vita materiale e spirituale, d’appagare tutti i bisogni". Nel 1975 il cambogiano laureato alla Sorbona Pol Pot cercò di rispondere a ciò: ideò un sistema si comunitaristico ma "primitivistico", antitetico ad ogni concezione di organicismo. Nella Cambogia "comunista" ognuno doveva essere autosufficiente; contadino di se stesso, sarto di se stesso, maestro di se stesso, dentista di se stesso, chirurgo di se stesso. Il commercio era proibito, e la moneta eliminata. La conseguenza più ovvia ed evidente fu che le città si spopolarono, e migliaia di medici, avvocati, commercianti, professori, ecc, incapaci di coltivare il proprio appezzamento di terra, morirono di fame. Anche i contadini, a cui fu tolta parte di terra per distribuirla ad incapaci, non se la passarono tanto bene, privati oltreché della terra necessaria per loro stessi, anche di altri beni e servizi che i settori secondario e terziario gli avrebbero fornito in cambio di prodotti agricoli. Da questo sistema prese spunto pure il Reverendo Jim Jones per la sua comunità "perfetta" Jonestown (in Guyana), culminata in un suicidio collettivo nel 1978. Come si giunse a ciò?

"Ciò che ha sempre fatto dello Stato un inferno sulla terra, è precisamente il tentativo dell'uomo di farne il suo paradiso" (Friedrich Holderlin)

Le modifiche sociali indotte dalla rivoluzione industriale, con la sua "accumulazione di tempo/lavoro in oggetti" ricardiano-marxista, e la successiva "società salariale-assistenziale" bismarckiana studiata da Gorz, produssero in definitiva una spaccatura che possiamo ricondurre ad un dualismo tra fisiocratici/luddisti e mercantilisti, che parte da Kant e passando attraverso Hegel crea Marx. In questa spaccatura economica si inserisce la diatriba sulla legittimità del potere, con da un lato i contrattualisti e dall'altro i giusnaturalisti, entrambi a proporre il reddito di cittadinanza ma per motivi fondamentali diversi. Tra i primi abbiamo Hobbes e Samuel von Pufendorf (rifacentisi anche a Francis Bacon con il suo "Nuova Atlantide" ammirato anche da Locke per il suo concetto di legittimità razionale delle istituzioni); tra i secondi Joseph De Maistre, hegeliano (idealismo) e giusnaturalista reazionario; successivamente il contratto sociale fu criticato anche da Carl Schmitt e Antonio Rosmini e Karl Ludwig von Haller. Hugo Grotius è considerato da Pufendorf come il fondatore della "scuola del diritto naturale", giacché "prima di lui non ci fu nessuno che distinguesse rigorosamente i diritti naturali dai positivi, e si sforzasse di disporli in sistema chiuso e completo" e lo definì "involontario ma effettivo padre [...] di quello che viene chiamato il giusnaturalismo moderno" Una delle teorie giusfilosofiche più importanti formulate da Grotius fu quella del "contratto sociale", e cioè "che lo stato di natura deriva dalla tendenza dell'uomo che è portato a istituire con gli altri simili una determinata forma di comunità politica, pacifica e concorde" (appetitus societatis). Il contratto sociale si attua quando lo stato di natura diventa impraticabile, violento e insicuro per l'aumento dei bisogni, per la diminuzione delle ricchezze disponibili e per il nascere degli istinti egoistici. In questo caso gli uomini, in vista di un'utilità comune, passano dallo stato di natura allo stato civile trasferendo a un sovrano, mediante un patto, il potere di far coercitivamente rispettare la sfera di interessi di ciascun individuo, di mantenere l'ordine sociale e la pace. Questo contratto, in cui si fissano i diritti del singolo ed i poteri del sovrano, crea lo Stato e il suo potere nonché le due distinte sfere di diritto pubblico e diritto privato. Così come Hegel, lo Stato viene concepito da Grotius come un macroindividuo che è in grado, come un individuo, di tenere dei rapporti con gli uomini diversamente dalla polis greca o dalle corporazioni medioevali. Quest'idea accompagna lo sviluppo della borghesia e si traduce nell'idea giusnaturalistica secondo la quale l'uomo possiede strumenti necessari per conoscere e conseguentemente arrivare a dominare il mondo grazie alle nuove scoperte scientifiche. Pufendorf espose alcune sue riflessioni circa le tesi di Grotius e Hobbes, per cui interpreta la riduzione del diritto ad unità concettuale: si tratta di una teoria più soggettivistica del diritto, ossia diritto come comando scaturente dalla ragione dell'uomo in quanto tale e non oggettivistica, nel senso di un diritto che sorge dalla natura delle cose. Per Pufendorf il diritto è un comando che un superiore emette nei confronti di un subiectus, trattasi di Dio nel caso della legge di natura o del Re, nel caso della legge positiva. La sanzione è ciò che rende il comando dell'autorità efficace, la sanzione serve a discriminare le zone di diritto, dalle zone non disciplinate dal diritto, quelle zone, cioè, costituite da un'isola di libertà che consta di azioni non esplicitamente vietate (teoria volontaristica e non naturalistica del diritto). Nella sua separazione tra giurisprudenza e teologia morale, le distinzioni fra legge morale e diritto attengono a tre diversi profili. Sotto il profilo della conoscenza, il diritto è conoscibile mediante ragione, il diritto divino invece mediante rivelazione. Sotto il profilo del fine, il diritto ha come fine la vita terrena, quello divino riguarda la vita ultraterrena. Infine da un punto di vista dell'oggetto, il diritto riguarda le azioni esterne, la legge morale invece le azioni interne. Si perviene così a una laicizzazione del diritto verso la libertà di coscienza e di religione, distinguendo l'ambito religioso da quello giuridico. Si pone inoltre indirettamente al legislatore un limite per gli ambiti da disciplinare, dovranno perciò essere esclusi quegli ambiti che si riferiscono alle azioni interne o comunque quelle azioni che non si riverberano su atti esterni. Nella sua dottrina penalistica Pufendorf si riallaccia a Hobbes, nel dire che la pena è un patimento comminato a causa di un male inflitto. Le venature utilitariste e non proporzionaliste determinano nel suo pensiero il ritenere che la pena deve superare il vantaggio ottenuto dal male commesso, deve essere stabilita dal sovrano con legge precedente il fatto (nullum crimen sine lege e nulla poena sine lege) e resa nota e infine il giudice può arbitrariamente determinare qualità e quantità della pena, secondo le esigenze particolari di esemplarità della punizione o altre esigenze politiche.

"Siamo tutti uguali davanti alla legge, ma non davanti agli incaricati di applicarla" (Stanislaw Jerzy Lec)

Secondo il contrattualismo l'appropriazione di beni è legittima solo se tutti possiedono la stessa quantità o se la proprietà privata viene tassata per compensare le necessità di coloro che sono esclusi dalle risorse; tracciano l'egalitarismo economico nel concetto liberale di autonomia dell'individuo e appropriazione della terra, fuso con georgismo e fisiocrazia riguardo alla proprietà terriera e alle risorse naturali, assumendo come punti di vista quelli di John Locke ed Henry George. Le leggi stabilite dalla natura, tali che siano valide per tutti gli uomini esistono anche se non sono innate: per conoscerle l'unica via è quella di ricercarle e analizzarle con il nostro intelletto. Locke partiva dalla teoria del contrattualismo (già avanzata da Thomas Hobbes e ripresa poi nel "Contratto Sociale" di Rousseau). Nello Stato di natura tutti gli uomini possono essere uguali e godere di una libertà senza limiti; con l'introduzione del denaro e degli scambi commerciali, tuttavia, l'uomo tende ad accumulare le sue proprietà e a difenderle, escludendone gli altri dal possesso. Sorge a questo punto l'esigenza di uno stato, di una organizzazione politica che assicuri la pace fra gli uomini. A differenza di Hobbes, infatti, Locke non riteneva che gli uomini cedessero al corpo politico tutti i loro diritti, ma solo quello di farsi giustizia da soli. Lo Stato non può perciò negare i diritti naturali, vita, libertà, uguaglianza civile e proprietà coincidente con la cosiddetta property, violando il contratto sociale, ma ha il compito di tutelare i diritti naturali inalienabili propri di tutti gli uomini. Inoltre, Locke ha basato il suo piano d'azione sulle società pre-monetarie, in cui sosteneva che per un proprietario terriero fosse "inutile, oltre che disonesto, di ritagliarsi per se stesso troppo, o prendere più di cui aveva bisogno". Con l'introduzione di denaro, Locke ha notato, che tutti i terreni erano stati presi. Perché? Perché con il denaro, coloro che possono prendere più terra di quanto hanno bisogno per l'uso personale hanno motivo di farlo, in quanto a coloro che hanno preso tutta la terra, altri dovranno pagare l'affitto in moneta. Quindi, con l'introduzione del denaro, la proprietà fondiaria viene suddisiva, secondo Locke. E mentre Locke non ha proposto un rimedio specifico per a questo problema, ha ripetutamente affermato che tutte le tasse dovrebbero essere sugli immobili, mentre per George sul nudo terreno. In particolare oggi la scuola di Steiner–Vallentyne pone l'accento anche sulla sua interpretazione dell'originale appropriazione dei beni teorizzata da Robert Nozick. Essa concepisce la "selvaticità" della terra come bene comune e offerto a tutti coloro che abitano in una delimitata zona.

"Ogni proprietario, quindi, di terre coltivate, deve alla comunità una rendita fondiaria (non conosco nessun termine migliore per esprimere l'idea) per la terra, che detiene; ed è da questa rendita fondiaria che il fondo proposto in questo piano è quello di emettere" (Thomas Paine, agrarian justice)

Non essendoci nessuna distribuzione predeterminata del terreno, non ci sono ragioni per cui si dovrebbe pensare che alcuni individui debbano possedere più degli altri, arrivando quindi a considerare le risorse una proprietà collettiva. Tuttavia la scuola di Steiner–Vallentyne rinnega la possibilità che il lavoro "mischiato" possa determinare cambiamenti decisionali sulla proprietà dei beni. In queste scuole di pensiero vi è molta discordanza di idee anche tra i loro stessi membri, dal momento che ognuno di loro predilige modi diversi di utilizzare la proprietà: alcuni fanno affidamento sulla richiesta e il consenso da parte della comunità, altri invece preferirebbero appropriarsi della terra in cambio di una rendita, oppure pagare le tasse sui profitti ricavati dalle risorse appropriate, o infine consentire il comune utilizzo/consumo dei prodotti in questione. Gorz, marxista, che alla fine della sua vita aveva accolto l’idea dopo esservi stato a lungo ostile, vedeva il reddito di base come un adattamento necessario per la crescente automazione del lavoro, ma anche un modo per superare l' alienazione nel lavoro e nella vita e per aumentare la quantità di tempo libero a disposizione di ciascun individuo. Harry Shutt ha proposto il reddito di base insieme ad altre riforme per rendere tutte o la maggior parte delle imprese collettive in natura, piuttosto che private. Insieme, hanno sostenuto, queste misure costituirebbero il make-up di un sistema economico che loro chiamano post-capitalista ma il cui termine esatto per definirlo è "produttivista". Sulla tassazione delle risorse naturali si basarono anche i fisiocratici del 18° secolo, principalmente Thomas Paine, Thomas Spence e Joseph Charlier, a cui seguirono molti riformatori del 19° secolo, come William Cobbett (1827), Samuel Read (1829) e Poulet Scrope (1833) in Inghilterra lo posero in modo che la base è piuttosto un sistema di reddito garantito e nessuna assistenza pubblica, tesi successivamente riprese da Henry George e Silvio Gesell (che molto indicativamente chiamava il mondo "la nostra zuppiera" ad indicare il possesso comune delle risorse). Victor Considérant, un seguace di Fourier, nel 1845 ha fatto un passo verso un reddito di base vero e proprio, sottolineando che per essere allettati a lavorare grazie al falansterio si deve anche essere in grado di avere un reddito minimo per i membri più poveri della società per progredire nella consapevolezza che essi hanno diritto alla sopravvivenza. Jacques Duboin definisce il "reddito sociale" (espressione che fu il primo a impiegare) come la materializzazione di una libertà nuova che dà accesso alla sfera dei valori non mercantili. Tra i suoi discepoli, ci furono Jean Weiland e Jacques Sarrazin. Duboin sosteneva tesi abbastanza vicine alla teoria della "moneta deperibile" sviluppata sin dal 1916 dal tedesco Silvio Gesell. In questo sistema, ogni produzione commerciale sarebbe automaticamente accompagnata dall’emissione del suo "equivalente monetario", ossia dalla quantità di moneta di consumo che permetta l’acquisto delle merci prodotte. La moneta così emessa potrebbe servire una volta sola: sarebbe automaticamente annullata nell’istante dell’acquisto, e l’ammontare della massa monetaria emessa durante un dato periodo sarebbe uguale al prezzo totale dei beni messi in vendita nello stesso lasso di tempo. A ogni nuova produzione corrisponderebbe l’emissione di una nuova quantità di moneta. Si può fare un paragone con l'abitudine all'interno delle carceri (dove la circolazione dei soldi è proibita) di usare come valore di scambio convenzionale le sigarette, valore che "scompare" dopo essere state fumate. Esso pone, tuttavia, dei problemi di cui André Gorz era molto consapevole: "Come si fa a stabilire l’equivalente monetario di un prodotto al momento della sua produzione, soprattutto quando questa produzione richiede pochissimo lavoro? Il suo valore di scambio, il suo prezzo, non possono essere determinati dal mercato, poiché l’emissione di moneta di consumo deve aver luogo prima o nell’istante della immissione sul mercato. Affinché la quantità di moneta emessa corrisponda al prezzo di vendita, bisogna che i prezzi siano fissati ex ante, da un “contratto cittadino” tra consumatori, imprenditori e poteri pubblici. Detto altrimenti, bisogna che i prezzi siano prezzi politici, che il sistema dei prezzi sia il riflesso di una scelta politica, di una scelta di società concernente il modello di consumo e le priorità che la società intende darsi". Difatti sia Gesell che Douglas non comprendevano la moneta come merce, ma anzi la negavano. Ciò non toglie che seppur partendo dal presupposto errato di Gesell, grazie alla successiva correzione ad opera di Douglas (che ne formulò i fondamenti matematici con la sua "teoria A + B") siano giunti a risultati esatti con la teoria del credito sociale. Così come i distributisti, anche Douglas vede nella distribuzione il cardine fondamentale dei nodi da risolvere, e nella tecnologia accumulata nei mezzi di produzione. Egli ha definito il patrimonio culturale come le conoscenze, tecniche e processi che sarebbero stati realizzati da noi in modo incrementale dalle origini della civiltà (cioè il progresso). "Siamo soltanto gli amministratori di quel patrimonio culturale, e in tal senso l'eredità culturale è di proprietà di tutti noi, nessuno escluso", sostiene, e lo fa con un esempio: "chi produce ruote non deve reinventarla ogni volta". Egli criticò l'ossessione degli economisti per i valori e la loro analisi delle relazioni tra prezzi e redditi, che a suo dire li aveva sempre portati fuori strada dalla comprensione della matematica economica cioè verso il valore inteso come oggettivo anzichè soggettivo, e lo dimostra con il fatto che la deflazione è considerata come un problema in un economia ortodossa anzichè come una "benedizione", perché i banchieri e uomini d'affari sono portati a trascurare un possibile "limite inferiore" dei prezzi e perciò non possono comprendere che la deflazione è il sintomo di un economia che progredisce anzichè regredire o restare stabile. Poiché ad ogni miglioramento del processo minori input vengono consumati per produrre un'unità di output, il costo reale di produzione cade nel tempo. Di conseguenza, i prezzi dovrebbero diminuire con il progredire del tempo. Se ciò non avviene è a causa di distorsioni (o come li chiama lui, "sabotaggi") contabili artificiali, cioè non reali. Secondo le convenzionali regole di contabilità, questi redditi sono parte del costo finanziario e del prezzo del prodotto finale. Solo che solitamente nella realtà non è così (ad esempio a causa delle imposte e dei dazi), ed è questo a causare le distorsioni. Per questo Douglas ritiene che il denaro dovrebbe essere interpretato solo come mezzo di "comunicazione" con cui i consumatori dirigono la distribuzione della produzione, non come il valore stesso. Affermò che identificare nel mezzo il valore stesso era causa di "sabotaggio" del sistema economico, per cui propose la necessità di un "rimborso" o "compensazione" (ovvero la retribuzione di un reddito di base universale) determinato dal rapporto tra il consumo e la produzione, poichè identifica la causa originaria del problema sistemico dell'aumento dei prezzi (inflazione), non nel "troppi soldi a fronte di troppo pochi beni" in sè, ma nel crescente tasso di spese generali di produzione a causa della sostituzione del lavoro con il capitale nel settore industriale combinato con una politica artificiale di piena occupazione a parità di salario. Dal momento che il consumo per un periodo di tempo è in genere inferiore rispetto alla produzione rispetto allo stesso periodo di tempo, in ogni società industriale, il costo reale dei beni dovrebbe essere inferiore al costo finanziario. Egli lo dimostra con l'economia bellica, una produzione gonfiata artificialmente da ragioni illogiche e superflue, non atte al consumo o all'utilizzo cioè. In questo contesto si inserisce la sua idiosincrasia per i pareggi di bilancio, che a suo vedere avrebbero dovuto invece essere sempre in attivo per permettere la retribuzione del surplus come un dividendo nazionale. "Se lo scopo del nostro sistema economico è quello di fornire la massima quantità di beni e servizi con il minimo sforzo, quindi la capacità di fornire beni e servizi con il minor numero di posti di lavoro è in realtà desiderabile, infatti, così semplice che appare del tutto incomprensibile per la maggioranza delle persone, è che l'oggetto del sistema industriale è semplicemente quello di fornire beni e servizi". Un concetto di una banalità disarmante eppure ancor oggi apparentemente incomprensibile (o inaccettabile?) alla maggior parte delle persone (in particolare ai sindacalisti...). Di conseguenza Douglas puntando sul fatto che la disoccupazione è una conseguenza logica delle macchine che sostituiscono il lavoro umano nel processo produttivo, e qualsiasi tentativo di invertire questo processo attraverso politiche volte a realizzare la piena occupazione sabota direttamente il nostro patrimonio culturale, ha sostenuto che gli "sfollati" dal sistema industriale per via del processo di meccanizzazione dovrebbero comunque avere la possibilità di consumare i frutti della produzione, in quanto eredi del patrimonio culturale, e la sua proposta di un dividendo nazionale è direttamente connessa con questa convinzione. Ovvero, come può chi ha reddito zero acquistare qualcosa di già (o potenzialmente) esistente ma che non ha niente con cui scambiarlo? In questo identificò il problema nella distribuzione, e non nel valore oggettivo (compreso quello del lavoro) come gli economisti precedenti. In sostanza, definiva il sistema di scambio neo-classico come una mera trasposizione del baratto nella quale il mezzo denaro veniva, a causa dell'obsoleto sistema aureo, a rappresentare un qualunque bene barattabile, mentre invece a suo vedere la moneta avrebbe potuto (e dovuto) essere essa stessa "protagonista" del sistema distributivo, svincolata cioè dal "valore" stesso. Per questa ragione egli ha usato il termine "credito" per definire la sua teoria, in riferimento alla natura creditizia del denaro in contrapposizione alla visione aurea. Douglas riteneva che il denaro non dovesse essere considerato come una merce, ma piuttosto come un biglietto, un mezzo di distribuzione della produzione. Da questo presupposto nasce quindi, con la collaborazione di Alfred Richard Orage, la sua idea del credito sociale, secondo cui, il denaro è solo un astratta rappresentazione del credito reale della comunità, che è la capacità della comunità di fornire beni e servizi, quando e dove sono richiesti. Non un "equivalente". Non ha caso nell'incipit del suo primo articolo "l'illusione della superproduzione" si legge "non è mia intenzione sminuire il lavoro dei commercialisti", il cui senso appare abbastanza chiaro in riferimento all'interpretazione della moneta come valore cristallizzato vigente tra gli economisti del tempo (l'uso del termine "commercialisti" è in loro riferimento spregiativo). Oltre a queste teorie di natura contabile Douglas analizzò anche i loro risvolti nel mercato globale, identificando in tali storture l'origine dell'accumulo di debito pubblico e dell'alterazione delle bilance commerciali determinata dalle conseguenti politiche autarchiche, la cui conseguenza a lungo termine di questa politica ottusa è la guerra commerciale, in genere con conseguente vera guerra.

"Colui che chiede la piena occupazione, chiede bandi di guerra!" (motto del Credito sociale)

In seguito alle teorie di Douglas nacquero diversi partiti rifacentisi al credito sociale, regolarmente come emanazione delle precedenti fazioni distributiste dei partiti laburisti, ad opera in particolare di John Hargrave, William Aberhart, Gorham Munson, L. Denis Byrne, George F. Powell, Ernest Manning. Tuttavia Douglas stesso era contrario alla politicizzazione delle sue teorie, convinto che esse non fossero "di parte" ma fossero semplicemente proprietà di qualunque persona dotata di buon senso, e che "un gruppo di dilettanti eletti non dovrebbe mai dirigere un gruppo di esperti competenti in questioni tecniche". Non stupisce quindi che i maggiori critici furono JM Pullen, Gary North, Hobson, Hawtrey e JM Keynes, ed in generale gli economisti "di sinistra", lavoristi, marxisti, fabianisti, social-democratici. Ovviamente, la domanda che sorge spontaneo porre a questi è: come posso acquistare un bene senza avere niente da cedere in cambio? Ma dopotutto come si può pretendere di ragionare con persone che sostengono che il decremento monetario provochi inflazione, e non casomai deflazione qualora non venisse compensato da emissione di nuova moneta? Douglas stesso definì tale stupidaggine "un mito" facendo notare sulla base delle analisi di Gesell sulla teoria quantitativa della moneta come "la variazione della velocità di circolazione della moneta non possa in nessun caso provocare aumento di potere d'acquisto". I critici sostengono che se il divario tra reddito e dei prezzi esistesse, l'economia sarebbe crollata in breve tempo. Ma Douglas non ha mai sostenuto ciò... ha invece sostenuto che il sistema per reggersi attua metodi che peggiorano la situazione ma impedendole di crollare, addossando i problemi solo su alcuni, quindi la risposta da dare a questi critici è: vadano a chiedere a chi ha reddito zero come procede la SUA economia... se è o non è crollata. Douglas invece rispose
"Ciò che questi si dimenticano di dire è che stiamo accumulando debito al ritmo di dieci milioni di sterline al giorno e se si può dimostrare, e si può dimostrare, che stiamo aumentando il debito in modo continuo allo scopo di sostenere artificialmente un normale funzionamento del sistema bancario e del sistema finanziario, questa stessa è la prova che non stiamo distribuendo la capacità sufficiente per acquistare la merce in vendita disponibile all'acquisto; altrimenti non dovremmo fare debito, il debito non esisterebbe, e questa è la situazione"
Douglas descriveva una bolla, la bolla che sarebbe scoppiata nel 1929. Orage dopo aver lasciato il partito laburista abbandona anche l’utopismo neomedievale della Lega delle gilde nazionali e abbraccia gli ideali del Credito Sociale. Negli anni che seguono la grande depressione, Douglas e Orage si rendono conto che il problema non è la produzione dei beni, ma l’equa distribuzione delle ricchezze. Tre pilastri, Gesell, Douglas e Orage, che costituiranno il fondamento dell’economia "poetica" di Ezra Pound: pensatori eretici, fautori di una terza via fra liberalismo e statalismo. Il 5 novembre 1934 Orage tiene un famoso radiodiscorso alla Bbc proprio sullo scandalo dell’esistenza della povertà in mezzo all’abbondanza. Nel 1939 il militante del credito sociale Robert A. Heinlein scrive "A noi vivi" (titolo originale For Us, the Living), un romanzo di fantascienza utopica pubblicato postumo negli Stati Uniti nel 2004 (in italiano nel 2005). Racconta la storia di un uomo morto nel 1939 che si risveglia nel 2086 in un altro corpo, in un mondo in cui vige un livello di libertà individuale finora mai sperimentata dal genere umano e dove grazie anche ad uno sviluppo tecnologico che ha liberato l'uomo da molte delle sue preoccupazioni, ed all'affermazione di un modello economico che, dopo aver ristretto drasticamente l'influenza delle banche private, può garantire a tutti un reddito minimo, rendendo il lavoro un'opzione volontaria. Il "dividendo del cittadino" di Paine è l’antenato diretto del reddito di cittadinanza, che adatta alle economie moderne il progetto da lui sostenuto per la società agricola del suo tempo. Tutti loro hanno auspicato misure per promuovere la giustizia sociale, ridurre il ruolo coercitivo dello Stato e restaurare la libertà individuale - finanche l’emancipazione dal lavoro.

"Non bisogna abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via perché i molti possano acquistarla" (G. Mazzini, Doveri dell'uomo, capitolo XI)

Nonostante pochi ne siano consci, questa diatriba apertasi 800 anni fa con la fine del feudalesimo, in campo accademico continua ancor oggi, ma divenne accesa all'avvento della rivoluzione industriale, divergendo definitivamente a fine '800 tra i fautori dell'abbattimento del capitalismo e quelli della sua riforma. Tra questi ultimi, i distributisti. Buttiamo quindi via tutto del capitalismo, come voleva fare Marx? Dopotutto l'unico modo è quello attuato nella Cambogia dei Khmer rossi... No, il distributismo non è un idea nata "anti" qualcosa. Anzi, è perfino errato definirla "nata". Esso è semplicemente la filosofia della volontà di riportare la società a quella normalità che da tempo è stata stravolta. Le basi dell'ideale distributista non nascono da Mussolini, o da Douglas, o da Gesell, ma sono innate nell'uomo, e conferma di ciò ne è proprio il fatto che sono state sviscerate in modo indipendente da diverse correnti filosofiche, anche all'insaputa l'una dell'altra, sia in precedenza e sia contemporaneamente, che sono solo sfociate in piazza S. Sepolcro nel 1919 come reazione al risultato di decenni di lavorio occulto delle forze opposte, lavorio che aveva avuto il suo evidente risultato nella prima guerra mondiale; è in seguito a quella guerra che in quell'anno questa filosofia si è organizzata necessariamente come partito per riportare il progresso economico sulla strada della spontaneità produttiva castrata a partire da un certo momento in poi da quelle forze. Assieme alle conseguenti implicazioni sociali e culturali, perché non si ripetesse mai più una nuova guerra mondiale a causa di un economia dolosamente alterata da quelli che sono i veri "anti", quelli che loro si hanno pianificato per deviare.

“Il mondo si divide in tre categorie di persone: un piccolissimo numero che fanno produrre gli avvenimenti; un gruppo un pò più importante che veglia alla loro esecuzione e assiste al loro compimento, e infine una vasta maggioranza che giammai saprà ciò che in realtà è accaduto” (Nicholas Murray Butler)

L’identità di questi ci viene dagli studi compiuti da alcuni economisti tra cui Clifford Hugh Douglas, e lo scrittore Gilbert Keith Chesterton, i quali solo perché teorizzatori e sostenitori delle teorie economiche distributiste del credito sociale furono incomprensibilmente accusati di antisemitismo. Nel suo libro, "Discredito sociale: antisemitismo, credito sociale e la risposta ebraica", Janine Stingel afferma che "le dottrine economiche e politiche di Douglas erano del tutto dipendenti da una teoria del complotto antisemita". Da questa inattesa accusa essi ne ricavarono che le teorie che avevano sviluppato erano in contrasto con le filosofie economiche ebraiche che fino allora avevano implicitamente regolato il sistema economico, finendo per avere un influenza fondamentale anche sul cristianesimo nelle sue forme anti-cattoliche. Difatti le dottrine culturali ebraiche (vecchio testamento) di legalismo, individualismo, e di "salvezza attraverso le opere" sarebbero la base ideologica del liberalcapitalismo, mentre all’opposto la teoria economica distributista è basata sulla dottrina tipicamente cristiana (nuovo testamento) dell’incarnazione e di "salvezza attraverso la grazia divina", parte della dottrina sociale della Chiesa cattolica la cui base è il concetto pur sempre capitalistico ma personalistico di pauperismo, il quale nel corso del tempo ha dovuto soccombere alla materialistica filosofia ebraica e calvinista dell’economia. A conferma di ciò altri studiosi (tra cui i poeti Ezra Pound e Robert Brasillach) hanno analizzato la genesi dell’antisemitismo anche nei movimenti non dichiaratamente fascisti, ed in paesi privi di ebrei (Giappone ad esempio), notando come l’antisemitismo vi si presentasse regolarmente quando questi contemplavano le teorie economiche distributiste, e ricavandone che ciò si presentava non perché antisemiti lo fossero, ma perché venendo accusati di esserlo se ne auto-convincevano loro stessi! Che poi è lo stesso motivo dei fascisti odierni (e lo posso confermare perchè ciò era valso anche per me, che oggi potendo comprendere che era causato dalla suggestione indottami dalla vulgata anti-fascista, so invece come interpretare la cosa e non posso certo più definirmi tale, soprattutto nella consapevolezza che sarebbe ciò che invece desidererebbero gli anti-fascisti)... Ora ditemi se è normale che qualcuno si dica qualcosa non perchè lo sia ma perchè sono gli altri a dirgli che lo è (ovvero ad etichettarlo come tale)... perchè questo è l'unico motivo plausibile per cui un qualunque fascista si ritiene di essere razzista più di una qualunque altra persona; e questo condizionamento sociale è talmente forte che essi stessi, dopo esserci caduti, non ci arrivano a capirlo e lo negano!

"E' più facile ingannare la gente che convincere loro che sono stati ingannati" (Mark Twain)

Certo ci possono anche essere fascisti personalmente razzisti, ma tanto quanto ci possono essere comunisti razzisti, repubblicani razzisti, liberali razzisti, eccetera. Il fatto che invece le due cose vengano pressochè equiparate fino a ritenerla perfino una peculiarità è una cosa che non si comprende nemmeno da dove sia saltata fuori dato che il fascismo mussoliniano non faceva alcun accenno a questioni razziali fino a quando dovette farlo solo per non inimicarsi Hitler (nelle braccia del quale, non lo si dimentichi, a spingerci erano stati gli anglo-francesi), e fino a tale data nell'Italia del ventennio non vi era certamente più razzismo che in qualunque altro paese colonialista dell'epoca. La cosa raggiunge la farsa nel momento in cui una canzone il cui testo invita alla fratellanza tra i popoli, "faccetta nera", viene portata (ovviamente indicando che egli non l'ha mai ascoltata) come esempio di un presunto "peculiare" razzismo fascista. Questo spiegherebbe perché in paesi come l’Islanda od il Giappone abbia fatto capolino l’antisemitismo divenendo caratteristica fondamentale di determinati partiti politici (anche collocati a sinistra) riconducibili tutti al sistema economico distributista, nonché perché anche oggi ci sia qualcuno che si definisca tale pur non trovandosi nella Polonia pre-1939.

"Noi rispettiamo il carattere sacro di Roma. Ma è ridicolo pensare, come fu detto, che si dovessero chiudere le sinagoghe! Gli ebrei sono a Roma dal tempo dei re. Rimarranno indisturbati, come rimarranno indisturbati coloro che credono in un altra religione" (Benito Mussolini, 1929)

Con "fu detto" Mussolini si riferisce all'unico ambito di antisemitismo esistente allora in Italia, le gerarchie ecclesiatiche. Paradossale vedere come in seguito le cose vengano presentate capovolte, il Papa presunto difensore degli ebrei e Mussolini carnefice... Ovviamente l'origine dell'accomunare fascismo e razzismo risiede nell'aver spostato l'antisemitismo dal piano economico a quello razziale peculiare dell'est europeo sulla scia del nazional-socialismo hitleriano (che dopo la notte dei lunghi coltelli che aveva eliminato la fazione fascista dallo Nsdap, non si capisce che cosa avesse ancora di fascista...), facendo così di tutta l'erba un fascio poichè le stesse divisioni sociali esistenti in qualunque popolo esistevano pure tra gli ebrei, mica che fossero un monolite insomma, per cui come esistono italiani comunisti, italiani repubblicani, italiani fascisti, esistevano ebrei comunisti, ebrei repubblicani, ebrei fascisti, eccetera, e quindi esistevano pure ebrei laici che non dando seguito ai precetti religiosi si schieravano con le teorie distributiste, e non è un azzardo teorico dato che un partito ebraico rifacentesi ad esse è esistito, il Brit Habirionim di Abba Achimeir, Uri Zvi Greenberg e Joshua Yeivin poi messo fuori legge dalle autorità britanniche (allora la Palestina era mandato britannico). Il fatto che ci sia un sionismo religioso, ortodosso e impregnato di messianesimo ed un sionismo di tutt'altro tipo non è negabile. Negare le differenze fra queste due tipologie sarebbe come dire che il nazionalsocialismo è la stessa cosa del tradizionalismo cattolico reazionario, solo perchè entrambi in qualche modo hanno lottato contro comunismo, socialismo, liberalismo, democrazia e - pur concependolo in maniera diversa - giudaismo. O - per farla ancora più semplice - perchè entrambi si sono nutriti di suggestioni comuni dal punto di vista "nominale", ma diverse se non opposte nella sostanza. Purtroppo certa area neo-fascista, a causa della "palestinolatria", non ha mai voluto ammettere fino in fondo che esiste una differenza ineludibile fra l'ebreo cosmopolita e l'ebreo nazionalista e sionista, o perfino distributista. Dal canto suo, Douglas alle accuse di antisemitismo rispose che la sua “teoria A + B” si basa su un’analisi dei prezzi e dei redditi e del loro rapporto di contabilità dei costi, non su una “teoria cospirativa antisemita”. Fondamentalmente quindi, il motivo per cui il fascismo è venuto in contrapposizione con l’ebraismo fu dovuto dalla sopraggiunta consapevolezza di quale fosse il principale ostacolo internazionale alla realizzazione dei progetti socio-economici distributisti mussoliniani: il gruppo sociale egemone nella massoneria nordista come propagatore del sistema economico liberista, derivazione diretta della cultura ebraica trasposta nell’economia. Di conseguenza il fascismo non poté esimersi dall’opporsi a queste basi culturali, con il pur consapevole scotto di apparire agli occhi dell’opinione pubblica mondiale come un “retrivo antisemitismo”. Ma da qui ad arrivare ad accusare il fascismo di antisemitismo nel senso razziale del termine ce ne dovrebbe passare...

"Si può essere pieni di ammirazione per la vitalità della cultura fascista, per lo stesso senso di unità che il fascismo restituiva alla collettività, ma nello stesso tempo aborrire il totalitarismo, lo Stato poliziesco, il crimine politico. Non si è necessariamente candidati al posto di guardiani di campi di concentramento o di servi delle dittature se si riesce a percepire quello che i dissidenti degli anni ’30 ammiravano nello spirito del tempo e cioè la rivolta contro la concezione utilitaristica della società" (Zeev Sternhell)

E' quella guerra che ha aperto gli occhi sul fatto che l’economia non seguisse più un corso naturale ed i modi coi quali questa deviazione veniva attuata e protetta dall’altrimenti inevitabile crisi perpetua: in primis le due guerre mondiali. La stessa rivoluzione russa lo dimostra. Marx (però basandosi sul suo “materialismo storico”) aveva ipotizzato il fallimento di quel sistema: Marx sosteneva che i lavoratori sarebbero diventati sempre più poveri, man mano che i capitalisti li sfruttavano sempre più; che le differenze tra i membri all’interno di ogni classe sarebbero divenute sempre più piccole e le classi sarebbero diventate quindi più omogenee; che gli operai specializzati sarebbero stati rimpiazzati da lavoratori generici che eseguivano un ripetitivo lavoro di assemblaggio in linea; che le relazioni tra la classe lavoratrice e i capitalisti sarebbero sempre più peggiorate; che i capitalisti sarebbero diventati sempre meno a causa di un numero crescente di monopoli; e che la rivoluzione proletaria sarebbe avvenuta per prima nelle nazioni più industrializzate. Le predizioni di Marx riguardanti il crescente immiserimento della classe operaia avevano alcune somiglianze con le predizioni fatte da altri economisti in precedenza, come le conclusioni di David Ricardo derivate dalla sua “legge ferrea dei salari”, che sostiene che i salari sono indipendenti da qualunque logica spontanea (per cui critica la "mano invisibile" di Smith), ma sono unicamente legati ad un meccanismo statico, svincolati da qualunque altra azione umana che non sia la decisione unilaterale dello stipendiante, il quale li manterrà per sua volontà sempre al livello minimo di mera sussistenza; che ogni eventuale aumento di salario provocherebbe automaticamente un aumento di popolazione (le persone farebbero più sesso), ma questa è una possibilità che egli ritiene solo teorica in quanto l’aumento stesso di popolazione riporterebbe (ovvero manterrebbe) i salari al minimo, ed un padrone non avrà mai la volontà di aumentare gli stipendi oltre il minimo vitale. In seguito tale teoria fu rielaborata da Ferdinand Lassalle ed esposta come "legge bronzea dei salari". Thompson respinge la proposta di Malthus / Mill che qualsiasi aumento del salario dei lavoratori può risultare solo nel loro ulteriore impoverimento, notando la natura egoista di questa teoria per i capitalisti che premono per una legislazione contro gli sforzi dei lavoratori per aumentare i loro salari. Sulla scia di Mill, Hodgskin ha proposto che la strada per la giustizia economica per l'operaio era attraverso un sistema competitivo riformato. Thompson ha risposto con la sua "Labor Premiata" per difendere il "cooperativismo" comunista contro l'apologia dei salari diseguali di Hodgskin. A loro volta Thomas Hill Green e Leonard Trelawny Hobhouse, idealisti influenzati dalla metafisica di Hegel e contrari all'empirismo di David Hume e l'evoluzionismo derivato da Herbert Spencer secondo il quale la mancanza di coesione tipica delle società primitive doveva esser surrogata con una centralizzazione del potere in un sistema gerarchico. Nelle moderne società industriali, la cooperazione forzata delle società militari è stata sostituita da una cooperazione volontaria che consolida la coesione degli individui. L'iniziativa, nella vita collettiva, spetta soltanto all'individuo, lo Stato con le sue leggi non deve regolare in alcun modo la società ma deve al massimo interessarsi alle funzioni di ordine pubblico. La negazione di ogni interferenza dello Stato con la vita sociale (assistenzialismo, risoluzione conflitti sociali) fa di Spencer un sostenitore del liberalismo politico avversando concezioni socialistiche o comunistiche anche se, contrariamente allo stereotipo che lo vede come un ultra-conservatore, Spencer era simpatizzante delle istanze georgistiche, ferocemente anti-imperialista, femminista radicale e sostenitore di un modello di produzione basato sulle cooperative piuttosto che sul lavoro salariato. Green rappresentò, fondamentalmente la reazione filosofica a queste due dottrine, mentre Trelawny Hobhouse, anch'egli molto vicino alle idee di Mill, vi sono due concezioni dello Stato: quella Hegeliana (metafisica: lo Stato è un fine, è il supremo compimento dell'umana realizzazione) e quella democratica (lo Stato è un mezzo, è destinato alla subordinazione in una comunità mondiale). Lo Stato hegeliano è lo stato del privilegio, nella visione liberaldemocratica lo Stato è al servizio dell'individuo. Con il progresso storico si supera la diarchia governanti-governati e si arriverà all'autogoverno: per Hobhouse la storia sta procedendo in questa direzione (Hobhouse non pone questo discorso come utopia ma crede che avrà uno sviluppo razionale). Compito dello Stato è imporre una soluzione razionale, non è uno Stato che si limita a fare il “guardiano notturno” ma deve intervenire per assecondare la libertà individuale. L'esempio che fa Hobhouse è quello della contrattazione in ambito lavorativo: non deve avvenire per forza tra individui, ma anche con l'autorità garante dello Stato. Allo stesso modo lo Stato deve garantire l'istruzione pubblica. La libertà non è qualcosa di preordinato ma può anche essere un fatto compromissorio: deve essere un qualcosa che viene tutti i giorni dal basso.

"La libertà non si può definire per mezzo dei suoi istituti, ossia giuridicamente" (Benedetto Croce)

Lo Stato deve promuovere lo sforzo individuale, può e deve guidare l'autorealizzazione dell'individuo. Con Hobhouse si parla per la prima volta di socialismo liberale: una tendenza che non vede contrasto tra liberalismo e socialismo e che si contrappone al socialismo illiberale, quello marxista, dedito alla pianificazione che non lascia all'individuo alcuno spazio di iniziativa privata. Anche secondo Hobhouse, Mill sarebbe il padre del socialismo liberale che non prevede una pianificazione ma invece una società dei talenti: per questo lo si può considerare il padre della "epistocrazia" e della "critocrazia". Thomas Malthus, rianalizzando la teoria di Ricardo sul collegamento salario-sesso, previde un rendimento decrescente a causa della rendita differenziale nella produzione agricola al crescere della popolazione mondiale; attribuisce quindi alla pressione demografica la diffusione della povertà e della fame in molte aree del pianeta e propugna il controllo delle nascite al fine di evitare il deterioramento dell'ecosistema terrestre e l'erosione delle risorse naturali non rinnovabili. Nel 1899 Eduard Bernstein e Karl Kautsky smentiscono le previsioni di Marx e di Malthus, tanto che fino ad oggi le loro previsioni non hanno ancora avuto la possibilità di verificarsi globalmente, e dubito un giorno lo faranno, tanto che ormai nessun economista serio prende in considerazione tali balorde affermazioni smentite dall'evidenza stessa che all'aumento della ricchezza corrisponde la diminuzione delle nascite, non l'aumento. Se queste predizioni non si possono avverare, è perché azione comporta reazione: ci furono una serie di eventi nell’ultimo secolo e mezzo, che Marx non aveva previsto: imperialismo, I guerra mondiale, economia keynesiana (che introdusse il concetto di redistribuzione della ricchezza tramite trasferimenti pubblici sperimentata nel “new deal”), II guerra mondiale e infine guerra fredda (con i suoi vari risvolti). Quindi di fronte ad un andazzo deleterio non è che gli uomini se ne stiano lì ad osservarlo, ma prendono provvedimenti contingenti. I marxisti non arrivano a capire anche che se così tanti eventi “imprevedibili” sono avvenuti in passato, un numero pari potrebbe avvenire in futuro, e quindi il loro “materialismo storico” non è un metodo affidabile per fare previsioni, perché il sistema vigente troverà sempre le soluzioni con cui reagire, più o meno spregevoli che siano, ma sempre funzionali ad esso. Il solo ed unico risultato ottenuto da Marx è stato proprio il consigliare i potenti su come prepararsi per poter evitare il fallimento, illustrandogli le problematiche prevedibili. Sono duecento anni che si sente ripete le solite stronzate malthusiane che "la terra tra dieci anni collasserà per sovrappopolazione" tutte profezie smentite dai fatti successivi. Nella verità si scopre che

Bisogna arrivare all’epoca delle rivoluzioni, sul finire del ‘700, per trovare un pensatore che sostenga l’idea di un reddito minimo incondizionato, giustificato come forma di ricompensa per l’ingiustizia insita nella proprietà terriera. L’autore di questo concetto è il filosofo, politico e rivoluzionario Thomas Paine: “La terra, nel suo stato naturale e non coltivato, era, e sarebbe continuata a essere, una proprietà comune a tutta la razza umana” e “Gli uomini non hanno creato la terra. Il valore dei soli miglioramenti, e non la terra stessa, è la proprietà individuale. Ogni proprietario deve alla comunità un affitto per la terra che detiene”, scrive nel libello Giustizia Agraria. “(...) Ogni proprietario terriero, per questa ragione, deve alla comunità una rendita per la terra che possiede”. Una rendita, prosegue Paine, “che dovrebbe essere pagata a ogni singola persona quando arriva all’età di ventuno anni”.

Da wikipedia:
La prima proposta di una politica monetaria universale ed incondizionata molto simile a quella del reddito di base da alcune fonti viene indicata nel libello del 1795 La Giustizia Agraria di Thomas Paine. In esso l'autore proponeva al fine di risolvere il problema della povertà dilagante in Francia la creazione di una tassa di accesso alla proprietà fondiaria con la quale costituire un fondo poi equamente ripartito tra tutti i cittadini nel seguente modo: una somma abbastanza consistente al compimento della maggiore età seguita da un pagamento annuo dai 50 anni in su.

Questa dotazione si basava perciò sull’idea francescana di una proprietà comune della terra e sulla tomista mutualizzazione di una tassa sulla rendita fondiaria come risarcimento comune. "Il primo principio della civiltà", scrive Paine, "sarebbe dovuto e dovrebbe sempre essere che la situazione generale degli individui nati in uno stato civilizzato non debba essere peggiore di quanto lo sarebbe stato nello stato di natura". Praticamente consisterebbe nell'ammontare complessivo del reddito di cittadinanza spettante in un intera vita media elargito in un unica soluzione al compimento dei 21 anni, prevedendone un suo uso per investimento. Rappresenta in pratica non tanto un reddito, che è per definizione elargito cadenzialmente, quanto un "patrimonio di base universale" inteso come "egualitarismo asset-based" ovvero non con lo scopo di fungere da base reddituale, ma di dare un opportunità di partenza uguale per tutti. Il problema è nel tipo di uso che qualcuno potrebbe farne, ad esempio perderli subito tutti assieme al casinò restando perciò con una mano davanti e l'altra dietro per il resto della vita. Per cui, a causa del fatto che diverse persone hanno diverse abilità e talenti per utilizzare un capitale finanziario affidatogli, vi è sempre il rischio che quelli privi di un educazione finanziaria formale finirebbero per alienare la propria libertà dissipando il loro capitale o "stakeblowing". Stuart White ha sostenuto che a meno che non venga fornita un educazione corretta, ci sarebbe sempre un risultato diseguale, dato che le persone hanno fondamentalmente diverse capacità di gestione del risparmio, per cui questo metodo viene criticato come non egualitario. Attualmente questo tipo di proposta è sostenuta da Bruce Ackerman e Anne Alstott in "The Stakeholder Society". Questa dotazione incondizionata per ogni giovane che accede all’età adulta è l’antenata diretta del reddito di cittadinanza, che adatta alle economie moderne il progetto sostenuto da Thomas Paine per la società agricola del suo tempo. Si tratta quindi comunque non di un vero reddito di cittadinanza come inteso oggi, ma l'importanza di tale origine sta nelle motivazioni che spinsero il quacchero Paine a studiarla e proporla ai primordi della rivoluzione industriale.

"Questo reddito è accordato perché si esiste e non per esistere, è una sorta di buono di partecipazione, che ratifica un’appartenenza e impegna il cittadino nella comunità" (Yoland Bresson)

Così come per Tommaso Moro, anche secondo Paine avrebbe rappresentato un "contratto sociale". Paine l'interpretava in un eredità come parte di un fondo comune e voleva fondare il "dividendo del cittadino" in una tassa sui trasferimenti di eredità, invece i georgisti si concentrarono sul fondarla sulle risorse naturali. Il dividendo dovrebbe valere sulle risorse anche secondo Thomas Pogge, dovuto ad ogni cittadino perché ognuno possiede una quota irrinunciabile in tutte le limitate risorse naturali. La sua teoria va di pari passo con Barnes con l'eccezione di proprietà, Pogge sostiene che le persone possiedono le risorse. Invece il Progress Report dice che il dividendo dovrebbe essere valutato dal mercato libero, e di questo avviso sono i consequenzialisti odierni, in particolare i distributisti, applicandolo in questo modo anche come forma contrattualista: di conseguenza esso sarebbe la giustificazione per il diritto alla proprietà privata originale: il reddito di base è il risultato naturale di un presunto diritto alla proprietà privata originale o diritto universale alla proprietà privata, che è l'idea che ognuno deve essere garantita un modo giusto la proprietà di certa parte della ricchezza - come definito da Gabriel Stilman, "una parte del valore delle risorse naturali nella società, pari a quello di altri regimi contemporanei". Poco dopo anche Charles Fourier basò la sua proposta sullo stesso ragionamento: la civiltà deve all'individuo un minimo di sussistenza per aver violato diritti fondamentali quali la libertà di caccia, pesca, raccolta, e pascolo. Successivamente fu Antoine-Augustine Cournot nel suo "Recherches sur les principes mathématiques de la théorie des richesse" del 1838 ad abbozzare i fondamenti del liberista "dividendo sociale", che pur avendo le forme di un semplice sussidio essendo calcolata sul reddito esistente come "imposta negativa sul reddito" ("negative income tax"), parte dai medesimi presupposti. Poco più tardi, nel 1848, Joseph Charlier partendo da posizioni foureriane dirà lo stesso: gli uomini hanno uguale diritto di godere delle risorse naturali create dalla Provvidenza per consentire a ognuno di soddisfare i propri bisogni. Nella definizione data da Charlier il dovere della società consiste nell’assicurare a ognuno la giusta partecipazione al godimento degli elementi che la natura ha posto al suo servizio, senza che vi sia usurpazione degli uni a danno degli altri. Louis Blanc, identificabile come il primo socializzatore, coi suoi “ateliers nationaux” propose l'equa ripartizione della proprietà, mentre Charlier, come i tomisti di 600 anni prima, riconosce altresì che la prerogativa dell’uomo è utilizzare ciò che gli fornisce la natura e, attraverso il discernimento della legge naturale, plasmare la realtà per raggiungere i propri scopi. Nella sua idea di chiara derivazione francescana la proprietà fondiaria privata è però incompatibile con il concetto di giustizia; di conseguenza lo Stato avrebbe il compito di diventare il solo proprietario del suolo, ma in alternativa viene quindi proposto un dispositivo che conceda rendite vitalizie ai proprietari terrieri (cioè ne ufficializzi l'uso esclusivo), assicurando allo stesso tempo ai non proprietari (che sono la netta maggioranza) una somma fissata in maniera incondizionata sulla base del valore locativo di tutte le proprietà reali, che prenderà il nome di "dividendo territoriale". Sullo stesso ragionamento, ma in funzione prettamente tributaria, si fonderà in seguito la teoria fiscale di Henry George. Essendo entrambe calibrate su valori precisi, si discostano ancora in ciò rispetto al concetto odierno, che prevede una quantificazione simbolica in riferimento al risarcimento propriamente detto. Il geolibertarismo è una politica e ideologia economica che integra libertarismo con georgismo. Esso cerca di sintetizzare il libertarismo con la filosofia georgista-contrattualista della terra come beni comuni senza proprietario o ugualmente di proprietà di tutte le persone, citando la classica distinzione tra terreni, attrezzati e la proprietà privata. Il valore locativo dei terreni è prodotta dalle fatiche della comunità e, come tale, giustamente appartiene alla comunità in generale e non solo al proprietario terriero.

"Il progresso ordinario di una società nella quale aumenta la ricchezza, è in ogni momento che tendono ad aumentare i redditi dei padroni di casa, a cui va sia una maggiore quantità e una maggiore proporzione della ricchezza della comunità, indipendentemente da qualsiasi lavoro o esborso sostenuti da sé stessi. Essi si arricchiscono, per così dire, nel sonno, senza lavorare, rischiare, o economizzare. Che partecipazione hanno quelli, sul principio generale di giustizia sociale, a questa adesione delle ricchezze? In che avrebbero subito un torto se la società avesse, fin dal principio, riservato il diritto di tassare l'aumento spontaneo di affitto, al più alto importo richiesto da esigenze finanziarie?" (John Stuart Mill)

Una imposta il valore del terreno viene applicata come una quota annuale per l'accesso esclusivo a una sezione di terra, che viene raccolto e ridistribuito per la comunità sia attraverso beni pubblici, quali la sicurezza pubblica, o sotto forma di un reddito di base garantito chiamato "dividendo del cittadino". Interpretano un imposta unica per sostituire tutti gli altri metodi di tassazione, che sono considerati violazioni ingiuste del principio di non-aggressione. Nonostante questa pluralità di impostazioni sul piano metodologico, si può notare come partissero tutte dallo stesso presupposto, il risarcimento come clausola di un contratto sociale in cambio della legittimazione della proprietà privata e del relativo potere che la garantisce, dal quale ripartirono questi filosofi ottocenteschi in chiave non più religiosa ma sociale, da Paine fino a Fourier, Charlier, Proudhon, Robert Owen, William Allen, Henri de Saint-Simon, ed altri. Da essi si separò in seguito il filone liberale che darà vita al variegato complesso che va sotto la generica definizione di "anarchismo". La logica secondo la quale l'anarchia sarebbe di sinistra mi è sempre stata incomprensibile... anarchia è il non plus ultra del laissez faire, che non è un concetto politicamente vago ma univoco: aumenta man mano che si va verso destra, diminuisce man mano che si va verso sinistra, dove lo stato aumenta, mentre man mano che si va a destra lo stato diminuisce fino a sparire nell'estremo, dove si raggiunge quindi appunto l'anarchia. Per antonomasia (o così dovrebbe essere, a rigor di logica, anche se spesso la logica latita dalle menti delle persone) la libertà cresce man mano che si va verso destra e diminuisce man man che si va verso sinistra. Dato che, come detto la logica latita e l'ignoranza impera, spesso si sente dire che "la destra è dalla parte dei ricchi che schiavizzano i poveri"... questo significa non aver capito niente o ancor più probabilmente non voler capire. No, la destra vede gli uomini tutti uguali, è la sinistra a dividerli in classi e a causa di questa suddivisione arbitraria ed egoistica ne è derivata la lotta politica tra partiti fautori ognuno di interessi particolari anzichè degli interessi di tutti, a scapito di tutti compresi quelli che quei partiti vorrebbero favorire. Da quale cavolo di astruso ragionamento poi si può posizionare l'anarchia a sinistra quando a rigor di logica è l'estremità non plus ultra della destra???? Da questa separazione, il padre del filone del liberalismo classico e dell'utilitarismo, dopo John Locke, fu Jeremy Bentham (del quale Owen originariamente fu seguace), mentre Edmund Burke, liberale anch'egli, si scagliò tuttavia contro le teorie di Paine dando il via al romanticismo in opposizione al contrattualismo. La consapevolezza degli squilibri socio-economici, causati dallo sviluppo industriale dell'Inghilterra della seconda metà del settecento, trovò espressione in Bentham come in altri nella dottrina di origine mercantilista dell'utilitarismo. Ma mentre Bentham riteneva che il libero mercato (in particolare, il diritto dei lavoratori di scegliersi il datore di lavoro e di trasferirsi) avrebbe liberato i lavoratori dagli eccessi di potere dei capitalisti, e quindi si indirizzò verso l'anarchismo, Owen si indirizzò verso il socialismo "utopistico". Secondo l'utilitarismo è "bene" (o "giusto") ciò che aumenta la felicità degli esseri sensibili. Si definisce perciò utilità la misura della felicità di un essere sensibile. E' perciò un pensiero razionalista, non umanista come invece l'hanno interpretato i social-utopisti e gli anarchici "di sinistra". Forte di questa teoria, Bentham, non ritiene valida l'ipotesi contrattualistica del giusnaturalismo, alla base dello Stato non vi è oggi alcun contratto sociale ma solo arbitrio di un oligarchia. Bentham fu uno dei più importanti utilitaristi, in parte tramite le sue opere, ma in particolare tramite i suoi studenti sparsi per il mondo. Tra questi figurano il suo segretario e collaboratore James Mill e suo figlio John Stuart Mill, oltre a vari politici (e Robert Owen, che divenne poi uno dei fondatori del socialismo). Bentham argomentò a favore della libertà personale ed economica, cioè libertà di scambio, produzione, commercio, coalizione, concorrenza, circolazione, la separazione di stato e chiesa, la libertà di parola, la parità di diritti per le donne, i diritti degli animali, le condizioni carcerarie (ideò e promosse un nuovo tipo di prigione, più razionale, che chiamò "Panopticon"), la fine della schiavitù, l'abolizione di punizioni fisiche, il diritto al divorzio, la difesa dell'usura, il libero amore, e la depenalizzazione della sodomia. Fu però a favore delle tasse di successione, restrizioni sul monopolio, pensioni e assicurazioni sulla salute. In pratica oggi lo definiremmo un radicale pannelliano.
Il suo allievo John Stuart Mill, definito da molti come un liberale classico, quando invece la sua collocazione in questa tradizione economica è controversa per il discostarsi di alcune sue posizioni dalla dottrina classica favorevole al libero mercato, impostate su una concezione razionale e quindi non dogmatica-umanista, per via delle quali da alcuni è identificato come il precursore del distributismo. Infatti, riteneva che solo le leggi di produzione fossero leggi naturali, e quindi immutabili, mentre considerava le leggi di distribuzione come una fenomenologia etico - politica, determinate da ragioni sociali e, quindi, modificabili. Di conseguenza, è favorevole alle imposte, quando giustificate da argomenti utilitaristi, ma rigorosamente in forma georgista. Inoltre ammette un uso strumentale del protezionismo ("tutoraggio"), quando questo sia funzionale a consentire ad una industria neonata di svilupparsi fino al punto da poter competere con le industrie estere, momento in cui le protezioni andrebbero rimosse. Egli propone un modello di ragionamento deduttivo, capace di coniugare la verifica e l'osservazione a posteriori dei fenomeni (fisici ed umani) con il ragionamento a priori su di essi. Dunque non è un empirista in senso assoluto, ossia non pensa che l'esperienza sia la fonte esclusiva delle nostre conoscenze, ma ritiene che una conoscenza astratta, puramente teorica, ovvero a priori, sia poco utile. E' per lui possibile invece integrare teoria ed esperienza, combinare insieme ragionamento ed osservazione, per non cadere nel dogmatismo umanistico o nel relativismo empirista (o addirittura nello scetticismo): nella follia della ragione astratta o nell'idiotismo della pura esperienza. Nella sua riflessione, il fulcro di una tale ricerca teorica sull'etica riguarda il metodo d'indagine delle scienze sociali. Venivano infatti così definite quelle discipline che, a differenza delle scienze della natura, studiavano i fenomeni sociali, i problemi politici ed economici, la storia ed i meccanismi della mente umana. Nel tentativo di riassumere il suo pensiero è utile riproporre la metafora che egli spesso usa nei suoi scritti: l'autore paragona la società ad un mulino ad acqua. Per capire il funzionamento del mulino, è necessario tener presente due elementi: Si può facilmente capire come questo esempio illustri il fondamento del distributismo. Secondo lui, allo stesso modo, nella società esistono leggi naturali, come ad esempio quelle che regolano la produzione della ricchezza, che non possono subire limitazioni, ma devono seguire le libertà dei singoli individui che naturalmente ricercano il proprio utile e la propria felicità. Ma tutta questa energia prodotta sarebbe inutile, e potenzialmente dannosa, se non fosse guidata e trasformata da un meccanismo sociale, determinato secondo le leggi dell'etica, capace di distribuire questa ricchezza in modo da trasformarla in ricchezza sociale. Nei suoi scritti espone il problema della divisione tra la produzione e la distribuzione della ricchezza, presentandoci una tra le sue più brillanti proposte sociali: la fusione dell'idea liberale con le idee socialiste sulla distribuzione: se le leggi di produzione dipendono dalla necessità naturale, le leggi della distribuzione dipendono dalla volontà umana, e su queste leggi si può agire. Egli auspica infatti che il criterio utilitaristico, ereditato da Bentham e dal padre, (cioè del maggior benessere per il maggior numero) possa guidare le riforme necessarie per una più equa distribuzione della ricchezza. E' quindi convinto che l'egoismo possa esser congiunto all'altruismo, poiché la felicità umana deriva anche dalla felicità dei propri simili e dalla promozione della stessa, da cui deriva anche la sua concezione politico-sociale oltre che economica.

"Quand'anche l'intera umanità, a eccezione di una sola persona, avesse una certa opinione, e quell'unica persona ne avesse una opposta, non per questo l'umanità potrebbe metterla a tacere: non avrebbe maggiori giustificazioni di quante ne avrebbe quell'unica persona per mettere a tacere l'umanità, avendone il potere" (John Stuart Mill)

E così pensiamo di aver fugato ogni possibile obiezione riguardo l'identificarlo come il vero padre del distributismo, checché se ne voglia dire. Inoltre sostiene che un individuo è libero di raggiungere la propria felicità come meglio crede e nessuno può costringerlo a fare qualcosa con la motivazione che è meglio per lui, ma potrà al massimo consigliarlo; l'unico caso in cui si può interferire sulla libertà d'azione è quando la libertà di uno provochi danno a qualcun altro, solo ed unicamente in questo caso l'umanità è giustificata ad agire allo scopo di proteggersi. In tal senso lo Stato è giustificato ad indirizzare la vita degli individui solo quando il comportamento di uno di essi danneggia gli altri. Solo in tal caso potrebbe essere giustificabile la limitazione della libertà dei cittadini da parte dello Stato; il suo concetto di libertà si avvicina molto a quello di Tocqueville di cui è stato grande amico, ed è comune anche al distributismo.

"Supponiamo che il governo faccia davvero tutt'uno col popolo, e che non gli venga mai in mente di esercitare un potere coercitivo se non in completo accordo con quella che ritiene l'opinione del popolo. Ecco: io contesto che il popolo abbia il diritto di esercitare questa coercizione, non importa se in proprio o tramite il governo. È quel potere in sé a essere illegittimo. Il migliore dei governi non ne ha maggior titolo di quanto ne abbia il peggiore" (John Stuart Mill)

Molto importanti sono anche le argomentazioni con cui sostiene la sua tesi; impedire l'espressione di un'opinione è sempre e comunque un crimine: infatti se l'opinione è giusta, coloro che ne dissentono vengono privati della verità; ma anche nel caso in cui essa sia sbagliata, coloro che ne dissentono sarebbe privati di un beneficio ancora più grande, quello di veder rafforzata la verità medesima per confronto con l'errore. A fondamento di ciò vi è la convinzione che mentre l'unanimità non è mai utile, la diversità è invece sempre altamente auspicabile; questo perché l'uomo, che è di per sé relativo, non può avere sempre verità assolute, e quello che è falso oggi potrebbe essere vero domani (e viceversa). L'anticonformismo è apprezzabile e l'originalità di ogni uomo va sempre valorizzata e mai annullata. Il suo pensiero politico-economico è quindi attestato su posizioni di liberalismo radicale, la valorizzazione dell'individuo e dei suoi spazi di libertà fanno sì che lo Stato si ordini sulla libertà civile della quale è protettore. L'unica interferenza ammissibile da parte dello Stato, affinché si eviti un danno effettivo a un terzo, riguarda la sola sfera della difesa e tutela delle libertà personali: Allo stesso tempo, però, si è visto in Mill anche il fondatore del liberalsocialismo; difatti dal suo pensiero sono sorte una serie di correnti per cui pare che di Mill tutti vogliano appropriarsene, al punto che perfino esponenti diametralmente opposti al razionalismo distributista vorrebbero impossessarsene... così, ad esempio, nelle analisi di gentaglia dall'ego smisurato della risma di Norberto Bobbio e umanisti vari del campo "azionista", al punto che Ludwig von Mises definì Mill "il più grande avvocato del socialismo". Evidentemente tutti questi ignoravano l'esistenza e cosa sia il distributismo... Se gli intellettuali sono questi... alla larga dal definirmi tale! A quelli come Bobbio che sostengono non solo che il fascismo non abbia creato una cultura ma proprio interpretano il fascismo come antitesi della cultura, senza riuscir nemmeno lontanamente il sottile senso insito nella frase di Hermann Goering "quando sento parlare di cultura la mia mano corre alla fondina" che è l'apoteosi e la sintesi stessa dell'epistemologia, il fatto di non capire o non sapere una cosa, o desiderare che sia così, non ne consegue che sia effettivamente così. Il fascismo è l'erede (e come tale il detentore) del filone filosofico che parte da Platone fino a Mazzini, e non è rimasto immobile a vivere di rendita senza apportare nulla di nuovo. E non serve certo ricorrere a Gentile o Nietzsche o Schopenhauer, o ridurre a J.R.R. Tolkien, Gabriele D'Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti o a quell'accozzaglia di triti stereotipi che è il libro "fascisti immaginari" di Luciano Lanna e Filippo Rossi. Ma dopotutto non si può certo pretendere che gente ignorante della risma di Bobbio o Giorgio Bocca abbia mai letto "la voce della fogna" o presenziato ad un "campo Hobbit"... eppure loro pretendono di giudicare cose che non conoscono e non capiscono.

"L'uomo fonda se stesso come criterio di ogni misura con cui viene misurato e calcolato ciò che deve valere come certo, come vero, cioè come essente" (Martin Heidegger)

Non voglio fare l'avvocato del fascismo, ma non posso non esimermi dal notare come nonostante fior di pensatori abbiano cercato di "interpretarlo" (a partire da Renzo De Felice e James A. Gregor), nessuno è mai riuscito a vedere ciò che è perfino ovvio: sulla stessa scia di Douglas che era contrario alla politicizzazione delle sue teorie, convinto che esse non fossero "di parte" ma fossero semplicemente proprietà di qualunque persona dotata di buon senso, e che "un gruppo di dilettanti eletti non dovrebbe mai dirigere un gruppo di esperti competenti in questioni tecniche", il fascismo non è un ideologia o meglio, è l'ideologia anti-ideologica, il concetto che meglio lo riassume è che è l'ideologia del fare a seconda delle necessità la cosa più razionale, utile, efficiente, che può essere a seconda delle circostanze tutto e il suo esatto contrario. Dirsi fascisti è tutto e niente, il fascismo non è un programma fisso in cui credere. Un fascista non crede in questo e quello, ma solo vuole che sia fatta la cosa migliore. La contraddizione è che si presume che tutti vogliano la cosa migliore, per cui fascisti lo sono tutti e nessuno. Si pensi al noto concetto di Aldo Moro sulle "parallele convergenti", che definire formula politica è ardito... secondo la sua logica quindi lo scopo di tutti i partiti eccetto Dc e Pci sarebbe... il male!?!?!? Ridurre il concetto di fascismo a quello che è stato il regime ventennale italiano è scorretto, disonesto, ed imbecille. Ricondurre al fascismo un partito ideologico, qualunque siano i suoi punti programmatici, è sbagliato. Un partito che volesse dirsi fascista non dovrebbe avere alcun punto programmatico, poichè questo è il fascismo.

"Forse che non conoscendo a fondo il pensiero del Duce si può affermare di essere fascisti? Noi diciamo di no! Che il fascismo non è istinto ma educazione e perciò è conoscenza della sua mistica, che è conoscenza di Mussolini" (Niccolò Giani)

“Non ci teniamo troppo ad avere un programma, nel senso che i partiti tradizionali danno a questa parola, ma possiamo vantarci di avere una nostra soluzione per ognuno dei molti problemi che bisogna finalmente risolvere” (Benito Mussolini)

"Tutte le altre associazioni, tutti gli altri partiti, ragionano in base a dei dogmi, in base a dei preconcetti assoluti, a degli ideali infallibili, ragionano sotto la specie della eternità per partito preso. Noi, essendo un antipartito, non abbiamo - si passi il bisticcio - partito preso" (Benito Mussolini)

"Fascismo significa che a mutate condizioni di fatto, nuovi atteggiamenti s'impongono: se non è più necessario il piombo e il petrolio, bisogna avere il coraggio di riconoscerlo e di agire in conseguenza" (Benito Mussolini)

"Ho orrore dei dogmi. Non potrebbe esservi un dogma nel partito fascista. Per il bene della Patria vi sono solo necessità che possono essere assolte oggi, ma che possono diventare relative domani" (Benito Mussolini)

"Il fascismo è un metodo, non un fine; una autocrazia sulla via della democrazia" (Benito Mussolini)

"Il fascismo è un movimento di realtà, di verità, di vita che aderisce alla vita. E' pragmatista. Non ha apriorismi. Nè finalità remote. Non promette i soliti paradisi dell'ideale. Lascia queste ciarlatanate alle tribù della tessera" (Benito Mussolini)

"Il fascismo è anti-accademico. Non è politicante. Non ha statuti, nè regolamenti. Ha adottato una tessera per la necessità del riconoscimento personale, ma potendo ne avrebbe fatto volentieri a meno. Non è un vivaio per le ambizioni elettorali. Non ammette e non tollera i lunghi discorsi. Va al concreto delle questioni" (Benito Mussolini)

"E' un pò difficile definire i fascisti. Essi non sono repubblicani, socialisti, democratici, conservatori, nazionalisti. Essi rappresentano una sintesi di tutte le negazioni e di tutte le affermazioni. Nei fasci si danno convegno spontaneamente tutti coloro che soffrono il disagio delle vecchie categorie, delle vecchie mentalità. Il fascismo mentre rinnega tutti i partiti, li completa. Nel fascismo che non ha statuti, che non ha programmi trascendenti, c'è quel di più di libertà e di autonomia che manca nelle organizzazioni rigidamente inquadrate e tesserate" (Benito Mussolini)

"Per essere fascisti occorre essere completamente spregiudicati; occorre sapersi muovere, elasticamente, nella realtà adattandosi alla realtà e adattando la realtà ai nostri sforzi; occorre sentirsi nel sangue l'aristocrazia delle minoranze, che non cercano popolarità, leggera prima, pesantissima poi; che vanno contro corrente; che non hanno paura dei nomi e dispregiano i luoghi comuni" (Benito Mussolini)

"Il programma fascista non è una teoria di dogmi sui quali non è più tollerata discussione alcuna. Il nostro programma è in elaborazione e trasformazione continua, è sottoposto ad un travaglio di revisione incessante" (Benito Mussolini)

Alcune di queste affermazioni vanno contestualizzate perché risalgono ad un periodo, quello compreso tra il 1919 e il 1921, in cui effettivamente il fascismo era ancora in divenire ed i propri punti programmatici ed ideali erano ancora in fase di elaborazione. E' solo dal 1921 in poi che il fascismo inizia a farsi "dottrina". Al di là però di questo aspetto contingente, molto legato alle circostanze, è vero che il fascismo si pone come una dottrina realistica. Non è solamente o - peggio - esclusivamente il realismo dei cinici o dei machiavellici (che spesso e volentieri oltrepassano, fraintendendolo, Machiavelli, che non esaltava il machiavellismo ma lo criticava), ma è quello di chi non vuole adattare la realtà ai propri schemi preconfezionati, bensì vuol risolvere i problemi che concretamente si pongono e prende atto dell'uomo e della realtà circostante per quella che effettivamente è e non per quella che si vorrebbe che fosse. In questo senso, è corretto dire che il fascismo è l'anti-ideologia per eccellenza. Il liberalismo, il razionalismo, il giacobinismo, il socialismo e, più di tutti, il comunismo hanno cercato indistintamente di creare un "uomo nuovo" rispetto al "vecchio uomo": il liberalismo ha cercato di abbattere il prete ed il nobile a favore dell'uomo nuovo borghese, "razionale" ed emancipato da superstizioni, religione e tradizioni pregresse, mentre il comunismo ha mirato ad abbattere il dominio del borghese capitalista con l'uomo nuovo socialista, anch'egli liberato ma non solo dai retaggi della cosiddetta "società tradizionale" bensì anche e soprattutto da qualsiasi forma di sfruttamento e da qualsiasi soggezione politica, sociale, economica e morale (che poi il comunismo applicato abbia sortito l'effetto opposto, è un altro discorso). Si è di fronte alla pretesa di plasmare ex nihilo l'uomo. E' un atteggiamento pienamente e tipicamente ideologico. L'uomo nuovo del fascismo è tale rispetto all'homo oeconomicus della civiltà cosiddetta "liberalcapitalista" (nonostante di "liberal-" non se ne veda granchè...) e all'homo collectivus del socialismo e del comunismo. La novità del fascismo è rispetto alla modernità ideologica, non alla realtà, al mondo e alla storia in quanto tali. Se c'è un errore che il fascismo ha fatto è stato quello di pensare che si possano applicare principi scientifici all'uomo; un errore di inesperienza, che ha dimostrato che non è possibile applicare principi logici su un ambito, quello umano, essenzialmente irrazionale (gli uomini non sono robot, per intenderci). Nella prima parte della Dottrina del fascismo (1932) giustamente sta scritto che, umanamente parlando, l'uomo fuori dalla storia è nulla. Ecco perché il fascismo, seppur con giustificazioni teoriche diverse a seconda dei suoi esponenti e dei suoi autori, dà una grande importanza al concetto di tradizione in quanto trasmissione dello spirito della nazione e di principi etici e spirituali finalizzati ad elevare l'uomo all'interno dello Stato.

"Partendo dalla nazione, arriviamo allo Stato, che è il governo nella sua espressione tangibile" (Benito Mussolini)

E' la presa d'atto del fatto che l'uomo non si reinventa a tavolino, ma la sua stessa natura necessita di legami sociali e comunitari, di idee e di esempi da seguire, di una fede in cui credere e di punti di riferimento a cui obbedire. Quando Mussolini cita ed apprezza taluni aspetti di Machiavelli non è per fare l'elogio dell'amoralità o dell'immoralità politica, ma per ribadire la necessità dell'uso della forza contro gli egoismi individuali e riconoscere che l'uomo non è un angelo, ma un essere coi suoi pregi ed anche i suoi innumerevoli difetti e che, soprattutto l'uomo venuto fuori dalla modernità, risulta col passare del tempo sempre più gretto e meschino. Una cosa del genere pone il fascismo nettamente distante dagli ingenui ottimismi dei Rousseau della situazione, che esaltano l'uomo rivalutandone la bassezza, trasformata sovversivamente in virtù. Come dice Diego Fusaro, voler bene all'umanità è un'astrazione vuota e, spesso, come sapeva Rousseau diventa l'alibi per non curarsi neppure del proprio vicino di casa. Il solo modo autentico per voler bene all'umanità è occuparsi della comunità in cui e con cui si vive, ossia di quella parte concreta di umanità con cui si ha quotidianamente a che fare. Anche Mussolini pone a confronto l'incoerenza dell'umanitarismo, l'internazionalismo ed il pacifismo propagandati dai socialisti con l'azione politica fatta di violenze e soprusi.

"Il cristiano e socialista 'uomini siate fratelli' è la maschera dell'eterno e immutabile 'homo homini lupus'. Il patetico simbolo di Proudhon sembra esprimere e spiegare tutta la crudeltà del nostro destino" (Benito Mussolini)

Ovviamente non avere un programma non significa accettare qualunque teoria politica od economica, ma poter liberamente scegliere tra tutte le opzioni possibili, quindi se il fascismo movimento sorge dalla coniugazione delle teorie miniarchiste con quelle distributiste ad opera del sottoproletariato anti-lavorista è stato per uno spontaneo colmare un vuoto partitico ovvero perchè quel ceto messo sotto attacco dall'andazzo fabianista-lavorista ha identificato in esse la cosa migliore tra tutte quelle possibili ed il cui spazio politico era praticamente vacante essendo fino allora miniarchia e distributismo nettamente divisi in due fazioni opposte (liberali e socialisti), con alla base fondamentale ovviamente credere in diritti inopinabili quali in primis quelli umani di libertà e dignità. Io non voglio dire di dover prendere a modello il regime mussoliniano, e poi è inutile cercare di far capire cosa ci si intende, tanto che a fronte del dire "Mussolini è il nostro modello", gli antifascisti pretendono regolarmente di stabilire cosa deve intendere con ciò chi lo dice. "Il nostro modello", certo, per come lo intende chi lo dice, non per come lo intendono i suoi denigratori! Avete presente il modo di dire "rispondo solo di ciò che ho detto, non di ciò che tu capisci"? Ecco. Uno non può venire a dire a me che io devo essere favorevole alla dittatura! Saprò io se sono a favore di qualcosa oppure no, non qualcun altro a mettermi in bocca cose non dette e non pensate!

"Mai discutere con un idiota, ti trascina al suo livello e ti batte con l'esperienza"

I puristi tendono a concordare che la distinzione semantica tra chi si rifà al vero fascismo inteso come quello che nasce (per quanto vagamente) dai punti di S. Sepolcro e poi risorge con la carta di Verona dopo la delusione del ventennio, e la successiva condotta dell'Msi, verte sul prefisso "neo-", identificando i fascisti come coloro che si rifanno al fascismo che definiremmo di sinistra o "poundiano" (quello vero), ed i neofascisti in quelli che si rifanno al fascismo che definiremmo di destra (che fascismo non è). Vi è una sostanziale differenza tra le due consistente in una sorta di pessimismo che caratterizza i "neo", la "mistica della sconfitta", l'epica evocazione della sconfitta fino al masochismo del "tanto peggio, tanto meglio", che è assente nei fascisti "senza neo-". "L'irrazionalismo delle destre radicali novecentesche... lo sconfittismo eroico, l'idea della lotta solitaria e intrepida (intrisa di superomismo) contro nemici potentissimi e soverchianti; il sovranismo; e l'avversione per la tecnica... un apocalittismo proprio della destra reazionaria", come la definisce Massimiliano Panarari. La mistica della battaglia perduta affonda le proprie radici in una tradizione politica antidemocratica, ed è una tipica issue simbolica trasversale tra il radicalismo di destra e un certo radicalismo di sinistra, che affonda le radici nella "Carta del Carnaro" e da qualche tempo si vedono miscelati nel fenomeno del "rossobrunismo", che a ben vedere ha ben poco di "terza via" (e praticamente niente di distributista) ma rappresenta solo una via di mezzo tra semplice nazionalismo sciovinista e il comunismo più fanaticamente collettivista (in pratica, nel cerchio politico, verrebbe a rappresentare una fascia che va dal basso a destra all'alto a sinistra), in maniera spesso poco coerente. Il più noto esempio è Diego Fusaro. Ora, volendo dar per buona la loro genuinità (il che spesso non è detto sia tale), siamo in presenza di un vero e proprio salto di qualità nella maniera con cui le élite sistemiche rappresentano i loro peggiori avversari: fino ad oggi queste élite "politicamente corrette" hanno lanciato, contro tutti i nuovi movimenti che si auto-definiscono antioligarchici, l'anatema del "populismo". Dimostratisi inefficaci la scomunica ed i relativi esorcismi, rincarano la dose, radicalizzano l'accusa: tramite l'estensione verso la parte "alto-sinistra", dal "populismo" siamo già passati al "rossobrunismo". Moreno Pasquinelli la definisce "dalla satanizzazione del nemico alla sua hitlerizzazione". Essa è stata utilizzata come un marchio d'infamia con cui le élite bollavano alcuni gruppi, sia della sinistra antimperialista che della destra nazionalista che in comune nulla avevano se non considerare "il capitalismo" come nemico principale senza opporvi una sensata alternativa (ed è quest'ultima caratteristica a distinguerli dall'area della "terza via"). Tanto bastava per beccarti l'accusa di essere rossobruno. Secondo Pasquinelli, che il rossobrunismo, oltre ad essere una insidiosa volgarizzazione politica, si è rivelato uno spauracchio costruito ad arte da ben identificati settori dell'intellighentia italiana (magari pure in combutta con l'intelligence propriamente detta...), ripresi quindi dalla stampa di regime, anzitutto per isolare quei movimenti rivoluzionari di sinistra che essi ritenevano materialmente pericolosi (terrorismo rosso) con quelli di destra che pur non essendo pericolosi erano comunque fastidiosi (qualora non funzionali ad essa). In prima linea contro le "streghe rossobrune", secondo la dotta interpretazione di Maurizio Murelli, i centri sociali "tipo Pedro" sono la guardia gratuita del ceto intellettuale di sinistra. La loro cultura è inesistente, trattandosi di ghetti consentiti e foraggiati dalla Sinistra Politicamente Corretta, che li può sempre usare come potenziale guardia plebea. Privi di qualsiasi ragion d'essere storica, costoro, composti di semianalfabeti, intontiti dalla musica che ascoltano abitualmente ad altissimo volume e dalla sub-cultura dello spinellamento di gruppo, hanno una cultura della mobilitazione, dello scontro violento e della paranoia del "cripto-fascismo" sempre attuale, ed è del tutto inutile porsi in un razionale atteggiamento dialogico, che pure potrebbe teoricamente chiarire moltissimi equivoci. Ma il paranoico non è un interlocutore. Anche l'interesse per i migranti è un pretesto, perché essi li vivono come un raddoppiamento mimetico della loro marginalità. Premesso questo, sempre Murelli fa notare che è sempre esilarante vedere le loro facce di fronte al totale e assoluto collasso del loro mondo post-sessantottino. Giorno dopo giorno il loro fegato perde un pezzo, la sensazione di fallimento e inutilità avvolge le loro vite, la consapevolezza della propria infimità scolpisce i loro volti, la certezza di aver fallito e di essere ricordati come quelli che hanno disintegrato il mondo è un costante pugno nello stomaco, che qualcuno di loro cerca invano di nascondere con la recrudescenza e la reiterazione di comportamenti che non fanno altro che buttarli ancora più affondo nonostante non vogliano capirlo. Come dice Gabriele Adinolfi, "poi all'improvviso un botto li ridesta: è forse un segno di speranza? E' nuovamente scoppiata la rivoluzione? Un nuovo '68 con i gessetti colorati? Immediatamente affondano nella delusione: eravamo noi. Abbiamo stappato lo spumante per festeggiare le loro facce. Buona dissoluzione, merde. Thats' *progresso*". Ora, andando a leggere il Mussolini 1919-1922 vi si nota chiaramente un Mussolini dalle idee esattamente opposte a come poi il ventennio fascista è stato portato avanti... Voi come ve lo spiegate? L'unica spiegazione plausibile è molto semplice: Mussolini non ha MAI avuto un vero potere (così come prima di lui non l'ha mai avuto Nitti, Salandra, Giolitti, ecc); chi aveva il potere era stato sempre e solo il Re. In quale occasione il re si è opposto alle sue scelte politiche, vi chiederete. In tutte quelle che Mussolini non ha potuto applicare. Non essendo potute essere applicate, non possiamo sapere quali fossero. Si chiama logica. Comunque, intuire quali fossero non è certo difficile, non è un segreto ma le conosciamo tutti grazie alla possibilità apertaglisi dopo l'8 settembre 1943, quando il punto di riferimento dei suoi nemici, la monarchia, era fuggita, ed era sembrato per Mussolini arrivato il momento di rispolverare il fin’allora disatteso programma di S. Sepolcro, palesandole apertamente, cioè il corporativismo, la socializzazione, la democrazia organica, la fiscalità monetaria, il reddito di cittadinanza, ste cose qua insomma, tutto quel blocco di cose di cui secondo il decreto-legge sulla Socializzazione era previsto l'inizio dell'attuazione per il 21 aprile 1945 e che per ovvi motivi non è poi stato possibile fare. Mica gli saranno saltate in mente di punto in bianco l'8 settembre 1943 no?

"Forse il 25 luglio e l’8 settembre, se potremo sorpassare questo periodo, non saranno stati un male per gli italiani poiché hanno servito veramente a chiarire e a far sì che quelle idee che abbiamo sostenuto si siano affinate e abbiamo finalmente la loro pratica realizzazione" (Angelo Tarchi, 20 febbraio 1944)

Le avrà pur ipotizzate anche prima. Solo non poteva proporle. Perchè a comandare in Italia dal 1922 al 1943, NON ERA LUI! Abbiamo già visto come andò a finire l'effimero tentativo dell'"Ente Nazionale Cooperative", praticamente ridotto a semplice contenitore delle cooperative già esistenti. La "socializzazione fascista" italiana non trovò così attuazione per via di questa opposizione e delle vicende collegate (in primis l'omicidio di Matteotti). In seguito fu timidamente "risuscitata" nel manifesto di Verona del 14 novembre 1943, e la sua applicazione effettiva stabilita per il 21 aprile 1945 "natale di Roma" in contemporanea con la preparazione di altre sperimentazioni socio-politiche e fiscali ("democrazia organica", "fiscalità monetaria", ecc) che avrebbero dovuto caratterizzare la base della politica interclassista del fascismo. Fin dalla fine del 1942 i giornali stranieri davano per imminente un colpo di Stato contro Mussolini. Grandi stesso ammise di averne progettati nel maggio 1941 e nel novembre 1942. Mussolini, accortosi delle trame che per prima cosa gli impedivano di svincolarsi da Hitler, decise di "scatenare la terza ondata contro quel mezzo milione di vigliacchi borghesi che si annidano nel paese" (riferendosi ai sabotatori). Un "25 luglio" infatti era già stato cospirato il 19 ottobre del 1939 e quasi dagli stessi personaggi del successivo '43: Grandi, il Re, il principe Umberto, Italo Balbo (nel 1943 assente solo perché deceduto); ma non è noto a cosa fosse finalizzato: ad evitare la partecipazione alla guerra o a favorirla? Al fianco dei tedeschi o dei franco-britannici? Nessuna di queste opzioni è così scontata come potrebbe sembrare.

“Il lurido tradimento Re-Badoglio che ha trascinato purtroppo nella rovina e nel disonore l’Italia, vi ha però liberato di tutti i componenti pluto-monarchici del ’22. Oggi la strada è libera e a mio giudizio si può percorrere sino al traguardo socialista” (Nicola Bombacci in una lettera a Mussolini, 11 ottobre 1943)

I presidenti del consiglio avevano, allora come oggi, solo potere sulle sfumature, non sull'impostazione fondamentale dello Stato. Il potere ce l'aveva nella monarchia il Re, nella Repubblica il relativo presidente (alla faccia di quelli che lo ritengono essere un mero simbolo: non è così proprio per niente, ed è la storia politica dell'Italia repubblicana a mostrarlo). Per capire il ruolo del presidente della Repubblica o del monarca costituzionale si può fare il paragone con le società per azioni: esse hanno un manager che è un dipendente incaricato dalla proprietà di gestire e dirigere la produzione; la proprietà qualora molto frazionata tra diverse entità può avere un rappresentante unico a capo di un consiglio di amministrazione, con il ruolo di indicare al manager le politiche da seguire e controllarne il conseguimento da parte del manager. Il manager equivale ad un presidente del consiglio, il rappresentante della proprietà equivale ad un presidente della Repubblica. Nelle repubbliche presidenziali o nelle monarchie assolute le due figure coincidono in un unica persona, ma si tratta sempre di due ruoli distinti seppur accentrati in un unica persona. Un parlamento è quindi un consiglio di amministrazione di uno stato anziché di una società per azioni. Ora, a fronte del deprecare il fascismo per la dittatura e vedere nel re un baluardo contro tale "degenerazione" come fanno i monarchici (e non solo...), a fronte del fatto che il re impedì a Mussolini ogni altra modifica (che magari potrebbero apparire aprezzabili da queste persone...) e accettò il fascismo unicamente proprio per il lato bonapartista (a colmare quel vuoto di potere nel quale Federico Chabod inserisce la marcia su Roma) che nemmeno è peculiare del fascismo, appare paradossale. Alberto Beneduce fu il vero Duce dell'economia italiana, mentre la blanda Carta del Lavoro fu il massimo che Mussolini poté permettersi durante il regime monarchico. Fino all'8 settembre 1943 un abbattimento della monarchia non sarebbe stato realizzabile, comprensibilmente considerando che ancora nel 1946 essa prese il 45% al referendum nonostante quello che aveva combinato... ogni realistico tentativo di apporre più ardite modifiche al sistema economico italiano era naufragato di fronte all'ostracismo dei poteri tradizionalmente egemoni il panorama politico, sostenuti dalla massoneria internazionale. Il massimo di "rivoluzionarietà" a cui Mussolini aveva potuto ambire era stato il corporativismo, anche questo però pudicamente censurato nelle sue parti più "scomode" e comunque inutile senza le altre cose. Anzi, Mussolini fu perfino costretto ad avvallare una dottrina economica antitetica con le filosofie distributiste: l'autarchia, implementata forzatamente come ripicca alle sanzioni economiche inflitte all'Italia dalla "Società delle Nazioni" per la guerra in Abissinia. L' imposizione a cui fu sottoposto, assieme all'apparente incongruenza dell'entrata in guerra dell'Italia nel 1940, ed ai fatti del 25 luglio 1943, ci dà la chiara conferma di chi in realtà detenesse il potere in Italia. Ovvero quelli che il potere lo detenevano anche prima, che lo hanno detenuto poi, e che lo detengono tutt'oggi. Coloro che muovevano i fili di Mussolini tenendolo con la lama alla gola, anche in quel fatale 10 giugno 1940, del quale sono sicuramente i veri ed unici responsabili, così come con l'omicidio di Giacomo Matteotti nel 1924.

"Il più grande dramma della mia vita si produsse quando non ebbi più la forza di fare appello alla collaborazione dei socialisti e di respingere l' assalto dei falsi corporativi. I quali agivano in verità come procuratori del capitalismo. Tutto quello che accadde poi fu la conseguenza del cadavere di Matteotti che il 10 giugno 1924 fu gettato tra me e i socialisti per impedire che avvenisse quell'incontro che avrebbe dato tutt'altro indirizzo alla politica nazionale e forse non solo a quella nazionale" (Benito Mussolini)

Esemplare è il caso della Sinclair oil che portò all'omicidio di Giacomo Matteotti, del quale viene accusato "il fascismo" (neanche "delle persone" iscritte al partito fascista, proprio "il fascismo"...), quando anche alla luce di quanto detto, la responsabilità, sia del complotto petrolifero (le compagnie anglo-americane avevano pagato tangenti per far tacere al governo italiano la scoperta del petrolio in Libia che avrebbe fatto loro concorrenza), sia dell'eliminazione di Matteotti che aveva minacciato di rivelarlo pubblicamente, non può che essere della monarchia, e non nel senso che i responsabili siano altre persone che quelle già note ufficialmente, no, nessuno dice questo, quelle sono, per quanto ufficialmente noto, la sola differenza è che gli antifascisti li identificano come fascisti, quando in realtà erano servitori della monarchia ed in quanto tali hanno agito, nel suo interesse (essendo stata una questione ai vertici del potere, mica che fosse una questione parlamentare...). Ci saranno poi pure stati impelagati personaggi del governo fascista, magari pure lo stesso Mussolini, ma non *il fascismo*! Ma ovviamente agli antifascisti giova più identificarli come fascisti, non conta no che l'interesse nella morte di Matteotti fosse precipuamente degli ambienti monarchici e non certo del partito fascista che nella questione Sinclair non ci poteva avere alcuna voce in capitolo... essendo una questione segreta (mica si può discutere in un parlamento o in un congresso di partito l'accettazione o meno di una tangente per tener nascosta al popolo italiano la possibilità di arricchirsi tutti col petrolio). Un pò come se uno che tifa Juventus rapina una banca, e i giornali titolassero "tifoso della Juventus rapina banca"... certo, sarà stato pure tifoso della Juventus, ma nel momento in cui rapina una banca è un rapinatore, la squadra di calcio che preferisce che c'entra con la rapina? Tutti quelli che rapinano banche avranno pure una squadra di calcio preferita, ma nessun giornale quando riporta la notizia definisce il rapinatore come tifoso di quella squadra! Per inciso, episodio non meno importante ai fini storici, il governo italiano effettivamente nascose (letteralmente "sotto la sabbia" si può dire) la scoperta del petrolio in Libia (avvenuta nel 1919). E sapete fino a quando? Fino al 1939 (lo si veda nella pagina Agip in Wikipedia), quando ne rivelò la presenza (con una "scoperta" fittizia da parte del geologo Ardito Desio) violando così l'imposizione britannica di 20 anni prima. Fatevi un pò due conti sul significato della seconda guerra mondiale per l'Italia quindi, ovvero chi aggredì chi, e per quale motivo.

“Vedete, in questa lettera di Churchill vi è il perché, il motivo per il quale l’Italia è entrata in guerra, è stato anzi il momento in cui tutto sembrava perduto per l’Inghilterra. Si è sperato che io potessi, nella vittoria dei tedeschi, mitigare lo smisurato potere di Hitler: questo è anche il motivo per il quale nel 1940 non riunii il Gran Consiglio per farlo deliberare sulla guerra, anche se ciò significava violazione dello Statuto” (Benito Mussolini ad Angelo Tarchi, 25 aprile 1945)

Il fatto che Mussolini definiva quella guerra dal punto di vista italiano come una ribellione al dominio britannico mica è un segreto dopotutto. Ma i reginetti dell'anti-colonialismo considerano santa qualunque ribellione contro i dominatori coloniali, eccetto quella dell'Italia verso la Gran Bretagna. Vedete un pò voi, abbiamo dovuto tenere segreta l'esistenza del petrolio in Libia solo perchè così comodava a loro, e quando, dopo 20 anni di ubbidienza, l'abbiamo rivelata... sapete bene cosa ci hanno combinato. Voi questo come lo chiamate? Non ci sono stati bombardamenti angloamericani sulla Spagna, sul Portogallo o sulla Svizzera. E nemmeno sulla Svezia o sull'Islanda. Chissà mai perché. Forse perchè questi paesi non si sono ribellati al subdolo dominio britannico? Quale riferimento avalla la "dichiarazione" di guerra della Gran Bretagna nei confronti dell'Italia, vi chiederete. Quando il Kenya ha avviato la lotta per l'indipendenza, e la Gran Bretagna ha reagito con la repressione, c'è stata una dichiarazione di guerra della Gran Bretagna al Kenya? No. Per essere ostili non c'è certo bisogno di una dichiarazione ufficiale ma neanche di un preciso atto palese.

“La gente si accorge sempre della guerra solo quando scorre il sangue. Non abbiamo forse oggi la guerra doganale? E’ appunto perciò ch’io sono contro le dogane, e le ho aumentate meno degli altri. Con queste nuove muraglie cinesi noi torniamo, in piena luce del ventesimo secolo, al Medioevo, all’economia chiusa dei Comuni” (Benito Mussolini, 1932)

Se così fosse allora sarebbe corretto dire che fu il Giappone a dichiarare guerra agli Usa, mentre la realtà è che li stuzzicarono in ogni modo per istigarli all'attacco di Pearl Harbor. Traete le vostre conclusioni su chi è stato il vero responsabile di quella guerra. Se pensate che sia giusto ribellarvi ad un imposizione altrui, o a irritanti provocazioni continue, o se invece pensate invece sia giusto sopportare in silenzio, fate le vostre considerazioni. Esiste un libro, "il carteggio segreto Mussolini-Churchill", dove si deduce che fu Churchill ad imporre a Mussolini di dichiarare platealmente la guerra, senza però farla veramente, come poi è effettivamente stato: siamo stati inermi a subire; quella che viene fatta passare per inefficienza era in realtà un ordine preciso non solo di non attaccare, ma addirittura di non difendersi. Sintomatico è che il primo ordine di Mussolini fu quello di “non attaccare per primi” (Il generale Emilio Faldella così commentava: “Per la prima volta nella storia una guerra aveva inizio con l’ordine di non sparare”. Da “L’uomo della pace”, Filippo Giannini - Guido Mussolini, Greco & Greco editori, Milano, pag. 180), un ordine veramente atipico per l’esercito di un paese che ha egli stesso preso l’iniziativa di dichiarare la guerra... un ordine, tra l’altro, che smentisce la famigerata frase “ho bisogno di qualche centinaio di morti per sedermi al tavolo della pace”, la prima di una serie di affermazioni completamente bizzarre ed inverosimili affibbiategli arbitrariamente in modo postumo. Si considerino di esse come campioni l’assurda “Signori, voi avete provocato la crisi del regime”, l’inesistente ordine di usare i gas in Abissinia, e le famose "la Ceka cosa fa?", “si ammazza troppo poco”, “che muoiano pure le mezze calzette”, e “bisogna impedire a quel cervello di pensare”.

“Coloro che possono farti credere assurdità, possono farti commettere atrocità” (Voltaire)

Come lo definite un paese al quale un altro paese impone di dichiarargli guerra? E perdipiù intimandolo di non farla veramente? E perdipiù a non difendersi quando loro attaccano (il primo bombardamento di Taranto ne è l'esempio lampante)? E quando, per non far sorgere sospetti al proprio popolo, si attacca, farlo per finta (il fittizio attacco alla Grecia)? Io lo definisco un paese succube dell'altro, come minimo. Il governo britannico, per poter continuare la guerra dopo la sconfitta della Francia, aveva bisogno del supporto italiano, supporto che c'è ampiamente stato. Non si è trattato perciò di inefficienza involontaria (versione anti-fascista) o di boicottaggio attivo e passivo da parte dei vari gradi militari filo-britannici (versione fascista), ma di vere e proprie apposite direttive dall'alto, perlomeno fino all'inizio del 1941, quando Mussolini si accorse che indietro non si poteva tornare. Solo così si spiega la "magnanimità" verso l'Italia da parte dei vincitori: probabilmente il famoso "carteggio" in cui Churchill indicava ai governanti italiani come condurre la "finta guerra" era finito saldamente nelle mani di De Gasperi. Dare la colpa della guerra a Mussolini è come chiamare assassino lo speaker che nel telegiornale legge la notizia di un omicidio, e darla al fascismo come darla alla rete Tv che lo trasmette. Il 25 luglio 1943 gli italiani esultarono la caduta di Mussolini come la fine della guerra. Se solo avessero potuto sapere che stavano invece esultando per la continuazione di una guerra che Mussolini avrebbe invece fatto finire al più presto. Osannarono proprio quelli che avevano l'interesse ed il proposito di farla non solo continuare, ma addirittura degenerare anche per ingigantire le "colpe" affibbiabili allo speaker che l'aveva annunciata alla radio. Incomprensibile è come essi, pur dichiarando di agire per il bene della nazione, permisero nel lasso di tempo successivo di lasciar affluire liberamente i tedeschi nella penisola. Evidentemente lo scopo iniziale dei veri autori del colpo di Stato del 25 luglio non era il successivo armistizio poi verificatosi, ma essi stessi dovettero accondiscendervi davanti alle sopravvenute esigenze internazionali (la pressione diplomatica sovietica soprattutto). Nessuno che si chieda il perché del trattamento eccessivamente bonario dei vincitori verso i vinti. Le colpe furono tutte addossate a dei simbolici capri espiatori. Forse per tenere buoni i, sicuramente molti, che, chi più chi meno, erano consci del senso di quanto in realtà era accaduto tra il 1939 ed il 1945? A completare il risorgimento mancava effettivamente qualcosa, dopo la “redenzione” di Trento e Trieste: mancava l’indipendenza economica dalla Gran Bretagna. La seconda guerra mondiale fu veramente una quinta guerra di indipendenza come sostiene l’ANPI. Ma a differenza di quanto loro sono convinti, fu combattuta contro gli inglesi, non contro i tedeschi. E fu perduta. Questo ufficialmente. In realtà è inutile girarci intorno: l'Italia è stata, e non involontariamente ma proditoriamente, il vero peggior nemico della Germania nella seconda guerra mondiale. Paradossalmente, tra tutti i belligeranti, la vera vincitrice della guerra contro la Germania, è stata l'Italia...

“Soltanto il carteggio, ormai voluminoso, in caso di bisogno parlerà e spezzerà ogni lancia puntata verso di noi. Al solo conoscere della esistenza dei miei incartamenti fa paura a troppi, sia Vittorio Emanuele o Badoglio. Ma anche Churchill e Hitler saranno obbligati ad attenersi a una linea veritiera” (Benito Mussolini al generale Rodolfo Graziani, 10 settembre 1944)

Proprio per questo Mussolini fu poi definitivamente abbattuto da queste residue ma pur sempre potenti forze contrarie al cambiamento, prima di riuscire a dare il via perfino alla versione edulcorata della Socializzazione. Insistenti furono le loro pressioni su Karl Wolf (comandante tedesco in Italia) dagli organizzatori dell'"operazione Sunrise" affinché la RSI fosse sciolta prima dell'applicazione effettiva di quella socializzazione. Come desiderato, ironia della sorte proprio il giorno stabilito per l'entrata in vigore della legge sulla socializzazione, 21 aprile 1945, i tedeschi iniziano la ritirata e gli americani sfondano la "linea gotica", avviando la caduta in pochi giorni della Repubblica Sociale Italiana senza colpo ferire, nonostante avesse ancora notevoli capacità di resistenza dovute alle caratteristiche geo-morfologiche del nord Italia (l'apporto dato dai partigiani alla caduta della RSI fu del tutto inesistente, nonostante essi siano convinti del contrario). Da parte dei gruppi industriali, finanziari, e sindacali si voleva difatti evitare di trovarsi tra le mani una tale “patata bollente” una volta giunti al potere. Difatti il decreto-legge sulla Socializzazione fu il primo atto ad essere preso in considerazione in fretta e furia dal CLN nel nord Italia per essere abolito, il 25 aprile stesso! Non le leggi razziali, ma il decreto-legge sulla Socializzazione era la priorità da abolire per loro. Questo fatto getta inevitabilmente luci "oscure" sulle vere motivazioni della cosiddetta "insurrezione", e sul reale grado di considerazione dato dagli antifascisti a quel decreto-legge.

"In molte province si sta verificando il fenomeno di industriali i quali sono i sovvenzionatori di questa ripresa sovversiva delle bande di Lenin, sovvenzionatori di queste bande di ribelli" (Alessandro Pavolini al congresso di Verona, 1943)

Quindi “fenomeno” o “parentesi” sto cazzo!!!! Il fascismo nasce per coniugare due ideologie fino allora ritenute antitetiche ma che in realtà sono perfettamente atte a complementarsi: miniarchia e distributismo, che fino allora erano, la prima sostenuta dai liberali e avversata dai socialisti, e la seconda sostenuta dai socialisti e avversata dai liberali. Quindi il fascismo sorge grazie alla divisione tra questi, a colmare una lacuna esistente tra le due posizioni e non quindi una via di mezzo di compromesso tra i due ("social-democrazia") ma proprio la contemporanea coniugazione di entrambi allo stesso tempo, proprio per andare, tramite il distributismo a compensare le carenze insite nella miniarchia, e tramite la miniarchia a compensare le carenze insite nel distributismo, a vantaggio di quel ceto fino allora sopito ma risvegliato dall'attacco a cui veniva sottoposto nella società emersa dalle macerie morali della guerra. Andava cioè a riunificare i due filoni anti-conservatori che dopo l'iniziale percorso parallelo sul finire del '700, si erano suddivisi ad inizio '800 tra liberali e socialisti (mentre un terzo filone aveva preso la via del marxismo) ed i socialisti a loro volta divisisi a seconda dell'osservanza massonica di riferimento, fabianisti quella nordista, distributisti quella sudista. Avendo accennato nel corso del testo alla "rivolta della tipologia mentalmente produttivista contro il mondo lavorista" ed alla "spontaneità produttiva castrata a partire da un certo momento in poi da quelle forze" ecc, è opportuno ora approfondire cosa si intende in riferimento all'interpretazione del fascismo, sempre troppo lacunosa sotto il punto di vista sociologico. La lacuna sulle interpretazioni dell'"origine del capitalismo" e dei sistemi economici stessi stanno nell'ignoranza della divisione sociologica dell'umanità in queste tipologie. Senza comprendere ciò non è possibile comprendere i sistemi oltre le banali critiche o lodi generaliste e nemmeno il fascismo oltre l'episodio storico noto. Ad esempio, come è possibile ricondurre al fascismo un personaggio come Jünger, che nei suoi libri scrive peste e corna della politica fascista peggio del più estremo antifascista? La ragione è abbastanza banale: lui scrive peste e corna delle politiche del regime fascista. Ma il regime fascista non è il fascismo stesso. Difatti le sue sono critiche sensate e reali, condivise da molti fascisti stessi, non gli ottusi pregiudizi ideologici fondati su falsità tipici di chi si definisce antifascista per partito preso. Per poter capire bisogna partire dalle origini del capitalismo, e relative analisi critiche, sono falsate dalla mancata comprensione del suo dualismo. Anche qui l'errore consiste nel considerare il capitalismo come unico, e lo stesso vale verso la massoneria. E quindi farsi un opinione, buona o cattiva, generalizzando. Cosa che ne inficia la comprensione. Se invece parliamo di capitalismi e di massonerie, allora è possibile una vera loro comprensione. Molti autori si sono arrabattati ad identificare la nascita del capitalismo. In realtà sarebbe più corretto cercare una data nella quale un tipo di capitalismo ha surclassato l'altro, dato che il capitalismo nasce nel primo momento in cui due soggetti si sono scambiati due oggetti (quindi nella preistoria). Ma per farlo bisogna prima identificarli entrambi. Abbiamo già visto come vi siano due tipi di concezioni contrapposte rifacentisi ai due tipi di concetti di "salvezza" religiosi, così abbiamo lo spunto di partenza: la massoneria sudista si identifica in quello cattolico, quella nordista in quello ebraico-protestante. Vi è perciò non un atto di nascita del capitalismo, ma un progressivo e periodico passaggio da un sistema all'altro. Ora, riguardo l'origine del fascismo, Raffaele Mattioli identifica la preponderanza finale del capitalismo nordista nella sua vittoria nella guerra di secessione nel 1865, momento dal quale in poi l'ideologia sudista è messa sempre più in minoranza senza soluzione di continuità. Ed è in seguito al fondamento del mondo moderno sulla filosofia nordista dal 1865 in poi che sorge la rivolta contro quel tipo di mondo da parte dell'"altro mondo", quello che nel 1865 ha perduto. E' a quel mondo che fanno riferimento come "decadente" gli ideologi di quella che in seguito sarà chiamata "rivoluzione conservatrice" Helmut Franke, Oswald Spengler, Ernst Jünger, Althaus, gli apologeti dell'"anti-capitalismo romantico" a cui contrappongono il "capitalismo organizzato" e del "tramonto dell'occidente" e della "rivolta contro il mondo moderno" cominciato appunto con la vittoria nordista nel 1865. Filone sociologico precorso da Nietzsche, e le idee economiche di Louis-Auguste Blanqui, poi ripreso da Louis-Ferdinand Céline, Pierre Drieu La Rochelle, Rene Guénon, Jurgis Baltrusaitis, T. Burckhardt, George Dumézil, Mircea Eliade, G. I. Gurdjieff, Martin Heidegger, J. Huizinga, F. Liszt, Ernst Nolte, Carl Schmitt, Werner Sombart, Tolkien, O. Weininger, Robert Brasillach, Emil Cioran, Corneliu Codreanu, Gabriele D'Annunzio, Filippo Tommaso Marinetti, Leon Degrelle, Ugo Spirito, Giovanni Gentile, J. Bochaca, Abel Bonnard, Ion Mota, Ferenc Szalasi, e più recentemente da Evola e Francis Parker Yockey. Caso particolare è quello di Yukio Mishima (poiché inserito in un contesto sociale, quello giapponese, che era ancora a preponderanza "sudista" fino al 1945), ed oggi quello di Franco Cardini. Ma farne un analisi approfondita richiederebbe un intero tomo, qui limitiamoci ad analizzarne le influenze dal punto di vista economico: nel corso del testo abbiamo già visto i termini "lavorismo" e "produttivismo". Il lavorismo praticamente è l'ideologia economica dell'osservanza nordista, mentre il produttivismo è quella dell'osservanza sudista. Il sistema economico capitalista si suddivide quindi tra l'economia ridistributiva-lavorista e l’economia distributiva-produttivista (detta anche "economia dei bisogni"). Praticamente dal 1865 ad oggi l'economia globale si è fondata totalmente sul primo. Quando noi oggi parliamo di capitalismo riferendoci al sistema economico vigente, intendiamo quello ridistributivo-lavorista, non quello distributivo-produttivista che non è più applicato da almeno 150 anni in nessun luogo (eccetto il Giappone fino al 1945, e solo parzialmente dovendo commerciare anche col resto del mondo e quindi subendone l'influenza). Quindi, è inesatto criticare "il capitalismo"; dal punto di vista distributista è esatto criticare il capitalismo di tipo ridistributivo-lavorista dell'osservanza nordista, e quindi lodare ed auspicare quello distributivo-produttivista dell'osservanza sudista. Criticando "il capitalismo" non si va fuori dall'impossibilità di comprensione. Idem per la massoneria: è inesatto criticare "la massoneria"; dal punto di vista distributista è corretto criticare l'osservanza nordista e lodare quella sudista. Per questo motivo in questo testo ho cercato di distinguere bene le cose, criticando il lavorismo, non il capitalismo; quando nel testo trovate una critica al lavorismo, sappiate che equivale a criticare il capitalismo come inteso oggi; quando trovate una critica al nordismo, equivale a criticare la massoneria nella concezione in cui lo farebbero i critici della massoneria oggi preponderante. Ma il reddito di cittadinanza non ha solo ragioni scientifiche, bensì poggia su una solida base filosofica che parte dalla fine del feudalesimo con Tommaso d'Aquino e passando per Tommaso Moro si manifesta apertamente al tempo delle rivoluzioni francese (François Huet) e americana (Thomas Paine), e portato avanti da economisti (Stuart Mill, Thomas Spence, John Locke, e altri che vedremo in seguito) e visionari (Ezra Pound, Martin Luther King). Se dal filone milliano del socialismo anti-marxista sorse il distributismo, dall'altro lato del filone dei socialisti primordiali invece sorse Josiah Warren, considerato dal 1833 il primo anarchico americano. Warren è da molti ritenuto il primo di quella lunga schiera di anarchici che darà vita alla corrente anarco-individualista americana e che vide tra le sue fila Lysander Spooner, Henry David Thoreau, James L.Walzer, John Henry Mackay e Benjamin Tucker. Warren come Pierre Joseph Proudhon, scelse l'anarchismo piuttosto che il socialismo di Stato, come metodologia di opposizione rivoluzionaria e prospettiva di civiltà. Diversamente dal distributista Mill, la natura è per loro non un semplice strumento per il raggiungimento di conoscenze ideali di ordine superiore, bensì oggetto ultimo della pratica filosofica, fonte di benessere e soluzione esistenziale. Il manifesto di Warren sottolinea come la costituzione calpesti la dignità umana individuale in favore del governo nato da queste combinazioni menzognere, in cui l'individuo viene ridotto ad un semplice pezzo di una macchina, senza possibilità di aver realmente sotto controllo la propria vita che è invece totalmente condizionata dalle leggi a lui imposte.

"La Costituzione? Belle frasi ad uso dei governanti" (Lysander Spooner)

"La costituzione, alla pari di tutte le altre costruzioni artificiali, è il primo, il più grande e il più fatale errore mai commesso dai riformisti e dai legislatori" (Josiah Warren)

Successivamente Bernard Shaw considerò Henrik Ibsen un riformatore sociale, non centrando però il suo tema principale, il conflitto psicologico tra il dovere della società e il proprio, poi rimpinguato da Gustave Le Bon con i suoi studi sulla psicologia delle folle e da Gabriel Tarde con i suoi sulla folla instintiva. Come loro, anche Spooner considerava illegittima e illegale la pretesa dello Stato di rappresentare i propri cittadini, perché non è mai stato firmato da ciascun cittadino alcun contratto che prevedesse il trasferimento dell'autodeterminazione da ciascun individuo al popolo e della sovranità dal popolo allo Stato. Quindi, da un punto di vista strettamente legale, secondo Spooner, ogni stato che eserciti la propria autorità in queste condizioni ha i caratteri dell'organizzazione criminale. Da cui la necessità di un costrutto che venga a rappresentare un "contratto sociale" accettato bilateralmente, sotto forma di un reddito di cittadinanza la cui riscossione rappresenterebbe una firma implicita da parte del cittadino che con tale azione si impegna a rispettare le regole di questo contratto. Da questo filone sorgono le filosofie contrattualiste che vedranno anni dopo in Wilhelm Röpke il punto di riferimento. Da un punto di vista economico e finanziario, Röpke auspicava un compromesso tra il liberalismo e il socialismo che lui definiva "terza via". Nella società da lui teorizzata i diritti umani erano il perno fondamentale, e l'individualismo tipico del pensiero liberale, veniva bilanciato dai principi personalistici di sussidiarietà. Nonostante una posizione oggi definita liberal-socialista, Röpke criticava decisamente un welfare eccessivo, ed anzi era per la sua pressoché totale abolizione. Secondo lui le politiche sociali non dovevano bloccare o limitare i processi di un libero mercato. Il suo pensiero oggi prende nome "ordoliberalismo" della Scuola di Friburgo di Walter Eucken, durante la crisi della Repubblica di Weimar, scuola che già riconosceva la necessità di un controllo non dirigista dello Stato nei confronti del sistema economico capitalista. Da esso prende origine il concetto di "economia sociale di mercato" la cui elaborazione teorica avviene nella Germania degli anni '30 grazie alla Scuola di Colonia, e in particolare ad Alfred Muller Armack e Ludwig Erhard, ma colui che elaborò per primo una vera e propria teoria dell'economia sociale di mercato fu Röpke, che propose una "terza via" tra liberalismo e collettivismo, in cui lo Stato svolgesse solo una funzione garantista nei confronti del libero mercato, ed è consapevole della necessità di una profonda revisione delle regole che "monopolizzano" il sistema economico.
A questo punto bisogna puntualizzare meglio la concezione di "liberalismo", ed esemplare è che essa sia opposta nelle concezioni europea (conservatorismo) e americana (progressismo). I liberali in origine non sono conservatori. Nell'Ottocento i liberali erano i rivali dei conservatori, fino alla nascita dei laburisti. Così come oggi sono rivali tanto dei conservatori quanto dei laburisti. In origine non era sempre così, la piega "europea" è stata presa soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, mentre prima era ancora presente la concezione liberale intesa come progressismo, facente riferimento a persone tipo Piero Gobetti e i fratelli Rosselli, e fino ad un certo punto anche ad Antonio Gramsci. Si consideri poi che a causa del "terrore" dei liberali di essere fatti passare per "filo-fascisti" erano recalcitranti a dirsi di destra, marchio di ignominia dal 1945 al 1994.

"Il controllo di massa funge come i cani pastore, non ti bastonano per farti andare dove vogliono. Piazzano una cosa che ti spaventa e tu vai dall'altra parte" (Sara Palazzotti)

I liberali progressisti europei pre-guerra erano tuttavia più affini al massimalismo e critici verso il riformismo, tanto che Gobetti critica le idee mazziniane come un "agire nell'atmosfera retorica della palingenesi democratica e della virtù piccolo borghese". Mentre a sorpresa ritiene avere una funzione moderna liberale il Partito Popolare di don Luigi Sturzo (fautore della dottrina sociale della chiesa cattolica). Per lui "bisogna accettare il culto della lotta di classe... solo attraverso la lotta di classe il liberalismo può dimostrare le sue ricchezze", "in Marx mi seduce l'apostolo del movimento operaio", "anche il nostro liberalismo è socialista" e "la rivoluzione bolscevica è essenzialmente una affermazione di liberalismo". Da queste frasi è facile evincere che Gobetti era il più socialista tra i liberali colti e illuminati. Il punto è che oggi i liberali o presunti tali sono intimamente conservatori e dunque uno come Gobetti lo snobbano o peggio ignorano. E' uno dei padri del radicalismo o liberalismo di sinistra che dir si voglia italiano avente come riferimento il Partito Radicale e dunque Ernesto Rossi, i Fratelli Rosselli, Calamandrei, Gaetano Salvemini, Piero Gobetti, Marco Pannella; area liberalista poi stravolta dal filo-fabianesimo dei vari Benedetto Croce ("odio tanto il fascismo che vieto a me stesso di pur tentare di pensarne la storia", che se in riferimento al ventennio sono non pochi i fascisti che oggi la condividono ampiamente, ed anzi sono a ben vedere i primi ed i più legittimati a dirla) e Ugo La Malfa con la creazione di quell'orrido teratoma che era il partito d'azione, un accozzaglia trasversale originariamente priva di un vero programma, ma avente come unico traite d'union l'antifascismo più accanito e pregiudiziale, e solo di conseguenza andando a spulciare qualunque cosa che fosse il più opposta ad esso (inteso come ideale fascista, non regime, anzi, rispetto a quest'ultimo non è stata modificata una virgola dopo il '45 a parte le pagliacciate staraciane) per farla propria, e solo come risultato di questo indistinto accatastamento darsi un programma definitivo; ed anche se come partito è durato poco, la sua nefasta ideologia è sopravvissuta andando i suoi ex aderenti ad infestare in massa come una metastasi un pò tutti gli altri partiti dopo la sua scomparsa, infestante diaspora che non ha eguali nella storia della politica italiana. Per chi non avesse presente l'ideologia ed il programma del partito d'azione, esso è semplicemente esattamente quello che ha guidato culturalmente il nostro paese negli ultimi 70 anni. Difatti nonostante il partito d'azione vero e proprio si sia sciolto nel 1947, è esatto dire che a governare l'Italia dal 1943-45 ad oggi è stata l'ideologia di quel partito in maniera pressoché totale. Dal 1945 ad oggi l'Italia è stata sotto la dittatura del partito d'azione, solo accettando questa consapevolezza è possibile spiegare tutta la storia italiana degli ultimi 70 anni, è la chiave di volta che ne rende possibile la comprensione. Dittatura non è un termine esagerato ma calzantissimo, poiché la sua ideologia ha governato senza alcuna possibilità di opposizione indipendentemente dai risultati elettorali e dalle coalizioni di governo che si sono succedute, che avrebbero potuto influire, ed hanno influito, solo sulle sfumature.

"Non è la formula politica che determina il modo di formazione della classe politica, ma al contrario è questa che sempre adotta quella formula che più le conviene" (Gaetano Mosca)

Esemplare è l'esperienza del partito radicale: dopo la scomparsa del primo PR nel 1962, dove la corrente razionalista più liberista, occidentalista, indipendente, meno laicista, di Pannunzio si dimise in opposizione a quella umanista più pianificatrice e più favorevole all'alleanza con i socialisti di Ernesto Rossi e di Scalfari. Pannella ricostituì nel 1976 il partito radicale relegandolo a battaglie sui diritti civili, comprensibilmente essendo il mantra anti-capitalista un tabù intoccabile fino a pochi anni fa pena il passare per "guardia bianca" degli Agnelli-Pirrelli. Un partito "economicista" viene fondato da Oscar Giannino in anni recenti, ma il risultato elettorale è stato deludente, e comunque era poco più che un partito degli "evasori del canone rai". Il suo programma iper-liberista aveva la pecca di non fornire adeguate compensazioni. Non si può andare ad intaccare una cosa e poi lasciare tutto il resto come se non ci fossero ulteriori conseguenze. Se in compensazione avessero inserito il reddito di cittadinanza come dovrebbe essere logico per un programma iper-liberista, sarebbe stata la perfezione politica; certo sarebbe stato fascismo, ma nessuno, loro compresi, lo avrebbe mica saputo... visto l'andazzo. La decennale "cultura" filo-comunista ha fatto i suoi bei danni nelle menti delle persone.

"Uno dei migliori argomenti a vantaggio del liberismo è che attualmente nessun partito italiano sta sostenendo il liberismo" (Sergio Ricossa)

E' anche per un'eccessiva "chiusura" a determinate categorie il vero motivo per cui gli ideali libertari non solo non si diffondono, ma anzi sono invisi ai più. Quanti millantati imprenditori, gente "produttiva", il "Brambilla" a cui i libertari si rivolgono come degno epigono dei loro ideali, si dicono libertari e poi godono ora delle sovvenzioni per la produzione di prodotti biologici, ora per l'energia fotovoltaica, ora per la difesa di privilegi di categoria, ora per questo e per quel decreto, ora (e sempre) per la cassintegrazione che lo Stato fornisce loro come comoda àncora di salvezza. Come conseguenza il liberalismo odierno (rappresentato dal berlusconismo) che liberalismo non è, cerca di usare lo stato per elargire direttamente ai propri elettori una serie di benefici; benefici che il liberalismo autentico fornirebbe indirettamente a tutti lasciando semplicemente le persone libere di provvedere a sé stesse (e nella sua versione distributista con la sopravvivenza garantita da un reddito di base). L'integralismo politico mantiene ancora vivo il contrasto con l'avversario attraverso i luoghi comuni: chi privatizza i servizi vuole affamare i poveri, chi tassa un pò più i ricchi e abolisce le tasse per le imprese e ceti medio-bassi è comunista, chi vuole lo Stato minimo non è liberale, bensì statalista e socialista perché lo stato non deve nemmeno esistere ecc... La conseguenza di queste chiacchere ideologiche avvantaggia un partito deideologizzato ma profondamente statalista, assistenzialista, lobbistico, benpensante, umanista-illuminista, autarchico, luddista, bigotto, e conservatore: il partito d'azione, appunto. Quindi diventa utopico qualunque appello a liberarsi delle faziosità e fare un partito "atipico" per lo scenario italiano, cioè liberista e sociale ovvero distributista, che unisca le classi produttive (imprenditori, liberi professionisti, dipendenti) contro i privilegi di chi approfitta di sussidi, di rendita, di barriere, di privilegi di categoria, di Stato. Per il successo di un certo tipo di pensiero è necessario innanzi tutto divulgare il pensiero stesso, specialmente quando al 99% della popolazione un certo tipo di sensibilità manca verso un certo tipo di ragionamento, verso determinate argomentazioni a cui non è, nè mai è stata avvezza a causa del tabù di contrariare i "padroni della piazza", i comunisti.

“Un tempo non era permesso a nessuno di pensare liberamente. Ora sarebbe permesso, ma nessuno ne è più capace. Ora la gente vuole pensare ciò che si suppone debba pensare. E questo lo considera libertà” (Oswald Spengler, "Il tramonto dell’Occidente")

Bisogna spiegare a gente "valida", a persone intelligenti, indipendentemente dal lavoro che svolgano e dal fatto che lavorino o meno per un ente pubblico o privato, le ragioni di una determinata scelta. Certo, non è che un dipendente statale, una volta "evangelizzato" (da eu angelion, cioè che ha ricevuto "la bella notizia") cambia vita, lascia il lavoro di impiegato del catasto e diventa imprenditore... E' facile predicare "in casa propria", cioè tra gente che naturalmente può trarre vantaggio diretto da determinate idee, difficile è avere il coraggio e la pazienza di spiegarle a chi apparentemente conduce una vita all'insegna di valori opposti, spiegando cioè tuttavia che, mutando le cose, trarrebbero maggiori vantaggi in uno scenario economico in cui l'utile sarebbe direttamente proporzionale all'effettivo valore della persona, non al ruolo ufficializzato ricoperto. Se ci fosse tale apertura, che prevede al tempo stesso sì una maggior pazienza, ma nondimeno molto coraggio, potremmo sperare nel proliferare di idee foriere di libertà nel susseguirsi delle generazioni e non nella stagnazione elitaria, compiaciuta e reazionaria, di tali principi. Questo non significa scendere a compromessi con istanze stataliste, ma tutt'altro: significa avere come criterio di scelta del proprio pubblico gente per natura valida, con mente aperta, e non è che non ce ne siano, anche nel pubblico, così come ci sono mufloni ottusi e chiusi di mente che bellamente lavorano per imprese private oppure possiedono un negozio ma che adorano il dio Stato e le sue istituzioni. Ebbene si, il lavaggio del cervello ha portato persone a sostenere un idea politica che se fosse andata al potere gli avrebbe sottratto le loro proprietà: sono esistiti (e forse ne esistono ancor oggi) commercianti comunisti!

"Un idea che non trova posto a sedere è capace di fare la rivoluzione" (Leo Longanesi)

Cosa c'è stato all'origine di questa suddivisione nel liberalismo? Bisogna considerare che la massoneria non è un blocco monolitico come si tende a credere, ma è divisa in due osservanze acerrime nemiche l'una dell'altra: quella "nordista" e quella "sudista". Sono le “guerre” tra gruppi di logge a determinare occultamente gli eventi palesi che accadono nel mondo. L’esempio più eclatante è stata la guerra di secessione americana, le cui cause non sono da identificarsi solo con la questione schiavista (che era solo la più visibile delle differenze) ma fu una guerra tra due diverse concezioni filosofiche dell’economia e della società: quella nordista e quella sudista, che da allora ha acuito la frattura in logge filosoficamente “del nord” e logge filosoficamente “del sud” (inteso appunto come nord e sud degli Stati Uniti). Un personaggio come Enrico Cuccia è stato il tipico esempio di massone “del nord”, mentre Michele Sindona incarnava la filosofia di quello “del sud”; idem Eugenio Cefis (nordista) - Enrico Mattei (sudista). Non ci inoltreremo qui, ma ci limitiamo a far presente che basta analizzare la differenza che passa tra questi personaggi per comprendere i concetti di “nord” e “sud” massonici. Le diverse concezioni culturali della massoneria furono profondamente studiate dal poeta francese Robert Brasillach. Questi parametri sono molto utili a capire in quali periodi sia stata più influente l’una oppure l’altra. Ad esempio, tra il 1969 ed il 1973 ogni dicembre (in quanto mese nel quale la gente è meno propensa ad occuparsi di politica) in Italia si preparò un “golpe”, a conferma di una preponderanza sudista; mentre dal 1973 al 1978 il terrorismo di massa la fece da padrone in maniera capillare, avvallando la tesi di una maggior influenza nordista; gli anni 1978-80 furono di transizione, come confermano i conflitti tra le due filosofie (conflitti per quanto riguarda l’Italia, espressisi nella rivelazione pubblica della P2 e nell’omicidio di Mino Pecorelli). Probabilmente anche la morte di Papa Giovanni Paolo I è da inserirsi in questa guerra, e dato che Karol Woitila era chiaramente sostenuto dalla massoneria sudista, ne consegue che Albino Luciani era sostenuto da quella nordista. La conferma dei motivi ci arriva da un fatto contemporaneo: la nascita del sindacato “Solidarnosc” nel paese di Karol Woitila, nel 1980. Da qui ad identificare i mandanti dell’attentato di Alì Agca come vendetta il passo è breve. Quindi fino al 1992-93 la preponderanza fu sudista, dopodiché nuovamente nordista (tangentopoli, crescita della Lega Nord, e bombe del 1993 in Italia a simbolizzarla). Se qualcuno ancora non avesse capito i motivi dell'avvicendamento tra i due papi Benedetto e Francesco, ecco, il motivo è questo, si erano avvicendate le due osservanze e la presenza del sudista Benedetto era incompatibile con quella della fazione nordista al potere. Ratzinger è di area distributista (questa è l'esperienza maggiormente compatibile con la dottrina sociale cattolica, dato che deriva proprio da essa); Bergoglio di quel tipo di social-democrazia (quindi di centro-sinistra diciamo) che viene spesso definita "catto-comunismo", sono due concetti più antitetici tra loro che liberismo e comunismo tra loro. Bergoglio sembra proprio il frutto di quella teologia della liberazione che ha avvelenato l'America latina con le degenerazioni chaviste. Bergoglio insiste non tanto sulla necessità di eliminare la miseria, quanto sullo scandalo rappresentato dall'esistenza di estrema ricchezza accanto ad estrema miseria. Non si limita a raccomandare ai cristiani di essere caritatevoli, ma teorizza in materia di scelte economiche. Ultimamente, ha preso una severa presa di posizione contro il licenziamento di dipendenti in esubero e questo, del mantenere persone ad eseguire lavori inutili, è pura demagogia, che non può che creare ulteriore miseria, come constatiamo dall'esperienza degli stati che praticano tale scelta. La sua visione è quella catto-comunista dell'eguaglianza ad ogni costo: tutti uguali, tutti più poveri ma tutti uguali: anzi, i poveri ancora più poveri. Per i catto-comunisti lo scandalo è la ricchezza, non la povertà. Tipico degli esponenti della massoneria di osservanza nordista. Nonostante Ratzinger stesso in "Senza radici" faccia una similitudine socialdemocrazia-dottrina sociale, ciò è comprensibile, così come fraintendono quasi tutti le due cose ignari della differenza, lo fa pure lui. Ma il modus operandi ed il pensiero parlano chiaro a chi sa capire. La social-democrazia catto-comunista è solo una via di mezzo tra liberismo e comunismo. Il distributismo è una terza via, tipicamente collocata a destra anche se non è proprio calzante, sarebbe esatto dire che se la social-democrazia è una via di mezzo tra destra e sinistra passando per il centro, il distributismo è una via di mezzo senza passare per il centro ma in pratica fa da traite d'union tra l'estremità della destra e l'estremità della sinistra unendole andando a formare un cerchio anzichè il classico arco. Quindi sono opposte l'una all'altra tanto quanto comunismo e liberismo.

"Regimi democratici possono essere definiti quelli nei quali, di tanto in tanto, si dà al popolo l'illusione di essere sovrano, mentre la vera effettiva sovranità sta in altre forze talora irresponsabili e segrete" (Benito Mussolini)

"Il più bel trucco del diavolo sta nel convincerci che egli non esiste" (Charles Baudelaire)

La massoneria è come una cipolla. Inutile sfogliarla, sperando di trovare al centro un “grande vecchio” o un cuore che determini ogni strategia; in massoneria tutto è ambiguo e sfuggente, ogni verità è a doppio fondo. Inutile cercare di annettere la contiguità di una determinata loggia massonica a determinati schieramenti politici: i massoni sono, da sempre, presenti indistintamente in tutte le fazioni politiche, in tutte le parti belliche, in tutti o quasi i ceti sociali. L’essere massone non determina una appartenenza sociale o politica particolare, perché l’essere massone è sottostante a queste appartenenze. La massoneria non è un partito politico, è un modo di pensare e di essere. Un modo di pensare “illuminato”. E proprio per questo sdegna tutte le persone esterne ad essa, con i risultati evidenti. Una loggia massonica rappresenta praticamente una Società di Mutuo Soccorso, nella quale persone solitamente scaltre, ricche, e potenti, si riuniscono consapevoli di scopi comuni (anche il semplice arricchimento) e mezzi per raggiungerli, e si organizzano nell’ambito delle proprie rispettive disponibilità in modo da compiere tutte quelle azioni necessarie allo scopo, in quello che è un mercato dove si incontra la domanda e l’offerta di favori reciproci, escludendo a priori chiunque non abbia le disponibilità per “ricambiare”; il tutto velato da un ridicolo paravento di riti ed idealismo illuministico. Il coordinamento di questo mercato è appositamente affidato a gerarchie di persone (“maestri”) che svolgono il ruolo di intermediari tra la domanda e l’offerta di favori, in modo tale che chi è detentore di un potere (di qualunque tipo esso sia) può scambiare questi privilegi con un altro potente, anche senza conoscersi direttamente. Esistono diverse logge e diversi gruppi di logge, ed anche tra esse avvengono reciproci scambi di favori tramite i “gran maestri”, potendo restare il fornitore e l’usufruitore dei vari favori sempre l’un l’altro sconosciuti. Dato che a causa di questo meccanismo tutti i posti di potere arrivano ad essere detenuti da “massoni” è quindi impossibile per chi non sia loro “amico” (anche inconsapevole, perché no?) aspirare ad una carriera che necessiti di consenso. Quindi le “marionette” non necessariamente sono (o sanno di essere, diciamo) massoni effettivi. Molto spesso i “maestri” considerano implicitamente (“all’orecchio”) l’appartenenza di alcuni personaggi importanti affini ai loro intenti . Lo scopo della massoneria palese diviene quindi la referenza per quelli meno conosciuti. Per questo motivo i calibri più grossi dello Stato non risultavano nei noti elenchi della P2. Ma questo non significa che il “gran maestro” Licio Gelli non intrattenesse rapporti anche con loro, anzi (in tal senso risulta esemplare e plausibile l’esperienza raccontata da Silvio Berlusconi di aver ricevuto la tessera della P2 senza nemmeno averla chiesta). Censura e repressione dirette (ovvero palesi) sono praticate dalla filosofia massonica “sudista”, quelle indirette (ovvero subdole) da quella “nordista”. Di conseguenza quella sudista si esprime in regimi non necessariamente democratici, mentre quella nordista sguazza nel sistema della democrazia liberale e dal sistema economico individualista, nel quale il lavorio di questo sotterraneo labirinto di interessi è favorito e a tal scopo sostenuto dalla massoneria nordista, la quale può così determinare le decisioni dei partiti politici e convogliare l’economia verso le proprie specifiche necessità, senza bisogno di far sapere a tutti di essere manovrati o senza costrizioni dittatoriali, lasciando all'opinione pubblica l'impressione di essere arbitro del proprio destino, quindi è comprensibile che i massoni nordisti vedano come il fumo negli occhi le teorie distributiste ed organiciste, le quali se applicate toglierebbero potenzialità a questi oscuri poteri per cederle ad una diversa elitè veramente espressa dal popolo e di conseguenza personalmente interessata a fare gli interessi della nazione nel suo complesso, qualunque sia il metodo usato per accedere al potere, per elezione o meno.

"L'uomo moderno non dà ascolto al reazionario non perché i suoi rimedi gli sembrino inadeguati, ma perché non li capisce" (Nicolás Gómez Dávila)

"L'angoscia di fronte al tramonto della civiltà è afflizione reazionaria. Il democratico non può rimpiangere la scomparsa di ciò che ignora" (Nicolás Gómez Dávila)

Quindi anche oggi sono gli adepti della massoneria di osservanza nordista a “remare contro” a qualunque tipo di condizione che muova lo sviluppo economico verso il senso distributista-organicista. Difatti all'origine della parola fine sulla possibilità di un futuro ad economia distributista la mise la vittoria della filosofia nordista nella guerra civile americana terminata nel 1865, la più avversa delle due al distributismo. Soprattutto nelle Logge del nord era presente in maniera influente una componente che si rivelò particolarmente interessata ad impedire uno sviluppo verso il senso personalista dell’economia mondiale. Oggi in Italia l'incarnazione della filosofia nordista può essere considerato Carlo De Benedetti (con il suo "mini-me" Eugenio Scalfari), mentre sul lato sudista potremmo identificarci Berlusconi-Feltri. Non a caso questi ultimi due si sono più volte detti favorevoli al reddito di cittadinanza, al contrario dei primi due che lo vedono come il fumo negli occhi. Questo, lo preciso, non significa dire che essi siano massoni effettivi. Anche voi siete o nordisti o sudisti, poiché esse sono le radici dualistiche non solo filosofiche ma perfino antropologiche del pensiero umano. C'è un modo molto semplice per capire quale dei due tipi siete: invariabilmente, quando arricchitisi, i nordisti-lavoristi fanno vanto del loro "arrivo"; i sudisti-produttivisti ne provano vergogna. Provate ad immaginare in tale condizione voi come vi porreste tra le due.

"Tutti noi siamo abituati a trovarci su una faccia della luna, talvolta sull'altra, senza sapere quale strada le colleghi" (John Maynard Keynes)

In questo modo è possibile comprendere la divisione tra i liberali essendo anche tra essi vigente la divisione tra "nordisti" e "sudisti", il cui apice fu raggiunto dalla nascita del marxismo ad opera dell'osservanza nordista: a rompere la linearità spontanea del percorso liberale fu il nordista Karl Marx, che, a ruota dopo Rousseau, in antitesi alle filosofie mistico-organiciste di Hegel, e forte dell'umanesimo materialista di Feuerbach, in linea con i principi esclusivamente francescani, nel 1848 nel suo tomo "Il capitale" tornò a riproporre l'abolizione della proprietà privata, per cui i marxisti divengono acerrimi avversari del reddito di cittadinanza poiché per via della filosofia del diritto contrattualista su cui si fonda, esso darebbe alla proprietà privata quella base giuridica che loro hanno sempre contestato (peraltro a ragione, duole ammettere) non aver mai avuto. Marx ha condannato, nella sua opera massima, “Il Capitale”, il sussidio da lui conosciuto come "sistema Speenhamland" o "poor law" (in vigore in Gran Bretagna ad inizio '800) per come incentivasse i datori di lavoro a comprimere i salari scaricando il peso economico sulla parte pubblica, affermando che l’assistenza ai poveri fosse una tattica dei datori di lavoro per tenere bassi i salari (considerazione ironica dato che proprio questo è uno dei PREGI del reddito di cittadinanza...); in seguito è emerso che i risultati furono falsati, comunque è superfluo analizzare ciò, dato che esso era solo un reddito minimo sul tipo dell'imposta negativa, e non un reddito di base, è perciò irrilevante il suo risultato; non si valutano le prestazioni di una Ferrari usando al suo posto una 500 come se fosse la stessa cosa. Marx è il responsabile di tutte le disgrazie del XX secolo, con le sue frasi fatte prive di alcun senso, nemmeno interpretabili (che sarebbe già qualcosa) ma proprio totalmente insulse. Il marxismo è stato niente meno che L'APICE della stupidità umana, un apice che chi non ne è consapevole non riuscirebbe nemmeno ad immaginare. Marx difatti non da indicazioni su come il suo comunismo debba funzionare, ma si perde solo in una vastità di slogan puerili, ingenue banalità, critiche gratuite, cervellotici arzigogoli e panegirici senza capo ne coda volti solo a confondere, che Manzoni avrebbe certamente definito “latinorum”.

"Con la collettivizzazione della proprietà, la cosiddetta volontà popolare scompare per lasciare spazio alla volontà reale dell’ente cooperativo" (Karl Marx)

Ora ditemi se qualcuno di voi riesce ad intravedere un qualche senso compiuto nella frase suddetta... ditemi come si può non interpretarla come una irrispettosa presa per il culo nei confronti della persona che ci si aspetta la legga... eppure milioni di persone queste cazzate senza senso le hanno prese sul serio, le hanno analizzate, le hanno lodate, le hanno criticate, vi rendete conto? Come nella fiaba del "Re nudo"! "Ma che bel vestito, ma che eleganza!"... La questione non è come si siano potute concepire queste tesi sconclusionate (il mondo è composto di varia umanità); ma come possano aver avuto un così devastante seguito... Marx, come in seguito fece Keynes, puntava sulla dialettica anche fosse vuota di contenuti o illogica (tanto che andò contro Hegel proprio per via della sua dialettica idealistica e del suo misticismo logico e razionale che Marx definiva "costruzione logico-speculativa") contando sulla stupidità altrui. Al proposito Hayek racconta un aneddoto su Keynes: un giorno lo incontrò e gli disse: "John ti rendi conto di cosa scrivi, delle ripercussioni gravissime che hanno le tue teorie sulle decisioni politiche?" e lui rispose: "non ti preoccupare, quando voglio posso convincerli tutti del contrario con uno schiocco di dita".

“Il demagogo è uno che predica dottrine che sa false a gente che sa cretina” (Henry Louis Mencken)

Tutt’al più, volendo essere buoni, si può dire che Marx abbia AUSPICATO il comunismo, non ideato. Ma ad “auspicare” sono buoni tutti... anche se bisogna ammettere che Kautsky da Hans Kelsen è considerato il vero teorico del marxismo, cioè l'interprete degli scritti di Marx ed Engels, poi ripresi dai giuristi del diritto sovietico Petr Stucka, Evgenij Pasukanis, Andrej Vysinskij, dalle cui interpretazioni di tale auspicio è risultato che la fase che nelle intenzioni di Marx avrebbe dovuto essere transitoria della "dittatura del proletariato" è invece durata 70 anni fino alla sua caduta con il ritorno al sistema precedente. Da cui la tipica ingenuità dei comunisti "critici" quando rispondono che l'Urss ecc erano capitalismo di stato giustificandolo però con la fase della "dittatura del proletariato" che avrebbe dovuto portare "al raggiungimento del comunismo"... il bello è che hanno ragione: leggendo Marx è possibile intuire cosa lui intendesse per "comunismo", e sulla base di ciò notare come la sua prospettiva non corrispondesse affatto all'Urss. In un solo paese venne effettivamente "raggiunto" il comunismo umanista, naturalista, primitivista auspicato da Marx (e precorso da Proudhon, Sismondi, Bray, Thompson, Hodgskin), ovvero dove la proprietà fosse effettivamente abolita intesa sia come privata che come collettiva: la Cambogia di Pol Pot. Ecco come ci si è giunti.
Il libro "la fattoria degli animali" rappresenta un insuperabile descrizione del marxismo teorico, mentre "Mea culpa" di Louis Ferdinand Céline un insuperabile descrizione del comunismo sovietico reale.

"Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri" (Da “La fattoria degli animali”, George Orwell)

Così la critica al sistema capitalista vigente si divise in due distinti filoni, dei quali quello marxista (massimalismo) darà vita al comunismo, e quello anti-marxista (riformismo) si divise tra quello di derivazione sudista al distributismo e da qui al fascismo, e quello di derivazione nordista al fabianesimo, e ciò ebbe le conseguenze suddette sul liberalismo dato che anch'esso si suddivise in due parti che seguirono uno o l'altro percorso di questo bivio a seconda dell'osservanza nordista o sudista. Ecco, a partire da allora per tutti gli odierni autori non fascisti riguardo il reddito di cittadinanza vi è un vuoto totale fino quasi ai giorni nostri... fino al 1962 con Milton Friedman, precisamente, e poi negli anni successivi con Paul Samuelson, John Kenneth Galbraith, Harold Watts, Jan Tinbergen, Sicco Mansholt, James Tobin e Robert Lampman, che hanno ripreso in modi errati il concetto erogativo per scopi particolari, per cui sarebbe più esatto dire fino al 1969, quando negli Usa si tentò di proporre il vero reddito di cittadinanza. Dal momento in cui il reddito di cittadinanza si identifica in quel socialismo anti-marxista precursore filosofico del fascismo, esso scompare totalmente dalla storia, viene dagli autori "accademici" relegato nell'oblio della memoria. Come ve lo spiegate voi il fatto che tra il 1922 ed il 1962 il reddito di cittadinanza sotto qualunque forma scompare dai testi ufficiali? Dov'era finito mai?
Il concetto attuale di reddito di cittadinanza viene definito poco più di un centinaio di anni fa come complemento alla fiscalità monetaria parte fiscale della teoria economica distributista e del credito sociale, la quale a sua volta deriva dalla politica economica della sussidiaria "dottrina sociale della chiesa cattolica" in seguito all'enciclica "Rerum Novarum" del 1891 di Leone XIII (successivamente sviluppata da Papa Pio XI nell’enciclica “Quadragesimo anno” del 1931, encicliche che si inserivano temporalmente nell’ambito della critica cattolica sia al marxismo che al capitalismo) che correggeva le tesi paoline del "chi non lavora non mangi", rielaborata sulla base delle teorie dei "socialisti utopisti" (primo tra tutti Mill) da economisti della scuola distributista tipo Clifford Hugh Douglas, Hilaire Belloc, e Silvio Gesell, chierici come padre Vincent McNabb, filosofi tipo Gilbert Keith Chesterton, o l'anarco-capitalista Dorothy Day, scuola che nasce nei settori cattolici delle società anglosassoni protestanti, fondata filosoficamente sul concetto cattolico di "salvezza attraverso lo spirito santo" (che ha un significato più complesso di quanto il nome in sé possa far pensare) e sussidiarietà (la sussidiarietà può essere definita come quel principio regolatore per cui se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l'ente superiore non deve intervenire, ma può eventualmente sostenerne l'azione) secondo lo spirito francescano pauperista (che disprezza l’avidità, non la ricchezza), del benedettino “hora et labora”, e del tomista contrattualismo, riformulati e modernizzati nel "personalismo" (che è il concetto antitetico ad "individualismo"), ragion per cui tali teorie economiche erano accusate di antisemitismo (ben prima della nascita del fascismo, parliamo dell'800 e inizio '900, con il maggior fermento tra il 1916 ed il 1920) poiché contrastanti con l'etica economica individualista ebraico-protestante-giansenista (essi sono gli acerrimi avversatori del reddito di cittadinanza, magari ai 5 stelle sarebbe utile almeno sapere chi è il loro avversario...). Ed è proprio in seguito a quell'enciclica che in Italia i cattolici tornano in politica con Romolo Murri, don Sturzo, e Giuseppe Toniolo, gruppo che rappresentò il vero portatore del personalismo in contrasto all'individualismo statalista dei socialisti ed a quello anarcoide dei liberali. E per cui mi sento di poter definire i cattolici rientrati in politica nonostante il "non expedit" ancora vigente come i veri "proto-fascisti", i primi a portare nella politica italiana le teorie della "dottrina sociale della chiesa cattolica" sulla quale si basa l'intera politica organica-distributista del fascismo razionale - "sfrondata dai paludamenti meccanicistici e livellatori retaggio delle moderne ideologie" - poi purtroppo stravolta dall'affidamento del sistema a massoni nordisti come Beneduce (i cui nomi che diede alle figlie sono piuttosto esemplari: Vittoria Proletaria, Italia Libera, Idea Nuova Socialista; quest'ultima che poi sposerà lo gnomo Enrico Cuccia). Per questo è realistico dire che era più fascista un Fanfani che un Federzoni. I pellegrini di S. Michele (i "berretti bianchi") sono un organizzazione cattolica in Canada che promuove le teorie economiche del credito sociale nel mondo. Fondata in Canada nel 1939 da Louis Even e Gilberte Côté-Mercier con lo scopo di "promuovere lo sviluppo di un mondo migliore, una società più cristiana, attraverso la diffusione e l'attuazione degli insegnamenti della Chiesa cattolica romana, in ogni settore della società, in particolare sul piano economico", può essere considerata la maggior organizzazione cattolica in questo ambito. Malgrado si tenda superficialmente ad accomunare anche il fabianismo al distributismo in quanto anch'esso ferocemente antimarxista, questa è l'unica cosa che li accomuna, mentre per il resto ciò non corriponde alla realtà, notando come il fabianismo si scagliasse contro il credito sociale e si rifacesse invece al lavorismo della "piena occupazione" e fervente sostenitore del salario minimo, incompatibili con il dividendo nazionale e l'abolizione della schiavitù salariata sostenute da Douglas tramite il credito sociale. Prima ho parlato di "democidio premeditato e organizzato", e non era una polemica così campata in aria: assai indicative sono in merito le parole del capo dei fabiani Sidney Webb, strenuo sostenitore dell'eugenetica malthusiana e lombrosiana, il quale sperava che, con l'esclusione dei più deboli, questi potessero scomparire come classe sociale. "Di tutti i modi esistenti per sistemare questi parassiti", osservava Webb, "quello maggiormente rovinoso è di lasciarli competere come percettori di salari" tramite appunto il mezzo del salario minimo. Non si può non notare in ciò esattamente l'opposto delle ragioni filosofiche del reddito di cittadinanza... nonchè verificare come un socialista stesso ammetta che la fissazione di salari minimi funge da metodo atto a nuocere alle classi inferiori (quelle che oggi chiamiamo sottoproletariato) tagliandole fuori dal lavoro salariato e quindi dall'intero reddito di sopravvivenza, dal suo punto di vista allo scopo di creare come risultato di tale selezione un proletariato elitario che avrebbe rappresentato l'avanguardia della società fabianista. Certo, se il modo di elevare il proletariato è di far abbassare ancor più quelli che stanno più sotto... vedete un pò voi. Non si può a questo punto non riandare alla classificazione già illustrata dell'origine sociale del fascismo e vedere proprio in questa quella che il fabianismo si promette di voler sopprimere, e quindi darne origine del movimento fascista proprio come autodifesa a tale tentativo ben percepito proprio in quel periodo che corrisponde al massimo fervore del fabianismo all'interno del movimento socialista internazionale (1919-1921). Nel tentativo di screditare il movimento del credito sociale, Webb, si dice che abbia dichiarato che non gli importava se la teoria di Douglas era tecnicamente corretta o meno - semplicemente non gli piaceva il suo fondamento politico... e questo è perfino ovvio, un reddito di base sarebbe andato ad impedire totalmente la possibilità di realizzazione del suo proposito di selezionare una pasciuta elitè proletaria tramite l'eliminazione "della feccia"!

“La povertà non è il brodo di coltura del socialismo, bensì il suo effetto deliberatamente costruito” (Margaret Thatcher)

Ora, alla luce della società odierna, non si può non notare come i propositi fabianisti siano stati effettivamente ampiamente applicati... anche se probabilmente non tanto quanto a Webb sarebbe piaciuto. E cosa sia capitato alla feccia che ha osato opporsi all'eugenetica socio-economica, lo sappiamo tutti, tutti sappiamo come vengano visti oggi i fascisti, cioè quella "feccia" che ha osato opporsi al tentativo di sopprimerla, gli odierni paria, che così non solo li si demonizza, ma si ha anche la giustificazione morale per farlo credendosi dalla parte giusta! Il fabianesimo sorge nel 1884 dall'altra ala del socialismo anti-marxista, quella facente capo al nordismo derivata dai vari Fourier e Charlier, fondato da Thomas Davison, Sidney Webb e sua moglie Beatrice Webb. Il fabianismo si distingueva nettamente dal distributismo, prevedendo praticamente in prospettiva solo un passaggio graduale a ciò che a tutti gli effetti era marxismo, mentre il distributismo è comunque un sistema capitalista che non prevede assolutamente l'abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione. Tuttavia, riguardo il "passaggio graduale", i marxisti stessi hanno sempre sollevato dubbi sulle effettive intenzioni dei fabiani (graduale quanto? Quali i gradi previsti?), col sospetto che in realtà si trattasse solamente di una scusa per tirare per le lunghe in eterno, come Penelope che di giorno tesseva e di notte disfaceva. Trotsky lo definì "un subdolo tentativo di salvare il capitalismo dalla furia della classe operaia". I fabiani hanno inoltre voluto l'estensione delle cure sanitarie e l'istruzione gratuita per tutti i cittadini, come pure una normativa dettagliata delle condizioni di lavoro in particolare la fissazione del minimo salariale. Ora, accostare queste aberrazioni al distributismo o al fascismo, è assai paradossale... Si pensi, ad esempio, che il fabianismo viene identificato oggi come uno dei principali ispiratori della socialdemocrazia internazionale, e che un'influenza diretta o indiretta dei fabiani viene ricondotta sull'origine di molti degli odierni movimenti di natura specificatamente umanistica; ad esempio sul socialismo liberale di Carlo Rosselli (fondatore, col fratello Nello, del gruppo antifascista Giustizia e Libertà), e tutte le sue derivazioni, come il Partito d'Azione, le antitesi stesse del pensiero distributista, fino allo spiccatamente umanista Movimento Comunità di Adriano Olivetti, che fu l'unico partito italiano che si rifece esplicitamente al fabianesimo, tra le sue ispirazioni principali assieme al federalismo, al liberalismo sociale (che non si può non notare come strida ossimoricamente con un ideologia fondamentalmente tendente al marxismo) e alla socialdemocrazia. Wikipedia scrive: "Si può dire che tutti i partiti socialdemocratici e riformisti che si rifanno oggi alla terza via abbiano tratto ispirazione dalla Fabian Society". Ovviamente come "terza via" intendono come al solito la via di mezzo che terza non è. Per cui, se i marxisti hanno avuto il sospetto che il fabianismo fosse solo un "tirare per le lunghe in eterno", i distributisti concordano su ciò ma identificando il fabianismo non come una mera strategia filo-marxista, ma come un sistema a sè stante non "atto a" ma proprio "consistente nel" mantenimento del sistema in un limbo di "provvisorietà" finalizzato ad una selezione economica ossia un darwinismo sociale, ed è proprio sotto questa luce che la strategia fabiana assume un senso. Ed anche oggi, badate bene, è questa l'ideologia di fondo che governa il mondo! Tra i più eminenti membri della "Fabian Society" vi sono stati gli scrittori George Bernard Shaw, Leonard Woolf e sua moglie Virginia Woolf; l'anarchica Charlotte Wilson, la femminista Emmeline Pankhurst, il sessuologo Havelock Ellis, lo scrittore Herbert George Wells, il militante Edward Carpenter, la scrittrice Annie Besant, il fisico Oliver Joseph Lodge, il politico Ramsay MacDonald, e poi Edward Pease, Harold Laski, Richard Henry Tawney, e Graham Wallas. Per un periodo anche Bertrand Russell e John Maynard Keynes (guarda caso...) frequentarono i fabiani. Dal lato puramente religioso, dalla furente avversione protestante verso le teorie distributiste sono esenti i quaccheri ed i mennoniti, in quanto si distinguono dal filone protestante per non credere nella predestinazione, per cui lasciando aperte le porte al libero arbitrio, da essi esulano tutte le barriere tese ad impedire cambiamenti nello stato personale di ciascuno. Viceversa il giansenismo dal lato cattolico prevedeva la predestinazione. Altri autori seguaci dell'ideologia che poneva un'alternativa socialista-libertaria dell'economia e della politica interna che possiamo ricondurre al distributismo sono quelli del "socialismo gildista": Arthur Joseph Penty, John Stuart Mill, Bertrand Russel (dopo la deludente esperienza fabianista), Alfred Orage, George Douglas Howard Cole (che fu il primo a utilizzare il termine "reddito di base", nella sua presentazione del libro di John Stuart Mill "Storia del pensiero socialista"), Oswald Mosley (anche lui passato per una deludente esperienza fabianista e che in seguito fonderà il BNP, il partito fascista britannico), e Dennis Milner e sua moglie Mabel, che nel loro pamphlet "Schema per un bonus di Stato" pubblicato nel 1918 proponevano un metodo razionale per risolvere il problema sociale tramite quello che oggi chiamiamo reddito di cittadinanza. In seguito a questa pubblicazione, venne costituita una "Lega per il bonus di Stato" nel luglio dello stesso anno, che propose l'idea dall'interno del partito laburista, che dedicò diverse udienze al Congresso nazionale tra 1920 e 1922, ma l'idea fu rifiutata con sufficienza per la ferma opposizione della fazione fabianista. Sempre attorno al 1920 in Australia, Gran Bretagna, Canada e Nuova Zelanda, i movimenti per il Credito Sociale guadagnarono notevole popolarità raggiungendo fino al 20% dei voti nelle elezioni in Nuova Zelanda e il 54% nella provincia canadese di Alberta (dove fu al governo dal 1935 al 1971), mentre in Francia fu sostenuto dall'Action Française di Charles Maurras, dal Partito Popolare Francese di Jacques Doriot, dalla rivista Le Nouveau Siècle di Georges Valois (che nel 1936 darà vita al "Progetto della Nuova Era" di spirito comunalista e cooperativo non marxista), dalla rivista L’Ordre nouveau, da Alexandre Marc, Gustave Rodrigues. In generale, senza mettersi ad elencarli, fu sostenuto nei vari paesi dai partiti rifacentisi al fascismo. Inoltre, secondo il pensiero del "socialismo gildista" gli operai che lavoravano nelle fabbriche, riuniti in corporazioni, non dovevano solo occuparsi delle contrattazioni delle loro condizioni di lavoro, ma avrebbero dovuto avere il potere di prendere decisioni fondamentali sul funzionamento della fabbrica stessa, divenendone così gli imprenditori e i lavoratori allo stesso tempo (interpretabile come prodromo alla "socializzazione delle imprese"). Quindi se l’estrema sinistra è ultrastatalista e antiliberista, e l’estrema destra è antistatalista e ultraliberista, a rigor di logica il distributismo non potrebbe stare altro che al centro, assieme alla socialdemocrazia. Il sociologo Seymour Martin Lipset, studiando l'impostazione funzionalista, interessandosi soprattutto dei problemi della stratificazione e della mobilità sociale e della partecipazione politica, concorda con questa collocazione: egli stesso definì il fascismo come "estremismo di centro" in questo suo impegno mirato come obiettivo di fondo ad individuare i requisiti della democrazia. Privilegerà uno studio comparato traendo ispirazione da autori europei come Karl Marx, Joseph Schumpeter, Alexis de Tocqueville, Max Weber. Dopotutto tra gli stessi fascisti molti rifiutano di dirsi "di destra", tanto che nemmeno si capisce da dove sia saltata fuori in origine la collocazione a destra... se non come derivazione dal miniarchismo originario che, detto per inciso, è ultra-libertario ed ultra-liberista e quindi l'esatto opposto di quel che si tende ad interpretare della concezione fascista della destra. Un chiarimento ci viene dall’interpretazione di Augusto Del Noce, secondo cui “il fascismo sarebbe la posizione rivoluzionaria, di origine marxista, quale doveva diventare dopo aver accettato i risultati di quella critica del marxismo teorico che fu svolta in Italia negli ultimi anni del secolo scorso e di cui l’attualismo può essere considerato la conclusione filosofica”. L'attualismo (del quale il principale filosofo fu Giovanni Gentile) è il principio secondo il quale i processi naturali che hanno operato nei tempi passati sono gli stessi che possono essere osservati nel presente; ovvero “ieri, come oggi, le stesse cause comportano gli stessi effetti”. Ne deriva un esaltazione dell’“atto” come origine. In generale gli studiosi vertono su una definizione che chiamano "bivalente" (e F. K. Kenneth Organski chiama "politica sincratica") espressasi in un fascismo rivoluzionario che viene usato dai reazionari come mezzo. Secondo A. Graziadei in "Democrazia borghese e democrazia socialista" il totalitarismo fascista sarebbe stato "voluto dai grossi proprietari terrieri e dai grandi industriali, spaventati dal movimento delle masse nel penultimo dopoguerra" e sarebbe "allo stato potenziale, un fenomeno inseparabile dalla democrazia borghese" che, in determinate condizioni, passa "necessariamente dallo stato potenziale a quello effettivo"; il totalitarismo non andrebbe peraltro considerato "un fatto nuovo ed eccezionale" e "in una od in altra forma, esso era già apparso in momenti assai anteriori, ed in nazioni diverse dall'Italia"... interessante è notare come egli usi il termine "totalitarismo fascista" proprio ad indicare che non considera il totalitarismo parte integrante del fascismo ma ne faccia quasi un distinguo, a differenza di altri che utilizzano il termine "fascismo" in luogo di "dittatura" riferendosi a qualunque regime illiberale anche antecedente comparso nel corso della storia. Secondo L. Basso in "Due totalitarismi. Fascismo e democrazia cristiana" lo squadrismo non fu il fattore preminente nella conquista dello stato, anzi se il fenomeno fosse stato abbandonato a sè stesso, sarebbe stato riassorbito e rapidamente liquidato: "il successo del fascismo fu dovuto al fatto che nel 1920-21 il capitale finanziario decise la liquidazione del vecchio stato e utilizzò a questo scopo il fascismo che sino ad allora aveva aiutato come strumento contro l'avversario di classe, ma senza che questa utilizzazione escludesse allora l'impiego di altri mezzi tradizionali sia di lotta che di compromesso, e soprattutto senza che questo implicasse ancora un piano diretto alla trasformazione delle strutture statali". Secondo Basso ciò avvenne solo con il '20-21, quando il capitalismo italiano venne a trovarsi in condizioni economiche difficili, e da qui ne trae due importanti conseguenze: "il passaggio dallo stato liberale allo stato totalitario non fu quindi l'effetto di una conquista dello stato fatta con la violenza dall'esterno, dallo squadrismo, bensì il risultato delle modificazioni della struttura sociale italiana per effetto al predominio del capitale monopolistico che, aggiungendo ai tradizionali squilibri della nostra economia quelli ancora più gravi derivanti dalla sua incapacità a superare le conseguenze della crisi post-bellica per altra via che non fosse il totale asservimento dell'apparato statale, determinò la decisione della classe dominante di sbarazzarsi delle vecchie strutture per sostituirle con altre più rispondenti alle nuove esigenze", da cui ne ricava che "il nuovo stato totalitario fascista si differenziava dal vecchio stato reazionario poliziesco di Crispi, Rudinì, e Pelloux proprio in quanto questo era stato espressione del vecchio capitalismo pre-monopolistico, mentre quello fu espressione del nuovo capitalismo monopolistico". Ed in questo contesto inseriscono l'aspirazione dei "ceti medi" di partecipare e contribuire non ad una mera restaurazione di un ordine sociale di cui sentivano tutti i limiti e l'inadeguatezza storica, bensì ad una rivoluzione dalla quale sarebbe gradualmente nato un nuovo ordine sociale migliore e più giusto di quello preesistente. In caso contrario, sempre secondo Basso, si perde la possibilità di cogliere la novità e la differenza (non solo tecnologiche e di intensità) del fascismo rispetto ai vari movimenti e regimi conservatori e autoritari che lo precedettero, lo accompagnarono e lo hanno seguito e, ancora, ci si lascia sfuggire la possibilità di comprendere la vera origine, i caratteri e i limiti del consenso che per anni il fascismo seppe realizzare, e che sarebbe troppo semplicistico ed errato spiegare solo con il regime di polizia, il terrore, il monopolio della propaganda di massa. Secondo G. Colamarino, la marcia su Roma riuscì perchè "i ceti medi accettarono o desiderarono l'esperimento fascista, come l'ultima e l'unica soluzione sociale rimasta dopo la rovina del socialismo e del giolittismo". Sua è la più lucida definizione:

Ciò che spianò al fascismo la via del potere non furono le compiacenze borghesi, gli appoggi dei conservatori, dei nazionalisti e dei militari. Non si vuole negare che buona parte dell'Italia feudale e reazionaria... abbia fatto di tutto per abbinare la propria causa a quella del fascismo... Ma è da negare risolutamente che tali concorsi borghesi e reazionari abbiano costituito il fattore decisivo dell'avvento fascista... Senza contare il pregiudizio... che arrecava al fascismo la fiducia o la solidarietà di simili elementi, è da mettere in luce il fatto che l'adesione della vecchia classe politica e dei ceti plutocratici alla rivoluzione in marcia, era data con tutte le cautele, le riserve, e la slealtà di chi vuol condurre una manovra per proprio esclusivo tornaconto. L'intento reazionario era di imbrigliare, captare la forza del moto fascista, distoglierlo dalla meta, snaturarlo idealmente, avviarlo al compromesso e, in definitiva, di farlo fallire come rivoluzione. Le camicie di vario colore che si mescolarono improvvisamente alle camicie nere, negli ultimi tempi, svelavano appunto i limiti della fiducia borghese nel fascismo, i propositi di sorveglianza e di avvolgimento che erano nelle vecchie classi politiche, timorose di essere sbalzate di sella dal movimento che s'eran messe a vezzeggiare con la speranza di addomesticarlo.
E si evince, una volta al potere, come scritto da De Felice, nella subordinazione del partito allo Stato e la sostanziale depoliticizzazione del partito stesso, e non il contrario come si tende a credere, e per questo, secondo Gabriele De Rosa, "Mussolini rimase in pratica prigioniero di uno Stato che era sostanzialmente il vecchio stato conservatore, e che - non solo non era in grado di incidere sulle strutture sociali, ma si uniformava alla dinamica sociale tradizionale che continuava (sia pure con qualche frizione) a evolversi nella stessa direzione di prima". Da cui la definizione di Jules Monnerot: "contrariamente al comunismo, il fascismo non distrugge né i quadri sociali preesistenti né le istituzioni di base, sulle quali essi si appoggiano... ma li subordina". Questa semplificazione tuttavia non distingue tra propositi e contingenza, per cui vale la definizione iniziale di un Mussolini prigioniero (della monarchia, che sola effettivamente deteneva il vero potere). Secondo Luigi Salvatorelli, "il fascismo rappresenta la lotta di classe della piccola borghesia, incastrantesi fra capitalismo e proletariato, come il terzo fra i due litiganti", identificandovi anch'egli "due facce", "due anime", che "pur restando univoco, ma appunto perchè si contrappone contemporaneamente a due forze sociali fra loro opposte - anche se complementari - esso acquista connotati differenti a seconda che lo si guardi nella sua impostazione anti-capitalistica o in quella anti-proletaria". Secondo Mario Missiroli il fascismo era stato solamente usato - consule Giolitti come dice lui - dalle classi reazionarie per ridurre al silenzio i socialisti, ed in ciò nega che il fascismo sia stato solamente una contingente reazione borghese al biennio rosso. Ovvero la borghesia l'usò per contingenza, ma non il fascismo stesso è stato "contingenza".

"Io sono fermamente persuaso che il movimento fascista contenga in sè i motivi necessari e sufficienti per una vita autonoma e che esso sarebbe sorto e si sarebbe diffuso in tutti i modi, a prescindere dall'esistenza del liberalismo e del socialismo" (Mario Missiroli)

Anche secondo August Thalheimer, "col fascismo la borghesia, ridotta allo stremo, si era vista costretta, per salvare la propria esistenza sociale, a sacrificare il proprio potere politico e si era assoggettata alla forza del potere esecutivo resosi indipendente". "La classe capitalistica si è servita di questo movimento plebeo e ribellistico; ma in origine non pensava affatto di cedergli il potere", rincara Otto Bauer. A conferma, per G. Donati il fascismo non aveva fatto altro che "spazzar via dei simulacri politici senza contenuto né di idee né di volontà", identificando come molti altri nell'ascesa al potere né più né meno che l'assenza di alternative da parte della monarchia, avente sempre secondo lui "con gli antecedenti politici e parlamentari prefascisti uno strettissimo e fatale rapporto di causa e effetto". Per questo motivo è realistico dire che l'origine della marcia su Roma affonda le radici nella riforma elettorale del 1913.

"Il parlamento si condannò e si giustiziò da sé in forza delle prove mostruose e incessanti che diede per quattro anni della sua organica incapacità a conservare legalmente il governo dello stato. Anzi il parlamentarismo dimostrò di essere, più che una forza di disciplina e di vita, uno strumento vero e proprio di disordine e di paralisi... La responsabilità morale del fallimento parlamentare italiano è di tutti i partiti, perché in tutti i partiti i capi e l'elitè dirigente si son dimostrati inferiori o impotenti rispetto alla situazione" (G. Donati)

Alberto Cappa identificando nel fascismo la spontanea e logica evoluzione dello spirito risorgimentale e riferendosi ai relativi ceti medi del periodo immediatamente post-bellico (da lui identificati non all'origine del fascismo in sè, ma certamente all'origine del suo successo) "Il loro mito è però sempre il mito garibaldino e la loro natura fondamentalmente sovversiva e antistatale" ed identifica nel loro "tormento" e nello "spodestamento subito rispetto al loro influsso sulla vita nazionale" la loro aderenza alla tendenza mini-archica del fascismo, "offrendo loro dei valori ed un modello sociale nuovo rispetto a quello esistente di cui sentivano tutti i limiti e l'inadeguatezza storica" esauritasi però "nell'obiettivo anti-socialista" e "nell'incapacità di risolvere il problema del loro inquadramento nello Stato e della loro valorizzazione, e rinsalderanno la monarchia, nella cui politica hanno invece la loro vera antagonista". Sempre in quest'ottica Achille Grandi parlando dei futuri compiti del fascismo, si riferiva a questo come a una "nuova democrazia nazionale" alla quale sarebbe spettato il compito, "buttando a mare le vecchie concezioni liberiste e collettiviste", di "far aderire le masse allo stato nazionale" e di realizzare il "sindacato nazionale dei produttori". In sostanza queste definizioni, sicuramente tra le più lucide, smentiscono i fior di filosofi che per decenni si sono arrabattati per dare una loro “interpretazione del fascismo” arrivando a decretarlo “fenomeno”, “parentesi”, “malattia morale”, “male assoluto”, "sciagura", "avventura", "atto di brigantaggio", “fase terminale” di qualcosa, o un "che so io?" come lo definisce Donati in polemica con le altre definizioni, al quale si unisce nel 1928 perfino Togliatti definendone gli autori come "rachitici ideologici della democrazia pura e del pacifismo cretino" pur senza distaccarsi dal resto delle ottuse interpretazioni marxiste del fascismo come "regime reazionario di destra borghese e capitalista", ma ammettendo che "la grossa borghesia e gli agrari riuscirono a trascinare il fascismo nel suo insieme alla conquista di un obbiettivo decisamente reazionario [...] pur tra esitazioni e compromessi, fu la tendenza antiproletaria che ebbe nettamente il sopravvento [...] il fascismo fu obbligato, dopo la conquista del potere, a diventare reazionario"; di parere simile è Pietro Nenni, che nel 1931 scrive:

"Se il fascismo fosse stato soltanto un movimento di reazione politica e sociale, esso sarebbe da un pezzo liquidato; mai avrebbe trovato nei ceti medi i concorsi necessari per mantenersi in sella, se non si fosse presentato come un movimento nazionalista deciso a vendicare i torti veri ed immaginari sofferti dal paese durante e dopo la guerra" (Pietro Nenni, 1931)

"Neppure i fascisti hanno saputo contrapporre a queste interpretazioni una loro interpretazione" (Renzo De Felice, “Le interpretazioni del fascismo”)

Ed ancor più smentiscono chi ne da una superficiale interpretazione di regime reazionario di destra borghese e capitalista. George Mosse definisce il fascismo "un atteggiamento mentale, un atteggiamento verso la vita". Sicuramente tutte queste analisi riportate hanno un elemento di verità nel descrivere ciò che è stato il fascismo, ma il loro difetto, come spiegato magistralmente da Adriano Romualdi negli scritti pubblicati postumi dal titolo "Il fascismo come fenomeno europeo" (edito oggi da Settimo Sigillo), è nel porre in evidenza in modo unilaterale solo un aspetto particolare del fascismo o dei fascismi, a discapito di tutti gli altri, od ancor peggio a ridurre il fascismo ai suoi aspetti più grotteschi e di cattivo gusto, perfino creandoli di sana pianta, come quelli che identificano il film "Salò" di Pasolini alla stregua di un documentario anziché un film creato dalle fantasie di quel regista... che poi sono sempre gli stessi per i quali qualunque cosa fanno loro è bene, qualunque cosa faccia chi ha l'etichetta di fascista è male, i sostenitori delle più grandi ed incredibili palesi bufale della storia del mondo, che sono poi quelli che oggi si scagliano contro le bufale ed invocano la censura... accusando gli altri di voler bruciare i libri e, dopo aver infarcito di bugie la storia ufficiale ed occultato le cose vere, sparano la frase "la miglior cura contro il fascismo sono i libri"... e bella forza! Se i libri a cui fanno riferimento sono quelli dove si trova scritto che Mussolini stava scappando in Svizzera (ma in 70 anni nessuno si è preso la briga di aprire una cartina geografica per vedere dove si trova Dongo????) e mancano del tutto cose tipo la vera causa della carestia del Bengala del 1942... ergo, "la miglior cura contro il fascismo sono le bugie" dovrebbe essere il loro slogan. Del Noce ha ragione nel dire che il fascismo trovò terreno fertile in un clima culturale in cui, da un lato, il socialismo, soprattutto in quanto sindacalismo rivoluzionario, revisionava criticamente in modo radicale il proprio determinismo materialista di tipo marxista, e, dall'altro, l'attualismo si ergeva come fiera reazione culturale al positivismo di quegli anni, ma né l'uno né l'altro bastano ancora a spiegare né il "sentire" fascista antropologicamente inteso né la visione politica del fascismo che invece cercano di inquadrare in un programma preciso (cosa che già è stata smentita) come un qualunque partito, smentendo quelli che hanno preteso spiegare il fascismo come una ventata di follia collettiva o perfino demoniaca, riducendo il successo fascista del '22 alle mene degli industriali ed agrari, interpretazioni che hanno, secondo De Felice, "dimostrato la loro parzialità, la loro insufficienza, e in definitiva, la loro ingannevolezza", aggiungendo che "queste stesse applicazioni sistematiche hanno prima o poi portato a rilevare contraddizioni addirittura paradossali che hanno permesso recentemente gustosi capovolgimenti di prospettiva che non hanno potuto non far meditare seriamente sulla validità di certe troppo rigide schematizzazioni", citando ad esempio che già nel 1925 negli ambienti liberali crociani l'interpretazione fosse quella di mera reazione di destra quando allo stesso tempo la tesi della sinistra era, secondo Togliatti, che "le classi industriali erano assai diffidenti verso il nuovo regime, rifiutando di farsi occupare da esso" e del quale "nel periodo 1920-21 avevano assicurato la fortuna solo per evitare il crollo dello stato" e che addirittura "tendessero a sinistra per contrastare il riconquistato dominio di sè della borghesia". Forzature e contraddizioni così stridenti che, secondo De Felice, "si possono capire e spiegare solo in una prospettiva molto più larga ed articolata, che non perda mai di vista il concreto momento storico e non sovrapponga tempi e problemi, per amore di una schematizzazione che poteva avere un senso nel momento della lotta antifascista, ma che non ne ha più alcuno oggi". Secondo De Felice, sul piano psicologico-politico, questa crisi dei ceti medi si manifestava in uno stato di frustrazione sociale che si traduceva, assai spesso in una profonda irrequietezza, in un confuso desiderio di rivincita e in una sorda contestazione (che spesso assumeva toni eversivi e rivoluzionari) della società della quale essi si sentivano le maggiori se non le uniche vittime e che, spesso, avevano invece creduto che la guerra avrebbe dovuto finalmente aprire alla loro egemonia democratica e morale; in un primo momento questo stato di frustrazione avrebbe potuto essere sfruttato ed indirizzato dal movimento socialista per stabilire un'effettiva alleanza con una parte almeno dei ceti medi; gli errori dei partiti operai e la paura del bolscevismo fecero però imboccare a gran parte dei ceti medi la strada del fascismo, da essi inteso come un movimento rivoluzionario proprio, volto ad affermarli socialmente e politicamente sia contro il proletariato sia contro la grande borghesia. In questo senso, per alcuni autori, il fascismo sarebbe stato il tentativo di dare politicamente vita ad una terza forza che si opponesse sia alla democrazia parlamentare dei paesi capitalistici sia al comunismo e che aveva il suo motore principale nei ceti medi in funzione di una loro affermazione in quanto autonoma realtà sociale. Le interpretazioni sullo stile di De Felice compiono l'errore di generalizzare come "ceti medi" o "borghesia" la tipologia sociologica produttivista; le conclusioni di De Felice di un gruppo sociale di persone come nucleo del fascismo assume senso solo se alla "classe sociale media" si sostituisce la tipologia socio-antropologica produttivista, che non è certo limitabile ad una classe ma si estende in tutte le cosiddette classi, e se proprio vogliamo identificarne una dove sia maggioritaria questa è quella sotto-proletaria, non certo quella "media-borghese" che invece contiene chiaramente in egual misura se non in maggioranza anche lavoristi ossia anti-produttivisti. Perchè questa identificazione coi ceti medi in generis? Per il semplice motivo che i ceti medi sono... medi, appunto. Quale più semplicistica schematizzazione quindi? Benedetto Croce stesso, in "Scritti e discorsi politici (1943-1947)" ammise che "innanzi al fatto del fascismo, è ingenuo credere di averne trovato la radice nei superficiali e meccanici concetti delle classi economiche e delle loro antinomie, ma bisogna scendere molto più in fondo; nei cervelli degli uomini; e colà scoprire il male"... certo, se vedere la realtà per com'è e non per come si vorrebbe fosse... se ---------------- è questo il male, a voi il giudizio. La risposta alla domanda che a volte si sente "come è possibile che nonostante tutto ciò che sappiamo del fascismo, ancora oggi nascano delle persone che si dicano tali?", innanzitutto è che quello a cui si riferisce con "sappiamo" sono solitamente falsità (la guerra voluta dal fascismo, la dittatura, legami ideologici con il nazismo, ecc, falsità perfino puerili), e la risposta è: perché persone socio-antropologicamente produttiviste ne nasceranno sempre essendo una tipologia umana, così come nasceranno sempre persone belle e persone brutte, persone attive e persone pigre, persone simpatiche e persone antipatiche, lo stesso per persone produttiviste e persone lavoriste. E finché i produttivisti si troveranno in un mondo dove a comandare sono i lavoristi, non potranno non trovarvicisi male e quindi non contrapporsi ad un mondo, quello lavorista, dove la logica stessa è capovolta in ogni ambito.

"La classe di quelli che possiamo definire genericamente i vincitori sta conducendo una tenace lotta di classe contro la classe dei perdenti" (Filippo Giannini)

Per questi motivi Salvatorelli rifiuta la definizione di "rivoluzione" per definirla invece "rivolta", in pratica smentendone le interpretazioni classiste e sottolineandone invece quella psicologica, definendo i suoi protagonisti, i fascisti, "non un vero ceto sociale, con funzioni e forze proprie, ma un agglomerato che vive in margine del processo produttivo essenziale alla civiltà capitalistica", definizione quantomai azzeccata che conferma il Salvatorelli come colui che più a fondo ha compreso il fascismo da esterno. Una rivolta (o rivoluzione "etica" come la chiama Zeev Sternhell, anziché "sociale") della tipologia mentalmente produttivista contro il mondo lavorista. Generalizzando, l'origine del fascismo va inquadrata più esattamente, come accennato all'inizio, nell'assorbimento delle teorie distributiste a compensazione dell'iper-liberismo miniarchista da parte delle filosofie libertarie repubblicane radicali di tradizione mazziniana avverse sia al marxismo che al capitalismo social-democratico, già riprese dal "socialismo nazionale", l'ideologia che riprendeva elementi del pensiero del nazionalismo sociale di Enrico Corradini, del sindacalismo rivoluzionario del francese Georges Sorel e del socialismo patriottico di Carlo Pisacane. Per cui, se proprio vogliamo, la loro coniugazione identificabile nel Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti può essere considerato l'anticipatore ideologico diretto del fascismo. Oggi, dopo che gli anti-fascisti hanno tentato invano di appropriarsene, mentre la sinistra ovunque si decompone nell'incapacità di abbandonare i suoi pregiudizi, leggere Mazzini fa pensare amaramente a ciò che essa poteva essere ma non fu.

"Capitale e lavoro nelle stesse mani" (Giuseppe Mazzini)

Altrochè l'esperienza fiumana che a ben vedere non aveva altro che la finalità di istituire una democrazia partecipativa con forti accenti socialisti e libertari nella sfera civile che può rientrare nel pantheon della sinistra al pari di Guevara o i montoneros o Chavez o Peròn, Nasser, Nehru, i sandinisti, Velasco Alvarado e tutto il fronte dei "paesi non allineati", che in pratica corrisponde all'attuale "rossobrunismo" (del quale la "Carta del Carnaro" può essere a pieno titolo considerata il manifesto), la fascia trasversale che va dal nazionalismo sciovinista al comunismo più collettivista senza coerenza ideologica alcuna. Partendo da questo semplice presupposto, non si può considerare la Reggenza Del Carnaro come una versione "soft", "libertaria" o "politicamente corretta" del fascismo mussoliniano. Che poi molti legionari fiumani siano passati al fascismo è un altro discorso: erano fascisti a Fiume, non il fascismo nasce a Fiume! Tutto l'immaginario dannunziano e fiumano anticipa sotto il profilo estetico e movimentista quello che sarà lo spirito del fascismo, come i "Centoneri" russi che erano solamente banali zaristi poujadisti e dai quali il fascismo prese solo l'estetica, ma non ne anticipano certamente i caratteri ideologici e filosofici! Non è che se uno indossa una camicia nera diventa per forza distributista eh! Non stupisce perciò che nelle dittature di destra i partiti fascisti fossero perseguitati (perfino in Giappone e Spagna, checché se ne voglia dire); in Spagna la falange di Josè Primo De Rivera fu perseguitata da Franco fino ad essere completamente eliminata nel 1938 con l'arresto di Manuel Hedilla, in Portogallo i fascisti di Josè Rolao Preto idem, e stessa sorte subirono in Romania (dove la fascista Guardia di Ferro di Codreanu fu sterminata dal filo-nazista Antonescu nel 1940), Ungheria (dove le fasciste Croci frecciate furono scompaginate dal filo-nazista Horthy), e un pò in tutti i paesi europei e sudamericani con dittature di destra. In Giappone gli unici due partiti fascisti, il Kokumin Domei ed il Tohokai, assolutamente minoritari nella politica di quel paese, furono perseguitati e disciolti, ed il fondatore Seigo Nakano fece karakiri nel 1943 appena dopo essere uscito di prigione. In sudamerica l'andazzo fu generalmente lo stesso, alla faccia di chi definisce fascismo i regimi di Batista, Peron, Videla, Pinochet, e tutti gli altri dittatori delle repubbliche delle banane che i partiti fascisti li repressero ed ai paesi dell'Asse ci fecero la guerra!

"Io non ho paura delle parole. Se domani fosse necessario, mi proclamerei il principe dei reazionari. Per me tutte queste terminologie di destra, di sinistra, di conservatori, di aristocrazia o di democrazia, sono vacue terminologie scolastiche. Servono per distinguerci qualche volta o per confonderci, spesso" (Benito Mussolini)

Questo paradigma era poi rinfocolato dall'ottusa definizione ufficiale del fascismo da parte dell'Internazionale comunista, che faceva un equivalenza tra fascismo e social-democrazia che chiamavano "social-fascismo", definizione contro la quale Togliatti stesso si scagliò. Anche da questo paradigma è nato l’equivoco un tempo abbastanza diffuso che il Psdi fosse composto da “camerati che sbagliano”, e l’ammirazione per personaggi rispetto al fascismo antitetici, come Enrico Mattei o Olof Palme o Uhro Kekkonen. Con questo non si vuole dire che il distributismo debba autocollocarsi al centro, ma rendere l’idea di quanto fuori dalla realtà sia la classificazione ad arco della politica. Difatti, sempre a rigor di logica, l’anarchia dovrebbe essere l’estremità “non plus ultra” del liberismo ovvero della destra. Perciò è più realistica una classificazione ottenuta utilizzando un cerchio, nel quale ai diametri opposti stanno comunismo e liberismo, e a metà da una parte socialdemocrazia e dall’altra distributismo. Nel contesto del supporto sociale ai poteri d'acquisto personali, in questo cerchio, lo spicchio a sinistra propende per i salari minimi, quello in alto per i sussidi dedicati, quello a destra per l'imposta negativa sul reddito, e quello in basso per il reddito di cittadinanza. In questo modo è possibile comprendere il movimento 5 stelle: esso si inserisce esattamente come un cerchio all'interno di questo cerchio, andando a comprendere in esso le parti centrali di tutti i quattro spicchi. Come la vecchia Dc, ma in versione più allargata. Il distributismo non è un compromesso, una via di mezzo tra destra e sinistra come lo è la socialdemocrazia, ma è qualcosa di completamente decisamente alternativo: una terza via (mentre la social-democrazia è una via di mezzo tra le altre due, non una "terza via"). Per fare un paragone esatto useremo un riferimento esatto (doppio e metà): la sinistra vuole raddoppiare i salari, la destra vuole dimezzare i prezzi. In sostanza che differenza passa tra le due cose? Nessuna! Il distributismo esula completamente da questi due propositi equivalenti o da “vie di mezzo”. Come la scienza economica dice con il concetto di “neutralità della moneta”, li lascia affidati alla “mano invisibile”. L’antiteticità tra distributismo e socialdemocrazia è confermata dal fatto che il partito più avverso al sistema economico distributista che sia mai esistito, il "torinese" Partito d’Azione (se escludiamo il partito umanista, pur esistente ma storicamente irrilevante), fosse indulgente verso la socialdemocrazia (lo si può posizionare a ricoprire lo spicchio in alto del cerchio politico), chiaramente non per altri motivi se non per contrastare il distributismo favorendo quello che ne era identificato come il compromesso liberista. Così potete spiegarvi la disposizione delle correnti del Pci già accennate: i "miglioristi" nella parte alta della sinistra, i cossuttiani nella parte centrale estrema sinistra, i berlingueriani nella parte centrale spostati un pò più verso il centro, e gli ingraiani (oggi rappresentati da Bertinotti e Vendola) nella parte in basso della sinistra, a sinistra dei socialisti riformisti, e perciò tra i comunisti i più prossimi all'area della destra sociale. Il centro del cerchio è rappresentato dalla Dc divisa nei 4 spicchi esatti, nei quali quello alto è rappresentato da Emilio Colombo e Paolo Emilio Taviani, quello a destra da Mario Scelba e Francesco Cossiga, quello a sinistra da Aldo Moro e Benigno Zaccagnini, e quello in basso da Giuseppe Dossetti e Amintore Fanfani. E così abbiamo risolto l'enigma della collocazione di Fanfani visto che nessuno se l'è mai saputa spiegare, nonostante ciò che per me è evidente. Lo spicchio basso del cerchio insomma rappresenta l'area economicamente distributista, ed il fascismo storico del ventennio va messo a cavallo tra questo spicchio e quello di destra, liberista-liberale. L’approccio “cooperativo” del distributismo presuppone ed auspica che le attrezzature ed i beni immobili produttivi divengano “comproprietà” di comunità locali più grandi di un singolo o di una famiglia (per esempio soci in un impresa oppure imprese in un consorzio), pur permanendo in una forma di indipendenza aziendale svincolata da influenze politiche. Inoltre, sempre secondo la teoria distributista il valore delle merci è certamente influenzato dalla quantità di moneta circolante (come merce simbolica essa stessa), ma prima di tutto condizionato dalla produzione ed allocazione. Ovvero, diversamente dai marxisti, c’è la consapevolezza che in un sistema di spontaneità produttiva (“laissez faire”) sono anche le differenze reddituali a determinare i prezzi e quindi ad adeguare ogni reciproco valore alla progressiva possibilità di accedervi in maniera graduale, variando di pari passo le propensioni al consumo ed al risparmio; e non viceversa. Questo ne crea ovviamente una contrapposizione con le teorie marxiste di appiattimento della piramide sociale e della parificazione dei redditi e dei prezzi “a seconda delle necessità”. Ma proprio sulla base di quanto enunciato, a differenza del liberismo, la teoria distributista sostiene che anche se fosse distribuito un reddito di cittadinanza, l’equilibrio della piramide si manterrebbe tale e quale ad oggi, ed oltretutto teoricamente anche senza che venga modificato il valore reale dei beni, i redditi disponibili, e le loro allocazioni, nonché di tutti gli altri parametri derivanti, spesa pubblica compresa.

"Il liberalismo è sempre stato influenzato dalla sua tendenza a considerare i poveri come uomini falliti per colpa loro" (Harold Joseph Laski)

Questo solo in via teorica, perché in seguito a circostanze “collaterali” nella pratica tutti si adeguerebbero alle mutate condizioni di domanda ed offerta, come confermano le teorie dell’economista Piero Sraffa che analizzando la “teoria della rendita del consumatore” (la differenza tra il massimo che una persona sarebbe disposta a spendere per acquistare un oggetto ed il prezzo effettivo di quell’oggetto) ritoccano la massima di Alfred Marshall che “il prezzo d’equilibrio viene determinato dall’intersezione tra la curva della domanda e quella dell’offerta” con la conseguente variazione autonoma della spesa aggregata che sarebbe sia causa che effetto di questo spontaneo mutamento di condizioni. Dato che si presume che le funzioni di consumo e risparmio rimangano invariate, questo non comporterebbe cambiamenti sostanziali nella produzione e nemmeno nell’allocazione (la “piramide” resta inalterata nella sua forma), ma comporterebbe una razionalizzazione efficientista del lavoro e del sistema sociale. Questo avverrebbe perché, assodato che il risparmio è sempre equivalente alla spesa per investimento e che l’aumento di domanda aggregata aumenta solo il livello dei prezzi e non incide sulla produzione, i beni prodotti vanno comunque distribuiti (“allocati”), al prezzo adeguato alle richieste di mercato: mercato basato sulla quantità di beni disponibili, conservando un ideale equilibrio reddito/spesa; e se i costi di produzione superano il rendimento, il bene (evidentemente non necessario) non viene prodotto, semplicemente (“costo di opportunità”, che determina all’imprenditore come impiegare più opportunamente i fondi disponibili per l’investimento, ossia cosa è più conveniente produrre e commerciare e cosa meno; determina al consumatore come impiegare più opportunamente i fondi disponibili per la spesa, ossia cosa è più necessario acquistare e a cosa dover rinunciare di conseguenza), massimizzando con ciò la “funzione di utilità” (la misurazione della soddisfazione data ad una persona dal consumo dei beni, ovvero dal livello in cui essi colmino la sua percezione di necessità) ne più ne meno rispetto ad oggi. Se ne deduce che la base fondante del distributismo si regge sulla constatazione della “legge di Say” (che analizza il concetto che le merci si pagano con le merci, e che i valori di scambio reciproci si adeguano di conseguenza; si tenga conto che anche la moneta è una merce, seppur simbolica).

“I capitalisti come classe guadagnano esattamente quanto investono o consumano” (Michał Kalecki, “Teoria della politica fiscale”)

Infatti, nonostante la sviolinata leggenda del “selfmademan”, l’origine del capitale è sempre da ricercarsi nell’accumulo ereditato, od in inique speculazioni, fortune casuali, loschi affari, o comunque sia quasi mai per effettivi meriti o capacità ma per tutti questi atti di prevaricazione e furbizia, a clientelismo e nepotismo, tutti effetti della competizione nella spinta all’accaparramento illimitato. Anche le gerarchie amministrative-manageriali sono regolate da questi parametri. Notoriamente, a "farcela" sono non i più svegli, ma i "cocchi della maestra". I conseguenti guasti risaltano evidenti nel livello di efficienza perennemente sotto le effettive potenzialità di una società concepibile, rilevabili nelle critiche solitamente espresse dall’opinione pubblica nei confronti del “sistema”. Alla società attuale il distributismo contesta che è proprio l’odierna la “piramide gerarchica” disarmonica nelle proporzioni e nelle attribuzioni, e che ciò è la fondamentale causa dei dichiarati difetti sociali del capitalismo ai quali il distributismo esplicita di saper por rimedio facilmente.

"E' vero. Non aumentiamo consensi tra i laureati, nella classe media creativa. Il perché è semplice: sono quelli che credono ancora di poter guadagnare dalla globalizzazione. E' come sul Titanic: finché l'acqua sommerge le cabine di terza classe quelli della prima ballano. Prima o poi anche loro capiranno che stanno per annegare" (Marine Le Pen)

Una metafora molto chiara e scomoda per quelli che vivono fra i privilegiati ma quando sono in pubblico fanno la parte dei "poveri che senza sostegno ora sono arrivati in cima". Già... bravi tutti quando si parte col culo in caldo. In una società come quella odierna, dove le menti più brillanti devono ridursi a fare i barboni oppure i criminali, evidentemente c’è qualcosa di veramente sbagliato.

“Il distributismo non è una nuova prospettiva o un nuovo programma economico, bensì la proposta di tornare all'economia che prevalse in Europa per i mille anni in cui era cattolica” (Hilaire Belloc)

Questo non significa fare paragoni con altre epoche e tantomeno evidentemente voler tornare al sistema feudale, ma ripensare al sistema di un epoca in cui vigeva la “pax” sociale (nonostante le leggende marxiste vogliano far credere altrimenti) grazie all’efficienza allocativa attualizzata alle possibilità del periodo in un momento in cui le gerarchie erano basate sul merito e non su meschini intrallazzi. Per comprendere ciò bisogna innanzitutto analizzare le cause del percorso storico che hanno portato il sistema economico a deviare da quella sua evoluzione naturale, partendo proprio dalla frattura religiosa. Difatti la prima evidente differenza culturale cui si contrappone il cattolico e organicista “principio di sussidiarietà ” è la calvinista “sovranità delle sfere ”, che afferma come ogni sfera di cui è composta la società (i vari organi di potere) derivi direttamente da Dio, sia autonoma dalle altre, sovrana su sé stessa e responsabile direttamente verso Dio del modo in cui si conduce. Ne consegue che la sovranità di ciascun potere debba essere rispettata, valorizzata e salvaguardata dalle altre sfere. E’ la base del Diritto anglosassone. La brama di guadagno è sempre esistita, ma con le sette ascetiche pietistiche protestanti assume forme prima ignote. Difatti fino allora guadagno ed ascesi erano considerati opposti inconciliabili, ma in seguito alla riforma vengono a coniugarsi nella distinzione tra guadagno come evento passivo e spesa come evento attivo, nella forma di lavoro come vocazione etica, come lavoro fine a sé stesso e non più tradizionalmente teso a colmare le necessità quotidiane e nulla più, ma finalizzato a quello che Marx chiama "feticismo delle merci" cioè il maggior accumulo ed al contempo la minor spesa possibile, ed è in quest'ultima che si incarna nell'ascetismo delle ideologie pietistiche, dalle cui precedenti si distingue per l'arricchimento non più visto come riprovevole. Infatti ciò che la loro morale veramente condanna è l'adagiarsi nel possesso, il godimento edonistico della ricchezza con la sua conseguenza di ozio e concupiscenza, e così come ogni spreco del tempo "concesso da Dio" per compiere le sue opere è deprecato, per cui il lavoro diviene una vocazione e chi non lavora è visto come fuori dalla grazia di Dio, ricco o povero che sia. Forse il maggior apologeta dell'etica del lavoro puritana fu Richard Baxter, rigettando però la dottrina della riprovazione, essendo i suoi scritti principalmente mirati a incoraggiare la santificazione dell'individuo. L'approccio di Baxter alla giustificazione è stato chiamato neonomianismo, ossia le nuove leggi che debbono essere obbedite diventano la giustezza personale e salvatrice del peccatore che è sostenuta dalla grazia che salvaguarda. Pertanto la soteriologia di Baxter è amirildiana, con l'aggiunta della dottrina arminiana della "nuova legge". Quale causa-effetto Marx propendeva per il fattore tecnologico-geografico (comprendendo quindi una visione Ruhr-centrica), che lui chiamava "materialismo storico" in contrapposizione all'"idealismo storico" di Hegel, mentre Mill propendeva per il fattore sociologico; Gramsci in seguito propenderà per l'insieme dei due fattori, mentre Robert Putnam si schiererà sull'ipotesi di Mill. Colui che ha studiato più a fondo questa differenza è stato Max Weber; in particolare, come Putnam, fa notare come non sia stato il protestantesimo in sé a determinare lo sviluppo capitalistico protestante, ma l'opposto: erano i ricchi a convertirsi al protestantesimo, che così riuscì a diffondersi anche negli altri strati sociali proprio nelle regioni più ricche, mentre in quelle più povere accadde l'opposto cioè i protestanti rimasero minoranza. Non a caso il distributismo si sviluppò in seno al cattolicesimo nella patria dell’anglicanesimo ed ebbe risonanza soprattutto nei paesi del Commonwealt, con le teorizzazioni distributiste dei cattolici britannici. In un certo senso anche la filosofia buddista può essere assimilata ai principi filosofici dell’economia distributista (seppur non avendovi mai avuto influenza diretta), mentre agli antipodi culturali troviamo da un lato il calvinismo materialista, e dall’altro lato l’islamismo come forma di “comunismo medievale”. Per inciso, il calvinismo è tra tutte le forme di protestantesimo quella più opposta al cattolicesimo. L’induismo invece appare affine al “distributismo” per la concezione elitaria a cui però si oppone per la concezione di “Salvezza” (attraverso le opere, secondo l’induismo). Anche da parte anarchica arrivò un certo apporto, ma è più corretto dire da anarchici eretici, critici e delusi dall’anarchismo monopolizzato dalla sinistra, in quanto resisi edotti della banale constatazione che in realtà una vera anarchia sarebbe sicuramente la maggior aspirazione in stile “far west” dei vari Zio Paperone, Rockefeller, Rotschild, Ford, Agnelli... l’estremo liberalcapitalismo inteso come primordiale consuetudine antropologica. La maggior figura anarchica che contribuì al distributismo fu difatti l’americana Dorothy Day dopo la sua conversione al cattolicesimo fondatrice assieme a Peter Maurin del Movimento dei lavoratori cattolici, che qualche volta viene presentato come un'organizzazione anarchica cristiana, ma è più legato al distributismo e al pauperismo francescano, il quale vedeva il lavoro come un servizio alla comunità, non come un mezzo di autosoddisfazione, in puro stile anti-lavorista, che può essere ben espresso dal decalogo di Maurin pubblicato nel "lavoratore cattolico" "ciò che rende un essere umano": Le teorie distributiste erano state intuite precedentemente in modo del tutto indipendente anche dall’imprenditore anarchico tedesco Silvio Gesell e da Douglas con il suo "credito sociale"; non c’è da stupirsi quindi che il primo tentativo di applicazione pratica di un sistema economico di tipo distributista fu di origine anarchica: la Machnovščina (1918-21) dell’ucraino Nestor Ivanovič Machno, nata in seguito al vuoto di potere lasciato dalla caduta dell’Impero Zarista durante la guerra civile russa, e poi soffocata dai bolscevichi su interessamento di Leon Trotsky.

"Capitalismo è la piena espressione di anarchismo e anarchismo è la piena espressione di capitalismo" (Murray Rothbard)

Non è per un caso che il fervore su queste teorie si sia sviluppato contemporaneamente alla prima guerra mondiale: la loro elaborazione si sviluppò proprio a partire dall’analisi delle cause di questa e la conseguente ricerca di future alternative alla guerra come soluzione. Difatti la Grande Guerra fu determinante a ritardare la crisi economica che inevitabilmente si presentò nel 1929, e la conferma è che entrambe sono seguite a periodi di frenesia economica (“belle epoque” per la prima, “anni ruggenti” per la seconda). Erano sembrate prospettarsi all’orizzonte le conclusioni previste da Marx ne “Il capitale” in merito al fallimento del capitalismo a causa della monopolizzazione quale unica possibile prospettiva finale derivata dalla riccardiana “legge ferrea dei salari ” e del “malthusianesimo ”. Ma sia Marx che Malthus non avevano previsto entrambe le reazioni, artificiale per quanto riguarda Marx, naturale per quanto riguarda Malthus. Avevano cioè fatto “i conti senza l’oste”. La natura umana, difatti ben decisa a non “mollare l’osso” agiva di conseguenza, ma non potendo superare l’“ottimo paretiano”, sempre tramite soluzioni “trade-off” (cioè dovendo scegliere tra efficienza o giustizia, ma non potendo coniugarle entrambe contemporaneamente). E’ ben difficile considerare la guerra come un modo di “migliorare la situazione di qualcuno senza peggiorare quella di un altro”... invece per sostenere il sistema economico vigente in molti casi questa si è dimostrata l’unica soluzione ravvisabile. E non è un caso che proprio tra il 1919 ed il 1922 in ogni nazione nacquero partiti comunisti rifacentesi al marxismo, tanto per definire univocamente lo strappo tra i socialisti. Non c’è da stupirsi che il più accanito avversatore ideologico del distributismo (così come anche del fabianesimo che come abbiamo già visto considerava "un subdolo tentativo di salvare il capitalismo dalla furia della classe operaia") fosse il bolscevico Leon Trotsky, lo stesso affossatore della Machnovščina.

"In tutta la storia del movimento laburista britannico vi è stata pressione da parte della borghesia sul proletariato attraverso l'uso di radicali, intellettuali, salotto e chiesa socialisti, e owenisti, che respingono la lotta di classe, difendono i principi di solidarietà sociale, predicano la collaborazione con la borghesia, imbrigliano, e indeboliscono politicamente l'avvilito proletariato" (Leone Trotsky)

Il distributismo con il suo reddito di cittadinanza è un caposaldo da sempre assieme a socializzazione, corporativismo, e fiscalità monetaria, della politica economica del fascismo "di sinistra" rifacentesi alle teorie di Ezra Pound che proprio per questo fu "traghettato" dall'anglosassone distributismo al fascismo italiano (che non a caso "nasce" proprio nel momento di maggior fermento delle teorie distributiste, 1919) e da questo già fatte proprie non così per caso ma conseguentemente poiché perfettamente congeniali alla sua visione etica di tipo "organicista" e "personalista" del mondo e "razionalista" dell'economia. Ezra Pound fece quindi da traite d'union tra filosofia ed economia, una filosofia che può essere spiegata dal suo Cantos XLV che rappresenta praticamente il manifesto stesso della filosofia capitalistica del produttivismo. Essendo un poeta non bisogna intendere il suo uso del termine usurai nel senso letterale, ma come eufemismo di "anti-produttivisti" ovvero "lavoristi".Anche la sua interpretazione della seconda guerra mondiale è indicativa: "questa guerra non fu cagionata da un capriccio di Mussolini né di Hitler. Questa guerra fa parte della guerra millenaria tra usurai e contadini, fra l'usurocrazia e chiunque fa una giornata di lavoro onesto con le braccia o con l'intelletto". A conferma, dalla parte opposta, avversa e pure furentemente, chi abbiamo? Da un lato la sinistra contraria solo per pregiudizio antifascista, ignoranza economica ("lavorismo anti-produttivista"), invidia (poiché una politica sociale di destra gli sarebbe d'intralcio in quanto concorrente), e in quanto inconciliabilmente contrastante con lo statalismo dirigista clientelare che è il fondamento della sinistra burocratica, e dall'altro (questo consapevolmente e non solo per ignorante pregiudizio od interesse) l'area ideologica rifacentesi all'azionismo (in riferimento al vecchio partito d'azione) e all'umanismo (la filosofia opposta al razionalismo) individualisti della massoneria di osservanza nordista (mentre quella di osservanza sudista è tendenzialmente favorevole alle politiche di tipo distributista) sedicente "illuminata" (quando invece è proprio l'opposto) di derivazione filosofica ebraico-protestante-giansenista, per via della loro etica economica contraria per principio e morale religiosa a redistribuzioni che non abbiano scopo clientelare (quindi i sussidi e l'assistenza pubblica gli stanno bene, il reddito di cittadinanza no), secondo i loro precetti religiosi di "sovranità delle sfere" e "salvezza attraverso le opere" che l'uomo (leggi: "il povero") deve soffrire, la sofferenza avvicina a dio (mentre i ricchi già ci sono vicini a lui), la povertà è una propria colpa e la ricchezza un proprio merito, il povero non deve essere indipendente ma restare al giogo dei prescelti da dio tramite la dipendenza indotta dal ricatto della necessità, le gerarchie umane le stabilisce dio ("predestinazione"), la ricchezza è un dono che dio sceglie a chi distribuire per merito, ci si porta i propri soldi nell'aldilà e quindi i ricchi compreranno l'ingresso al paradiso (o la resurrezione) mentre i poveri andranno all'inferno (e quindi lo scopo della vita terrena viene identificato nel maggior arricchimento materiale possibile, "salvezza attraverso le opere"), cose così, tutte stupidaggini per giustificare moralmente l'avidità, la competizione (che per chi non lo sapesse, è il concetto opposto a "merito") e lo schiavismo sotto qualunque forma si presenti insomma, e che il reddito di cittadinanza andrebbe ad intaccare in maniera determinante per evidenti motivi, da cui la classica accusa che è sempre aleggiata (e di cui dubito i 5 stelle siano al corrente) sul reddito di cittadinanza ovvero di essere una cospirazione antisemita (che esso vada contro ai precetti "religiosi" elencati lo posso anche capire, ma se qualcuno mi potesse spiegare secondo quale logica il dare un reddito di base mensile a tutti può essere interpretato come atto di antisemitismo, me lo spieghi perché è una cosa a cui io non ci arrivo proprio ancora a capire dopo tanti anni...). Per inciso, questo è il motivo prima accennato dell'avversione dei burattinai di wikipedia verso il distributismo e l'origine ideologica del reddito di cittadinanza. Vedete un pò voi quanto sono credibili.

"Una società che riverisce il raggiungimento della ricchezza come la felicità suprema sarà naturalmente disposta a considerare i poveri come dannati nell'aldilà, se non altro per giustificare sé stessa e per rendere la loro vita un inferno in questa" (Richard Henry Tawney)

Sulla scia di Mill e Tocqueville, anche nel mondo liberale e libertariano recente ci sono state proposte di reddito di base, in quanto rientra in uno stato minimo la tutela dell'ordine sociale, che verrebbe messo in crisi dalla presenza di ampie fasce di popolazione al di sotto della soglia di sussistenza. Tale è la posizione di Friedrich von Hayek. Il reddito di esistenza ha sostenitori anche tra i liberali, che tuttavia lo concepiscono in una forma molto particolare – e che non deve creare illusioni, perchè a causa dei pregiudizi di natura religiosa sopraesposti ed ideologici in relazione al presunto anti-semitismo delle teorizzazioni distributiste, si tennero ben lontani dal proporre il vero reddito di cittadinanza ma andarono a girarci intorno proponendo regolarmente sussidi cervelloticamente regolati, quale quello dell’economista americano Milton Friedman, che riprendendo un’idea avanzata negli anni '40 dall’inglese Juliet Rhys-Williams, si era pronunciato nel 1962 per un reddito minimo avente la forma di una "imposta negativa sul reddito" ("negative income tax credit"), al solo scopo di rendere più sopportabili la disoccupazione e la precarietà, non già di eliminarle. Si trattava di un semplice credito d’imposta rimborsabile, calcolato su base familiare (invece di essere una prestazione individuale), da versare alle famiglie non soggette a imposta e che avrebbe funzionato, per i contribuenti tassabili, come una classica riduzione d’imposta, non certo un reddito di cittadinanza. Ma almeno, il concetto "erogativo" riappare sulla scena liberista dopo anni di oblio (poiché dopo il 1943 anche i vari partiti del credito sociale, pur esistendo, si erano visti costretti a mitigare le loro proposte nel nuovo mondo anti-fascista) con gli economisti iper-liberisti quali Milton Friedman (in "Capitalism and freedom" del 1962 col nome "dividendo sociale"), Robert Lampman (in "Expanding the American system of transfers to do more for the poor", "Wisconsin Law Review", 1969), e da J. Tobin, J.A. Pechman e P.M. Mieszkowski ("Is a negative income tax practical?", "Yale Law Journal", 1967), con una proposta propugnata in Gran Bretagna soprattutto dall’economista e politica Juliet Rhys-Williams, consistente in una specie di conto corrente tra il contribuente e lo Stato, chiamata "imposta negativa sul reddito"; precisamente la proposta di Friedman fissa una soglia sotto la quale si integri il reddito del contribuente, ovvero se esiste un reddito sufficiente, l’imposta è positiva e va corrisposta allo Stato secondo le regole consuete; se il reddito è inferiore a una certa soglia limite o non esiste, l’aliquota viene comunque applicata, ma si trasforma in partita a credito del contribuente. Rispolverata oggi in Germania con il modello di Ulm (non il reddito di solidarietà di Thomas Straubhaar avviato in Turingia dall'ex primo ministro Dieter Althaus), corrispondente a un imposta negativa sul reddito con una flat tax, in cui il limite di trasferimento cambia l'aliquota fiscale, e presa a spunto in Italia da Oscar Giannino, essa è volta a determinare un corrispettivo monetario conferito all’individuo che sia sotto la soglia dell’incapienza fiscale, ma intermedio tra la sua soglia di reddito reale percepito e quella dell’incapienza. Se il reddito è di 400 euro al mese cioè di 4.800 euro l’anno e l’aliquota dell’imposta negativa è del 70%, allora lo Stato integrerà con il 70% dei 3.200 euro mancanti all’incapienza, cioè con altri 2.240 euro, per un reddito di 7.040 euro l’anno. Disboscando però tutte le altre non risolutive misure di sostegno al reddito oggi presenti in Italia pari a oltre l’1,5% del PIL, senza cervellotici controlli amministrativi a cui la pubblica amministrazione italiana si è sempre mostrata impari, e senza furberie perché il tutto avverrebbe secondo dati dell’Agenzia delle Entrate. E, soprattutto, senza dipendenze di massa dallo Stato. Secondo Giannino, anche se non si capisce come, avrebbe il vantaggio di non azzerare l’incentivo al lavoro, e dell’automaticità senza test e verifiche delle condizioni di ciascuno, per cui basandosi sul reddito esistente dichiarato è comunque più equiparabile ad un sussidio ed il concetto stesso di "aliquota" è aborrito dagli economisti distributisti, e comunque queste timide proposte non hanno mai riscosso un gran seguito tra gli altri accademici, e tantomeno nei loro referenti politici (e neanche tra gli elettori: il partito di Giannino ha raccolto circa l'1% dei voti...), quando perfino l'OCSE nel 1974 fece uno studio di circa 50 pagine sull'imposta negativa sul reddito, ma non se ne fece nulla dato il clima politico avverso (proprio in quell'anno il comunismo mondiale raggiunse il suo apice). Proposte che comunque con il reddito di cittadinanza hanno ben poco in comune, sia come impostazione sia come concezione. Avevano il terrore di essere accusati di antisemitismo? In un discorso del 1967, anche Marthin Luther King chiede un reddito minimo garantito per tutti. Tra i liberisti, la proposta che più di tutte si avvicina al reddito di cittadinanza vero e proprio è quella di James Meade (che lui chiama "dividendo sociale"), che non a caso ha compiuto studi anche sui concetti complementari ad esso, fiscalità monetaria e socializzazione delle imprese (in "Libertà, uguaglianza ed efficienza. Apologia pro Agatotopia mea", Feltrinelli, 1995) con scopo dichiarato il raggiungimento di una "piena occupazione senza inflazione"; vi è poi l'ambito rifacentesi al settore della robotizzazione, che abbraccia il reddito di cittadinanza (e loro quello vero) nella prospettiva sociologica della sostituzione del lavoro umano con quello automatizzato, per cui un reddito di base viene ritenuto necessario (voi la vedete un alternativa?), il cui maggior esponente è l'ingegnere James S. Albus supportato anche dall'economista Paul Romer (l'attuale presidente della banca mondiale) e dall'imprenditore Louis Kelso, che anch'essi non a caso così come Meade sono sostenitori anche di fiscalità monetaria e socializzazione delle imprese. Per entrambi, sostenitori della "teoria della crescita endogena", l'origine risiede nel fatto che in una società dal lavoro sempre più scarso parte dei proventi del reddito personale non possono più essere coperti dal solo reddito da lavoro. Per cui, pur essendo giunti in ritardo (ora si accorgono di questi problemi, e solo nella luce dell'induzione dall'automazione?), almeno è già qualcosa. Il fatto che le proposte che più si avvicinano al concetto più sensato di reddito di cittadinanza abbiano compreso anche la fiscalità monetaria e la socializzazione delle imprese dovrebbe mettere in chiaro l'area di riferimento nella quale esso va inserito. Ma dopotutto non è casuale, essendo consci della teoria della crescita endogena ovvero l'effetto del cambiamento tecnologico sulle dinamiche distributive in una libera economia di mercato, da cui Kelso ha ricavato una teoria nota come "capitalismo dei popoli". Il cambiamento tecnologico rende i processi produttivi sempre più automatici, lasciando la produttività umana in gran parte invariata. Il risultato è che la distribuzione primaria attraverso l'economia di libero mercato tende ad concedere progressivamente una quota sempre maggiore di reddito proveniente dalla produzione ai proprietari di capitale e sempre meno alla forza-lavoro. La produttività differenziale nel corso del tempo concentra i redditi provenienti dal mercato nelle mani di chi non li utilizza attraverso il mercato, come pagamento di beni di consumo e servizi, ma investe tale eccesso in nuova capacità produttiva. Di conseguenza sempre maggior parte di reddito va in reinvestimento in maniera esponenziale. Se da un lato questo può sembrar favorire il progresso tecnologico, in realtà rappresenta un collo di bottiglia nel momento in cui rende la distribuzione sempre più disfunzionale. La concentrazione del capitale provoca un inadeguata domanda dei consumatori che non corrisponde più ai beni effettivamente offerti, per cui vi è un eccesso di offerta che non può incontrarsi con la domanda abbassando ulteriormente i prezzi pena l'andare in perdita, poiché il problema non verte sulla disponibilità a pagare generale, ma sul fatto che sempre meno soggetti un potere d'acquisto ce l'hanno. Gli effetti si traducono per la maggior parte delle persone che dipendono interamente sul reddito salariale in povertà e insicurezza economica, e poiché, come Adam Smith ha notato, la domanda economica inizia con il potere d'acquisto dei consumatori, il lato della produzione dell'economia è utilizzata sotto il suo livello potenziale (sottoccupazione). In pratica lo squilibrio reddituale provoca sulla teoria degli sbocchi gli stessi effetti di un dazio o di un imposta, cioè quello che Hyman Minsky interpreta come "un'euforia speculativa" ogni qualvolta il profitto delle imprese supera la quota necessaria agli ammortamenti. Secondo lui all'origine delle crisi vi sarebbe uno "spiazzamento" determinato proprio da questo meccanismo, che altro non sarebbe che un evento esterno rispetto al sistema macroeconomico, che spinge i soggetti a credere che vi saranno forti rialzi nel valore delle attività (siano queste reali o finanziarie). Ne consegue un'espansione creditizia, che alimenta ulteriormente l'euforia. Nel momento in cui ci si rende conto che l'espansione dei prezzi è terminata, inizia la corsa alla vendita, che può portare al panico sui mercati, e ad effetti negativi anche sull'economia reale.

"Un banchiere è uno che vi presta l'ombrello quando c'è il sole e lo rivuole indietro appena incomincia a piovere" (Mark Twain)

La situazione si è aggravata di recente a causa della tendenza presa dallo "stakeholder" verso lo "stockoptionismo" che ha determinato il fenomeno dello "shortermismo", matrici del cosiddetto "colpo di stato dei manager" che in pratica ha portato al potere gli ex shareholder e l'ingigantimento dei fondi comuni con relativo frazionamento anonimo. Questa è stata la vera causa della crisi della quale vengono incolpati i mutui subprime. E questo perché regole come il fair value ed il mark to market che appiattiscono il patrimonio capitale di una società sul valore istantaneo delle azioni assegnato dai corsi borsistici, che porta ad una valutazione fuori dalla realtà a causa della percezione psicologica causata da fattori artificiali: in finanza a fare i danni maggiori sono gli effetti sulla percezione e quindi le prospettive, che l'effettiva realtà che potrebbe anche smentire come infondati i timori percepiti. Per questo esistono i reati di aggiotaggio e insider trading. La crisi iniziata nel 2008 è stata causata dalle aspettative di questi avidi incapaci, non dai subprime. Le crisi le crea l'avidità, sempre e solo. Ma non l'avidità comprensibile di chi "desidera", ma quella imbecille del "ci sono milioni di italiani sottopagati che lavorano 8 ore al giorno per quattro spicci, e voi volete regalare soldi ai disoccupati?". Tutti gli strumenti di finanziamento e le proposte economiche di Kelso (tra cui il reddito di base) sono progettati per correggere lo squilibrio tra produzione e consumo alla fonte, ma non in maniera redistributiva keynesiana ma bensì in conformità con i principi del libero mercato in un ottica neoliberista, e consiste in quella che lui ha chiamato "capitalismo dei popoli" descritto nel suo tomo "Le dinamiche distributive del capitalismo" scritto assieme a Mortimer Adler (ebreo convertitosi al cattolicesimo), che in quanto liberismo compensato possiamo praticamente considerarlo fondamentalmente perfettamente allineato con il distributismo. Vi è poi dagli anni '80 una proposta dal titolo "Une reflexion sur l'allocation universelle" da parte di un gruppo belga "left-libertarian" rifacentesi al "falansterio" di Charles Fourier (Yannick Vanderborght, Paul-Marie Boulanger, Philippe Defeyt, e Philippe Van Parijs, Walter Van Trier, David Casassas, Anja Askeland, gruppo paragonabile all'italiano Partito Radicale del 1956) con un articolo pubblicato nel 1985 dalla rivista "La Revue Nouvelle", consistente nell'alleggerimento della legislazione sul lavoro, l'eliminazione del limite di età pensionabile, e la sostituzione di ogni altra forma di welfare con un reddito di base che fosse da solo sufficiente a coprire tutte le esigenze basilari di una singola persona.
Sopprimete le indennità di disoccupazione, le pensioni pubbliche, i salari minimi, gli aiuti alle famiglie, le esenzioni e crediti d’imposta per persone a carico, le borse di studio [...], gli aiuti di stato alle imprese in difficoltà. Ma versate ogni mese a ciascun cittadino una somma sufficiente per coprire i bisogni fondamentali di un individuo single. Datelo a quanti lavorano e a quanti non lavorano, al povero come al ricco, a chi abita solo, con la sua famiglia, sposato, convivente o in una comunità, indipendentemente dal fatto che abbia lavorato o meno nel passato. Il valore dell’importo sia modulato tenendo conto solo dell’età e dell’eventuale grado di disabilità. E finanziate tutto ciò attraverso un’imposta progressiva su tutti gli altri redditi di ciascun individuo. Contemporaneamente, deregolate il mercato del lavoro. Abolite tutta la legislazione riguardante il salario minimo e la durata massima del lavoro. Eliminate tutti gli ostacoli amministrativi al lavoro a tempo parziale. Abbassate l’età di scolarità obbligatoria. Sopprimete l’obbligo di ritirarsi dal lavoro ad un’età determinata. Fate tutto ciò. Dopodiché osservate cosa accade. Domandatevi in particolare che ne risulta del lavoro, del suo contenuto, delle sue tecniche, delle relazioni umane che lo circondano (Collectif Fourier 1985).
Proposte talmente aderenti agli scopi "consequenzialisti" del reddito di cittadinanza distributista che avvicinano ancor più l'apporto liberista ad esso, per cui specifico questi apporti iper-liberisti (seppur sempre restando tra essi un pensiero di nicchia) per un motivo ben preciso: se c'è un area politica che non ha MAI considerato ma anzi osteggiato il concetto di reddito di cittadinanza (sotto qualunque forma o nome lo si voglia chiamare) è la sinistra anti-capitalista! Alla faccia di chi scrive che è "troppo di sinistra"... A questo punto è opportuno definire accuratamente che, generalmente, oltre alle differenze ideologiche, vi è proprio una sostanziale differenza socio-antropologica tra i marxisti (ma più che altro la componente comunemente definita "operaista" dei partiti comunisti, ed ancor più estrema quella fabianista dei partiti socialisti) e il resto delle persone, e così anche quella che più ci interessa analizzare essendo la più ampia, tra le due espressioni diametralmente contrapposte del socialismo, i fabianisti, del comunismo, gli operaisti, ed i distributisti. Per comprenderla ho già accennato in precedenza come si possa definire i marxisti operaisti come "lavoristi" o "anti-produttivisti" e i distributisti come "produttivisti" o "anti-lavoristi". Sull'accezione di "lavorismo" si intende solitamente l'ideologia che incentra tutto sul lavoro dipendente (che sia da parte del privato o dello stato) e per i quali i sindacati sono una "seconda casa", cui si fa accenno anche in altre parti del testo. La concezione opposta, che solo per contrapposizione lessicale definisco "anti-lavorismo" oppure "produttivismo" ma non è mai stata usata da nessuno prima, che io sappia, la si può incentrare in quel filone di pensiero partente dal pauperismo francescano, l'anarchismo cattolico di Peter Maurin, e l'organicismo di Giuseppe Toniolo, avente il suo caposaldo nel romanzo "The Jungle" (La giungla, 1906) di Upton Sinclair, sulla scandalosa condizione dei lavoratori ai mercati di bestiame di Chicago, libro che fu definito da Jack London "la Capanna dello zio Tom degli schiavi salariati". Ecco, la generica differenza tra "lavoristi" e "produttivisti" si può riassumere in "cresciuto in un ambiente colto e raffinato ma in mezzo a costanti ristrettezze economiche" che fu l'esperienza di Upton Sinclair, rispetto alla quale non si può non notare la medesima origine e condizione sociale generalmente comune sia ai fascisti "della prima ora" sia dei successivi ed attuali fascisti come definiti anche da Luigi Salvatorelli "quella parte della società che non appartenendo al capitalismo, e non costituendo neppure un elemento dei processi produttivi, rimane altresì nettamente distinta dal proletariato, non tanto per condizioni economiche, quanto per abitudini sociali borghesi e per una propria coscienza di classe non proletaria" di cui ho già accennato riguardo come il neofascismo sia sempre stato composto di sottoproletari inoccupati che "tirano a campare", disadattati rispetto alla società odierna (da cui ne era derivata la commistione con la malavita che aveva dato origine ai noti sodalizi tra criminalità e neofascisti: banda della Magliana, banda della Comasina, banda del Brenta) ed in quanto tali percepentisi come un "aristocrazia" (non inteso nel senso di titolo nobiliare, ma di aristocrazia dell'animo) materialmente povera ma che non riesce ad adeguarsi a sottomettersi ad un "padrone" come invece fanno i lavoristi del "lo faccio per vivere", da cui deriva la propensione dei "produttivisti" per la socializzazione delle imprese ovvero il lavoro autonomo esteso a tutti al posto del lavoro dipendente (o come lo chiama Gorz, "eteronomo") che ho già definito dove tratto del fabianismo, l'ideologia socialista "nordista" che i sottoproletari li vuole letteralmente sterminare e sta tutt'oggi marciando a pieno vapore per giungere a conseguire questo scopo tramite il mezzo del salario minimo imposto per legge e la contemporanea negazione del reddito di base. Per aiutare nella comprensione della differenza tra le due tipologie, è utile un distinguo netto su un comportamento tipico: ai colloqui di lavoro i lavoristi aspiranti all'assunzione si caratterizzano per il porre domande al selezionatore, il lavorista come prima cosa chiede nell'ordine: cosa andrà a prendere di stipendio, qual'è il giorno di riposo, quante ore fa al giorno e quanti giorni di ferie ha, e altre domande del genere; cosa che i produttivisti non si abbassano a fare; l'entità del salario l'apprenderanno solo al momento della sua ricezione. Sembra un distinguo banale e non è certo l'unico, ma è indice di una diversità mentale che distingue nettamente i due tipi.

"Coloro che io preferisco sono quelli che lavorano duro, secco, sodo, in obbedienza e possibilmente in silenzio" (Benito Mussolini)

E con la definizione di "produttivisti" o "anti-lavoristi" ci si riferisce perciò ai fascisti autentici, non alla borghesia che nel '22 aderisce al fascismo solo per interesse o alla "casalinga di Voghera" che lo fa perchè stata convinta dalla propaganda anti-fascista di esserlo ed oggi impesta i gruppuscoli d'area andando perfino ad egemonizzarli tra lo sconcerto dei veri fascisti. E così si mette un altro tassello sull'interpretazione del fascismo che già De Felice aveva intuito, non come reazione borghese a qualcosa, ma tipologia antropologica fino al 1919 rimasta sopita e svegliatasi per forza di cose nel tentativo di difendersi dall'aggressione social-fabianista.

“Fascisti si nasce, non si diventa” (Carlo Tassi)

In ambito marxista-leninista, il reddito di cittadinanza, in quanto compenso generico attribuito indifferentemente a tutti i cittadini, viene considerato una misura di tipo riformistico, per cui, intervenendo esclusivamente sul piano della distribuzione, non può incidere sulla dinamica del "processo di accumulazione capitalistica" che i marxisti vedono come il fumo negli occhi. Il reddito di cittadinanza, in tale prospettiva, viene da loro dunque considerato come "uno strumento di pacificazione e di integrazione social-imperialista", come se ciò fosse una cosa negativa... Scettici sulla possibilità che un'elargizione monetaria periodica possa, specie se di modesta entità, assicurare, a chi la percepisce, un'esistenza dignitosa e libera dal "ricatto del bisogno", i teorici di formazione marxista fanno notare che un'effettiva emancipazione degli sfruttati può avvenire solo con l'abolizione della proprietà privata e la dittatura del proletariato. Per loro è il sistema capitalista a produrre stratificazione con tutto il suo portato di ingiustizie ed esclusione sociale. E il reddito di cittadinanza - secondo tale analisi - non servirebbe neanche a contrastare il precariato e la disoccupazione in quanto tanto l'uno che l'altra costituiscono esiti deliberati della politica economica liberista, conseguenze di un uso capitalistico delle risorse; come vedremo più avanti, questa è una visione miope e avulsa dalla realtà dei fatti, e che denota una totale ignoranza delle dinamiche logico-matematiche che regolano l'economia. Secondo loro l'erogazione di un reddito continuativo favorirebbe, anzi, la frammentazione del mondo del lavoro e la riduzione dei salari, come se ciò fosse qualcosa di deprecabile anziché auspicabile come in realtà è, "vanificando le conquiste di decenni di lotte operaie", "conquiste" dalle quali a rimetterci sono stati proprio e solo i "proletari" che tanto dicono di amare. In alternativa la proposta avanzata nell'area dell'estrema sinistra va invece nel senso della rivendicazione di un salario minimo garantito, ossia di un compenso da attribuirsi esclusivamente alla forza lavoro (occupata o in cerca di impiego) in ragione della permanente disponibilità della stessa ad essere utilizzata dal capitale, senza valutare le conseguenze già oggi visibili di questa stupidaggine. Ma per loro il salario minimo assolverebbe anche al compito di "salvaguardia della forza lavoro" e avrebbe l'effetto "salutare" di ricompattare una vasta cerchia del proletariato, quindi i conti tornano: dato che il potere dei comunisti si basa sul malessere delle classi inferiori, non possono certo andare contro i loro interessi auspicando un miglioramento delle condizioni del "proletariato", no di certo, anzi il proletariato deve essere "salvaguardato" per ingigantirsi e ricompattarsi di fronte al suo impoverimento, sennò chi li vota più? Inoltre come già detto, il reddito di cittadinanza darebbe implicitamente alla proprietà privata quella legittimazione giuridica sull'assenza della quale i marxisti ci hanno marciato fin dall'inizio nel criticarla. Per questi motivi la sinistra marxista aborrisce il reddito di cittadinanza (qui potete leggere cosa ne pensano i marxisti-leninisti). Tra essi si distingue Toni Negri, anche se oggi è più assimilabile a quelli del collettivo Fourier che a un marxista, e comunque ha sempre avuto tendenze più inclini all'anarchismo cattolico alla Day che a un vero e proprio marxismo, un pò similmente a Roberto Curcio (non a caso Jürgen Habermas inserisce le prime brigate rosse nella "sinistra fascista"), per cui non c'è niente di stupefacente nel suo appoggio al reddito di base.
Ma a parte gli aberranti ragionamenti marxisti, che analizzare è come sparare sulla croce rossa, non è che le altre aree politiche che oggi vantano il reddito di cittadinanza come proprio, possano provare molti diritti su esso... che poi è pure comprensibile, dato che fino al 1989 tutti i partiti erano pressoché terrorizzati dal divenire invisi al Pci... i liberali di Altissimo in primis. Da cui è derivata la distinzione tra liberalismo politico (Croce) e liberalismo economico (Einaudi), a causa della già citata intoccabilità del dogma anti-capitalista, dal cui terrore di ognuno di essere trattato come un paria è derivato il famoso "medio-progressista" fantozziano, il massimo limite di spostamento a destra tollerato dal Pci: solo chi era già buzzurro di suo poteva permettersi di dirsi esplicitamente anti-comunista (che tra il 1945 ed il 1994 era sinonimo letterale di fascista nel linguaggio italo-democratico).

“Come si è potuti riuscire a persuadere esseri ragionevoli che la cosa più incomprensibile era per essi la più essenziale? Perché sono stati fortemente terrorizzati; perché, quando si ha paura, si cessa di ragionare; perché sono stati esortati soprattutto a diffidare della loro ragione; perché, quando il cervello è turbato, si crede a tutto e non si esamina più niente” (Paul-Henri Thiry d’Holbach)

Generalmente la distinzione tra reddito di cittadinanza e reddito di base è formale, e si fonda sulla diversa concezione del diritto tra latini e germanici: per i latini (cioè il diritto romano) il fondamento è il "civis" e quindi il diritto alla sussistenza discende dalla cittadinanza intesa come appartenenza sociale; per i germanici il fondamento è la terra, e il reddito che la terra offre alle persone è la loro retribuzione, non la distribuzione, perché il distribuire presume un soggetto padrone della terra che invece è di tutti gli uomini. Per questo nei paesi latini si è diffuso più il termine "di cittadinanza" ed in quelli nordici "di base". Ma nella pratica sono la stessa cosa. Il termine "dividendo sociale" era comunemente usato come sinonimo di reddito di base nel mondo di lingua inglese prima del 1986, dopo di che "reddito di base" ha guadagnato maggior diffusione, mentre nell'estrema destra è sempre rimasto in voga il termine "di cittadinanza". Forse è proprio a causa di questa babele nomenclativa che ne è derivata la reciproca ignoranza sul sostegno altrui di un progetto sul quale ognuno credeva di avere il monopolio. Rawls ha chiamato "overlapping consensus" ("consenso per intersezione") il fatto che il sostegno al reddito di cittadinanza si sia sviluppato da ognuno all'insaputa degli altri pressochè parallelamente. Resta comunque il dato di fatto che tra tutti gli altri sostenitori rimaneva un puro esercizio intellettuale e nella maggior parte dei casi pensato, anche quando non in forme errate, comunque per scopi diversi da quelli che esso determinerebbe nella realtà. A sostenerlo politicamente nella sua forma compiuta fino a pochi anni fa è stata sempre solo l'area politica fascista, o più precisamente del "fascismo di sinistra" (che poi è nè più nè meno che il vero e unico fascismo, depurato degli approfittatori borghesi reazionari), partendo dal sindacalismo rivoluzionario di Alceste De Ambris, Filippo Corridoni, Edmondo Rossoni, e Vittorio Picelli e che in parte si ritrova nel Manifesto dei Fasci italiani di combattimento di piazza San Sepolcro ma sarà in seguito ripreso da Nicola Bombacci nella Rsi, tanto che dal "fascismo regime" non furono considerate (e questo dovrebbe mettere la pulce nell'orecchio anche al più ottuso antifascista su chi in realtà abbia veramente governato l'Italia anche tra il 1922 ed il 1943...) ma solo nella Rsi che ne previde l'attuazione assieme alle altre riforme di natura economica contenute nella “Carta di Verona” per il 21 aprile 1945 e non potute avviare per ovvie ragioni... ed ebbe come personalità di riferimento Nicola Bombacci, Edmondo Rossoni, Curzio Malaparte, Sergio e Vito Panunzio, Ugo Spirito, Angelo Oliviero Olivetti, Bruno Spampanato, Giuseppe Landi, Berto Ricci, Edoardo Malusardi, Mino Maccari, Marcello Gallian, Elio Vittorini, Romano Bilenchi, Vasco Pratolini, Riccardo Del Giudice, Felice Chilanti, Luigi Fontanelli, Paolo Orano, Amilcare De Ambris, Eno Mecheri, Ugo Manunta, Pulvio Zocchi, tutti quelli cioè che erano definiti all'interno del regime stesso la Sinistra fascista, e in particolare da Tullio Cianetti riconosciuto rappresentante dell’ala “sinistra” del PNF assieme a Giuseppe Bottai. La breve vita della Rsi fu travagliata da numerosi scioperi dei lavoratori, caso forse unico nella storia del mondo, fomentati dai padroni stessi.

"Lo strapotere di una classe ha superato l’uguaglianza giuridica, ha iugulato la concezione corporativa e ha imbrigliato l’azione della burocrazia, dello Stato maggiore delle Forze Armate, con tutte le tristi conseguenze che ormai è superfluo ricordare" (Angelo Tarchi, 20 febbraio 1944)

Ma non tutti i proletari si lasciarono ciecamente ingannare e strumentalizzare: ad esempio il citato comunista Nicola Bombacci sostenne la Rsi senza mai rinnegare il suo comunismo. Anche altri antifascisti, accortisi degli strani connubi e delle subdole manovre che con sospetta eterogenesi dei fini si opponevano alla Rsi, si schierarono in difesa di questa. Essi si riunirono in un loro partito, il “partito repubblicano socialista italiano”, guidato dal filosofo Edmondo Cione ed altri personaggi che nel dopoguerra fecero riferimento alla rivista "Pensiero nazionale" di Stanis Ruinas ed altri alla fazione "poundiana" prima di Giorgio Pini ed Ernesto Massi e poi di Pino Rauti del Msi ed alla corrente del comunitarismo nella quale pensiamo di poter inserire anche Beppe Niccolai, che come sostenitori del sistema economico distributista comprendevano implicitamente il credito sociale e quindi il reddito di cittadinanza.

"I melanconici, i maniaci, i bigotti di tutte le chiese, i mistici arrabbiati degli ideali, i politicanti astuti, gli apostoli che fanno i dispensieri della felicità umana, tutti costoro non possono comprendere quel rifugio di tutti gli eretici, quella chiesa di tutte le eresie che è il fascismo" (Benito Mussolini)

Come ben si sa, purtroppo l'Msi era egemonizzato dalla fazione micheliniana, filo-atlantista e di tendenze reazionarie-conservatrici, come strategia tesa a fargli fungere da stampella alla Dc, che impediva qualunque proposta "eretica" in virtù del pericolo maggiore che veniva identificato allora nel comunismo, per cui la fazione "poundiana" raggruppata nel centro studi “Nazione Sociale” rimase in disparte fino ad uscirne in una prima ondata nel 1952 fondando il Raggruppamento Sociale Repubblicano (poi rinominato Partito del Socialismo nazionale), ed una seconda nel 1957 creando l'effimero Partito Nazionale del Lavoro poi riunitesi nell'Istituto di studi corporativi, che rifluì nell'Msi di Giorgio Almirante nel 1972. A raccoglierne il retaggio fu la "Nuova destra" di Marco Tarchi omologo italiano della francese "Nouvelle droite" di Alain de Benoist e Guillaume Faye, volte a svecchiare la cultura sciovinista e "nostalgica" vigente allora nella destra radicale, coniugandovi i suoi temi tipici con l'ecologismo (la preservazione dell'ambiente come tradizione), il regionalismo (a tutela delle identità culturali dei vari popoli autoctoni), il socialismo nazionale (difesa delle fasce deboli ed interclassismo), il federalismo (contrapposto al centralismo tipico della destra) e il comunitarismo (in sostituzione all'individualismo) per ricercare nuove sintesi culturali metapolitiche che potessero oltrepassare i confini del concetto di destra politica e la correzione di atteggiamenti inguaribilmente démodés, in un ambiente ormai a disagio con il binomio perbenista ordine-legalità e gli altri retrivi stereotipi sulla destra, e che, come ha scritto Stenio Solinas, "sogna un repulisti generale, ma che sa, alla fin fine, che tutte le rivoluzioni vengono tradite" e fa come propri punti di riferimento personaggi ignorati dalla destra ufficiale: Corneliu Codreanu, Pierre Drieu La Rochelle, Louis Ferdinand Celine, Renè Guenon, Yukyo Mishima, Leon Degrelle, Joaquin Bochaca, e perfino Che Guevara, oltre ovviamente Ezra Pound, per tentare di correggere lo stereotipo che "l'egemonia di stampo gramsciano ha fatto emergere l'impressione che dopo il tracollo dei fascismi la destra non avesse espresso niente di rilevante culturalmente. E il mondo neofascista italiano ha fatto poco per produrre una cultura autonoma" nella convinzione che, sempre parole di Tarchi, "all'assedio delle forze dell'arco costituzionale si poteva uscire meglio con l'ironia che con l'autocompatimento, che costituiva, il piatto forte della politica missina", nel tentativo di superare la dicotomia destra/sinistra che rendeva confusionale la collocazione ideologica e portava a fraintendimenti da cui il concetto di "esuli in patria" per definire quella che è stata l'esperienza umana e politica dei neofascisti negli anni del dopoguerra in un paese intriso di pregiudizi verso essi. Tanto che, a dispetto del nome, lo slogan implicito della Nuova destra era come in un ossimoro "nè destra nè sinistra", ripreso poi anche da altri movimenti d'area come ad esempio Lotta di Popolo, Lotta Studentesca, Terza Posizione, e Costruiamo l'azione.

"Gianfranco Fini a Fiuggi non ha deviato di una virgola dalle sue idee di sempre. Fini ha semplicemente ammesso pubblicamente quello che noi abbiamo sempre sostenuto, e cioè che il 'fascismo di destra' non è fascismo, e non lo è mai stato" (Pino Rauti)

Ovvero: Fini non ha rinnegato il fascismo; Fini fascista non lo è mai stato. Inizialmente la Nuova destra si raccolse attorno alla corrente del "neo-convertito" Pino Rauti, per poi uscire da quell'Msi messo tra l'incudine e il martello impantanato nelle logiche parlamentari ma coi "voti in frigorifero". Dopo la breve parentesi della segreteria Rauti nell'Msi nel 1990, l'eredità della "Nuova destra" passa nel 1995 al "Movimento sociale fiamma tricolore" (dalla quale si staccherà poco dopo l'ala "turbolenta" Forza Nuova con a capo Roberto Fiore proveniente dall'area di Terza Posizione) fondato da Rauti in seguito al percorso lineare che ha portato alla fine alla trasformazione dell'Msi in Alleanza Nazionale rendendo palese la cristallizzazione della destra italiana su quelle posizioni retrive scioviniste e legittimiste che oramai i fascisti dell'area "poundiana" non riuscivano più ad accettare, e la presa di distanza dai reazionari di Fini fu netta. Così per la prima volta un partito politico italiano potè inserire ufficialmente nel proprio programma il reddito di cittadinanza. Menzione a parte merita l'ala fanfaniana della vecchia DC di Giuseppe Dossetti, Amintore Fanfani, Giuseppe Lazzati, Antonio Amorth e Giorgio La Pira ("Nuove Cronache"), che ha sempre guardato con interesse alle teorie distributiste, purtroppo castrata dalle altre correnti e dal timore di inimicarsi i partiti con cui la Dc doveva mantenere compromessi di governo (nonché l'ambasciata statunitense, detentrice del vero potere in Italia); l'ala riformista del PSI dimostrò essere la meno avversa al distributismo, distinguendosi in ciò da quella massimalista. Superfluo specificare che l'unico sindacato italiano a sostenere il reddito di cittadinanza è stato la Cisnal. E sapete chi è stato l'unico presidente americano ad aver considerato l'introduzione del reddito di cittadinanza? Kennedy? No. Roosevelt? No. Fu il tanto deprecato Richard Nixon! Non a caso un quacchero come Paine. Richard Nixon aveva uno dei suoi più ambiziosi obiettivi proprio nell’introduzione di un reddito di base. La sperimentazione venne avviata corrispondendo l’equivalente odierno di 10mila dollari l’anno (quindi circa 800 dollari al mese) a 8.500 cittadini, senza alcuna condizione. Quale fu la conseguenza? Che le ore lavorate diminuirono del 9% (non esattamente il trionfo dell’assistenzialismo), principalmente perché i giovani sfruttarono questo reddito per proseguire gli studi, o comunque per formarsi, e perché alcuni genitori sacrificarono parte delle ore lavorative per dedicarle alla cura dei figli. Il grande piano di Nixon finì nel nulla, soprattutto a causa della strenua opposizione di uno dei suoi principali consiglieri: Martin Anderson, che per delegittimarlo si basò sul fallimento della "poor law" britannica di 150 anni prima, un metodo di sussidio simile all'imposta negativa di Friedman e quindi del tutto diverso dal reddito di base nixoniano.
In Europa il gruppo distributista più forte ed organizzato è forse quello che fa capo all’inglese Phillip Blond, il fondatore della fondazione ResPublica. Tale fondazione ha deciso di concentrare i propri sforzi nell’elaborare progetti specifici distributisti, con tanto di business plan, nei vari settori economico-sociali (per esempio educazione, artigianato, industria, agricoltura, finanza), con l’obiettivo di superare l’impasse causato dall’attuale vuoto di modelli e di proposte concrete di sviluppo. Molti di questi progetti sono stati ripresi da ministri dei vari schieramenti politici inglesi e sono in via di attuazione. Un esempio per tutti: la trasformazione di impiegati pubblici in associazioni di proprietari a cui vengono affidati determinati servizi sociali. In Spagna c’è la Cooperativa Mondragon, fondata su principi distributisti, che con i suoi circa 80.000 iscritti ed i suoi continui successi economico-sociali, rappresenta l’esempio vivente di come il distributismo possa realizzare nella pratica efficienza ed equità sociale. Esistono poi altri movimenti di entità minore in Romania, Polonia, Spagna e gruppi che si rifanno alle idee distributiste in quasi tutti i paesi europei. Negli Stati Uniti è attiva la Distributist Review, una rivista online che funge da collante tra tutti i distributisti nord-americani e di lingua inglese, molti dei quali ricoprono ruoli significativi nel mondo accademico. Recentemente il distributismo si sta diffondendo anche nei paesi dell’America del Sud. L’Italia ha una vocazione distributista, almeno per quanto riguarda la famiglia e la massima possibile diffusione della proprietà produttiva nella forma delle piccole aziende. Le banche popolari e cooperative sono inoltre un tentativo di operare una finanza al servizio del territorio, mentre dal punto di vista politico la partitocrazia ha purtroppo occupato tutti gli spazi ormai da più di 70 anni, lasciando poco spazio alla distribuzione del potere politico alle associazioni di lavoratori-proprietari per comparto occupazionale (gilde o corporazioni). Le aziende famigliari e le piccole e medie imprese, gli artigiani, i piccoli commercianti, i liberi professionisti, cioè forse la fascia produttiva più importante della nostra nazione, rappresentano una realtà in cui chi lavora è nella maggior parte dei casi anche proprietario dei mezzi di produzione. Il problema di fondo però è che, in assenza di una consapevole politica economica distributista da parte del governo, tutte queste forze sane della nostra nazione, invece che essere supportate e consolidate, vengono svantaggiate e vilipese, svuotate sempre più di poteri e ridotte in miseria da misure legislative e fiscali che avvantaggiano sempre e comunque la concentrazione di capitali nelle mani di pochi. In Italia il comunitarismo distributista ha cominciato a diffondersi in alcuni settori della DC (Fanfani), di piccoli partiti locali e della destra extraparlamentare a partire dagli anni settanta ed ha trovato spazio negli ambienti della Nouvelle Droite, senza tuttavia riuscire a dare vita ad iniziative di rilievo politico ad esclusione del Movimento Zero, fondato nel 2005 dal giornalista Massimo Fini. Attualmente, un certo richiamo al comunitarismo è stato adottato anche da settori della sinistra, dal movimento per la decrescita e da altri soggetti che ripensano globalmente la propria identità politica accogliendo anche istanze storicamente proprie dell'altra parte politica e le sviluppano, come spesso affermato, oltre i concetti di destra e sinistra, ovvero quelli che la sinistra istituzionale depreca come "rossobruni". Tuttavia, al di là della dichiarata volontà di superare le categorie di destra e sinistra permangono a tutt'oggi profonde divisioni tra le varie anime del comunitarismo, inteso in modi molto diversi a seconda degli schieramenti, che abbiamo già suddiviso tra razionali ("organicisti" tipo Demaria) ed irrazionali ("umanitaristi" tipo Olivetti). Oggi in Italia, a parte i gruppi politici di destra di area "poundiana" che vabbè stendiamo un velo pietoso, e dopo la morte di Auriti, i maggiori ideologi del reddito di cittadinanza nella sua forma distributista sono Domenico de Simone, autore del libro dal titolo che dovrebbe essere abbastanza eloquente "un milione al mese a tutti subito", e Nicolò Bellia, che all'insieme di norme giuridiche del contrattualismo fondate sul credito sociale (il cui reddito di cittadinanza lui chiama anche "compenso sociale") atte a dare finalmente una legittimità non vaga e arbitraria ai princìpi del Diritto ha dato nome "antropocrazia" (trovate qui il suo programma). Oltre a loro, il reddito di cittadinanza, interpretato dalla "destra sociale" come mero COMPLEMENTO alla fiscalità monetaria (il cui connubio è chiamato "credito sociale"), è stato portato avanti implicitamente con essa anche da Teodoro Buontempo che aveva pure presentato in parlamento una proposta di legge quando il movimento 5 stelle nemmeno esisteva, benché questo non sia certo un legame indissolubile (fiscalità monetaria e reddito di cittadinanza possono benissimo sussistere entrambi anche da soli) però comunque data l'attinenza filosofica che sta alla loro base sono sempre stati interpretati come un tutt'uno:

Ricerca su google "reddito di cittadinanza + fiscalità monetaria"

Mentre invece oggi una persona che iniziasse solo ora ad interessarsi al tema del reddito di cittadinanza troverebbe di tutto fuorché accenni al distributismo, ad Auriti, a De Simone, a Bellia, ai partiti del credito sociale, cioè a quelli che hanno portato la definizione di reddito di cittadinanza al suo livello più elevato e completo e DA SOLI l'hanno sostenuta fino a prima che saltassero sul carro tutti i parvenu che oggi l'affollano. Perchè ovviamente, regolarmente, tutti gli autori quando trattano dell'"overlapping consensus" si guardano bene dall'inserire nell'elenco (si veda ad esempio questo testo) il pur minimo riferimento all'estrema destra, come fosse una patata troppo bollente per poter essere toccata. Giusto, che gli eredi diretti della filosofia originaria, che l'hanno sviluppato nella sua forma coerente, e che unici tra tutte le ideologie l'hanno sostenuta politicamente, ne siano ostracizzati dagli ultimi arrivati? Così anch'io con tutto l'impegno che ci ho messo nel corso degli anni scrivendo nei forum, ora me lo ritrovo in testi (anche paro paro con le mie stesse parole!) e video che non fanno il minimo accenno al distributismo! E ora, leggendo nelle nuove pagine in Wikipedia in inglese, tedesco, francese, liste di nomi e di gruppi politici sostenitori, mai sentiti nominare prima in relazione alle mie ricerche sul reddito di base nel corso degli anni, mi accorgo che evidentemente il fatto che il reddito di cittadinanza fosse un istanza di destra era solo uno stereotipo, un pregiudizio... forse ho vissuto in un mondo parallelo... ah se esistesse la macchina del tempo... per poter fare gli screen delle pagine di google coi risultati della ricerca "reddito di cittadinanza" 5 anni fa (la ricerca fatta oggi con impostati parametri temporali non può dare gli stessi risultati poichè i siti vengono aggiornati, modificati, spostati, cancellati, e non tutti i webmaster inseriscono la data di creazione nei tag interni), assieme a questi nomi tipo Susan Wiest, Wolfgang Strengmann-Kuhn, Katja Kipping, Monika Lazar, Arfst Wagner, Daniel Häni, Enno Schmidt, ecc, quanti risultati sarebbero usciti... Negli ultimi anni sono spuntati come funghi personaggi di tutti i tipi quasi ad attribuirsi retroattivamente la paternità del reddito di cittadinanza... facile così, ora che non è più "politicamente scorretto"! Ma prima dov'erano i vari Martin Wolf, Robert Reich, Andrew McAfee, Erik Brynjolfsson, Jaron Lanier, Karima Delli, Elon Musk, Étienne Chouard, Harry Dahms, André Gorz, Sepp Kusstatscher, Guy Standing, Eduardo Suplicy, Claus Offe, David Purdy, Giuseppe Bronzini, Katja Kipping, Götz Werner, Valter Mutt, Annika Lillemets, Osmo Soininvaara, Li Andersson, Ailsa McKay, Hillel Steiner, Peter Vallentyne, e tutti gli altri del "Basic Income Earth Network" e dei vari partiti "dei pirati" che è oramai impossibile dei sostenitori del reddito di cittadinanza farne un elenco in un unica pagina come invece sarebbe stato possibile fare fino a 10 anni fa. Forse avevano paura di essere chiamati "antisemiti"? In tal caso, questa sarebbe la considerazione che hanno della loro amata democrazia?

“In politica nulla accade a caso. Ogni qualvolta sopravviene un avvenimento si può star certi che esso era stato previsto per svolgersi in quel modo” (Franklin Delano Roosevelt)

Ma se l'assenza di riferimenti al fascismo è comprensibile, meno lo è quella dei partiti che fanno esplicitamente riferimento perfino nel nome al credito sociale (che ribadisco, è praticamente sinonimo di reddito di cittadinanza consistendo nella coniugazione di esso con la fiscalità monetaria), partiti di rilevanza nei paesi anglosassoni, tanto che quello della provincia canadese dell'Alberta è stato anche al governo di quella provincia con William Aberhart dal 1935 al 1943, non potendo però apportare modifiche che, essendo a livello locale ed essendo anti-costituzionali, non potevano essere attuate senza il consenso del governo centrale e vennero perciò cassate nel 1937 provocando la Social Credit backbenchers' revolt. Dopo la morte di Aberhart nel 1943, l'ascesa alla leadership di Ernest Manning determinò una svolta che abbandonò ogni velleità rivoluzionaria facendolo diventare un semplice partito di destra liberale. Trovate normale che partiti dei quali il reddito di cittadinanza è la raison d'etre stessa tanto che lo portano nel nome, non vengano citati nelle relative liste? A fronte dell'inesistenza di qualunque altro partito (se eccettuiamo quelli "pirati") che lo sostenga esplicitamente (perché quello dei 5 stelle non è un reddito di cittadinanza) oltre a quelli irrilevanti di estrema destra? Questa assenza non può che confermare la motivazione dolosa dell'ostracizzazione ideologica, perché non può essere dovuta a superficiale ignoranza; soprattutto in virtù dell'assenza di citazione in riferimento al noto esperimento dell'Alberta, che ovviamente dal relativo partito di credito sociale era sostenuto politicamente, che anche quando vengono riportate, comunque si omette la collocazione ideologica di tale partito. Lo stridore si nota visitando le pagine della Wikipedia in lingua inglese sugli esponenti dei partiti del credito sociale, nelle quali vengono definiti di estrema destra, filo-fascisti (Réal Caouette, il più importante sostenitore del credito sociale tra i francofoni canadesi ha sostenuto che le sue teorie economiche sono le stesse di Benito Mussolini), antisemiti (si vedano le pagine sulle persone linkate nel template apposito); l'unico che "si salva" è il quacchero John Hargrave, fondatore della "Legione dei Disoccupati", del quale la voce in italiano riporta: "Nel 1932 entra nel Partito del Credito Sociale di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, ed in tale veste partecipa ad atti di violenza contro il Partito Comunista di Gran Bretagna e contro il British Union of Fascists. Depresso per il fatto che molti suoi compagni di partito finiscano per confluire in questo, si reca in Canada dove si candida anche alle elezioni". Difatti le accuse di antisemitismo appaiono in certi casi paradossali, notando come molti membri dei partiti del credito sociale facessero riferimento alla corrente teologica arminiana del "dispensazionalismo" (che come quaccheri e mennoniti non crede nella "salvezza attraverso le opere", ma a loro differenza ritiene che il concetto di "salvezza" vada contestualizzato), definito una sorta di "sionismo cristiano" secondo il quale uno dei maggiori obiettivi della chiesa oggi dovrebbe essere quello di sostenere l'Israele etnico (dal 1948 lo Stato di Israele); molti suoi adepti credevano nella teoria dell'israelismo britannico. Elliott (1978) sostiene che l'ideologia del credito sociale di Aberhart era chiaramente antitetica alla sua precedente teologia battista, che era altamente settaria, separatista, apolitica, ultra-mondana, ed escatologicamente orientata. Elliott sfida gli argomenti di Mann (1955) e Irving (1959) che ci fosse una connessione definita tra la teologia di Aberhart e programma politico. Elliott riferisce che il sostegno politico di Aberhart non è venuto dai gruppi settari come Mann e Irving suggeriscono, ma piuttosto è venuto dai membri delle chiese stabilite e quelli con impegno religioso marginale. In realtà ciò assume un senso nella consapevolezza come già detto che gli ebrei non sono un monolite ma anche tra essi vi sono altrettante divisioni quante ce ne sono tra i cristiani; di conseguenza si può identificare il "dispensazionalismo" come un avvicinamento a quei settori ebraici affini alle teorie distributiste del credito sociale ossia la frazione ebraica dell'osservanza massonica sudista che è la maggior fautrice dell'esistenza di uno stato ebraico contrariamente alla fazione ebraica che invece ne è contraria. Per questa ragione è folle che i fascisti, ammettendo come giustificate le ragioni che li portino ad avversare un certo tipo di ideologia ebraica, avversino lo stato di Israele ed appoggino i palestinesi, quando dovrebbe essere l'opposto! Il primo baluardo contro l'ideologia economica ebraico-nordista è proprio il sudista stato di Israele! Non è casuale che un verso di una poesia di John Turmel (già membro del "Partito canadese del credito sociale" e fondatore prima del "Partito abolizionista del Canada" e poi del "Partito pauperista canadese") sul reddito di cittadinanza dica: "Immaginate la Terra come Eden senza cause d'odio. I cristiani e i musulmani fratelli, e i nazisti e gli ebrei a vivere pacificamente assieme, tutti in accordo ed in armonia". Ma credete si possa oggi fare un discorso del genere ai partitini d'area? Utopia.

E come abbiamo già visto con Casapound (per la verifica di come Casapound sia diventata un movimento ormai egemonizzato dalle razziste "casalinghe di Voghera" sul tipo delle "Nina Moric" e quindi di stampo "maggioranza silenziosa" si veda qui, qui, e qui) non è che nel resto della cosiddetta "area" oggi sia molto meglio, anzi, proprio da quell'esempio è intuibile come proprio gli stessi diretti interessati siano in realtà funzionali ai piani antifascisti, nel caso che stiamo trattando a quello della cancellazione della paternità del reddito di cittadinanza. Tanto che a partire dal 2013 è diventata un eresia parlarne nell'area. Così anche questo tema da allora è andato ad aggiungersi a quanto da tempo denunciato da Marco Piraino e Stefano Fiorito riguardo l'identità fascista, come essa di fatto sia stata usurpata e vilipesa, proprio dai presunti apologeti del cosiddetto neofascismo, che invece ne hanno decretato la sparizione proseguendo sulle orme hitleriane continuando ad operare secondo logiche politiche congeniali al sistema antifascista, facendo associare falsamente il fascismo a idee scioviniste di destra radicale, fomentando la confusione ideologica al fine di perpetuare gli stereotipi fasulli diffusi dall’antifascismo, nella logica di annebbiamento e di confusione mentale funzionale alla strumentalizzazione e stravolgimento dell’identità fascista attuata dal radicalismo reazionario per meri fini elettoralistici (ironicamente, visti i risultati, e nonostante tutto ancora non vogliono capirlo), in cui rientra a pieno titolo la condotta ipocrita adottata dalle varie organizzazioni reazionarie alle quali del fascismo interessa soltanto l'estetica nel filone del “folklore” (croci celtiche, svastiche, bancarelle con relativi busti di Mussolini e Hitler, saluti romani, pellegrinare a Predappio conciati come Bracardi, ecc) in quell'indegna pantomima scimmiottesca neonazi-maccheronica in stile Saya o Alba dorata (che di fascista non si capisce proprio cos'abbia, essendo praticamente un Ku Klux Klan greco...), funzionale solo alla perpetuazione del sistema di questa marmaglia, questo ammasso di rottami maleodoranti e criminali che si definisce ipocritamente “rappresentante di istituzioni democratiche” e che nel corso del tempo ha raggiunto davvero bassezze inimmaginabili, reazione sconclusionata e senza costrutto se non quello della paura atavica del fascismo dovuta all’implicito riconoscimento della propria inferiorità politica rispetto ad esso.

"Gli antifascisti non s'erano dunque mai accorti del cerchio d'odio che minacciava di soffocare col cattivo anche il buon fascismo?" (Benito Mussolini)

La cognizione della gente comune e dei media è talmente sballata al punto che, non sarebbe sensato che siano i fascisti a dover prendere le distanze da Saya (come hanno ampiamente fatto tra il silenzio totale dei media), no, è sensato che sia Saya a prendere le distanze dai fascisti ed è questo l'unico verso della presa di distanze a venir considerato sensato e diffuso dai media! Certo, normale, un pò come considerare sensato che fosse Idi Amin a prendere le distanze da madre Teresa di Calcutta... e insensato l'opposto. Per culminare nel programma "Le iene", che utilizzando il consueto rancoroso pregiudizio mediatico-culturale, se ne esce con "come si fa ad associare quest'uomo alla peggiore ideologia sulla faccia della terra?", che per quanto abbia chiaramente un senso ironico diretto al Saya, non fa altro che far passare per reali i soliti falsi pregiudizi fonte di odio a chi incapace di capire l'ironia di quella frase. Del resto, come già rilevato, le innumerevoli sigle della frastagliata galassia radical destrorsa fintofascista, non a caso tutte filiazioni più o meno dirette del fu Msi finiano, non fanno altro che continuarne il compito istituzionale di banalizzare, ridicolizzare, criminalizzare e dunque neutralizzare con la loro stessa esistenza il fardello ideologico, altrimenti assai pericoloso per i giochi di potere dei misantropi anti-sociali, contenuto nell'ideale fascista da loro indebitamente rappresentato per diretta volontà della repubblica antifascista. Dopotutto, come è noto, il principale oppositore della messa fuori legge dell'Msi è sempre stato il Pci, e non certo per benevolenza ma per suo interesse; mentre il più tenace fautore di essa è stato per antonomasia il più destrorso della Dc, Mario Scelba. La sostanza del discorso è tutta qua.

"Adolf Hitler è stato il miglior agente segreto che il capitalismo internazionale abbia mai avuto, il vero responsabile della scomparsa del fascismo" (Stanis Ruinas)

Ora invece, di punto in bianco, si scopre improvvisamente (nonostante il funambolismo “culturale” dei gruppi in questione non costituisca una novità) che il reddito di cittadinanza non sarebbe mai stato un punto programmatico del neofascismo... certo, così ha deciso Casapound... no che invece c'è una appropriazione indebita in atto, un usurpazione di titolo e di rappresentanza. Ora è toccato al fondamento stesso delle teorie distributiste fasciste, il reddito di cittadinanza. L'usurpato, solitamente smentisce chi usurpa finchè non la smette, invece mi pare di stare a gridare nel deserto. Da un lato c'è l'usurpazione del concetto di destra sociale, e dall'altra il rinnegamento del suo caposaldo reddito di cittadinanza e relativa appropriazione del nome da parte di gruppi che con la destra sociale non hanno niente a che vedere. Finchè appariva funzionale lasciarlo ai "populisti neofascisti" lo si è lasciato, ora che invece da populista è diventato popolare e non si può tornare indietro nel tempo per modificare il passato, si cerca di cancellarne dalla memoria tale origine utilizzando gli stessi protagonisti come strumenti atti ad auto-rinnegarlo per ottenere tale scopo facilmente. E ci stanno anche riuscendo! Queste marionette, coscienti o meno, gettano continuamente da decenni fango sul fascismo mussoliniano facendolo apparire per ciò che non è. Il sistema antifascista ha demandato loro il compito di spacciarsi più o meno ufficialmente per fascisti, facendo in modo che incarnino tutti gli stereotipi fasulli da esso elaborati riguardo il fascismo in quella "corte dei miracoli" che sono i partitini di destra affetti da "ducismo" dei loro capetti che si svegliano una mattina con il piripicchio di fondare un altro ennesimo partito da 0,1% con l'unico scopo di vivacchiare coi soldi del tesseramento. Ovviamente ciò costituisce una ulteriore aggravante del fatto che comunque i loro programmi e le loro azioni si iscrivono pienamente nel solco della partitocrazia antifascista. La loro stessa esistenza è dovuta esclusivamente al compito loro affidato di delegittimare l'identità fascista, senza l'obbligo di assolvere tale compito il sistema antifascista non saprebbe che farsene di costoro e dunque è plausibile che nemmeno esisterebbero. Ma se, dopo aver dimostrato con tanto di prove scientifiche che il fascismo non è affatto quell'arnese malefico e reazionario dipinto dal sistema antifascista né tantomeno è rappresentato da quell'accozzaglia patetica e ridicola ancorché criminale dei gruppi della galassia radical-destrorsa reazionaria che ne usurpano indegnamente il nome, ciò implica una netta denuncia nei confronti di chi il fascismo lo usurpa per i fini di cui sopra. L'esempio oggi più lampante è appunto il rinnegamento postumo del reddito di cittadinanza, ed il paradosso si raggiunge proprio con Casapound, perchè se l'usurpazione del marchio fascista può anche passare per giustificabile in quanto esso si presta facilmente a vaghe diverse interpretazioni vista la vastità dei significati dati alla sua accezione (praticamente ad ogni cosa considerata negativamente), ed in questo contesto bisogna riconoscere proprio l'onestà di Casapound nel rigettare l'etichetta di "fascista", il nome di Ezra Pound invece rappresenta un'accezione univoca e non opinabile, e la sua usurpazione da parte di un gruppo che propaganda idee opposte ed inconciliabili a quelle del poeta non può certo essere comprensibile.

"Bisogna - checché i superficiali pensino il contrario - prendere sul serio, molto sul serio, i poeti. Essi esprimono quanto cova di profondo e confuso nell'anima dei loro popoli!" (Benito Mussolini)

Tutto questo prima della nascita del movimento 5 stelle. Scrivo solo ora ciò proprio in quanto da sempre consapevole (diversamente da loro che consideravo degli entusiasti illusi) dell'assoluta impossibilità di anche solo proporre il reddito di cittadinanza in uno stato social-democratico (ovvero non dotato di un sistema economico e soprattutto fiscale del tipo progettato dall'ideologia distributista cioè iper-liberismo compensato, sistema che gli è necessario come base per poterlo mettere in essere) ed antifascista (essendo il distributista reddito di cittadinanza un concetto economico antitetico alla concezione economica dominante, quella social-democratica "azionista-umanista-individualista" dello statalismo dirigista clientelare), essendo originato non fine a sé stesso ma come complemento della teoria della fiscalità monetaria, spontaneamente all'interno del calderone delle teorie centrate sul sistema economico del "credito sociale" distributista fatto proprio dal fascismo "di sinistra" (socializzazione, corporativismo, democrazia organica, personalismo, razionalismo, positivismo, fiscalità monetaria, georgismo, attualismo, planismo, ecc). Il problema di cui i 5 stelle non sono al corrente, visti quali sono i nemici del reddito di cittadinanza (i vertici di un certo mondo finanziario-religioso), è che chiamandolo reddito di cittadinanza fanno credere a questi potenti che si tratti del vero reddito di cittadinanza, così quando lo avessero chiamato con un altro nome il suo iter sarebbe liscio, chiamandolo equivocamente così ne rendono utopica l'approvazione. Ma ora il tema sta diventando caldo dato che pare che prossimamente andrà sorprendentemente in parlamento (e quando mai ci saremmo aspettati di vedere in questa vita una simile lieta eresia, noi "neofascisti"???), per cui, piacevolmente sorpreso da ciò, e dopo l'episodio sulla pagina della deputata, come ho detto mi sono premurato di andare ad informarmi bene sul progetto 5 stelle.

“Uno dei rimedi più efficaci perché le cose non cambino mai all’interno è rinnovarle costantemente all’esterno” (Antonio Machado)

Differenze tra reddito di cittadinanza e sussidio 5 stelle

Ebbene, dopo essermi informato sono andato nelle pagine 5 stelle a precisargli che quello a cui loro danno nome "reddito di cittadinanza" è in realtà, per come da essi impostato ufficialmente, solo un normalissimo banale sussidio di disoccupazione di natura assistenziale social-democratica clientelare come già esistono in molti paesi (mentre il distributista reddito di cittadinanza non è mai stato applicato, ma nemmeno lontanamente considerato, in alcun luogo e tempo, a differenza della loro tiritera "esiste già in tutta Europa") e non si può certo dire abbiano apportato nulla di straordinario come risultato di cui menar vanto, difatti a differenza del reddito di cittadinanza per come da un secolo pianificato da economisti d'area distributista, quello proposto dai 5 stelle non è universale, non è incondizionato ma anzi è legato a precisi obblighi e parametri, è temporaneo, non è automatico ma si ottiene dietro domanda, è originato da motivazioni e scopi differenti (l'assistenza personalizzata anziché la fluidificazione compensativa in chiave anti-statalista ed anti-dirigista del sistema economico) e quindi così impostato, e propone una cifra totalmente avulsa dal concetto di integrazione e base ma bensì in pratica sostitutiva (cifra talmente elevata che tra l'altro lo rende palesemente insostenibile fiscalmente soprattutto col sistema fiscale social-democratico reddituale progressivo a scaglioni, non prevedendo apparentemente i suoi promotori modifiche in tal senso) e quindi passibile di fallimento, e comunque in ogni caso inutile ed anzi deleterio anche qualora venisse fatto sopravvivere dato che il risultato sarebbe inevitabilmente inflazione e aumento della disoccupazione con relativa stagflazione (ed i motivi sono spiegati nel corso del testo, pur essendo essi talmente ovvi che non dovrebbe essere necessario farlo).
Tralasciando i motivi di ordine etico, la differenza di ordine economico con quello che mi par di capire essere il loro concetto è questa: il reddito di cittadinanza è indipendente dal fatto che uno lavori o meno, che abbia altri redditi o meno, e serve non come sussidio personale ma come base per un sistema economico nazionale più fluido in senso liberista a compensare le falle derivabili dal totale laissez faire nel quale esso va inderogabilmente inserito e per compensare le quali è il suo senso stesso; un reddito di cittadinanza è per definizione PER TUTTI, altrimenti è solo il solito normale ed inefficiente sussidio di disoccupazione di natura clientelare; il reddito di cittadinanza è universale ed incondizionato ovvero distribuito senza alcun parametro discriminatorio (è piuttosto ovvio che un milionario pur avendone diritto non si metterà in fila una volta al mese a ritirarlo... e proprio per tale ragione non sarebbe accreditabile automaticamente su conti bancari), mentre quello che propongono i 5 stelle presenta quella differenza che fa di esso non un reddito di cittadinanza ma un sussidio, in quanto unicamente destinato solo a determinate categorie di persone, cosa che vanificherebbe così il senso stesso di fluidificazione economica compensativa scopo del reddito di cittadinanza. L’aiuto alla povertà genera solo ulteriore povertà. Come dando una sovvenzione come incentivo alla vendita di automobili vengono vendute più automobili, allo stesso modo incentivando la povertà, sovvenzionandola, si avranno più poveri. Un sistema assistenziale predisposto esclusivamente solo per i poveri, porta al rischio della cosiddetta trappola della povertà.

“Se tu paghi la gente che non lavora e la tassi quando lavora, non esser sorpreso se produci disoccupazione” (Milton Friedman)

Con questo termine si intende il fatto che i poveri, al fine di non perdere la dotazione di un sussidio certo, tendono a rifiutare occasioni di lavoro (magari malpagate e saltuarie) la cui accettazione comporterebbe la perdita del sussidio (ed è la forma prevista dai 5 stelle). Ora, dato che i salari sono ormai scesi fino ad anche 400 euro, ed il sussidio proposto dai 5 stelle è di 780 euro, viene da chiedersi chi rinuncerebbe a 780 euro per 400... Invece la "less liability" determinata dall’universalità del reddito di cittadinanza, che sarebbe corrisposto indistintamente sia ai ricchi sia ai poveri, sia che si abbiano altri redditi o no, evita il rischio delle trappole della povertà e della disoccupazione consistenti in quelle zone grigie realizzate proprio dalle condizioni necessarie per ricevere il sostegno pubblico, e che si rivelano un disincentivo alla ricerca di impiego. Per alcuni soggetti, infatti, risulta più conveniente usufruire del beneficio pubblico che svolgere un’attività con retribuzione pari o poco superiore rispetto al beneficio (che si verrebbe a perdere). Il nuovo lavoro, a conti fatti, potrebbe rappresentare una perdita economica netta: a parità di reddito, aumenterebbero le ore di lavoro e diminuirebbero quelle dedicate ad altre attività. Al destinatario potrà così risultare più conveniente svolgere una qualche attività retribuita ma non dichiararla, evitando in questo modo l’esclusione dal beneficio. Le condizioni imposte, oltre a costituire un disincentivo al lavoro, si rivelano dunque una sovvenzione per i disonesti e una penalizzazione per quanti rispettano le regole, incentivando la disonestà. Un aspetto troppo poco sottolineato del sistema di protezione sociale odierno è legato alla necessaria prova dei mezzi a cui esso fa ricorso. Con essa, ciò che in fondo le agenzie sociali chiedono alle persone che vi si rivolgono è una particolare ammissione di colpevolezza consistente nel riconoscersi incapaci di provvedere con le proprie forze e i propri mezzi al proprio sostentamento e a quello dei propri congiunti. Questo aspetto dello stigma sociale è stato messo bene in evidenza da Richard Sennett nel 2004. Sennett spiega come questa ammissione di colpevolezza sia solo il punto iniziale di politiche che, senza nulla togliere alla nobiltà degli obiettivi che si prefiggono, risultano fortemente invasive e paternalistiche. Le istituzioni sociali attuali non si fanno solo carico delle problematiche sociali, ma decidono anche come farsene carico e quale sia il modo migliore per l’utente di uscire dalla propria condizione di bisogno. Ciò che sembra venire escluso è che i richiedenti sappiano prendere decisioni per la propria vita e scegliere cosa sia meglio per sé e per il proprio progetto di vita:
È proprio questo elemento dell’autonomia che viene escluso nella storia della burocrazia del welfare. Ai fondatori del welfare state sembrava che per soccorrere i bisognosi fosse necessario creare un’istituzione che precisasse di che cosa gli utenti avessero bisogno. Sembrava irrazionale fornire risorse senza precise indicazioni di impiego, ma il risultato fu che l’amministrazione non imparò ad ammettere un’autonomia in coloro che serviva (Richard Sennett).
Una policy in denaro, universale e incondizionata, si presenta come tendenzialmente immune a questi problemi, e proprio per questo può rappresentare una base di riforma condivisibile sia da quanti si augurano una diminuzione delle azioni ispettive e paternalistiche (in vista di uno Stato minimo) sia da coloro che si propongono obiettivi emancipativi e una cittadinanza più inclusiva (evitando lo stigma che le persone più povere subiscono a causa della prova dei mezzi). Il reddito di cittadinanza consentirebbe di eludere la trappola della povertà e della disoccupazione perché l’accettazione di un lavoro offrirebbe semplicemente un reddito più alto, diminuirebbe drasticamente la necessità di controlli e permetterebbe una gestione burocratica più leggera e di conseguenza meno costosa. Sintetizzando, nella definizione di Andrea Fumagalli: il reddito minimo garantito comporta che, per esempio, chi non ha un reddito riceva 800 euro al mese, chi invece ha un reddito di 600 euro ne riceva altri 200, come integrazione, e chi guadagna più di 800 euro non riceva nulla. Tutti smetterebbero di lavorare. Il vero e proprio reddito di cittadinanza prevede invece che vengano dati tot euro mensili a tutti, dal disoccupato nullatenente fino a Bill Gates. Nessuno smetterebbe di lavorare. Ma perché mai lo stato dovrebbe spendere soldi per darne a chi non ne ha bisogno? È proprio per rispondere a questa domanda che ritorna la questione della pigrizia. L’errore consiste qui nell’assimilare al "lavoro", e più particolarmente al lavoro salariato, ogni forma di attività umana. Ora, rifiutare il lavoro salariato non significa "non voler fare niente". I sostenitori del reddito di cittadinanza da elargire a tutti, miliardari compresi, sostengono che solo attraverso uno strumento di questo tipo si evita che le persone siano disincentivate a lavorare. La logica è la seguente: se lo stato mi dà 800 euro indipendentemente da tutto e mi viene offerto un lavoro da 1.000 euro al mese, lo accetterò volentieri, perché avrò così la possibilità di mettere assieme 1.800 euro mensili. Se invece accettare quel lavoro dovesse provocare la perdita del reddito di base di 800 euro, lo rifiuterei: perché dovrei lavorare 40 ore a settimana per 200 euro in più? André Gorz ha insistito molto sull’idea che il reddito di base non si prefigge affatto di dispensare dal lavoro, ma piuttosto di dare migliori mezzi per scegliere il proprio lavoro. “Non riesco a considerare una conseguenza negativa il fatto che una persona, grazie al reddito minimo, abbia la possibilità di rifiutare un lavoro. Anzi, che un lavoratore sia messo nelle condizioni di rifiutare i lavori malpagati è solo positivo, potrebbe anche portare a una crescita dei salari”, prosegue Fumagalli, sostenitore però di un reddito di base la cui elargizione si interrompa oltre una certa soglia di reddito. I sussidi sono perciò un "incentivo alla povertà", mentre l'universalità permanente ed incondizionata del reddito di cittadinanza esclude totalmente questa ipotesi. Il timore di veder instaurarsi, con il reddito di cittadinanza, una società di oziosi e di fannulloni sembra infondato. Piuttosto, sono proprio le attuali indennità di disoccupazione a dissuadere spesso dal cercare un’occupazione, poiché esse vengono diminuite o soppresse quando i redditi lavorativi aumentano. Il reddito di cittadinanza, invece, non incita a non lavorare più, poiché lavorando lo si percepisce sempre.

"Il reddito garantito non è destinato a pagare persone che non fanno niente, ma a dar loro più autonomia nella scelta della loro attività" (Jean Zin)

Tuttavia per alcuni (lo stesso André Gorz, l'associazione Vivant-Europe, Jacques Marseille, René Passet, Yves Cochet, Jean Zin, Richard C. Cook, ed in generale quelli di sinistra), il reddito di cittadinanza deve, da solo, permettere di far vivere coloro che se ne accontenterebbero, e quindi lo propongono in cifre elevate, mentre per altri (Yoland Bresson, Philippe Van Parijs, Christine Boutin, Marc de Basquiat, Jean-Marc Ferry, Henri Guitton, Olivier Auber, ed in generale i social-liberisti radicali ed i distributisti) si tratta soltanto di un reddito di base (quindi al minimo indispensabile) che dovrebbe necessariamente essere combinato con altri redditi per poter mantenere un livello di vita normale. I primi si preoccupano di veder delineare una società divisa in due classi di popolazione: da un lato, quelli che avrebbero solo il reddito di cittadinanza per vivere e dall’altra quelli che avrebbero in più un posto di lavoro. I secondi rispondono che oggi la società è già divisa in due classi di popolazione: da un lato, quelli che non hanno alcun reddito per vivere e dall’altra quelli che hanno un posto di lavoro. Tra i primi, "ad esempio, il diritto alla casa", scrive Michel Husson, "sarebbe meglio garantito dalla distribuzione di sussidi in denaro o dalla socializzazione dell’offerta di case? [...] Non sarebbe meglio estendere il campo dei servizi pubblici e della gratuità per assicurare la realtà dei diritti sociali?". I secondi rispondono che i fondi li sa gestire meglio la persona direttamente interessata (si ricordi l'esempio fatto riguardo il "free-riding" sul trasporto pubblico gratis), che burocrati dedicati. Insomma per i primi l'erogazione è un fine e non un mezzo quale è invece il vero senso del reddito di cittadinanza. Una cifra che possa garantire un minimo sostegno e fungere da base senza essere assunta a surrogato dello stipendio, ed io non credo che 300 euro al mese potrebbero spingere a non lavorare come invece farebbero cifre sugli 800. Voi smettereste di lavorare accontentandovi di un reddito di base di 300 euro? Perchè questa è la cifra di cui si sta parlando qui, questa è la cifra ideale di un reddito di base. 800 non è un reddito *di base* per definizione stessa. Il punto della questione è proprio stabilire una cifra di compromesso tra le due propensioni, esisterà tra tutte le cifre possibili una che corrisponda a ciò o no? 0 è meglio o peggio di una qualunque cifra superiore a 0? Quindi qualunque cifra maggiore di 0 non è "inutile" come sostengono quelli che sputando così sui soldi dimostrano di essere dei viziati ben pasciuti nel loro opulento egocentrismo ignari che ci siano persone per le quali anche un solo euro in più è vitale (legge dell'utilità marginale). Questi che sostengono che 320 euro siano "inutili" (mostrando di non comprendere nemmeno lo scopo cui sono finalizzati) corrispondono poi regolarmente agli stessi che trovano normale che l'affitto per una casa sia di cifre folli ed avulse da ogni buon senso logico come 400 euro al mese! Il reddito di cittadinanza è il problema, non i prezzi degli affitti, secondo loro! Se 320 euro sono pochi per pagare un affitto di 400, gli attuali 0 invece sono abbastanza? Se loro 300 euro li considerano superflui, devono sminuirli pure a quelli per i quali sarebbero vitali (pur non essendo il loro scopo di fungere da sussidio ma da base, per cui superflui non lo sarebbero per NESSUNO indipendentemente dalle interpretazioni personali)? Compito della società non è fornire ai propri cittadini questo diritto come alcuni dicono, ma è l'opposto: la società deve smetterla di toglierglielo! Perché così oggi è! Il reddito di cittadinanza non è un qualcosa che la società "regalerebbe" ai singoli, ma che smetterebbe di negare!
Il reddito di cittadinanza non è un elemosina elargita paternalisticamente di cui dover dimostrare gratitudine ma è un diritto acquisito "per nascita" in quanto cittadino.

"Pretendete di non implorare ciò che vi viene di diritto!" (Roberto Saviano)

In questo si inseriscono le analisi sul potere ad opera di Max Weber, Ralph Dahrendorf, e Claus Offe, elaborate sulla scorta delle filosofie ottocentesche di cui abbiamo già scritto, in particolare da Norbert Elias, John Rawls, Hans Jonas, che basandosi sul concetto di contratto sociale di Locke, Rousseau, Kant, hanno analizzato la trasformazione del potere oggi, studi poi ripresi anche da Niklas Luhmann e Jürgen Habermas sull'onda di Weber, Schmitt, Kelsen. Molto forte in Dahrendorf è il concetto di "potere", che egli definisce, sulla scia di Max Weber, come la capacità di far fare agli altri quello che si vuole, cioè di farsi obbedire. Il potere determina la struttura sociale, anche in maniera coercitiva. Le "norme" - altro concetto chiave - sono stabilite e mantenute dal potere, e servono a tutelare degli interessi. Sono quindi funzionali agli interessi del potere e non frutto del consenso sociale. Una prova di ciò è nel fatto che a tutela delle norme sono previste delle sanzioni. Le norme, sostenute dal potere, definiscono i criteri di desiderabilità sociale, cioè le cose (valori, status, ambizioni, etc.) che sono generalmente desiderate dalla collettività. Questo contribuisce a stabilire un ordine gerarchico di status sociali. Le norme creano anche discriminazione verso chi non vi si conforma. Un altro concetto importante è quello di "autorità", in rapporto a quello di potere: l'autorità è l'esercizio del potere, ma con legittimità ed entro certi limiti. Per capire meglio si può far un esempio: un'università ha l'autorità sufficiente per chiedere la retta annuale ai propri iscritti, ma non, ad esempio, per estorcere prestazioni personali di altro tipo. Un ladro, invece, ha il potere di estorcere denaro, ma non l'autorità. Dahrendorf sostiene che la divisione in classi è determinata dal possesso o meno di autorità: il conflitto (di classe) coinvolge solo due parti, e l'autorità è ciò che le separa. Per quanto riguarda la mobilitazione e la protesta sociale, Dahrendorf, afferma che sono necessari quattro tipi di requisiti perché questa abbia luogo: tecnici (un fondatore, un'ideologia o uno statuto); politici (uno stato liberale, a differenza di uno autoritario, favorisce la protesta); sociali (la concentrazione geografica dei membri del gruppo, la facilità di comunicazione ed il reclutamento simile); psicologici (gli interessi da difendere devono apparire reali). Il conflitto sarà caratterizzato dal livello di violenza (il "tipo di armi", anche in senso metaforico, usato) e intensità, intesa come livello di dispendio di energie nella lotta. Il conflitto avviene tra chi dà e chi riceve ordini. Nello stato vi è una classe dirigente e una burocrazia composta di individui che contribuiscono a far sì che gli ordini del vertice siano rispettati da tutti. La presenza di questa burocrazia allarga la base del consenso. Vi è anche un conflitto tra governo e industria. In quest'ottica si inseriscono le conseguenze etiche del reddito di cittadinanza come "contratto sociale". Dal famigerato articolo 1 della costituzione italiana si potrebbe dedurre teoricamente che l'uomo diventa cittadino quando dimostra di contribuire con la sua attività al progresso della società; ma a prescindere dalla impossibilità, quasi permanente, di accedere al lavoro, senza lottare o trovare vie secondarie; quando poi qualche volta lo si trova, si capovolge la prassi che è poi la morale: non si esplica lavoro per essere cittadini e per conseguenza soddisfare le proprie esigenze economiche; si cerca guadagno come causa e non come effetto del lavoro; e nei casi in cui il guadagno è facile pochi si preoccupano di verificare se il lavoro ha un fine sociale. Questo stravolgimento ha generato gli effetti che vanno sotto il nome generico di "consumismo", con la modificazione dei rapporti sociali dalle "classi" ai "ceti" studiata da Weber, Dahrendorf, e Offe, ovvero non più distinti dai redditi in sé ma dalla condotta di vita e dal consumo a prescindere dal reddito. Difatti oggi le classi non esistono più, oggi la società si divide in due distinte categorie uniformi: Purtroppo questi autori, così come la plebaglia odierna, non riuscirono a rendersi conto che la soluzione da loro proposta, la democrazia deliberativa, era fondata proprio sulla causa stessa del problema, che quindi sarebbe andata ad aggravare (come ci ha dimostrato la sua applicazione nei paesi sovietici). La teoria della democrazia deliberativa è fondamentale per Habermas e Costantino Mortati. E' comunque concettualmente nota a John Rawls, John Dewey e Hannah Arendt. Alcuni risalgono più indietro nel tempo, evocando John Stuart Mill e Jean-Jacques Rousseau. L'espressione "democrazia deliberativa" è presente, tuttavia, per esteso per la prima volta in un saggio moderno di Joseph Bessette. Per questo gli argomenti a favore del reddito di cittadinanza non possono limitarsi a considerazioni di ordine economico, piuttosto si rifanno a una concezione della società giusta e legittima, per sradicare non solo la povertà strettamente e staticamente definita per fortuna oggi non più diffusa come un tempo, ma piuttosto l’esclusione sociale che ha preso il posto della povertà materiale, con tutte le sue conseguenze. E' comunque curioso che in tutti questi anni l’obiezione etica abbia sempre prevalso rispetto all’obiezione tecnica, relativa alla fattibilità di finanziare un meccanismo del genere, e agli interrogativi sulla realizzabilità politica di quest’idea, che non trova resistenza solo nelle lobbies e nei paladini del mercato libero, ma anche nelle tradizioni di pensiero non mainstream, certamente interessate a cambiare l’attuale stato delle cose, ma evidentemente caratterizzate da una visuale limitata e retrograda: l’approccio moralista in tema di povertà, ovvero l’atteggiamento che porta a pensare che i poveri siano pigri e svogliati, quindi incentivati a non fare nulla se aiutati economicamente. E’ ciò che pensano e temono i contrari a qualsiasi forma di sostegno al reddito. Rigorosamente persone che solo per loro fortuna non hanno mai avuto problemi economici e quindi non possono comprenderne le cause. Secondo il pensiero di Owen nessuno è responsabile dei propri desideri e delle proprie azioni perché tutto il suo carattere è formato indipendentemente da sé stesso, ma dall'ambiente in cui vive. Per cui all'ottuso concetto di Martin Hirsch "la lotta contro la povertà passa attraverso l’occupazione" quando invece la povertà è in primo luogo una faccenda solo di reddito, rispondiamo con:

"Essere poveri significa semplicemente non avere soldi" (Milton Friedman)

Nel suo libro "Utopia for Realists", Rutger Bregman, punta a smontare con analisi e dati alcune critiche comuni al reddito di base, come "i poveri non sanno gestire i soldi". “Siamo convinti che li spendano in fast food e Coca Cola, invece che in frutta fresca e libri. Quindi, per aiutarli, abbiamo ideato una miriade di programmi d’assistenza innovativi, che però prevedono montagne di burocrazia, complessi sistemi di registrazione e un esercito di ispettori, che ruotano tutti intorno al medesimo principio secondo cui ‘I soldi gratis rendono le persone pigre’. Tuttavia, stando ai dati, non è così”. Bregman scrive che diverse ricerche hanno messo in relazione la retribuzione reddituale incondizionata con un calo di reati, maltrattamenti domestici, mortalità infantile, malnutrizione, gravidanze in adolescenza e assenteismo e con il miglioramento di performance scolastiche, crescita economica e uguaglianza di genere (il tutto a fronte di un aumento dei divorzi). E se ciò non fosse perfino ovvio, anche l’economista Charles Kenny fa notare che "il motivo principale per cui i poveri sono poveri è che non hanno abbastanza soldi e non dovrebbe sorprendere che dar loro soldi sia efficace nel ridurre il problema". Questa consapevolezza sull'origine nell'ambiente sociale fu studiata dal principale teorico del naturalismo francese, uno dei principali fautori del positivismo sociologico, e uno dei primi operatori di Critica storicistica, Hippolyte Taine, alla quale diede il nome di "teoria del milieu", capostipite del movimento dello storicismo letterario. E' evidente in lui il concetto di determinismo: il comportamento non è legato alla libera scelta dell'uomo, ma è condizionato da fattori a lui esterni, come l'educazione, l'ambiente sociale, le malattie, i bisogni economici, per cui ogni espressione umana è il risultato di tre fattori: quello ereditario (razza), l'ambiente sociale ("milieu") e il momento storico; perciò i sentimenti stessi dell'uomo vanno descritti come il risultato di un processo meccanico, chimico o fisico: "il vizio e la virtù sono prodotti come il vetriolo e lo zucchero"

"Si può considerare l'uomo come un animale di specie superiore che produce filosofie e poemi press'a poco come i bachi da seta fanno i loro bozzoli e le api i loro alveari" (Hippolyte Taine)

Oltre agli studiosi non di sinistra, il complesso della visione consequenzialista del reddito di cittadinanza viene rimpinguata poi recentemente dalle analisi di alcuni studiosi di sinistra, tra cui Hillel Steiner, Peter Vallentyne, Guy Standing, André Gorz, che apportano un contributo al consequenzialismo del reddito di cittadinanza dal punto di vista delle istanze tipiche della sinistra (e questo ci mostra che non tutti quelli di sinistra sono necessariamente sottosviluppati mentali). Purtroppo quello che riduce in essi le capacità di analisi è l'ottuso ed inestirpabile pregiudizio antifascista che li caratterizza, e che determina funambolismi ideologici a sostenere il concetto evitando di "scadere" in concetti riconducibili non solo al fascismo ma anche al laissez faire. Gli scritti di Steiner si concentrano sul lavoro filosofico contemporaneo sulla analisi concettuale della libertà, dei diritti e della giustizia, e sul rapporto tra razionalità morale ed economico. In esso, si sviluppa quello che è da allora conosciuto come una teoria della giustizia distributiva della sinistra libertaria (in Italia rappresentata dal partito radicale). Steiner si impunta sulla concezione pura della libertà negativa, come un modello liberale di sfruttamento. Abbracciando il diritto libertario di auto-proprietà, egli sostiene che la sua universalizzazione coerente richiede che gli individui sono titolari con pari diritti alla libertà negativa che sono di portata globale e che tengano conto delle disuguaglianze interpersonali nei valori delle risorse naturali, compresi quelli di dotazioni genetiche. Steiner ha coniato il termine "throffer" per definire la coercizione del ricatto "lavora o muori di fame". Vallentyne ha scritto su una varietà di argomenti in teoria etica e filosofia politica, tra cui consequenzialismo, contrattualismo, dilemmi morali, la responsabilità, l'uguaglianza, l'auto-proprietà, la libertà e la giustizia. Standing (sempre quello che vorrebbe contrastare il fascismo applicando il programma fascista) è un noto sostenitore della democrazia deliberativa e della necessità di un reddito di base. Egli rimprovera alla globalizzazione di aver precipitato sempre più individui nella dimensione del precariato, che egli analizza come una nuova classe sociale emergente, e nel precariato non individua solo la sofferenza derivante dall'incertezza del posto di lavoro ma anche un'insicurezza nella stessa identità e l'impossibilità di esercitare un controllo sul tempo, effetti derivanti, e non da ultimo, da politiche sociali di workfare. Descrive il precariato come un agglomerato di numerosi e differenti gruppi sociali: gli immigrati, giovani istruiti, e le classi lavoratrici industriali, per cui richiama i politici alla necessità di mettere in campo ambiziose riforme sociali e politiche che vadano in direzione del riconoscimento del diritto alla sicurezza finanziaria. Sostiene che l'introduzione di un reddito di base sarebbe un passo importante verso un nuovo approccio. Egli prevede che, in mancanza di decisioni coraggiose e incisive su questi temi, le società andranno incontro a ondate di violenza e di collera, e all'emergere di istanze populistiche o intolleranti. Gorz critica la sottomissione della società agli imperativi della ragione economica. Lo strutturalismo, per il suo postulato (la centralità della struttura) e per la sua negazione del soggetto e della soggettività, è fatto oggetto di violente critiche. Il suo posizionamento è ora anti-istituzionale, ora anti-strutturalista e anti-autoritario. Attraverso un pensiero fondamentalmente anti-economista, anti-utilitarista e anti-produttivista, egli combina questo rifiuto della logica capitalista d'accumulo di materie prime, di energie e di lavoro, a una critica del consumismo. La sua opposizione all'individualismo edonista e utilitarista, come al collettivismo materialista e produttivista, riflette l'importanza, nel suo pensiero, della rivendicazione del valore sociale della persona. La sua difesa dell'autonomia dell'individuo è consustanziale alla sua riflessione ecologica; si dedica, con Illich e contro le tendenze ambientaliste sistemiche o ecocentriste, a difendere una corrente umanista per la quale l'ambiente si concepisce in senso largo come un ambiente umano. La sua presentazione dell'ecologia come mezzo di trasformazione sociale radicale e frontale del capitalismo riflette una concezione nettamente più anticapitalista. Mettendo l'accento sulla relazione intrinseca tra produttivismo, totalitarismo e logica del profitto, egli afferma un legame strutturale tra crisi ecologica e crisi capitalistica da sovraccumulo. Egli chiama dunque a una "rivoluzione ecologica, sociale e culturale che abolisca le costrizioni del capitalismo". Ma egli aspira anche a riconciliare questo progetto ecologista con l'utopia socialista dell'abolizione della proprietà privata, da cui deriva la sua contestazione virulenta del marxismo e del culto del proletariato, che urta i circoli della sinistra tradizionale ma raccoglie buon successo presso una generazione per la quale il tema sono le istituzioni che non rispondono più ai bisogni di maggiore autonomia individuale. Egli ha effettuato una fine analisi del capitalismo, in particolare dei suoi aspetti più moderni, spiegando come esso sfrutti le capacità dei lavoratori, che essi non possono sviluppare se non in un sistema di formazione, e di investimenti personali che non sono remunerati. Gorz diventa favorevole all'idea di un reddito di cittadinanza indipendente dal lavoro, sviluppando in particolare le proprie riflessioni sulla differenza tra ricchezza e valore.

"La libertà non accompagnata e sorretta da un minimo di autonomia economica, dalla emancipazione dal morso dei bisogni essenziali, non esiste per l'individuo, è un mero fantasma. L'individuo in tal caso è schiavo della sua miseria, umiliato dalla sua soggezione; e la vita non può avere per lui che un aspetto e una lusinga: il materiale. Libero di diritto, servo di fatto" (Carlo Rosselli)

Secondo tutti questi autori il reddito di cittadinanza renderebbe finalmente effettiva l’emancipazione dai bisogni primari che dovrebbe essere il risultato di millenni di progresso civile e tecnologico. Ogni cittadino avrebbe la possibilità di coltivare i propri talenti e non dover correre per fame a occupare il primo posto di lavoro che si presenta creando il fenomeno della dislocazione professionale: per esempio, se un ragazzo con l’aspirazione per l’agraria viene spinto a studiare economia e commercio e poi si impiega come amministratore, e un altro con il talento per l’economia trova il posto occupato e si impiega in agricoltura, grazie a questa semplice dislocazione dettata dal timore per il lavoro, avremo sempre due talenti nella società ma inutilizzati e invece di due promotori dell’economia avremo due mediocri funzionari e tutta la società potrebbe deperire perché gestita da persone che non sono inette in sé, ma talenti dislocati. Ed a prescindere dal percorso scolastico che è già più comprensibile, vi è pure un dislocamento peggiore, cioè quello di chi ha compiuto determinati studi, ma poi è costretto a raccattare per disperazione il primo posto che gli si presenti, abbiamo così non solo un dislocamento delle attitudini, ma proprio una errata assegnazione delle mansioni, cosicché ci sarà chi ha studiato da cuoco (che fosse sua aspirazione o meno) che è costretto a fare il meccanico, e di conseguenza, essendo i posti da meccanico già occupati da cuochi, allo stesso modo chi ha studiato da meccanico dovrà per disperazione accettare il primo posto che gli capiti, magari con la mansione di... cuoco!!! E' un mondo normale questo???? Le arti, i mestieri, la cultura, la cura della persona ecc. avrebbero da un lato la possibilità di essere coltivati senza l’incombenza di doversi procurare da vivere diversamente, e dall’altro riceverebbero non arbitrarie sovvenzioni statali come oggi, ma il libero apprezzamento dei cittadini che ne decretano il successo o il fallimento. Il reddito di cittadinanza comporterebbe il venir meno della disperazione che obbliga a raccattare il primo posto che si trova, permettendo di attendere di trovare il posto adeguato alle proprie attitudini e studi compiuti. In questo caso l'eventuale fallimento dell'iniziativa non comporterebbe il fallimento della persona e il suo scadimento di dignità, ma solo un incentivo al miglioramento o a dedicarsi ad altro.

"Alcuni uomini vedono le cose così come sono e dicono: Perché? Io sogno le cose come non sono mai state e dico: Perché no?" (George Bernard Shaw)

Come si può intuire le ragioni etiche del reddito di cittadinanza sono molto più profonde di quanto l'elettore 5 stelle possa comprendere. Sulla base del ragionamento da cui partì Thomas Paine nel proporlo facciamo un banale esempio: suddividendo parte della superficie terrestre per 7 miliardi di persone (o del territorio italiano tra 58 milioni), ecco, quella porzione di superficie dalla quale ora altri stanno traendo prodotti spetta di diritto a ciascuno in quanto persona esistente come partecipazione al benessere esistente ovvero come dividendo di tale benessere prodotto o producibile. Questo non è un discorso campato in aria, se la pensate così magari dovreste farvi un analisi di coscienza sulla vostra cognizione delle cose. Questo dovrebbe essere non solo da dare per scontato, ma il diritto civile fondamentale stesso! Ora, non si può pretendere di distribuire tale appezzamento letteralmente tra tutti i soggetti aventi diritto, poiché l'usufruizione di un bene pubblico goduto da un individuo e che può essere utilizzato contemporaneamente anche da altri senza pagare alcun prezzo ("free-riding") determina un sovrautilizzo dello stesso la cui diretta conseguenza è il fallimento del meccanismo di mercato nel caso di offerta di beni pubblici, ma proprio per questo in sostituzione dovrebbe essere preteso un compenso cioè che gli si paghi "un affitto" per quella parte di superficie terrestre suddivisa di competenza di ogni soggetto. Certo la suddivisione perfetta è un esempio estremo e non praticabile (e dato che è un discorso teorico è irrilevante distinguere tra diversi tipi di terreno), così come un affitto tale e quale, ma il senso morale del reddito di cittadinanza inteso come diritto civile è questo, poiché non si tratta di una questione pratica come lo è nei fatti l'esigere un affitto in cambio del prestito di un preciso bene, ma è una questione di principio riguardante l'intero ambito sociale umano. Il fatto che non sia così e non lo sia mai stato non significa che non lo debba o non lo dovrebbe essere. Il fatto che non lo sia mai stato anzi rende di fatto moralmente illegittima qualunque forma organizzativa sociale ("stati") finora esistita così come la proprietà privata stessa!

"La terra, nel suo stato naturale e incolto era, e sempre dovrebbe continuare ad essere, proprietà comune della razza umana [...] Ciascun proprietario di terreni coltivati deve corrispondere alla comunità un affitto... a tutte le persone, ricche o povere [...] perché questo soggiace all'eredità naturale che, come di diritto, spetta ad ogni uomo, al di sopra della proprietà che egli possa aver creato o ereditato da quelli che l'hanno fatta" (Thomas Paine)

Se nell’Ottocento il reddito di base poteva rappresentare la compensazione per l’ingiusta sottrazione di risorse che sarebbero spettate per natura a tutti, oggi lo si potrebbe considerare una compensazione per il lavoro gratuito che, inseriti come siamo nel “capitalismo dei dati”, svolgiamo quotidianamente senza ricevere nulla in cambio. E come esempio vi dovrebbe bastare questo stesso testo, risultato di migliaia di ore di lavoro a ricavo zero. Il “mito del lavoro” ben si applica a chi, com’è il caso dei figli del dopoguerra e dei decenni successivi, ha goduto di uno scambio equo: la disponibilità a lavorare in cambio di diritti, tutele e garanzie. Più difficile proporre questa visione a una generazione che semmai ha davanti a sé il “miraggio del lavoro”. “Quando si parla di reddito di base, solitamente si intende una forma redistributiva, quindi secondaria. Io ritengo che, oggi, i processi di creazione del valore utilizzino invece una parte della vita degli individui senza che venga certificata come produttiva”, spiega a il Tascabile Andrea Fumagalli, docente di Economia Politica all’Università di Pavia e uno degli economisti italiani più attivi sul fronte del reddito di base. “L’attività di consumo, ma anche quella artistica e di svago, non rientrano nelle categorie del labor novecentesco, ma sono comunque inserite in un processo di produzione di valore e lo stesso si può dire per una molteplicità di azioni che compiamo quotidianamente”. Il reddito di base, di conseguenza, diventerebbe una forma di compenso diretto per un lavoro che svolgiamo costantemente senza che, oggi, nessuno ci possa pagare per farlo: “Sarebbe la remunerazione di un’attività lavorativa che non viene considerata come tale”, conferma Fumagalli. “Da questo discende un altro aspetto fondamentale: se è una remunerazione per un lavoro che svolgo, non può essere sottoposta ad alcuna condizione”. Fossimo un paese serio, queste cose neanche andrebbero dette, sarebbero date per assodate. Ma la questione è: non siamo un paese serio.

"Uno dei mali della nostra epoca consiste nel fatto che l'evoluzione del pensiero non riesce a stare al passo con la tecnica, con la conseguenza che le capacità aumentano, ma la saggezza svanisce!" (Bertrand Russell)

Ovviamente tutto sta principalmente nella cifra di questo "affitto" cioè con quali parametri dovrebbe essere valutata, poiché non sarebbe possibile calcolarla su parametri che sarebbero personalmente interpretabili (dato che non tutti recepiscono nello stesso modo il danno ricevuto dalla privazione dell'utilizzo libero dei beni privati), e per questo dovrebbe rappresentarsi sotto la forma di un risarcimento simbolico atto ad ufficializzare il diritto alla proprietà privata per i singoli e la legittimità del potere statale e delle regole che esso impone agli individui. Volendo prendere due piccioni con una fava, tale cifra simbolica potrebbe essere calcolata sulla base di quale dimostri apportare la maggior efficienza al sistema economico. Sulla pagina della deputata 5 stelle mi sono trovato a discutere sull'entità del reddito di cittadinanza, leggendo cifre assurde ed immotivate tipo 780 euro al mese, stabilite, checché loro ne dicano, arbitrariamente a tavolino senza alcun vero significato matematico, per questa loro errata comprensione del senso stesso del concetto di reddito di cittadinanza: 780 euro possono essere tutt'al più spiegati come appunto inefficiente sussidio temporaneo per pochi disoccupati, sostitutivo del salario, mentre per il concetto di reddito BASE di cittadinanza, UNIVERSALE, PERMANENTE ed INDIPENDENTE, INTEGRATIVO dell'eventuale salario (e non sostitutivo!), la cifra adeguata (e realisticamente sostenibile) sulla quale puntare si aggirerebbe sui 250-300 euro (qualunque cifra sarebbe comunque maggiore dell'attuale 0), a fungere da base appunto a chi ha già un reddito proprio, e a fungere da "maggiore di 0" a chi oggi non ha alcun altro reddito. Una cifra realistica dovrebbe essere circa sui 320 euro lordi, coi quali una persona può certamente sopravvivere (solo una persona troppo ben abituata a vivere nella bambagia può negarlo). Comunque il reddito di cittadinanza non è un fine ma un mezzo, che permetterebbe di raggiungere la piena occupazione, quindi il problema non si pone dato che riguarderà solo chi già oggi campa con zero reddito (e 320 sono più di 0, non sostitutivi di cifre maggiori di 320, è incredibile come glielo si debba ogni volta specificare!). Il problema che molti paventano è che il reddito di cittadinanza spinga le persone a non lavorare, viceversa altri sostengono che dato che il lavoro non c'è tale problema non si pone e perciò 320 euro sono troppo pochi, nella realtà essendo una conseguenza stessa del reddito di cittadinanza la scomparsa della disoccupazione, comporterebbe esso stesso il sorgere di tale questione, che a disoccupazione azzerata si porrà nel momento in cui ad una certa cifra (poiché una cifra che comporti ciò pur sussisterà) vi sarà una prima persona che smetterà volontariamente di lavorare a causa di quella cifra di base; ora, tra milioni di persone, statisticamente è comprensibile che ve ne sia almeno una che smetterebbe di lavorare per 300 euro di reddito di cittadinanza, o no? Ma anche ben più di una! Probabilmente la prima persona sarà a cifre anche inferiori, ma non per questo lo si dovrà fermare alla prima, in quanto campione statisticamente ancora poco rappresentativo. I modelli matematici indicano (al valore attuale dell'euro e l'attuale costo del lavoro) in un grafico l'intersezione tra le curve della cifra del reddito di cittadinanza con quella del costo del lavoro (che assume la forma ad U) il punto ideale (per l'Italia di oggi, valutate mediamente le possibili detrazioni automatiche locali) ai 320 euro lordi, ovvero da 0 a 320 il costo del lavoro diminuisce progressivamente (questo è lo scopo principale del reddito di cittadinanza!), mentre oltre i 320 inizia a risalire (indicando quindi nei 320 lordi la cifra nella quale si raggiunge la massima efficienza) esigendo addirittura un aumento quando esso vada oltre gli 800 per i lavori peggiori e i 1.100 per i lavori migliori; a seconda del livello nominale del salario, a salari più alti corrisponderà una loro maggior riduzione, a salari più bassi più lieve, ma considerando l'aumento a cui saranno già sottoposti come conseguenza dell'eliminazione delle imposte sul lavoro. Sarebbe surreale pensare che su un salario odierno di 400 corrisponda una diminuzione di 320 (il salario diverrebbe 80 euro al mese...)! Innanzitutto l'abolizione delle imposte lo porterebbe già di per sé sui 550, ed è su questi che avverrebbe la diminuzione, ovviamente non geometrica (che darebbe risultato 230 di salario...), ma regressiva, quindi si assesterebbe sui 450, cioè superiore a prima ma inferiore come costo (per l'eliminazione delle imposte, con relativo calo generale del costo del lavoro quindi), solo che la persona ha un reddito di 320 maggiore, cioè in totale 770, non più 400; ora, è prevedibile che a lavori peggiori verrebbero richieste cifre maggiori, per cui tale calcolo vale solo per i lavori migliori, mentre per quelli peggiori la cifra salariale non potrebbe essere 450 ma superiore (quindi i lavori migliori costerebbero meno, quelli peggiori di più, anche rispetto ad oggi). Ovviamente ciò riguarda solo i salari oggi bassi, mentre man mano che si cresce questa differenza si ridurrà sempre più, fino al raggiungimento del breakpoint (importo del reddito col quale ciò che si riceve in termini di reddito di base equivale a quanto si eroga in tasse) verso i 1.800 quando il reddito complessivo verrà ad uguagliarsi allo stesso di oggi per i lavori migliori, mentre per quelli peggiori verrà ad uguagliarsi più verso i 2.400 (mentre il gap salariale tra lavori migliori e peggiori seguirebbe geometricamente la stessa progressione). Di conseguenza solo chi oggi ha salari molto bassi (400-900) avrà un aumento di potere d'acquisto rilevante, mentre chi ha salari intermedi (900-1.800) sarà in misura limitata e a seconda della qualità della mansione, e per chi sopra 1.800 non avrà alcun aumento di potere d'acquisto mentre per i lavori peggiori si arriverà fino ai 2.400 per avere il pareggio, e quindi si sarà più incentivati a svolgerli (la vostra fogna verrà sempre pulita, non preoccupatevi). Solo chi ha reddito 0 (o comunque inferiore ai 500 euro diciamo, ovvero chi deve usare l'intero potere d'acquisto solo per la mera sopravvivenza) avrà un aumento netto di 320 quindi. Tuttavia per chi ha un reddito di qualunque cifra superiore a zero non si tratta comunque di aumento di potere d'acquisto reale corrispondente all'intera cifra nominale ma solo parziale e decrescente al crescere del reddito complessivo (fino a, come detto, annullarsi del tutto oltre i 1.800-2.400 ed andando anche "sotto" all'ulteriore crescere, anche se solo fino ad un certo limite dopo il quale questa diminuzione resterebbe stabile) anche per i redditi inferiori a 500 per il semplice motivo che poichè esso andrebbe a sostituire almeno in parte i servizi oggi pagati dall'erario dei quali tutti prima o poi in un modo o nell'altro hanno necessità di usufruire, sul lungo periodo una certa parte ne andrebbe inevitabilmente mediamente utilizzata proprio per questi. Per cui è esatto dire che gli unici ad avere un aumento di potere d'acquisto reale e netto di 320 sarebbero i redditi zero. Tutto questo per ovvi motivi che evidentemente i 5 stelle non comprendono, e che andremo a vedere nel corso del testo. E' possibile che i contrari non comprendano la possibilità di sperimentarne il meccanismo per stabilire la cifra ideale, quello che Rawls usa il termine "maximin" per definire, cioè in maniera semplicissima, un pò alla volta, facendolo partire da 0 incrementandone la cifra di un tot al mese; per provare se l'acqua del mare è salata non serve berla tutta, basta assaggiarne un poca. No, o tutto o niente, per loro. Compresi i favorevoli eh!

"Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile" (San Francesco)

L'evidente difetto di tutte le sperimentazioni compiute sta nell'impostazione limitata: la sperimentazione non dovrebbe consistere nell'erogazione completa ad un numero limitato di soggetti, ma a tutti i cittadini partendo da una cifra mensile minima (ad esempio da 1 euro al mese, che se sembra una cifra irrilevante si ricordi che è solo la cifra iniziale a scopo sperimentale) incrementandola di mese in mese continuando l'incremento fino a quando la sperimentazione raggiunga i risultati auspicati senza poterne determinare di deleteri o comunque che rappresenti il compromesso ideale tra i due, quando si inizino a notare effetti negativi, allorché la si decrementa fino a tornare alla cifra che mantenendo i risultati auspicati annulli però quelli deleteri, quindi "perfetta", ad esempio: 1-2-5-10-15-20-50-100-150-200-270 (qui inizia la detrazione col nuovo sistema fiscale) - 280-290-300-310-320. Dopo 3 mesi inizia la distribuzione dei 20 supplementari. Al che, ad esperimento riuscito, resterebbe indefinitamente quell'erogazione. Inizialmente solo un numero limitato di soggetti lo ritirerebbe, andando ad aumentare seguendo l'aumento della cifra erogata. Ciò darebbe modo di stabilire gradualmente l'impianto del sistema distributivo, che inizialmente quindi riguarderebbe in ogni caso grossomodo lo stesso numero di soggetti delle sperimentazioni a popolazioni limitate, ma in maniera selettivamente volontaria, non discrezionalmente arbitraria; ed essendo tendenzialmente i più poveri a ritirarlo fin dalle cifre basse, andrebbe perciò nel frattempo a costituire comunque un sostegno ai più bisognosi seppur giocoforza limitato. Per stabilire la cifra alla quale fermarne l'incremento, si consideri che dato che le entrate delle agenzie di distribuzione sarebbero i soldi non ritirati (che quindi non sono restituiti all'erario; la cifra erogata da esso rimane sempre la stessa ogni mese basata sul numero di cittadini), ne deriverebbe che, da un lato più alta è l'entità del reddito di cittadinanza e più alte sarebbero le cifre ricavate per ognuno di essi non ritirato, ma dall'altro lato all'aumentare dell'entità corrispondebbe un minor numero di mancati ritiri. La conseguenza dal punto di vista delle agenzie è che tra le due istanze vi sarà una cifra ideale di reddito di cittadinanza alla quale esse ricaveranno le entrate più elevate; è da presumere che a partire da 0 crescerà progressivamente fino a che raggiunta una certa cifra comincerà a calare (per via che il maggior numero di ritiri dovuto alla cifra maggiore sarà più alto della crescita della cifra specifica stessa), in una curva il cui apice rappresenterebbe le massime entrate fisiologicamente possibili per le agenzie incaricate. E' facile presumere che tale cifra corrisponda a quella dalla quale ne consegue la maggior efficienza apportata, per cui, essendo anche nell'interesse stesso delle agenzie, saranno esse a stabilire la cifra a cui far fermare l'esperimento al governo, che rimarrà quella. Ecco quella è la cifra a cui puntare mediamente sul lungo periodo, non stabilita a tavolino ma da verificarsi empiricamente. Non è quindi escluso a priori che tale cifra possa equivalere ai loro 780 euro, per quanto difficile sia ipotizzarlo, ma non stabilirla così a priori senza alcun fondamento reale. Più verosimilmente la teoria dice 320, nella pratica si dovrà valutarlo sperimentando, ma è da attendersi che non risulti molto distante da essa. Dal lato della spesa in pratica il parametro sul quale si dovrà calcolare la cifra di reddito di cittadinanza a cui mediamente puntare non è la necessità sulla base di parametri personali opinabili, ma il dividendo disponibile dal surplus tra entrate e uscite dello stato, che sarà solo preso come riferimento sul quale adeguare le entrate sul lungo periodo (che in un sistema così impostato saranno esse ad essere determinate dalle somme disponibili, e non viceversa come oggi, ovvero il "break even" o punto di pareggio uscite-entrate sempre quello rimane), sulla base, in parole povere, della cifra che risulti mantenere i prezzi ad un livello costante, grossomodo quello attuale; ovvero che la domanda rimanga costante, in assenza di variazioni del PIL. E' da presumersi che dall'impostazione come dividendo di ciò che è disponibile ne risulterà una oscillazione mensile di 2-3 euro sul valore target, in connessione ad un probabile incremento lento ma costante del potere d'acquisto, a meno di un boom o di un collasso dell'economia nazionale. Come abbiamo già visto, a seconda dell'entità della riduzione del costo del lavoro, sarebbe possibile calcolare matematicamente in teoria il relativo aumento di posti di lavoro al lordo di quelli del gap da automazione. Nella realtà non ci sarebbe nemmeno bisogno di una sperimentazione verso l'alto (e quindi nessuna retrocessione della cifra), poiché fissata una cifra, qualunque essa sia, sarebbe il valore del denaro ad adeguarvicisi; la scelta della fissazione dovrebbe consistere unicamente nell'identificare quella che mantenga invariato rispetto alla situazione preesistente il valore del denaro: con una cifra di reddito di cittadinanza bassa si creerebbe un aumento del valore del denaro e quindi deflazione che porterebbe all'aumento del potere d'acquisto; viceversa una cifra alta creerebbe una diminuzione del valore del denaro e quindi inflazione che porterebbe alla diminuzione del potere d'acquisto (ed è ciò che avverrebbe coi 780 euro dei 5 stelle, per cui sul lungo periodo tale loro cifra finirebbe comunque per assumere il valore reale dell'erogazione ideale che identifichiamo teoricamente in 320, ma non è certo questo il modo e neanche la loro intenzione). Solo una fissazione esattamente alla cifra perfetta manterrebbe statico il valore del denaro.

reddito di cittadinanza

Ebbene anche se a voi non farà ridere per non piangere come invece ha fatto a me, nella pagina facebook della deputata avevo scritto tale cifra (320), e lei in persona (ebbene si, si era degnata di rispondere a me) mi ha risposto: "e come fa una famiglia di 4 persone a vivere con 320 euro al mese?" Qui ovviamente mi sono cadute le braccia, davvero da ridere per non piangere davanti una tale risposta; innanzitutto il reddito di cittadinanza dovrebbe costituire nelle intenzioni un INTEGRAZIONE e non l'intero reddito ed il fatto che una deputata eletta lo consideri in prospettiva come INTERO reddito di una famiglia è davvero deprimente, ma il punto fondamentale che mi ha fatto capire che loro non hanno capito niente del concetto di reddito di cittadinanza lo ricavate dalla risposta che le ho dato: "320x4 fa 1.280". Anche se un altra potenziale risposta da darle sarebbe stata: "e con 0?" dato che oggi tale cifra è zero (non esistendo il reddito di cittadinanza) e quindi qualunque cifra sarebbe sempre comunque maggiore di zero, o no? Come sopravvive oggi questa sua ipotetica famiglia con 0?

Tutti i meccanismi di sussidio che conosciamo in Europa sono più o meno simili, individuano categorie di bisogno e merito e assegnano i sussidi, solo che questi meccanismi sono costosi perché rendono necessario controllare la posizione effettiva di ciascuno, spesso i costi dei controlli amministrativi sono pari al valore dei sussidi offerti. Un reddito di base universale, uguale per tutti, non ha questi problemi. L'istituzione di un reddito minimo, poi permette anche una linearizzazione dell'imposta sui redditi, rendendo molto più efficiente il sistema tributario, con un alto livello di tutela dei redditi minimi che permetterebbe di sostituire le imposte progressive con imposte fisse, rendendo molto più semplice, e meno costoso il sistema fiscale, permettendo anche quindi l'abolizione delle aliquote e delle accise. I sussidi come abbiamo visto sono un disincentivo al lavoro, sono di ostacolo a quel moto tutto umano che ci porta all'automiglioramento grazie ad un riconoscimento (il più diffuso è il denaro). Questo perché, semplicemente, chi non viene premiato o non ha prospettive di crescita professionale non ha alcun interesse a dare del suo meglio; l'esempio pratico dell'esperienza livellatrice comunista dovrebbe esserci evidente; da cui il consiglio di non prendere mai l'ascensore in un paese comunista. E' chiaro che chi ha un reddito di base è meno disposto a lavori molto gravosi, ma poi dipende anche dal salario che si riceve, che è sempre dipendente dalla legge domanda / offerta e dal costo di opportunità. Il punto principale è però che il disincentivo non è determinato dal concetto in sé ma dai parametri applicati. Si supponga di partire da un'economia come quella italiana dove in assenza di un reddito di cittadinanza ci sono milioni di disoccupati, introducendo un reddito di cittadinanza per tutti gli individui, e quindi anche per i lavoratori, ed abolendo le legislazioni sui salari in modo che essi possano essere ridotti in proporzione in maniera tale da mantenere costante il reddito medio per i lavoratori, la riduzione dei salari (ovvero del costo del lavoro) incentiva le imprese ad assumere e nel contempo l'offerta di lavoro (in economia i termini "offerta" e "domanda" di lavoro sono invertiti rispetto alla concezione comune) si riduce, per cui la disoccupazione si riduce fortemente. Partendo da un reddito di cittadinanza di 0 questo meccanismo può essere continuato incrementando progressivamente mese dopo mese il reddito minimo fino alla totale matematica eliminazione della disoccupazione permanente (dato che a rigor di logica stessa, tra tutte esisterà una cifra esatta alla quale ciò si verificherebbe, che come abbiamo detto in teoria corrisponderebbe circa attorno ai 300 euro), oltretutto ottenendo la riduzione di tutta una serie di costi netti associati con questo fenomeno. Si tratta di un'evoluzione che comporterebbe un miglioramento per tutti, a differenza di quello che avviene con un sussidio che va a favore solo di chi lo riceve e di conseguenza a discapito di chi non lo riceve. Considerate infatti un lavoratore, è meglio un salario di 1.000 euro oppure un salario di 680 più 320 euro di reddito minimo? E' meglio la seconda ipotesi perché il salario si può sempre perdere, mentre il reddito di base è garantito sempre. Senza contare che a fronte dell'intero complesso la cifra del nuovo salario non sarebbe certo in nessun caso di 680 ma ben superiore, o comunque in ogni caso, qualunque fosse il "destino" nominale dei salari, sul lungo periodo il loro potere d'acquisto reale verrebbe adeguato automaticamente dalla "mano invisibile". Solo per redditi sopra i 1.800-2.400 non ci sarebbero aumenti di potere d'acquisto (e man mano che ci si avvicina questo sarebbe solo minimo). Ma si consideri che la cifra di 320 è calcolata sulla situazione ATTUALE del nostro paese, per cui è da prevedere che le conseguenze dello stesso, maggior produzione ed efficienza, sul lungo periodo porteranno per deflazione ad un progressivo aumento del potere d'acquisto reale della cifra nominalmente erogata, anche fino a quello dei 400-450 euro attuali, quindi il potere d'acquisto reale di 320 è solo quello iniziale basato sulla situazione economica odierna. Che, ribadiamo, sono IN PIU' rispetto al salario, perlomeno per i salari bassi. Credete che qualcuno ci arrivi a capirlo? Ma magari! Accampano sempre ragionamenti individualistici che presuppongono regolarmente l'alternativa tra reddito di cittadinanza e stipendio, mica ci arrivano a capire che sussisterebbero entrambe le cose contemporaneamente! E come farglielo capire più semplicemente di così??? Niente, oltre al concetto di sussidio alternativo al salario mica riescono ad andare, neanche con le più ponderate spiegazioni, è una cosa che esula dalle loro capacità cognitive proprio.

"Oggi l’idea di un reddito base per tutti gli statunitensi [...] è inconcepibile come lo erano in passato quelle del suffragio femminile e della parità di diritti per le minoranze etniche. E’ difficile immaginare che un giorno riusciremo a liberarci del dogma secondo cui se vogliamo avere i soldi dobbiamo lavorare" (Rutger Bregman)

diminuzione costo del lavoro

E' opportuno specificare che i lavori a 400 euro (“bullshit jobs”), che certamente ancora ci saranno se non altro per una questione di probabilità statistica (ovviamente adeguati su orario e tipo di mansione), non sarebbero gli stessi di oggi. Dopotutto sarebbe incoerente dopo averli definiti "schiavismo", auspicarne o solo tollerarne una prevedibile continuazione senza proporre soluzioni. Quelli odierni a 400 euro, come spiegheremo nel capitolo sulla riduzione delle imposte, andrebbero già automaticamente sui 450-500 sia per via dell'incidenza del reddito di cittadinanza sulle propensioni dei dipendenti verso tali salari, sia per appunto la riduzione delle imposte (che sono oggi le maggiori responsabili di tali salari necessariamente esigui) all'impresa. I lavori a 400 euro saranno nuove mansioni che oggi non vengono svolte (poichè, per lo stesso discorso appena fatto, oggi permetterebbero di pagare inaccettabilmente 100-200 euro...), oppure medesime mansioni ma ad orari ridotti adeguati appunto a tali cifre.
La cosa che più colpisce è che le opinioni sul reddito di cittadinanza si dividono nettamente senza vie di mezzo: c'è chi lo vuole a zero (ossia ne è contrario del tutto), e chi il più alto possibile. I primi sono colti ma che vivono fuori dalla realtà come stiliti sopra una colonna; i secondi vivono nella realtà ma sono totalmente ignoranti in tema economico; i colti che vivono nella realtà, purtroppo sono ancora ben pochi, e sono tutti i consequenzialisti fin qui elencati: inderogabilmente tutti gli studiosi che l'hanno analizzato sotto il punto di vista consequenziale concordano che per un paese come l'Italia oggi la cifra ideale sia tra 300 e massimo 400 euro, nessuno di loro va oltre come fanno gli ignoranti, che mica lo vogliono capire che oggi esiste un'unica alternativa, quella tra 0 e una qualunque cifra fino al massimo 400. Oltre i 400 oggi non è un alternativa, è solo frutto di una mente irrazionale avulsa da ogni buon senso logico, giustificabile solo come assenza di comprensione del valore del denaro forse appunto poiché abituati a non dover soppesare accuratamente il valore dei soldi come invece deve fare chi soldi ne ha pochi; non capiscono il valore perché non hanno mai dovuto vivere con zero o anche fosse con 100 euro al mese. Si consideri che in paesi come Ucraina e Bulgaria, con un costo della vita quasi come il nostro (eccetto per gli affitti delle case, che lì sono adeguati alla legge domanda/offerta), un salario normale è di 200 euro al mese. Nonostante la differenza di quantificazione tra i diversi paesi andrebbe a calibrarsi tendenzialmente sul reddito medio esistente (molto variabile a seconda del paese), il costo della vita relativamente più simile tra i vari paesi determinerebbe che le sue cifre ideali non variarebbero seguendo esponenzialmente il reddito medio, ma oscillerebbero di poco tra un paese e l'altro; ad esempio se per l'Italia la cifra ideale sarebbe sui 320 euro, per la Germania una cifra realistica potrebbe essere sui 380 euro (piuttosto lieve rispetto al suo reddito medio), per la Bulgaria sui 70 euro (piuttosto rilevante rispetto al suo reddito medio). Per cui in un paese di quelli africani dove il reddito medio è di meno di 30 euro al mese, il reddito di base ideale non sarebbe di 5-10 euro come si potrebbe erroneamente dedurre, ma almeno sui 40. La quantificazione ideale sta nel rapporto, non nella cifra nominale. Che non è sostitutiva del salario! Ora verrebbe da chiedere a questi, qualunque sia la cifra che guadagnano, oggi se qualcuno gli regala 300 euro al mese, smetterebbero di lavorare? L'errore che fanno i "parvenu" del reddito di cittadinanza di stampo 5 stelle è sempre quello di, in un modo o nell'altro, intenderlo o interamente sostitutivo o perlomeno in gran parte del salario, vantandosi di stupidaggini tipo "più tempo libero - potranno fare quello che vogliono - viaggi, hobby, studio, impresa, dedicarsi alla cura degli anziani e bambini, libera vita dello spirito - fiorire di iniziative - dedicarsi a ciò che si desidera realmente - la maggior parte del lavoro oggi è già non retribuito (casalinghe ecc)" trasformandolo così in una burletta, facendolo passare per una cosa da hippy bohemiennè steineriani, andando a portare incredibili sondaggi su quanti SMETTEREBBERO di lavorare quando invece lo scopo del reddito di cittadinanza è proprio far lavorare più persone possibile ma consentendo certamente pure di ridurre gli orari pro capite, ma non permettere "a qualcuno" di non dover più lavorare come lo stanno facendo passare quelli! Certo ci sarà una minoranza che si accontenterà dei 320 euro, ma saranno in pratica gli stessi odierni barboni! Ma andando a chiedere all'oste se il suo vino è buono che risposta si aspettano? E' ovvio che tutti risponderanno "continuerò a lavorare lo stesso" quando a fronte dell'altra classica domanda che dà sempre i risultati opposti "pensi che col reddito di cittadinanza la gente smetterà di lavorare?" la risposta è nell'80% dei casi "si", per cui i cattivi "osti" sono sempre gli altri, mai sé stessi, il vino degli altri è sempre cattivo e il proprio è l'unico buono. Certo, col presupposto delle cifre di 780-1.000 euro che indicano, per forza che le risposte sono queste! Niente, "continuerei a lavorare perché mi piace", come se si aspettassero di essere messi di fronte alla prospettiva di non essere pagati per il lavoro... perché "ti piace"??? Guarda che verresti pagato comunque complessivamente (comprendendo il reddito di cittadinanza) tanto quanto oggi se non di più, non perché "ti piace"! Casomai "perché voglio ANCHE quei soldi" oltre a quelli del reddito di cittadinanza! Finché ci sarà qualcosa da fare e qualcuno capace e disposto a farla, quella cosa verrà fatta, alle condizioni alle quali le controparti saranno disposte ad accordarsi, l'unico parametro a poter cambiare sarebbero solo appunto i patti condizionati tra le parti. La vostra fogna ci sarà sempre qualcuno a pulirvela, e vi costerà non più di quanto vi costi oggi, anzi certamente proporzionalmente meno che oggi sul vostro potere d'acquisto, non preoccupatevi. Ma almeno loro hanno capito che il reddito di cittadinanza deve andare a tutti, a differenza della concezione 5 stelle che invece è di fatto solo un normale sussidio alternativo al salario.

“Ciò che in Svezia non è proibito, è obbligatorio” (Milton Friedman)

Se per "reddito di cittadinanza" i 5 stelle intendono un banale normalissimo sussidio discrezionale come ce ne sono già da sempre qui o altrove e la cui inefficienza è assodata (in Danimarca non è "il sussidio" a funzionare, è la Danimarca stessa), per favore lascino il termine a chi il concetto espresso da esso lo ha concepito e lo porta avanti sotto i furenti attacchi degli antifascisti da decenni, e al loro normale sussidio clientelare di cifre avulse da ogni logica matematica (per non dire dal buon senso stesso) diano un altro nome, sussidio temporaneo di disoccupazione, non reddito di cittadinanza che ha anche nella parola stessa tutto un altro significato semantico: quello dei 5 stelle non è un reddito (non viene cioè erogato dalla nascita alla morte), non è di cittadinanza (non viene cioè erogato a tutti a prescindere dallo status personale), non è di base (identificano la cifra sulla intera necessità personale e non su quella "basilare"), non è incondizionato (sottostà a clausole talmente cervellotiche da far invidia anche al più fantasioso ottuso burocrate), e non esiste da nessuna parte (in nessun paese c'è mai stata un erogazione perpetua universale indipendente dallo status economico-lavorativo della persona ma ci sono sussidi, la definizione è questa, a determinate persone disoccupate e per il solo periodo di disoccupazione). Di conseguenza quello dei 5 stelle non può essere definito "reddito di cittadinanza". Come risposta a ciò rispondono invariabilmente ridondando cose tipo "non è vero che è per sempre"... ma che cavolo di risposta sarebbe??? Certo, quello che propongono loro non è per sempre, il reddito di cittadinanza invece si che è per sempre, senza necessità di sottostare a inutili obblighi formativi e ricatti tipo i 3 rifiuti di ricollocazione e ricerche personali che ogni disoccupato odierno sa essere vane ed inutili (dato che se ci sono disoccupati è perché oggi il lavoro NON C'E' e non l'opposto come evidentemente lo intendono loro, in che modo bisogna farglielo capire????), quindi quello che propone 5 stelle è un sussidio e non un reddito di cittadinanza. Oppure pretendono loro da ultimi arrivati di stabilire e venire a insegnare a me cosa deve essere il reddito di cittadinanza? Con sicurezza perfino: "non dura per una vita, non è mica un vitalizio"... come se secondo loro le persone mangiano solo per un periodo limitato e poi per il resto della vita si nutrissero di luce come le piante... si che dura per tutta la vita, se così non fosse non avrebbe alcun senso e non sarebbe un reddito di cittadinanza! Me lo spiegano che senso avrebbe se fosse solo per un tempo dato??? Sia chiaro io non sto contestando la legge proposta dai 5 stelle, sono liberi di proporre le leggi che vogliono, io sto solo dicendo che non è un reddito di cittadinanza ma un sussidio, e quindi dovrebbero chiamarlo con un altro nome (evidentemente parliamo due lingue diverse perché nella mia quello che loro mi hanno descritto si chiama sussidio assistenziale e non è che se chiami una cosa con un altro nome cambi la sostanza). Tra l'altro non comprendo per quale motivo si vergognino a chiamarlo sussidio assistenziale, che problema ci vedono, loro?

REDDITO DI CITTADINANZA (definizione di Gianluca Bonifazi): Il reddito di cittadinanza o reddito di base incondizionato è una erogazione monetaria, a intervallo di tempo regolare, distribuita a tutti coloro dotati di cittadinanza in grado di consentire una vita minima dignitosa, cumulabile con altri redditi (da lavoro, da impresa, da rendita), indipendentemente dall'attività lavorativa effettuata, dalla nazionalità (cioè ne sono compresi i cittadini di lingua tedesca dell'Alto Adige, per intenderci), dal sesso, dal credo religioso e dalla posizione sociale ed erogato durante tutta la vita del soggetto. Suo scopo è quello di influire in maniera non dirigistica sul sistema economico per renderlo più libero e fluido tramite l'abbassamento del costo del lavoro in un sistema dove il fisco non sia proporzionale reddituale e tutte le relative conseguenze collaterali (tra cui la possibilità di rendere privati molti servizi oggi pubblici e abolire le legislazioni sul lavoro), a compensazione di tali liberalizzazioni; è un REDDITO ovvero è PERMANENTE (viene erogato dalla nascita alla morte); è DI CITTADINANZA ovvero viene erogato a TUTTI i cittadini della nazione indipendentemente dalla loro situazione economica e lavorativa e dalle loro intenzioni future (di "reinserimento" e "qualificazione") o percorsi scolastici passati; è INCONDIZIONATO (cioè non sottostà a draconiane ed umilianti condizioni-capestro ricattatorie su "reinserimento" e "riqualificazione" che tutti i disoccupati sanno essere solo un inutile spreco del tutto utopico); è INDIVIDUALE, non subisce variazioni in riferimento al proprio status familiare (perciò non è un sussidio temporaneo determinato dal nucleo familiare per il solo capofamiglia); suo scopo è fungere solo da BASE (da cui il nome alternativo "reddito di base") dell'intero reddito personale, e non da suo sostituto, ragion per cui è indipendente da valutazioni sulle necessità complessive della persona e arbitrarie "soglie statistiche": la cifra si calcola su quella riscontrabile nei fatti che in quel momento apporti il massimo dell'efficienza al sistema economico nazionale (o più esattamente come riferimento a cui puntare mediamente sul lungo periodo, ma ne parlerò più avanti); il reddito di cittadinanza non è mai stato introdotto in nessun paese in nessun tempo, a differenza dei sussidi esistenti anche oggi in molti paesi.

Per descrivervi cos'è un sussidio vi ricopio semplicemente la definizione che mi è stata data della legge proposta dai 5 stelle:

SUSSIDIO: Lo scopo della proposta è quello di dare dignità a chi è senza lavoro o reddito derivato dal lavoro svolto, con un sostegno temporaneo che gli permetta di qualificarsi e reinserirsi, o di avere un'integrazione alla soglia minima di vivibilità che viene riconosciuta statisticamente in 780€ mensili. Esiste già in molti paesi.

A parte che poi il problema sui 3 rifiuti di ricollocazione nemmeno si pone: conoscete qualcuno a cui l'ufficio di collocamento abbia mai proposto un lavoro? Non si capisce nemmeno a cosa siano finalizzati oggi... se non a dar lavoro a quelli che vi sono impiegati, inutilmente visti i risultati. Per non parlare poi di quell'indecenza che è la previsione di restituzione: in pratica una forma di "fio" da pagare e un messaggio sottinteso che chi lavora ha sempre ragione e chi il lavoro non lo trova è per sua stessa colpa (da cui deriva la demenziale clausola della ricerca di un lavoro che oggi NON ESISTE, come se secondo loro si potesse cavare sangue da una rapa). Poi quando fortunosamente lo trovasse si dovrebbe "redimere" ed espiare restituendo parte di salario come un "pizzo". Assolutamente ingiusto, proprio da manuale della tradizione catto-comunista, causata dal tipico dover dare un colpo al cerchio e uno alla botte per il terrore di perdere consensi: "sussidio si, ma senza gravare sulle tasse degli elettori!" volendo accontentare tutti e regolarmente ottenendo il risultato di scontentare tutti... è incredibile constatare come in questo mondo le uniche persone che abbiano veramente capito il funzionamento della democrazia siano gli anti-democratici... o per meglio dire, tutti quelli che l'hanno compresa ne sono ipso facto contrari. Solo che purtroppo a comandare sono gli altri, almeno finora, ma prima o poi il mondo dovrà progredire, anche ci volessero decine di anni. Certo questo sonno della ragione in cui stiamo vivendo non potrà durare per sempre, ma è frustrante assisterci per chi è cosciente di quanto buio sia il periodo storico che stiamo vivendo mentre tutti gli altri ne sono perfino accecati. Mi viene veramente da struggermi nel pensare a cosa l'umanità e perlomeno il popolo italiano hanno rinunciato in questi ultimi 70 anni, nel vedere gli ignoranti festeggiare il 25 aprile di ogni anno tale rinuncia per continuare con un sistema inefficiente ed irrazionale, che se solo fosse stato lasciato libero campo a Mussolini prima avrebbe almeno potuto essere illustrato nei fatti oltre ai triti stereotipi sui treni in orario e la bonifica delle paludi, che quelli come loro nelle loro manie di persecuzione chiamano "male assoluto" e che giustificano tutte le distruzioni della guerra con il pretesto di "estirpare il cancro nazifascista che avrebbe divorato il mondo, e quando c'è il cancro, il medico può anche amputare la gamba, è doloroso ma necessario, meglio che essere devastati e uccisi dalla malattia" a cui non si può non rispondere "disse il primo pesce che uscì dall'acqua e si mise a vivere sulla terraferma" (ovvero, gli hanno amputato zampe e polmoni scambiandoli per cancro).

"All'indomani delle guerre accade spesso che i popoli vinti rovesciano i regimi che li conducano alla disfatta. Qualcuno deve pagare. Se c'è la repubblica hanno buon gioco i monarchici; se c'è la monarchia è l'ora dei repubblicani" (Benito Mussolini, 22 dicembre 1919)

Ma restando al tema della pagina, non si rendono conto della palese ingiustizia (nonché del non-senso stesso) che quando il disoccupato percettore di sussidio trova lavoro poi debba restituire tutto con trattenuta dallo stipendio? Una forma sottintesa, ma neanche tanto sottintesa, di dichiarazione che chi lavora è migliore sempre e comunque, come abbiamo visto tipica delle religioni della "salvezza tramite le opere". Se in un anno Tizio trova lavoro prenderà 1.000 euro al mese (esempio semplificativo) cioè 13.000 l'anno. Il disoccupato Caio invece non lo trova il lavoro (e sappiamo che per il 99% dei casi non è una colpa né lassismo, ma solo questione di fortuna / sfortuna o al massimo melliflua estroversione ovvero "sapersi vendere"; senza contare ovviamente il maggior "ufficio di collocamento" italiano, cioè il clientelismo ed il nepotismo) mettiamo prende 6.000 l'anno. Dopo un anno trova lavoro, ok. E non solo non ha lavorato un anno ma poi deve pure restituire i soldi, mantenendo sempre una classificazione di lavoratore di serie B, perché intanto deve restituire 6.000 euro (e quindi prenderà meno per lo stesso lavoro rispetto a chi il lavoro già ce l'aveva prima), nell'anno che non ha lavorato non avrà guadagnato niente (differenza con Tizio -13.000 che "però ha lavorato quindi è bravo") mentre Tizio lavorando ha preso 13.000 euro... a casa mia questa si chiama ESTORSIONE USURAIA (e non c'entra niente che non ci siano interessi, per chi ha reddito 0 anche la rinuncia ad un solo euro è una rinuncia enorme). E tutto questo per quella brutta mania che hanno del dover "far tornare i conti" in modo dirigistico, che determina pure l'altra tipica critica: "e da dove li prendereste questi soldi?", indicativa del fatto che questa gente non riesca a guardare più in là del proprio naso, totalmente priva di lungimiranza e capacità analitica. Il concetto stesso di "dove prenderli" è fondamentalmente sbagliato ed ogni tentativo di risposta non può sortire altro effetto che offrire lo spunto agli avversari per le loro insulse critiche. Non li si prende da nessuna parte: il reddito di cittadinanza deve essere "creatore di sé stesso". Il reddito di cittadinanza non è una RE-distribuzione, ma una RETRIBUZIONE. Non sono soldi che qualcuno dà a qualcun'altro, e quindi tantomeno in cambio di qualcosa. E' un investimento di ritorno. Varia solo la composizione del reddito. Si pensi al caso dei dipendenti pubblici, nel quale ciò sarà automatico in maniera grossomodo matematica, a seconda dell'entità del salario, certo, per cui si tratterà sono di una mera variazione contabile. Tutte le tasse pagate dai dipendenti pubblici non sono state prodotte in quanto nel caso di “scambi volontari” non vi è alcun modo di calcolare l’effettivo surplus tassabile, negli “scambi coercitivi” non vi è produzione di nessun surplus, ma solo interpassaggio. I soldi che il dipendente pubblico versa allo stato come “tasse” sono partite di giro, cifre totalmente arbitrarie di tasse non prodotte e/o non calcolabili. E' come spostare dei soldi da una tasca all’altra di un paio di pantaloni. Immaginarsi che i dipendenti pubblici paghino le tasse è come credere che il verme solitario nutra l'organismo che lo ospita. Considerando questo esempio è possibile capire il senso del reddito di cittadinanza come auto-creato. Lo stato è solo amministratore e garante del reddito di cittadinanza; non ne è né creatore né utilizzatore. Per cui anche per la riscossione dell'"affitto" vale lo stesso discorso della quantificazione, che essendo impossibile valutare con esattezza, dovrebbe essere indirizzata al modo che apporti la maggior efficienza al sistema.

"Vorrei sottolineare il fatto che questa non è una raccolta per tassazione, perché a mio parere la riduzione della tassazione, la riduzione molto rapida e drastica delle imposte, è di vitale importanza" (Clifford Hugh Douglas)

Invece per quanto riguarda i 5 stelle, la solita loro risposta è "dalla lotta all'evasione", come se il valore dell'evaso fossero beni distrutti e non comunque esistenti per cui "recuperare" quelle cifre non farebbe altro che scaricarsi su altri parametri, con relativa esondazione della burocrazia, che contraddice le esigenze di semplificazione del sistema nell’intento apparente di recuperare gettito dall’evasione fiscale. E assieme alla bestia nera "evasione" si aggiungono di volta in volta i tagli "ai privilegi", agli stipendi, ai rimborsi ai partiti, alle spese militari, e chi più ne ha più ne metta. Tutte cose per le quali vale lo stesso discorso del precedente: credere di poter risparmiare tagliando le spese pubbliche è come pensare di far dimagrire un paziente obeso tagliandogli una gamba. Nel caso in questione per mangiarsi la gamba. E quando la gamba da mangiare è finita? Mica ricresce per poterla poi tagliare di nuovo! Degni eredi di quelli che volevano tassare i titoli di stato... ma se è lo stato a pagarli, basta abbassarne il rendimento! Che differenza farebbe? Se hanno quel rendimento esentasse un motivo c'è! Il rendimento esentasse è calcolato sulla base della domanda-offerta teso ad ottenere una data cifra complessiva, se abbassi il rendimento (che sia direttamente o indirettamente come tassa) meno persone lo compreranno e quindi meno soldi l'emittente incasserà! Tassare solo sopra un certa cifra complessiva? Ma come se ne può stabilire l'effettiva proprietà ovvero la quantità detenuta da un singolo? Se si facesse così allora basterebbe usare prestanome e il problema è risolto, fatta la legge trovato l'inganno. Qualcuno lo dica a Bertinotti. E le insulse critiche sull'anatocismo, ma mica ci arrivano a capire che se in presenza di anatocismo la banca chiede un determinato tasso di interesse, in assenza di esso la banca non farà altro che chiedere un tasso di interesse più alto? O vogliamo anche fissare legislativamente i tassi? Però quando l'anatocismo è a favore dei correntisti (cioè sempre, quando il tasso è presente e positivo), su quello nessuno ha niente da obbiettare eh? Parlare sempre di "equità fiscale", di progressività, di redistribuzione, di lotta all'evasione ecc., fa sospettare la presenza di pulsioni ancora ideologiche, probabilmente sinistrorse, che demonizzano l'impresa e la "ricchezza" tout court e che non riescono a vedere altro che lotta di classe, altro che invidia e rancore verso l'altro, come se nel momento in cui si hanno lavoratori dipendenti si smettesse di far parte della specie umana e si diventasse un marziano. In uno dei suoi seminari, uno studente chiese al Professor Mises: “Perché non tutti gli imprenditori sono a favore del capitalismo?” - “Questa stessa domanda” rispose Mises “è marxista”. Colui che aveva fatto la domanda assunse, come aveva fatto Karl Marx, che gli imprenditori avevano un particolare interesse di gruppo o “di classe” nel capitalismo, che invece altre persone non avevano. “Il Capitalismo” Mises continuò “beneficia tutti (i consumatori, le masse). Non beneficia solo gli imprenditori. In effetti, in un regime capitalista, alcuni imprenditori possono subire delle perdite. La posizione di un imprenditore sul mercato non è mai sicura; la porta è sempre aperta a concorrenti che potrebbero sfidare la sua posizione e privarlo dei suoi profitti. Eppure è proprio questa competizione di mercato propria del sistema capitalista che garantisce ai consumatori che gli imprenditori faranno del loro meglio per offrire loro, i consumatori, i beni e i servizi che desiderano”. Se ci sono imprenditori che si dicono contrari al capitalismo, la spiegazione è semplice: fanno parte di quella cerchia di imprenditori collusi coi parassiti di stato, che prosperano con raccomandazioni, intrallazzi, connivenze, corruzione, amicizie... l'esempio tipico sono i proprietari delle agenzie interinali, per i quali essere pappa e ciccia coi sindacati è inderogabilmente necessario. Come sostiene Sara Palazzotti, la differenza tra estremi, destra e sinistra, è che uno vede al comando un popolo comandanto da un uomo con la sua gerarchia e l'altro un proletariato (ente inesistente) comandato da un uomo con la sua gerarchia. Sono cioè la medesima cosa. Come già detto, la destra vede gli uomini tutti uguali, è la sinistra a dividerli in classi. Quindi non è paradossale che la base di destra è molto più solidale di quella di sinistra, e la ragione è chiara: chi è incapace ed inefficiente preferisce odiare/invidiare coloro che sono meritevoli ed efficienti, piuttosto che impegnarsi ad essere come loro. La destra è una nebulosa dove ognuno ha la sua interpretazione, chi è di destra di solito non ama la disciplina e non si fa inquadrare in un movimento gerarchico e organizzato, per questo motivo si parla di maggioranza silenziosa e la sinistra invece che è più dogmatica sembra più presente e numerosa.

"Le corporazioni hanno un interesse diretto a che il capitale italiano sia il più possibile libero da ceppi interni od esterni. L'antitesi diretta capitalismo-proletariato - di origine marxista - esula completamente dal sindacalismo fascista" (Benito Mussolini)

Per Francesco Verderami del Corriere della Sera l’idea che destra/sinistra significhi contrapposizione tra eguaglianza e diseguaglianza era già sterile ai tempi di Bobbio e ha contribuito ad “una forma di razzismo politico-culturale al limite dell’apartheid”. La dicotomia bobbiana destra=diseguaglianza=creazione di ricchezza contro sinistra=uguaglianza=redistribuzione, quest’ultima ala con l’idea che una società più uguale produca anche più utilità sociale e più sicurezza, sono smentite dalla realtà. La differenza, semmai, poteva essere tra un’organizzazione ossessiva dello Stato e la libertà di iniziativa. Riconoscendo alla globalizzazione il merito di aver fatto uscire dalla soglia di povertà molti popoli e alla Democrazia Cristiana quello di aver trasformato l’Italia nella quinta potenza mondiale, non ha però risparmiato critiche al centrodestra che “non ha saputo frenare la folle corsa egoistica verso l’accumulazione finanziaria”. Ma oggi “non c’è più la politica, non ci sono più le classi dirigenti, il moralismo si è sostituito alla morale”. Dire che ci sono “due destre” sarebbe allora un “alibi auto consolatorio” sia per il centrodestra, sia per il centrosinistra, che non vogliono ammettere di aver sbagliato tutto, ha affermato Verderami. L’impostazione del collettivo Wu Ming, continua a distinguere tra una posizione che vede la società lacerata da conflittualità interne e una che invece la concepisce organicamente come un tutt’uno di per sé puro, ma perturbata esternamente, vuoi dallo Stato, vuoi dallo “straniero” o dal “capitale internazionale”. Il primo sguardo sarebbe di “sinistra”, il secondo di “destra”. Nonostante ciò, tra ambiguità semantiche, eredità simboliche, confusioni storiche e necessità ideologiche, il dibattito sul superamento della dicotomia destra/sinistra ad oggi sembra tutt’altro che superato. Tutto ciò vale per i singoli individui, per gli Stati e per tutto quello che essi emanano, ma non vale certo per coloro che ogni giorno si misurano con la libera concorrenza. Quando il merito e l'efficienza sono considerati inutili optional il peggio avanza inesorabile e la rovina diventa una certezza. Quelli secondo i quali il criminale è chi sposta la residenza a Montecarlo, non quel sistema che obbliga a farlo. I sedicenti "progressisti"... che come nota Davide Giacalone, vogliono le barriere, le dogane, i dazi e le protezioni: erano e sono rimasti nemici del mercato, naturalmente sempre in nome degli interessi del popolo (che grazie al mercato ha conquistato ricchezza e sicurezza); erano e sono i militi di una sovranità parolaia e tonitruante, che resta aria fritta, quando non diventa condotta politica vera, che porta inevitabilmente alla miseria ed alla follia. I comunisti odierni hanno cambiato abito, ma non testa, e molti lo sono senza saperlo, tutti quelli che criticano lo spostamento della sede legale della Fiat all'estero come se fosse un'azione se non illecita, immorale. Possono anche mettersi 100 strati di cerone ma il rosso sottostante cercherà sempre di affiorare dal loro profondo, dove resteranno sempre gli stessi costruttori del muro di Berlino.

"C'è un solo modo di uccidere il capitalismo, con le tasse, tasse e ancora tasse" (Karl Marx)

Questa frase ben sintetizza la perversione di un'ideologia pazzesca, frutto della mente contorta di un uomo certo di discreta istruzione ma di scarsa intelligenza. L'unica cosa che questo imbecille produsse fu un'idea che col suo momentaneo inspiegabile successo ha determinato la sofferenza e la morte di un numero incalcolabile di esseri umani, prodotto i più grandi disastri della storia mondiale, impoverito proditoriamente oltre ogni comprensibile misura un terzo del pianeta, ed imperato incontrastato nell'ambito culturale raccattandovi i peggiori scarti dell'umano intelletto del tipo Julien Benda e Paul Valery con le loro deliranti farneticazioni e roboanti formule lessicali in politichese tese a gettare fumo per arrabattarsi con la loro prosopopea a tentare di giustificare l'ingiustificabile.

"Gli accademici sono tristemente noti per la loro ricerca di prestigio mediante il ricorso a un linguaggio complesso che maschera idee semplici" (R.I.Sutton - J.Pfeffer)

"Il cretino di sinistra ha una spiccata tendenza verso tutto ciò che è difficile. Crede che la difficoltà sia profondità" (Leonardo Sciascia)

Al punto che anche quando si accodano anche loro al reddito di cittadinanza, permea sempre il sospetto che dietro ci siano fini reconditi difficilmente afferrabili per chi non è in grado di cogliere le sottigliezze che riescono a scaturire dalla loro diversità antropologica. Vedasi Yanis Varoufakis che per "finanziare" (e finchè non eliminiamo il concetto che il reddito di cittadinanza debba essere finanziato non ne andremo mai fuori...) propone "emissioni azionarie con le quali la Società diventa un azionista in ogni società, e i dividendi distribuiti equamente a tutti i cittadini" che detto in questi termini è un "furbo" espediente per dire "statalizzazione", "furbo" se la statalizzazione potesse dirsi una cosa intelligente, ma dato che così non è, questo o è solo un subdolo sotterfugio semantico da parte di persone che sono rimaste rosse dentro, o è una puerile ingenuità da parte di persone che non sanno nemmeno cosa sia il comunismo e non si rendono conto che quello che stanno facendo è proporre proprio questo. Anche Meade, seppur avendo considerato la socializzazione, inizialmente commise l'errore di spostarsi verso lo statalismo, forse fraintendendo il concetto di "socializzazione" per convergere verso quello che lui chiama "nazionalizzazione inversa", "inversa" non si capisce rispetto a cosa... "mezza nazionalizzazione" casomai, nella quale lo stato dovrebbe essere proprietario del 50% delle quote di ogni azienda e lasciare l'intera gestione al 50% privato solo ottenendo per la quota statale i dividendi del "proprio" 50%... ora bisognerebbe chiedergli quale differenza c'è tra questa facezia e lasciare il 100% di proprietà ai privati che la gestiscono facendogli pagare come imposta la medesima cifra equivalente al 50% del profitto...

“Le moquettes sudice, il tanfo degli armadi, il color bigio dei lavandini, gli orli bruniti dei cessi. Riconosco gli odori del Patto di Varsavia. C’è un tanfo speciale tutto e soltanto comunista, non l’ordinaria sporcizia del resto del mondo. La mancanza d’aria, la poca pulizia, i materassi insondabili, la biancheria nerastra, il fumo di tabacchi paurosi che s’è impastato ai mobili, alle pareti, l’ideologia tutto fa. (...) Un ascensore solo funziona, ma va su e giù senza fermarsi ai piani; le porte, ci spiegano, si sono bloccate” (Piero Buscaroli)

Questa logica si inserisce in quella di chi a volte si sente sostenere l'assurdità che i prezzi di ogni cosa dovrebbero essere adeguati ai redditi del compratore, senza comprendere che se tutto fosse in scala una Ferrari costerebbe lo stesso per un miliardario come per un barbone, ma se la Ferrari costa un prezzo accessibile solo a pochi non è perché così ha deciso un orco cattivo, ma perché di Ferrari ne viene prodotta una certa quantità e venduta al prezzo al quale quella quantità viene smerciata, o vogliamo farne produrre una a testa? Tanto per farvi capire la cognizione che ha questa gente, secondo Andrea Baranes, presidente della Fondazione Culturale Responsabilità Etica della rete di Banca Etica (come se le altre banche fossero "non etiche"...), la ricchezza prodotta da tutti gli abitanti della Terra è tale che, se fosse distribuita in parti uguali, "permetterebbe ad ogni essere umano di vivere con un reddito di 2.884 dollari al mese"... che è una cagata pazzesca: beni per 2.884 dollari al mese pro capite non ne esistono. La maggior parte della ricchezza semplificata da questa cifra è composta da beni i cui esemplari esistenti non sono 7 miliardi. Come le dividiamo 100.000 Ferrari tra 7 miliardi di persone? Sono sempre quelli che credono che il salario sia stabilibile arbitrariamente dal padrone anziché determinato dalle leggi domanda-offerta del mercato. O quelli che vogliono "mettere un limite alla ricchezza" con la "doppia valvola", come se il livello di ricchezza verso l'alto avesse una qualche influenza sul potere d'acquisto della base della piramide, "non reinveste che in minima misura la sua ricchezza nell'economia reale, preferendo piuttosto darsi alla finanza speculativa"... ora verrebbe da chiedergli due cose: cosa sarebbe sta "economia reale" e cosa sta "finanza speculativa" e quale differenza c'è tra le due; se reinvestono "in minima parte", coi restanti soldi che fanno secondo loro? Forse ci comprano tonnellate di pane per distruggerlo per spregio?

"La caratteristica intellettuale del socialismo è la stupidità. Quella psicologica è l’invidia. Quella etica è l’aggressione. Quella economica è la miseria" (Giovanni Birindelli)

E questa incapacità di comprendere non dico le leggi economiche ma la semplice logica si evince nell'inutile e capziosa pretesa di selettività: per 100.000 milionari dei quali 99.990 non lo ritirerebbero si dovrebbe mettere in piedi un apparato dal costo minimo di centinaia di milioni teso a selezionare a chi va e a chi no. E mica ce li vedono i difetti in ciò! Ha davvero un senso attribuire lo stesso reddito di cittadinanza ai barboni e ai miliardari? Non sarebbe meglio limitarne l’attribuzione a coloro i cui guadagni non superino un certo livello? Se così fosse saremmo di fronte ad un sussidio, ma abbiamo già spiegato perché il reddito di cittadinanza non è un sussidio. Essendo il reddito di cittadinanza un diritto fondamentale riconosciuto dallo Stato ed essendo ricchi e poveri cittadini a pari titolo, tutti sono uguali davanti alla legge, non si vede perché lo Stato dovrebbe trattarli in modo differente. Se lo facesse, sarebbe come ammettere che esistono diversi livelli di cittadinanza. Se in termini aggregati matematici ognuno paga la stessa cifra suddivisa di spesa pubblica (so che non lo preciserò mai abbastanza per riuscire ad inculcarlo), in termini nominali personali un ricco paga materialmente decine o centinaia di migliaia di euro di imposte nei quali sono compresi quei 320 euro, che cavolo di discorso è che "li prendono anche i ricchi"????? Certo, prendono 320 euro meno 10.000 = -9.680, ma guarda se bisogna arrivare al punto di doverlo illustrare con un calcolo matematico una cosa di per sé talmente evidente per smentire l'immane stupidaggine illogica del contestare che lo possano ritirare anche i ricchi (quando poi nemmeno lo faranno!)... certo, ricevere 320 euro come conseguenza di averne dati migliaia, proprio un bell'affare per loro e una fregatura per tutti gli altri! Ma anche senza ricorrere ai super-ricchi, consideriamo una persona che contribuirebbe in media per 320 nominali esatti al mese, in pratica grossomodo chiunque abbia un reddito sui 1.500-2.000 euro (netti, poichè essendo le imposte non più basate sul reddito è impossibile fare una stima precisa), più della metà delle persone: egli pagherebbe 320 per riceverne indietro 320 = 0! E se è in pareggio chi guadagna 1.500-2.000, fate un pò voi quale sarebbe il bilancio di chi guadagna ancora di più! E' incredibile dover puntualizzare cose talmente ovvie! E' veramente così complicato capire la logica secondo la quale gli unici avvantaggiati in termini reali di potere d'acquisto dal reddito di cittadinanza sarebbero solo i redditi inferiori in misura progressivamente crescente al decrescere del reddito? Gli unici che ne avrebbero un aumento netto di 320 esatti sarebbero quelli che oggi hanno zero! Al crescere del reddito l'aumento di potere d'acquisto reale decrescerebbe proporzionalmente fino al raggiungimento del pareggio (o breakpoint, importo del reddito col quale ciò che si riceve in termini di reddito di base equivale a quanto si eroga in tasse) tra i 1.500-2.000, i redditi superiori che lo ritirano non fanno altro che RECUPERARE una parte di quanto versato, progressivamente inferiore al crescere del reddito, quindi intera tra i 1.500-2.000, pressoché irrilevante per i milionari! Non ci arrivano al ragionamento logico che 320 per chi li ha come unico reddito sono il 100%, per chi ha un reddito di 3.200 sono il 10%, per chi ha un reddito di 32.000 sono l'1%, per cui il reddito di cittadinanza stesso sarebbe l'apoteosi della progressività! Quindi, anche se il livello impositivo restasse uguale (e non è così), ci sarebbe un aumento di imposte di 3.840 euro pro capite. Ora, anche così fosse, e lo è solo nella teoria di questo discorso, mica riescono ad arrivarci a rendersi conto che, certo ci sono 3.840 euro reali pro capite che vengono presi, 3.840 euro che non sono "distrutti" (come evidentemente invece è nel loro microcefalico immaginario) ma sono ri-consegnati a quelle stesse persone dalle quali sono stati presi! Quindi il saldo qual'è? 3.840 - 3.840 = 0, il saldo è in pareggio! Non sarebbe altro che un partita di giro! Con la differenza rispetto ad oggi che così si scollega la tassazione reale da quella nominale ed in tal modo la si rende più equa ed uniforme andando a costituire UNA VERA progressività, non quella attuale che favorendo i furbi o perlomeno essendo suscettibile di variabili stabilite discrezionalmente (detrazioni, no tax area, aliquote a scaglioni, ritenute sostitutive, addizionali, ecc) non è certo equa ed uniforme. Anche la spesa pubblica rimanesse quella attuale, il reddito di cittadinanza non andrebbe ad aggiungercisi, perchè quelle cifre sono finalizzate ad essere restituite a chi le ha formate, con la differenza (che è il suo scopo, altrimenti non avrebbe senso) che vengono restituite anche a chi ha un "imponibile reale" sotto zero (tutti quelli che hanno reddito annuo zero o comunque inferiore ai 3.840 nominali) e non solo a chi, beato lui, ha un effettivo imponibile nominale (cioè un reddito) superiore alla cifra che gli viene restituita. Mentre, in termini reali, il saldo è perfettamente in pareggio per TUTTI, dal barbone a Briatore. Eccola la risposta al trito ritornello "dove li prenderete questi soldi?"! Per alcuni, questo potrebbe sembrare uno spreco. Perché dare dei soldi a qualcuno che non ne ha bisogno, prendendoli dalle entrate fiscali e quindi sottraendoli alle altre spese pubbliche? Ecco, innanzitutto il concetto stesso di "prendendoli dalle entrate fiscali e quindi sottraendoli alle altre spese pubbliche" è una stupidaggine immane e perfino paradossale dato che esprime da un lato la contrarietà alla RESTITUZIONE di una parte a chi le entrate fiscali le fornisce, e dall'altro una sorta di compassione verso chi appunto tali entrate fiscali pubbliche le versa... ora ditemi dove sta la coerenza in ciò? Si critica la restituzione di una minima parte, e allo stesso tempo si critica l'intera esazione?????? Ma come si conciliano le due critiche diametralmente opposte???? Il "sottraendoli alle altre spese pubbliche" poi suona perfino come un presa per il culo da parte di quella gente che oggi non ha nulla da obiettare sui veri sprechi della spesa pubblica (che non sono certo le pensioni dei politici, tanto per dirne una), e non dovrebbe nemmeno servire aggiungere altro per spiegare che NON SONO SOTTRATTI proprio per niente ad alcuno o alcunché!!!! Lo si legga nel resto del testo dove è già ampiamente spiegato, non serve ripetere mille volte le stesse cose. Restando al punto specifico della questione, indipendentemente dalle condizioni personali attuali, vivere costantemente con la paura di perdere tutto è bello, no? Volendo fare un analisi razionale ad una costestazione di per sè irrazionale, la si può vedere anche in questo modo: è uno spreco mettere le cinture di sicurezza in ogni auto invece che solo nell'auto di coloro che hanno avuto incidenti dimostrando così il loro bisogno di cinture di sicurezza? I buon guidatori sono immuni dagli incidenti, giusto? Quindi potrebbe sembrare uno spreco. Ma questo non solo per i costi assurdi necessari al determinare chi potrebbe o non potrebbe aver bisogno di cinture di sicurezza, nonché il rischio di sbagliare la valutazione. Gli incidenti non accadono solo ai "cattivi" guidatori. Possono succedere a chiunque, in qualsiasi momento, puramente per caso. Come risultato, le cinture di sicurezza valgono per tutti. Secondo la logica dei critici invece ne deriverebbe che le cinture di sicurezza andrebbero messe solo nelle auto dei "cattivi guidatori" (chi e con quali criteri si decide quali sono?). Il reddito di cittadinanza potrebbe essere visto come un vantaggio anche dai più ricchi, una sorta di assicurazione contro i rovesci della fortuna. Ma poiché, in democrazia, dovrebbe valere il principio di non obbligare le persone contro la loro volontà, se non in caso di pregiudizio per terzi, la legge dovrebbe lasciare i cittadini liberi di scegliere se vogliono affidarsi alla tutela dello Stato o se intendono garantire il proprio futuro solo con le proprie forze. Il paradosso di tutto ciò è che, a fronte delle enormi spese di cui lo Stato si fa carico, esponendosi al rischio di un indebitamento pubblico o di un inasprimento del carico fiscale insostenibili, i diritti fondamentali dei cittadini non sono garantiti a livello universale, nemmeno nei paesi più ricchi, dove i cittadini in stato di indigenza si contano a milioni. Se si considerino anche i pensionati e coloro che percepiscono sussidi di disoccupazione e di assistenza sociale e tutti i dipendenti statali (della pubblica amministrazione, della scuola, della sanità, ecc.), risulterebbe che attualmente in molti paesi circa la metà degli aventi diritto al voto percepiscono il loro reddito dallo Stato del benessere. Non c’è quindi da meravigliarsi se lo Stato del benessere possa contare ancora oggi su un vasto consenso e se lo smantellamento dei servizi sociali è rimasto relativamente limitato. Si potrebbe dire che le attuali democrazie operano come se fossero sistemi di mercato, in cui si offrono ai cittadini benefici economici e diritti in cambio del voto, in cambio cioè della rinuncia alla propria fetta di sovranità e alla partecipazione politica diretta. Secondo Philip Pettit, il reddito di cittadinanza traduce la libertà della persona di poter “vivere senza dover supplicare il favore del potente”. La verità è che i costi determinati dall'esistenza di persone aventi un reddito insufficiente sono molte e collettivamente la spesa è enorme sotto qualunque forma essa si presenti, direttamente o indirettamente: oneri del sistema sanitario, oneri del sistema giudiziario penale, oneri del sistema d'istruzione, oneri burocratici, oneri di collocamento e formazione, oneri della produttività e del potere d'acquisto dei consumatori e quindi di intere economie. Il costo totale di tutti questi oneri supera complessivamente anche il solo quanto monetariamente servirebbe a fornire un reddito di cittadinanza, per non parlare poi del beneficio complessivo che esso determinerebbe e che non è nemmeno valutabile monetariamente matematicamente!!! Con tutte le conseguenze positive che sono descritte nel resto del testo. Il reddito di cittadinanza sostituisce perciò la quota esentasse delle imposte sui redditi, abolite, essendo in pratica una "quota esentasse" inversa cioè negativa, con gli stessi identici effetti che avrebbe un imposta positiva sui redditi. In pratica, ciò significa che il costo netto del reddito di base è molto inferiore al costo grezzo calcolato come somma delle sue erogazioni mensili per tutta la popolazione. I sussidi invece riflettono un atteggiamento miope, perché, come fa saggiamente notare Tim Worstall, creano necessariamente una tassazione marginale sui ricchi, mentre incidono al 100% sui poveri. Infatti, quando una persona povera tenta di uscire da una situazione di povertà o di disoccupazione, guadagnando qualche soldo grazie a un lavoro dichiarato, viene punita per il suo sforzo con la soppressione del sussidio o di una sua percentuale proporzionale. Questo significa che per i ricchi il tasso marginale è del 50% al massimo (il livello di imposte sul loro reddito), mentre per i poveri è del 100%, visto che perdono tutto quello che guadagnano. Si raggiunge l'apoteosi dell'iniquità nella proposta 5 stelle di dover non solo perdere il sussidio, ma addirittura DOVER RESTITUIRE le somme già riscosse!!!! Il solo modo per evitare questo meccanismo perverso è quello di assicurare anche a quanti hanno un reddito primario che non equivale a zero il trasferimento di reddito, che alzerebbe automaticamente il loro livello di reddito netto in ogni caso certamente al di là della soglia di povertà "5 stelle" (i 780 euro). In questo modo la target efficiency equivale alla perfezione: la focalizzazione sui poveri come condizione necessaria di una politica intelligente di lotta alla povertà che sia allo stesso tempo anche una strategia contro l’esclusione dal mercato del lavoro. Sotto tale "soglia" resterebbe perciò solamente chi oggi ha reddito zero, che quindi salirà a 320 (che sono meglio di 0) o anche a 520 (con il lavoro di quartiere); non ci sarà più NESSUNO con reddito inferiore a 320. Per ottenere ciò non ci sono alternative maggiormente efficienti di questa. La formula più semplice e sistematica per dare vita a una politica del genere passa inevitabilmente per il reddito di cittadinanza, attraverso un trasferimento lordo di uguale entità a tutti, sia che si lavori sia che non si lavori, in modo tale che laddove chi è povero iniziasse a lavorare otterrebbe comunque un reddito più alto rispetto ai periodi in cui è disoccupato. Inoltre i sistemi attuali che differenziano il livello di sussidio in base alla composizione del nucleo familiare tendono a concedere più reddito e benefici a due individui che vivano separati piuttosto che insieme. L’individualizzazione legata all'interpretazione del reddito di cittadinanza, invece, si tradurrebbe nell’incoraggiamento all’unione, visto che laddove questi due individui dovessero mettersi insieme, o decidessero di unirsi ad altri individui, non ne verrebbero penalizzati. In questo senso il reddito di cittadinanza costituirebbe un incoraggiamento sistematico alla vita comunitaria e familiare. Tutto questo non significa certo eliminare i rapporti di collaborazione umana, ma impostarli appunto sul concetto letterale di collaborazione, anziché di asservimento come è inteso oggi tale rapporto. Se le sperimentazioni hanno dato come esito l'aumento dei divorzi, è proprio perchè con la maggior indipendenza economica del coniuge esso non è più COSTRETTO a restare legato controvoglia al coniuge portatore di reddito! Anche Götz Werner e Thomas Straubhaar, fautori del reddito di cittadinanza, definiscono le imposte sui redditi "reliquia del passato" e "anacronismo dei tempi della rivoluzione industriale e del posto fisso quando il reddito da lavoro di un uomo rappresentava la principale fonte di reddito familiare", tuttavia commettono entrambi l'errore di sostituirle con il caricare tutte le entrate sull'Iva, cosa che avrebbe un effetto devastante sul commercio ampliando le aree di "perdita secca" andando quindi a disincentivare gli scambi ed incitare al praticarli come "mercato nero". Già oggi le tasse si scaricano interamente sui consumi a danno delle classi medie e dei poveri che sono il 90% dei cittadini consumatori. Poiché anche il ricco contribuisce alle entrate statali consumando, per quanto il ricco possa spendere non potrà partecipare come il 90% dei cittadini che contribuiscono con la metà del loro reddito, posto che tutto il reddito sia speso per vivere. Casomai la progressività delle imposte deve essere applicata ai patrimoni, solo la tassazione dei patrimoni è conforme all'art. 53 dove la costituzione italiana dice che tutti devono partecipare alla spesa pubblica nella misura della propria capacità contributiva, poichè solo i patrimoni sono indicativi della ricchezza effettiva. Nei fatti, il sistema di tassazione in vigore è incostituzionale.

"Se uno Stato vuole evitare [...] la disintegrazione civile [...], non bisogna permettere alla povertà e alla ricchezza estreme di svilupparsi in nessuna parte del corpo civile, perché ciò conduce al disastro. Perciò il legislatore deve stabilire ora quali sono i limiti accettabili della ricchezza e della povertà" (Platone)

Questo ragionamento si esplica anche nel senso dato da Bellia alle teorie di Paine riguardo al prelievo tributario: un soggetto che trattiene a sé un bene senza farne un utilizzo, col sistema fiscale reddituale non pagherebbe imposte, con un danno doppio alla collettività consistente sia nel mancato prodotto sia nella mancata contribuzione compensativa dell'impedimento all'uso comune. Con le imposte fisse dovrebbe pagare anche in assenza di utilizzo, o in caso di sottoutilizzo, o di utilizzo in perdita, per cui oltre a dover contribuire comunque come corresponsione di un "affitto" alla collettività, sarebbe incentivato (in tali casi si intende) a cederlo ad altri che sappiano farlo fruttare e per questo lo desiderino ricevere acquistandolo e poi pagando l'"affitto" alla collettività per risarcirla dell'utilizzo esclusivo. Ed ecco che avremmo così anche una fondata legittimazione all'esazione di imposte, legittimazione finora inesistente dal punto di vista morale e comunque pretestuosa dal punto di vista legale. In tal modo la tassazione verrebbe finalmente ad essere veramente giustificata ed equa, andando ad incidere sui consumi e gli utilizzi e non sui redditi e le transazioni, poichè una patrimoniale la paga un disoccupato che riceve una casa in eredità, un imposta sul reddito la paga un manager che ha perso anche le mutande al casinò. A questo stesso scopo sono finalizzate anche le imposte supletive sulle spese (su casa, auto, e velivoli, immobiliari, che oggi sono erroneamente accomunate a quelle patrimoniali mobiliari che in realtà sono solo quelle sui redditi da rendita finanziaria) poiché un bene di lusso (e come tale va considerato qualunque bene quando possegga caratteristiche intrinseche in esso che vadano oltre l'utilità effettiva, quindi case e auto più grandi o veloci del necessario) ha un'elevata elasticità nella domanda in base al reddito, sia l'"effetto reddito" che l'"effetto sostituzione" diminuiranno la domanda drasticamente all'aumentare dell'imposta. Capisco che alcuni facciano confusione tra reddito e patrimonio, e tra patrimonio mobiliare e immobiliare, ma non c'è nessuna filosofica distinzione tra forma e sostanza che tenga: c'è solo da usare i termini appropriati. Se uno vuole può chiamare "carne" una verdura con un livello di proteine sopra una certa soglia. L'importante è avere ben chiare le idee sui significati che si intende dare. Giusto per evitare che qualcuno pensi di seppelire dei conigli e innaffiarli nella speranza che germoglino. Secondo Bellia, sulla base delle teorie di Robert Frank e Phillip Cook, quindi un imposta su queste spese incide in maniera equa sulla ricchezza andando ad incidere sulle esternalità posizionali, perciò non più solo nel senso della copertura delle spese pubbliche. Ora ditemi dove sta la coerenza nel criticare il fatto che anche i ricchi potrebbero riceverlo, ed al contempo criticare quei mezzi compensativi atti proprio ad incidere sui ricchi quali l'imposta sulla casa e sull'auto (dato che si presume che a maggior reddito corrisponda casa più grande e auto più costosa, e se un ricco paga poco perché abita in una baracca e non ha l'auto, tanto meglio, case e auto saranno meno costose per tutti gli altri)... Ovviamente vano è fargli capire che queste obiezioni sull'universalità potrebbero avere senso tutt'al più se stessero criticando un sussidio (che universale non è per definizione), ma dato che il reddito di cittadinanza non è un sussidio ma un dividendo universale, non sarebbe corretto escluderne soggetti che a formare quell'utile ci hanno contribuito. Che poi i ricchi nemmeno lo ritirerebbero: che senso avrebbe che uno che valuta il proprio tempo in 200 euro all'ora impiegare 2 ore per recarsi a ritirare meno del valore di quel tempo???? Ecco quale sarà l'unica condizione alla quale sarà sottoposto il reddito di cittadinanza: fare la fila! E sicuramente anche su questo avrebbero qualche folle obiezione, non ci sono dubbi, mentre guai a criticare le loro si folli proposte. Anzi perfino il fatto che lo prevedano dietro domanda apposita secondo loro è una cosa buona! Tuttavia, per venire incontro alle loro obiezioni, si potrebbe organizzare la distribuzione nel seguente modo: 320 distribuiti mensilmente (con orari tipo 10-12 e 16.30-18.30 escluso sabato, domenica, e martedì mattina), più 20 euro aggiuntivi ritirabili solo in 4 tranche mensili di 5 euro ciascuna ogni martedì mattina del mese, cosicché solo chi veramente bisognoso ritirerà i 20 euro supplementari. Tutt'al più per incentivare la rinuncia da parte di chi per il quale non sarebbe necessario, chi non lo ritira sarà esentato da qualunque eventuale obbligo comunitario (servizio militare, protezione civile, associazionismo, ecc), tipo da 2 anni dall'ultimo ritiro.

Ora, come tutti sappiamo in Italia sono proibiti i referendum su temi economici, per il motivo che se venisse fatto un referendum sull'abolizione delle tasse ci si aspetta che tale proposta risulterebbe vincente, ma l'abolizione delle tasse non è certo una cosa fattibile (a meno di sostituirle con una fiscalità monetaria), quindi non si può permettere che un referendum la sancisca. Bene, a fronte di questo, è prevedibile (come è effettivamente accaduto in Svizzera) che un referendum che proponesse la stessa cosa ma in modo inverso, erogazione di soldi anzichè rinuncia a sottrarli, cioè l'erogazione a tutti i cittadini di un reddito di base, il risultato sarebbe una bocciatura... ora, a fronte degli interessi che determinerebbero tali voti, è lecito chiedersi secondo quale logica una persona voterebbe si all'abolizione delle tasse, ma no al ricevere soldi gratis... quale differenza ci vedono, dal loro punto di vista? Dato che il risultato, da quello che dovrebbe essere il loro punto di vista ovviamente, dovrebbe essere lo stesso. Soprattutto in virtù del fatto che il reddito di base lo riceverebbero tutti e quindi la percentuale di votanti interessati al voto a favore dovrebbe essere maggiore, mentre a pagare le tasse nominalmente e quindi ad essere interessata ad un voto a favore della loro abolizione è solo una piccola parte di elettori... il reddito di base poi è una cosa fattibile, l'abolizione delle tasse no. Da che mondo e mondo, qualunque referendum che mira a salvaguardare gli interessi del popolo votante non dovrebbe porre dubbi sul suo esito. Se così fosse, vuol dire che tutti questi anni di inciuci ed imbrogli dei nostri politici non sono serviti a nulla. O forse sono serviti proprio a ciò? Sarebbe quindi lecito ipotizzare a rigor di logica che un referendum sul reddito di base ottenesse qualcosa come il 90% dei favorevoli, mentre quello sull'abolizione delle tasse qualcosa come il 10% dei favorevoli... ed invece nella realtà sarebbe pressochè l'opposto! Dove sta la logica in ciò??? Alla luce di ciò appare paradossale una tra le solite tipiche critiche al reddito di cittadinanza come voto di scambio: "permetterà a milioni di disoccupati di vivere di rendita grazie allo Stato (e qualche lavoretto in nero) quindi non solo voteranno chi glielo offre, ma continueranno per decenni a vivere di quel regalo e continueranno a votare chi promette di non toglierlo. Si chiama fidelizzazione del cliente"... che viene da chiedersi in quale paese ha vissuto chi lo pronuncia dato che la realtà evidente è che gli italiani sembrano invece fare a gara per votare quelli che più glielo mettono nel culo... quindi casomai chi gli promettesse "di non toglierglielo" ne riceverebbe un danno in termini elettorali e non un giovamento, ed a conferma abbiamo proprio il fatto che già oggi chi promette di introdurlo ne riceve un danno tanto da dover edulcorare la proposta. Un voto di scambio, si, a favore di tutti gli altri partiti però! Ora, a fronte che in un mondo normale la proposta del reddito di cittadinanza sarebbe (se fosse quello vero si intende) l'unica proposta decente tra tutte quelle propugnate dai 5 stelle che per il resto è solo un accozzaglia di aberrazioni che è perfino superfluo specificare, nei forum si trovano commenti di gente che scrive di apprezzare tutto del movimento 5 stelle fuorché il reddito di cittadinanza... E tutto questo perché viviamo in un mondo che non è normale. Ovviamente l'immancabile accenno al lavoro nero, regolarmente come se fosse una cosa negativa.


Allego un testo di Cristiano Saltarelli sui problemi che comporta la selettività, certamente meno enfatico dei miei:

Il testo presenta un intervento di risposta a questo problema “capillare”, che definisce tante categorie d’intervento, questo vorrà dire la nomina di tecnici per precisare meglio queste categorie, di funzionari che pubblicizzino il sistema che essendo complesso dovrà essere fatto capire agli aventi diritto affinché presentino una domanda corretta dei servizi in questione, le domande poi dovranno essere vagliate, serviranno poi dei controllori per verificare che i dichiaranti abbiano detto il vero, serviranno poi degli altri controllori per verificare che alcuni dei funzionari pubblici nominati per questo non si siano messi d’accordo con gli utenti per frodare lo stato. Vi saranno poi tante situazioni incerte sul diritto o meno a questi servizi per cui serviranno magistrati per interpretare la situazione. Naturalmente il discorso è ancora più complesso se gli aiuti sono nei termini di servizi come quelli indirizzati alla “formazione” dei futuri lavoratori. Al riguardo non faccio considerazioni teoriche, mi limito a sottolineare che la “formazione per il lavoro” ha rappresentato il più grande mangimificio nel quale soldi pubblici destinati alla “tutela sociale” sono finiti nelle tasche dei ladri, politici e non. Credo di aver reso l’idea sulla differenza tra un sistema di tutela sociale “capillare” come quello che i 5 stelle propongono, e un sistema semplice e generale come il Dividendo Sociale i cui utenti sono già tutti iscritti al registro dell’anagrafe, non c’è bisogno di domande né di verifiche. I calcoli fatti sui meccanismi di tutela sociale “capillari” stimano che normalmente tra costi istituzionali e sprechi vari (leggi ruberie) se ne va via il 50% dei soldi destinati, questo vuol dire che per mettere in tasca 320 euro ad un povero lo stato ne spende 640.

Complessivamente l'unica spiegazione possibile è che chi ha redatto tale progetto non abbia mai provato in vita sua ad essere disoccupato in maniera permanente, solo così si possono giustificare la marea di farneticazioni di cui consiste la proposta di legge dei 5 stelle. Ogni disoccupato permanente SA che per persistere nell'inutile ricerca di un lavoro che oggi NON C'E' bisogna essere veramente ma veramente deficienti!!! Pretenderlo dagli altri come lo si dovrebbe classificare? E paradossale è che queste stesse persone identificano nelle differenze con il vero reddito di cittadinanza quelli elencati come i difetti principali di quest'ultimo!!! Il fatto che non riescano a vedere falle sensate (che potrebbero benissimo esserci, non lo nego a priori) è per noi un segno della bontà della proposta. E ad ulteriore conferma l'avversità trasversale, cioè da parte liberista l'accusa di essere troppo di sinistra, e da parte grillina di essere troppo di destra. Comunque comprendo che le critiche derivate dall'aver preso fischi per fiaschi sono causate dal fatto che sono io a non essere molto bravo a spiegare in parole i concetti. Però cavolo, ogni volta è la stessa storia, io dico una cosa e loro ne capiscono tutt'altra, e non è che chiedono lumi, no, ma quando mai! Rigorosamente danno per scontato che il senso sia quello, nemmeno si capisce come, inteso da loro! Ma si può così??? Peccato che i grillini non riescano a comprendere (o io a spiegare) che la nostra proposta determinerebbe la fine della giungla liberista (la fine della "giungla", di quello che intendono loro con "giungla", che è causata dal dirigismo statale odierno) che loro invece paradossalmente paventano, e il venir meno delle attuali necessità competitive causate sempre dall'intervento dello stato come conseguenza, e non la strampalata interpretazione secondo la quale noi vorremmo togliere presunti diritti (che comunque tali non sono) cioè quei fattori che sono la causa della disoccupazione, che casomai sono privilegi di casta, perché anche quella dei "lavoratori" è una casta, responsabile della disoccupazione altrui; poi il tipico uso del termine stesso "lavoratori" come distinguo è veramente vergognoso, come se invece gli imprenditori stessero a far niente e come se i disoccupati lo fossero per loro scelta o colpa... noi questi privilegi (o "diritti" se volete chiamarli così anche se tali non sono) vogliamo RENDERLI INUTILI, "renderli inutili" lo traduco per tutti significa che sarebbero i datori di lavoro ad osservarli automaticamente senza necessità di costrizioni, per la banalissima legge domanda / offerta: se un dipendente può benissimo trovarsi un altro lavoro (ossia ciò che sarebbe possibile in presenza di piena occupazione) il datore si premurerà di attuare condizioni atte a trattenerlo presso sé, e si guarderà bene dal fare il contrario ossia attuare azioni per le quali oggi sono necessarie quelle esternalità che loro chiamano diritti e che sono la causa della disoccupazione; rendere inutile e superfluo un "diritto" non funziona meglio che imporlo per legge????

“Se tratti meglio gli operai e la società, se sei un’azienda buona, farai maggiore profitto” (Philip Kotler)

Diminuire le tasse alle imprese perché investano ma lasciando tutto il resto inalterato non risolve il problema dell'occupazione, ogni investimento si propone di ottenere un maggior profitto con una riduzione di personale addetto o un aumento di produzione con lo stesso personale, che causerà un'aumento di disoccupati in qualche altra azienda. I conti devono tornare e non si può cavare sangue da un muro. Dal suo punto di vista il fatto che le scelte economiche siano nelle mani di pochi manager che decidono cosa e dove produrre avendo come unico obbiettivo l'ottenimento del massimo utile possibile (comprensibilmente, mica si può pretendere diversamente) non fa che atrofizzare progressivamente il sistema nel quale manca un valido compensatore sociale (e come tale non possiamo certo definire l'attuale welfare burocratico). Se prima il concetto di welfare era affidato anche agli ammortizzatori sociali che per quanto inefficienti attuavano una redistribuzione ed una relativa sicurezza per una massa di persone, la politica degli ultimi 20/30 anni è stata quella di delegare ai privati tutto ciò che creava lavoro con il risultato che dopo un certo momento della storia l'ottenimento del massimo utile è stato l'unico obbiettivo perseguito e la relativa caduta di quegli ammortizzatori sociali che, per quanto inefficienti, assicuravano un certo margine di welfare. Ma senza applicare qualcosa in sua sostituzione, ha portato alla situazione attuale (cioè nella quale "il posto fisso non esiste più"). Chiaro che non è sicuramente facile dire "abbiamo sbagliato tutto" ma se i governi (non parliamo solo di Italia parliamo per lo meno di Europa) non mettono in atto un sistema che realizzi indirettamente "posti di lavoro" indipendentemente dalla creazione di ricchezza che creano la "disoccupazione" non potrà che aumentare per l'incipiente divario tra posti eliminati e posti creati dall'automazione. Ovviamente il fondamento deve essere il reddito di cittadinanza, un reddito di base per assicurare a tutti una vita dignitosa determinando al contempo la riduzione del costo del lavoro per le imprese. Se si intraprende intelligentemente questa strada ci vorranno comunque anni per arrivare a un punto di equilibrio accettabile ed evitare le solite guerre fra poveri e rivoluzioni di cui la storia del genere umano è piena dalle sue origini. Quello che demoralizza è il non sentire nessuno che fa, anche alla lontana, ipotesi di questo tipo, ed anzi ancor peggio vedere che quelli che fino a pochi anni fa le faceva, ora ripudiarle e lasciarsi fregare i concetti da altri. Poi per carità le opinioni sono personali ed attorno ci sono sicuramente molte più cose da considerare ma come dice un antico proverbio anche la marcia più lunga comincia con un piccolo passo e se questo passo non si fa si rimane lì fermi in attesa degli eventi. In poche parole, condensando, dovremmo avere il coraggio di ribaltare il sistema prima che lo faccia chi non ha sicuramente le idee chiare su ciò che sta facendo e lo faccia solo per interessi personali. Ma dopotutto cosa ci si può attendere da un mondo nel quale i privilegi (seppur determinati da altri fattori a loro volta dovuti al fatto che a comandare sono sempre le persone più stupide ed ignoranti grazie al consenso oclocratico della massa elettorale) vengono non solo chiamati "diritti" ma addirittura difesi a spada tratta dagli stessi che da questi privilegi altrui (o "diritti"... secondo loro) ne sono danneggiati e pure gravemente?!?!?!?! Un mondo nel quale ci sono disoccupati iscritti alla Cgil non è un mondo normale. Come se un cervo si iscrivesse ad un club di cacciatori, tanto per adeguarmi alle assurdità che da sempre mi tocca ascoltare.

"Quando la spoliazione diventa il mezzo attraverso il quale vive un certo gruppo d'uomini uniti tra loro da qualche legame sociale, essi creano subito una legge che la conferma e una morale che la glorifica" (Frederic Bastiat)

La Cgil offre da sempre una sintesi mirabile di un universo vasto e complesso, un universo di idee che cozzano clamorosamente contro ragione, verità, natura, cultura. Per arrivare alla follia normalmente non basta lo scollamento doloroso tra aspettative personali e condizione reale, bisogna che ci monti sopra lo scarto tra narrazione ufficiale e constatazione personale. In ogni caso si impone un’azione propedeutica irrinunciabile, intendersi sul significato delle parole che si usano, individuarne gli equivoci, i significati diversi che gli diamo, individuare quindi l’origine della incomprensione. "Hanno creato un deserto e lo chiamano ripresa" è frase calzante, solo che la Cgil (della quale è uno slogan) intende una sola cosa (un solo gruppo di cose), noi non solo ne aggiungiamo altre che Cgil non vede, bensì gli diamo valore fondante ovvero causante anche quelle sole cose che Cgil vede. Cgil intende l’abolizione dell’articolo 18, la "buona scuola", le esternalizzazioni, le cosiddette privatizzazioni. Noi vediamo invece che prima di questa c'è lo scivolamento italiano verso un’economia parassitaria assicurata non solo dal costante gonfiamento del pubblico impiego, ma pure da costi abnormi delle opere pubbliche, dalle regalie assurde di pensioni perpetrate per decenni e dalle rendite di posizione mascherate con la curiosa espressione “conquiste sindacali”, dai costi spropositati della politica e delle istituzioni; tutte cose che messe insieme sono la vera storia economico-sociale degli ultimi quarantacinque anni, del declino italiano. Il contesto soggettivo italiano invece di raffrenarsi ha pigiato l’acceleratore sulle pretese, sempre più forti e irresistibili per le orecchie dei governi proprio perché parallelamente le condizioni di vita e lavoro nelle aziende vere (quelle che vivono non di denaro pubblico bensì affrontano da sole la competizione globale) peggioravano di giorno in giorno: caricate di tasse e caricate di burocrazia per giustificare il gonfiamento dei pubblici uffici, competenze, poteri, personale, sedi, apparati. Negli ultimi anni hanno chiuso decine di migliaia di aziende, centinaia di migliaia di negozi, tantissimi professionisti hanno chiuso attività. Cosa che in effetti è un deserto al cui cospetto azzardare ai Tg la parola "ripresa" senza la pur minima riduzione di tasse e burocrazia (unica condizione per veder rifiorire sul serio impresa e lavoro), effettivamente fa incazzare e contribuisce non poco a dar fuori di testa o diventare matti come paventa la Cgil. E sì si diventa matti, specie se la naturale resistenza all’estorsione fiscale (indispensabile per mantenere quegli eserciti di parassiti) viene demonizzata con l’epiteto "evasione fiscale"; specie se gonfiare il parassitismo di stato negli enti locali, nelle scuole/università e nelle aziende dei servizi “pubblici” (in realtà privatizzatissime in favore di chi ci lavora e ci comanda) viene chiamato "diritti"; specie se eserciti di aspiranti parassiti vengono santificati con nome di "precario". Questa dei "diritti" è parola chiave per spiegare la follia di massa. Vi si è strutturato sopra un equivoco che è la forza massima della Cgil e relativa galassia di idee, anche se è pure il motore ultimo della follia. Diritti rivendicati faticosamente e giustamente come naturali nel corso dei secoli sono quelli affermati dalle rivoluzioni inglese, americana, francese e dai risorgimenti nazionali, proclamati nelle dichiarazioni dei diritti dell’uomo, nelle carte fondanti gli stati moderni europei e occidentali: essi sono il diritto alle libertà politiche, alla proprietà, alla uguaglianza davanti alla legge (un tempo la legge non era uguale per tutti bensì c’erano tribunali distinti per il clero, per i nobili, per il popolo, per i militari). Vita, libertà e famiglia sono valori insiti nel dna umano e quindi a pieno titolo rientrano tra i diritti fondamentali della persona. Su questi diritti siamo (quasi) tutti d’accordo, non c’è distinzione tra gente di destra e gente di sinistra. E diritto propriamente significa che nessun ordinamento statale, nessun principe o re o parlamento o partito o classe può agire contro di essi. Proprio così, i diritti sono punti fermi soprattutto nei confronti dello Stato, più che verso persone malintenzionate per le quali basta il codice civile e al caso penale. L’equivoco letale nasce quando qualcuno (la Cgil per esempio) con mano lesta come un gioco delle tre carte vi ha infilato in mezzo un’altra serie di “diritti” che sembrano assonanti ma in realtà hanno una diversità radicale (alla radice), strutturale. Mentre i primi diritti a ben guardare non costano nessuna somma di denaro a carico dello stato o di chicchessia, i diritti all’istruzione, alle strutture sanitarie, al lavoro, alla casa, alla pensione e quant’altro costano un sacco di soldi, a meno che non si pretenda che maestre e professori, medici e infermieri, muratori e geometri lavorino gratis. Nessuno può lavorare gratis (a meno che non sia mantenuto da qualcun altro), quindi tali diritti in verità sono subordinati a una adeguata produzione di ricchezza da parte di quella società che li proclama.

"Il controllo sulla produzione della ricchezza è il controllo sulla stessa vita umana" (Hilaire belloc)

Cento anni fa nessun reclamava tali diritti non perché i nostri nonni fossero più addomesticati ma solo perché con quel sistema produttivo arretrato nessuno immaginava l’intero popolo minuto pasciuto, istruito, ben calzato e ben vestito, curato, assistito, riposato, con l’utilitaria sotto il sedere e l’armadio pieno di camice e maglioni. E’ proprio qui che la narrazione ufficiale fa a pugni con la realtà che per quanto edulcorata o falsata è destinata a far capolino almeno di notte nella coscienza di ciascuno; siccome nessun partito di destra o di centro ha mai avuto il coraggio di contrapporre le verità antropologiche e naturali alla retorica dei diritti, il nervosismo, la rabbia, la voglia di dar di matto serpeggiano ed è effettivamente un miracolo che così pochi siano ancora i casi di gente che fa fuoco. E’ insomma ovvio che per conquistare e mantenere i diritti della seconda serie ci vuole una società capace di molta ricchezza; ovvio che l’Italia degli anni ’60, ’70 e ’80 ricca di imprese e ancora scarica di tasse e burocrazia aveva tassi di sviluppo che consentirono quelle conquiste. Ma è altrettanto ovvio che se il sistema di reale produzione di ricchezza (merci, beni e servizi) arranca poiché oberato di concorrenza mondiale e per di più oberato di tasse e burocrazia asfissianti e crescenti, continuare a reclamare tutti quei diritti come niente fosse, non può che seminare follia di massa nella popolazione specie tra i giovani. Molti giovani sono oggi dei disadattati non solo perché il vero mercato del lavoro (ciò che passa il convento nell’Italia così ridotta), è assai lontano dalle alte aspettative di vita cui li hanno educati i genitori a loro volta figli dell’abbondanza, ma ancor più perché scava nefasto dentro il loro animo il tarlo della pretesa, il canto di sirena che gli dice, li illude. La Cgil è maestra in questi canti di Nausicaa e i giovani non possono che avere una voglia matta di crederci, al caso di incazzarcisi sopra e di “lottare”, che parola straordinaria, Lottare! Accordiamo alla Cgil il beneficio di inventario perché l’illusione della visione post-marxista è stata diabolicamente così pervasiva che ha preso fino al collo perfino i preti, figuriamoci gente di poca istruzione. Sopra tutti campeggia l’ignoranza di cosa sia il denaro, quell’enorme montagna di denaro che costano tutti i diritti della seconda schiera. Il denaro non è cosa che si stampa a piacimento di notte, se così fosse i governi potrebbero stampare e distribuire banconote per un milione a testa e tutti vivremmo felici e contenti. Il denaro cari professori, sacerdoti, giornalisti, sindacalisti e maestrine cazzute è il corrispettivo di uno scambio. E’ vero che tale scambio tra umani (un prodotto, un bene, un servizio) presuppone la produzione di ciò che sta per essere scambiato, ma rimane che il fatto topico e decisivo capace di generare denaro è solo lo scambio e non la produzione, infatti potrei produrre un milione di panettoni a natale ma se nessuno li compra non si genera denaro e ricchezza bensì si sono distrutte risorse. Ma saper suscitare uno scambio tra il vasto pubblico e le proprie prestazioni non è cosa facilissima, neanche difficilissima, diciamo che bisogna impegnarsi seriamente perché buttare il proprio denaro non piace a nessuno anche nelle società ricche, anche tra le persone ricche. Ci vuole al riguardo un’organizzazione appropriata specie a fronte della competizione globale, e questa si chiama Impresa. Che sia proprietà d’un padrone, d’una cooperativa o perfino di una entità statale non cambia il fatto decisivo che per mantenersi deve saper incontrare il favore del pubblico e del suo denaro. Se di questa capacità di scambio ce n’è poca o punta ecco si diventa zona depressa, area debole, disoccupazione, bassi salari, anche con un governo di soli Landini e Vendola. Tutte caratteristiche sgradevoli destinate perfino a moltiplicarsi in caso di alta tassazione e burocrazia.

"Qualsiasi cosa gli individui facciano nell’economia di mercato, si tratta sempre di attuazioni dei loro propri piani o progetti. In questo caso ogni azione umana significa pianificazione. Ciò che sostengono quanti si autodefiniscono pianificatori non è la sostituzione di un’azione pianificata a una situazione in cui le cose vanno come vanno. E' la sostituzione del piano del pianificatore ai piani dei suoi concittadini. Il pianificatore è un dittatore potenziale che vuole privare tutti gli altri individui del potere di far piani e progetti e di agire secondo i loro propri piani. Egli aspira a una sola ed unica cosa: l’assoluta ed esclusiva preminenza del suo proprio piano" (Ludwig von Mises, Socialismo, p. 589).

"Il marxismo non ha abolito lo stato, semplicemente gli ha conferito una nuova dimensione, ha arbitrariamente limitato il significato della parola Stato in modo tale che esso non include lo Stato socialistico… Per l'organizzazione del futuro alla quale si aspirano il termine è rifiutato con sdegno, in quanto disonorevole e degradante. Essa è chiamata "società". In questo modo la socialdemocrazia marxista poté a un tempo e insieme contemplare la distruzione della macchina statuale già esistente, combattere fieramente tutti i movimenti anarchici e perseguire una politica che conduce direttamente a uno Stato onnipotente" (Ludwig von Mises, Socialismo, p. 157).

"La politica socialista è il fattore decisivo dell’espansione della spesa pubblica, le richieste socialiste regolano la politica di tassazione, e nello stesso programma socialista la finanza pubblica viene sempre più in primo piano. Mentre nel programma liberale il principio fondamentale è quello di tenere la tassazione a un livello basso, i socialisti ritengono che invece un’imposizione è tanto migliore quanto più è pesante" ((Ludwig von Mises, Socialismo, p. 540).

Queste citazioni sono tratte dall'opera nella quale Mises, già all'inizio degli anni '20, aveva spiegato le ragioni teoriche e pratiche per cui il socialismo non avrebbe mai potuto funzionare. Per non parlare poi delle altre aberrazioni di origine sindacalista che gravitano attorno al mercato del lavoro, in primis la criminalizzazione del cosiddetto "lavoro nero": il lavoro dovrebbe essere TUTTO "nero" ovvero dovrebbero essere abolite tutte la sovrastrutture odierne che fanno di quello che esula da esse un "nero". Il tanto vituperato "lavoro nero" lo si elimina in un modo molto semplice: rendendo TUTTO il lavoro "nero"! Non con l'ingiusta repressione e con cervellotici by-pass quali i voucher e altri escamotage che vigono sul mondo del lavoro oggi come lavoro a tempo, lavoro ripartito, lavoro a progetto, giornate "di prova" non retribuite, contratti di apprendistato e truffaldini stage a 400 euro al mese, lavoro "a somministrazione", 40 e oltre tipi diversi di contratti precarizzanti dove la gente non va neppure più nemmeno in bagno per paura di perdere il lavoro (oggi si! e proprio a causa di quelli che loro chiamano "diritti"!) e il numero di disoccupati è sempre più alto a vantaggio delle pretese degli ignobili "ingegneri" sociali con l'imprenditoria (che a onor del vero non ne ha colpa, essendo anch'essa ipnotizzata da questi "ingegneri") sempre maggiori e draconiane (i famosi "cercasi apprendisti con esperienza"), e corsi gratuiti dove "gratuito" dal loro punto di vista significa non che non vieni pagato ma che sei tu a non dover pagare... e ci mancherebbe pure di dover pagare per lavorare!!!! Anche se di questo passo non ci si può stupire più di nulla ormai. Ma tra l'altro, la logica stessa dice che se uno cerca lavoro è perché soldi non ne ha, come possono anche solo concepire che un disoccupato possa pagare per lavorare???? Se avesse quei soldi non avrebbe più bisogno di un lavoro no???? Anche la logica secondo la quale nelle pagine di offerte di lavoro vengono pubblicati annunci di offerte di prestiti mi è sempre stata imperscrutabile: come si aspettano che un disoccupato possa poi restituirli???? Una situazione che rende i disperati potenziali prede di avvoltoi tipo quelli del marketing multilevel ("piramidale") tipo "schema Ponzi" con il loro infantile vademecum di risposte da dare degno di una setta religiosa, il cui caposaldo è "il lavoro fisso non esiste più", a cui non si può non rispondere "si certo ma a quanto vedo le truffe si che esistono ancora" a cui il vademecum impone tipicamente la risposta "allora non vuoi lavorare davvero" come se il loro fosse un lavoro e non un puerile tentativo di truffa a cui loro stessi sono ingenuamente abboccati. E non mi riferisco ai casi che emergono a volte sui media, poiché spesso sono solo ascrivibili a patologia psichiatrica e non fanno perciò testo (ad esempio quelli dei call center e vendite porta a porta coi loro riti scaramantici che essi definiscono "motivazionali", come se vendere o non vendere dipendesse dalla motivazione del venditore e non dal fatto che il mercato richieda o meno un determinato prodotto), oppure pretendere un rispetto di orario o la pretesa per puro dispetto che si debba pulire il frigorifero (magari già pulito) quando gli accordi sono sul cottimo a pizza consegnata (se vuoi che arrivo e finisco all'ora che vuoi tu e che pulisco il frigo mi paghi anche a ore, non solo per consegna) per poi magari pure lamentarsi per i ritardi o criticare la qualità della pulizia eseguita (quindi come guardare in bocca a caval donato); questi sono solo casi estremi di natura patologica, quello su cui mi scaglio sono quelli che sono ormai divenuti la norma ed il fatto proprio che vengano identificati come normali è l'aberrazione stessa, non i singoli casi in sé descritti sopra, ma la loro normalizzazione. Dopotutto 200 anni fa anche la schiavitù era considerata normale. Ci hanno formato fin dalla nascita a sentire come nostri valori che NON sono nel nostro interesse. Il problema è che ammetterlo ci destabilizza tantissimo, è come se ammettendo questo, ammettessimo che siamo stati degli sciocchi fin ora. Ebbene si, forse siamo stati degli sciocchi. Ma non è mai troppo tardi per scoprire dentro di noi la verità delle cose che in fondo in fondo già sappiamo, dobbiamo solo svegliarci.

"Che differenza resta tra un convinto e un ingannato? Nessuna, se è stato ben ingannato" (Friedrich Nietzsche)

Concetti espressi da massimi economisti come Stiglitz o Piketty per cui il pensiero unico dominante trascura la capacità accentratrice quasi irresistibile del capitale statale. Stiglitz ad esempio, pur essendo a favore del reddito di base incondizionato, argomenta che potrebbe non essere sufficiente, e che sarebbero necessarie misure addizionali nei confronti del così detto "rentier capitalism". “Sostenendo tale ipotesi, si correrebbe però il rischio di azzerare qualsiasi servizio sociale diretto e indiretto e il reddito di cittadinanza dovrebbe diventare quasi l’unica voce di spesa dello stato. Il che significherebbe privatizzare tutto: dalla scuola alla sanità, dalle carceri all’esercito”, sostiene Fumagalli. Un incubo per chiunque ritenga che il mercato debba restare fuori (almeno in parte) da determinati settori e un sogno iper-liberista in cui lo stato si fa talmente leggero da non dover fare altro che staccare un assegno mensile per ogni suo cittadino (ma deve comunque raccogliere le tasse per coprirlo, ovviamente). Che lo stato (specie quello italiano) decida a breve di abdicare al suo ruolo per diventare un immenso libretto degli assegni è altamente improbabile; lo stesso non si può dire per la possibilità che un reddito di base venga introdotto per tamponare gli effetti dell’automazione del lavoro. Il reddito di base, come detto, potrebbe diventare realtà più per obbligo che per scelta, ma contribuirebbe comunque a modificare radicalmente la nostra cultura e a precipitarci in una società completamente nuova: la società post-lavorativa, in cui il lavoro salariato diventa un’opzione e non più la forma stessa della nostra identità sociale. Bisogna rendersi conto che la tanto paventata scomparsa del cosiddetto "welfare" allorquando si abbia un reddito di cittadinanza in sua sostituzione è tutt'altro che cattiva! Idem per il reddito da lavoro e le relative "garanzie" che in realtà sono obblighi ovvero imposizioni. La schiavitù è anche oggi ed è causata dai sindacati! E se non proprio schiavitù, lavoro forzato non dissimile dalla servitù della gleba, i risultati sono gli stessi: l'assenza di libero arbitrio nello svincolarsi volontariamente da un determinato impiego (qualunque sia l'obiettivo successivo a tale azione). Nei giorni nostri, un incremento del fenomeno definito working poor, cioè, coloro che pur lavorando, non riescono a superare la soglia di povertà; fenomeno che con il sistema fordista-taylorista dove il lavoro a tempo indeterminato e sicuro era un fondamento, sembrava inconcepibile. Queste trasformazioni segnalano la transizione del nostro sistema verso un'economia della post-scarsità (prodotti e servizi erogati da automazione e intelligenza artificiale possono raggiungere il costo marginale zero ed essere molto più abbondanti di quelli generati dall'economia del lavoro di massa). Questo avrà conseguenze negative per noi solo se non adatteremo le funzioni redistributive del sistema (a cui il lavoro appartiene) a questo nuovo paradigma. Il bello del reddito di base incondizionato è proprio questo: rende il capitalismo funzionale nell'era dell'automazione ed al contempo pone le basi per la transizione verso un'economia post-capitalistica. Il motivo per cui l'élite economico-finanziaria per ora può permettersi di ignorare il fenomeno della riduzione crescente della fetta di ricchezza destinata al lavoro (per quanto non è affatto vero che la ignora, dato che molti imprenditori del ramo tecnologico sono profondamente preoccupati dai trend che si stanno consolidando e stanno finanziando privatamente progetti per la sperimentazione del reddito di base universale negli Stati Uniti, come ad esempio Y Incubator, il più importante incubatore di start-up della Silicon Valley) è che al momento viviamo in un sistema misto dove il lavoro produce ancora sufficiente reddito per sostenere il sistema, sebbene con una difficoltà progressivamente maggiore come i dati macroeconomici e l'instabilità politica eloquentemente confermano. Ricordate cosa è accaduto durante la grande depressione? Un'economia intera allo sbando con una percentuale di disoccupazione intorno al 30%. Secondo Carl Frey e Michael Osborne della Oxford Martin Programme, la London School of Economics, l'istituto Gartner, McKinsey, Boston Consulting, e il think tank belga Bruegel il progresso tecnologico porterà all'obsolescenza il 50% circa dei posti di lavoro nelle nazioni evolute nel giro di 15 anni. Oggi, molto prima di allora la politica e le élite finanziarie ed imprenditoriali si dovranno porre il problema. La causa di questo incipiente peggioramento del livello occupazionale è dovuta al fatto che man mano che il progresso avanza, l'automazione (ovvero l'intensità capitalistica) cresce in maniera esponenziale a fronte di un contemporaneo aumento di popolazione, per cui si fa sempre più ampio il divario tra estromessi e non ancora riassorbiti, poiché le dinamiche di adeguamento umano sono più lente rispetto all'avanzamento del progresso tecnologico, e le misure politico-sindacali prese per ovviare a ciò non possono portare ad altro risultato che a rallentare ulteriormente il riassorbimento della forza lavoro estromessa. E' importante comprendere che la transizione dall'economia del lavoro di massa all'economia dell'automazione non si verifica nell'arco di pochi mesi. Come i dati sul grande disaccoppiamento dimostrano la forbice tra salari e produttività è già tale da consentire alle nazioni avanzate di erogare un reddito di base senza causare effetti inflazionistici, ma questo non può essere elevato in questa fase di transizione. Gli importi attuali sono un punto di partenza dato che robotica avanzata ed intelligenza artificiale hanno il pieno potenziale per moltiplicare l'output di industria e servizi, consentendo quindi di produrre una ricchezza di gran lunga superiore a quella di un'economia basata sulla forza lavoro umana, e quindi la piena sostituzione di un salario di buon livello con il reddito "di base" (così definito solo perché costituirà una base reddituale inalienabile). Gli autori citati sostengono che l'importante è che il reddito di base tenga il passo degli aumenti di produttività che si verificheranno in futuro mediante un meccanismo di indicizzazione adeguato tipo la "scala mobile". Nella realtà matematica abbiamo visto che sarebbe il costo del denaro ad adeguarsi al reddito di base, senza alcuna necessità di indicizzazioni. La situazione italiana vede una concomitanza di fattori tutti negativi: il nostro tessuto industriale è composto da micro e piccole aziende scarsamente produttive ed innovative per cui lo Stato ha attinto fino ad oggi le sue risorse dal principale bacino di cui disponeva: il lavoro. Ma più questo si riduce a causa dei fenomeni che conosciamo, più aumenta la pressione fiscale. D'altra parte gli imprenditori, dal momento che in Italia non si è mai instaurato un capitalismo degno di questo nome, dovendosi intendere in questo senso un sistema che disponesse di grandi capitali, hanno ritenuto per tornare competitivi di puntare alla riduzione del costo del lavoro anziché agli investimenti, progetto a cui Renzi ha dato man forte emanando il job act, che però ha prodotto gli scarsi risultati che sappiamo proprio per i motivi di cui sopra, ovvero perché il sistema dipende sempre meno dal lavoro umano e sempre più dalla qualità degli investimenti in tecnologia, che, come è noto, costano, per questo l'economia di questo secolo viene definita ad elevato impiego di capitali. In altre parole siamo compresi all'interno di una spirale involutiva e non si intravede nel nostro sistema paese le risorse per uscirne. Perché affermare che "il posto fisso non esiste più" non implica assolutamente che il cittadino debba essere lasciato andare alla deriva, economicamente e politicamente, anzi, la prassi corretta in termini di politica economica esige che a talune garanzie, diciamo obsolete, ne subentrino altre, per la salute dell'economia di mercato stessa. Si chiama flexsecurity, e in Italia abbiamo applicato solo la parte flex. Molti sono pure fideisticamente convinti che non esista alternativa, che nel sistema attuale (che non è affatto l'unico modello capitalista possibile: anche il distributismo è sempre capitalismo) non si possa che perseguire una politica di lacrime e sangue. Ma le lacrime e il sangue generano solo se stesse. Dire al cittadino di arrangiar... ops... di diventare "imprenditore di se stesso" (nella neo-lingua orwelliana), non implica affatto che lavarsi le mani della questione della perpetuazione delle fonti di reddito della classe media sia qualcosa che la politica possa impunemente attuare, non se intende ancora rivendicare il suo diritto di rappresentanza. A causa di queste barriere frapposte dalla politica oggi alle imprese costa meno rinunciare a quella forza lavoro che impiegarli in mansioni superflue o per ridurre gli orari, in cambio della maggior presa sugli occupati esistenti sui quali accollare l'intero lavoro anche mediante orari straordinari.

"L’utilità del salario, per un dato ammontare di lavoro occupato, è uguale alla disutilità marginale di quell’ammontare di occupazione" (John Maynard Keynes)

La disoccupazione non è più quindi un fenomeno puramente congiunturale, bensì strutturale. E come tale, necessita di interventi strutturali. La riduzione dell'orario di lavoro rientra nel novero dei rimedi strutturali e proprio per questo può essere utile. Oggi il salario varia al variare dei livelli di disoccupazione e per questo si può parlare di salario di sussistenza dal momento che siano in presenza di una disoccupazione strutturale. Oggi il precario si sposta da un lavoro temporaneo ad un altro lavoro caratterizzato da incertezza (lavoro intermittente, part-time, subappalto, lavori esternalizzati). Si spostano da un’attività all’altra senza alcuna coerenza e non possono produrre nemmeno alcuno sviluppo umano; risulta essere una sorta di circolo vizioso, dove uscirne diventa difficile. I contratti con cui questi lavoratori sono legati potrebbero condannarli a carriere discontinue dove alternano periodi di disoccupazione più o meno lunghi con impieghi di durata limitata e ciò è fonte di frustrazioni e alienazioni lavorative e di esclusione sociale (per quanto di essere disoccupati in un sistema dove la meritocrazia è capovolta bisognerebbe andarne fieri). In Italia si lotta sindacalmente per la riduzione delle ore di lavoro a parità di stipendio, ed i lavoratori che certamente non possono essere inquadrati tra i "nuovi poveri" (cioè gli esclusi) non cercano incentivi per aumentare la produzione ma solo aumenti salariali senza contropartite o sensati motivi, cioè sovvenzioni. Si scagliano a difesa delle leggi sul lavoro ma dei fini dell'economia nazionale se ne fregano, perché, a chi appartiene l'economia nazionale se i lavoratori non partecipano ad essa? La partecipazione si ferma al momento del voto. In questo sistema pensa la classe dirigente eletta, a costringere pensionati e giovani disoccupati ("bamboccioni") conviventi con i loro genitori a pagare per una maggiore produttività. Lettera di Pierpaolo Lorenzo ad un imprenditore che si lamenta di non trovare personale poiché "i giovani tendono a sopravvalutarsi":

Se è così, vorrei esporre la mia esperienza, poi vediamo se è vero. Ho un diploma in informatica. Pur di "lavorare" mi sono sempre accontentato di quello che passava il convento. Per lo più ho lavorato pochi mesi, in luoghi diversi, molto lontani di casa (20-30 km), a nero, sottopagato (200-250 € al mese) e senza orario (in un posto dovevo stare "a disposizione", in un altro era un part-time con obbligo di full-time), con tutto a spese mie (cibo e trasporto). Cosa facevo? In un posto riparavo PC, nell'altro ero manovale edile, poi imbianchino, poi giardiniere. Sono state esperienze che mi hanno fortemente segnato, ma soprattutto mi hanno fatto capire che il mio tempo non è gratis e che la mia vita ha un valore. Così ho deciso di rifiutare qualsiasi cosa non mi permetta di avere un'indipendenza. Oggi, che sto per finire il percorso universitario che ho iniziato a 27 anni, potrei essere definito un "bamboccione". Io mi definisco "sfortunato", perché sentire parole come "sacrifici" e "umiltà" da gente che ti sottopaga pur di permettersi il Porsche è a dir poco ridicolo e inaccettabile. A tutti i predicatori moralisti io dico: bene, pagatemi l'affitto e tutto quello che serve (facciamo 800 euro?), e poi potrete permettervi di criticare e definirmi "bamboccione".

Pretendono troppo questi giovani "bamboccioni"? No, è questa società che pretende troppi ringraziamenti quando concede il lavoro. Di recente il ministro Poletti ha semplicemente ammesso che in Italia l'unico modo per trovare lavoro è tramite "amicizie", e tutti a criticarlo... Non capisco lo scandalo, è la pura verità di cui siamo già consapevoli tutti, lui l'ha solo ammesso pubblicamente. A me avrebbe infastidito se l'avesse negato casomai. L'articolo 4 della costituzione è un bel concetto, ma irreale. In Italia oggi il lavoro non è un diritto; è un favore elargito paternalisticamente. E bisogna pure ringraziare!?!? Di 400 euro al mese non so che farmene, non modificano la mia vita di una virgola. Ogni tanto salta fuori qualche imprenditorucolo a dire "i giovani non sono affamati"... Il discorso è ben diverso, e bisognerebbe farglielo capire a quella gente: i giovani sono affamati, ma i loro salari sono solo aperitivi che paragonati al consumo calorico non farebbero altro che aggravare la fame! Io (e come me credo molti) sarei benissimo disposto a lavorare per cifre basse e orari lunghi, certo, se gli affitti delle case costassero 100 euro al mese. Ma se devo lavorare per 600 euro con gli affitti delle case a 400 euro, ed i restanti 200 per le mere ulteriori spese residenziali, come posso accettare di lavorare per i 0 euro al mese che mi restano se è tanto? Che senso avrebbe??? 0 euro li "guadagno" anche oggi ma senza dover far niente in cambio! Perciò MI TOCCA restare a casa coi miei genitori, non per scelta, ma almeno senza dover pure sprecare tempo e risorse, dato che l'unico motivo per il quale cerco lavoro è quello di andare a vivere da solo, non avendo alcun desiderio materiale edonistico, non saprei cosa farmene di 600 euro dovendo però restare comunque ad abitare a casa coi miei genitori. E non parliamo poi se invece di "da solo" in senso letterale, avessi il desiderio di avere una ragazza con cui abitare. Per lo stesso ragionamento allora necessiterei di almeno come minimo 2.000 euro al mese. NECESSITA', non sfizio! E' una questione di comparazione quindi, di ragionamento in termini reali, non nominali: non è che sono pochi 6-5-400, è che sono troppi quelli che servono per vivere autonomamente, la quale è la cosa che un aspirante lavoratore necessita in primis, come minimo. Io non critico tanto il loro aperitivo, quanto il consumo calorico indottomi dalla società. Si potrebbe benissimo accettare di lavorare per 600 euro al mese, se gli affitti delle case fossero di 100 euro al mese e se le ragazze si accontentassero di un uomo che guadagna 600 euro al mese! Io (e non credo di essere l'unico) non ho altri desideri materiali, solo questi due che non sono neanche desideri ma necessità umane. Si potrebbe benissimo accettare di lavorare per 600 euro al mese, ma anche 500, se si avesse un reddito di base di ulteriori 320 a portare il reddito complessivo a 820. Facile fare il paragone con gli stranieri! Ma loro quando arrivano qui sono sempre già sistemati affettivamente nel loro paese (o lo saranno proprio grazie al salario italiano) e qui si dividono l'affitto tra più coabitanti e inviano i soldi alle loro famiglie in paesi dove 600 euro sono il salario di anni. Per forza che loro "si accontentano"! Fosse così anche per me anch'io mi accontenterei, e anche di meno, di quello che mi basta per mangiare e niente di più! I giovani sono "affamati", è il suo stipendio paragonato al costo della vita che non gli permetterebbe in nessun caso di "sfamarsi"! E allora tanto vale vivere asceticamente a casa coi genitori, no? La "semplicità volontaria" (in inglese downshifting) all'interno del mondo del lavoro e del più vasto concetto di lifestyle "stile di vita" o simple living "vivere in semplicità" è la scelta da parte di diverse figure di lavoratori - particolarmente professionisti - di giungere ad una libera, volontaria e consapevole autoriduzione del reddito, bilanciata da un minore impegno in termini di ore dedicate alle attività professionali, così da godere di maggiore tempo libero. Ma se per alcuni è una scelta, per la maggioranza rimanere a casa coi genitori non è una scelta, è un obbligo. La colpa non è sua, la colpa non è mia, la colpa è di tutti e di nessuno; non è nemmeno dei proprietari di case e del genere femminile troppo esigente, come neanche degli aspiranti lavoratori, allora di chi? Di tutti e di nessuno. Di dio, diremmo, se esistesse. Ma almeno che la smettessero con questi stereotipi di merda "i giovani non hanno fame". Non è vero! La fame ce l'abbiamo, i loro aperitivi non sono cibo che sfama! Tanto vale starmene a far nulla. Anzi, non nulla, a LIMITARE LE PERDITE. Un semplice rivelatore dell’ignoranza generalizzata sui temi economici ci è fornita dalla confusione sui significati di “utile”, “danno”, “profitto”, “rendita”, “ricarico”. E’ esatto dire che un impresa in un mercato perfettamente concorrenziale crea profitti? No: il profitto è solo la cifra che supera la rendita, e la rendita è il tasso di rendimento del capitale che è uguale per tutte le imprese in concorrenza in un settore, equivalente al tasso di interesse vigente in quel momento. Solo le imprese monopolistiche creano profitti nel senso letterale del termine, dato che essendo in monopolio i loro prezzi di equilibrio (quelli determinati dall'intersezione tra la curva della domanda e quella dell'offerta) riescono a superare il livello di rendita che come abbiamo detto è quanto non supera i tassi di interesse. Oltre vi è il ricarico, che è quanto supera il profitto ed è ciò che viene aggiunto in modo arbitrario oltre il prezzo di equilibrio dell’impresa che opera in monopolio. Ma è il valore, cioè il capitale, di un azienda a calibrarsi sul rendimento, e non il contrario. Di conseguenza, nel caso della persona, lo stipendio cioè il tasso di rendimento determina pure il valore del lavoro di quella persona in proporzione. Il rinunciare ad un lavoro in perdita poiché sotto il tasso di interesse non è un azione passiva ma un azione attiva! Non è una rinuncia ad un guadagno, è un LIMITARE LE PERDITE! Una persona è un impresa, e un impresa che lavora sotto il tasso di rendita lavora in perdita (cioè l'utile è inferiore a quello che si avrebbe con un diverso utilizzo delle sue reali risorse materiali) e sminuisce artificialmente il suo valore, e 400 euro al mese per 8 ore al giorno 6 giorni la settimana sono sotto e parecchio il tasso di rendita di una persona, equivale a sminuirne il suo valore, anche del più incapace.

"Il più redditizio dei commerci è comprare gli uomini per quello che valgono e rivenderli per quello che credono di valere" (Gianuario Mugoni)

"Non c’è passione nel vivere in piccolo, nel progettare una vita che è inferiore alla vita che potresti vivere" (Nelson Mandela)

Le imprese in tale situazione chiudono, ed anche ammettendo polemicamente che "il tempo è denaro", checché ne dica Benjamin Franklin è proprio per questo che ogni ora che non lavoro per 3 euro non sto perdendo 3 euro, ne sto risparmiando 1-2-3-4-5, a seconda del valore che do al mio tempo, al mio lavoro, alle mie capacità, alle mie possibilità, alla mia utilità. Si chiama "costo di opportunità". Gorz lo definisce "scegliere permanentemente tra il valore d’uso del suo tempo e il suo valore di scambio: ossia tra le utilità che egli può comperare vendendo tempo di lavoro e quelle che può produrre attraverso l’autovalorizzazione di questo tempo". E nel tempo va compreso quello necessario a recarsi sul luogo di lavoro e/o i costi per coprire le spese extra per spostarsi stabilmente in un altra città. Vano sperare che gli assistenti sociali possano arrivare a concepire ragionamenti così ovvi che già 100 anni fa Alfred Orage li descrisse nel suo tomo dal titolo polemico "Il tempo non è denaro" (la "bibbia dell'anticapitalismo di destra" come lo descrive Giorgio Galli nella prefazione) e Paul Lafargue nel suo "Il diritto alla pigrizia" (che a dispetto del titolo, non è un elogio alla pigrizia ma una critica alle persone che pretendono giustificare la propria avidità auto-definendola "laboriosità" contrapponendosi alla frugalità che loro interpretano spregiativamente come "pigrizia").

"Io so, non per teoria ma per esperienza, che si può vivere infinitamente meglio con pochissimi soldi e un sacco di tempo libero, che non con più soldi e meno tempo. Il tempo non è moneta, ma è quasi tutto il resto" (Ezra Pound)

Questo è il motivo per cui, come analizzato da Weber ed a dispetto della teoria del plusvalore di Marx, queste dinamiche comportano che al crescere della disoccupazione si tende a selezionare i peggiori e scartare i migliori (inteso non come titolo di studio o capacità ma come etica). Alla faccia di quelli che "se perfino gli immigrati riescono a trovare lavoro, chiediti se il peggiore non sei tu". Il paradosso che, a fronte del lamentare la carenza di specializzati, come soluzione tipica si propone il prolungamento della scolarizzazione di massa (in opposizione al numero chiuso), con l'ovvio risultato di creare proprio quella forza-lavoro snobbata a scapito di quella ricercata! Come conferma Weber, l'aumento dei disoccupati ostacola lo sviluppo qualitativo ed il passaggio a forme aziendali che sfruttino l'intensità del lavoro. Di conseguenza un salario basso non equivale a minor costo del lavoro come invece sosteneva Pieter de la Court, anzi determina una predilezione per i meno validi ovvero di quelli carenti di vocazione etica, i più pigri, i meno efficienti, ma evidentemente i più disperati e disposti al compromesso, a scapito dei più meticolosi, disciplinati, pragmatici, sobri, e la conseguenza indiretta è l'aumento del costo del lavoro proprio a causa della minor efficienza degli assunti. Scrive in merito Bertrand Russel: "coloro che hanno un lavoro lavorano troppo, mentre altri muoiono di fame senza salario. Perché? Perché il lavoro è un dovere e un uomo non deve ricevere un salario in proporzione di ciò che produce, ma in proporzione della sua virtù che si esplica nello zelo". Che significa fare con etica e zelo? Significa stabilire dei limiti, delle regole. Come si fa nello sport. Perciò si fa boxe, però si stabilisce che non si può colpire in certi punti. Si gioca a pallone, ma non si possono fare sgambetti. Se non c'è un arbitro o se l'arbitro è corrotto e se molti non vivono con etica, vivere con etica sarà uno stile perdente. Come se nel calcio qualcuno cominciasse a fare sgambetti e dare spintoni e nessun arbitro intervenisse. In un ambiente non-etico, la squadra etica sarà per forza perdente. Così avviene anche sul lavoro: favoriti sono i furbi, i competitivi, i peggiori per definizione quindi, mentre chi eticamente rispetta le regole è sfavorito.

"Quando le armi saranno fuorilegge, solo i fuorilegge avranno le armi" (Tiziano Papagni)

Secondo Poletti, la dinamica delle relazioni è importante per il futuro lavorativo e "i rapporti che si instaurano nel percorso di alternanza scuola-lavoro fanno crescere il tasso di fiducia e quindi le opportunità lavorative", ammettendo pubblicamente che nella ricerca di un lavoro "il rapporto di fiducia è un tema sempre più essenziale", simbolizzandolo esternando che si creano più opportunità "a giocare a calcetto che a mandare in giro i curricula". Ha certamente fotografato una realtá ben nota a tutti i disoccupati. E' più probabile trovare lavoro attraverso relazioni sociali, piuttosto che inviando curricula, non è un segreto; tecnicamente non ha mentito ne usato giri di parole, il che è notevole per un politico di questo sistema; peggio sarebbe stato se l'avesse negato piuttosto che ammesso. Ma vista la delicatezza dell'argomento avrebbe fatto bene a essere cauto ed evitare malintesi, visto che equivale ad un apologia della raccomandazione (evidentemente le raccomandazioni sono diventate relazioni sociali, secondo il nuovo dizionario della neo-lingua politically correct) e visto che ha "fotografato" una realtà di cui lui è un'espressione diretta e non uno spettatore, dato che il suo lavoro è proprio quello di fare in modo che i disoccupati trovino lavoro, e lo trovino grazie alle loro attitudini e capacità (che comunque non sono espresse nemmeno dai curriculum eh!) e non con il "calcetto" (calcio il culo del politico, amico dell'amico, il compare del cesso sociale e così via). Ormai non c'è più neppure la vergogna a dire le cose come stanno: in Italia, paese di imprenditori ignoranti come degli asini e coop del cazzo, si trova lavoro unicamente facendo parte dei "giri" del calcetto e degli aperitivi, sorta di mini-logge massoniche. Che tanto poi tutti sanno che è così: in Italia l'imprenditore ignorante e incapace, totalmente immeritevole ed indegno (il famoso "modello nord-est", boari arricchitisi con le rendite dei loro avi), ossia il 99,9% del totale, incapace di valutare persone quasi per definizione stessa migliori di loro, assume solo per calcio in culo e raccomandazione, o al limite a casaccio il primo che ha la fortuna di capitare al momento giusto. Ha semplicemente certificato quello che tutti sanno, ossia che nelle italiche aziende si assume in base a mille motivi escluso il curriculum e le competenze!

"Non stupisce che quanti hanno riscosso successo secondo le norme del sistema scolastico nutrano poi un forte risentimento contro una società che segue altre norme che non garantiscono loro il medesimo successo" (Robert Nozick)

E poi i risultati della nostra economia li vediamo: uno schifo! Ma tanto i soldi per Porsche, coca e troie quelli sbucano fuori sempre! Non per niente i dati economici dell'Italia dimostrano che siamo il fanalino di coda di tutta l'EU, Portogallo compreso, dove sicuramente gli imprenditori (che li forse meritano davvero tale nome) assumono sulla base di attitudini e capacità e non per paraculo, amicizia e raccomandazione. Perlomeno d'ora in poi le cose sono chiare! E quale soluzione dovrebbero proporre? In Italia lo Stato per decenni ha dovuto sopperire alle mancanze e al grettume di una banda di incapaci fannulloni che va sotto il nome di "imprenditori", una realtà squallida e deteriore nel senso più profondo del termine che ha visto, purtroppo, nel modello nord-est il suo apogeo, fin dagli anni '90 (guarda caso gli stessi anni in cui grazie al progressismo infame è stata introdotta senza alcuna compensazione la precarietà su cui questi avvoltoi speculano enormemente). Generando un'economia "terzo mondo style" i cui risultati, pessimi e in fase di costante peggioramento, sono sotto gli occhi di tutti! Arrivando anche a finanziargli il giornaletto che senza soldi pubblici chiuderebbe in 2 giorni 2, non è che si può arrivare anche a imporre di assumere in base a attitudini, capacità, competenze e studi. A sto punto altro che job acts, decontribuzioni, lauree e politiche sociali: il ministero del lavoro potrebbe semplicemente organizzare delle partite di calcetto. E noi poi critichiamo che i nostri politici non hanno idee! C'è anche un'altro modo: impiccare tutti gli attuali imprenditori e ripartire da zero, magari facendo dirigere le aziende a delle scimmie. Sicuramente otterremmo risultati superiori rispetto all'attuale manica di fannulloni piagnoni rotti in culo che abbiamo oggi, sempre pronti a lamentare che "non si trovano dipendenti validi". Così perlomeno impediremmo a questa manica di infami bastardi di assumere gli amichetti del calcetto o degli aperitivi di poter assumere schiavi a 400 euro a mese che devono lavorare come somari per riparare il fancazzismo dilagante degli amichetti del calcetto. A parte l'ironia, un ministro del lavoro degno di tal nome e uno Stato degno di tal nome dovrebbero fare di tutto affinché un disoccupato trovi lavoro indipendentemente dalle relazioni sociali (tra l'altro, così per esempio gli introversi o quelli che non si trovano bene in un determinato luogo e quindi non vogliono frequentare nessuno, sono fregati? O devono essere costretti a farsi diagnosticare la timidezza come disabilità dall'Inps? A questo si deve arrivare?), garantire un welfare vero a compensazione (quindi reddito di base) e garantire che siano, al limite, anche le istituzioni a trovare e offrire lavoro direttamente o indirettamente che sia, in un modo o nell'altro, che poi è come funziona nella maggior parte degli altri paesi europei (anche nella liberista Gran Bretagna). Un ministro del lavoro che si limita a dire metaforicamente di "andare a giocare a calcetto" se vuoi trovare lavoro, è uno che andrebbe cacciato a calci un culo non solo dalla posizione di ministro, ma anche dall'Italia. Da cosa deriva questa propensione ad assumere sulla base dei rapporti sociali? Scrive Richard Stengel nel suo libro "Il manuale del leccaculo":
Ci piace credere che più un individuo è intelligente, più sale in alto sulla scala del successo, e meno è vulnerabile alle lusinghe. In realtà, sembra che sia vero proprio il contrario: chi ha successo e una maggiore autostima interpreta gli elogi nei propri confronti non come lusinghe ma come dimostrazione di intelligenza da parte dell’interlocutore («Sì, com’è sagace il giovane Smith a capire il mio genio»). Per converso, la gente con scarsa autostima è molto più cauta. «L’amore di sé», diceva La Rochefoucauld, «è il più grande di tutti gli adulatori». Chi non riesce a sopportare gli stupidi tollera facilmente gli adulatori (ergo, gli adulatori non sono stupidi). Pertanto, vi lusingherò limitandomi a non lusingarvi, che forse è la forma più elevata di piaggeria.
Il sapersi vendere rimane sempre una forma di marketing, e l'emozione è il primo strumento del marketing. Purtroppo non tutti hanno la necessaria empatia a capire veramente nel profondo la persona che si trovano di fronte. Le relazioni umane personali (che sono, di fatto, sempre relazioni commerciali/scambio), quanto ti possano manipolare persone ipocrite e abili nel suscitare emozioni, che poi si rivelano ingannevoli. Per quelle che le sanno usare in maniera innata esiste un nome, disturbo narcisistico di personalità. Il narcisista fa uso di quegli strumenti in modo innato. Il dato triste è che, purtroppo, essi hanno molto successo. Nietzsche ha descritto perfettamente tale tipologia. Lo psicopatico narcisista interpreta il rispetto che gli concedi, anche se lui non te lo dà, come segno di sottomissione. Non sente il bisogno di restituire rispetto, non ne ha la capacità (gode nel fare del male agli altri, gode nel vedere la sofferenza altrui). Purtroppo, esistono persone così. Ignorando questo dato e illudendoci che un comportamento corretto possa intaccare la loro insensibilità non fa altro che peggiorare la situazione. Vano è pensare che in tutti ci sia, sotto sotto, una sensibilità e facendo le prime mosse la si possa smuovere e risvegliare, rimuovere la psicopatia. Purtroppo, non è così. E' difficile accettarlo, ma così è. Pensare che possa bastare quello che siamo noi, e tutti i nostri sforzi di tollerare, è un'illusione, perché la caratteristica della psicopatia (rispetto alla normale nevropatia della quale tutti portano un qualche aspetto consapevolmente) è che gli psicopatici credono che tutti ragionino come loro (non come idee ma come morale) per cui si trovano a disagio rispetto a qualcuno che non abbia i loro stessi schemi mentali; ad esempio uno psicopatico avido non riesce a concepire che esista qualcuno che si accontenta e non abbia altri desideri materiali (ho barrato "altri" per far capire che dopo averlo scritto mi sono corretto perché la sopravvivenza non è classificabile come desiderio ma è una necessità). L'esempio altrui non li tocca, l'assenza di empatia glielo impedisce. Ai loro occhi sei solo ridicolo. E diventi solo una vittima prediletta. E, infatti, gli psicopatici sono al potere ovunque, gli altri non reagiscono e siamo messi come siamo messi. Tollerando e sopportando aggraviamo la situazione, gli psicopatici non hanno limite, riempiranno sempre di più il mondo con la loro merda e alla fine per spalarla via servirà per forza la guerra. E teniamo presente che gli psicopatici non sono solo quelli lì tipo Jack lo squartatore. La maggioranza degli psicopatici sono persone inserite socialmente e lavorativamente. Quelli che dicono "non tutti possono essere vincitori. Non tutti devono essere vincitori. Ciò va contro i principi dell'evoluzione e la nozione di sopravvivenza del più forte. C'è sempre la stratificazione, c'è sempre la gerarchia, non lo si può ignorare"... si certo, ma il fatto è che oggi è l'opposto, i peggiori si mettono assieme per battere i pochi migliori, ed i risultati si vedono. Nella scrittura di Darwin - e nel pensiero evoluzionista in generale - "più forte" non va inteso nel senso di più forte fisicamente o mentalmente, ma che meglio si adatta ad una nicchia. "Più forte" in questo senso in natura ed evoluzione quasi sempre è un rapporto di reciproca mutualità - spesso più che di una specie, di un gruppo. Da qui la nozione di co-evoluzione.

“Cento che agiscano sempre di concerto e d’accordo prevarranno sempre su mille che agiscano liberamente” (Gaetano Mosca)

"Già in Italia è pieno di persone scansafatiche, con il reddito di cittadinanza verranno premiate ancora di più! Dare soldi a chi non lavora è un'ingiustizia sociale"... ah permettere alle persone di sopravvivere sarebbe un premio e un ingiustizia sociale? Vorrei proprio provare ad immedesimarmi in chi dalla cui mente escono certi concetti contorti, ma proprio non ci riesco, mi è proprio inconcepibile. Abusando del sistema è un altro modo per dire: "ti meriti di essere molto povero. Ti meriti di essere disoccupato. Ti meriti di essere nella condizione in cui sei" quando la realtà è che ciò TI è TOCCATO, non determinato. Nella neolingua liberal-democratica il massacro dell’élite ai danni della nuova plebe si nobilita come “competitività” ed il riequilibrio delle vergognose disuguaglianze è un premio e un ingiustizia... che dire? Quando invece dovrebbero essere gli psicopatici ad essere isolati in modo da non danneggiare gli altri. Nella nostra società non c'è nessun dibattito sul problema degli psicopatici, mentre si fanno tanti dibattiti e articoli sui depressi, che vengono medicalizzati, senza andare a vedere le cause di questi sintomi che sono quelli di una società patologica governata dagli psicopatici, che, indisturbati, continuano a fare le loro porcherie, torturare persone, facendole ammalare, fino anche a condurle alla morte precoce. In sintesi, chi inganna e sa suscitare emozioni gratificanti ha molto successo. Viceversa, chi è sincero, chi non strumentalizza le emozioni altrui, non ha successo. Ne ho avuto una chiara dimostrazione in Wikipedia, dove i manipolatori riescono a farsi dar ragione dagli incapaci facendosi approvare le cose più assurde. Tuttavia anche Weber è stato portato fuori strada da un equivoco, poichè il fatto che egli l'abbia riscontrato solo in relazione all'aumento della disoccupazione è dovuto solo ad un fattore statistico ovvero che tale situazione rendeva più evidente la cosa, ma ciò non significa che aumenti di pari passo con essa: essa vale sempre, i migliori saranno in ogni caso gli ultimi ad essere scelti. Anche perchè a selezionarli sono inevitabilmente loro simili. Anche David Schweickart conferma che la presenza di un tasso relativamente elevato di disoccupazione non va contro gli interessi del capitale, al contrario. Quando c’è poca disoccupazione, i lavoratori sono più esigenti sui loro salari e le loro condizioni di lavoro, perché sanno che non faranno fatica a trovare un altro posto di lavoro se decideranno di lasciare quello che già hanno. Quando c’è molta disoccupazione, essi sono, invece, pronti ad accettare qualunque condizione per essere certi di conservare il loro posto di lavoro. L'"effetto Dunning-Kruger" è una distorsione cognitiva per cui gli individui incapaci tendono a sopravvalutare le proprie abilità, considerandole superiori alla media, ed a comportarsi di conseguenza, creando quella percezione di sicurezza nota come "carisma"; mentre quelli esperti tendono a dubitare delle proprie capacità, e quindi ad apparire goffi, insicuri, cioè non "carismatici". E' questo il motivo per cui viviamo nella dittatura dell'incompetenza descritta sapentemente nel film futuristico "Idiocracy".

"L'intelligenza è uno strumento - e questo strumento è finito in mano agli stupidi" (Roberto Bazlen)

Il risultato è che le persone che cercano lavoro ricavano l'impressione che gli addetti alla selezione dei candidati scelgano un curriculum a casaccio tra tutti, da cui ne deriva la prassi ormai consolidata (è il consiglio che ormai "al bar" chiunque da a chi cerca lavoro) di inviare più curriculum possibile anche a casaccio senza nemmeno leggere le prerogative richieste, nella consapevolezza che, a causa di questa scelta vista come casuale, l'unica possibilità di essere selezionati sia quella di, indipendentemente dalle proprie caratteristiche, andare ad aumentare le probabilità statistiche che il proprio curriculum sia quello preso a casaccio. Cosicchè ne deriva l'incapacità da entrambe le parti di comprendere le ragioni della controparte: gli aspiranti lavoratori accusano di scegliere i curriculum a caso, i datori di lavoro accusano di ricevere curriculum a caso; da cui ovviamente ne deriva l'aumento della mole di curriculum inutili ricevuti e da dover vagliare, e di conseguenza l'aumento della necessità di doverne scegliere uno a caso di fronte ad una mole ingestibile andando così a giustificare in un circolo vizioso l'invio massivo di curriculum casuali. Certo non sarà esattamente sempre così, ma questa è, comprensibilmente, l'impressione che chi cerca lavoro ricava dal veder regolarmente assunte persone meno meritevoli di loro, e comunque non ditemi che non trovate plausibile che le impiegate delle agenzie interinali per risparmiare il tempo di dover leggere migliaia di curriculum non usino proprio prenderne uno a caso... tanto mica sono loro a dover assumere il candidato scelto... quindi entrambe le parti, incapaci di immedesimarsi e capire le ragioni altrui, si accusano a vicenda invece di accusare il sistema che è all'origine di questo circolo vizioso. A fronte della immane idiozia di Renzi "il lavoro non è solo reddito ma è anche dignità" sarebbe perfino superfluo rispondere che "IL REDDITO non è solo lavoro ma è anche dignità", casomai, alla faccia di quei triti stereotipi su "nobiltà" accomunate al lavoro, stupidaggine che tutti concordano segretamente essere solo un idiozia paradossale. Quando ci si sforza di dire cose di sinistra... si della sinistra di 50 anni fa però... oggi il lavoro non esiste più e lui ripete slogan degli anni 60... Dato che il vero problema è che a volte oltre alla dignità manca anche il reddito... quindi intanto "dateci" il reddito che con quello la dignità ce la costruiamo da soli. Da un articolo di Alessandro Gilioli:
"Nella disastrata situazione attuale, accanto al problema di creare competenze c'è il problemuccio che il mercato assorbe sempre meno competenze, quali che siano. Quindi siamo lontanissimi da un intervento realisticamente d'impatto. Siamo di fronte a cosmesi, nel migliore dei casi; nel peggiore, a un imbroglio, a un funambolismo lessicale."; "Prima hanno svuotato il lavoro della dignità. Ora ci spiegano che il reddito minimo non si può fare perché è il lavoro a dare dignità."
E non è che il modo di fare dei grillini sia molto diverso: "aiutare i cittadini che stanno rimanendo indietro"... ma indietro rispetto a cosa???? Io direi che sarebbe il caso di evitare questi toni da sedicenti tutori di "inferiori" che si legge un pò ovunque parlino del loro reddito di cittadinanza credendosi di essere migliori non si sa sulla base di cosa. Per cui, caro Beppe Grillo, non trattare queste persone come mentecatti ritardati mentali bisognosi di elemosina, perché, quasi sempre, sono la “crema” della società, non rimangono "indietro" (non si sa rispetto a cosa...), ma sono respinti, respinti proprio perchè si ha paura di esserne surclassati. Perché in Italia l'immondizia che arriva coi barconi non si respinge, ma i cittadini valorosi sì. Ed i risultati si vedono. Il piagnisteo sul "diritto al lavoro", nell'epoca della massima introduzione degli automi e dell'informatica è una pura idiozia. Nella storia dell'umanità poco è stato più insensato dell'odierno culto del lavoro: abbiamo finalmente a disposizione i mezzi per essere liberi dalla necessità e invece questi mezzi ci dominano, ci abbrutiscono di lavoro, ci offrono una produttività così alta che la stragrande maggioranza della popolazione è "in esubero" rispetto alle esigenze della produzione. E non lavora affatto, e non lavorando non ha di che acquistare i prodotti per sopravvivere, prodotti esistenti anche solo potenzialmente e sprecati artificialmente. Chiunque non sia intossicato dall'ideologia sindacal-capitalistica capisce benissimo che la liberazione di lavoro umano operata dalle macchine, dalla scienza e dall'organizzazione potrebbe essere un vantaggio per tutta l'umanità, la quale non sarebbe certo schifata se potesse dedicarsi ad attività vitali o anche semplicemente belle e divertenti invece di essere schiavizzata dalla necessità. Governanti, sindacalisti e comunisti di ogni specie hanno un bel gridare a gran voce che il lavoro è sacro, che è un diritto sancito dalla Costituzione, che nobilita l'uomo. Quando il lavoro viene eliminato dal moderno sistema di produzione esso non è né sacro né maledetto, è semplicemente superfluo. Di fronte all'operaio che si chiude nel capannone fatiscente, o che si mura nella miniera esaurita e mortale, o che si ammazza per dodici ore al giorno con salario tagliato per salvare la "sua" fabbrica dalla concorrenza, c'è un mondo di milioni di persone che non lavorano più e quindi non hanno più un reddito, e solo in conseguenza di quest'ultimo non hanno più una dignità, non in conseguenza del non avere un lavoro come fosse fine a sè stesso! Vi sono a volte concetti basilari nella teoria economica applicata alla vita quotidiana (e viceversa), che alle volte sono talmente evidenti che passano... inosservati. Uno di questi principi guida è quello della cosiddetta "utilità marginale decrescente" che è un pò la versione ermetica del popolare "il troppo stroppia". Questa è praticamente universalmente valida in qualsiasi campo dell'attività umana, ma nell'economia specialmente, relativa alla produttività dei fattori della produzione (lavoro, terra, capitale). Per quanto riguarda la produttività del lavoro ci sentiamo ripetere quotidianamente che per essere competitivi occorre lavorare di più e produrre beni che altri dovrebbero comprare, presumibilmente lavorando ancora più a lungo per poterseli permettere. Ora, la fallacia di un simile ragionamento che porta inevitabilmente una corsa competitiva dove non possono esserci vincitori (un pò come nelle svalutazioni competitive; come abbiamo già specificato, poichè non tutti ne sono consci, "competizione" è il concetto contrario di "merito") è talmente evidente che non dovrebbe essere neppure dimostrata. I sacerdoti del lavoro si commuovono e benedicono il sacrificio, ma le fabbriche-galere chiudono comunque, ed essi, per scongiurare il pericolo che ci s'accorga che è matura l'ora di lavorare tutti due o tre ore al giorno, s'inventano assurdi "tirocini" per un tozzo di pane che chiamano furbescamente "indennità di frequenza" per quello che chiamano "corso propedeutico di formazione obbligatorio con pratica fatta presso la sede di lavoro", rigorosamente fallimentari nella pomposa pretenziosità che li motiva, farlocchi, inutili e in molti casi un imbroglio vero e proprio quando attirati con la promessa di un assunzione stabile o anche solo di un rinnovo temporaneo di cui NON ESISTE PROPRIO in partenza la volontà. Il tutto a 400 euro al mese ovviamente. Che bravi, questo sì che è progresso. La storia deve pur averci insegnato qualcosa... Parlano e agiscono così solo a causa della tronfia sicurezza offerta loro da una classe prima proletaria ed oggi disoccupata che, pur se provvisoriamente corrotta con false sicurezze e ideologie del nulla, conserva intatto il potenziale per schiacciarli. Eccoli perciò organizzare processioni e innalzare preghiere al dio lavoro, facendosi preti di una religione che lo stesso sistema finanziario da loro deprecato si incarica di distruggere nei fatti, e le loro litanie sono sempre le stesse: "perchè le piacerebbe svolgere questo lavoro?"... che solo a sentirla viene da spararsi in testa... io mi sono sempre chiesto le altre persone cosa mai rispondano ad una talmente idiota domanda... perchè se quelli continuano imperterriti a porla, vuol dire che qualcuno risponde... ma che cosa??? Cosa cavolo si può rispondere ad una domanda così cretina??? Io nemmeno riesco, non solo a pensare cosa rispondere io, ma nemmeno ad immaginare cosa possano mai rispondere gli altri! Ho una grandissima curiosità di assistere ad un colloquio altrui per sentire cosa il candidato risponde a questa domanda... ma chi la pone, cosa si aspetta che gli si risponda???? Cazzo, perchè non vivo di aria, quindi "mi tocca", no "mi piacerebbe"!!! Ma se c'è qualcuno che risponde qualcosa di diverso da questo, quelli che la pongono sono veramente così deficienti da pensare che lo dica sinceramente????? Quindi se qualunque risposta che non sia "perchè mi tocca" è ovviamente una falsità (e non venitemi a dire che non è così!), che senso ha porre questa domanda a chi cerca lavoro???

"Ciò cui si deve tendere, non in maniera bolscevica ma ragionevole, è separare il lavoro dai mezzi di sussistenza" (Rudolf Steiner)

Sia chiaro questa non è una critica di tipo comunista, ma l'esatto opposto! Le pretese dei comunisti non hanno e non hanno mai avuto una base logica, si è sempre e solo trattato di pretese senza il minimo fondamento, nella credenza religiosa che la ricchezza si crei dal nulla e che il salario sia deciso così a suo piacimento dal perfido padrone (viene da chiedersi perché allora dove e quando non vi sono regole non opti per zero... visto che lo decide lui). La nostra, l'abbiamo già spiegato e lo spiegheremo ancora nel corso del testo, non è una critica al capitalismo ed ai "padroni". Una cosa di cui non sono mai riuscito a capacitarmi è: ma se ai comunisti fa tanto schifo il lavoro e odiano il padrone, ma chi li costringe a lavorare alle sue dipendenze???? Ma licenziatevi no???? La risposta è sempre la stessa: "io lavoro per sostenermi", che ancor oggi è ed è sempre stato il ragionamento degli "schiavi" amanti dei sindacati. Bene, allora smettete di lamentarvi però!!!! Dato che non ne avete alcuna giustificazione avendo implicitamente accettato le condizioni contrattuali accettando l'assunzione. Ed ora, dopo che in seguito all'abolizione dei voucher voluta dalla Cgil perderanno certamente il lavoro molte persone (intanto già in 45 della Gamec di Bergamo), non ci sarebbe da stupirsi del paradosso che queste si rivolgessero proprio al loro carnefice, la Cgil, per fare causa alla ditta, anch'essa come loro vittima dell'abolizione dei voucher... così il leviatano Cgil prende due piccioni con una fava, a scapito di tutti (loro stessi compresi) e soprattutto a scapito dell'intelletto umano. Ma dopotutto di chi stiamo parlando? Di quelle persone che di fronte all'arresto di un sindacalista accusato di essersi accordato coi padroni di un azienda, comportamento che non può per definizione stessa non andare a scapito dei dipendenti, le vittime di questo accordo cioè i dipendenti di questa azienda, si sono messi a protestare sotto il carcere in difesa di quello che li ha turlupinati. Evidentemente in questo mondo è normale che qualcuno prenda le difese di chi li ha fregati e si scagli contro chi vuole salvarli. Tipicamente sono i plagiati dalle sette religiose a prendere le difese dei santoni, ergo i sindacati hanno oramai assunto le forme di una setta religiosa. Essi si dimostrano essere oggi i peggiori conservatori reazionari. "La Finlandia è reddito di base esperimento è impraticabile, antieconomico e in definitiva inutile. E poi, sarà solo incoraggiare alcune persone a lavorare di meno"... No, non è il punto di vista di un nocciolo duro thatcheriano, ma del più grande sindacato finlandese. E che dire dell'incomprensibile considerazione negativa vigente sulle più sensate forme di lavoro cioè il cottimo e la mezzadria, in quanto rapporti di lavoro associativi e non subordinati o affittuari, che se non attuate su certi ambiti è solo perché non è logisticamente possibile farlo, non perché la paga a tempo sia più efficiente. Questa ostilità verso le forme di lavoro non subordinato da parte dei marxisti (si pensi anche solo alla furente ostilità verso la socializzazione che determinò che la prima legge emessa in fretta e furia il 25 aprile 1945 fu quella che abrogava la legge sulla socializzazione delle imprese della Rsi! Però quello che gli garbava l'avevano mantenuto: i "consigli di gestione" cioè l'assetto corporativo) si può spiegare solo in un modo: dato che il loro potere è legato al malessere del "proletariato" "oppresso" dai "padroni", ogni allentamento di questa "oppressione" andrebbe a discapito dei boiardi comunisti, e quindi ci tengono a mantenere il loro utile idiota nel massimo malessere possibile. Sinceramente non vedo in quale altro modo potrebbe essere spiegato.

"Se il lavoro non è seriamente e attivamente partecipe della vita quotidiana dell’azienda non potrà mai concepirsi una giustizia sociale. È tuttavia opportuno che la stampa freni i troppo facili entusiasmi di quei faciloni i quali fermamente credono che, spalancate le porte al lavoro, si dia fondo e corpo a una specie di panacea universale in cui, abolito ogni principio gerarchico di disciplina, tutti possono comandare e fare il proprio comodo" (Angelo Tarchi, 20 febbraio 1944)

Risibile ogni volta che una fabbrica fallita viene occupata dagli ex-dipendenti che ne riattivano la produzione, ignari che ciò che stanno facendo è nientepopodimeno che la mussoliniana socializzazione delle imprese che avrebbe dovuto essere attuata in Italia il 21 aprile 1945. Tale ignoranza ha raggiunto apici inusitati quando in una di queste fabbriche socializzate i neo-proprietari hanno dato nome "amaro partigiano" al loro prodotto... o forse l'hanno fatto proprio per fugare eventuali possibili accuse di fascismo? Poiché i sindacati, i cui vertici sono certamente ben consci che di socializzazione fascista si tratta, hanno sempre cercato di ostacolare tali "autogestioni". Spesso si tende a credere che anche le attuali cooperative siano "roba comunista"... niente di più lontano dalla realtà: i comunisti ed in particolare i sindacati sono stati da sempre i più acerrimi nemici del concetto di "cooperativa" e sono proprio loro i primi a premere sulle leggi che ne limitano la potenzialità e non i capitalisti come si potrebbe erroneamente pensare; Lenin stesso definiva le cooperative "peste riformista". Tale pregiudizio sulla collocazione politica del concetto cooperativo sorge da fraintendimenti oggi derivati dal famoso scandalo delle "cooperative rosse" e dal libro di Bernardo Caprotti "Falce e carrello". Ma è così difficile capire che se quelle di quello scandalo sono definite "rosse", è proprio per distinguerle da tutte le altre che rosse non lo sono??? Quelle facenti riferimento al Pci poi sono praticamente solo quelle di consumo (che sono quelle alle quali si riferisce Caprotti nel suo libro) e sociali, che come abbiamo già visto hanno in comune solo il nome con quelle di produzione e quindi al concetto di cooperazione inteso come coincidenza tra capitale e lavoro! Se poi tra quelle "rosse" ne esistono pure di produzione e lavoro o di credito è perché i sindacati comunisti ne sono stati praticamente costretti ad accettarle per forza maggiore, sotto la pressione dei loro iscritti chissà come illusi che quello fosse il comunismo (!), e le hanno usate solo a scopo clientelare, ma sia Togliatti che Berlinguer e tutti i leader Cgil ne erano estremamente avversi, per questo affidarono sempre la loro gestione a personaggi (come Giulio Cerretti) rifacentisi alla corrente di Ingrao, la meno avversa alle cooperative. Visto che sul concetto mussoliniano di socializzazione c'è molta confusione (spesso viene confuso con la statalizzazione come "abolizione della proprietà privata", o come co-gestione o suddivisione degli utili senza variazione delle quote sociali) è bene puntualizzarlo: nel concetto espresso da Mussolini con il termine socializzazione la proprietà di un azienda è estesa a tutte le persone che in quell'azienda vi sono impiegate. I consigli dei lavoratori a che dovrebbero servire se non sono proprietari? Se non come uno specchio per allodole ovviamente. Quindi in un azienda composta da due persone, ognuna è proprietaria del 50% della società; in una di 100 persone ognuna è proprietaria dell'1% della società. Niente di più. Non è co-gestione nella quale dalla proprietà rimane escluso qualcuno impiegato nell'azienda, non è arbitraria suddivisione degli utili senza proprietà uguale per tutti, non è esproprio per statalizzazione con affidamento a boiardi di stato, non è abolizione della proprietà privata ma è estensione della proprietà privata. Non sapete l'irritazione che mi fanno quelli che riducono il decreto legge sulla socializzazione alla frase "la proprietà privata sarà rispettata" come se capissero fischi per fiaschi... certo che sarà rispettata nel suo significato, ed anche più di ora: sarà addirittura esteso! Espropriarne le quote esuberanti per cederle in parti uguali a tutti i dipendenti E' rispetto della proprietà privata che tale e quale rimane, in proprietà privata cioè non pubblica! Essa prevede pure la socializzazione ovvero la privatizzazione di tutto ciò che è pubblico! Per cui non è solo rispetto, è perfino allargamento! In che modo ciò sarebbe evidentemente secondo loro "irrispettoso" della proprietà privata? Anzi del suo rispetto né è perfino l'apice: né è LA SUA ESTENSIONE! Mica ci arrivano, no... viene da chiedersi se secondo loro "rispetto" significa che alcuni ne sono esclusi... cioè che resta tutto uguale ad oggi, concentrata in pochi. E allora cosa cambia??? E veramente così difficile la comprensione di ciò? Eppure già oggi ci sono molte attività, per quanto piccole (bar, ristoranti) nelle quali la proprietà è suddivisa tra vari soci alla pari, cosa c'è di così difficile da capire? Come si può non leggere nella definizione di cooperativa "impresa a proprietà collettiva a scopo mutualistico e solidale e a direzione manageriale elettiva" la stessa medesima della socializzazione mussoliniana? Le attuali cooperative di produzione da sempre esistenti sono una forma larvata di socializzazione, e l'unico fattore che le distingue dalla socializzazione mussoliniana è causato dalle leggi alle quali sono oggi sottoposte dal sistema vigente (norme specifiche presenti dall'articolo 2511 all'art. 2548 del codice civile, e legge Basevi del 1947, che si fondano sull'articolo 45 della Costituzione: "la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata"), regole finalizzate proprio allo scopo di ridimensionarle ed impedirgli di diventare vere e proprie aziende socializzate. Inevitabilmente di fronte alla polemica sulle agevolazioni fiscali, che possono essere giustificate agli occhi dei concorrenti solamente grazie alla regola della proprietà indivisa che gli utili non possono andare ai soci ma devono essere accantonati per usi sociali, ed ai limiti e vincoli all'accesso ai mercati dei capitali. Guai se non ci fossero queste regole: le cooperative verrebbero affossate definitivamente dai "padroni del vapore"! La legge 59 del 1992 poi cercò perfino di stravolgerle aprendole all'accomandita coi "soci sovventori", contraria ad ogni etica cooperativa. Ad essa seguirono poi la "legge Mirone" prima e "legge Vietti" poi, ma tutte restarono pressoché inapplicate di fronte alla resistenza delle associazioni che riuniscono le cooperative, che mostra come i principi etici rimangono ancora largamente attivi in tutte, nonostante i tentativi di trasformarle, in parte o completamente. Difatti l'adozione di queste possibilità è stata assai limitata e la stragrande maggioranza delle cooperative ha difeso la sua natura di impresa di proprietà collettiva a scopo mutualistico e solidale e a direzione manageriale elettiva. E' anche per quest'ortodossia, pur necessaria per renderle apparentemente accettabili ai "padroni del vapore", che le cooperative restano ancor'oggi "ingessate" nelle forme da essi tollerate.

"Nonostante la grande trasformazione in atto, i cambiamenti, l'idea di liquidare i principi costitutivi della cooperazione, pur avendo fatto proseliti, incontra una forte resistenza. Anche se è un problema posto persino dall'eccessivo successo delle imprese cooperative diventate grandi realtà economiche" (Lodovico Festa)

L'unico risultato ottenute da queste nuove regole è stato aprire nicchie ai tentativi di alcuni approfittatori (si pensi al caso Unipol e Giampiero Fiorani) di usare le nuove stravaganti costruzioni giuridiche per eludere i vincoli con architetture finanziarie complesse come ad esempio acquistare sotto forma di "fondazione" azioni di società quotate in borsa. Resta il fatto che già oggi la socializzazione può essere osservata nel sistema delle cooperative cioè quello che secondo la definizione della Lega delle cooperative viene definito "terzo settore" tra quello privato e quello pubblico, quindi non via di mezzo ma proprio uno alternativo, definito da Lodovico Festa "una realtà di tutto rispetto sia nella produzione di reddito sia nell'incivilimento del paese", cuore di un sistema di sussidiarietà in cui giocano un ruolo anche i corpi intermedi della società a partire dalle varie forme di associazionismo sindacale e di categoria di un ampio schieramento bipartisan, non gestite dallo stato. Anche se l'attuale complesso a cui si dà il nome "terzo settore" appare più come una forzatura che mette insieme forme di organizzazione sociale ed economiche ben differenziate; per questo il dibattito è un pò confuso e diverse forme vengono messe tutte in un unico calderone dalla regolazione delle leggi dello stato, con un certo disordine nel distinguere le cosiddette imprese sociali dalle vere e proprie imprese cooperative. Nel 2006 i numeri della cooperazione erano questi: 800.000 soci - 12.000 dipendenti - 1,6 miliardi di euro di entrate - 7 milioni di clienti; a queste vengono solitamente assommate quelle nel "sociale": 20.000 imprese - 300.000 addetti - 10 miliardi di giro d'affari; però hanno ben poco a che vedere con la cooperazione ma più col volontariato, che è tutt'altra cosa. Tuttavia questa confusione mostra che esiste una dimensione dell'iniziativa economica, sociale, ed economico-sociale che si distingue nettamente dall'impresa privata capitalistica (primo settore) e dall'intervento pubblico (secondo settore), dando un senso alla definizione di "terzo settore". I vari fenomeni comuni andrebbero analizzati in modo distinto, seppur avendo alla sua base indistintamente una forte componente sussidiaristica, morale, e sociale, presentando la caratteristica comune che va oltre al ruolo produttivo ma una vera e propria funzione di incivilimento. Anche tra quelle "non sociali" va fatto un opportuno distinguo, tra quelle di produzione e lavoro e quelle di consumo, che sono due cose totalmente diverse ed in comune hanno solo il termine "cooperativa" che induce nel fraintendimento di considerarle più o meno la stessa cosa. Un pò come ritenere che "Falange spagnola" e falange del dito siano la stessa cosa perché hanno lo stesso nome... Il termine cooperativa nel vero senso del termine andrebbe applicato solo a quelle di produzione e lavoro; quelle di consumo sono solamente gruppi di acquisto in comune che non hanno niente a che vedere con il significato letterale di cooperazione, e ciò è evidenziato chiaramente quando la loro attività andando oltre alle capacità di autogestione dei soci (che è comunque in ogni caso scollegata dalle sue finalità, sia ben chiaro), esse utilizzano lavoratori dipendenti contrariamente ad ogni concetto etico di vera cooperazione; idem per quelle "sociali", che anzi sono notoriamente famigerate proprio per un'inusitato sfruttamento attuato verso i dipendenti che non sarebbe moralmente permesso ad un azienda privata... ma loro sono "cooperative sociali", quindi ogni abuso verso i propri dipendenti gli è permesso oltre ogni limite di decenza morale. Dopotutto chi sono i loro dipendenti? Scarti della società dei quali non frega niente a nessuno, tantomeno ai sindacati. Giusto? Poi chiamatelo col nome che volete, l'importante non è il nome. Un programma "ideale" che non ha trovato concretizzazione storica, e fondamentalmente trovò anche una progettazione concreta molto limitata a causa del contesto di guerra, che obiettivamente non poteva consentire la ponderazione di riforme del genere in modo stabile, duraturo e chiaro, ed ancor più doveva essere appositamente edulcorata per non inimicarsi ulteriormente i capitalisti in una fase così critica della guerra.

"Dalla libera discussione si possono trarre elementi utili per l’applicazione della legge stessa che riteniamo di perfezionare man mano, anche perché questa non è necessariamente statica ma al contrario deve trovare poi nella soluzione pratica l’indirizzo per evolversi" (Angelo Tarchi, 20 febbraio 1944)

L'attuazione della socializzazione nella sua versione integralmente definita non sarebbe attualmente possibile poiché prevederebbe necessariamente un esproprio, che per quanto moralmente giusto (poiché gli attuali detentori delle proprietà non ne sono gli artefici ma l'hanno ricevuta dal lavoro umano accumulato in essa e dal progresso tecnico-scientifico dalle generazioni che li hanno preceduti), è tecnicamente non fattibile senza l'uso della forza. Per cui, così come neanche nel 1944 fu possibile proporla come tale, anche oggi non potrebbe essere applicata mediante coercizione. Ma questo non significa che non si possano porre in essere incentivi atti a favorirne volontariamente un applicazione incipiente (si veda la sezione apposita). Ovviamente la sua implementazione è filosoficamente inscindibile dal reddito di cittadinanza, che fungerebbe anche da stimolo finanziario alla progressiva conversione verso un regime socializzato. Difatti della comprensione e dell'opinione che i marxisti hanno sul reddito di cittadinanza già ne abbiamo parlato, non serve infierire oltre. La vera libertà non è nella garanzia del lavoro, ma nella garanzia del reddito, che apporterà finalmente il vero diritto al lavoro per il quale siamo più portati (ovvero nel quale abbiamo un "vantaggio comparato"). Non sarà il trionfo del lavoro "determinato" ma scompariranno proprio i concetti stessi di "determinato" e "indeterminato" assorbiti in un unica categoria: il lavoro, con conseguente maggior dinamicità e flessibilità. Il problema non è la "dipendenza" in sé, ma le modalità: ci sono schiavi e schiavi fidati, quest'ultimi messi dal padrone a governare altri schiavi. Lo schiavista cattura sempre più schiavi-fuggitivi. Gli altri schiavi, felici, gioiscono, anche se non capiscono perché son sempre più schiavizzati. Più bassa sarà la loro consapevolezza d'essere comunque schiavi, peggiore sarà l'esistenza dei loro sottoposti! E questa, ribadiamo, non è una critica al rapporto di lavoro subordinato in sé, ma alla "schiavitù della necessità" che è alla radice della concezione di lavoro come sacrificio con tutte le relative conseguenze: quando ci si considera schiavo, si lavorerà come tale (e nota è la qualità scadente del lavoro eseguito da schiavi), chiunque sia il padrone ma maggiormente tanto esso è più lontano (e lo Stato è l'apoteosi della lontananza, ergo...).

"Lo schiavo non tollera di vivere in mezzo a uomini liberi a meno che non si tratti dei suoi schiavisti" (Fëdor Dostoevskij)

Ribadiamo: non significa eliminare i rapporti di collaborazione umana, ma impostarli sul concetto letterale di collaborazione, anziché di asservimento. Il distributismo ha il valore di sposare i pregi di ogni sistema economico, finora proposto, epurandone le deficienze. La novità piena dell’economia partecipativa è il ruolo che il soggetto produttivo assume. L’uomo non è più parte di un automatismo, un ingranaggio fra tanti, ma diviene cardine, centro, fautore del proprio destino. Ritrova se stesso nel compito che svolge, prendendo parte alle decisioni sul proprio futuro, armonizzando il proprio presente. Il lavoro cessa di essere un fine, nella peggiore delle prospettive economiciste, in direzione di divenire un mezzo per trovare se stessi, completare la propria libertà all’interno di un insieme armonioso. Laddove libertà e necessità collimino come due rette che si incontrano all’orizzonte. Dove, non più le attinenze fra gli elementi che lo compongo, ma il valore stesso degli elementi assume un ruolo primario. Una volta che il sistema fiscale sarà portato sui consumi e non sul reddito e i bisogni esistenziali di base verranno coperti dal reddito di cittadinanza, anche il lavoro non dovrà più essere ne protetto ne remunerato. Remunerati saranno i prodotti delle varie attività delle singole persone. Si assisterà al nuovo trionfo del "un tanto al pezzo" (il vecchio cottimo o se si vuole l'odierno precariato) riconosciuto però ora all'uomo libero dalle necessità e che vuole utilizzare i propri talenti per produrre beni/servizi utili e quindi vendibili. Le persone passeranno dalla situazione di schiavitù indotta dai bisogni a quella di liberi imprenditori desiderosi di trarre ulteriore profitto dai propri talenti. Con il reddito di cittadinanza scompariranno le preoccupazioni esistenziali che abbruttiscono la persona, la paura ed il ricatto della necessità, la lotta per la sopravvivenza sarà sostituita dal diritto alla felicità, rendendo così migliori le persone, le loro qualità umane e sociali con la fine delle frustrazioni e alienazioni lavorative e dell'esclusione sociale. L'eliminazione del potere coercitivo del denaro porterà un prezzo esistenziale minore quindi meno giustificazioni per lamentele e quindi pace sociale. Cosa che evidentemente alla sinistra rivoluzionaria dà fastidio. Per le forze politiche e sociali legate alla sinistra (sindacati inclusi) un reddito minimo universale slegato da condizionalità creerebbe un mondo senza più il lavoro al centro. Per loro significherebbe ritrovarsi svuotate del loro messianesimo sociale, non aver più un parafulmine a cui dare la colpa. La cosa che impedisce di risolvere un problema è il cercare in ogni modo un colpevole preciso. Ma se il colpevole non esiste, come la si può risolvere?

“L’antropocrazia non cerca colpevoli ma errori da correggere” (Nicolò Giuseppe Bellia)

Il lavoro produce il capitale, ma poi il capitale stesso domina il lavoro - attraverso il lavoro la società costruisce il capitale (si produce per ottenere denaro), ma in realtà il capitale stesso diventa ciò che determina la struttura della società, si autoalimenta in quello che Marx chiama "feticismo delle merci". Anche se con "capitale" la gente comune intende una quantità di denaro, in realtà il concetto è più complesso, tanto che anche Marx per spiegarne l'accumulazione originaria lo definì non un oggetto ma un paradigma di rapporto sociale, ossia un rapporto di produzione in contrasto con il rapporto lavorativo pre-capitalistico che non implicava accumulazione di tempo in oggetti che non fossero finalizzati all'uso personale. Negli oggetti il capitale assume la forma di "tempo concentrato" (in essi), da cui la classificazione marxiana tra capitale variabile cioè il tempo in sé, e capitale costante cioè tempo "concentrato, accumulato" in un oggetto. Il rapporto tra i due è la composizione organica del capitale. Tuttavia Marx con la sua teoria della caduta tendenziale del saggio di profitto invertì le caratteristiche ritenendo che il capitale variabile fosse quello da cui si potesse ottenere il plusvalore quando invece l'esperienza insegna che è il contrario, il capitale costante (cioè i macchinari) sono, proprio per il tempo concentrato già in essi, più redditizzi che quello variabile (cioè il lavoro umano).

"Quindi il capitale, intanto è ritenuto un considerevole fattore della produzione in quanto è risparmio, cioè ancora e sempre potenziale di lavoro svolto" (Angelo Tarchi, 20 febbraio 1944)

Tutti concordiamo che un robot costa meno della manodopera umana, non dovrebbe servire che ce lo venga a dire Werner Sombart. L'ampliamento della produttività del lavoro che, con l'organizzazione del processo di produzione da punti di vista scientifici, ha eliminato la sua dipendenza dai limiti fisiologici, naturalmente dati della persona umana, spingendo sempre più verso il razionalismo economico. Nel corso del capitalismo, quindi la relazione salariale ha dipeso sempre dalle condizioni di produzione, cioè dal momento in cui il conflitto capitale-lavoro si manifesta, ma nel corso del tempo ha influenzato in maniera crescente la fase della realizzazione monetaria dei profitti e quindi il livello della domanda aggregata. Con la crisi del fordismo-taylorismo, tale compromesso viene meno, non solo perché viene meno il ruolo del welfare state (che del patto fordista rappresentava il garante, attutendo gli eventuali "attriti") ma soprattutto perché i guadagni di produttività non vengono più ripartiti tra i fattori della produzione. Ciò dipende in buona parte dalle trasformazioni tecnologiche (resesi necessarie per recuperare la profittabilità del sistema produttivo e terziario alla fine degli anni '70) e dal peso crescente della produzione immateriale: con la messa in opera dell'"intellettualità di massa" e il diffondersi delle tecnologie di linguaggio che ridefiniscono i rapporti tra progettazione, esecuzione e commercializzazione della produzione (potremmo dire tra lavoro manuale e lavoro intellettuale), la produttività del lavoro, sganciata dalla materialità della produzione, diventa sempre più difficile da misurare, diventa cioè "produttività sociale". In tale contesto, la separazione tra salario e produttività é un dato di fatto. Se non é possibile determinare il salario sulla base della crescita di una produttività misurabile in termini individuali, si fa sempre più pressante l'esigenza che la distribuzione dei guadagni della produttività sociale avvenga per l'appunto a livello sociale. Parlare di distribuzione sociale del reddito significa allora ridistribuire il prodotto sociale simultaneamente tra i fattori produttivi, nella fase logica di chiusura del processo economico, indipendentemente dal livello del salario monetario. Reddito socialmente distribuito, ovvero reddito di cittadinanza, é quindi logicamente incompatibile con la nozione di salario. Separare reddito da lavoro significa, da questo punto di vista, disinnescare uno degli elementi portanti del potere della moneta: essere aprioristicamente disponibile solo per chi detiene la proprietà dei mezzi di produzioni, cioè per gli imprenditori. Ciò ovviamente non modifica le modalità del rapporto capitale-lavoro, in quanto non viene intaccata il potere degli imprenditore di gestire in modo unilaterale l'attività produttiva e la tecnologia, ma favorisce quel processo di liberazione degli individui dalla schiavitù del lavoro e dal ricatto del bisogno. Il reddito di cittadinanza si inserisce in questa tendenza: in quanto reddito (e non salario) diventa strumento di ricomposizione della domanda, modificandone la distribuzione tra i soggetti economici che vi partecipano. E' quindi strumento salvifico per la dinamica del processo di accumulazione capitalistico. E non potrebbe essere altrimenti, se pensiamo che tutti gli interventi correttivi del processo economico capitalistico, nati da conflitti anche violenti si sono poi rilevati forieri di nuove spinte allo sviluppo dello stesso capitalistico.

"La tecnica moderna infatti ha reso possibile di diminuire in misura enorme la quantità di fatica necessaria per assicurare a ciascuno i mezzi di sostentamento. Ciò fu dimostrato in modo chiarissimo durante la guerra. A quell'epoca tutti gli uomini arruolati nelle forze armate, tutti gli uomini e le donne impiegati nelle fabbriche di munizioni, tutti gli uomini e le donne impegnati nello spionaggio, negli uffici di propaganda bellica o negli uffici governativi che si occupavano della guerra, furono distolti dal loro lavoro produttivo abituale. Ciò nonostante, il livello generale del benessere materiale tra i salariati, almeno dalla parte degli alleati, fu più alto che in qualsiasi altro periodo. Il vero significato di questo fenomeno fu mascherato dalle operazioni finanziarie: si fece credere infatti che, mediante prestiti, il futuro alimentasse il presente. Il che, naturalmente, non era possibile; un uomo non può mangiare una fetta di pane che ancora non esiste. La guerra dimostrò in modo incontrovertibile che, grazie all'organizzazione scientifica della produzione, è possibile assicurare alla popolazione del mondo moderno un discreto tenore di vita sfruttando soltanto una piccola parte delle capacità di lavoro generali. Se al termine del conflitto questa organizzazione scientifica, creata per consentire agli uomini di combattere e produrre munizioni, avesse continuato a funzionare riducendo a quattro ore la giornata lavorativa, tutto sarebbe andato per il meglio. Invece fu instaurato di nuovo il vecchio caos: coloro che hanno un lavoro lavorano troppo, mentre altri muoiono di fame senza salario. Perché? Perché il lavoro è un dovere e un uomo non deve ricevere un salario in proporzione di ciò che produce, ma in proporzione della sua virtù che si esplica nello zelo" (Bertrand Russell)

Per questi motivi, il reddito di cittadinanza é una misura riformatrice e non rivoluzionaria (nel senso che non va a modificare la struttura stessa su cui si fonda l'organizzazione capitalistica). In altre parole, qualunque misura atta a migliorare la distribuzione del reddito in modo non compatibile con le esigenze di profittabilità delle imprese, impone allo stesso sistema produttivo la necessità di incentivare la produttività e accelerare il progresso tecnologico al fine di risolvere ed eliminare i vincoli all'accumulazione di volta in volta sorti. Da questo punto di vista, ben venga una misura come il reddito di cittadinanza, affinché costringa il sistema produttivo (imprese, banche, ecc.) a porre rimedi agli ostacoli che tale misura inevitabilmente é portata a introdurre. Altro che paralisi produttiva! Sono 200 anni che va avanti sta storia che le macchine sostituiranno l'uomo, e nonostante da appunto 200 anni si continua a vedere che l'automazione non fa altro che spostare le attività umane anziché esautorarle, si continua ancora oggi con la tiritera. Le macchine hanno fatto scendere la percentuale di impiegati nell'agricoltura del 46% dal 1881 al 1983, e continuano a far aumentare la percentuale degli impiegati nel terziario. 200 anni fa non potevano prevedere che 200 anni dopo, un servizio di assistenza personale dedicata agli anziani, bambini, cani, allora limitato a pochi ricchi, sarebbe stato accessibile a tutti, l'automazione con lo spostamento delle attività umane invece l'ha determinato. E' uno schifo che l'industria delle clessidre sia stata messa fuori mercato dagli orologi, senza una legge che le proteggesse. Bisogna tassare gli orologi! E vogliamo parlare delle centraliniste? Con l'instradamento automatico non esistono più, e per quegli stronzi di Ford, in germania Benz e Daimler, la famiglia Agnelli in italia, quanti allevatori di cavalli e fabbricanti di carrozze hanno perso il lavoro? Come al solito proteggiamo il lavoro di chi ce l'ha e ignoriamo le ragioni di tutti quelli che potrebbero lavorare. I sindacalisti non stanno difendendo il loro lavoro, ma i loro privilegi.

"Il suo ingresso di solito non era pacifico. Un ondata di diffidenza, occasionalmente di odio, soprattutto di sdegno morale si opponeva regolarmente al primo innovatore" (Max Weber, "L'etica protestante e lo spirito del capitalismo")

Dando le colpe a chi le colpe non le ha i problemi non potranno mai essere risolti, soprattutto se le colpe sono invertite proprio come nel caso dei cosiddetti "diritti" veri responsabili dei guasti a cui secondo loro sarebbero finalizzati rimediare e che casomai vanno come minimo a gonfiare quando non a causare proprio. La scuola prepara le nuove generazioni a tollerare, quando non ad esaltare, i cambiamenti sociali autoritari voluti dal Capitale. Lo Stato ed i suoi governi attuano sempre pienamente i desideri del Capitale, in modo puntuale e preciso. Spingere una società al limite estremo della competizione tra le persone, ridotte a miserabili ruoli obbedienti, in nome della produzione e del profitto (per pochi) con la scusa del merito da premiare e del demerito da punire, come se tutti noi fossimo animaletti da circo ignobile comandati da qualcuno che decide che cosa è 'merito' e 'demerito', non è possibile farlo senza un progetto educativo pedagogico di base altrettanto competitivo. Se oggi i governi possono permettersi di emanare decreti come quello ultimo sul pubblico impiego, sicuri di farla franca, lo devono anzitutto all'azione addestrante culturale educatrice della scuola che ha agito in precedenza; la scuola è sempre stata il prerequisito necessario per far funzionare la macchina del Dominio. Questa macchina di sfruttamento funziona soltanto per mezzo degli stessi sfruttati che, ben addestrati, si fanno agenti dell'ingiustizia in nome della legalità. La guerra di tutti contro tutti è lo Stato, e attraverso lo Stato ogni pratica di effettiva e significativa solidarietà tra le persone viene disattesa, e anche punita. Le belle chiacchiere da balcone domenicale o da cattedra illuminata stanno a zero. Il problema principale è che da tale sistema ne deriva che spesso non sono gli stupidi a vedersela scura, anzi, perché gli stupidi sono furbi e subdoli, quello che giova in questo mondo. Ben venisse la meritocrazia! Ma oggi come oggi a vedersela scura sono non solo gli sprovveduti, ma perfino anche i troppo intelligenti, e non dovrebbe servire spiegarne i motivi. Si sono invertiti i concetti: "guadagna tanto perchè è bravo" con "è bravo perchè guadagna tanto". In un mondo marcio a sguazzarci è chi al quale il marciume piace o lo tollera o non se ne rende conto, mentre chi se ne accorge e se ne strugge è escluso e vilipeso quando non vuole scendere a compromessi che nuocerebbero alla sua dignità ed autostima.

"La povertà stessa, quando è immeritata, rende orgogliosi" (Johann Wolfgang Goethe)

In un mondo nel quale a determinare le capacità presunte predomina il concetto di "curriculum" che è la negazione stessa della meritocrazia, mentre di contro sono deprecati i concorsi, come ci si può aspettare siano "assegnate" le mansioni e le gerarchie? La domanda standard "perchè le piacerebbe fare questo lavoro" assume così un senso nell'ottica che difatti non a caso a tutti quelli che ci abbiano avuto a che fare avranno notato come per svolgere la mansione di "risorse umane" nelle agenzie interinali sembra sia inderogabile prerogativa essere un vero idiota, e di come i test attitudinali impostati dagli ingegneri sociali paiano essere calibrati per favorire le persone più mediocri anziché le migliori come dovrebbe essere (evidentemente le persone temono più la concorrenza altrui che desiderare il vantaggio ottenibile dagli altri, solo così si può darne una spiegazione razionale). E questo è confermato dal dato di fatto notorio che in Italia è chi ha un etica del lavoro di tipo giapponese ad aver minori possibilità di essere assunto (poiché difficilmente gestibile da un supervisore "eticamente bizantino"), dato per presunto che i posti di potere siano già detenuti da arrivisti, è scontato che essi favoriranno i loro simili (“servilismo”). Quelli del "inventatevi un lavoro, come ho fatto io" e del "se hai voglia di sporcarti le mani un lavoro lo trovi. Certo se a 50 anni non sai fare un cazzo e non hai mai lavorato nessuno ti assumerà ma la colpa è solo tua"... inutile dire a gente del genere che se non si conosce la realtà non si va a pontificare su una situazione che non si conosce, perché tali frasi indicano che non si conosce la situazione sulla quale si sta pretendendo di pontificare a quelli che invece la reale situazione loro si la conoscono bene. Io non vado ad insegnare geologia ad un geologo, e non mi sono mai capacitato di come gli ignoranti possano pretendere di insegnare cose che non sanno a quelli che invece le sanno. Dire "inventatevi un lavoro" non rende il concetto realistico solo perché lo si dice. Senza considerare poi che solitamente "inventarsi" un lavoro è illegale. Consigliarlo non è da meno di chi consiglia agli innamorati respinti di insistere (tanto che gli frega a loro?), cioè di compiere il reato di stalking. E non vale solo per l'etica ma anche per le capacità: in Italia Bill Gates avrebbe potuto aspirare al massimo ad un posto impiegatizio se non proprio di finire in galera, e Steve Jobs, quello delle immani stupidaggini sulla leggenda del "selfmademan", avrebbe avuto come unico possibile destino quello del barbone (non che nel resto del mondo sia molto diverso però, ovunque è solo questione di destino ovvero "fortuna" o "sfortuna"; non è segno di intelligenza credere che avendo avuto fortuna dal destino ciò debba valere per tutti gli altri e di conseguenza dispensare consigli chiaramente surreali...).

“La vita è come un gioco di scacchi: noi tracciamo una linea di condotta, ma questa rimane condizionata da ciò che piacerà di fare all’avversario, nel gioco degli scacchi, e dal destino, nella vita” (Arthur Schopenhauer)

Non a caso nel nostro paese il concetto di self made man si identifica in Wanna Marchi e nel venditore di suonerie Vladimiro Tallini... non certo in Renzo Rosso che come Jobs può solo ringraziare il destino della fortuna concessagli. I senzatetto non sono altro che selfmademan sfortunati, non incapaci. L'identificarli in "parassiti" che non vedono l'ora di poter "campare" alle spalle degli altri (e già questo concetto indica il non aver capito niente non solo del reddito di cittadinanza ma proprio della società umana: chi sarebbero questi "altri"????? TUTTI, chi più chi meno, viviamo sulle spalle di tutti, si chiama "sostentamento reciproco", è il fondamento stesso della società umana e ciò che ci distingue dagli altri animali che invece svantaggiosamente si auto-sostengono), la mia risposta (ovvia, peraltro) è sempre: e allora anche fosse, per questi pochi dovremmo rinunciarci tutti? Buttare via il bambino con l'acqua sporca? Tagliarsi il pene per far dispetto alla moglie? Casomai il parassita è proprio l'esoso, non chi si accontenta!

"L'egoismo non consiste nel vivere come ci pare ma nell'esigere che gli altri vivano come pare a noi" (Oscar Wilde)

I più grandi parassiti sono quelli che nel momento stesso in cui stanno proibendo agli altri di pescare, vanno in giro a sparare la trita cazzata "se uno ha fame non dargli il pesce, insegnagli a pescare"... o "dategli una canna"... no cari, io non vi ho mai chiesto "canne", e di "pescare" ne sono già capace pure meglio di voi, e forse è proprio per questo che VOI MI IMPEDITE DI FARLO! Siete voi che la canna me l'avete rubata! E come una presa per il culo poi come dei bulli pure mi incitate a "pescare" nel momento stesso in cui me lo state impedendo e mi criticate se non posso farlo. Mica se ne rendono conto di essere anche loro parassiti... parafrasando Pietro Nenni, ci sarà sempre uno più produttivo di te che ti potrà "legittimamente" definire "parassita" al suo confronto. Come dice la famosa canzone "ti tirano le pietre", si sarà criticati sia che non si faccia niente sia che si sia produttivo quanto Silvio Berlusconi o Bill Gates.

“Non sappiamo che cosa è meglio per qualcun altro. Il reddito di base dà alle persone la possibilità di accedere a ciò di cui hanno più bisogno. Solo loro sanno cosa sia!” (Scott Santens, New York times)

Vero che non è così naturale che tutti andrebbero ad investire il surplus di tempo libero e il denaro in attività intelligenti. Perciò secondo loro si dovrebbe vincolare una parte "premiale" di reddito di cittadinanza ad attività intelligenti. Ma chi decide, e come, quali attività siano "intelligenti" e quali no? Andare a ubriacarsi al bar è intelligente? Potrebbe esserlo per chi ci va. E non "a spese altrui" come dicono quelli: i soldi del reddito di cittadinanza non sono "altrui"! E nemmeno redistribuiti. Sono soldi RESTITUITI! Ma vano è pretendere che quelli possano comprendere ragionamenti così ovvi. Però darli in cambio dello "scavo di buche per poi riempirle" questo si che gli sta bene, a sta gentaglia! L'importante è sempre rompere i coglioni agli altri, e lo trovano così gustoso che sono disposti a pagare, a far sprecare risorse che anch'essi pagano, pur di far fare agli altri lavori inutili. Ma per giusti DIRITTI come il reddito di cittadinanza a compenso del furto che LORO generalmente attuano nei confronti di tutti gli altri, quello guai!!! Alessia Morani (ovviamente del Pd, e da quali altre menti potrebbe saltare fuori un discorso del genere?): “chi ha reddito zero nella vita non ha mai combinato nulla”... e come pretende di saperlo lei? Io per esempio, ho dedicato la mia intera vita agli studi che mi hanno portato a poter scrivere questo testo, rinunciando al tempo libero e al guadagno lavorativo, e cosa ne ho ricavato? Zero. E come me chissà quanti altri. Quindi il reddito di cittadinanza non è un regalo, tantomeno da parte loro, ma è una compensazione, e pure magra per chi "combinato" ne ha, rinunciando a svago e ricchezza, magari pure più di lei!

"Questa è la realtà sbagliata, è una dimensione dove conta la praticità che non premia i talenti, le alternative, sbeffeggia le ambizioni, insulta i sogni e qualunque cosa non si possa inquadrare nella cosiddetta normalità" (da "L'ultimo addio di Michele prima di togliersi la vita")

Se poi c'è chi il reddito di cittadinanza lo spenderebbe tutto in vino per poi stare comunque a dormire per strada e mangiare spazzatura, qui si rientra nel campo della patologia e non dipende dal reddito di cittadinanza! In tali singoli casi dovrebbe entrare in scena l'assistenza sociale che trattenendo al quartiere parte della cifra darebbe in cambio una tessera di abbonamento per vitto e alloggio (buoni pasto e buoni letto), e per quelli che ne facessero commercio, per questi critici che vogliono sempre la botte piena e la moglie ubriaca, se propongo la riapertura dei manicomi il cattivo poi sono io! Io mi chiedo come qualcuno possa ragionare in questo modo misantropico, e l'unica spiegazione che riesco a darmi, per come conosco le persone, è che derivi da rancore, invidia, desiderio di vendetta per qualcosa di cui (rigorosamente ingiustificatamente) ci si sente defraudati, tipici di chi si ritiene di essere migliore e di meritare di più senza alcuna spiegazione sensata di ciò, i narcisisti patologici insomma che in questo mondo abbondano e sono colloquialmente più noti come "sofistici", sempre pronti ad infastidire il prossimo che sia per una servitù di passaggio o per non aver messo la freccia prima di accostare. Permettetemi di fare una disgressione personale sulla mia cognizione: le persone che io definisco genericamente "gente di merda". Le persone peggiori, quelle che mostrano il vero residuo di bestialità dell'uomo, i cosiddetti "benpensanti", che, purtroppo sono troppo stupidi per rendersene conto dell'ipocrisia del "difendere la vita" finchè non si è nati ma una volta che si è nati "sono cazzi tuoi" (viene da chiedersi che opinione abbiano dei teratomi... non hanno forse anche loro il diritto di vivere?) e che imperterriti persistono anche sul versante opposto cioè vorrebbero impedire a chi soffre di terminare le sofferenze ma anche in questo caso dovendosi arrangiare con le cure... no cari, se la responsabilità non volete prendervela TUTTA allora non fate i finti santarelli berciando e credendovi voi migliori con queste "perle" di auto-presunta "umanità" incapaci a causa della vostra stupidità di capire che in realtà questo ipocrita comportamento non plus ultra dell'egoismo narcisista fa di voi le peggiori tra le bestie! Facile pontificare sulle condizioni altrui e poi fregarsene! Ma a che pro???? Se non vogliono implicarsene almeno se ne stiano zitti e si tengano per sè le loro demenziali "opinioni"! Oppure se ne prendano personalmente carico dei problemi creati da queste loro "opinioni", ma no tirare il sasso e nascondere la mano. Non si tratta di "diritti", si tratta di buon senso: che senso ha lamentarsi quando i barboni costruiscono case di cartone sotto i ponti, ed al tempo stesso non volere che il comune gli dia una casa???? Capirei che una persona si lamentasse di una delle due e propendesse per l'altra, ma come si conciliano entrambe in una stessa persona??? Quale alternativa vede, questa persona, tra le due opzioni???? Io non ne vedo alcuna! Rimane il fatto che ci sono i disoccupati che devono sopravvivere... chi vuole ucciderli si faccia avanti... allora come li uccidiamo i disoccupati con la corda o il veleno???? Perchè tra lasciarli costruire case di cartone sotto i ponti e dargli una casa, non so proprio immaginare quale alternativa proponga sta gentaglia. Facile così. La responsabilità dovete prendervela TUTTA, non determinare una situazione e poi fregarvene. Perciò, se si trova di "cattivo gusto" (perchè altri motivi non ne vedo) che i barboni costruiscano case di cartone sotto i ponti, l'unica alternativa è dargli un, appunto, alternativa, che non può essere altro che dargli una casa! Non si tratta di diritti verso il barbone, ma verso chi vede leso un suo diritto dall'esistenza di case di cartone sotto i ponti (per quanto dal mio punto di vista sia difficile capire come ciò possa ledere i diritti di chi non è costretto a viverci in quelle case di cartone...). Una cosa non è mai stata puntualizzata abbastanza: il reddito di cittadinanza non è un diritto verso chi lo riceve, ma verso l'intera collettività, è cioè il diritto comune a non essere derubati e a non essere importunati dai questuanti.

"Se una società libera non può aiutare i molti che sono poveri, non può salvare i pochi che sono ricchi" (John F. Kennedy)

"Non vi è motivo per cui in una società libera lo stato non debba assicurare a tutti la protezione contro la miseria sotto forma di un reddito minimo garantito, o di un livello sotto il quale nessuno scende. E' nell’interesse di tutti partecipare all’assicurazione contro l’estrema sventura, o può essere un dovere di tutti assistere, all’interno di una comunità organizzata, chi non può provvedere a se stesso. Se tale reddito minimo uniforme è fornito fuori dal mercato a tutti coloro che, per qualsiasi ragione, non sono in grado di guadagnare sul mercato un reddito adeguato, ciò non porta a una restrizione della libertà, o a un conflitto col primato del diritto" (Friedrich von Hayek)

Secondo Hayek in questo modo il reddito di cittadinanza assume il ruolo di salvagente del libero mercato quando la disoccupazione e la relativa povertà rischiano di diventare una minaccia all’integrità dell’intero sistema. Ad essere protetti, pertanto, non sono direttamente i lavoratori, ma il mercato stesso nella sua concezione liberale, secondo Hayek una necessità epistemologica prima ancora che economica. Così, con una visione tipica del darwinismo sociale, egli spiega le ragioni che rendono necessaria la salvaguardia delle regole istituzionalizzate dal mercato (in un’ottica di common law) e la limitazione di ogni intervento pubblico attivo: "L’eredità culturale in cui l’uomo è nato consiste di un complesso di modi d’agire o regole di condotta che sono prevalse perché aumentavano il successo del gruppo [...]. Non è tanto che la mente produca delle regole, quanto piuttosto che essa consista di regole d’azione, di un complesso di regole cioè che essa non ha fatto, ma che hanno finito col governare le azioni degli individui perché le azioni che seguivano tali regole si sono dimostrate di maggior successo rispetto a quelle di individui o gruppi rivali". Perchè un liberista come Hayek è favorevole al reddito minimo, mentre un critico del libero mercato come Polanyi è contrario? Si è messi tra il "rischio" della legittimazione del mercato e l'alternativa dei diritti sociali garantiti. Il reddito di cittadinanza rappresenta, sia in quanto teoria sociale che come azione di politica economica, un sostituito della piena occupazione, la quale può prevedere come unico strumento "una socializzazione di una certa ampiezza dell’investimento". Proprio nella misura in cui quest’ultima questione viene condannata all’oblio, il diritto di vivere, come lo aveva definito Polanyi, diventa un principio esterno al processo di mercato. È allora proprio in questo momento che il mercato necessita di legittimazione sociale, trovandola anche nella capacità di assistere chi dal processo produttivo viene escluso, senza però mettere in atto politiche strutturali finalizzate a reintegrarlo. Da Hayek emerge come l’approvazione del mercato – nell’accezione austriaca di processo competitivo in cui, a beneficio dell’intero sistema sociale, devono prevalere i più forti e soccombere i più deboli – non sia in opposizione al dovere di assistenza nei confronti di chi è rimasto indietro, ma anzi è ad esso del tutto complementare.

"In questo gioco [il mercato, ndr] ove i risultati dei singoli dipendono in parte dal caso e in parte dall’abilità, è evidentemente insensato definire un risultato giusto o ingiusto. Si tratta di una situazione simile a quella di una gara per un premio in cui si cerca di creare le condizioni per premiare la miglior prestazione ma in cui non si può dire se la miglior prestazione sia la dimostrazione di un maggior merito" (Friedrich von Hayek, Legge, legislazione e libertà)

Ed il bello è che non sono mai poveri (che magari potrebbe anche essere giustificabile da ciò), ma invariabilmente benestanti! Evidentemente tanto annoiati da trovare nell'infastidire il quieto vivere altrui un passatempo. Se qualcuno si riconosce in tale definizione, la colpa non è mia. Se siete un tipo di persona che sbraita se qualcuno gli occupa abusivamente un garage inutilizzato, la colpa non è mia. Insomma, quella gente che in relazione al reddito di cittadinanza dice di non voler "regalare"... REGALARE????? Regalare sto cazzo!!! Qualcosa che già dovrebbe essere a mia disposizione e la quale ORA sono LORO che me ne stanno derubando!!! Io non chiedo proprio niente in regalo o come elemosina, io chiedo né più né meno che LA RESTITUZIONE di ciò che ora mi è sottratto con perfino l'avvallo di uno stato che di conseguenza si auto-qualifica come immorale (per non dire criminale proprio, o come lo chiama Rawls, "società fuorilegge")!

Ora, accertato inequivocabilmente che la proposta dei 5 stelle (almeno quella ufficiale) è solo un sussidio e non un reddito di cittadinanza, vedo di spiegare meglio cos'è il reddito di cittadinanza e quali sono i suoi scopi.

"Il paternalistico Stato sociale ha ridotto il senso di responsabilità, la propensione a mettere in gioco se stessi, il gusto alle sfide personali. Il cittadino è stato indotto a scaricare il peso di risolvere i problemi su qualcun altro. Su quel soggetto impersonale, indefinito, padre, tutore, padrone, che dirige, elargisce doni, protegge, controlla, spia, giudica, condanna e punisce, cioè sullo Stato: è proprio questa la Via della Schiavitù" ("The Intellectuals and Socialism", 1949, saggio che analizza le ragioni dell’attrazione fatale esercitata dalle utopie socialiste sui "rivenditori d’idee di seconda mano")

scopi del reddito di cittadinanza

Introduzione agli scopi del reddito di cittadinanza

Dove c'è lavoro per uno, accorrono in cento. Se quell'uno guadagna trenta cents, io mi contento di venticinque.
Se quello ne prende venticinque, io lo faccio per venti.
No, prendete me, io ho fame, posso farlo per quindici.
Io ho bambini, ho bambini che han fame! Io lavoro per niente; per il solo mantenimento. Li vedeste i miei bambini! Pustole in tutto il corpo, deboli che non stanno in piedi. Mi lasciate portar via un po' di frutta, di quella a terra, abbattuta dal vento, e mi date un po' di carne per fare il brodo ai miei bambini, io non chiedo altro.
E questo, per taluno, è un bene, perché fa calare le paghe rimanendo invariati i prezzi. I grandi proprietari giubilano, e fanno stampare altre migliaia di prospettini di propaganda per attirare altre ondate di straccioni. E le paghe continuano a calare, e i prezzi restano invariati.
Così tra poco riavremo finalmente la schiavitù.
(John Steinbeck, Furore, 1939)

"Occorre liberarci da questa etica del lavoro che è propria ormai di civiltà primitive rispetto alle nostre" (Massimo Cacciari)

Oltre a quanto già detto come base etica, lo scopo specifico del reddito di cittadinanza è consequenzialista, teso a fluidificare il sistema economico in chiave liberista consentendo l'abbassamento del costo del lavoro, permettendo la riduzione dell'intervento dello stato nel sistema economico-sociale e l'abolizione di ogni legislazione sul lavoro (su salari, assunzioni, licenziamenti, ferie, turni, malattie, invalidità, infortuni, pensione, maternità, liquidazione, tredicesima, scioperi, aspettativa, cassa integrazione, eccetera), ed è complementare alla modificazione del sistema fiscale in un ottica di abolizione delle imposte percentuali (dirette progressive) sui redditi, agendo esso proprio in compensazione a queste liberalizzazioni nella considerazione che per ragioni statisticamente fisiologiche, da un lato al livello di salario di mercato il reddito minimo della manodopera potrebbe comunque essere per alcuni (e ribadiamo: per ovvie ragioni prettamente e meramente statisticamente fisiologiche e quindi inestirpabili in quanto tali, i titolari dei cosiddetti “bullshit jobs”, il part time, i lavori a regia, o le casalinghe) effettivamente troppo basso rispetto a quello potenziale (salario naturale o "dividendo sociale minimo", ovvero a quello che sarebbe effettivamente dato dal rigido rispetto della legge domanda / offerta senza patteggiamenti personalizzati suscettibili di oscillazioni ingiustificate del salario di equilibrio a parità di mansione ed orario) o che permetta la minima mera sopravvivenza, sia teoricamente rispetto ai beni realmente o potenzialmente esistenti (che a causa di ciò potrebbero tendere a defluire artificialmente in paesi esteri innescando l'artificiale circolo vizioso del commercio internazionale che è alla radice della condizione del terzo mondo) anche in considerazione del tasso di cambio, che ai servizi privatizzati di sicurezza sociale non più "gratuiti" (tra virgolette dato che gratis non lo sono in ogni caso neanche oggi pesando in media 8.620 euro annui pro capite come imposte); dall'altro lato per consentire il minimo accesso a beni e servizi esistenti a chi altrimenti non vi avrebbe alcuna possibilità di accesso e quindi di sopravvivenza (gli attuali redditi 0 netti cioè non i disoccupati che vivono in famiglia e quindi ricadono su quel reddito, ma i senzatetto, che in futuro saranno sempre di più se si continua con il sistema attuale). Difatti anche James Meade afferma che il ritorno alla piena occupazione può essere raggiunto solo se, tra le altre cose, i lavoratori offrono i loro servizi a un prezzo abbastanza basso al punto che il salario richiesto per la manodopera non qualificata sarebbe troppo basso per generare una distribuzione socialmente desiderabile di reddito. Egli conclude quindi che un reddito di cittadinanza è necessario per raggiungere la piena occupazione senza soffrire una crescita stagnante o negativa dei salari. “Continuare con le reti assistenziali attuali o scegliere un piano di reddito di base? È tra queste opzioni che si deve scegliere, tra una reliquia della storia e la strada per il futuro”, scrive lo scrittore Scott Santens, su Techcrunch. Santens contesta le critiche alla misura secondo cui può essere svantaggiosa rispetto agli strumenti di welfare attualmente previsti dal sistema occidentale. Secondo questa corrente di pensiero, la sua introduzione ridurrebbe i benefit per i poveri allargando la platea di chi ne avrebbe godimento (anche ricchi e classe media). Si tratta, scrive Santens, di un’argomentazione fittizia perché dà per scontato che l’attuale sistema funzioni perfettamente e che sia l’unica soluzione disponibile. Il problema è che non funziona come si vuole far credere. “La nostra rete di sicurezza si è rotta a un livello così fondamentale che per tappare le tante falle c’è bisogno di un pavimento solido. E questo è il reddito di base”. L’attuale sistema premia solo chi gode di particolari requisiti e penalizza chi, pur essendo al di sopra della soglia di povertà, vi finisce sotto dopo aver pagato le tasse. Stesso discorso vale per l’emergenza abitativa, i buoni pasto e le cure sanitarie. Il reddito di base, invece, non essendo dipendente dal reddito da lavoro, funziona come un pavimento. Darebbe stabilità a tutti e permetterebbe di rendere meno coercitivo il mercato del lavoro, consentendo maggiore potere negoziale. Rappresenterebbe perciò la base fissa che attenui tali differenze, come, appunto, un pavimento (questo è il significato dell'immagine sopra, per chi non l'avesse capita), e con esse le differenze reddituali complessive, in particolare eliminando totalmente i redditi 0. Per comprendere il senso di quel grafico basti pensare alle tipiche diatribe sul riscaldamento centralizzato nei condomini. Nessuno riesce ad arrivare a capire che l’ovvia soluzione consiste nell’adeguarlo alla necessità del condomino che lo richiede al minimo (cioè "reddito di cittadinanza"), e per chi avendone la possibilità ne desideri di più dotarsi di un unità personale che supporti quello centrale ("salario")? L'efficienza è tale in base alle aspettative. Una soluzione ottimale non esiste e per questo la politica dovrebbe fornire il minimo indispensabile e lasciare tutto l'extra alla volontà dei singoli. Se si affidano le scelte ad una votazione per maggioranza saranno comunque tutti scontenti. Ed inoltre il voto su quali scelte possibili dovrebbe basarsi? Le opzioni di scelta dovrebbero comunque essere decise da qualcuno!

"L'esclusione degli schiavi e - questo ancor oggi - delle donne dai diritti politici, non impedisce affatto di considerare un ordinamento statale come democrazia" (Hans Kelsen)

La sopravvivenza di base dovrebbe essere slegata dal concetto di salario inteso come merce di scambio, poiché non sempre tale "merce" esiste, è conveniente, o e richiesta. I salari sono funzione della ricchezza prodotta, e non "variabili indipendenti" come credono quelli dell'"a parità di salario" sul "lavorare meno per lavorare tutti". Meno si lavora e meno c'è lavoro. Il lavoro produce lavoro. Il lavoro non si distribuisce come fosse il pane; tanto meno in parti uguali, visto che è una funzione ricorsiva e auto accrescente.... Una delle panzane più devastanti è "Lavoriamo meno, lavoriamo tutti" se lavoriamo meno si riduce il lavoro e alla fine la spirale si avvita su se stessa ed è la fame. E con sti incompetenti al potere, ci arriveremo presto. Per questo l'orario non può essere ridotto per decreto, ma la riduzione deve essere spontanea (raggiungimento dell'ottimo paretiano) ed è ciò che avverrebbe col reddito di cittadinanza. La riduzione degli orari di lavoro a parità di salario mensile sarebbe possibile solo se aumentasse la produttività di un valore superiore alla riduzione di orario, ed è appunto quello che accade AUTOMATICAMENTE di pari passo all'aumento di produttività, senza che sia qualcuno a stabilirlo arbitrariamente per decreto politico: non deve spettare allo stato porre limiti a quanto uno debba/voglia lavorare, la regolazione avviene già spontaneamente dalla libera contrattazione tra aziende e dipendenti. Poi se uno vuole lavorare 10 ore o 100 ed entrambe le parti sono d'accordo non c'è ragione per intromettersi a meno che non vi si ravvisi un origine psico-patologica. Si ritiene spesso che l'efficacia del reddito di cittadinanza debba basarsi sull'essere sufficiente per vivere, come premessa della sopravvivenza della classe media e la perpetuazione del ciclo economico in presenza di uno scenario tecnologico che non consentirà più al lavoro di costituire la fonte di reddito principale per la classe lavoratrice. Il problema è che a premettere ciò sono regolarmente persone che evidentemente sono abituate a vivere nella bambagia propria della "classe media", dato che sulla base di ciò sostengono stupidaggini surreali del tipo che 320 euro siano insufficienti per sopravvivere, inconsapevoli che già oggi ci sono moltissime persone che vivono decentemente con molto meno; secondo questi, nel loro chiaro egocentrismo, ciò che vale per loro deve valere anche per tutti gli altri; il risultato di così esagerate aspettative è che con così esigenti pretese (redditi di cittadinanza di 7-800 fino ad anche 1.000 euro) viene inficiata l'approvabilità politica del reddito di cittadinanza stesso, senza alcun nocumento per questi pasciuti egocentrici per i quali sarebbe solo superfluo ma con grave nocumento per quelli per i quali anche "solo" 300 euro sarebbero vitali. Ma dopotutto la cognizione che hanno si esplica nella frase battuta e ribattuta "320 euro non ti permettono di andare in vacanza"... in vacanza???? Ma dove cavolo vivono 'sti qua??? Per poco non abbiamo gente che muore di fame sui marciapiedi e questi vengono a pretendere vacanze??? Ma chi si credono di essere per arrogarsi di decidere le esigenze altrui???? Alla faccia di Maria Antonietta e del suo "allora dategli le brioches"!!!! Tra l'altro mica ci arrivano al concetto: intanto pensiamo ad introdurlo a qualunque cifra anche fosse 10 euro, e poi per proporre eventualmente di aumentarlo si vedrà col tempo, allorché si potrà finalmente discutere delle sfumature di colore della cioccolata. Come abbiamo visto, la tipica obiezione dei marxisti è che un reddito di base troppo basso costringerebbe la persona a continuare a sottoporsi al ricatto salariale, negando la facoltà di rifiutare un'offerta lavorativa "indegna" e non permettendo quindi un "rafforzamento del potere di contrattazione". Ora, a fronte dell'obiezione precedente, vien da sé notare quanto incoerentemente strida questa seconda frase: la prima denota chiaramente un impronta che definire "aristocratica" è riduttivo, la seconda invece pare uscita da un residuato di "potere operaio"... farsesco poi l'auspicare un "rafforzamento del potere contrattuale" quando oggi il problema è proprio questo a causare i guasti che vogliamo eliminare. Viene spontaneo chiedersi come in una stessa persona possano conciliarsi due opinioni così stridenti, o meglio, sarebbe spontaneo chiederselo se non si sapesse che deriva dallo spirito del "bastian contrario" (anche se bisogna ammettere che si sarebbero coniugate bene in un altro vecchio gruppuscolo, quello dei comunisti borghesi di "lotta continua"). Niente, qualunque cosa si scriva o il suo esatto opposto "sempre pietre in faccia prenderai". Secondo loro inoltre non porterebbe ad un effetto dissuasivo pernicioso per l'economia un reddito di base di cifre elevate, perché questo importo sarebbe sufficiente solo per le necessità basilari (le loro magari si...) ed ogni consumo extra richiederebbe reddito ulteriore, perché "l'offerta di lavoro oggi supera di gran lunga la domanda", per cui se qualcuno si ritirasse "aiuterebbe solamente altri lavoratori a strappare condizioni migliori e redditi più elevati", ed infine perché "andiamo verso una decisa contrazione della necessità di forza lavoro, il che rende l'ipotesi di un deficit di manodopera decisamente improbabile". Evidentemente non hanno capito che lo scopo del reddito di cittadinanza è proprio eliminare la disoccupazione fornendo una base reddituale che appunto richiede quel reddito ulteriore che chissà perché a loro vedere rappresenta una cosa negativa... come se oggi invece i consumi extra non richiedessero un intero reddito e non solo "ulteriore". Anzi, oltretutto sostengono che sia dannosa l'interpretazione secondo cui il reddito di cittadinanza dovrebbe servire a ridurre il costo del lavoro, perché non risparmiandoti dal ricatto del salario ("devi comunque lavorare per vivere, altrimenti, forse, sopravvivi") "va solo a vantaggio dell'impresa, cioè del capitale, in questo modo aumentando le diseguaglianze sociali". A parte il fatto che comportando la scomparsa della disoccupazione il problema non si porrebbe nemmeno, secondo loro dando 320 euro a tutti compresi chi oggi riceve zero si aumentano le disuguaglianze sociali, ovvio, non fa una piega... a questo punto diventa inutile puntualizzare l'assurdità del definire come un male il calo del costo di un fattore... fino ad addirittura auspicarne l'aumento! Niente, questi continuano con la tiritera che la tecnologia soppianterà il lavoro umano in proporzioni tali da far scomparire il lavoro di massa "mentre le imprese che beneficiano dell'innovazione macinano sempre più profitti". Nemmeno riescono a capacitarsi che per tale motivo non esisterebbe la possibilità che anche quando tutto il lavoro automatizzabile sarà automatizzato il lavoro umano scompaia, ma sarà sostituito da altri servizi che oggi non sono convenienti e lo diverrebbero in seguito all'aumento di potere d'acquisto aggregato a seguito del calo dei prezzi dei prodotti di quelle vituperate imprese capitaliste che loro denigrano. Si pensi al mestiere di badante: secondo loro perché prima non esisteva ed oggi esiste? Certo non è un granché come mestiere, ma sarà meglio di niente o no? L'alternativa qual'è? Comunque quello di badante è un esempio, si pensi piuttosto ai tipici lavori oggi non redditizi, risultato di percorsi di studio scollegati dalla realtà, come ad esempio sviluppatori di software, grafici, musicisti, umanisti vari, ed altri mestieri che non hanno qualcuno disposto a pagare per usufruirne: dato che il problema è questo, aumentando i redditi generali ci sarà sempre più qualcuno disposto a pagarli nella possibilità di farlo! Secondo loro in tali condizioni, il nostro reddito di cittadinanza diventerebbe un reddito di sopravvivenza di massa, per cui al loro non ne metterebbero nemmeno un tetto intendendo fargli raggiungere qualsiasi cifra, "facendolo crescere in maniera graduale fissando degli obiettivi in termini di PIL e di inflazione". Evidentemente loro hanno la pietra filosofale, non c'è altra spiegazione. Ora, dato che la situazione quella è, la pietra filosofale non esiste insomma, il fatto che diventerebbe un reddito di sopravvivenza di massa è alternativo solo al suicidio di massa, per cui cosa è meglio tra le due opzioni? Altro incoerente stridio con la successiva obiezione, cioè che dopo aver in pratica definito il reddito di cittadinanza come una "variabile indipendente", dicono di intendere il reddito di cittadinanza come un dividendo sociale della produttività (e che ad essa dovrebbe essere legato, non al costo del lavoro), da ovunque essa provenga (tecnologia o meno), che è il concetto esattamente opposto al precedente. E secondo loro ciò farebbe in modo da distribuirne equamente i benefici, e non si capisce secondo quale ragionamento questa sarebbe una critica dato che come dividendo lo intendiamo anche noi, certo, tuttavia tale concetto si fonda sulle entrate dello stato e quindi sulle imposte, bisogna tener conto di questo, cosa che loro non fanno. Certo finanziariamente parlando il reddito di base non può essere considerato una mera passività perché non è ricchezza distrutta ma distribuita (una mera partita di giro, come già detto) con lo scopo di rimediare ai guasti artificiali oggi causati dall'inefficienza allocativa, guasti già oggi esistenti, e non come paradossalmente sostengono alcuni, che esso andrebbe a determinare! Però non si può stabilirlo su delle cifre casuali a tavolino pensando che non possa avere alcuna influenza su altri parametri! Ironico poi che tra i 5 stelle ci sia chi paventa che il reddito di cittadinanza venga usato come scusa per diminuire il welfare... ma se è proprio questo uno dei suoi scopi! L'idea del reddito di base oggi poggia sul presupposto di una riorganizzazione complessiva dell'economia basata sul dato di una progressiva marginalità del lavoro umano come strumento di produzione e redistribuzione, puntando ad una tassazione più mirata non ai profitti ma ai consumi. Per questo è esatto dire che "il reddito di cittadinanza si crea da sé". Purtroppo la mancanza di comprensione su tali meccanismi è causata dall'ignoranza generalizzata sulla matematica economica, o meglio, dal fatto che questi sedicenti esperti si improvvisano economisti chiaramente senza essersi neanche mai aperti un testo di economia dato che regolarmente paiono ignorare anche i più elementari concetti economici.

"I filosofi risolvono dieci problemi sulla carta, ma sono però incapaci di risolverne uno solo nella realtà della vita" (Benito Mussolini)

Per comprendere gli scopi e le conseguenze pratiche prevedibili del reddito di cittadinanza bisogna partire da alcuni presupposti cardine della scienza economica (da non confondere con la finanza o con l'econometria che hanno tutt'altro significato). Scienza economica poiché tale è, una scienza matematica. Chi si premurasse di prendersi una banalissimo testo scolastico di economia e lo confrontasse con altri una delle cose che noterebbe è che, così come nei testi di matematica, non esistono "opinioni" diverse ma dicono tutti le stesse cose (certo come nei testi di matematica ognuno in modo diverso, questo è ovvio): così come in un testo di matematica non si trova scritto "1+1=2" e in un altro "1+1=3". Questo perché l'economia E' UNA SCIENZA MATEMATICA fondata sulla logica invariabile matematica. Se la società oggi funziona nel modo che conosciamo con tutti i problemi di cui ci lamentiamo, è perché viene tirata avanti in modo avulso dalla logica matematica. La logica matematica non si oppone a qualcosa, la logica matematica E', e tale resta, indipendentemente dalla volontà e dalle opinioni delle persone, è proprio il fatto che si agisca come nella società odierna, cioè al di fuori della logica, che derivano tutti i guasti di questo mondo. Il “fattore umano” in economia è si un libero arbitrio, ma è inconsapevolmente mosso da ben precise e assodate leggi matematiche. In un algoritmo i numeri sono variabili, ma l’operazione da svolgere non lo è. Il fattore umano (“microeconomia”) può anche far variare i risultati delle leggi, ma non l’operazione, le cui variabili in un sistema efficiente ci ruotano attorno senza riuscire a discostarsene, col risultato di dare, facendo la media globale (“macroeconomia”), il risultato esatto; che su queste basi è stato calcolato da scienziati, non deciso. Quando invece il risultato delle leggi economiche varia globalmente è proprio per un generalizzato “fattore umano” alterato, ovvero per un intervento politico; per un “1+1=3”. Purtroppo in un mondo in cui il buon senso latita, per qualche incomprensibile motivo praticamente tutti sono non solo all'oscuro di ciò, ma perfino rendendoglielo noto regolarmente rispondono che "non è vero". Ora, questo è un comportamento del quale non sono mai riuscito a capacitarmi... io quando qualcuno mi dice una cosa che non sapevo, non vado a rispondergli "non è vero". Il fatto che quando dico a qualcuno, cioè lo informo e non gli sto chiedendo, una cosa che io so mentre lui non sa (ed è proprio la risposta "non è vero" a palesarlo), e questi mi risponde "non è vero", è una cosa che mi ha sempre lasciato basito.

“Gli uomini credono volentieri ciò che desiderano sia vero” (Gaio Giulio Cesare)

Ora avendo ormai capito che equivale a "dare le perle ai porci" mi sono ormai arreso di fronte ad una tale incredibile ed incomprensibile ottusità, ma inizialmente nella mia entusiasta fiducia cercavo di far capire con un semplice esempio: se in una società c'è un pollo e 10 euro, quale sarà il valore del pollo? Nessuno mi ha mai dato una risposta, né quella corretta (non giusta, in economia come in matematica non esistono risposte giuste o sbagliate, esistono risposte logiche o illogiche, corrette o errate) né altri tipi di risposta, regolarmente la domanda viene solo glissata. Tutt'al più questo glissare consiste nel tirar fuori cervelloticamente situazioni sociologiche, ad esempio "e se io volessi sia il pollo che i 10 euro?", e questa è la risposta più sensata che abbia sentito (fate un pò voi...), l'unica alla quale ho potuto rispondere (in tutte le altre l'obiezione non dava possibilità di ulteriore argomentazione): il valore del pollo sempre 10 euro rimane, il valore di 10 euro sempre un pollo rimane, essendoci 10 euro e un pollo, e questo indipendentemente dalla volontà delle persone ovvero a qualunque valore lo scambino, i conti devono tornare (1+1 fa 2 in qualunque caso) quindi dalla logica matematica non si esula. Ovviamente il dibattito qui continua non su basi logiche-matematiche ma andando fuori tema ripiegando sull'ingiustizia, cioè una cosa che esula dall'esempio e dall'economia. Anche in questo caso inizialmente tentavo di fare esempi pratici, in particolare avevo dovuto architettare tutta una storiella su un ipotetica "società del pane" corrispondente alla situazione dell'Egitto dei faraoni, ma vano è stato pretendere che qualcuno la capisse. Mi astengo dal mettere qui anche quella, molto lunga, e mi limito a ragionamenti scientifici puntando a chi può comprendere questi. Non pretendo siano esenti da errori, la tematica è talmente complessa che ho trovato molto difficile tradurre in parole i concetti che ho in testa, ovviamente se qualcuno volesse correggermi io non rispondo "non è vero" quando qualcuno mi rende edotto di qualcosa che prima non sapevo o su cui ho commesso un errore, ma vado a correggere quell'errore.

“Nel nostro tempo la sventura consiste nell’analfabetismo economico, così come l’incapacità di leggere la semplice stampa era la sventura dei secoli precedenti” (Ezra Pound)

Sulla base dell'analisi fatta dall’economista Giuseppe Garofalo, che se la base contabile è comune alle diverse scuole di pensiero economico, differenze si notano riguardo al modo in cui viene identificato tra due o più variabili macroeconomiche, vediamo come in ciò si inserisce il sistema distributista. In particolare gli autori neoclassici pongono il risparmio (offerta di risorse finanziarie) in relazione diretta con il tasso d’interesse, e gli investimenti (domanda di risorse finanziarie) in relazione inversa sempre con il tasso d’interesse, cosicché quest’ultima grandezza risulta determinata dalle condizioni esistenti sul mercato delle risorse finanziarie, a prescindere dalla parte monetaria del modello. Si consideri che per i neoclassici valgono, rispettivamente, la legge di Say e la teoria quantitativa della moneta. Al contrario per gli autori keynesiani il risparmio è in relazione diretta con il reddito, mentre gli investimenti hanno sì un legame inverso con il tasso d’interesse, ma dipendono anche dall’efficienza marginale del capitale. Per gli austriaci la domanda di beni capitali varia in maniera inversa a quella dei beni di consumo, cioè l’investimento ha bisogno di risparmio, come rinuncia al consumo immediato. Per i keynesiani la domanda varia nella stessa direzione: i consumi aumentano insieme agli investimenti. Per gli austriaci i costi di produzione sono soggettivi, non sono dati, rappresentano il costo di ciò a cui si rinuncia, per i keynesiani i costi sono oggettivi, sono dati, sono semplicemente costi storici. Per gli austriaci il tasso di interesse è il prezzo dei beni presenti in rapporto a quelli futuri e si utilizza per scontare il valore attuale dei flussi di reddito futuro. Per i keynesiani il tasso di interesse è dato dalla produttività marginale del capitale, e si crede che nel breve abbia anche una origine strettamente monetaria, sia il risultato cioè della interazione tra domanda e offerta di denaro. Tutto ciò ha importanti implicazioni sul terreno della politica economica: per i neoclassici i poteri pubblici non devono intervenire nel funzionamento del sistema economico perché questo si autoregola; per i keynesiani è ineliminabile il ruolo dello Stato di supporto ai privati nelle fasi congiunturali negative (quando la spesa tende ad essere depressa e il pubblico mostra una preferenza illimitata per la moneta rispetto ad impieghi della ricchezza meno liquidi), ma anche nelle fasi di "surriscaldamento" (termine loro, che non sappiamo nemmeno cosa voglia significare) dell’economia, il che si realizza grazie ad una regolazione attiva della domanda aggregata. Per i neoclassici lo Stato deve mantenere una “condotta neutrale”, mentre per i keynesiani deve mantenere una “condotta attiva”. Il distributismo considera anche il modello di Kalecki che si basa su una teoria “residuale” della distribuzione del reddito (a partire dalla determinazione dei prezzi con la regola del mark up), in contrapposizione all’analisi marginalistica. Tutti i sistemi finanziari odierni sono ormai avulsi dalla funzione originaria dell'economia: sono divenuti costrutti cristallizzati su dogmi considerati divini, con tutte le conseguenze di ciò.

Assodato ciò, e non essendoci modo di rimediare al tempo trascorso vivendo sotto un sistema fallato tornando indietro nel tempo, rimane solo da buttare nell'immondizia il sistema lavorista-keynesiano che finora ha causato l'inefficienza del sistema economico in quest'"era della stupidità"; non sto ora a dilungarmi sulle modalità ovvero sulla logica economico-matematica di ciò (ne potete trovare qui una sintesi: "Aspetti efficientistici del reddito minimo garantito"), che presumo complessa da capire per dei profani, ma cerco di spiegarvi più in dettaglio i risvolti che collateralmente conseguirebbero all'introduzione del reddito di cittadinanza. In economia (che, ribadisco, è una scienza esatta fondata su modelli matematici, sull'alterazione dei quali ad opera dell'azione umana "ad opinione" ne deriva ovviamente una distorsione del sistema economico coi risvolti che conosciamo nella vita di tutti i giorni e dei quali ci si lamenta sempre; il fatto che uno non creda che 1+1 faccia 2 non fa si che 1+1 non faccia 2, che egli lo accetti o no sempre 2 fa, indipendentemente dalla sua volontà) vi è un grafico che descrive come all'aumentare del costo del lavoro diminuisca l'occupazione, e di conseguenza esista un punto di intersezione tra le due curve nel quale si raggiunge la piena occupazione ovvero dove domanda ed offerta si equivalgono e la cui intersezione nel loro punto ideale è chiamata "salario di equilibrio", che quando coincide con il 100% delle unità utilizzate è detto che si trova all'"ottimo paretiano"; quando non si incontrano in quel punto vi è una posizione di squilibrio la cui porzione tra i segmenti equivalente alla quantità di disoccupati o di posti vacanti è chiamata "perdita secca"; la linea della domanda e quindi il punto di intersezione sono oggi distorti dall'alterazione causata dai livelli salariali eccessivamente alti causati dalle leggi politiche-sindacali (in Italia lo statuto dei lavoratori, la vera causa di tutte le disgrazie di questo paese dal 1969 in poi), a loro volta determinati dalla necessità di rimediare all'esternalità rappresentata dalle imposte e contributi assicurativi obbligatori sul lavoro; normalmente disoccupazione ed inflazione sono in equilibrio inverso (“curva di Phillips”), "differenziale del PIL" e disoccupazione vanno sempre di pari passo, ad ogni punto percentuale di PIL nominale in meno rispetto al PIL potenziale corrisponde meno di un punto percentuale di disoccupazione in più. Ciò è acclarato; non perché l’abbia deciso qualcuno, ma perché avviene spontaneamente, come mosso da una mano invisibile. In particolare la legge matematica su esposta non l’ha stabilità Arthur Okun; egli l’ha solo constatata. Si consideri l'"effetto sui salari reali" (o "effetto Ricardo"): se l’espansione è finanziata da denaro artificiale salgono i salari nominali, ma presto cominciano a scendere quelli reali. Se l’espansione è finanziata da risparmio si realizza un effettivo incremento del potere d’acquisto dei salari. Con l’espansione finanziata da credito fiduciario finiscono con il salire sopra i livelli iniziali, nell’altro caso rimangono bassi come effetto naturale di un aumento dei risparmi, ovvero di una riduzione delle preferenze temporali degli individui. Come conferma anche Jesús Huerta De Soto, se i prezzi dei beni di consumo scendono, il potere d’acquisto dei salari aumenta. I tassi di interesse si abbassano a causa di una offerta maggiore di risparmi. I prezzi dei beni di consumo scendono, quindi il potere d’acquisto dei salari aumenta (il citato "effetto Ricardo" sui salari reali). Non solo, al margine si sostituiscono i lavoratori con i beni capitali. I lavoratori in eccesso tendono a confluire nei settori che producono beni durevoli, nella produzione di beni di capitale, nelle fasi di ordine superiore ("teoria dell’equilibrio economico generale"). Il risparmio finanzia un numero maggiore di beni capitali in grado di produrre un maggior numero di beni che saranno venduti a un prezzo inferiore. L’aumento della domanda aggregata aumenta solo il divario inflazionistico (e quindi i prezzi), senza coinvolgere la produzione aggregata. Secondo la "scuola austriaca" di cui De Soto è attualmente il massimo esponente, ciò è talmente banale che non dovrebbe nemmeno sussistere la necessità di puntualizzarlo. Per inciso, l’“ottimo paretiano” si ha quando non si può migliorare la situazione di una persona senza peggiorare quella di un altra, rappresenta quindi il limite massimo dell'efficienza ottenibile dalle risorse esistenti.

La rappresentazione letteraria di John Steinbeck in "Furore" descrive il lavoro nel normale termine domanda / offerta, ed effettivamente in particolari condizioni il mercato del lavoro può presentarsi una situazione così estrema (ma solo per brevi periodi a cui segue il matematico assestamento), ed è proprio in relazione a ciò che noi proponiamo il reddito di cittadinanza a fare da compensazione. Si tratta comunque di una situazione particolare, non a caso descrive un momento particolare della storia nel quale proprio l'intervento umano sotto forma di dazi ha causato la famosa "crisi da sovrapproduzione", anche se definirla così non è del tutto esatto, è la definizione in voga ma sarebbe paradossale credere che "troppa ricchezza" possa causare povertà e quindi che all'origine di quella crisi economica ci sia la "sovraproduzione", a meno che come detto nell'esempio sull'automazione, non si impedisca l'allocazione mediante intervento umano; o forse magari è proprio ciò che è accaduto (è una domanda retorica)? In tal caso, l'esperienza dovrebbe insegnare... Vi è poi un errore da parte di Steinbeck, perché allora non crollava solo il valore del lavoro, ma per stagflazione anche i prezzi (ovviamente dato che l'economia non è un opinione, 1+1 deve dare come risultato 2). Quelli che interpretano le crisi come fattore ciclico inevitabile anziché come causate dall'azione umana sostengono che le crisi devono sempre toccare il loro fondo, "solo allora il mercato potrà ripartire"... E bella forza!!! E' ovvio che quando sei assetato anche un solo sorso d'acqua sembra un lago!!!!! Bisognerebbe far leggere "Furore" a chi dice queste cose. Per capire che cosa avviene agli uomini in carne e ossa mentre "il mercato tocca il suo fondo". In effetti vi è sempre una forzatura che, in chiave marxista tende a vedere un'antitesi, una contraddizione tra i lavoratori e i padroni, mentre invece, spesso questi sono tutti sulla stessa barca (anche se il proprietario della barca è nominalmente il padrone). Spesso tanti piccoli imprenditori è difficile distinguerli sociologicamente dai lavoratori precari che a volte lavorano per loro. L'immagine stereotipata del capitalista è generalmente quella del milionario imprenditore. L'imprenditore invece è generalmente proprio colui che domanda risparmio: i capitalisti sono quelli che ai fallimenti dell'azienda della quale avevano acquistato quote (Parmalat, banca popolare di Vicenza, Monte dei Paschi, ecc) organizzano manifestazioni non si capisce contro chi essendo loro i proprietari di quelle aziende fallite (se la Fiat fallisse, Agnelli contro chi dovrebbe protestare?). Nella realtà, la maggior parte del risparmio viene prodotta dalla classe media, dalle famiglie. Sono questi soggetti economici, quindi, i veri capitalisti del sistema. Oggi una delle peggiori ignominie è essere capitalisti. E' diventato un termine politicamente scorretto. A cosa è dovuto ciò? Al processo di corruzione semantica frutto dell'ideologia di sinistra, nemica della civilizzazione, che generazione dopo generazione si è impegnata a definire capitalista tutto ciò che è malvagio, perverso, corrotto. Tutto il bene invece viene definito socialismo. Questa propaganda ha prodotto enormi danni sulla disposizione mentale del lavoratore, che da sempre è stato indotto a sentimenti controproducenti di risentimento, alienazione, ed esplotazione verso un sistema produttivo che in realtà ha permesso di migliorare considerevolmente lo standard qualitativo delle nostre vite. Nei paesi occidentali il capitalista viene visto come colui che sfrutta i poveri lavoratori, quindi si confisca la "sua ricchezza" in maniera arbitraria, e la si distribuisce per motivi di giustizia sociale; il problema è che la si distribuisce male con insulsi sussidi personalizzati e welfare costosissimo. In aggiunta si penalizza il risparmio, e si stimola costantemente il consumo sovvenzionandolo (si pensi ai controproducenti incentivi per la rottamazione delle auto...)! In questa maniera si condannano i lavoratori alla povertà. Chi fa di tutto per combattere la povertà, sappia che l'unica maniera per ottenere il risultato sperato è fomentare il capitale, l'accumulazione di beni capitali, solo questo aumenta la produttività del lavoratore e rimuove gradualmente le condizioni di indigenza.

"Il capitale, sul quale effettivamente troppo si è discusso e troppo si è parlato, non è che uno strumento a somiglianza di tutti gli altri strumenti per incrementare quella che è la vita produttiva della Nazione e quindi la ricchezza della Nazione stessa. Ma più che capitale vorrei che in generale si parlasse di risparmio. Perché per capitale si deve intendere, secondo la nostra concezione sociale corporativa, l’apporto che ancora le forze del lavoro danno attraverso il risparmio al quale ogni uomo tende spintovi da quel senso di possesso e di proprietà; aspirazione che sono molla e incentivo dell’umana fatica" (Angelo Tarchi, 20 febbraio 1944)

Un paese che condanna i capitalisti è condannato alla povertà. Viviamo senza dubbio in un mondo demagogico, ma non si può pensare di organizzare il processo di cooperazione sociale tramite il soddisfacimento delle richieste demagogiche. Buonismo o volontarismo spesso non portano a nulla. La comprensione della distribuzione della ricchezza è sempre fallata dal pregiudizio che identifica i padroni come soggetti cattivi, ma la ridistribuzione della ricchezza altrettanto spesso genera solo povertà, porta al consumo di capitale. E' necessaria invece una corretta allocazione del risparmio, ovvero investire nei beni di capitale in maniera adeguata e corretta, e questo è possibile ottenerlo solo lasciando fare alla "mano invisibile" (termine coniato da Adam Smith per indicare come l’imprenditoria, mossa da interesse personale, è implicitamente funzionale al benessere comune. E’ una “mano invisibile” a condurre ogni decisione dell’imprenditore). Sono i politici i veri i responsabili della diminuzione del potere d'acquisto, non gli imprenditori o gli attori economici del mercato. Ma non solo loro è la colpa, la colpa maggiore sta a monte: bisognerebbe iniziare ad essere intellettualmente onesti e puntare il dito verso i veri colpevoli... che non sono solo i politici: attribuire le colpe sempre e solo "alla politica" (una entità impalpabile, eterea, senza volto) serve solo per fuggire dalla PROPRIE (a livello di popolo) responsabilità. E' un atteggiamento stupido e infantile. Gli italiani (non tutti, ovviamente) dovrebbero iniziare puntare il dito primariamente verso se stessi, non contro un nemico virtuale che, in quanto tale, non verrà mai sconfitto. I politici chi è che li vota? Il famoso "macabro teatrino parlamentare", come lo descriveva Lotta Comunista. Bene, tuttavia se gli italiani non sanno produrre di meglio, dovrebbero riflettere: il parlamento non lo hanno costruito i pinguini. Nell'Italia patria del lamento schiere sterminate di cittadini maledicono e stramaledicono una intera classe dai cittadini stessi costruita, formando partiti, sostenendoli, votandoli, eleggendoli a dirigere le istituzioni che fanno ed amministrano le leggi. Effettivamente lo aveva già capito Aristotele: ogni popolo ha il governo che si merita, perché dopotutto ne è complessivamente l'autore. Dopo il leviatano a dirigere la cinquantennale dittatura azionista, a salvarci dalla prospettiva di un orripilante governo neo-marxista è giunto il partito azienda, al quale è seguito il partito banca, ed ecco giungere ormai il partito blog dell'ennesimo grande capo padre minuscolo. E in questa epoca il popolo complessivamente sta sviluppando una sempre più intensa passione per l'autoritarismo che regga il branco o gregge che dir si voglia. Il problema, ovviamente, non è l'autoritarismo in sè, ma chi ne sarebbe il dirigente... Se non cambierà la mentalità dell'italiano medio, la "politica" non potrà fare MAI niente, nemmeno fosse idealmente perfetta. E' troppo comodo, continuando così NON CAMBIERA' mai nulla. Bisogna avere il coraggio di affrontare la realtà, e questo lo si fa solo abbassando le spese pubbliche, cosa non facile perché oramai la gente non vuole più rinunciare alle proprie presunte conquiste sociali. Tuttavia ai politici piace la confusione, per cui essi stessi la fomentano, di modo che il popolo diriga le proprie lamentele verso le categorie sbagliate additate come i colpevoli (il commerciante, lo speculatore, il tassista). Per sostenere le loro politiche la soluzione dei keynesiani è iniettare denaro tramite la spesa pubblica, ovvero espropriare il reddito dei lavoratori senza che se ne rendano conto, si cerca cioè di ridurre i salari reali dei lavoratori attraverso l'aumento dei prezzi conseguente. Per questo i politici adorano Keynes! Secondo Keynes se si risparmia troppo c'è scarsità di consumi, e quindi disoccupazione. La soluzione ovviamente è quella di spendere, forzando la spesa privata tramite quella pubblica. Con un'azzeccata definizione di De Soto, in altre parole si cerca di spegnere l'incendio con un lanciafiamme.

L’uomo contemporaneo crede che, in economia, tutto possa andar meglio se guidato dall’alto. Lo Stato a molti appare esente da conflitti d’interesse e, quindi, come il migliore operatore possibile quando si tratta di campi che riguardano tutti e che non si possono affidare ai privati: come l’amministrazione della giustizia, la direzione dell’esercito, la repressione della criminalità, la lotta all’evasione fiscale. Purtroppo, partendo da questi pochi compiti, nel corso del tempo l’intervento pubblico si è dilatato, è divenuto invadente. Non c’è molto che il cittadino possa fare senza sentirsi controllato e guidato dallo Stato. Le leggi si occupano di tutto, persino di come i genitori debbano educare i figli o di come debbano curarsi se hanno problemi di salute. Nessuno mette in dubbio che questa selva di prescrizioni sia a fin di bene. Il risultato è una sorta di devoluzione dall’autonomia individuale al potere dello Stato. La società moderna è organizzata in una struttura statale, fornita di una costituzione (la nostra dicono che sia anche la più bella del mondo, certamente è la più ambigua), di leggi, di una giustizia, di un’onnipotente amministrazione, di ministeri, di una polizia, ecc. Tale società impone i suoi principi morali all’individuo, il cui comportamento è determinato più da anonime volontà esterne che dalla sua stessa personalità. Dalla Repubblica di Platone in poi, per secoli si è sperato potesse esistere un potere statale che ottenesse risultati migliori di quelli dell’iniziativa individuale. Tuttavia, solo dalla rivoluzione bolscevica, per circa settant’anni, si sono visti i risultati che si ottengono quando lo Stato ha tutti i poteri. La reazione in Russia fu del tutto negativa, ma il governo – sempre per il bene del popolo, ovviamente - si mantenne al potere con la dittatura, col regime poliziesco e con i campi di concentramento per i dissenzienti. Quando finalmente l’incubo finì, l’esito finale fu che tutti i Paesi che avevano assaggiato il “socialismo reale” si sono giurati di tenersene accuratamente lontani. A questo punto, si sarebbe potuto pensare che il collettivismo fosse oramai morto. Era quello che pensavo io, da illuso dodicenne nel 1989. Non è andata così... a quell'età non avevo ancora completamente fatto i conti con la stupidità umana. In effetti, i popoli dei Paesi più sviluppati non avevano provato sulla propria pelle i guasti di quel mondo, per cui hanno conservato molte delle vecchie illusioni. E così, ciò che si è rifiutato in teoria, soprattutto perché collegato alla dittatura, in grande misura si è accettato in pratica. Pensiamo, ora, a quanto è successo con la religione. L’Illuminismo era appassionato di scienza e credeva, con le sue dimostrazioni razionali, di aver distrutto la religione. S’illudeva. Per molto tempo la religione è sembrata invincibile. Il cambiamento, però, si ebbe quando la scienza, sposandosi con la tecnologia, cominciò a trionfare in ogni aspetto della vita e indusse a poco a poco una miscredenza diffusa. Dove non la spuntò Voltaire, sono riusciti il frigorifero, la lavatrice e il televisore. Anche il collettivismo ha seguito vie diverse da quelle prevedibili. Se ne rifiuta la teoria, perché si è visto associato con la dittatura e la miseria, ma si accetta che lo Stato intervenga in ogni aspetto della vita. E’ inutile battersi contro la proprietà privata e in favore della collettivizzazione dei mezzi di produzione, basta requisire ciò che si produce da ridistribuire in favore degli altri. E così si è avuto uno Stato “totalitario per consenso”. Il consenso si ottiene ridistribuendo. Un partito è progressista e di sinistra solo se ridistribuisce. Il problema è che questi lo fanno in modo iniquo e con metodi sbagliati, con sussidi e il welfare. Ovviamente, ognuno si lamenta dei vincoli che gli sono imposti (e se può, li schiva), ma in generale, li reputa giustificati quando riguardano gli altri. L’impressione che se ricava è che i cittadini siano una massa di frugoletti irresponsabili, che lo Stato deve accudire e guidare, in modo che non si facciano male e non cagionino male agli altri. E la gente non si accorge che, dopo avere rinunziato alla propria responsabilità, ha anche svenduto la propria libertà. I nodi verranno al pettine quando chi produce, si scoccia di essere tartassato e, quindi, o smette di produrre o scappa altrove. E dove va? In cerca della libertà perduta, ovviamente, sottolinea sempre l'ottimo analista Luciano Miraglia.
Luigi Fressoia invece ci racconta come l'esperienza della realtà vissuta dalle nostre famiglie, dalle nostre comunità, smentisce radicalmente l'assunto circa i ricchi causa dei poveri, bensì ci ripete l’eterna lezione della storia: la povertà genera povertà mentre la ricchezza reale (produzione e scambio di merci, beni e servizi) genera altra ricchezza che non può che ricadere beneficamente sull’intera società per indotto, sull’intera popolazione qualunque sia la sua ripartizione. Molto migliore è invece la frase: “La ricchezza è un bene, ma il suo accumulo nelle mani di pochi a discapito di altri, dell’intera comunità umana, è un male”, ove il nodo cruciale è in quel “a discapito di altri”. Effettivamente è a discapito di altri la ricchezza parassitaria degli agrari assenteisti, dei parassiti che oggi infestano la nostra società moderna nelle gerarchie burocratiche dell’Onu, della Comunità europea, dei parlamenti e ministeri, delle regioni, degli enti locali, enti pubblici vari e diversi, della aziende pubbliche finto-privatizzate dove onorevoli, direttori e presidenti paramafiosi collocati dalla politica cuccano e ciucciano centinaia di migliaia se non milioni di euro/anno di stipendio, di emolumento, di gratifica, di prebenda, di vitalizio, di rendita. Insomma la ricchezza, qualunque ne sia l’entità, non è a discapito di altri bensì è a beneficio di tutti gli altri. Si può dire di più: qualsiasi accumulo di tale ricchezza reale è comunque benèfico, sia che lo spendi per cose voluttuarie (remunerandone le relative filiere produttive, dai progettisti agli operai) sia che lo tieni in banca (creando possibilità di accedere al credito per altri sviluppi d’impresa). Come si vede nulla è più sociale di una impresa privata e capitalistica che sa vivere non di Stato bensì nel mercato (ora globale) creando ricchezza capace di pagare stipendi, fornitori, investimenti e tasse. Mi permetto pertanto di chiarire che di ricchezze ve n’è due, quella parassitaria dell’Ancient Règime e quella produttiva della modernità industriale e post. Una nobiliare e una borghese, ove la borghesia è avanguardia del popolo non certo suo nemico. Ove, soprattutto, il moderno parassitismo di Stato rientra perfettamente tra la nobiltà parassitaria che sempre nella storia ha pesato sulla vita dei popoli. E devesi comunque precisare che causa della povertà degli anni ’20 non erano certo i tre agrari spelacchiati del tempo, bensì semplicemente il non-sviluppo, l’arretratezza millenaria dei mezzi di lavoro: se i tre agrari fossero stati decapitati ma fosse continuata la mancanza d’un popolo fattosi borghesia imprenditrice, può stare ben sicuro che la povertà generale non sarebbe scemata d’un grammo. Ad inizio '900 ogni addetto nell'agricoltura produceva alimenti per 3 persone, oggi per 120 persone. Devo concludere che sorprende molto la solita affermazione per l’evidente falsità storica che sinistramente pare derivare da ingiustificabile superficialità di approccio, appena un sillogismo improbabile -i poveri causati dai ricchi- che suona uguale a chi dicesse che il sole sorge perché il gallo canta. Piuttosto sgorga la domanda: perché tanta parte della chiesa su questi temi è diventata così superficiale quasi avesse delegato ad altri, o preso da mondi totalmente altri la sua nuova “dottrina”, quando nei millenni gloria e forza della chiesa è stata esattamente la sua autonomia? Come può dare ad intendere con le sue parole che l’uomo -nato ricco per natura- impoverisce a causa del capitalismo, quando è vero il contrario, che l’umanità nasce povera e diventa ricca proprio grazie allo sviluppo d’impresa? Questa infondata guerra al lavoro, all’impresa, alla ricchezza privata e sociale ad un tempo, che deriva dall'ignoranza economica, è fonte terribile di disorientamento per molta gente, che viene indotta a credere che ci sia qualcuno di specifico (il "padrone") che gli sta rubando qualcosa, quando invece è proprio lo stato a farlo, quello stato che loro vorrebbero sostituire al padrone! Dalla padella alla brace! No, nessuno in particolare vi sta sottraendo qualcosa di vostro; è la società nel suo complesso a farlo, e quello che noi vogliamo è proprio farvi restituire la vostra parte precisa, come reddito di cittadinanza. Il distributismo non pretende di annullare le differenze reddituali per redistribuire i beni ed i patrimoni, non è questo il suo proposito. Tuttavia risulta chiaro, analizzandolo in tutti i suoi aspetti, che ne porterebbe inevitabilmente una razionalizzazione più o meno grande, soprattutto grazie alla diversa concezione del rapporto redditi/PIL (non più “ostaggio” del mercato del lavoro), che modificherebbe il “consumo indotto” con risvolti sull’“effetto reddito” e sui “costi marginali di produzione”, confermando l’“effetto Pigoù” (detto anche “effetto ricchezza reale”: data una determinata quantità statica di un bene, moneta compresa, il rispettivo valore quantitativo di tutti gli altri beni ci si adeguerà di conseguenza; quindi dalle variazioni della ricchezza aggregata si avrà una pari variazione della spesa aggregata). Questo non porterebbe ad una distorsione dello schema capitalistico dei prezzi in senso dirigista, ma ad una diversificazione della possibilità di acquisto ovverosia alla diffusione della possibilità di acquisti indotti, a seconda dei gusti e delle necessità delle persone, evitando che solo una piccolissima parte di persone possa accedere a tutti i beni per loro stessi superflui; ma rendendola accessibile ad una maggior numero di persone che ne abbiano un reale interesse all’uso, ovvero in termini economici: una variazione autonoma della spesa aggregata risultante nel perfetto equilibrio reddito/spesa. Semplificando: le proporzioni della “piramide” rimarrebbero immutate, ma a partire dal vertice in giù i poteri d’acquisto reali si ridurrebbero, mentre a partire dalla base in su aumenterebbero, incontrandosi alla metà (ove sarebbero immutati) con conseguente riflessione sui prezzi tramite “effetto reddito” e quindi sulla propensione marginale al consumo e sulla valutazione dei costi di opportunità. Questo porterebbe ad una razionalizzazione delle produzioni verso la reale necessità delle persone, massimizzando la “funzione di utilità” del sistema economico con un autocompensazione di tutti i fattori. Ma sia chiaro, questo è ciò che si può dedurre come risultato del reddito di cittadinanza, analizzandola consequenzialmente. Risultato indiretto e secondario, non appositamente ricercato. Non è questo il suo scopo, quindi anche se la realtà smentisse questo dettaglio (ovvero si mantenesse tutto come oggi), non verrebbe meno lo scopo primario che è la razionalizzazione del sistema.

Come conseguenza alla critica del plusvalore i marxisti si impuntano sulle differenze patrimoniali tra persone, che essi vorrebbero appianare. Ma non si rendono conto che la definizione dei prezzi di un bene è determinata su una concorrenza tra le persone aventi lo stesso livello di potere d’acquisto, e non tra persone con redditi diversi. La disuguaglianza non esiste, quello che conta sono i redditi minimi per la sopravvivenza, chi ha di più non è perché lo ha tolto ad essi, egli non toglie niente ad essi, se ha di più è perché quel più esiste, non perché lo ha tolto a qualcun'altro. Come si suddivide una Ferrari tra 58 milioni di persone? Non potendone produrre una per ciascuno, si dovrebbe rinunciare a produrne anche una sola? Si pensi all’andamento di un prezzo in regime di oligopolio di un bene dal momento in cui viene prodotto per la prima volta, al momento in cui tutti hanno la possibilità potenziale di averne accesso (ovvero ci sia la possibilità di produrne uno pro capite). Le prime automobili messe in vendita risalgono a fine '800, e da quel momento il prezzo si è progressivamente ridotto fino al 1970, a partire dal quale il prezzo dell'automobile diventa stabile, seguendo da allora solamente l’andamento dell’inflazione o l’innovazione. Questo ci porta anche a fare una riflessione sui beni complementari: fino ad allora il prezzo della benzina era rimasto relativamente basso, ed invogliava ad acquistare automobili; a partire dalla saturazione del mercato dell’auto non si è più avuta questa necessità, e quindi si è potuto lasciar schizzare il prezzo della benzina. Che è quello che è effettivamente successo con la crisi petrolifera nel 1973. I paesi nei quali il reddito minimo di sopravvivenza è più alto sono pure quelli dove la disuguaglianza è più marcata. Forse preferireste vivere in un paese senza possessori di Ferrari ma avendo un reddito di 30 euro al mese, o preferite vivere coi vostri 1.000 euro al mese in un paese assieme a quelli che possiedono una Ferrari? Sapete quale sarebbe il risultato se non ci fossero le Ferrari? Che le panda costerebbero il doppio! L'esistenza della I° classe consente di abbassare i prezzi della II° classe. Ma non si fraintenda: non è la disuguaglianza a FARE la ricchezza, ma la disuguaglianza è indicativa conseguenza della ricchezza, la disuguaglianza rappresenta quindi un valido INDICE della ricchezza di un paese, non una conseguenza. Va detto che se guardassimo alla disuguaglianza dei patrimoni invece che dei redditi il nostro paese sarebbe ancora posizionato tra i più egualitari, nonostante un aumento di disuguaglianza tra i dati del 2010 e del 2016. Il 10% più ricco infatti in questi anni è passato dal detenere il 45% della ricchezza al 54,7% secondo Credit Suisse, ma l’anno scorso in Svezia questa percentuale era del 72,4%, in Germania del 64,9%, in Francia del 56,4%, all’incirca come nei Paesi Bassi. È chiaro tuttavia che non possiamo consolarci di una maggior redistribuzione della casa – perché di questo si tratta quando parliamo di patrimonio in Italia. Se non vogliamo apparire come dei nobili decaduti è al reddito che dobbiamo guardare ovvero ai beni di consumo prodotti. La vulgata vuole che tra le cause di una maggiore disuguaglianza vi sia la pressione sui salari operata sia dalla globalizzazione sia dalla crisi economica che ha portato a un’austerità pagata soprattutto dai lavoratori meno specializzati. Pressione che si sarebbe espressa non solo con stipendi reali più bassi, ma anche con contratti più precari e di breve termine. Il punto è che a guardare i dati in modo più approfondito qualche dubbio viene: tra i paesi in cui la disuguaglianza è maggiormente aumentata vi sono Spagna, Grecia, Portogallo, paesi in cui ancora più che una perdita di salari vi è stata una emorragia di posti di lavoro con il decollo della disoccupazione. E allora forse a creare disuguaglianza non sono i salari bassi, visto che per esempio in Germania questa si è mantenuta ridotta anche durante i lunghi anni in cui gli stipendi non aumentavano, ma guarda caso crescevano i lavoratori impiegati. Non sono neanche i contratti precari, poiché per quanto precari siano un reddito lo apportano al "precario". Da ciò se ne ricava che è la mancanza di lavoro, non la sua qualità, a esasperare i divari, ad aumentare non il numero di "precari" in proporzione a quello dei ricchi, ma di quello dei redditi 0 in proporzione a quello di chi un reddito per quanto minimo ce l'ha. Tutti i posti di lavoro non necessari, come li chiamate? Non sono già di per sé redditi di cittadinanza? Con la differenza che essendo iniqui e fuori misura (e quindi sono sussidi) comportano sprechi ed altri effetti negativi, che un reddito di cittadinanza effettivo non comporterebbe. Come già detto chi fa un lavoro inutile è mille volte più parassita di chi non fa nulla. La disuguaglianza in senso negativo non è la differenza tra redditi alti e bassi (che come abbiamo visto è positivo indice di ricchezza generalizzata tanto più è ampia), ma tra chi un reddito ce l'ha e chi no! Questa è la sola disuguaglianza deleteria! Ed abbiamo già assodato oltre ogni ombra di dubbio chi ne è il responsabile, non serve ripeterlo ulteriormente. Essa è più marcata in quei paesi dove piuttosto di dare un salario equo a più persone possibile creando posti di lavoro dove effettivamente servono, si dà a pochi un salario garantito superiore a quanto le possibilità permetterebbero in cambio di un finto lavoro (di cui i famosi "forestali calabresi" sono solo la punta dell'iceberg), con l'ulteriore effetto collaterale di rendere la pubblica amministrazione inefficiente così che poi gli evasori fiscali avranno la scusa nel dire che lo Stato fa schifo e che loro, da veri "liberisti", non hanno bisogno dello Stato... gli "evasori del canone rai" così se ne escono sempre, a modo loro, con la ragione!

"Non serve a niente che il superbo e insensibile proprietario terriero ispezioni i suoi vasti campi, e che, senza pensare ai bisogni dei suoi fratelli, nell’immaginazione consumi da solo tutto il grano che vi cresce. Il familiare e comune proverbio, che dice che l’occhio è più grande della pancia, non è mai stato così vero come nel suo caso. La capacità del suo stomaco non regge il paragone con l’immensità dei suoi desideri, e non è maggiore di quella del più umile contadino. [...] La produzione del terreno mantiene in ogni momento quasi lo stesso numero di persone che è in grado di mantenere. I ricchi non fanno altro che scegliere nella grande quantità quel che è più prezioso e gradevole. Consumano poco più dei poveri, e, a dispetto del loro naturale egoismo e della loro naturale rapacità, nonostante non pensino ad altro che alla propria convenienza, nonostante l’unico fine che si propongono dando lavoro a migliaia di persone sia la soddisfazione dei loro vani e insaziabili desideri, essi condividono con i poveri il prodotto di tutte le loro migliorie. Sono condotti da una mano invisibile a fare quasi la stessa distribuzione delle cose necessarie alla vita che sarebbe stata fatta se la terra fosse stata divisa in parti uguali tra tutti i suoi abitanti, e così, senza volerlo, senza saperlo, fanno progredire l’interesse della società, e offrono mezzi alla moltiplicazione della specie. Quando la Provvidenza divise la terra tra pochi proprietari, non dimenticò né abbandonò quelli che sembravano essere stati lasciati fuori dalla spartizione" (Adam Smith, “Teoria dei sentimenti morali”)

Il prezzo del pane non è aumentato da un acquisto spropositato da parte di persone con redditi superiori, in quanto ciascuno necessita di una determinata quantità massima di pane quotidiano (“consumo autonomo”). Ripetiamo che la concorrenza per l’accesso ai beni è interna a ciascuna “classe”, quindi nessun “ricco” toglie il necessario al “povero”. Gli “toglie” il superfluo, gli toglie quello che in ogni caso il povero non avrebbe: ponendo che in un anno vengano estratti 100 diamanti (ovvero il “superfluo”) come si potrebbe suddividerli tra un milione di persone ipoteticamente esistenti? I 100 diamanti dovranno per forza andare solo alle 100 persone che in concorrenza potranno offrire le condizioni migliori al venditore. Oppure i 100 diamanti potrebbero essere distrutti o non estratti… in tutti i casi ci sarebbero almeno 999.900 persone prive di diamanti. Probabilmente chiunque sopravvivrebbe senza problemi anche senza il possesso di un diamante. Se non ci fossero i più ricchi nessuno potrebbe comprare i beni la cui produzione è più costosa, che non verrebbero più prodotti (“costo di opportunità”) e non potrebbero di conseguenza essere progressivamente resi disponibili ad un numero crescente di persone fino a raggiungere tutti con lo spostamento della curva di offerta. Ciò può essere ininfluente per prodotti superflui (come i diamanti), ma diventerebbe rilevante nel caso ad esempio delle automobili o dell’acquedotto. Se i ricchi esistono è unicamente perché esistono merci i cui costi di produzione sono talmente alti rispetto tutto il resto da poter essere prodotti solo in pochi esemplari per volta; e non il contrario. Se il Faraone non avesse avuto i pani come avrebbe potuto pagare la pepita e quindi incentivarne la ricerca di altre? Tutto questo è facilmente esplicabile con un esempio pratico, il costo dei biglietti (del treno ad esempio) di prima classe e seconda classe: se quello di prima classe costa 40 euro, e quello di seconda 20 euro, è logico che abolendo la divisione in classi il biglietto unico costerebbe teoricamente 30 euro, con sommo svantaggio per gli utenti più poveri, che dovrebbero rinunciare al viaggiare in treno. Proprio per questo nella pratica (legge domanda/offerta) il gestore dovrebbe mantenere al minimo cioè a 20 euro il prezzo per tutti del biglietto, con la sola conseguenza della scomparsa della prima classe ed il peggioramento della qualità della seconda in assenza di fondi per gli investimenti che derivavano dai redditi da prima classe. Come già spiegato, ogni pianificazione per redistribuire i redditi porta solo perdite per tutti. La perfetta distribuzione dei beni è quella determinata automaticamente dalla “mano invisibile”. I redditi superiori a quelli di sussistenza permettono l’acquisto di beni il cui consumo è per antonomasia definito “indotto”; la cui disponibilità è in ogni dato tempo limitata, generalmente superflui, spesso innovativi, dei quali le fasce inferiori non possono certo sentire la mancanza. La regolazione è data dalla suddivisione verticale (piramidale) del cosiddetto "plusvalore" (è un termine abusato ed improprio ma lo uso poiché comprensibile a tutti; intendiamo il "plusvalore" neoclassico, chiamato comunemente profitto; il plusvalore marxiano è un'altra cosa) che crea la curva di domanda tramite la funzione di consumo aggregato. La curva dell'offerta, simmetrica a quella della domanda, è basata sulla legge dei rendimenti decrescenti (primo tratto) e sulla legge dei rendimenti crescenti (secondo tratto). La curva del costo marginale ha una forma a "U": prima decresce, poi cresce fino a incontrare prima la curva del costo medio, poi la retta del prezzo (che è dato, in condizioni di concorrenza); i diversi punti di intersezione tra il tratto crescente della curva del costo marginale (oltre l'intersezione con la curva del costo medio) e diverse possibili rette dei prezzi costituiscono la curva dell'offerta per la singola impresa. Il sistema odierno si fonda sulla visione di tipo marxista, sulla quale per quanto riguarda i rendimenti decrescenti, secondo Sraffa (economista marxista, per quanto possa sembrare un ossimoro) vi sono due casi: il primo, se un bene viene prodotto utilizzando una quota considerevole di un fattore scarso, un piccolo aumento della produzione comporta un significativo aumento del costo sia di quel bene, sia di altri beni nella cui produzione venga impiegato; ne seguono una minore domanda di quel bene e di quel fattore scarso, quindi il contenimento del loro costo; il secondo, se un bene viene prodotto utilizzando una piccola quota di un fattore scarso, un piccolo aumento della sua produzione si traduce più in una riduzione delle quantità del fattore scarso utilizzate da altre imprese che in un suo generale maggiore utilizzo; l'incremento del costo del fattore è quindi identificato come trascurabile. In sostanza, Sraffa sostiene che non è possibile individuare una legge che determini simultaneamente il salario ed il saggio del profitto (come remunerazioni, rispettivamente, del lavoro e del capitale), in quanto il saggio del profitto può essere determinato solo fissando il salario (o viceversa), e non è possibile misurare il capitale senza determinare anche i prezzi (compreso il profitto), quindi non è possibile calcolare il profitto sulla base del valore del capitale (come sua remunerazione); inoltre ne ricava anche che non si può assumere che, all'aumentare del salario, il lavoro venga sostituito dal capitale, in quanto il valore del capitale dipende dalla durata dell'investimento iniziale; considerando capitali di diversa durata, sostiene che possa ben succedere che si preferisca sostituire capitale con lavoro anche se i salari aumentano (cosiddetto "ritorno delle tecniche"); Sraffa da ciò ne ricava che non è possibile attribuire la disoccupazione all'aumento dei salari, come se si trattasse di minore domanda di un fattore di produzione il cui prezzo è aumentato. Questa analisi sraffiana non può altro che apparire come un puerile tentativo di giustificare le politiche di sinistra. Come potete capire anche voi, questa sua convinzione non ha basi logico-matematiche, ma è un arzigogolo derivato unicamente da una sua marxista speranza che sia così, ma sperare che 1+1 faccia 3 non comporta che sia così. Nella logica realtà gli aumenti salariali riducono i margini di resa, conseguendone il calo delle capacità di autofinanziamento delle imprese, trovando oggi come unica soluzione un crescente indebitamento presso le banche, mettendo di fatto la sorte delle imprese nelle mani della politica bancaria con tutte le conseguenze che conosciamo dai risvolti della crisi del '29 (ma non è questo il punto ora, ci torneremo più in là nel testo).

Secondo Gesell, quando Marx parla di plusvalore lo fa superficialmente sottovalutando i risvolti effettivi. Guardandolo sotto un diverso punto di vista lo si può vedere così: il plusvalore accumulato dal capitalista è intrinsecamente finalizzato al caso di necessità, ovvero al caso di investimenti da fare o di danni da riparare. Solo quando ciò non si verifichi (e quindi il capitalista in questione si dimostri un buon amministratore) allora potrà permettersi di attingere al capitale immagazzinato. Dopotutto non potrebbe obiettivamente cedere il plusvalore ai dipendenti confidando in una improbabile restituzione in caso di necessità aziendale. È quindi un fattore irrinunciabile. Esso stima un prezzo di mercato che emergerà dalle valorizzazioni del futuro, e in funzione di esso gli imprenditori sostengono dei costi per acquisire i fattori produttivi necessari. Si consideri il valore a prezzi di mercato di ciò che produce il bene di capitale. Un tassista incassa tot euro al mese, tuttavia nello stesso periodo di tempo il suo taxi si usura, si deprezza. Se il tassista spende tutta la sua rendita lorda diciamo che si sta mangiando il capitale. Con cosa pagherà un nuovo veicolo quando l'attuale sarà inutilizzabile? La rendita netta è invece la quantità che può essere consumata dall'imprenditore senza arrivare a consumare il proprio capitale. Rendita netta è pertanto la rendita lorda meno l'ammortamento in cui si plasma contabilmente il deprezzamento del bene capitale. Quando si consuma più della rendita netta il capitale viene eroso, mangiato. Quando invece si consuma meno, si sta risparmiando. Il risparmio permette di incrementare il capitale e quindi il benessere futuro. I beni di capitale si consumano con l'uso, oppure sono vittime dell'obsolescenza tecnologica. In entrambi i casi subiscono un deprezzamento. Per mantenere costante il proprio standard di vita bisogna sempre risparmiare quanto basta per poter pagare la quota dell'ammortamento. Invece per riuscire a migliorare ulteriormente il livello di vita, bisogna risparmiare qualcosa oltre la quota che copre l'ammortamento. Il tassista dovrebbe risparmiare quanto basta almeno per rimpiazzare il taxi alla fine della sua vita economica. L'idea dell'imprenditore che ha convenienza a distruggere capitale umano è semplicemente bislacca. A un qualsiasi imprenditore conviene massimizzare la resa dei propri cespiti, quello umano compreso. Questo ovviamente è un ragionamento semplicistico fatto per far capire la necessità del plusvalore, ma non significa che il tassista possa calibrare il suo bilancio sulla base di necessità arbitrarie, deve comunque adeguarsi alle leggi del mercato, il resto è la "mano invisibile" a farlo. In virtù di questa necessità il salario dei dipendenti è mantenuto il più basso possibile dal capitalista (voi quando andate in un negozio preferite spendere meno o di più?), ma l'interpretazione marxista è fuorviante. Marx dà un valore al tempo ("teoria del valore-lavoro", che sostiene che il valore di un oggetto è determinato dal tempo di lavoro necessario alla sua produzione), cosa che non corrisponde alla realtà. Nel mondo reale si viene a formare un generico mercato del tempo, nel quale prende forma il tasso di interesse, ovvero quel prezzo di mercato che mette in rapporto i beni presenti con i beni futuri. Per tradizione esso viene rappresentato in termini percentuali. Oggi cedo 100 per riavere 109 tra un anno, ovvero chiedo un tasso di interesse del 9%. I contratti dei lavoratori dipendenti, benché non sembrino tali, sono alla stessa maniera dei contratti di prestito, con un ruolo altrettanto importante. Esistono diverse transazioni giuridiche che permettono lo scambio di beni futuri con beni presenti. Il prestito è solo un esempio, ma non certamente l'unico. Anche l'imprenditore che paga il salario ai lavoratori sta anticipando un bene presente contro un bene futuro. Il salario infatti è un bene presente anticipato dal datore di lavoro in cambio dei beni futuri prodotti dall'azienda (il clamoroso errore di Marx sta proprio nel non aver capito questo importante concetto economico!). La cooperativa è ancora un altro contratto giuridico nel quale si scambiano beni futuri con beni presenti: i cooperativisti apportano tutti insieme il lavoro nell'impresa e hanno diritto all'interezza dei beni futuri prodotti dalla cooperativa. La maggior parte di noi ha bisogno di beni presenti, non può aspettare qualche mese o qualche anno fino al termine del processo produttivo. Il lavoratore dipendente quindi esprime una domanda di beni presenti in cambio di beni futuri. Ciò che fa il lavoratore con il proprio salario a sua volta esprime ulteriori preferenze temporali. Ad esempio, egli può utilizzare i beni presenti ottenuti sotto forma di salario per consumarli interamente o per risparmiare a sua volta, allocando il risparmio in strumenti differenti, l'acquisto di una casa, piuttosto che l'investimento in aziende diverse da quella in cui lavora, come quelle quotate in borsa, ecc. E' da dare per scontato che una persona possa lavorare un certo tempo massimo al giorno. Un dipendente non accetterebbe di prestare opera sotto una certa retribuzione giornaliera, corrispondente perlomeno alla cifra minima per sopravvivere, che quindi esigerà a prescindere dal compito da svolgere; a parità di salario minimo giornaliero il padrone cercherà ovviamente di mantenere al lavoro il dipendente il più possibile per usufruire dell’opera prestata per più tempo possibile. Ma il dipendente, potendo, opterà per il padrone che tra tutti offra la retribuzione maggiore; il padrone opterà invece per il lavoratore meno esigente: ecco stabilita un'equivalenza. Si prendano un lavoratore disoccupato, e un capitalista che ha bisogno di forza lavoro. Per il primo ogni sua ora marginale di tempo libero ha pochissimo valore. Ha invece bisogno di denaro per pagare le sue necessità di base. Per il capitalista un'ora di tempo ha un valore molto alto, mentre il denaro un valore più basso. Decidono di scambiarsi una ora lavoro contro un quantità di denaro. Quindi partendo da valorizzazioni soggettive che non si potevano misurare siamo arrivati alla determinazione di un prezzo: tot euro l'ora per compiere un determinato lavoro. La cifra viene utilizzata per i computi o calcoli economici, per individuare cioè le alternative migliori che si possono perseguire di modo da raggiungere e realizzare i propri fini. Quindi il rapporto salario / tempo è scollegato e fittizio, è stabilito solo per convenzione bilaterale in considerazione dei rispettivi “costi di opportunità”. L'unico collegamento tra valore e lavoro è la prospettiva dell'ottenimento dal processo di produzione di una contropartita (quello che Marx chiama plusvalore) perlomeno superiore non astrattamente al mero valore di partenza come dice Marx, ma al costo di produzione equivalente al costo di opportunità coincidente al tasso di interesse, che nel caso del dipendente o dell'artigiano si riferisce perlomeno al valore che dà al suo tempo. Solo come conseguenza di ciò, e non come causa, si formano i rispettivi prezzi. Che poi vengano grossomodo ad equivalersi è conseguenza delle varie leggi economiche, non di un unico assioma invariabile. Nel caso del rapporto di produzione, per il capitalista nei confronti della forza-lavoro la contropartita è sempre il costo di opportunità sul tasso di interesse del capitale investito, ciò che Marx chiama plusvalore. Ciò che per il capitalista è il capitale, per il dipendente e l'artigiano è il tempo. Quindi il capitalista non sottrae nulla al dipendente, i loro plusvalori sono ben distinti nel bilancio reciproco. Il “modello di Walras” sostiene che l’imprenditore è un mero coordinatore, acquisisce risorse e vende beni. Dato che il prezzo di vendita dei beni è fissato dal mercato, ne consegue che il guadagno dell’imprenditore sarà dovuto unicamente alla differenza tra “input” ed “output”, ovvero su quanto riuscirà a risparmiare sul costo nell’acquisto delle risorse (manodopera compresa); tutto quello che non spende per sopravvivere diventa il plusvalore da accantonamento per reinvestimenti (“accumulazione estensiva del capitale”). Assodato ciò, secondo Gesell anche le teorie di Marx sul paragone salari / prezzi risultano sbagliate. Il plusvalore sarebbe il profitto depurato dal salario e l'interesse. E' la molla che spinge l'imprenditore a fare quel mestiere poiché il salario poteva prenderlo facendo il lavoratore e l'interesse poteva averlo se avrebbe prestato il capitale. La teoria di Marx implicherebbe anche che il prezzo sia oggettivo, ovvero ancorato al prodotto, e non che potrebbe essere riflesso dal valore dato dal mercato all’oggetto in questione (in quanto il prezzo è determinato dal rapporto domanda/offerta, e non è collegato direttamente ai costi di produzione tra i quali la quantità di lavoro che deve essere impiegata per produrre l’oggetto); Marx cercò in seguito di rivedere questa sua teoria con il “problema della trasformazione”, ma senza riuscire a venirne a capo definitivamente, e non c’è da stupirsene con queste premesse... Come detto, il plusvalore altro non è se non la differenza tra input ed output, la quale non segue regole quantificabili a tavolino. Nell’economia liberista i salari seguono le leggi di mercato e come una qualunque merce sono sottoposti alle stesse leggi della domanda/offerta e della libera concorrenza, sia tra i proprietari che tra la forza-lavoro, quindi i salari saranno sempre superiori alla soglia di sopravvivenza, non per elargizione filantropica del padrone, ma per le leggi domanda/offerta che spontaneamente regolano il mercato, della “merce” lavoro in questo caso. A parità di condizioni di produttività del lavoro, la cifra totale disponibile per i salari è quella teoricamente perfetta quando il quoziente di rendimento del capitale uguaglia il tasso di interesse generale; a ciò si adatterà il rispettivo “costo di opportunità”; la sua suddivisione in generale è determinata solo dalla considerazione della legge dei rendimenti decrescenti del capitale umano, mentre solo quella in particolare lo è da decisioni unilaterali dei proprietari (“teoria dei salari di efficienza” basata sul rispettivo “costo di opportunità”). Generalmente si può semplificare così: la cifra esistente per i salari totali di tutti i lavoratori (“reddito personale aggregato”) corrisponde al valore attribuito al totale delle merci prodotte (“produzione aggregata ”, ovvero il “reddito nazionale” di origine interna meno la spesa pubblica), meno le somme del plusvalore (e meno le imposte), che vengono suddivise piramidalmente secondo parametri fissati spontaneamente dal mercato (ovvero dalle decisioni dei proprietari mosse dalla “mano invisibile”). A parità di questi parametri, maggiore è il numero di salariati, ed in più parti dovrà essere suddivisa la cifra disponibile, dando cifre pro capite più basse. L’aumento della domanda aggregata aumenta solo il divario inflazionistico (e quindi i prezzi), non la produzione aggregata (secondo la “macroeconomia neoclassica”); secondo Keynes ciò solo raggiunto il PIL potenziale (il PIL massimo raggiungibile a parità di risorse disponibili; ulteriori aumenti si rivelano artificiosi e si ripercuotono in una compensazione dei valori reali) ovvero eliminato il divario recessivo (il differenziale tra PIL reale e PIL potenziale), dato il flusso circolare dell’economia. Quindi la rivendicazione salariale tipica del sindacalismo marxista verso i padroni è fuorviata e controproducente. Come per i prezzi, la concorrenza per i salari è interna alle classi. Il salario perfetto di ognuno è determinato dalla cifra per la quale altri si offrono di eseguire quel lavoro, in concorrenza tra loro; non da decisione unilaterale del crudele padrone. Il totale dei salari in tal caso viene a corrispondere automaticamente al totale disponibile. Altrimenti, lo squilibrio derivatone si ripercuote in inflazione e disoccupazione. Quindi, l’esistenza della disoccupazione, che dai marxisti viene anch’essa imputata al solito perfido padrone, è colpa in realtà dell’“esosità” dei lavoratori, solitamente maldisposti a diminuzioni di salario seppur in cambio di minore orario di lavoro. Quindi il marxiano “esercito industriale di riserva” non è creato dai padroni, ma dai lavoratori stessi! La teoria del plusvalore di Marx è sbagliata poiché è basata su una teoria del valore sbagliata ovvero una teoria del valore oggettiva, nel senso che tratta il valore come un qualcosa di oggettivo (con la classica stupidaggine etica di valore d'uso e valore di scambio) quando il valore è invece assolutamente soggettivo, e difatti questa teoria è stata smentita dalla teoria del valore soggettiva propria del marginalismo. Secondo la logica marxista io da questo testo frutto di 20 anni di studi ovvero di lavoro incorporato (lavoro vivo + lavoro oggettivato) dovrei ricavarci centinaia di migliaia di euro, solo che per validare ciò dovrebbe esserci qualcuno che me li dia, non saltano fuori dal nulla così solo per il tempo impiegato, e questi lo farebbe solo dietro un valido motivo di scambio, per il valore che egli vi attribuisce. Dato che ciò non sussiste, l'unica possibilità è metterlo sul web a libera disposizione di tutti. Ciò oggi vale per tanti altri servizi personali che svolgiamo volontariamente a beneficio della collettività. Se nell’Ottocento il reddito di base poteva rappresentare la compensazione contrattualista per l’ingiusta sottrazione di terre che sarebbero spettate per natura a tutti, negli anni Duemila lo si potrebbe considerare una compensazione per il lavoro gratuito che, inseriti come siamo nel “capitalismo dei dati”, svolgiamo quotidianamente senza ricevere nulla in cambio. “Quando si parla di reddito di base, solitamente si intende una forma redistributiva, quindi secondaria. Io ritengo che, oggi, i processi di creazione del valore utilizzino invece una parte della vita degli individui senza che venga certificata come produttiva”, spiega Andrea Fumagalli, docente di Economia Politica all’Università di Pavia e uno degli economisti italiani oggi più attivi sul fronte del reddito di base. “L’attività di consumo, ma anche quella artistica e di svago, non rientrano nelle categorie del labor novecentesco, ma sono comunque inserite in un processo di produzione di valore: quando sono su Facebook produco valore attraverso i big data, su Wikipedia produco cultura accessibile a tutti, idem quando metto on line un sito internet nel quale ci ho messo ore e ore di lavoro; quando al supermercato pago con una fidelity card entro in un meccanismo di produzione del valore e lo stesso si può dire per una molteplicità di azioni che compiamo quotidianamente online ma non solo”. Si potrebbe considerare il reddito di base come una compensazione per il lavoro gratuito che, inseriti come siamo nel ‘capitalismo dei dati’, svolgiamo quotidianamente senza ricevere nulla. Il reddito di base, di conseguenza, diventerebbe una forma di compenso diretto per un lavoro che svolgiamo costantemente senza che, oggi, nessuno ci paghi per farlo: “Sarebbe la remunerazione di un’attività lavorativa che non viene considerata come tale”, conferma Fumagalli. “Da questo discende un altro aspetto fondamentale: se è una remunerazione per un lavoro che svolgo, non può essere sottoposta ad alcuna condizione”, per assicurarsi che il compenso per questa produzione di valore abbia una funzione sociale nei confronti delle classi più disagiate. E se questo vale per attività di pubblica utilità che realizziamo gratuitamente, a maggior ragione varrebbe nella considerazione che anzi spesso vi sono addirittura dei costi per realizzarle, e non si intende solo la corrente elettrica per tenere acceso il pc. Il "dover pagare per lavorare" già si verifica nell'editoria, come sa bene ogni scrittore, oggi non solo dalla pubblicazione di un libro non si ricava nulla, ma bisogna proprio pagare per poterlo stampare! Ripetiamo: c'è chi paga per ottenere un cane, e c'è chi terrebbe un cane solo dietro pagamento: la teoria di Marx come lo spiega? Come già detto, la teoria della caduta tendenziale del saggio di profitto si è rivelata una teoria errata nei fatti. Ad ogni modo l'abbaglio non era solo di Marx, una definizione oggettiva del valore la dà anche Ricardo, anzi, l'abbaglio viene da lontano, tanto che anche Adam Smith lo commise. Di contro, già nel '700 vi erano uomini che avevano capito che il valore era soggettivo (l'abate de Condillac, l'abate Galiani), ma anche la scolastica medioevale sosteneva il valore soggettivo, in una certa misura anche Tommaso d'Aquino. Marx definisce come plusvalore la differenza tra salari totali di un'azienda e fatturato (ovvero il totale del valore delle merci vendute). E secondo Marx il concetto di plusvalore è un furto. Gesell invece dice che nella realtà sono i prezzi delle merci che vengono spontaneamente ad adattarsi ai salari generali. Questo per una semplice legge domanda / offerta che può essere così riassunta: distribuendo il plusvalore, e quindi aumentando i salari, automaticamente aumenterebbero di pari misura i prezzi, annullando di fatto l'aumento salariale ed avviando una spirale inflazionistica. In definitiva, il plusvalore è un adattamento spontaneo e inevitabile del mercato, non un furto da parte del padrone. Inoltre non tutte le persone della società producono materialmente, ma alcune svolgono servizi utili anche se improduttivi (settore terziario). Quindi la totalità del valore delle merci prodotte non può obbiettivamente andare solo a chi produce letteralmente, ma deve essere suddivisa tra tutta la struttura del sistema produttivo (primario, secondario, terziario). Astrattamente, se sette persone su dieci producono, il plusvalore corrisponderà quindi a 3/10 del valore reale della loro produzione (ovviamente è un discorso teorico basato sulla parità di condizioni). Se non ci fosse l'imprenditore non ci sarebbero le imprese e pertanto non ci sarebbero nemmeno prodotti di consumo da distribuire equamente, ciò che avviene semplicemente automaticamente ove venga lasciato fare alla "mano invisibile". Pertanto partire dalla concezione che il merito del prodotto vada solo al lavoratore e quindi dovrebbe trattenerlo tutto per sé è un idea bislacca dato che ciò che gli ha reso possibile produrre è il capitale messogli a disposizione dall'imprenditore; secondo la logica marxista dell'"alienazione dal prodotto" quindi chi presta qualcosa a uno sconosciuto dovrebbe farlo gratis? E quale interesse ne avrebbe a farlo? E non è un esempio campato in aria, dato che già vige nell'agricoltura: un singolo contadino non potrebbe permettersi l'acquisto per il possesso personale di tutti i macchinari esistenti necessari al suo lavoro ma solo per pochi giorni l'anno ciascuno; ragion per cui i contadini si mettono in consorzio (i consorzi agrari) acquistando assieme tutti i macchinari che poi ognuno userà a turno.
Si tenga presente che generalmente (ma non esattamente, secondo Keynes) la velocità di circolazione della moneta aumenta al diminuire della quantità, perché ogni esemplare deve coprire più transazioni ciascuno. La massa monetaria esistente in un dato sistema è automaticamente quella adeguata a coprire il valore di tutti i beni esistenti. Quando questo equilibrio naturale viene alterato si hanno distorsioni che si ripercuotono su altri parametri. L’aumento di circolante assecondando l’aumento della produzione è già assicurato dall’attività bancaria complessiva, i cui utili totali rappresentano il volume di produzione aumentata, rendendo così il tasso di interesse un utile indicatore. Anche questo influisce sulla domanda / offerta, e quindi il reddito di cittadinanza potrà influire sull’“equazione dello scambio” portando i due parametri sulle necessità REALI del sistema. Anche se le variazioni marginali intuite da Keynes comunque normalmente si compenserebbero tra loro, la fallacia del suo ragionamento difatti sta nell'assenza di chiarimenti sulle modalità con le quali tale redistribuzione dovrebbe essere attuata, cosa che ha portato globalmente a far ricorso al debito pubblico ovvero al deficit permanente con tutte le relative conseguenze, ed al permissivismo nei confronti dei comportamenti descritti nella "favola delle api".

“L’estensione dello Stato causa la proliferazione delle leggi; la proliferazione delle leggi causa la moltiplicazione degli illeciti, reali o potenziali; la moltiplicazione degli illeciti causa infine, prima la diffusione e poi la banalizzazione dei crimini. […] lo Stato non è più la soluzione dei problemi, ma diventa il problema” (Giulio Tremonti, “Lo Stato criminogeno”, Giulio Tremonti, Laterza, 1998)

L’economia moderna, come noto, è fondamentalmente keynesiana, e quindi si basa sugli equivoci finora esposti (cioè guardare il dito anziché la luna). Secondo Keynes la panacea per uscire dalla depressione sarebbe stato il “deficit spending” ovvero l’incremento della spesa pubblica ma senza aumento di tasse. Solo che, se, in condizioni di calo di domanda, il governo aumenta la spesa (anziché ridurla, come la logica suggerirebbe) e non aumenta le tasse, l’aumento di reddito nominale si ritorce su altri parametri. La variazione di spesa pubblica influenza la spesa aggregata più di quanto la variazione fiscale influenza il risparmio, per cui uno sbilanciamento si va a compensare sul “moltiplicatore del bilancio in pareggio”. Se aumenta il reddito ma la massa monetaria rimane invariata ciò si ripercuote in un aumento dei tassi di interesse (per diminuzione della moneta disponibile a scopi speculativi), e quindi riduzione degli investimenti privati; ciò annulla buona parte dell’effetto incentivante dell’accresciuta spesa pubblica (quando è essa stessa causa di aumento artificiale del reddito nazionale), e l’unica soluzione è aumentare la massa monetaria. Tutt’oggi sottostiamo alle conseguenze dell’opinione secondo cui le banche centrali sarebbero portatrici di poteri magici che si manifestano attraverso appropriati interventi monetari “nei mercati” senza le necessarie compensazioni (della cui possibile esistenza questi snob nemmeno sono consapevoli, tra l'altro...). Tali interventi consistono soprattutto in iniezioni di moneta o nella concessione al "tasso di sconto" di crediti a breve termine a banche in difficoltà. Secondo il credo che li ispira, tali atti dovrebbero avere l’effetto di “stimolare la produzione” o “rimettere in moto la crescita” facendoci uscire da qualche “spirale deflativa” o “trappola della liquidità”. Termini che non sono altro che propagandistico "fumus" senza alcun vero significato concettuale reale. Proprio perché i banchieri centrali non sono divinità onniscenti è necessario che le valute, come ogni altra cosa, devono essere prodotte dal mercato, dal basso, proprio perché le conoscenze sono disperse tra milioni di individui e queste conoscenze possono interagire tra loro solo grazie al sistema dei prezzi. E' questo l'errore insito nelle teorie keynesiane applicate ad un economia liberista priva delle necessarie compensazioni. Si tenga presente che per lo Stato accumulare valore nominale in un conto bancario come risparmio è inutile ed anzi deleterio, equivale a comprare a tanto e vendere a poco: quando c’è espansione il costo della moneta aumenta ed il suo accumulo favorisce l’espansione; mentre spenderla quando ha perso valore in fase recessiva ne spinge ulteriormente in basso il valore, aggravando la recessione (non si può cavare sangue da una rapa, checché ne dica Keynes). Quindi acuisce i cicli economici. Il circolo fatale espansione / recessione nell’economia statale viene definito da Joaquin Bochaca come avente gli stessi effetti di una trasfusione di sangue seguita da una emorragia proprio quando il paziente stia cominciando a riprendersi. Il principale risultato del “circolo” è la corsa-competizione tra prezzi e salari... nella quale i primi vincono sempre. Quindi nello pseudo-liberismo social-democratico keynesiano oggi come oggi il massimo dell’efficienza non è assolutamente raggiungibile dato anche che in esso, oltre a quanto suddetto, a causa delle differenze economiche tra persone, non è possibile eliminare del tutto ogni forma di direzione statale ed affidarla al settore privato.

Ma tutto questo è turco per i social-democratici e i marxisti. Dopotutto su quale parametro potrebbe regolarsi un economia come quella comunista dove non esiste nemmeno il concetto stesso di tasso di interesse? Tutta l’economia odierna (keynesiana) è quindi “drogata” da questi effetti (originati dal considerare l'economia un opinione) i quali alterano la provvidenziale “mano invisibile” causando "perdite secche" a causa delle esternalità. E questo dall’economia si ripercuote in tutto il sistema sociale. Solo eliminando questi puerili difetti sarebbe possibile completare lo sviluppo definitivo del capitalismo, e solo il reddito di cittadinanza può permetterlo. Il sistema giuridico esistente mira invece a isolare il potere di proprietà, d’impresa, la libertà. Da queste consapevolezze partirono gli studi di Clifford Hugh Douglas (1879-1952, ingegnere inglese, lavorando temporaneamente come contabile riscontrò alcune incongruenze logistiche nel sistema allocativo, per risolvere le quali propose un rimedio ideato applicandovi principi di ingegneria) nel calcolare la sua “teoria A+B” (che analizza la disparità tra costi e ricavi in un impresa), che non tenendo conto la possibilità di inflazione si rivela però errata in ciò ma poi ripresa da Gesell che ne corresse tale difetto ha rappresentato comunque il punto di partenza per teorizzare come fulcro il concetto di produzione e allocazione alla base dell’economia, ed in particolare che la parte più importante del prodotto nazionale non sta nella vendita finale, ma nelle tappe anteriori, conseguendo il risultato che se lo Stato non intervenisse, le leggi economiche assicurerebbero agli individui l’ottenimento di proventi esattamente proporzionati alla quantità di lavoro offerta, concezione cardine pure del mutualismo di Proudhon. Ovviamente ciò non è del tutto vero (secondo questa logica il trovare una pepita d'oro passeggiando dovrebbe determinare un valore pari quasi a zero per quella pepita), ma comunque ha un fondamento dal punto di vista dell'origine (e non della determinazione!) del valore nella catena produttiva dai beni anteriori al prodotto finito e il suo indotto (teoria dell'equilibrio economico generale), e quindi sui redditi equivalenti. Il valore di un bene è sempre soggettivo. Nel produrre un bene possiamo metterci tutto il lavoro che vogliamo, ma se nessuno lo vuole esso non vale nulla. Il valore dipende sempre dall’esistenza di un soggetto e della sua azione. Il valore non è intrinseco, non sta lì incorporato nelle cose, è sempre la conseguenza di una proiezione mentale. Non sono i costi a determinare i prezzi, ma sono i prezzi, determinati dalle valorizzazioni soggettive, a determinare i costi. L'attore economico imprenditore è disposto a sostenere i costi della produzione solo se pensa che la produzione futura permetterà di recuperare i costi sostenuti previamente, restituendo in aggiunta un beneficio imprenditoriale. Per colpa degli economisti inglesi, Adam Smith compreso, questo clamoroso errore ha avuto conseguenze importanti. Tutta la concezione statica dell’equilibrio rappresenta la degenerazione di questo errore. Viceversa per i social-democratici keynesiani la maggior parte dell’economia è rappresentata dai consumi (basandosi solo sul PIL), quindi non sorprende che per loro la panacea sia agire sul consumo, mediante interventi pubblici. Ma il sistema pubblico, dovendo automantenere se stesso, non può per definizione costare mai meno del sistema privato, perché per esistere deve ridistribuire soldi che erano stati allocati dal mercato a un costo, e nel farlo determina un altro costo ("consumo delle suole"). Qui De Soto, grande critico di Keynes, ci da il quadro realistico della situazione. I suoi scritti critici si basano sul fatto che il costo del mantenimento del sistema pubblico è per definizione più elevato perché il sistema pubblico non è orientato al profitto. Si pensa che siano i ricchi a pagare il grosso del conto, quando invece a pagare i costi dello stato sociale sono le classi medie. Qualunque cosa che i politici promettono si rivela essere un inganno da realizzare tramite una imposizione forzosa. Ricordate che non esiste il pasto gratis. C'è sempre un conto da pagare e con l'intermediazione dello stato esce sempre salato. Non solo, anche la perdita secca da errata allocazione di risorse tolte al mercato e da distorsione di prezzi relativi, ed anche la tendenza all’aumento dei costi medi nel tempo propria della pubblica amministrazione in generale costi non quantificabili ma esistenti, laddove al massimo un sistema efficiente andrebbe a costi pari, visto che per principio lo stato sussiste in pareggio e non prevede l’utile. Lo stato e gli altri principali enti pubblici dovrebbero funzionare in base a bilanci preventivi di cassa e non di competenza, per evitare la questione dei residui passivi e attivi. Tanto per intenderci, che dire di uno stato che, pagando egli stesso i salari ai propri dipendenti, poi su quelle somme che egli stesso ha ceduto, anziché nettizzare i salari all'origine, chiede posteriormente il pagamento delle imposte su di essi? E dei passaggi monetari ("partite di giro") tra stato (o sue aziende) e banche statali in sede di giro conti reciproci sottoposti ad interesse, che si risolvono ovviamente in passività dello stesso Stato... Ora certamente questi meccanismi saranno pure inevitabili per necessità di chiarezza contabile (si pensi alla storiella di Paolo Villaggio sul supplente che scriveva lettere a sé stesso), ma cavolo... sono comunque indicativi dell'assurdità della burocrazia. Si pensi che in Urss incredibilmente esistevano le tasse, ma dato che tutto era di proprietà dello stato, viene spontaneo chiedersi chi le dovesse pagare... lo stato pagava le tasse a sé stesso????? Una delle tante follie del comunismo. Dato che nel comunismo sovietico il 100% del PIL era gestito dallo Stato, la quota di PIL intermediata dallo Stato può essere interpretata come percentuale di quanto una nazione è comunista, ergo una nazione in cui la spesa pubblica incida per il 50% del PIL è al 50% comunista.

“Il contribuente è uno che lavora per lo Stato senza essere un impiegato statale” (Ronald Reagan)

I funzionari e i burocrati incaricati di eseguire i mandati dei governanti non hanno alcun incentivo ad agire in maniera efficiente. Nelle aziende comuniste la direzione del lavoro è affidata dallo “Stato” a burocrati di nomina politica, sovente in modo casuale, regolarmente incompetenti e corrotti, naturalmente disinteressati al buon funzionamento dell’azienda e alle condizioni dei lavoratori. Questa situazione comportava problemi rilevanti nelle nazioni le cui aziende erano proprietà dello Stato. Il primo è l’inefficienza dei lavoratori, secondo la filosofia che “lavora bene o lavora male sempre lo stesso salario percepisci”, per cui un ritmo produttivo poco più che normale diventava un eccezionale volontario “stakanovismo” da premiare (contravvenendo ipocritamente ad ogni bel proposito egualitario, si noti). Visto che i ruoli erano assegnati in modo quasi casuale (e per di più in molti casi subordinati all’iscrizione al partito), ed i salari erano uguali per tutti, le persone più istruite o volenterose si autoconsideravano sottovalutate, per cui avrebbero sviluppato la comprensibile tentazione di recarsi in paesi dove le loro capacità sarebbero state valutate attentamente. Per evitare l’emorragia di “cervelli” i paesi comunisti erano obbligati a proibire l’espatrio. Dal 1949 al 1961 infatti 2.700.000 persone (il 15% della popolazione) lasciarono la DDR. Nei paesi comunisti il plusvalore veniva si eliminato, ma solo perché le aziende producevano in perdita, e quando anche ci fosse stato un plusvalore, sarebbe stato comunque perduto nella bilancia commerciale delle esportazioni, deficitaria a causa della vendita sottocosto di prodotti a paesi occidentali in cambio di percentuali illegalmente elargite ai dirigenti aziendali dei paesi comunisti, non essendo i prezzi delle merci regolati sulla base delle spontanee leggi del mercato ma stabiliti arbitrariamente dai politici. Patetici poi i comunisti quando sparlano di gente come Marchionne, senza riuscire a rendersi conto che in Urss erano proprio essi, i manager, al potere. La più azzeccata definizione di comunismo è "dittatura dei manager" (che in versione statale sono detti spregiativamente "boiardi", tipo Prodi, Mattei, Cefis), altrochè "del proletariato". Max Adler, Joseph Schumpeter, e John Maynard Keynes hanno studiato l'evoluzione del capitalismo verso una simile impostazione.

"I proprietari del capitale, ossia gli azionisti, sono quasi interamente dissociati dall'amministrazione, col risultato che l'interesse personale diretto degli amministratori nel conseguimento di grandi profitti diventa del tutto secondario. Quando si è raggiunto questo stadio saranno più considerate dagli amministratori la stabilità generale e la reputazione dell'ente che il massimo di profitto per gli azionisti" (John Maynard Keynes, "La fine del laissez faire")

Max Adler ha studiato la spersonalizzazione delle società per azioni, definendola "capitalismo organizzato", mentre Joseph Schumpeter l'ha definita "evaporazione della proprietà", prospettando in pratica uno spontaneo sviluppo dell'economia verso il senso socialista, non per una rivoluzione dall'esterno ma per una evoluzione interna, nella sua interpretazione cioè verso quello che i fascisti intendono per fascismo e gli anarchici per anarchia.

"L'organizzazione della vita economica, che il capitalismo si è sforzato di realizzare in misura sempre crescente, sarà fatta a vantaggio di una oligarchia di capitalisti, oppure a vantaggio della comunità?" (Max Adler)

"Il capitale, col sistema delle società anonime per azioni, si è dilatato, talora sino alla polverizzazione. I possessori del capitale di un azienda, attraverso il possesso delle azioni, sono spesso innumerevoli. Mentre il capitale diventava anonimo ed il capitalista del pari, balzava al primo piano dell'economia il gestore dell'impresa, il capitano d'industria, il creatore della ricchezza" (Benito Mussolini)

Quindi i paesi capitalisti potevano sfruttare facilmente il lavoro e le risorse dei paesi comunisti tramite la corruzione dei politici di quei paesi. Ed i profitti della corruzione rimanevano comunque nello Stato capitalista, nei conti bancari dei politici comunisti. Questo è il motivo per cui la finanza internazionale ha tollerato (se non sostenuto) la nascita e l’esistenza di stati “comunisti” fino a quando furono spremuti a tal punto che non fu più possibile rimandarne il crollo. Al che poté praticamente “acquisirli” direttamente alla “svendita fallimentare”. Diffuso è lo stereotipo che il più grosso affare mai realizzato da Wall Street sia stato l’acquisto dell’Alaska, nel 1867; più realisticamente è giusto dire che il comunismo è stato il più grosso affare mai realizzato da Wall Street. In tale sistema un equilibrio tra giacenze e scarsità era irrealizzabile. La distorsione nel sistema commerciale provocata dall’assenza delle più elementari regole di mercato portava un allocazione inefficiente dei beni e delle vendite riscontrabile visivamente nella formazione di lunghe code davanti ai negozi, mentre per i beni non di “prima necessità” si redigevano liste d’attesa. Ad esempio per l’acquisto di un’automobile in Urss negli anni ’80 arrivava il proprio turno in media dopo tre-quattro anni; per l’acquisto di un biglietto per il Bolscioi dopo due o tre mesi. Questa situazione provocava inevitabilmente un esteso mercato nero delle merci, soprattutto di quelle straniere, gestito dalla mafia russa. Il mercato nero consentiva ai ricchi di accedere a prodotti altrimenti irreperibili, e senza dover “fare la fila”. E quindi era tollerato in ambienti politici, in quanto in Urss i politici comunisti grazie alla corruzione erano gli unici ricchi, gli unici che potevano permettersi acquisti ai  magazzini GUM. Da qui la necessità di mantenere un ambiente illiberale in ambito lavorativo e più estesamente in tutta l’organizzazione statale, per tacciare le prevedibili critiche dei lavoratori ai dirigenti e a tutto il sistema. Necessità, si badi, non per forza appositamente ricercata, ma implicitamente concessa dalla filosofia comunista della “dittatura del proletariato” la quale permette ai poteri politici qualunque azione dietro la giustificazione degli “interessi del proletariato”, ma non si può negare che la classe al potere ne abbia approfittato… la critica interna alla “glasnost”-“perestrojka” era basata proprio su questa constatazione, ed ironicamente parafrasata in un paragone molto diffuso nei paesi dell’est Europa: “Gorbaciov si sta radendo, quando la sua nipotina va da lui e gli chiede cosa stia facendo; nonno Michail la manda via con una bonaria pacca sulla schiena, quando invece avrebbe potuto facilmente sgozzarla col rasoio che teneva in mano”. E come già detto la democrazia liberale odierna non è molto diversa, la libertà è permessa solo finché fa comodo ai potenti. Esemplare è il fatto che i regimi meno libertari dell’ultimo secolo, quelli comunisti, si autodefinissero democrazie. Non a torto, se si considera il significato letterale del termine. Quello che ne faceva un antitesi ad ogni concetto di libertà era la loro interpretazione del concetto di democrazia: la volontà popolare come scusa dietro la quale difendere gli affari di un oligarchia (che è il governo di pochi, genericamente gli strati più influenti della società) che se nel capitalismo la tramuta inevitabilmente in plutocrazia (sistema nel quale determinati gruppi economici influiscono in maniera determinante sulle decisioni della politica), nel comunismo (perciò in assenza di gruppi economici privati) ne determina la dittatura dei burocrati. Una pianificazione tesa a creare un sistema economico perfetto. Si tende a ritenere ciò un paradosso. Invece è proprio così, la democrazia portata all'estremo da vita ai regimi comunisti, non è perciò un paradosso che la Germania "democratica" fosse quella orientale. Lo era, eccome. Non che i sistemi politici vigenti negli stati odierni ci si discosti molto… Anche oggi, a tutti i livelli, ci si fa scudo della “volontà popolare” come giustificazione delle proprie azioni. Il problema è che la “volontà popolare” non necessariamente riflette la giustizia… inoltre è facilmente manipolabile da chi ha il potere di farlo, soprattutto tramite i sistemi di comunicazione di massa, e nel caso sia regolata da un sistema elettorale proporzionale può governare anche un partito con maggioranza relativa (ovvero al di sotto del 50% dei voti; si pensi ad Allende che in Cile nel 1970 aveva vinto col 36% dei voti); nel caso di sistema elettorale maggioritario invece è ancora peggio poiché viene in pratica a governare l’“elettore mediano” ovvero quel “2%” che fa pendere l’ago della bilancia al “51%” (con tutte le ovvie conseguenze); in entrambi i casi comunque il potere è detenuto dai partiti politici ("partitocrazia"). Non riteniamo necessario dilungarci in esempi, dato che sono visibili quotidianamente, anche se difficilmente percepibili per chi non ne abbia la sensibilità.

"Il suffragio universale tramite il quale il popolo intero elegge i suoi rappresentanti e i governanti dello Stato - questa è l’ultima parola dei marxisti e della scuola democratica. Tutte queste sono menzogne che nascondono il dispotismo di una minoranza che detiene il governo, menzogne tanto più pericolose in quanto questa minoranza si presenta come espressione della cosiddetta volontà popolare. Risultato: il dominio esercitato sulla grande maggioranza del popolo da parte di una minoranza di privilegiati. Ma, dicono i marxisti, questa minoranza sarà costituita da lavoratori. Si, certo, ma da ex lavoratori che, una volta diventati rappresentanti o governanti del popolo, cessano di essere lavoratori. E dall’alto dei vertici dello Stato cominciano a guardare con disprezzo il mondo comune dei lavoratori. Da quel punto in poi non rappresentano più il popolo, ma solo se stessi e le proprie pretese di governare il popolo. Chi mette in dubbio ciò dimostra di non conoscere per niente la natura umana" (Michail Bakunin, “Stato e anarchia”)

Nella democrazia organica invece implicitamente nessun potente potrebbe riuscire ad avere un “rasoio” in mano. E quindi il distributismo la contempla nella filosofia che la libertà non deve essere “concessa” dal governo al popolo, ma è il grado di controllo del governo sul popolo che deve essere concesso dal popolo al governo. L’organicismo identifica il sistema sociale di una nazione come un organismo gerarchico in cui ogni “cellula” svolge una funzione utile a tutto l’“organismo”. Il personalismo è la concezione filosofica opposta all’individualismo; ogni attività di una persona va inquadrata nei risvolti che provoca nell’ambito sociale, e non fine a se stessa. Il corporativismo è un metodo contingente dettato dalla necessità di saldare la frattura tra capitale e lavoro consumata dopo la fine del feudalesimo e accelerata dal tardo ottocento fin tutto l’ultimo secolo. La partecipazione è dispositivo essenziale per poter passare, usando le categorie di Marcello Veneziani, dal degrado di una società "democratica" schiava di una pretesa libertà, troppo spesso confusa con paura della punizione, alla nascita della democrazia comunitaria. Ciò che fa del corporativismo qualcosa oltre il mero strumento economico, è la visione etica e solidale che l’accompagna. L’interesse principale per le ambizioni, i desideri e i bisogni dell’individuo, che partecipando attivamente e collegialmente, non è ne massa senza volto ne soggetto sganciato dalla realtà. Con la creazione di aggregazioni territoriali per settore lavorativo chi lavora torna a poter decidere tutte le questioni importanti del proprio contesto socio-lavorativo, in un contesto partecipativo e democratico che pone il merito e le competenze al centro, che possa trovare nella chiarezza, ragionevolezza e forza dei contenuti l’entusiasmo per contribuire al bene comune. Ma individuo determinato, evolianamente assoluto, inserito in un contesto di riferimento, mosaico della sua stessa identità personale, la comunità nazionale. Nel comunismo e nella democrazia liberale ciò non è possibile fondamentalmente. Nella democrazia organica ciò è invece il fondamento inalienabile, perché essa lascia il più ampio margine di sviluppo alla natura umana, anziché castrarla. Essa coniuga i pregi della democrazia con quelli della dittatura, eliminando i difetti di entrambe; i 4 connotati di Juan Linz sono rispettati.

"Il Fascismo respinge nella democrazia l'assurda menzogna convenzionale dell'egualitarismo politico, l'abito della irresponsabilità collettiva e il mito della felicità e del progresso indefiniti; ma se la democrazia può essere diversamente intesa, cioé se democrazia significa non respingere il popolo ai margini dello Stato, il Fascismo può essere definito una democrazia organizzata, centralizzata, autoritaria" (Benito Mussolini)

Le imprese di governo municipale si configurano come un bene da considerare quasi come un imposta e dunque da analizzare all'interno delle teorie dell'imposta per quanto attiene ai meccanismi di formazione e di istituzione, e della sua sovradeterminazione rispetto alla teoria delle imprese pubbliche. Giovanni Montemartini nella sua "teoretica delle imprese municipalizzate come parte della teoretica della finanza pubblica" definiva l'impresa pubblica come un imposizione fiscale attuata in forma coatta. Oggi potremmo definire in questo modo anche l'acquisto di prodotti finanziari spesso attuato dai comuni coi soldi dei contribuenti. Ma il problema non si limita qui, ma comprende il concetto "niente tassazione senza rappresentanza". Come sollevato da Montemartini e Barone, laddove l'elettorato delle gerarchie amministrative e di controllo è composto da politici, esso sarà inevitabilmente sottoposto alle esigenze delle politiche del rispettivo partito. Così ne risulta che anche chi non ha votato per quel determinato partito ovvero è contrario a tali politiche si trova a dover obbligatoriamente erogare quote dei propri redditi in iniziative economiche promosse dal partito di maggioranza. In questo modo le imprese cosiddette pubbliche realizzate coi soldi di tutti sono solamente imprese del partito di maggioranza che da solo ne determina l'impostazione nel processo decisionale. In realtà, di fatto, nel sistema politico pluri-partitico si genera un meccanismo necessario a tener buona l'opposizione, consistente nel suddividere anche con essa la gestione, meccanismo che prende il nome di "consociativismo". In tal modo i rispettivi consiglieri diventano di fatto garanti degli interessi della fazione cui fanno capo anziché dell'azienda nel suo complesso, infrangendo così il vincolo di mandato imperativo che dovrebbe obbligare a fare gli interessi dell'azienda e non dei singoli soci. Le conseguenze le conosciamo tutti grazie a "mani pulite", non serve inoltrarcisi ulteriormente qui. Lo schema normale che seguono e con il quale lavorano è il seguente: puntare sempre e solo a spendere di più, ingrandire gli uffici, avere più dipendenti al servizio. Essi non rispondono affatto al criterio di profitti e perdite, tipico dell'imprenditore in un libero mercato. Non sono quindi in grado di guidare la loro azione in maniera efficiente. Imputano sempre la loro inefficienza a una mancanza di risorse adeguate per poter svolgere il loro lavoro. Questa è la ragione principale che porta alla megalomania crescente dello stato (il già citato "l'appetito vien mangiando"). E' a causa di questi costi fittizzi che non esistono settori "produttivi" ovverosia "in attivo" di proprietà dello stato, poiché anche quando creassero un utile, sarebbe sempre inferiore a quanto pagherebbe di imposte il privato al quale venisse ceduto quel settore, poiché quel privato eliminerebbe automaticamente perlomeno quei costi fittizzi. Quindi lo stato per definizione stessa è in perdita anche quando (raramente) crea utili. Se si suppone che un'impresa privata abbia lo stesso livello di profittabilità quando è pubblica, l'esperienza storica ci dice che non è così, come esprime saggiamente il detto "l'occhio del padrone ingrassa il cavallo". Pensate che ci sono delle persone, e non solo tra i comunisti, che nelle proprietà pubbliche vedono una cosa propria, quelli che chiamano "gioielli di famiglia" i carrozzoni di stato, convinti, chissà come, di esserne una sorta di azionisti... Io di una tale cretinata ne sono venuto a conoscenza solo di recente in seguito al caso dell'Alitalia, in precedenza era una cosa che nemmeno riuscivo ad immaginare, che potesse esistere anche in solo una persona una talmente incredibile cognizione del bene "pubblico"... "L'état, c'est moi", "Lo Stato sono io", diceva Luigi XIV. "Lo Stato siamo noi", saggio di Piero Calamandrei. La prima affermazione forse sostanzialmente corretta mentre la seconda errata o, è quanto meno mal interpretata. La prima è corretta perché almeno in teoria un monarca assoluto è davvero lo Stato, in quanto accentra in sé stesso tutti i poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario. Quindi c'è perfetta corrispondenza tra Stato e persona fisica del Monarca. Non c'è, in altre parole, un soggetto esterno al Monarca stesso che possa, ad esempio, imporre qualcosa al sovrano. Ma che significa "Lo Stato siamo noi"? Significa che in una democrazia i poteri sono attribuiti al popolo attraverso il sistema democratico. Il fraintendimento si crea quando si utilizza la parola NOI e ci si identifica con essa. Ma NOI è assai differente da IO. Noi cosa significa? Noi significa noi popolo, noi maggioranza. Non significa affatto io individuo. Quindi la parola NOI può benissimo significare che un certo numero di persone (maggioranza o magari anche addirittura minoranza) sta esercitando i poteri sopra singoli individui. Orbene, tutte le volte in cui l'individuo è d'accordo con le decisioni della maggioranza, allora fa parte del NOI che ha preso le decisioni. Ma tutte le volte in cui un individuo, che rammentiamolo è il primo ed unico depositario dei diritti naturali, è in disaccordo con la maggioranza che decide, quel NOI diventa immediatamente un VOI. In questo caso, non vi è più coincidenza tra Stato ed individuo e, anzi, lo Stato dimostra di essere un "VOI" molto aggressivo e molto invadente, che spesso e volentieri finisce per violare i diritti naturali degli individui. Oltre a questo, lasciarli nell'illusione di essere "azionisti" di quei carrozzoni che loro chiamano "gioielli di famiglia" (!), o spiegargli che tale "sua" proprietà è tutt'altro che un "gioiello" ma casomai una palla al piede che gli costa in solido migliaia di euro all'anno a lui stesso personalmente? Se io posseggo azioni di un ristorante, ed anziché ricevere un dividendo annuo devo io versare soldi alla società in questione, mi ci ritiro subito e penso farebbero lo stesso anche loro... perché con i carrozzoni pubblici questo discorso per loro non vale? E che questo è solo un discorso teorico, poiché in una società privata non si arriva in nessun caso a questo punto, in essa il percorso fallimentare parte nel momento in cui il suo rendimento scende sotto il tasso di interesse. Quelle pubbliche invece sono avulse da ogni buon senso logico. Come gli esperti che pontificano col ditino indignato alzato, contro aziende che hanno spostato la sede in paesi europei a tassazione minore dell'italia (praticamente qualsiasi altro paese al mondo in effetti), perchè a loro dire: "non è giusto che chi lavora in italia paghi le tasse altrove". Questo concetto molto diffuso tra la gggggggente, "esperti" compresi, rende perfettamente l'idea di quanto siano ignoranti, economicamente parlando, moltissimi italiani. La preoccupazione non è rivolta alle tasse troppo alte, no, la preoccupazione è rivolta al fatto che qualcuno possa pagare tasse altrove e non "a noi". Cari fenomeni, a meno che non siate parassiti pubblici di qualsiasi risma, non avete alcun interesse che le tasse vengano pagate allo stato italiano, se invece siete parassiti, il vostro è solo conflitto di interesse e quindi siete un tantino ipocriti a prendervela con chi se ne va altrove per poter risparmiare in modo da FARVI PAGARE UN PREZZO PIU' BASSO per i beni che egli produce. I comunisti (e non solo, ma soprattutto) riescono ad arrivare a livelli di stupidità incommensurabili che ancor oggi continuano a stupirmi. Non molto diversi da quei fascisti odierni che auspicano come esempio di sistema economico fascista la “nazionalizzazione delle attività strategiche e di pubblico interesse”... e che farebbero meglio a ricordare che un sistema nel quale vigeva una certa proprietà privata mentre le attività “strategiche” e “di pubblico interesse” erano nazionalizzate è già esistito: la Jugoslavia di Tito. Quello sarebbe il loro esempio di sistema economico fascista? La stessa linea-guida perseguita dall’“eurocomunismo” della triade Berlinguer-Carrillo-Marchais? Ma per favore! Quelli che credono che lo stato sono anche loro... no lo stato non è nessuno, lo stato è un costrutto astratto, altroché gioielli di famiglia!

“Si chiama Stato il più gelido di tutti i gelidi mostri. Esso è gelido anche quando mente; e questa menzogna gli striscia fuori di bocca: 'io, lo Stato, sono il popolo'” (Friedrich Nietzsche)

Nel comunismo la proprietà è sostituita “dallo stato” (“dittatura del proletariato”) e viene gestita tramite burocrati di nomina politica, spesso incompetenti e disinteressati ai lavoratori ed al buon funzionamento della produzione. Il settore pubblico riesce normalmente a mandare in malora tutto ciò di cui si occupa. Tanto per fare un esempio, le uniche farmacie in deficit sono quelle comunali. E che dire dell'unico casinò del mondo ad essere sempre in perdita cioè quello di proprietà del comune di Venezia? Ah no, dimenticavo c'èra anche quello di Malta, ora fallito.... che guarda caso di chi era proprietà? Del comune di Venezia. Ora, come tutti sanno, i casinò sono un settore che per definizione stessa non può essere in perdita, ecco quelli riescono a mandare in perdita perfino un casinò.... Un sistema che punta al profitto mantiene se stesso perché se la gente è disposta a pagarne il mantenimento oltre al costo del bene prodotto vuol dire che in sé il fatto che sia prodotto costituisce un vantaggio genuino per la società. Se la gente paga sul mercato con i propri soldi quanto basta perché l’azienda campi allora l’azienda ha un senso economico (rendita), cioè supera il presupposto di finitezza delle ricchezze date e soddisfa quello di ricchezza crescente. Questo ovviamente non deve però giustificare gli sprechi. Lo Stato, evidentemente, non riesce a offrire i suoi servizi tra cui il “welfare” come “assicurazione a costo così basso da venir comprata”, altrimenti non userebbe le tasse, cioè non imporrebbe di pagare qualcosa che le persone avversano. In un sistema privato la gente può decidere la sua sussistenza acquistando o meno i suoi prodotti o servizi; in un sistema pubblico la gente non può decidere nulla, deve acquistare dietro coercizione (tasse) anche quando non sia d’accordo sull’utilità e / o sul prezzo. Non solo, lo stato espropria oltre la metà del nostro reddito, in un processo che si plasma nella fornitura di beni e servizi di pessima qualità, la cui produzione genera corruzione, e spreco immenso di risorse. Ci viene sempre venduta la storia che lo stato è necessario per costruire le strade, per fornire l'educazione, la sicurezza sociale, le pensioni. Tutta una lunga lista di cose buone per far accettare alla gente l'interventismo statale, senza il quale sarebbe il caos, la legge giungla. E' solo grazie a questa propaganda che la gente accetta il sistema senza metterlo in discussione. Scientificamente dobbiamo sapere che si tratta di un montaggio, che pur senza lo stato saremmo in grado di avere tutto quanto, non solo, i servizi e i beni sarebbero senza dubbio di qualità migliore e avrebbero prezzi inferiori. Le misure interventiste producono invariabilmente risultati pregiudizievoli, negativi. Gli effetti ottenuti sono il contrario di quelli perseguiti da chi interviene. La valorizzazione negativa parte proprio dal punto di vista di colui che interviene. In maniera scientifica vediamo come si producono gli effetti contrari a quelli voluti, come ad es. il salario minimo genera disoccupazione e povertà, danneggiando proprio coloro che in prima istanza si volevano aiutare. Lo stesso avviene, come vedremo, con la sicurezza sociale.

“Io ringrazio Dio per l’inefficienza del governo. Se il governo fa cose cattive, c’è solo l’inefficienza che impedisce al danno di diventare più grande” (Milton Friedman)

A differenza delle citate strampalate teorie sraffiane, se proprio vogliamo individuare un rapporto tra salario e valore, la composizione organica del capitale è data dalle equazioni dei prezzi: il prezzo di un unità di bene di consumo può essere identificata nel salario moltiplicato per il coefficiente tecnico di produzione di quel bene relativo al lavoro (cioè la marxista-sraffiana quantità di lavoro necessaria per ottenere un’unità di quel bene) più il profitto moltiplicato per il coefficiente tecnico relativo al capitale. Un ragionamento analogo spiega la formazione del prezzo dei beni capitali. Per comprendere la teoria dei prezzi è molto importante capire che il processo produttivo è un insieme di tappe. I prezzi dei beni di ordine più basso determinano i prezzi di ordine più alto. Cioè, i prezzi dei fattori di produzione vengono determinati attraverso processi molto complessi che partono dai prezzi dei beni di consumo. Il prezzo di mercato è il risultato delle valorizzazioni soggettive e delle utilità marginali. Cosa sono quindi i costi? Come prima definizione generale possiamo dire che sono valori soggettivi, rappresentano ciò a cui si rinuncia. Per fare un esempio, il costo della pubblicità fa parte dei costi di produzione del bene, tanto come il costo di trasporto; ma non è il costo della pubblicità ad influire sul prezzo del prodotto pubblicizzato, bensì è il profitto a rendere possibile sostenere il costo della pubblicità. L'interpretazione comune è capovolta a causa del fatto che la gente, compresi i professori neoclassici, pensano che siano i costi a determinare i prezzi. L'errore deriva dalla pratica del mondo commerciale dove in genere si applica un markup (cioè quello che si tende comunemente a chiamare "ricarico" anche se è un termine inesatto, in realtà dovremmo parlare di rendita più altri fattori) sui costi. Tuttavia non è questo il processo corretto. Se fossero i costi a determinare i prezzi non esisterebbe alcun problema imprenditoriale. Basterebbe applicare sempre un markup ai costi e vendere tutto quanto viene prodotto conseguendo sempre un utile. Non sono pertanto i costi a determinare i prezzi, ma non sono nemmeno i prezzi a determinare i costi, visto che le materie prime adoperate possono essere usare per produrre più beni con richieste e valori di mercato differenti perciò se un bene ha un prezzo troppo basso rispetto al costo, tanto da annullare ogni rendita, esso non verrà prodotto. Sulla base delle scale di valorizzazione compiute dagli agenti economici, gli imprenditori stimano quale sarà il prezzo di mercato che si fisserà domani per i beni di consumo di loro interesse, e in funzione di questa stima di prezzo, decidono oggi di comprare i fattori di produzione per produrre tali beni, sempre che sulla base delle stime da loro compiute tali costi gli permettano domani il conseguimento di un beneficio imprenditoriale. Quindi non è necessariamente detto che i costi seguano sempre il prezzo. Si tratta di immaginare imprenditorialmente i prezzi di domani, per domandare i fattori produttivi di oggi. Se il processo imprenditoriale funziona correttamente si conseguirà un beneficio. Un frigorifero non vale 100 euro perché costa 90 produrlo e si applicano 10 euro di markup. Costa 100 euro perché chi produce frigoriferi pensa di poterli vendere a 100 domani (poiché questa è la cifra che chi li acquista è "oggi" disposto a spendere) e oggi è disposto a spendere fino a 90 per produrli (ovvero il tasso di interesse conveniente è 10 lordi). Causalità molto chiara, si parte dal bene di consumo che viene valorizzato in un prezzo, e ciò determina i costi che l'imprenditore è disposto a sostenere per produrlo e trarne un utile. Alla base del "principio generale dei costi" c’è l’unità marginale. Quante automobili produrrà un imprenditore? Le decisioni in economia sono sempre incrementali, ogni unità aggiuntiva di fattori produttivi (ora lavoro, un computer, ecc), ha un costo. Si produce fin dove il costo marginale, il costo cioè dell’ultima unità prodotta, e il ricavo marginale, il ricavo dell’ultima unità venduta, tendono a essere uguali. La legge dell'utilità marginale quindi spiega quale è e come si determina il valore soggettivo di una qualunque unità di un bene rilevante, e perfettamente intercambiabile, per un attore nel contesto di una sua azione: il valore di ogni unità a disposizione dell'attore è determinata da quella dell'ultima unità in ordine di importanza nella sua scala valorativa. E' in altre parole il valore dell'unità meno importante a disposizione dell'attore a dare valore a tutte le altre. La legge dell'utilità marginale non è una legge della sazietà, non è una legge psicologica o sperimentale. E' una legge prasseologica, apodittica, fa parte della logica dell'azione umana. L'utilità (e quindi il valore) di un bicchiere d'acqua non è la stessa in riva a un fiume o nel mezzo del deserto. Su di un isola deserta, dopo una settimana di digiuno e poca acqua, preferiresti un bancale di cibi e bevande o una valigia con 1 milione di euro? L'ultima unità rilevante per il soggetto nel contesto di una sua azione, sempre che sia perfettamente intercambiabile, è quella che dà valore a tutte le altre unità, indipendentemente dalla sazietà o considerazioni di tipo psicologico. Perciò ciascuno di noi valorizza in maniera molto bassa il prodotto del proprio lavoro in cui si è specializzato ("vantaggio comparato"). Ha quindi interesse a scambiarlo con chi lo valorizza in maniera più alta. Questo differenziale di valorizzazioni costituisce una forza che porta gli individui a scambiarsi i prodotti, e la società è proprio il risultato della complessissima rete di scambi che sorge in virtù di questa spinta. Grazie alla specializzazione del lavoro, le unità prodotte dal venditori hanno un valore soggettivo talmente basso, che la rilevanza effettiva è solo quella del compratore, cioè del compratore marginale. Il compratore marginale è l'ultima persona a entrare in un panificio prima della chiusura acquistando un ulteriore unità di un bene i cui esemplari rimasti andranno buttati via poiché deperibili. Difatti per quanto possa sembra paradossale, in economia sono sempre gli ultimi attori, i meno interessati, a determinare il valore di tutto il resto. La legge dice che esiste una proporzione ottima di fattori di produzione per produrre i beni di consumo. Gli scambi avvengono sulla base di principi morali e giuridici, e danno luogo alla formazione di prezzi. Il motore di tutto ciò, come abbiamo visto, è la funzione imprenditoriale che crea, trasmette e coordina. Le equazioni dei prezzi permettono di determinare, dati un certo saggio salariale e data una certa matrice dei coefficienti tecnici, i prezzi relativi e il saggio di profitto. Partendo dall’equazione del prezzo del bene di consumo (aggregato) si può inoltre facilmente ricavare che il salario in termini reali è funzione inversa del saggio di profitto. Ciò si ricava soprattutto dal modello neoclassico di crescita equilibrata di Hicks (che contiene le equazioni dei prezzi). Tutto questo in teoria. Nella realtà invece, la composizione organica del capitale è diversa da settore a settore, ma uguale in tutte le aziende e in tutti i settori ("teoria dell'equilibrio economico generale"). Sotto questo punto di vista è possibile anche calcolare in maniera pressoché esatta (ma pur sempre realmente teorica) quanta parte del prodotto (PIL) sia dovuta al lavoro, quanta al capitale, e quanta al progresso tecnico (come residuo del calcolo dei primi due). Tuttavia i fattori esogeni implicano che “non si può determinare […] endogenamente il saggio di sviluppo indipendentemente dalla distribuzione” (Vittorio Valli, “Politica economica”). Questo fa si che i prezzi relativi non si possano determinare in generale se non ipotizzando che il saggio di salario (o il saggio di profitto) sia esogenamente dato. Ciò farebbe cadere i legami fra teoria della produzione (aggregata) e teoria della distribuzione stabiliti dalla teoria marginalistica. Secondo essa difatti si potrebbe dare una spiegazione endogena della distribuzione facendo coincidere in equilibrio i saggi di profitto e di salario con i valori della produttività marginali del capitale e del lavoro (si consideri che i fattori esogeni cioè le esternalità possono essere ad esempio legislative). Un punto sul quale i mutualisti hanno visto giusto in relazione al salario minimo è che se lo Stato non intervenisse, le leggi economiche assicurerebbero agli individui l’ottenimento di proventi esattamente proporzionati alla quantità di lavoro offerta (ovviamente ciò vale per il "salario naturale", non per le frazioni salariali superiori determinate dalle rispettive capacità peculiari dei singoli individui, "salari di efficienza"). Secondo Amartya Sen le attribuzioni avvengono per assegnazione-distribuzione dei diritti di accesso ad un prodotto. Per vedere come ciò accada analizziamo la definizione di saggio di plusvalore (rapporto plusvalore / capitale variabile ovvero lavoro) e di saggio di profitto (rapporto plusvalore / capitale variabile + capitale costante). Come abbiamo visto per Marx il saggio di plusvalore è funzione esclusivamente del lavoro diretto impiegato (il capitale costante non fa altro che trasmettere il proprio valore al prodotto senza creare alcun valore aggiuntivo, da cui viene da lui considerato "lavoro incorporato" nel valore dei beni), mentre il saggio di profitto è funzione dell’intero capitale impiegato (costante e variabile). Ora, il saggio di plusvalore tenderebbe, secondo Marx, ad essere uguale, in un mercato di concorrenza perfetta, in tutti i settori produttivi e fra tutte le aziende di ciascun settore. Ma come sappiamo questa è un ipotesi solo parzialmente dimostrata da Marx, e completamente surreale nella realtà. Essa presumerebbe l’ipotesi di una concorrenza perfetta e una perfetta mobilità e omogeneità del mercato del lavoro (cosa inesistente), che presumerebbe conseguentemente un’unificazione dei saggi salariali. Ma essa dipende anche dalla scelta tecnica dei diversi capitalisti, nonché da esternalità varie. Anche il saggio di profitto tenderebbe ad uguagliarsi tra tutte le industrie, ma dato che la composizione organica del capitale non è la stessa tra tutte, vi sarà sempre una contraddittorietà fra uguaglianza dei saggi di plusvalore e uguaglianza dei saggi di profitto. Anche in questo caso la differenza non è data dalla logica matematica che potrebbe anche giustificare la teoria di Marx, ma dalle esternalità che solo esse fungono da barriera al ristabilimento di un meccanismo matematico perfetto. E' proprio eliminando questi empasse che alterano il fluire dell'economia che si può e si deve ristabilire un ordine naturale-matematico. La "caduta tendenziale del saggio di profitto" è una fantasia, e la teoria del plusvalore è ridicola perché c'è uno che vende lavoro a chi lo compra e c'è un altro che vende prodotti a chi li compra, e ognuno dei due guadagna quello che riesce a contrattare (legge domanda / offerta). Consideriamo per semplicità due fattori di produzione A e B, terra e lavoro. Attenzione, il lavoro non è un solo fattore di produzione, si tratta di una definizione ingannevole, in realtà ci sono diversi tipi di lavoro distinti, ci sono mille fattori di produzioni lavoro. Questa volta ne utilizziamo uno solo, come se tutti i fattori lavoro fossero omogenei tra loro, ma solo a fini esemplificativi. La realtà è ben diversa. A è un fattore fisso, ad es. un appezzamento di terra, e B un fattore variabile, di cui se ne possono utilizzare differenti unità, ad esempio un'ora lavoro o un lavoratore. La legge dice che supponendo A fisso, e variando il fattore B, la produzione finale (ad esempio patate) cresce all'inizio più che proporzionalmente, fino a un punto dove l'incremento diventa meno che proporzionale, cioè la curva produttiva diventa da concava a convessa, e ad un certo punto può anche cominciare a decrescere. Ancora attenzione, non si tratta di una legge tecnologica, come per semplicità si può aver inteso in questo esempio. La legge è universalmente valida, ancora una volta essa è implicita prasseologicamente nella logica di fine e mezzi dell'essere umano che agisce. Ne dimostriamo la validità sensu contrario, cioè vediamo che succederebbe se non fosse vera. Se non ci esistesse un punto di ottimo, la crescita continuerebbe a essere più che proporzionale, e la curva proseguirebbe fino al cielo. In altre parole potremmo conseguire una produzione illimitata di patate aumentando il numero di ore lavoro o lavoratori. Vorrebbe dire altresì che l'appezzamento di terra avrebbe una capacità produttività illimitata, tale da renderlo un bene libero, non un bene economico. A sua volta ciò implicherebbe l'assenza di qualunque problema economico. Ma un ettaro di terra quella quantità massima di piante di patata permette di far crescere! Un bene si produce combinando fattori (terra, lavoro, fresatrici, carbone) secondo una tecnologia data, ognuno dei quali ha un prezzo. La teoria marxiana in merito non spiega nulla. Ad esempio non spiega i prezzi, e rimane imbarazzata a filosofeggiare di valore d'uso e valore di scambio senza determinare da dove viene uno e da dove viene l'altro. Che poi se fosse oggettiva andrebbe anche bene. Il problema è che è una teoria che l'oggettivo NON lo spiega, perché non riesce a determinare i prezzi. Citando Samuelson: "la teoria marxiana della trasformazione dei valori in prezzi è la seguente: scrivo le equazioni dei valori. Le cancello. Scrivo le equazioni dei prezzi". La teoria è piena di contraddizioni e ragionamenti circolari, non ha né capo né coda. Cosa determina il valore del lavoro? Il costo. E cosa determina i costi? Il lavoro! In realtà il costo è un valore soggettivo. C'è chi paga per ottenere un cane, e c'è chi terrebbe un cane solo dietro pagamento: la teoria di Marx come lo spiega?

"Il socialismo marxista rimarrà sempre un fenomeno per gli storici dell'Opinione: come abbia potuto una dottrina così illogica e così stupida esercitare un'influenza così potente e duratura sulle menti degli uomini, e, attraverso loro, sugli eventi della storia" (John Maynard Keynes)

A differenza di quanto sostiene Marx, non sono i negozianti a decidere i prezzi ed i padroni a decidere i salari, ma è il mercato. Loro possono farli variare in determinati ambiti circoscritti ma sempre ubbidendo inconsapevolmente a precise “leggi di mercato” (“teoria dei salari di efficienza”, ad esempio) che li fanno sempre ruotare attorno alla perfezione matematica, che non è un concetto astratto ma è derivata da “modelli” . L’economia in quanto fondamentalmente scienza esatta si regola essa stessa da sé tramite “leggi” fondamentali. Ad esempio, il rapporto tra prodotto interno lordo, moneta circolante, e velocità di circolazione della moneta, è costante ed ognuno di essi è calcolabile conoscendo due di questi fattori (“equazione dello scambio”). Anche quando variabili, le leggi sono sempre fissate su precisi parametri: “differenziale del PIL” e disoccupazione vanno sempre di pari passo, ad ogni punto percentuale di PIL nominale in meno rispetto al PIL potenziale corrisponde meno di un punto percentuale di disoccupazione in più. Ciò è acclarato; non perché l’abbia deciso qualcuno, ma perché avviene spontaneamente, come mosso da una mano invisibile. In particolare la legge appena esposta non l’ha stabilità Arthur Okun; egli l’ha solo constatata. Che poi ci siano anche delle variabili circoscritte (“microeconomia”) è normale e previsto, ma le leggi fondamentali sono matematiche, e si è quindi in grado di prevederne gli effetti (“macroeconomia”); ogni variabile ha un effetto (in positivo o in negativo) su tutte le altre variabili secondo leggi ben precise, dando alla fine i risultati esatti; a meno, come detto, di draconiani interventi dirigisti invariabilmente deleteri nei risultati. Così anche nell’immaginare un sistema economico diverso non ci sarebbe nulla di ignoto, ma le leggi che lo regolerebbero possono essere già oggi note, ed anche se ancora inesplorate dall’uomo comunque valide nell’atto pratico. Quelle oggi riconosciute non lo sono per volontà divina, ma perché constatate da studiosi. Certo non si può pretendere che ai tempi di Marx o di Lenin fosse assodata la comprensione di ciò. Ma il fatto che oggi, nonostante tutte le cognizioni e le esperienze accumulate, ci siano ancora seguaci fanatici di quella che nel tempo è via via diventata un’irrazionale e dogmatica religione, comprensiva di litanie, riti, guerre sante, infedeli, neologismi, tabù, libri sacri, santi, “verità” imperscrutabili, non può altro che confermarne la qualifica di “disturbo psicologico”, e sconvolgere un adolescente odierno quando viene a conoscenza per la prima volta nella sua vita della persistente sussistenza di questa isteria di massa. Anche se ultimamente essa si è parzialmente sviata dal comunismo ed incanalata nell’irrazionale e generalizzato astio misantropico-narcisistico dei centri sociali, rimasti “orfani” dell’ideologia-guida marxista.

“Il comunismo non è altro che l'intellettuale moderno al potere, convinto di saper convertire in realtà il mito che il suo cervello, sradicato dalla realtà, ha concepito in un mondo di cui egli è il solo autore” (Marcel de Corte)

Ogni azione verso un fine significa rinuncia, si rinuncia simultaneamente a perseguire altri fini. I costi sono dunque quell'insieme di valori soggettivi che attribuiamo a quei fini cui stiamo rinunciando. In economia neoclassica si parla di costo opportunità. La differenza però ancora una volta sta nella soggettività del costo, rappresentata dalle alternative, valorizzate in maniera soggettiva. I mezzi sono soggettivamente scarsi. Se non sono ritenuti scarsi dal soggetto, non vengono presi in considerazione nell'atto di agire. Quando soggettivamente il bene diventa scarso, si trasforma in un mezzo. Si mette in moto l'azione umana e la creatività imprenditoriale. Per questo Marx successivamente abbandonò l’ipotesi, nonostante essa fosse partita da un fondamento logico. Anche l'asserzione che il risparmio dipenda dal reddito non è totalmente esatta. In realtà vi è un equilibrio spontaneo e invariabilmente statico (sentiero harrodiano di equilibrio) che li ancora uno all’altro ceteris paribus. La piena occupazione viene meno solo quando si esce da questo sentiero di equilibrio, dovendo in tal caso effettuare una scelta definita "grande trade off tra disoccupazione e inflazione" ("knife edge", filo del rasoio harrodiano) dove sopra o sotto vi è l'"instabilità harrodiana". Il filo del rasoio è equivalente al saggio di sviluppo garantito, e si ha un trade off quando quando il saggio di sviluppo effettivo è diverso da quello garantito. Il saggio di sviluppo effettivo può stare sopra o sotto. Il saggio di sviluppo naturale è il massimo raggiungibile (piena occupazione). In tal caso la posizione di quello naturale fa uscire dalla knife edge e si ha l’instabilità harrodiana. Quando il saggio di sviluppo effettivo è inferiore a quello garantito si ha la disoccupazione keynesiana (potenzialità inespresse nei confronti delle possibilità di investimento), mentre il knife edge si raggiunge quando i saggi di sviluppo garantito, effettivo, e naturale sono sulla stessa linea, e quando tasso di crescita garantito è uguale a tasso di crescita naturale si ha lo stato stazionario. A portare all'alterazione di questi equilibri è l'apposizione di imposte (anche sotto forma di "contributi") sul lavoro, e di conseguenza i lavoratori ad essere costretti ad esigere un maggior corrispettivo rispetto a quanto al netto dell'"accisa" (imposte + contributi) potrebbe matematicamente permettersi (non solo non avendovi utile, ma perfino potendo andare in perdita!), a cui chi paga i salari non può far altro che rispondere alzando i prezzi dei suoi prodotti, essendo divenuto il prezzo l'unico strumento nelle sue mani (e non è difficile immaginare cosa accada quando anche questo gli viene tolto...). Non sono concause, sono le UNICHE cause, e non è una cosa opinabile ma una legge matematica. Se si mette un accisa su un prodotto (in questo caso imposte e contributi sul lavoro) se ne causa il disincentivo. Un dipendente che costa 1.000 euro di salario + 1.000 euro di accisa, non credete che dividendola per metà al dipendente e metà al datore (anche se nella realtà non sarebbe esattamente così, ma lo vedremo più avanti) la situazione cambierebbe, o credete resterebbe tutto uguale a oggi? Ecco cosa accadrebbe se quell'accisa del 50% venisse abolita: la disoccupazione come intesa oggi scomparirebbe, resterebbe solo quella volontaria, quella temporanea, e quella per motivi psico-sociali (incollocabilità), questa non è un opinione, è una LEGGE MATEMATICA che si trova in qualunque banale testo scolastico di economia. Se per legge si impone agli imprenditori di pagare ai lavoratori la stessa retribuzione a fronte di un monte ore inferiore o una maggiore retribuzione a fronte dello stesso orario, cosa succede? Quali sono gli effetti economici immediati? Semplice: la produzione diminuisce mentre il costo della prestazione lavorativa aumenta. E questo a cosa porta? A una diminuzione del benessere (o un aumento della povertà) e a un tasso di disoccupazione più elevato. Ricordiamoci che al lavoratore si paga sempre il valore marginale della produzione. Se per legge si fissa un valore troppo alto gli effetti sono quelli appena esaminati. Ma le conseguenze negative non finiscono qua. A causa del provvedimento si innesca una serie consecutiva di effetti perniciosi: i beni prodotti sul territorio nazionale diventano più cari, cioè il loro prezzo aumenta, questo porta ad esportare meno, e ad importare di più quei beni analoghi che all'estero vengono prodotti a costo inferiore. Le imprese locali entrano in crisi. Si cerca una soluzione. L'ignoranza economica la offre subito: impedire ai consumatori di comprare i beni stranieri tramite l'imposizione di dazi! Quindi danno su danno. La logica interventista richiede sempre una soluzione interventista ulteriore, che produce danni ulteriori, in una stratificazione progressiva, dalla quale spesso è difficile uscire o tornare indietro. La disoccupazione è frutto di un salario minimo imposto per legge, su questo dato di fatto matematico non esiste alcuna possibilità di discussione. Ma come conseguenza della disoccupazione sorge anche il fenomeno delle raccomandazioni, dove viene assunto non chi ha merito, ma chi ha influenza per farsi assumere. Tutti a gridare quanto sia ingiusto un sistema basato sulle raccomandazioni, senza arrivare a capire che esso è causato dall'interventismo statale. No, la soluzione non è quella di intervenire. La soluzione è sempre quella di rimuovere prezzi minimi e massimi, di lasciare gli imprenditori e i consumatori al libero mercato. La disoccupazione sparisce solo eliminando il salario minimo. Però politicamente non si fa, così come non si rimuovono gli aiuti ai contadini e tutti gli altri privilegi concessi a ciascun settore economico. I provvedimenti di rimozione dei privilegi sono impopolari, provocano scioperi, proteste, fanno perdere voti. Vediamo pertanto come la democrazia così impostata generi di continuo tutti gli incentivi più perversi per attuare misure economicamente sbagliate e irrealizzabili sui quali per porvi rimedio essa non può trovare altra soluzione che mettere bombe sui treni! Mica si può andare contro ai voleri dell'opinione pubblica per quanto imbecille essa sia, no? Eresia! Per cui bisogna "instradarla" col terrore, che sia una bomba messa appositamente o che sia l'ingigantimento propagandistico ben oltre ogni limite di decenza immaginabile di un banale incidente (vedi Cernobil...). Ma dopotutto si sta parlando di quella società nella quale viene causato un incidente nucleare, per quanto fittizio, allo scopo di pubblicizzare un filmetto ("La sindrome cinese", uscito, guarda un pò che curiosa fatalità, giusto pochi giorni dopo l'incidente di Tree Mile Island descritto proprio nel film in questione...). E se si pensa si tratti di un puro caso, fatto analogo avvenne in occasione dell'uscita del film "Ebola": fatalità, guarda un pò, un epidemia del virus in questione... tutto ciò ha perfino un nome: "guerrilla marketing".

"Come uomini razionali...dovremmo preoccuparci solo di manipolare il comportamento in una direzione desiderabile, e di non farci ingannare da mistiche idee di libertà, esigenze individuali o volontà popolare" (Noam Chomsky)

"La manipolazione ha sostituito l'autorità" (Charles Wright Mills)

Ogni volta che ci troviamo di fronte a un prezzo imposto dal governo maggiore di quello che si formerebbe sul mercato si verifica un problema di eccesso di produzione del bene che rimane invenduto. Se si fissa il prezzo di un bene a 20 euro anzi che a 10 tutti producono quel qualcosa senza riuscire a venderlo. Mutatis mutandis, se lo stato fissa un salario minimo troppo alto, c'è troppa gente che vuole lavorare ma che non trova lavoro. I mandati amministrativi di fatto impediscono a tutti di trovare un lavoro. A rimetterci sono i giovani, le parti più deboli, tutti coloro disposti a lavorare a salari inferiori a quelli minimi fissati per decreto. Chi è il loro nemico? I sindacati e le pressioni sindacali per mantenere i salari troppo alti fanno il resto contribuendo a tenere alta la disoccupazione. Ecco chi è il nemico dei soggetti deboli. Il mercato del lavoro in Europa è storicamente troppo rigido ed è condizionato da troppe regolamentazioni. Le imposte sul reddito sono come il cane che si morde la coda o segare il ramo su cui si è seduti: più vengono alzate e più disoccupati ci saranno e di conseguenza meno introiti porteranno. In economia esiste un grafico (curva di Laffer) che illustra come esista un punto ideale di imposte, oltre al quale un ulteriore aumento non porta ad un aumento di introiti ma bensì ad una diminuzione. Le imposte e i contributi, che gravano sul lavoro come un accisa ne aumentano il costo e determinano necessariamente l'aumento pure del salario (così si ha pure l'accisa sull'accisa!) impedendo ai datori di assumere ulteriori persone per svolgere ruoli magari superflui ma che almeno verrebbero svolti impiegando persone, oppure di suddividere i medesimi lavori tra più persone quindi con orari più ridotti per ciascuno. Queste accise determinano lo spostamento delle curve creando l'area di "perdita secca" che non è un concetto vago ma è indice del numero di disoccupati ovvero risorsa non sfruttata ma sprecata. Ma se l'inutilizzo di un filone metallifero rimane fine a sé stesso e quindi è tollerabile, le persone non si possono spegnere come le macchine, l'inutilizzo di una persona determina che questa persona non avrà un reddito per sopravvivere! Per chi non comprenda il significato, riassumo in parole povere: senza imposte sui redditi (ed in particolare quelle sul lavoro, di cui tra l'altro nemmeno si comprende la necessità poi... ma perché vengono ritenute proprio così essenziali????) ogni parametro sarebbe automaticamente in equilibrio, il sistema raggiungerebbe la sua perfezione, semplicemente la perfezione, una perfezione che non potrebbe essere minimamente alterata dall'esistenza di imposte fisse in quanto neutre per definizione stessa. Una perfezione nella quale barbone o maggiordomo sarebbe solo una scelta personale. Cosa che con l'attuale politica economica determinata dall'ignoranza generale sulla matematica economica è del tutto impossibile pretendere. Ripeto: le imposte sul lavoro sono veramente così inderogabilmente necessarie all'erario (essendo questa l'unica motivazione di esse)????? Si consideri che nel marzo 1955 alla sconfitta della Cgil alle elezioni interne Fiat seguì il boom della produzione ed il crollo dei prezzi al consumatore. Viene da chiedersi: se "i salari sono una variabile indipendente", perché allora non 1 miliardo al mese? Se sono variabili indipendenti non vedo il problema no?

“E’ indispensabile che i sindacati considerino i salari una variabile indipendente dagli altri fattori della produzione” (Luigi Macario, Cisl, 1969)

I sindacati seguono la politica del premio ai più bassi gradi della società, sui quali "riforma" i salari di tutti insinuando la convinzione negli operatori pubblici e privati che non valga la pena di gareggiare con il cervello per ideare una migliore società. Questo stato di cose è il grigiore di una vita senza ambizioni, senza senso di personalità, senza vera libertà. La vera riforma è la qualità del lavoro con indicizzazioni diverse per spronare verso traguardi sempre più elevati nella società che è la nazione, l'uomo, la civiltà. Il salario è un costo come quello di una merce, ed in quanto tale ha un suo prezzo esatto rispetto a quello di tutte le altre merci (“le merci si pagano con merci”, legge di Say). Eliminando il plusvalore ovvero distribuendolo e quindi aumentando ceteris paribus i salari, automaticamente aumenterebbe la propensione all’acquisto e con essa la “domanda”, e quindi di pari misura (nel lungo periodo) i prezzi, annullando di fatto ogni ipotetico aumento di potere d’acquisto, ed avviando una spirale inflazionistica. In definitiva il plusvalore è un adattamento spontaneo ed inevitabile del mercato, non un “aberrazione disonesta” creata dal padrone. Il plusvalore viene in modo automatico suddiviso da una “mano invisibile” a formare una piramide perfetta, determinandola congiuntamente ai “salari di efficienza”. Come già spiegato col “modello di Walras”, il plusvalore altro non è se non quanto l’unità produttiva riesca a risparmiare nel processo di produzione. Non è qualcosa di “sottratto”, ma qualcosa di “creato”. Quindi vi è sempre una potenziale differenza nella creazione di plusvalore a seconda della produzione. A parità di capacità (“capitale umano”), non si vede motivo per cui il lavoro di uno dovrebbe valere molto di più di quello di un altro. Un addetto a macchine robotizzate in un azienda ad alto coefficiente tecnologico produrrà più plusvalore rispetto ad un manovale in un azienda artigianale, per una migliore “funzione di produzione aggregata” (produttività + stato della tecnologia + capitale fisico + capitale umano per occupato); i costi di scala decrescenti sono solo una conseguenza di ciò. Se un azienda ha un alto coefficiente tecnologico è grazie all’impiego dei capitali accumulati precedentemente, dal proprietario, tramite l’“appropriazione” del plusvalore. Secondo Marx, la sostituzione della manodopera umana con quella tecnologica avrebbe portato come risultato tendenziale del processo produttivo un saggio di profitto sempre minore (“caduta tendenziale del saggio di profitto”), immaginando che il padrone non avrebbe più potuto “sottrarre” il plusvalore agli operai. Questo denota come Marx manchi totalmente di “orientamento alla produzione” e consideri il denaro come “entità assoluta” dell’economia: caratteristica tipica della filosofia ebraica delle merci come numeri fini a se stessi anziché come beni fisici (ma i numeri sono infiniti, le risorse no); ironico è che fosse egli stesso un imprenditore capitalista. Anche la persona più immatura capirebbe che sostituendo un operaio con un macchinario, il proprietario potrebbe trattenere non solo il plusvalore, ma addirittura tutto lo stipendio che prima andava all’operaio! A fronte di una spesa minima per la gestione e la manutenzione, l’imprenditore accumulerebbe ancora più plusvalore da utilizzare per acquistare ulteriori nuovi macchinari. Oppure, concorrenzialmente, ridurre i prezzi, a vantaggio di tutti i consumatori. Ma non serve inoltrarsi in inutili analisi, visto che questo concetto di Marx è già stato ampiamente confutato da Nobuo Okishio nel suo semplice teorema. Piuttosto per spiegare meglio si può considerare un esempio basato sulla teoria economica dell’orientamento all’offerta: i supermercati hanno oggettivamente prezzi più convenienti rispetto ai negozi. Limitando invece il raffronto tra supermercati/supermercati, o negozi/negozi è logico che la convenienza dei prezzi al consumatore si equivalga. Conseguentemente quando c’erano solo negozi questa convenienza era tutta implicitamente sullo stesso piano, e quindi allora i negozi erano più convenienti rispetto ad oggi che ci sono anche i supermercati. Ma alla fine non sono i supermercati ad essere divenuti più convenienti, bensì i negozi ad esserlo meno, in quanto secondo il modello di domanda/offerta “disponibilità a pagare” (è il prezzo massimo a cui un compratore è disposto all’acquisto; La differenza tra esso ed il prezzo effettivo è nota come "rendita del consumatore" od anche "surplus del consumatore") e prezzi sono sempre proporzionali tra loro sul prezzo di equilibrio derivato dall’intersezione delle curve di domanda ed offerta, e i prezzi inferiori dei supermercati portano conseguentemente alla riduzione del costo del lavoro (e quindi dei salari reali) per la compensazione data dall’“effetto reddito”. Quindi, escludendo le variazioni del PIL, il reale potere d’acquisto generale rispetto a quando i supermercati non c’erano è il medesimo, perché le leggi che analizzano i costi di produzione confermano che il quoziente di produttività del capitale e la produttività marginale del lavoro rimangono i medesimi, “ceteris paribus” (a parità di condizioni, ovvero nel caso di questo esempio senza tener conto di tutti gli altri parametri che determinano l’“economia di scala”, che invece nel raffronto liberismo/distributismo rimangono anch’essi immutati). Il potere d’acquisto in questi casi aumenta solo all’aumentare della produzione (PIL); se oggi si ha l’impressione di averlo maggiore rispetto a 40 anni fa è solo per l’aumento del PIL, determinato comunque anche dall’aumento di produttività del sistema logistico dei supermercati (“economia di scala a rendimento crescente” ovvero a “costi decrescenti”), ma questo esula dal nostro discorso in quanto basato sulla teorica “parità di condizioni”, e da questo punto di vista a nessuno è mai saltato in mente di predire una ipotetica diminuzione della produttività in aziende socializzate; per questo motivo gli altri parametri “ceteris paribus” della frase precedente vengono definiti “immutati”. A tale specificazione si è ritenuto usare il termine “convenienza” riferito solo ai prezzi al consumatore, e non “efficienza” che sarebbe stato convenzionale ma equivocabile con “produttività”.

"Il problema della disoccupazione è, in sostanza, un fallimento di lavoratori e di imprese (che cercano di fare ognuno i propri interessi) nel coordinare le loro azioni in vista di raggiungere benefici comuni con lo scambio. In questo senso la disoccupazione assume un aspetto involontario (non naturale) e quindi la sua correzione richiede l’intervento di un agente fuori mercato come può essere il governo" (R. P. Inman, “Manuale dell’economia pubblica”)

Di conseguenza la politica economica è spesso costretta a stabilire coi sindacati dei contratti collettivi su salari minimi fissati a cui i padroni devono attenersi, e ciò provoca lo squilibrio del flusso circolare dell’economia, con risoluzione in aumento artificiale (cioè non determinato da leggi naturali) del costo del lavoro, e conseguentemente disoccupazione e/o inflazione. Si ha un tipico esempio di “fallimento del mercato”, impedendo il raggiungimento di un “ottimo paretiano ” dei redditi e provocando lo scompenso verificato dalla “legge di Okun”. Se invece si aumenta artificialmente la quantità di lavoratori salariati bisognerà diminuire l’orario di lavoro e di conseguenza la cifra del RN (reddito nazionale) disponibile ai salari dovrà essere suddivisa tra più persone; oppure se diminuisce il PIL una minore cifra dovrà essere suddivisa tra lo stesso numero di persone. Lo stratagemma ideato dalla politica in questi casi è la “cassa integrazione”, un metodo per suddividere ugualmente le cifre disponibili tra più persone (anche indirettamente con un maggiore prelievo fiscale su tutti i redditi), ma “senza dirlo in giro”! Come si può intuire da ciò, la “cassa integrazione” si rivela solo un demagogico “placebo”. Se il lavoro non fosse più un costo fisso (ossia se non ci fossero più masse di lavoratori sindacalizzati a richiedere un salario minimo fisso) l’aspettativa di guadagno si dovrebbe adeguare al reddito aziendale derivato dal commercio della produzione (sia tangibile che finanziaria) in quanto non più vincolata al lavoro quantificato come costo fisso orario dal mercato dei fattori, il tutto secondo il cosiddetto “effetto Pigou”. La cifra data dalla produzione aggregata (PNL) e disponibile alla spesa (reddito personale aggregato) verrebbe automaticamente suddivisa tra tutti i lavoratori a seconda della disponibilità di questa, e non a seconda delle pretese minime di ognuno. In caso di calo autonomo della domanda di beni l’unica possibilità per una singola azienda sarebbe variare i turni di lavoro interni. Si potrebbe incentivare l’utilizzazione di questa per migliorare la qualità del capitale fisico con la manutenzione, oppure del capitale umano tramite l’acculturazione. Le variazioni autonome dei fattori sono comunque sempre molto marginali, mentre quelle indotte sono maggiori ma sono la conseguenza e non la causa di una variazione degli altri fattori. La scomparsa dei tassi di disoccupazione oggi necessari come mezzo di contenimento del costo del lavoro, assieme all’applicazione del sistema fiscale monetario in luogo di quello reddituale, consentirebbe di creare il perfetto “equilibrio generale macroeconomico” tra il “Modello AD-AS” e il “Modello IS-LM” di John Maynard Keynes eliminando i guasti illustrati dalla “curva di Phillips” e dalla “legge di Okun” (secondo cui il rapporto tra differenziale del PIL e disoccupazione è costante), portando il PIL perennemente al suo livello potenziale a parità di produttività del lavoro, ed ad una concorrenza di tipo autocompensante tra le aziende, la quale sarebbe sia causa che effetto di una razionalizzazione reddituale e patrimoniale. Per cui settori produttivi nei quali le aziende registrino profitti verrebbero immediatamente colmati da nuove aziende (“teoria dell’equilibrio economico generale”), che riporterebbero ogni utile aziendale perennemente all’equilibrio di rendita. Normalmente disoccupazione ed inflazione sono in equilibrio inverso (“curva di Phillips”, analizza la relazione inversa costante che c’è tra inflazione e disoccupazione), e secondo Arthur Okun questo è “il grande trade-off”, ovvero la necessaria decisione che la politica deve prendere tra le due possibilità, ma se si cerca di forzarle entrambe artificialmente (quindi sotto il livello di PIL potenziale), il solo risultato possibile è paradossale ed è quello di aggravarle entrambe (prende il nome di “stagflazione”); è quello che è accaduto in Italia nel biennio 1979-80 a causa dell’estremizzarsi delle rivendicazioni sindacali, e che non a caso ha determinato il “canto del cigno” della stagione delle lotte operaie della “prima Repubblica”. Anche la critica marxista di stampo neo-luddista alla meccanizzazione è sbagliata per lo stesso motivo: meno operai (sostituiti dalle macchine) è uguale a meno parti in cui doversi dividere il medesimo RN. Gli operai licenziati “dai robot” sarebbero riassorbiti dal sistema secondo la “teoria dell’equilibrio economico generale ” con un conseguente aumento stesso della produttività, che garantirebbe i salari al livello “meno suddiviso” pur riportando la suddivisione precedente: ovvero salari reali pro capite più alti. La “teoria dell’equilibrio economico generale” dice che quando il numero dei disoccupati aumenta “ceteris paribus” ne deriva un cambiamento conseguente della domanda/offerta del mercato del lavoro (ribasso del costo del lavoro), e di conseguenza essendo maggiormente conveniente l’assunzione di dipendenti, un maggior numero di datori sarebbe disposto ad “acquistarli”, riportando all’equilibrio iniziale il livello di disoccupazione.

“Chi teme la disoccupazione di massa sottovaluta il capitalismo e la sua straordinaria capacità di generare nuovi posti di lavoro. Se vogliamo davvero raccogliere i frutti degli enormi progressi tecnologici in questi ultimi decenni (e di far progredire il robot), allora dobbiamo ripensare radicalmente la nostra definizione di 'lavoro'” (Rutger Bregman)

Vediamo ora di analizzare i motivi per cui vi sarebbe il pericolo che i risvolti che potrebbe provocare una liberalizzazione in assenza di un compensatore (nel nostro caso il reddito di cittadinanza) sul commercio internazionale in un sistema nel quale vi siano attori aventi sistemi diversi ed il paese che prendiamo a riferimento (il nostro) attui (ovvero mantenga l'attuale) una politica daziaria. Quando la produzione aumenta oltre il suo livello naturale (ovvero si supera l'ottimo paretiano) anche il livello dei prezzi è superiore al livello atteso dei prezzi. Questo induce chi fissa i salari a rivedere verso l’alto le sue aspettative sul livello dei prezzi, causandone un aumento effettivo. Il prezzo dei beni nazionali in termini di beni esteri è il tasso di cambio reale. Se aumenta il prezzo dei beni nazionali espresso in valuta nazionale aumenterà anche il tasso di cambio reale, quindi un aumento della produzione interna provoca un apprezzamento reale (il prezzo dei beni esteri rispetto a quelli nazionali diminuisce). Un afflusso di capitali (non un acquisto di titoli di Stato, si badi, che sono ne più ne meno che valore di una “bolla”, solo contingentemente attenuata dal loro uso come valore di scambio) determina l’aumento del volume di moneta circolante a fronte dell’invariata produzione aggregata, e quindi ne causa la svalutazione; un deflusso fa l’opposto. L’aumento di produzione interna rivaluta la moneta e quindi la apprezza all’estero, favorendo con ciò l’esportazione di beni (minore è il costo di una moneta, maggiore è la sua domanda e diffusione, “legge di Gresham”) e limitando l’importazione di beni, con tendenza all’acquisto di moneta estera ed alla vendita di quella interna, quindi acquistando piuttosto che vendendo attività finanziarie, causa ed effetto della caduta tendenziale dei tassi di interesse con conseguente tendenza al mantenimento in equilibrio della bilancia dei pagamenti. Questo perché la moneta forte tutti vogliono riceverla ma nessuno vuole cederla; la moneta debole tutti vogliono cederla ma nessuno vuole riceverla. Vi chiederete perché qualcuno utilizza monete forti anzichè deboli... per lo stesso motivo per cui chi può permetterselo compra una Ferrari anzichè una Panda. Ma si tenga presente che la fluttuabilità del reddito di cittadinanza (ed altri analoghi parametri che vedremo più avanti) comporta l’adeguamento del volume di moneta assecondando pienamente l’aumento o la diminuzione di produzione, contribuendo a ridimensionare gli sbalzi. Quindi non è ragionevole limitare artificialmente l’esportazione di liquidità. Tentativi artificiali di stabilizzazione portano solo a drogare l’economia, facendo aumentare i tassi di interesse e spiazzando la spesa per investimenti che sia sensibile ad essi. Il ragionamento fatto ha come fine solo l’analisi per quel che riguarda l’economia nazionale, mentre per quanto riguarda l’economia internazionale esiste già il tasso variabile di cambio tra le monete dei diversi paesi che verrebbe a riequilibrare automaticamente l’eventuale disparità di valore delle merci (“potere di acquisto internazionale”) tra i due paesi (“teoria della parità dei poteri di acquisto”: in un economia globale priva di barriere artificiali ogni unità monetaria ha lo stesso potere d’acquisto in ogni paese; le variazioni di prezzi e redditi si scaricano su una pari variazione del tasso di cambio tra le monete). Ciò compenserebbe ogni ipotetica variazione, mantenendo l'equilibrio dei bilanci sugli stessi livelli. Indi anche in questo caso ogni possibile critica è smentita preventivamente. I ricardiani stessi ammettono che “i movimenti internazionali di beni e capitali garantiscono un uso efficiente delle risorse”, a differenza dei mercantilisti che sostenevano che un aumento della moneta circolante avrebbe portato ad un aumento delle transazioni e non dei prezzi. La keynesiana “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta” corregge parzialmente il concetto neoclassico che “la propensione al risparmio è determinata dal livello del saggio di interesse”, sostenendo che le forzature si ripercuotano solo sul “moltiplicatore” e quindi sulla domanda; il tasso di interesse quindi non agisce da sé sull’equilibrio tra risparmio ed investimento, ma sulla domanda di moneta; dato che domanda ed offerta di moneta per investimento tendono ad equilibrarsi sulla variazione dei tassi, ne consegue che la necessità interna sarà sempre appagata, in quanto, quando in surplus di domanda (e quindi tendenziale aumento dei tassi) attirerà attività, cioè acquisterà passività, e quando in surplus di offerta (ovvero tendenziale diminuzione dei tassi) essa troverà sfogo all’estero nell’acquisto di attività, regolato dalle percezioni dei costi di opportunità. Il valore di una moneta si basa sul paragone (quotazione) rispetto a tutte le altre monete nel mercato internazionale; c'è un episodio in particolare che permette di capire in modo semplice cosa dà valore ad una moneta: il 3 dicembre 1919 si verificò la rovinosa caduta del rublo siberiano; essa indicò la definitiva perdita di fiducia internazionale su una ancora possibile vittoria dei "bianchi". Molti degli argomenti portati dai sovranisti considerano il problema dei commerci internazionali secondo la visione ricardiana. Per questa visione contano solo gli scambi commerciali. Le visioni più moderne, invece, considerano anche le problematiche finanziarie, per le quali sono importantissime le aspettative. Se sei integrato in un'area economica grande con un'unica moneta, puoi usare una moneta che da maggiore fiducia al di là della tua forza commerciale. E' questa la ragione per la quale gli USA sono in deficit commerciale continuo ormai da 30 anni, ed usano questo deficit per crescere più degli altri paesi, senza pagare un prezzo in termini di svalutazione. L'UE in prospettiva potrebbe godere gli stessi livelli di vantaggio, e in realtà li sta già godendo, se Draghi con il QE ha potuto abbassare i tassi quasi a 0 questo è effetto di un sistema finanziario che è disposto a caricarsi di grandi quantità di euro senza farne crollare il valore rispetto alle altre monete. E' poi anche vero che non si può dire che l'economia Italiana non sia competitiva, visto che ha chiuso il 2016 con il più alto attivo della storia di queste rilevazioni, ciononostante, in caso di un'uscita dell'Italia dall'euro, pur se competitiva, la nostra economia si troverebbe in seri problemi per effetto dei meccanismi finanziari (in prima istanza dovrebbe restituire alla BCE circa 500 miliardi di euro di titoli italiani che sono stati acquisiti per effetto del QE, e semplicemente questi soldi non li ha). In realtà il QE ha creato tra i paesi euro un rapporto talmente vincolante che chiunque andasse al governo non riuscirebbe a romperlo, e volerne uscire non potrebbe risolversi altro che in un aggressione atta ad impedirlo, sotto qualunque forma tale aggressione si presenti (ergo: anche una terza guerra mondiale). Sulla base della “teoria quantitativa della moneta”, ed in particolare delle tesi di David Hume, non sempre gli stati desiderano che la bilancia commerciale sia perennemente in pareggio, e tantomeno in attivo. Ciò infatti comporta un afflusso di valuta che provoca un aumento dei prezzi interni e rende meno competitive le esportazioni. Questo è il motivo per il quale la Cina vuole mantenere basso il valore dello yuan acquisendo dollari Usa. Oltre a questo la Cina manipola la valuta e quindi i prezzi sono bassi artificialmente. Ovviamente questa è un arma a doppio taglio, e la scarsa qualità della vita dei cittadini cinesi ne è chiaro indice. Manipolare la valuta equivale ad un calo artificioso degli stipendi dei propri lavoratori.

"Spesso ci si attacca ai numeri come gli ubriachi si attaccano ai lampioni, non per farsi illuminare ma per farsi sostenere" (George Bernard Shaw)

Modificando il tasso ufficiale di sconto, al quale la banca centrale risconta i crediti cambiari concessi dalle banche, o il tasso sulle anticipazioni (che si applica ai crediti alle banche diversi dal risconto), la banca centrale può incidere sul costo che le banche devono sostenere per procurarsi moneta e quindi sul tasso di interesse che esse praticheranno ai loro clienti. La banca centrale può influenzare i livelli di tasso di interesse anche attraverso le operazioni di mercato aperto, cioè acquistando e vendendo titoli: vendere titoli significa ritirare moneta dalla circolazione e quindi far salire i tassi di interesse, e viceversa (la moneta ha influenza solo quando viene spesa, detto in parole povere); in generale ciò ha effetto sul (o è un effetto del) valore della moneta (ma su questo argomento ci ritorno più avanti nel capitolo sulla politica monetaria). I tassi di interesse si abbassano a causa di una offerta maggiore di risparmi. Il capitale si valuta a prezzi di mercato, e i tassi di interesse sono una componente fondamentale ai fini della determinazione del valore degli investimenti e dei beni di capitale. Il tasso infatti si usa per attualizzare i flussi di reddito futuro generati dal bene capitale. Il valore dei beni di capitale aumenta quando scendono i rendimenti. La riduzione dei tassi ha effetto anche sulle quotazioni di borsa, che rappresentano i beni capitali delle aziende quotate. Dire che un paese importa più di quello che esporta (o viceversa) è una stupidaggine priva di senso. E' inutile tentare di spiegare perché il valore della moneta sui mercati internazionali sia neutro ovvero perché la solita tiritera che a seconda di un valore evidentemente a loro vedere arbitrariamente imponibile ne derivi un influenza sugli scambi in un senso o nell'altro sia solo una stupidaggine, inutile insomma discutere di scambi internazionali con gente che crede che essi siano regolati da qualcosa che non sia la "mano invisibile" e che possano o perfino debbano essere fissati senza che si scarichino compensativamente su altri parametri che vadano a ripianare tale azione. I risultati delle fissazioni li possiamo vedere tutti. Il tasso di cambio è un prezzo. Se la Cina tiene fisso il prezzo, per definizione non si rivaluta. L’unico modo per cui lo yuan possa rivalutarsi è l’abbandono del cambio fisso che la Cina cerca di mantenere accumulando riserve in dollari e imponendo restrizioni alla fuoriuscita di capitali. La banca centrale ha un bilancio: nelle passività c’è la moneta nazionale, nelle attività (detto per semplificare), la moneta estera. Quando la banca centrale decide di tener fisso il tasso di cambio, non svaluta né rivaluta niente, semplicemente si impegna a cambiare yuan per dollari a quel prezzo che ha deciso. Se c’è eccesso di offerta di dollari (e oggi c’è) deve prendersi i dollari e rilasciare yuan, per pareggiare il suo bilancio. Il dollaro non può deprezzarsi nei confronti dello yuan, per il semplice fatto che la Cina non lo permette. Dunque il meccanismo sotto un regime di cambio fisso (sottovalutato) è il seguente: eccesso di offerta di dollari = creazione di yuan (con potenziale inflazione conseguente). Ma nel caso concreto non si tratta propriamente di offerta o domanda di dollari per avere yuan ma dollari per avere merci, quindi valori di merci contro valori monetari in dollari, dei quali in occidente si dubita perfino il valore reale. Mantenere artificialmente basso il valore della propria moneta equivale a voler vendere ad un prezzo inferiore al valore reale, ben più di un normale dumping (è detto dumping quando un azienda vende a clienti dedicati, per esempio all’estero, a prezzi inferiori a quanto vende ad altri, in questo esempio all’interno) facendo della Cina un paese definibile quantomeno generoso... a scapito dei propri lavoratori-schiavi. Questo è sempre stato tipico dei paesi comunisti, ed è l'ultimo retaggio evidente del comunismo in Cina. La Corea del nord lo pratica tuttora alla grande. La disparità nella distribuzione del reddito rende più conveniente acquistare, per prodotti omogenei o percepiti come tali, i prodotti cinesi; la domanda di prodotti cinesi da parte dei paesi occidentali aumenta a questo punto, dovrebbe anche aumentare la domanda di yuan. L’aumento della domanda di yuan rivaluta la moneta, riequilibrando il rapporto tra i prezzi, e per effetto feedback dovrebbero aumentare le importazioni cinesi. Tutto questo, però, non avviene per ragioni politiche, tipiche del sistema comunista. A causa di questa disparità nella distribuzione del reddito e nel sistema dei prezzi, è aumentata la domanda di beni cinesi, ma essendo pagati in dollari o in euro, il sistema dei prezzi relativi non si riequilibra. Ma se il cambio dello yuan sul dollaro non si apprezza, non è per le disparità nella distribuzione del reddito e nel sistema dei prezzi tout court. E’ perché il governo cinese così vuole (forse retaggio di una mentalità pseudo-comunista rimasta al tempo del mercantilismo), ed ha sull’economia, in particolare sulle banche, un potere tanto forte da poter realizzare ciò che vuole, a dispetto di quel che farebbe un libero mercato. In questo caso il rafforzamento dello yuan sul dollaro e sull’euro, che dovrebbe essere una conseguenza naturale e spontanea in un mercato libero dei cambi, non avviene perché il governo cinese non lo vuole, e ha un controllo così forte sull’economia e sulle banche che riesce ad impedirlo. Se in situazione di piena occupazione un notevole incremento di spesa cinese (effetto feedback) causerebbe un inflazione mondiale trascinandosi dietro le economie di tutte le nazioni, in caso di assenza di spesa il risultato è tendente alla depressione generale, ed è quello che sta accadendo negli ultimi anni. La Cina risparmia all’estero, provocando una fuga di reddito determinata dal risparmio. In questa circostanza l’Occidente non ha nulla da guadagnare perché investire in beni capitali all’estero non crea domanda di consumo in occidente. La Cina tenendo depresso il proprio mercato interno esportando il massimo della produzione vendibile non consente all’economia occidentale di piazzare le sue produzioni destinate al consumo ma consente tuttavia di realizzare investimenti autonomi che incrementano la base produttiva. Si pensa che siano i costi a determinare i prezzi quando come abbiamo visto nella realtà è tutto il contrario. Se voglio liquidare il negozio allora posso tagliare i prezzi, se lo faccio per rovinare il concorrente allora non è consentito. Un assassino è un assassino a prescindere dal motivo per cui ha compiuto l’omicidio. L’azione oggettiva è un delitto a prescindere dalle valutazioni soggettive. Come è possibile giudicare le intenzioni dell’imprenditore? Se l’imprenditore abbassa i prezzi, fa solo il bene del consumatore. Nel momento in cui rialza i prezzi i concorrenti tornano fuori. Si tratta di una strategia suicida. Certo dal punto di vista occidentale è difficile capire perché la Cina si comporta così. Tutto il surplus che investe all’estero potrebbe impiegarlo importando beni di consumo per una popolazione che ha ancora centinaia di milioni di persone in condizioni di estrema povertà. Ma il cripto-comunismo cinese è così, grazie all’appiglio offertogli dall’ideologia confuciana di totale deferenza verso il potere statale, sovrasta le condizioni del popolo ed ignora le logiche commerciali internazionali. Non c’è da stupirsi se si considera che gli ultimi 60 anni sono trascorsi per loro o leggendo “economia” marxista, o chiudendo le università e mandando i professori “borghesi” a pulire le latrine. Non si può pretendere troppo dal loro livello di cultura economica, ma purtroppo sono quelli come loro che oggi tengono il coltello dalla parte del manico, sia lì che altrove.

“Studiare gli scritti del Presidente Mao, seguire i suoi insegnamenti e agire in accordo con le sue istruzioni” (Lin Piao)

Uno dei motivi per cui c’è stata la crisi “gemella” in Tailandia è dipeso dal fatto che giapponesi e americani hanno inondato le banche locali di prestiti, poi finiti a sostenere le speculazioni edilizie dei lacchè di regime. Quando hanno fatto rientrare i capitali, poi i moral hazard degli speculatori hanno fatto il resto, distruggendo il valore del bat tailandese, indifendibile perché speculazione al ribasso (la moneta nazionale la puoi stampare, mentre per difendere al ribasso devi vendere le riserve in valuta e comprare bat; ma quando le riserve sono al limite è finita). Quando i capitali entrano in Tailandia, la moneta locale si rafforza o almeno non si svaluta. Quando i capitali vengono ritirati, la moneta locale si svaluta. Il caso cinese e tailandese ci conferma che il libero mercato è in buona compagnia con draghi, elfi e fate nell’immaginario dell’essere umano. Dovrebbe bastare l’esempio della crisi bancaria seguita a quella dei mutui subprime per case in Usa: se le banche esagerano nella concessione di prestiti le case vengono comprate a prezzi alti, ma poi dato il calo di domanda di case (dato che tutti l’hanno ormai acquistata) i prezzi si abbassano, e quando agli insolventi la banca pignora la casa, questa ha un valore inferiore alle cifre di cui la banca è debitrice. La banca ne riceve un danno. Ma anche i pignorati ne hanno un danno, nella forma delle rate già pagate per una casa che non hanno più. Ed è un circolo vizioso. Citare poi il pazzesco vezzo intrapreso anni fa da alcuni comuni norvegesi di acquistare coi soldi delle tasse dei loro cittadini dei crediti aggregati derivati dalle banche americane sarebbe perfino come "sparare sulla croce rossa".

"Dio ci guardi dall'attività finanziaria pubblica poiché è spendacciona e consuma tutte le sostanze dei privati. Le consuma improduttivamente e non offre la possibilità a costoro di destinare il reddito alla produzione di ricchezza autentica" (Jean-Baptiste Say)

Il problema non è il libero mercato in sé, ma l'avidità umana che ha il suo apice negli schemi Ponzi. Difatti vorrei precisare che se da lodare è la figura dell'imprenditore, altrettanto non vale per molte delle attuali personalità imprenditoriali, a partire da quei pretenziosi incontentabili che dopo aver scartato migliaia di curriculum vanno in tv a lamentarsi che "non si trova manodopera" col risultato di così rinfocolare i falsi pregiudizi sui disoccupati. Il bello è che poi a fronte di ciò c'è pure chi definisce i disoccupati "schizzinosi"!!! Ah i disoccupati sarebbero gli schizzinosi, non chi pretende "apprendisti con esperienza"!?!?!?!
Quest'analisi andava fatta in relazione alla spiegazione dei risvolti del reddito di cittadinanza poiché il tasso di interesse è il prezzo più importante di un’economia di mercato, esso orienta tutti gli agenti economici, coordinandone il comportamento relativo; per cui è fondamentale comprenderne le auto-regolazioni in prospettiva alla differenza tra un sistema nel quale via sia un reddito di cittadinanza e uno dove non vi sia. Un tasso di interesse relativamente basso dimostra che le persone dispongono di molti risparmi. Al contrario un alto tasso mostra una forte domanda di beni. Quando il tasso è alto, il motivo è che c’è poca disponibilità di fondi risparmiati (cioè viene prodotta poca ricchezza, la società in questione è una società povera), e questi sono in grado di finanziare solo progetti molto redditizi, cioè quelli che offrono un rendimento maggiore del tasso. Il tasso di interesse è quindi un segnale essenziale per poter realizzare o meno i progetti di investimento al margine. Tuttavia il tasso di interesse non è sempre naturale ma suscettibile di influenze determinabili da variazioni artificiali delle quantità di moneta presenti nel mercato. Gli imprenditori hanno sempre in cantiere diversi progetti di investimento che raffrontano di continuo per capire quale sia il più conveniente da intraprendere. Ciascuno di essi ovviamente viene messo a confronto con il tasso di interesse lordo. Solo i progetti che hanno un tasso di rendimento maggiore del tasso di interesse lordo sono convenienti e possono essere avviati con la ragionevole aspettativa che al termine si rivelino redditizi come stimato inizialmente. Che succede tuttavia se di colpo la società decidesse di risparmiare di più, se decidesse cioè di rinunciare drasticamente al consumo immediato? Il tasso di interesse scenderebbe! La conseguenza è ovvia, gli imprenditori ricevono un segnale chiaro: ci sono più risparmi disponibili, finalmente è possibile finanziare quei progetti di investimento che prima non erano economicamente convenienti. Il tasso di interesse è quindi un segnale essenziale per poter realizzare o meno i progetti di investimento al margine. Difatti, cosa succede se si manipola e si riduce artificialmente il tasso di interesse, ad esempio attraverso una espansione creditizia dovuta alla riserva frazionaria?

“Non c’è modo di evitare il collasso di un boom indotto da un’espansione creditizia” (L. von Mises)

Non si fraintendano i discorsi fatti finora sul concetto di risparmio: questa non vuole essere una critica alle banche! Anzi, le banche assolvono una funzione economica e sociale fondamentale (e difatti sono noti i risvolti deleteri nei posti dove le banche non esistono, i paesi musulmani); come retribuzione per questa funzione hanno diritto ad un profitto: il tasso di interesse bancario non è a libera discrezione del direttore della banca, ma, come ogni altra attività commerciale, sottoposto alle leggi matematiche dell'economia, in primis esso si stabilisce a seconda del rapporto domanda / offerta indirizzato al completo (100% o quasi) impiego dei valori depositati, raison d'etre del concetto stesso di banca. Meno fondi bancari disponibili e più domanda di finanziamento comporta tassi di interesse più alti mentre l’utile per la banca rimane progressivamente immutato, perché ci saranno meno prestiti ma a tasso più alto, rispetto ad una situazione con più prestiti a tasso più basso. Si tenga conto che quando aumenta il tasso di interesse variano le “funzioni” di consumo e di risparmio, ovvero la tendenza è “meno spese, più risparmio”; viceversa quando diminuisce il tasso di interesse: “più spese, meno risparmio”. L’equilibrio viene determinato dal fatto che le aziende domandano crediti quando il tasso di interesse è inferiore al tasso previsto di rendimento dell’investimento fisico, le banche offrono crediti quando il tasso di interesse è superiore al tasso previsto di rendimento dell’investimento fisico. Il valore dei beni finanziari quindi diminuisce quando i tassi si alzano. Un attività finanziaria è tutto quello che produce un reddito da rendita. La vendita di un attività finanziaria è detta “passività finanziaria”, in quanto provoca la necessità di dover corrispondere una rendita. Un cittadino che apre un conto corrente acquista un attività finanziaria dalla banca; la banca invece acquista una passività finanziaria. Tutte le altre attività (rendita da produzione o affitto) sono dette “tangibili”. Questo viene ad equilibrare internamente i tassi. Si tenga presente che anche le attività e le passività finanziarie sono equiparabili a scambi commerciali e ne seguono le stesse leggi economiche. Quando una persona investe “acquista un attività finanziaria”, mentre chi riceve “vende una passività finanziaria”. Il fatto di non criticare le banche non implica però l'estendere la lode alle persone che oggi le conducono, pressoché rigorosamente degli incompetenti patentati, che è questo il vero problema, anche se a loro discolpa va precisato che la causa a monte è anche la legislazione che oggi opprime il settore. Regole determinate da quelli che nemmeno comprendono la raison d'etre stessa del concetto di banca cioè impiego totale dei depositi in cambio di un interesse, e non come la intendono i marginalisti come mera "cassetta di sicurezza" a pagamento da parte del depositante per cui un interesse dato ad esso dalla banca viene interpretato come "sospetto". De Soto arriva al punto da definire sospetto il fatto che le banche diano interessi invece di chiederli al correntista... Se le banche non dessero un interesse a chi deposita i soldi, chi li depositerebbe? Nonostante sia ciò che proprio oggi sta iniziando a verificarsi (e su cui io non mi capacito del motivo per cui le persone continuino a tenere i soldi in banca...). Imporre agli istituti bancari cosa fare è il peggior dirigismo, che non ci si aspetterebbe da una persona per il resto lucida come De Soto. Secondo i marginalisti ("scuola austriaca") la riserva frazionaria determina la creazione dal nulla di mezzi fiduciari, cioè l'emissione ex nihilo di nuovo denaro, cioè in maniera aggregata il sistema bancario crea infatti denaro dal nulla, per cui la riserva frazionaria della banca la quale, attraverso una insostenibile espansione creditizia, genererebbe in successione cattivi investimenti, crisi finanziarie e recessione economiche. Per loro dovrebbe essere il depositante a pagare il servizio di custodia, non il banchiere a pagare gli interessi al depositante. Pertanto sostengono che chi accetta gli interessi sul denaro depositato o è un idiota o implicitamente sta accettando non tanto un contratto di deposito, quanto un contratto di prestito. In altre parole non sta depositando i propri soldi presso il banchiere, ma li sta prestando al banchiere "correndo il rischio che quest'ultimo li investa malamente nei propri affari!". In realtà il loro impiego è la stessa raison d'etre dell'istituzione bancaria, se ne impedisci l'impiego che senso hanno le banche? Proprio di recente mi chiedevo cosa spinga oggi le persone a tenere i soldi in banca dato che oggi non danno più interessi, è una cosa che io non riesco a capire, se io avessi dei soldi in banca, se non mi danno interessi li ritiro subito anche fosse per tenerli sotto al materasso, se poi come invece è oggi perfino ci rimetti vedi tu..... è una cosa che proprio non riesco a concepire, l'unica spiegazione che riesco a darmi è che oggi la gente sia ipnotizzata, come spiegare che ancora tengano i soldi in banca senza averne in cambio un interesse? Una banca deve tendere ad impiegare il 100% dei depositi, essendo questa la sua stessa raison d'etre, altrimenti basterebbero le sole cassette di sicurezza secondo la concezione bancaria di De Soto! Ma ogni ragionamento fondato su una base logica è degno di essere considerato anche qualora apparisse a prima vista fallace. Come dice Bastiat, la vera importanza della scienza economica è che permette di capire le cose che non si vedono, quelle non ovvie, o meno ovvie. Tramite il ragionamento la scienza economica dovrebbe cercare di capire le conseguenze di un’azione o di una politica nel medio e lungo termine. Se c'è povertà e si impone un salario minimo, la maggior parte della gente pensa: fenomenale, che soluzione geniale al problema! In realtà si tratta di una idea assurda che si basa solo in quello che si vede. La scienza economica invece ci dice che se si impone un salario sopra il valore scontato della produttività marginale si condanna alla disoccupazione proprio la gente che si vorrebbe aiutare. Il compito del bravo economista è quello di aprire gli occhi sugli effetti importanti che non si vedono agli ignoranti, ai buonisti, agli ingenui, contro le false verità dei demagoghi e dei politici. Il problema è proprio questo, che la gente non è istruita in economia. E' stata tenuta costamente nell'ignoranza. Queste sono cose che i politici e i sindacati sanno benissimo, però la tragedia è che nessuno a questo punto ha il coraggio di proporre le riforme adeguate perché finirebbe con il perdere le elezioni. I leaders morali, spirituali che proclamano di aiutare i poveri ed eliminare la povertà tramite welfare e sussidi, sbagliano clamorosamente, hanno in testa un modello statico dove la ricchezza è data. La ricchezza non è data, è generata da un processo sociale che è un processo dinamico, di creatività imprenditoriale, dove ciò che conta è quello che concretamente riusciamo ad apportare al processo stesso. Io non sto dicendo che De Soto abbia torto anzi, anche io concordo sul punto fondamentale anche se vi giungo da una logica opposta alla sua, lui ci arriva negando la neutralità della moneta, io ci arrivo sulla base della “teoria quantitativa della moneta”, e vedo nella differenza tra i due il suo pregiudizio sulle dinamiche monetaristiche (e forse un pò anche religiose sul concetto di usura). La conclusione a cui arriviamo entrambi è che il sistema del prestito bancario come comunemente inteso non è necessario al risparmio / investimento poiché il valore finanziariamente né si crea né si distrugge (a farlo è solo la produzione / consumo, legge di Say) e quindi in un modo o in un altro il risparmio / investimento viene allocato ("mano invisibile") anche in assenza del sistema bancario, proprio sulla base della neutralità della moneta, anzi, forse in assenza di esso e quindi senza dirigismi da parte dei banchieri tale allocazione avverrebbe in maniera spontaneamente automatica sulla base delle possibilità / esigenze effettive e non distribuito arbitrariamente sulle basi opinionistiche dei parametri fissi (o quasi) solitamente utilizzati dai direttori di banca, ovverosia si allocherebbe uniformemente ed equamente sulle necessità reali della società. Mettere i soldi sotto al materasso (o in una grotta) o in banca determina gli stessi risultati a livello aggregato, poiché si scaricherà sul tasso di interesse per cui quello che tu "nascondi" salterà fuori da un altra parte per effetto del tasso di interesse. Poiché il tasso di interesse è il prezzo del credito, se aumenta l’offerta il prezzo scenderà. La conferma ci arriva da Henry Hazlitt: tra le sue posizioni più note vi è la conclusione che in un sistema di libero mercato, i risparmi e gli investimenti tendano ad equilibrarsi in maniera analoga a quanto avviene nella relazione tra la domanda ed offerta di beni reali. In tal modo, il risparmio in conti correnti consente azioni di investimento da parte della banca stessa del denaro depositato. Egli dunque contesta il concetto che "risparmiare", ovvero non spendere denaro sia un fatto negativo che limita la circolazione del denaro, come invece argomenta diverse volte Keynes. La forza della produzione, quella naturale derivante dall'attività dei milioni di soggetti e potenziata dallo sviluppo tecnologico, ha un'inerzia sufficente a mitigare le politiche monetarie impedendo che producano gli effetti disastrosi che avrebbero potuto creare in epoche in cui la produttività era più bassa. Di conseguenza il vantaggio che ne deriva per i primi destinatari delle politiche di allentamento monetario è ancora più grande e ancora più protetto da rischi sistemici. La cognizione sballata che la gente ha dell'economia è rappresentabile dal tipico ragionamento dei neo-piccoli commercianti riguardo i soldi spesi per l'acquisizione dell'attività "tanto in 2-3 anni li recupero" che indica una cognizione come spesa anziché investimento, a fronte dell'altra tipica cognizione dell'acquisto della casa in cui abitare come investimento anziché come spesa netta... tutto il contrario!!! E la cosa diventa ancora più grottesca quando entrambi hanno chiesto appositamente un prestito da una banca per acquisire il bene, andando contro ad ogni logica del concetto di "investimento" che è impiegare risparmio... impiegare un risparmio che non si ha non è un investimento e neanche una spesa, è: pura idiozia! Per cui ha ragione De Soto quando la definisce ricchezza fittizia, ma sbaglia deprecando il meccanismo stesso ritenendo vada a gonfiare la massa circolante, poiché è funzionale appunto a redistribuire la capacità di investimento laddove viene ritenuta maggiormente conveniente; questo è il senso dell'attività bancaria. Il punto della questione è un altro: tanto più è florida un economia, tanto meno attività bancaria ci sarà; ma non si deve invertire causa ed effetto: non è che mettendo limiti alle banche l'economia diverrà più florida, ma è la floridezza dell'economia che ne determinerà il ridimensionamento. L'errore che lui commette è ipotizzare il divieto di impiego che è la raison d'etre stessa delle banche; se proibisci ad un fornaio di vendere pane che senso ha la panetteria? Magari venderà altre cose, ma non sarà più una panetteria. La banca idem, fungerà da mera cassetta di sicurezza, ma non sarà più una banca nel senso inteso oggi. Quindi anche io sono dell'opinione che l'istituzione bancaria sotto questo punto di vista sia perlomeno inutile, ma trovo assurda la conclusione che chi deposita i soldi debba pagare anziché essere pagato, certo, se qualcuno accetta questa condizione è libero di accettarla, ma non che si consideri sospetto il fatto che una banca paghi interessi al correntista (vale anche qui come sempre la legge domanda / offerta). Così come detto sulla figura imprenditoriale, debbo precisare che se da lodare è la figura del banchiere, altrettanto non vale per molte delle attuali personalità bancarie (e anche passate, in primis Enrico Cuccia, il prototipo stesso del "banchiere con la mitragliatrice" descritto nel "libro nero del capitalismo"). Per questo vanno cambiate le regole in senso liberalizzante (al contrario di quello che dice De Soto). Il potere di manipolazione della moneta da parte di istituzioni quali quelle bancarie (spesso manovrate dalla politica) può distorcere la struttura dei prezzi e di conseguenza quella produttiva creando squilibri che possono portare a distorsioni nelle allocazioni a causa dell'uso allegro che se ne fa nel manovrarlo a discrezione potendo così canalizzarlo verso entità clientelari. Basti pensare ai continui salvataggi di aziende fallimentari, come se salvarle anziché lasciarle fallire fosse una cosa buona: se sono fallimentari un motivo ci sarà! Il salvataggio di imprese private pericolanti è sempre stato uno dei modi coi quali il settore pubblico ha giustificato la sua crescita fin dai tempi di Beneduce, ed è uno dei modi con cui si sono sempre sprecate le risorse produttive. Col pretesto di garantire l'occupazione ed il capitale di pochi si compromettono le condizioni di altre migliaia di imprenditori e con essi di milioni di dipendenti. Deve valere la regola che le imprese anti-economiche falliscono e chiudono come dovrebbe essere normale, altrimenti cessa pure la selezione spontanea della concorrenza che è l'unico criterio per distinguere le attività utili da quelle inutili o dannose. Se un impresa ha senso non fallisce, ergo se fallisce...

“Il governo è la sola impresa al mondo che più fallisce e più si espande” (Janice Brown)

Nel mercato, nel lato reale dell’economia, il potere d’acquisto cambia il maniera graduale, a piccoli passi, spesso prevedibili. I grossi cambiamenti trovano sempre origine nel lato monetario. Oggi si chiama inflazione l'aumento dei prezzi, in realtà l’aumento dei prezzi è solo un effetto di quella che era l’accezione originaria. Non è neanche detto che se aumenta la quantità di moneta aumentino anche i prezzi, o il livello dei prezzi. Succede sempre ceteris paribus. Se nello stesso tempo la produttività reale aumenta in maniera equivalente, ciò compensa l'aumento della quantità di moneta. Oggi di fronte alla persistente assenza di inflazione, Stefan Karlsson, economista svedese di scuola Austriaca, giunge ad una puntualizzazione assai preziosa per tutti quelli che proprio non riescono a capire la differenza tra base monetaria ed offerta di moneta, a dispetto dei fedeli austriacanti che vedono inflazione dietro ogni angolo di strada. Scrive dunque Karlsson: "L’analisi monetaria Austriaca non solo non dice ma, per quanto ne so io, non ha mai detto che aumenti nella base monetaria creano direttamente inflazione da prezzi. E’ solo indirettamente, nella misura in cui la base monetaria aumenta l’offerta di moneta, che ciò avrà un qualche effetto. E mentre l’offerta di moneta è aumentata negli ultimi anni, l’aumento è stato molto inferiore a quello della base monetaria". Commenta Seminerio: "incredibile, un Austriaco che conosce la distinzione tra base monetaria ed offerta di moneta. Ma non finisce qui: un Austriaco pienamente consapevole del fatto che il prezzo di un bene, di qualsiasi bene, si forma all’intersezione tra domanda ed offerta!". E sempre Karlsson: "E anche se alcuni Austriaci talvolta si esprimono come se una maggiore offerta di moneta determinerà necessariamente l’aumento dei prezzi, ciò non è necessariamente vero, se anche la domanda di moneta si innalza". Commenta anche questa Seminerio riguardo l'“aumento della domanda di moneta”: "Ma la domanda di moneta non si innalza in modo massimo, giungendo all’accaparramento (hoarding) durante le situazioni di trappola della liquidità, uno dei capisaldi del keynesismo? No, è impossibile che un Austriaco usi un concetto keynesiano per puntellare una propria dissonanza cognitiva". Seminerio interpreta così le parole di Karlsson: la base monetaria non si è (ancora) trasformata in aumento dell’offerta di moneta, visto che il moltiplicatore della medesima è crollato. Quindi smettete di leggere l’aumento delle dimensioni del bilancio delle banche centrali come presagio funesto della Weimar prossima ventura, e concentratevi sull’aumento dell’offerta di moneta, nelle sue varie aggregazioni. Ma sull’aumento espresso in termini reali, cioè al netto dell’inflazione, mi raccomando. Perché l’illusione monetaria è una gran brutta malattia. Ma soprattutto cercate di studiare di più: avevate il Giappone come benchmark, e lo avete bellamente ignorato. Ora avete di fronte tutto il mondo occidentale, nelle stesse condizioni da sboom di credito e deleveraging: non fatevi scappare anche questa occasione. Chiusura di Karlsson: "Quindi, la mancanza di iperinflazione non confuta in alcun modo la teoria Austriaca". Sarà. Ma allora chissà cosa, tra le evidenze empiriche di questa crisi, è concordante con essa. Purtroppo ancora nessuno è in grado di capire che per una situazione indotta artificialmente quale è quella attuale l'unica spiegazione plausibile è l'assenza di un reddito di base. Dall'introduzione dell'euro si è avuta una inflazione enorme dell'offerta di moneta, mentre i prezzi non sono saliti (eccetto che nei primi 2 mesi in cui in Italia sono raddoppiati come tutti ben sappiamo, ma per altri motivi su cui è oramai inutile soffermarsi essendo ormai accaduti). Ciò è stato possibile solo grazie al forte aumento della produttività e al progresso tecnologico. L'introduzione di nuove tecnologie, l'innovazione imprenditoriale, l'aumento demografico, sono fattori che danno luogo a un enorme sviluppo della produttività. I costi si riducono e si produce di più. Il bene che era di lusso diventa alla portata di tutti. Ceteris paribus di fronte a questo enorme sviluppo della produttività, i prezzi unitari tendono a scendere. Tutti sono convinti che si sia creato un circolo virtuoso, mentre in realtà, dietro alla stabilità dei prezzi, c'è stato un grave processo di distorsione della struttura produttiva che alla fine ha portato alla crisi odierna, quindi per eccesso di consumo ovvero per scarsità di risparmio. Si è "finanziata" una espansione non sostenibile che ha provocato l'ondata di disoccupazione, poiché si può investire solo ciò che si risparmia, ma se si è investito male perché grazie a una finta disponibilità di risparmio abbiamo investito in progetti artificiali che la gente non desiderava e i cui beni finali non può permettersi, l'espansione creditizia genera una mala assegnazione anche del fattore lavoro. Milioni di lavoratori assunti per lavorare a progetti di investimento non sostenibili, che fine ci si aspettava dovessero fare? Con la crisi non si fa che scoprire un fatto ovvio: anche i lavoratori erano stati allocati male insieme agli altri fattori produttivi. Si sono specializzati in qualcosa di sbagliato, che non aveva senso produrre, e vanno ricollocati. La maggior parte dei lavoratori oggi si dedica alle tappe del processo produttivo più lontane dai consumi, che sono proprio quelle più colpite dalla crisi, e ciò contribuisce a mantenere alta la disoccupazione. In termini umani, sociali, familiari la recessione che causa disoccupazione costituisce sempre un processo doloroso. Per evitare il problema bisogna quindi, da un lato, fermare per tempo l'espansione creditizia, e dall'altro rendere più flessibile il mercato del lavoro per favorire qualunque processo di riaggiustamento.

"Ciò di cui il calcolo economico necessita è un sistema monetario il cui funzionamento non sia sabotato dall’interferenza governativa" (Ludwig von Mises)

Il "ritorno delle tecniche" dice che aumentando ad esempio il saggio salariale si può passare ad una tecnica a maggiore intensità capitalistica (come per Solow), ma aumentando ancor più i salari ritornare alla tecnica originaria. La tecnica è la proporzione in cui combinare lavoro e capitale (intensità capitalistica delle tecniche, cioè aumento della meccanizzazione rispetto al lavoro umano), al crescere dell’intensità capitalistica aumenta il prodotto ma in maniera decrescente, e quindi anche la produttività media crescerà ma con incrementi via via decrescenti. Il saggio di profitto è il rapporto tra profitto e capitale o meglio tra plusvalore / (capitale variabile + capitale costante). Ma le asserzioni di Sraffa non considerano che quello che viene prodotto nella nazione viene diviso (“allocato”) tra la nazione, in un modo o nell’altro (teoria del “trickle-down”). Difatti il motivo per cui si preferisce sempre far ricadere le imposte sui redditi bassi non è perché "i poveri sono tanti e i ricchi pochi", ma perché una variazione sui poteri di acquisto di essi influisce notevolmente sulle propensioni al consumo (è il motivo per cui paradossalmente Renzi ha dato 80 euro a chi li ha già anziché a chi non li ha), mentre sui redditi alti influisce in maniera irrilevante, a fronte di un incisione notevole sul risparmio, irrilevante nel caso dei redditi bassi. Mentre all'opposto una variazione sui redditi alti incide in maniera rilevante sul risparmio e un incidenza su quelli bassi anziché su quelli alti provoca una riduzione dei consumi, e ridurre i consumi è l'effetto che le manovre recessive vogliono ottenere, senza intaccare l'investimento anzi andando ad aumentarlo. Anche Kaldor ha supposto che la propensione al risparmio dei capitalisti sia di norma superiore a quella dei salariati. Ne discende che una redistribuzione del reddito a favore dei profitti fa aumentare, ceteris paribus, il risparmio e la propensione al risparmio complessiva della collettività, e per tale via il saggio di crescita d’equilibrio, mentre una redistribuzione a favore dei salari sortisce gli effetti opposti. Inoltre Kaldor dimostra il ruolo fondamentale giocato dalla propensione al risparmio dei capitalisti nel determinare, oltre al ritmo di accumulazione e di sviluppo, sia il saggio di profitto che le quote distributive. Dato che la quota dei risparmi è sempre automaticamente equilibrata (quando qualcuno risparmierà di meno, qualcuno risparmierà di più, per via dei tassi), ne consegue che anche allorquando una maggiore quota vada ai salariati (anche quando anch’essi abbiano anche redditi da capitale) se ne ricava che l’equilibrio permane, e che quindi non è una loro variazione di risparmio a determinare le quote distributive, ma entrambi i fattori vengono ad equilibrarsi automaticamente. Solow presenta un modello di sviluppo neoclassico senza progresso tecnico basato su una funzione della produzione aggregata, con rendimenti di scala costanti. Egli dimostra che in equilibrio il saggio di profitto è uguale alla produttività marginale del capitale ed il saggio salariale (o salario unitario) è uguale alla produttività marginale del lavoro, per cui il reddito è uguale alla somma dei profitti complessivi (saggio di profitto per il capitale impiegato) ed il monte salari (salario per occupato per il numero di occupati cioè salario aggregato). Dalla funzione della produzione di Solow si può ricavare una funzione della produttività media del lavoro, in cui quest’ultima dipende dal rapporto capitale / lavoro. Solow dimostra, partendo da tale funzione, che con saggi salariali più alti si avrà un maggiore rapporto capitale / lavoro e viceversa. La differenza tra due paesi, uno ricco e uno povero non sta tanto nella differenza di conoscenze, o nelle ore lavorate, ma nel fatto che la nazione ricca dispone di una quantità maggiore di beni di capitali e ben investiti (ovvio che poi all'origine stessa di ciò ci siano cause solitamente riconducibili all'antropologia). In India la gran parte delle persone lavora nelle tappe prossime a quelle del consumo, negli USA in quelle più lontane. Da cui la differenza di ricchezza tra i due paesi. In molti paesi dell’Africa non c'è rispetto della proprietà privata, non c’è alcuna garanzia che ciò che si accumula possa essere preservato in futuro. L'unico modo in cui le economie social-democratiche riescono a sopravvivere è solo grazie alla coscienza etica produttivista dei singoli.

"Quando il governo è forte e dà anche l'impressione di essere forte, allora la burocrazia funziona, esegue e non discute. Il giorno in cui la burocrazia ha l'impressione contraria, o presuppone, o spera in un cambiamento, vi accorgerete che la macchina ha dei rallentamenti misteriosi; qualche cosa non cammina più" (Benito Mussolini)

E' questo che genera povertà e solo l'iniziativa privata può risolvere il problema. Non gli aiuti internazionali. I funzionari internazionali, che si dedicano professionalmente agli aiuti, vivono spesso in condizioni fastose. Hanno tutto l'interesse a fare in modo che i paesi del terzo mondo rimangano permanentemente nella condizione di ricevere gli aiuti. Propongono progetti grandiosi per risolvere i problemi economici e così facendo finiscono solo con il favorire e aiutare le mafie locali. Tutto il montaggio degli aiuti costruito da noi occidentali, per mettere a posto le nostre coscienze, serve solo a condannare quegli stessi paesi alla povertà. E’ tutto clamorosamente sbagliato: gli aiuti alla fame uccidono! Se vogliamo veramente che i paesi del terzo mondo escano dalle condizioni di miseria in cui versano, bisogna bloccare le sovvenzioni da un lato, e far in modo dall'altro di stimolare gli investimenti, in maniera creativa, tramite la funzione imprenditoriale, e la difesa della proprietà privata. Non serve niente altro. Gli aiuti internazionali per lo sviluppo dei paesi del terzo mondo ad esempio causano danni enormi ostacolando l’imprenditorialità locale. Per dare un panino a chi ne ha bisogno non serve comprarlo e spedirlo in Africa; basta semplicemente rinunciare a comprarlo e consumarlo. Per questo la fame nel mondo non si sconfigge con sporadiche e particolari donazioni ai paesi poveri, ma eliminando le cause per cui quei paesi sono poveri, tra cui i prezzi alti delle fonti energetiche che ricadono sui prezzi degli alimenti come conseguenza dei costi di trasporto. La razionalizzazione dei consumi energetici ed alimentari dovrebbe essere il mezzo con il quale conseguire questo obiettivo. Attuale è la polemica “no global” sull’utilizzo del mais per produrre biocarburanti. Il punto che essi trascurano è che in assenza di questo utilizzo, quella quantità di mais non verrebbe prodotta, per il semplice motivo che anche se prodotta, dovrebbe essere distrutta, in mancanza di acquirenti in loco. Ed il trasporto verso luoghi dove ci sia una domanda è in certi casi troppo oneroso per poter risultare vantaggioso, soprattutto a causa del costo dei carburanti. L’utilizzo stesso di questo mais come fonte di combustibile a spingere verso il ribasso dei prezzi dei combustibili ha quindi l’indiretta conseguenza di rendere maggiormente conveniente il trasporto del restante mais. Quindi paradossalmente la trasformazione del mais in combustibile determina maggiori disponibilità alimentari di mais ai potenziali consumatori! E può essere verificato anche applicandolo alle carni. Contrariamente a quanto pensano i vegetariani, la produzione di carne non incide sulle disponibilità di cereali per l’uomo. E’ l’allevamento ad essere permesso dal surplus di cereali. Qualora vi fosse un deficit di cereali, l’aumento del loro prezzo indurrebbe la diminuzione del loro utilizzo per allevamento. Si realizzerebbero le condizioni per dar vita ai "beni di Giffen". Verificato come una delle cause della fame sia la difficoltà nel trasporto, si comprende il motivo degli attuali flussi migratori, come causa-effetto dell’invio di alimenti nei paesi di origine. Per quanto possibile, non dovrebbero essere le persone ad andare dove il cibo c’è, ma il cibo ad andare dove ci sono le persone. Per questo il fattore trasporto è solo una conseguenza: è bene ricordare che in generale la causa della povertà è sempre e solo di origine burocratica: alcune istituzioni fomentano la libera creatività e altre la bloccano. E' l'interventismo statale, che blocca e distorce il calcolo economico causando tutta una serie di errori sistematici da parte degli imprenditori. Si impone un tetto al prezzo di mercato: si smette di produrre ciò che serve (caso dei prezzi massimi), o si produce in eccesso ciò che non serve (caso dei prezzi minimi). Immediatamente il bene interessato diventa scarso. C'è più domanda, più richiesta per acquistare quel bene rispetto alla quantità prodotta e offerta. Il bene al quale è stato imposto un prezzo massimo sparisce velocemente dagli scaffali. Se si vuole evitare che siano serviti solo i primi arrivati, bisogna quindi cominciare a distribuire il bene attraverso opportuni razionamenti. Si pensi all'enorme sviluppo verificatosi nel settore del trasporto aereo in seguito all'abolizione del minimo tariffario... o alla tipica difficoltà di trovare una casa in affitto a New York a causa della fissazione dei massimi ("equo canone"). La perfetta distribuzione dei beni è quella determinata automaticamente dalla “mano invisibile” ed ogni alterazione artificiale non può che portare ad inefficienza allocativa.

«Anche quando sia riconosciuta l’importanza fondamentale dell’equità distributiva, la domanda che rimane aperta è quale metro si debba usare per valutarla. La risposta sarà molto diversa e spesso ambigua, in quanto dipende da come viene interpretata l’equità: […] come equità orizzontale (trattare allo stesso modo persone con la stessa posizione); come equità verticale (trattare in modi adeguatamente diversi persone con posizioni diverse); come equità marxista (“da ciascuno a seconda delle sue capacità, a ciascuno a seconda delle necessità”); secondo il vecchio testamento (“occhio per occhio, dente per dente”); o, infine, secondo il nuovo testamento (“porgi l’altra guancia”)» (C. Wolf Jr., “Mercato e Stato”)

L'applicazione del reddito di cittadinanza

Lo scopo originario del reddito di cittadinanza si esplica appunto consentendo l'abolizione delle imposizioni di salari minimi e contrattuali collettivi (che possono comunque essere liberamente patteggiati tra proprietà e dipendenti organizzati secondo le leggi matematiche domanda-offerta e la "teoria dei salari di efficienza", senza che ciò sia imposto dalle leggi statali, nessuno lo vieta, in barba a Malthus) e delle difficoltà legislative di licenziamento (e quindi di assunzione...), aventi come caposaldo l'aberrante statuto dei lavoratori del 1970. Lo scopo primario del reddito di cittadinanza è permettere l'abbassamento del costo del lavoro senza però incidere sul potere d'acquisto delle persone o sui servizi socio-assistenziali, permettendo in tal modo il raggiungimento della piena occupazione con conseguente riduzione degli orari di lavoro a parità di potere d'acquisto, e la cifra cui puntare è identificata in 320 lordi poiché sopra tale cifra rendi il lavoro progressivamente superfluo (è ovvio che a 321 lo sarà solo poco, ma man mano che si cresce lo sarà sempre di più), mentre sotto lo lasci progressivamente inderogabilmente necessario, 320 è la cifra nella quale le due propensioni si incontrano equivalendosi, e di conseguenza è il punto nel quale vi sarebbe la maggior predisposizione sia da alcuni a desiderare che da altri ad accettare meno ore possibile (ovvero nel quale sempre le due predisposizioni si incontrano equivalendosi), di conseguenza dove il monte globale di ore lavorative si suddividerebbe tra il numero maggiore di persone, il che equivarrebbe se non ad annullare la disoccupazione ad annullarne le ragioni che oggi ne provocano artificialmente livelli più alti di quanto la situazione economica determinerebbe spontaneamente. La riduzione dell'orario avviene quando la produttività lo consente non quando lo decide il burocrate. Il risultato della diminuzione dell'orario di lavoro lo mostra il risultato di un esperimento fatto dal governo svedese. Per un anno a un gruppo di 68 infermiere che lavoravano in una casa di riposo per anziani è stato diminuito l'orario di lavoro, sei ore al posto di otto. E la conclusione, a dodici mesi di distanza, non lascia dubbi. Le 68 lavoratrici sono risultate più felici e meno stressate rispetto al gruppo di controllo, che pur svolgendo le stesse mansioni lo faceva a orario pieno. Non solo: le infermiere a sei ore al giorno hanno dimezzato le assenze per malattia, lavorando, tra l'altro con più lena ed energia svolgendo meglio le loro mansioni. In certi casi è pure ovvio, se un impiegato ha lavoro per 2 ore, che senso ha tenerlo là per 8 ore? E poi pure lamentarsi se mette in atto azioni tese a non restare inerme sulla sedia... Il burocrate oggi decide che l'impiegato debba stare alla scrivania 8 ore anche quando i suoi compiti ne richiedano 2, è già oggi questo un sistema sbagliato, e difatti mi pare più che comprensibile che poi quello nelle restanti 6 ore anziché stare a girarsi i pollici giochi a campo minato sul pc o no? Queste sono le aberrazioni del lavoro oggi, e queste sono le cose che andrebbero cambiate. Non va punito chi timbra e va a fare la spesa, perché se lo fa è proprio perché non ha altro da fare lì alla postazione di lavoro; quindi quello che va cambiato è proprio il sistema che ad ogni ufficio viene messa una persona anche se la mansione richiede solo 2 ore al giorno (che poi ovviamente per forza questo sistema viene sostenuto da quelli che timbrano e vanno a fare la spesa...). L'esperimento svedese è stato però inficiato dal fatto che essendo ovviamente state assunte altre persone per compensare la riduzione di orario, sono stati però mantenuti i medesimi salari anziché adeguarli alla nuova condizione. Ecco un ulteriore esempio di come il reddito di cittadinanza andrebbe a compensare le modifiche. Oggi ci sono limiti oggettivi nell'aumentare il numero di personale per sopperire al minore numero di ore lavorate da ciascun lavoratore, prima di tutto ci sono i costi burocratici per ogni lavoratore. Bisognerebbe eliminare prima di tutto questi costi. Altro costo non "contabilizzato", l'addestramento del nuovo dipendente, il tempo necessario per l' apprendimento, i costi ed i tempi persi nell' avvicendamento da un operatore all' altro e quindi discontinuità di produzione del prodotto/servizio ( la somma di questi), ecc ecc... Sono i cosiddetti costi fissi per lavoratore, cioè l'argomento più forte che mette in discussione il principio del "lavorare meno, lavorare tutti". L'altra questione è la non eguaglianza degli individui, coloro che lavorano sono stati scelti dal datore di lavoro come i più idonei e ne godono la fiducia e la loro sostituzione per alcune ore non va evidentemente bene al datore di lavoro. E' a ciò che bisogna rimediare.
Esperimenti condotti in maniera locale hanno dimostrato nei fatti come il reddito di cittadinanza non spinga assolutamente le persone a non lavorare, ed è perfino ovvio, non è che perché avendo una base reddituale si rinunci ad un surplus, e questo nonostante tali esperimenti abbiano utilizzato cifre eccessivamente alte di 700-800 euro al mese (quindi tantomeno con una base di 250-300). Piuttosto hanno mostrato come si accetti e perfino richieda di svolgere meno ore a discapito di parte di surplus, ciò a favore della riduzione della disoccupazione. Ovviamente trattandosi di esperimenti dei quali gli attori erano a conoscenza il valore statistico viene inficiato (è irrealistico ipotizzare che con cifre di 7-800 euro al mese estesi ad un intera nazione i risultati sarebbero gli stessi...), ma rimane il fatto che a differenza di quello che tentano di instillare i suoi avversari credendo che tutti siano uguali a loro, che sarebbe fonte di pigrizia e parassitismo, i quali evidentemente si si accascerebbero inermi a non far nulla, il solito grossolano errore delle persone stupide: credere che tutti ragionino come loro. Le persone forti della sicurezza economica hanno cominciato ad utilizzare il tempo libero derivato dalla riduzione degli orari a parità di reddito per "investirlo" in corsi e nuove attività, trovando finalmente il coraggio di buttarsi in un progetto, anche senza fine di lucro. Dimostrando che tante persone hanno sogni nel cassetto utili a loro ma anche all'economia generale o allo sviluppo umano, ma che non se la sentono giustamente di rischiare tutto per un progetto che non sanno se riusciranno a portare a termine e come andrà a finire. In particolare l'esperimento canadese del Mincome diede questi risultati: le visite in ospedale diminuirono dell'8,5%, con meno casi di incidenti sul lavoro, e meno arrivi in pronto soccorso per incidenti d'auto e abusi domestici. Inoltre, il periodo vide una riduzione dei casi di ospedalizzazione psichiatrica, e meno consulti professionali per disagio mentale. In Alaska è presente un meccanismo intermedio tra il reddito di base incondizionato e una sorta di dividendo sociale (Alaska’s Permanent Fund Dividend), che si basa sul presupposto sostenuto da Thomas Paine e John Stuart Mill, i quali sostengono che la terra è di proprietà di tutti i suoi abitanti e, di conseguenza, le persone hanno la facoltà di reclamare una giusta quota di questa ricchezza collettiva, indipendentemente dal proprio status sociale, e a prescindere dal proprio reddito e dalla propria occupazione o meno. Nel dibattito internazionale non è ancora chiaro se il dispositivo che è venutosi a creare in Alaska sia un vero e proprio reddito di base incondizionato oppure un dividendo sociale. La forma di sostegno al reddito presente in Alaska è unica nel suo genere, e nonostante non sia ancora chiaro in quale categoria poter farla rientrare, si avvicina molto al concetto di reddito di cittadinanza, ma ne differisce essendo più assimilabile ad un dividendo perchè la quantità media attorno ai 1.100 dollari erogata a persona all'anno è ben lungi dal poter essere considerata una cifra di sussistenza. Anche un esperimento simile attuato ad Omitara, una città della Namibia (con un erogazione di 10 euro mensili) ha dato i medesimi risultati, con in più mostrando come conseguenza inattesa un aumento dell'immigrazione nonostante agli immigrati non venisse fornito; ha anche mostrato una evidente diminuzione della criminalità che prima rappresentava un grave problema in quella città, confermando come un dispositivo di questo genere indurrebbe coraggio alle persone, maggiore fiducia e creatività, e ci sarebbero minori tentativi di ottenere profitti a discapito di altri come già previsto da Tommaso Moro 500 anni fa. Con il reddito di cittadinanza si crea una base di sicurezza economica abbastanza grande da cancellare l'immobilismo e riportare a galla tutti i progetti imprenditoriali, artistici, umani, sommersi. A dare manforte ai risultati degli studi anche altri studi in ambito psicologico che mostrano come posti davanti alla scelta di risolvere uno, due o tre puzzle obbligatoriamente o zero, uno, due o tre puzzle facoltativamente, l'obbligato sceglie sempre uno quello che ha la facoltà di decidere di non farne nessuno ne sceglie sempre tre. Dimostrazione che la pigrizia fine a sé stessa non esiste. L'uomo è nato per essere attivo fisicamente e mentalmente ed è la paura e l'incertezza a renderlo immobile a non portarlo a rischiare senza una qualche rete di sicurezza economica di base. La possibilità di mantenersi almeno in parte quali che siano gli esiti di un progetto portano le persone a provare a costruirsi un futuro diverso, a condividere con gli altri le loro idee, a migliorarsi professionalmente e culturalmente e a mettersi in gioco. La questione della ‘pigrizia indotta dal reddito di base’ sembra essere smentita non solo dai progetti che prendono forma nella Silicon Valley, ma anche dagli studi condotti sugli esperimenti del passato. A sostenere la tesi secondo cui il reddito di base non porterebbe a una società di sdraiati sul divano è anche un’azienda privata come Y Incubator (il più importante incubatore di start-up della Silicon Valley), che ha deciso di elargire per un anno un reddito compreso tra i mille e i duemila dollari al mese a 100 famiglie di Oakland. Per quale ragione un’impresa dovrebbe farsi carico di un impegno del genere? Al di là dell’attività di lobbying che la Silicon Valley sta facendo in favore dell’universal basic income – per evitare l’ira funesta di chi subirà sulla sua pelle l’automazione del lavoro – la ragione sembra essere un’altra: “Y Incubator sta fornendo questo reddito a persone dotate di un certo tipo di istruzione e di abilità; vogliono vedere se metteranno a frutto questi soldi in maniera utile per loro. Se, insomma, grazie al tempo liberato riusciranno a inventare qualcosa che potrà poi essere messo a frutto”, prosegue Fumagalli. “È un capitalismo avanzato tipico della Silicon Valley, che si scontra con le visioni sindacali dell’etica del lavoro basate su una società passata”. Un altro esperimento del passato si tenne negli anni ‘70, in Canada, nella provincia di Manitoba: per cinque anni i cittadini più poveri della provincia ricevettero un assegno mensile, anche in questo caso di circa 800 dollari. La fase di test si interruppe bruscamente a causa del cambio di governo, ma fu comunque sufficiente a fornire i dati che l’economista Evelyn Forget ha utilizzato in uno studio del 2011. Stando a quanto risulta dagli studi di Forget, il tasso di scolarizzazione salì notevolmente, mentre i tassi di ricovero in ospedale calarono, grazie alla maggiore possibilità dei cittadini di procurarsi le cure di base. Nel complesso, invece, la quantità di ore lavorate scese solo dell’1%. Insomma, la questione della “pigrizia indotta dal reddito di base” sembra essere smentita non solo dai progetti che prendono forma nella Silicon Valley, ma anche dagli studi condotti sugli esperimenti del passato. La stessa questione, però, si ritrova anche analizzando la differenza tra le due varianti fondamentali del reddito di base: il reddito minimo garantito e il reddito di cittadinanza strettamente inteso; una differenza decisiva, sulla quale si fa spesso confusione. Attraverso il reddito di cittadinanza è possibile rendere liberi i lavoratori, i quali non sarebbero più costretti ad accettare il primo lavoro che gli viene offerto, ma hanno la facoltà di accettare il lavoro che più si allinea alle proprie competenze.

"Quando ciascuno occupa il suo posto, nessuno è scontento e si lavora tutti con piacere" (Benito Mussolini)

Quindi, il lavoratore non è costretto a dequalificalizzarsi per potersi dotare di reddito (aumenta la libertà dei lavoratori) e inoltre, ha la possibilità di avvalersi del proprio diritto di restare nel posto di residenza scelto. Ci sarebbe un aumento generale della qualità del lavoro, permetterebbe loro di svolgere mansioni a tempo parziale, e di lavorare di meno ma per permettere a tutti di lavorare. Questa è una soluzione importante per i disagi inerenti alla società contemporanea. Infatti, è ben associato al reddito di cittadinanza, la riduzione degli orari di lavoro per poterlo dividere fra tutti, al contrario della situazione degli ultimi anni che ha visto un continuo allungamento dell’orario lavorativo a discapito della vita dei lavoratori e della loro dignità. La garanzia di continuità del reddito, permette a ognuno di gestire i passaggi tra diversi lavori e attività, riducendo il tempo di lavoro. La conseguenza più evidente sarebbe la scomparsa dei già citati "cuochi messi a fare i meccanici". E secondariamente, considerando che in futuro con l'automazione e l'aumento della popolazione ci sarà comunque una sempre crescente fetta di popolazione che per ragioni sociologiche il lavoro non potrebbe teoricamente MAI averlo nel corso della loro intera vita, per via del gap tra automazione e riassorbimento della manodopera anche a prescindere dall'assenza di imposte ed obblighi sul lavoro e relativi artifici politico-sindacali atti a compensarli, a fronte dell'aumento di produttività e quindi di produzione che non si vede come potrà essere allocata se permane l'attuale sistema allocativo costellato di situazioni di stallo, e appunto la cifra di non più di 320 euro è proprio per questo motivo, per rendere possibile l'allocazione eliminando gli stalli e solo come conseguenza implicita fungere da sopravvivenza permanentemente per chi non ha altri redditi, non tale da incentivare a non voler lavorare, ma fungere da base per permettere ai datori di poter acquistare lavoro (fornire alla manodopera salari) per loro sostenibili. Difatti la situazione descritta è puramente teorica, dato che in una situazione di equilibrio totale (ottimo paretiano e / o equilibrio harrodiano) varrebbe la teoria dell'equilibrio economico generale per cui comunque ogni risorsa sarebbe potenzialmente sfruttabile (compreso quindi il lavoro), la disoccupazione involontaria permanente sarebbe comunque ridotta al minimo (ad elementi incollocabili per motivi sociologici) indipendentemente da automazione e forza-lavoro. La crescita della produttività nel settore automobilistico determinata dal fordismo comportò l'automatica crescita dei salari unitari in quel settore e da esso si propagò ("induzione") anche ad altri settori, costringendo molte imprese ad innovare, o a meglio sfruttare le eventuali economie di scala (teoria dell'equilibrio economico generale). La differenza è costituita proprio dal risparmio che ha finanziato un numero maggiore di beni capitali in grado di produrre un maggior numero di beni che saranno venduti a un prezzo inferiore. Dove vanno i soldi che i capitalisti risparmiano con la robotizzazione? Vanno in riduzione dei prezzi dei loro prodotti! Bisogna ragionare sul lungo periodo, e come riduzione non si intende in termini nominali ma reali ovvero comparato ai redditi ovvero aumento di potere d'acquisto ("effetto Pigoù"), anche se certamente a chi un reddito non ce l'ha gli è irrilevante quanto valgano i soldi che non ha. La risposta a chi obbietta "dubito che padroni e capitalisti accetteranno di rinunciare a quote dei loro profitti" è che lo fanno già da sempre dato che la conseguenza è da sempre stato il progressivo abbassamento dei prezzi ovvero l'aumento dei poteri d'acquisto. Ad avere successo sono quegli imprenditori capaci di rendersi conto e di soddisfare le necessità e i bisogni dei consumatori. Il processo concorrenziale e competitivo è pertanto tutto a favore dei consumatori.

"Dopo aver rimpiazzato la maggior parte dei suoi lavoratori con dei robot una fabbrica in Dongguan, Cina, ha assistito ad una crescita spettacolare della produttività. Mentre alcuni leader sono ossessionati dal tenere le persone fuori dal loro paese un'entità silenziosa sta realmente prendendosi i nostri posti di lavoro: i robot. Che robot e computer avrebbero occupato i nostri posti di lavoro nel futuro prossimo è stato a lungo oggetto di discussione, bene, quel futuro prossimo è su di noi e non siamo preparati a gestirlo… Secondo Monetary Watch la Changying Precision Technology Company è impegnata nella produzione di cellulari e usa linee di produzione automatizzate. La fabbrica impiegava 650 addetti, ora il lavoro è svolto da 60 persone mentre i robot si occupano del resto. Luo Weiqiang, l'amministratore generale, dice che il numero di addetti richiesto scenderà a 20. Nonostante la riduzione del personale non solo la fabbrica produce più apparecchi (incremento del 250%) ma garantisce anche una qualità maggiore. Senzadubbio questa è una delle cose di cui sentiremo parlare sempre di più in futuro. Adidas è una delle società che ha già annunciato la sua virata verso le fabbriche con soli robot, e non sono solamente le fabbriche che elimineranno I lavoratori. Secondo uno studio del professor Carl Benedikt e il professore associato Michael Osborne dell'Università di Oxford c'è il 90% delle possibilità che i robot subentrino alle persone in molte professioni (è una lunga lista): muratori, contabili, commercialisti, esattori delle tasse, macellai, commessi, geologi ed tecnici petroliferi, addetti alla produzione di capi d'abbigliamento, personale che effettua ricerche a vario titolo, orologiai, consulenti di banca, addetti agli ordinativi, funzionari dei prestiti, segretari di studi legali, operatori radio, sportellisti, camerieri, direttori di sala, cassieri, immobiliaristi, addetti alle finiture, costruttori di protesi dentali, disinfestatori, operatori telefonici, cuochi (non gli chef), minatori, e molti, molti altri".

L'automazione è un benefico sgravio dalle fatiche umane, su questo non dovrebbero esserci dubbi, e come la storia ha dimostrato il suo risultato è l'aumento del potere d'acquisto ed i margini di profitto, con la conseguenza che mestieri che prima erano improponibili a causa del loro elevato costo diventano abbordabili e quindi la manodopera "licenziata" dalle macchine viene assorbita da essi (non ho la sfera di cristallo per leggere il futuro, ma è innegabile che ce ne saranno, non per mia opinione ma per una semplice questione di logica matematica espressa nella teoria dell'equilibrio economico generale e dimostrata ampiamente dalla storia). Il reddito minimo universale, grazie all’assenza di controllo delle risorse e alla possibilità di cumulo dei redditi, permette di offrire e accettare impieghi poco retribuiti, a condizione che questi lavori siano sufficientemente gradevoli, formativi e con prospettive di carriera. Inoltre, l’assenza di obbligo di contropartite lavorative, permette di rifiutare mansioni senza futuro o degradanti. Il problema verte solo su chi un potere d'acquisto non ce l'ha, e se non ce l'ha non è perché è una macchina a fare il suo ex lavoro, ma perché ci sono barriere politiche che impediscono di rendere abbordabili i servizi che potrebbero assorbire la manodopera libera, e queste barriere sono le accise sul lavoro che noi vogliamo abolire. Il problema ripeto è solo per chi un potere d'acquisto nemmeno ce l'ha ovvero chi ha reddito 0 netto, e rimediare a ciò è lo scopo del reddito di cittadinanza come mezzo e non come fine. Attraverso il proprio ordine spontaneo, il mercato produce un flusso sempre maggiore di beni e servizi, di qualità migliore e a prezzo sempre minore, che rende possibile un incremento dello standard di vita per tutti, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Se questo non accade è sempre per ragioni di carattere istituzionale. La causa della disoccupazione non è l'automazione, ma le accise imposte sul lavoro che ne impediscono la naturale evoluzione con l'assorbimento della manodopera libera! La causa sono le politiche sindacali e quelli che loro chiamano diritti ma che sono la causa di tutti i problemi di cui ci stiamo lamentando. Magari il reddito di cittadinanza stesso potrebbe essere la soluzione stessa di molti di quei problemi? E per tutti gli altri il primo passo necessario per risolverli? Tra i critici non ho mai sentito nessuno proporre l'abolizione delle accise sul lavoro, causa unica del problema di cui si sta discutendo. Si discute di abolire o no i voucher, ma i motivi dai quali sono causati neanche li si nomina, guai, tabù! Ci si scanna su questioni di lana caprina, ma sui veri problemi no, non li si sfiora nemmeno. No, secondo loro è meglio proibire la macchina a vapore, garantendo la piena occupazione, però "coerentemente" usano la lavatrice anziché lavare a mano nel mastello, come dire che il lavarsi in se potrebbe persino un domani essere inutile, mentre invece finché l'uomo avrà tot ore al giorno libere avrà sempre ore-lavoro da scambiare con altri soggetti, qualunque attività esegua in tali ore, basta anche solo fare un esempio estremo, la prostituzione: tanto più gli uomini hanno un reddito maggiore, tante più prostitute ci sono, e viceversa. I costi negativi cioè i risparmi determinati dalla diminuzione dei prezzi conseguenza della diminuzione del costo del lavoro e aumento dei poteri d'acquisto, scaricati in basso come diminuzione dei prezzi e relativo utilizzo di manodopera per servizi resa possibile proprio dal maggior reddito dei potenziali usufruitori di quei servizi. I profitti che raccolgono vanno tutti in diminuzione dei prezzi, è sempre stato così (ed è pure ovvio e logico, esiste la concorrenza sapete?) e non vedo perché in futuro non dovrebbe esserlo. E' con più bassi salari che aumentano i posti di lavoro. Gli imprenditori e le aziende incrementano il numero dei dipendenti che assumono se i tassi salariali sono più bassi del mercato. Più posti di lavoro significa più produzione, con conseguente aumento del consumo pro capite (e non viceversa come dice Keynes!). L'aumento della produzione incoraggia riduzioni di prezzo, data un'offerta di moneta fissa, quindi ci sarà una tendenza per i prezzi in generale a scendere. Il calo dei prezzi significa che il potere d'acquisto reale dei salari aumenta. In parole povere all'aumento artificiale dei salari corrisponde matematicamente un equivalente diminuzione dei posti di lavoro e relativo aumento degli orari degli stessi, mentre ad una diminuzione dei salari corrisponde un equivalente aumento di posti di lavoro e relativa diminuzione degli orari, questa non è una cosa opinabile ma una legge matematica invariabile. Una delle conseguenze del reddito di cittadinanza sarebbe quindi la scomparsa del concetto di disoccupazione (come conseguenza dell'abbassamento del costo del lavoro) così come intesa oggi: la disoccupazione ciclica sarebbe automaticamente eliminata, quella strutturale e frizionale sarebbero ridotte al minimo variabile a seconda della situazione contingente. La produzione aggregata (che determina i redditi), in qualunque maniera essa venga distribuita, a parità di condizioni rimane la medesima. Questo è il modo in cui una economia recupera un ciclo boom-bust indotto da inflazione monetaria ed altre distorsioni determinate dalle legislazioni. Per questo è esatto dire che la filosofia del reddito di cittadinanza è la produzione, sulla base della “legge di Say”. Il RN ed il PIL rimarrebbero pro capite immutati, ceteris paribus, ma suddivisi più equamente (ovvero anche a chi oggi ha reddito 0). Questo, non influendo sul consumo autonomo, e su quello indotto solo come teorico aumento di produzione ed efficienza, modificherebbe le propensioni al risparmio e al consumo, ma compensandosi per via del rapporto tra propensione all’accumulazione di capitale e tassi di interesse (che aumentano col diminuire del risparmio). L’ipotesi che ciò alteri il modello reddito-spesa con ripercussioni sulla domanda e quindi sulla quantità di moneta immessa è smentita perfino da Keynes osservando che il limite della “scuola di Cambridge” (dalle cui teorie si potrebbe dedurre ciò) è quello di negare alla moneta la funzione di “fondo di valore” di per sé stesso, cioè di deposito di ricchezza pur sempre allignante seppur non circolante (si veda la proposta di Keynes di nascondere i soldi in una grotta...). Così come il pollo ha influenza solo quando mangiato, la moneta ha influenza solo quando viene spesa (pur considerando che anche l'impiego come risparmio-investimento è tale). Anche se essendo il denaro sempre di proprietà di qualcuno, e quindi sempre tesaurizzato da qualcuno, il suo impiego come investimento determina che non ci sia differenza tra denaro ozioso e denaro circolante. Secondo i marginalisti chi dice che il denaro deve circolare sta solo facendo gli interessi di chi si trova a corto di denaro. Il mercato dei prestiti determina il tasso di interesse, che niente ha a che fare con il mercato del denaro, sul quale invece si determina il prezzo del denaro o potere acquisitivo. Ceteris paribus, se aumenta la quantità di patate offerte il loro prezzo scende. Analogamente, ceteris paribus, se aumenta la quantità di denaro offerta, il prezzo del denaro scende, diminuisce cioè il suo potere d'acquisto. La teoria quantitativa è una teoria basata sulla piena occupazione, dove la moneta agisce da velo nella quale Keynes distingue tre motivi per i quali la moneta è detenuta (transazioni, precauzione, speculazione). La relazione fra equilibrio dei beni e tasso di interesse dipende dall’elasticità della spesa rispetto all’interesse e dalle propensioni marginali alla spesa e al risparmio, mentre la relazione fra equilibrio monetario e tasso di interesse dipende dall’elasticità della domanda di moneta rispetto al tasso di interesse e dalla grandezza della domanda di moneta per transazioni. Ciò rispecchia il modello reddito / spesa, che è il tentativo di rappresentare l’idea di Keynes che il reddito è determinato dal lato della domanda, più in particolare dal livello della spesa autonoma, dato il moltiplicatore del reddito (il modello nella sua formulazione semplice considera solo imprese e famiglie, alle quali si aggiungono di volta in volta il settore pubblico e il settore estero). Circa la relazione tra settore reale (scambi) e monetario, si consideri che anche per Keynes gli imprenditori confrontano l’efficienza marginale del capitale con i tassi. Il modello keynesiano è causale, mentre le critiche derivate dalla “scuola di Cambridge” puntano alla versione del modello “IS-LM” di John Hicks. Il modello AD-AS è il rapporto tra domanda aggregata ed offerta aggregata. Esso amplia ulteriormente il quadro della nostra analisi considerando come sulla determinazione del reddito influiscano non solo le condizioni dal lato della domanda aggregata, ma anche quelle dal lato dell’offerta (mercato del lavoro, condizioni nella sfera produttiva); il modello consente di confermare il discorso fatto sugli interventi di politica economica, e praticamente di tutto quanto detto finora. Il modello IS-LM è il rapporto tra reddito di equilibrio e domanda / offerta di moneta. Esso amplia il quadro considerando come il reddito sia determinato non solo dalle condizioni esistenti sul mercato dei beni (implicitamente sul mercato dei capitali), ma anche da quelle esistenti sul mercato della moneta (implicitamente sui mercati finanziari); il modello consente di approfondire il discorso sulla politica fiscale (l’effetto spiazzamento) e sulla politica monetaria (meccanismo di trasmissione), nonché di confrontare le fumose condizioni keynesiane (sottoccupazione, trappola della liquidità) rispetto a quelle neoclassiche (piena occupazione). L'idea che consumando di più si possa aumentare il reddito attraverso il moltiplicatore è un ragionamento senza alcuna razionalità economica. Keynes non capisce la struttura del capitale, non capisce che il risparmio permette al sistema di allocare risorse nella tappe più lontane dal consumo. Non capisce che il benessere può crescere anche a parità di importo delle vendite, del reddito! Come? Basta che diminuiscano costi e prezzi. E questo succede solo investendo tramite l'accumulazione di beni capitali resa possibile dal risparmio: “il risparmio è sempre uguale alla spesa per investimento”. In una data quantità di tempo la quota di PIL disponibile al risparmio è costante, e le forzature al risparmio (in più o in meno) non portano a modificarla ma solo influiscono sul PIL (con effetto moltiplicato) causando indirettamente inflazione se al PIL potenziale od oltre ("paradosso del risparmio"). Quando aumenta il tasso di interesse variano le “funzioni” di consumo e di risparmio, ovvero la tendenza è “meno spese, più risparmio”; viceversa quando diminuisce il tasso di interesse: “più spese, meno risparmio”. L’equilibrio viene determinato dal fatto che le aziende domandano crediti quando il tasso di interesse è inferiore al tasso previsto di rendimento dell’investimento fisico, le banche offrono denaro quando il tasso di interesse è superiore al tasso previsto di rendimento dell’investimento fisico. Il valore dei beni finanziari quindi diminuisce quando i tassi si alzano. Un attività finanziaria è tutto quello che produce un reddito da rendita. La vendita di un attività finanziaria è detta “passività finanziaria”, in quanto provoca la necessità di dover corrispondere una rendita. Un cittadino che apre un conto corrente acquista un attività finanziaria dalla banca; la banca invece acquista una passività finanziaria. Tutte le altre attività (rendita da produzione o affitto) sono dette “tangibili”. Le speculazioni sono certo più allettanti del semplice mercato depositi/prestiti; ma nelle speculazioni implicitamente se c’è qualcuno che ci guadagna deve per forza esserci chi ci rimette l’equivalente del superamento del normale tasso di interesse, visto che la ricchezza non nasce dal nulla. I numeri sono infiniti, le risorse non altrettanto. Anche l’usura è sicuramente più fruttuosa per lo strozzino. Non altrettanto per lo “strozzato”. Quindi gli investimenti speculativi non apportano alcun vantaggio alla società nel suo complesso. Sono solamente iniqui passaggi patrimoniali tra individui, spesso non basati sul merito ma sulla competizione. Quando si espandono in modo fraudolento originano delle “bolle” destinate inevitabilmente prima o poi a scoppiare.

Il reddito di cittadinanza quindi non è una spesa per i contribuenti, perché, anche non considerando le variazioni collaterali (fiscalità fissa anziché reddituale e abolizione del settore pubblico), l'introduzione di imposte relative verrebbe comunque ammortata dalla riduzione del costo del lavoro, cioè questi soldi da un lato escono e dall'altro rientrano pareggiando i conti di chi contribuisce, e non per un favoritismo assistenziale ma come investimento di ritorno. Nei paesi dove si usa dare la mancia i camerieri esigono salari minori, nei paesi dove è più diffusa la corruzione tra la polizia i poliziotti esigono salari minori, fino al punto che il salario diventa secondario rispetto agli "extra". Penso sia ovvio a chiunque che avendo una base economica stabile la propensione nella domanda / offerta tra lavoratore e datore verrebbe a diminuire i salari reali se non di pari misura teoricamente della metà reciprocamente suddivisa tra datore e dipendente nella misura equivalente alla cifra del reddito di cittadinanza ricevuto; ne deriva, ovviamente, che la parte di imposte pagate dalle aziende per il monte-sociale viene mediamente se non del tutto almeno in parte compensata dalla minor spesa per i salari, perdipiù proporzionalmente in relazione al numero di dipendenti con tutte le relative conseguenze ovvero che le aziende con molti dipendenti e poco reddito tipo le industrie classiche ne gioverebbero mentre su quelle con pochi dipendenti e alto reddito tipo le "start-up" verrebbe finalmente applicata un'imposizione comparatamente equa ovvero proporzionalmente maggiore (non necessariamente in termini reali!) rispetto a quella reddituale odierna. E come ovviamente potete capire viceversa all'aumentare oltre una certa quota il reddito di cittadinanza (e il grafico mostrava ciò oltre i 320) invece il costo del lavoro inizierebbe a crescere, per ovvi motivi ovvero che i dipendenti diventerebbero più esigenti per il ragionamento "tanto in alternativa ho il reddito di cittadinanza e quindi non ho bisogno di lavorare" che appunto non può ovviamente valere sotto i 320 euro mensili. Facciamo un esempio ceteris paribus a grandi linee (e ribadisco anche qui, sempre per i soliti, che si tratta di cifre a caso, so bene che oggi i salari di una persona normale sono ben più bassi di 1.000 euro al mese): se uno ha un reddito base di 320 euro, accetterà di lavorare per 680 euro al mese anziché esigerne 1.000 (per "costo di opportunità"), quindi la cifra che al produttore viene presa con le imposte viene restituita con il minor costo del lavoro (oltreché con la percentuale di vendite in più dovuta all'aumentata propensione alla spesa, per quanto minima, in seguito all'aumento di potere d'acquisto globale conseguente all'aumento della produzione, sul lungo periodo); è presumibile che le due propensioni si vengano incontro a seguito dell'aumento di beni disponibili, quindi in teoria attorno a 840, ma in pratica probabilmente più verso i 750 (questo è un ragionamento teorico sociologico econometrico che faccio io però, non vincolante), in relazione all'aumento del potere d'acquisto conseguente all'aumento dell'efficienza generale, considerate le spese residue sopravvenute. Però stante la scomparsa di imposte sul lavoro (che oggi vi incidono quasi per il 50%), si evince che essendo dimezzato il costo del lavoro, tale risparmio non rimarrà solo all'azienda, in quanto sopravvenute nuove spese al dipendente (per l'abolizione dei servizi oggi eufemisticamente "gratuiti") si renderà necessario ripianarle tramite un equivalente aumento di potere d'acquisto, e proprio qui interviene il reddito di cittadinanza: quantificando teoricamente tale cifra in 400 euro mensili, e considerando un reddito di cittadinanza mediamente netto di 200, la cifra di cui il dipendente necessita come aumento salariale non sarà di 400 ma di 200, potendo così l'azienda ottenere da tale sistema un risparmio di 200 euro mediamente netti per ogni dipendente, da poter investire anche in manodopera risultandone di conseguenza le citate riduzioni della disoccupazione e degli orari di lavoro a parità non di stipendio nominale (che deve giocoforza aumentare di pari misura alle sopravvenute spese) ma di potere d'acquisto reale. In termini numerici, un salario odierno di 1.000 euro ne costa oggi all'azienda 2.000 (dei quali la maggior parte non come gettito fiscale ma come inps, inail, e tfr). Spostando ovvero eliminando questa accisa (poiché tale è) all'azienda rimarrebbero 1.000 euro, dei quali però dovrà cederne 200 al dipendente in quanto dalla diminuzione di 200 euro dalle tasse dell'azienda per la privatizzazione dei servizi ne consegue un identico aumento a carico del dipendente. Dei rimanenti 800 è da presumere che una parte (diciamo 400) vada mediamente ad essere spesa nel novero dell'imposizione fissa. Per cui ne rimangono 200, che non vanno ad aumentare il potere d'acquisto dei soci dell'azienda (se non in minima parte) data la teoria dell'equilibrio economico generale imporrebbe il loro utilizzo (pena la perdita di concorrenzialità verso le altre aziende del settore che anch'esse dispongono di tali somme) come investimento e quindi utilizzo di essi come salario per ulteriore manodopera, nell'esempio in questione precisamente l'aumento di 1/4 (proporzione sulla quale sono state tarate le cifre usate in questo secondo esempio, che è appunto solo un esempio) e quindi la suddivisione del monte-ore tra 4 lavoratori anziché 3 e relativa discesa delle ore lavorative quotidiane da 8 a 6 per ciascuno di essi a parità di salario. Ovviamente questa è un analisi teorica fondata su un ipotetica azienda, ovvio che nel breve periodo l'atteggiamento di ogni singola azienda sarà differente, ma nel lungo periodo secondo la teoria dell'equilibrio economico generale TUTTE le aziende dovrebbero automaticamente adeguarvisi (che come abbiamo visto, nell'impiego pubblico sarà automatica). Si tratta di un discorso di fluidità del sistema economico, non di assistenza sociale: in futuro, come già oggi si comincia a vedere, ci sarà una certa parte di popolazione per la quale la retribuzione lavorativa sarà del tutto esclusa, ciò crea una situazione di stallo insita nel sistema economico a fronte dell'aumento della produzione a seguito dei miglioramenti tecnologici: questa produzione come potrà essere distribuita (ovvero acquistata) se una certa fetta di popolazione, per motivi artificiali e non reali, non ha ALCUN accesso ai soldi (o meglio, al valore da essi veicolato) per farlo? "Assistenzialisticamente" parlando, 320 euro al mese anche fossero l'unico reddito consentono di eliminare questo stallo causato da esternalità artificialmente indotte (dato che il pane non manca di certo) da un concetto fiscale insulso qual'è quello social-democratico odierno, e quindi non "morire di fame circondati da montagne di pane", o più esattamente di essere indipendenti da inefficienti e clientelari enti assistenziali, rispetto ad oggi. Per spiegare le ragioni logiche per le quali il potere d'acquisto di 320 euro lordi (grossomodo mediamente dai 250 netti in giù) agli agenti per i quali oggi esso è 0 non influirebbe sul potere d'acquisto delle altre classi sociali si può fare un banale esempio: il cibo per animali domestici non è uno spreco come alcuni sostengono, poiché è composto di scarti che in alternativa andrebbero buttati via non essendo graditi dall'uomo. Lo stesso discorso si può applicare alle vituperate "spese militari", che tali non sono proprio per i motivi che si possono capire sia da questo esempio che da quello fatto in precedenza sul consumo dei cereali per l'alimentazione da allevamento: la costruzione di un carro armato è resa possibile dall'esistenza dei mezzi per farlo, e non il contrario! Sia la costruzione di un carro armato che il reddito di cittadinanza non influiscono minimamente sui consumi dei cittadini, e tantomeno sulla "costruzione di ospedali"! Rinunciare ad un carro armato non si vede in che modo potrebbe determinare la costruzione di un ospedale! I carri armati sono fatti di ferro, gli ospedali di mattoni, i carri armati non sottraggono mattoni agli ospedali! I consumi autonomi dei soggetti neo-redditieri andrebbero nell'acquisto ed utilizzo unicamente di beni oggi da un lato sprecati e dall'altro comunque già fornitigli dall'assistenza caritativa. Quindi non potrebbe avere alcuna influenza sui poteri d'acquisto superiori altrui (ma solo su quelli della loro stessa classe reddituale, cioè quelli che oggi sono 0). Riprendendo l'esempio già fatto sul riscaldamento, oggi vige quello autonomo, dove ognuno si arrangia da sé e paga da sé; se venisse introdotto un riscaldamento centralizzato minimo anche chi oggi non ha riscaldamento avrebbe questo minimo, mentre chi oggi ha quello autonomo grazie al supporto di quello centralizzato potrà tenere quello autonomo più basso e spendere meno per esso. Quello che spenderà per la sua quota di centralizzato non sarebbe molto differente da quella che spende in meno per quello autonomo. Con la differenza che chi ha una casa più piccola ne avrà un vantaggio (i redditi bassi e le aziende piccole e / o con molti dipendenti), mentre ad essere svantaggiati sono quelli con la casa più grande (i redditi alti e le aziende grandi e / o con pochi dipendenti), essendo la quota centralizzata di riscaldamento fissa indipendentemente dalla "grandezza della casa" per cui a maggior volume e a parità di calore la quota autonoma di riscaldamento sarà maggiore rispetto a quella centralizzata.

“Se uno Stato è governato dai principi della ragione, povertà, e miseria sono oggetto di vergogna; se uno Stato non è governato dai principi della ragione, ricchezze e onori sono oggetto di vergogna” (Confucio)

Si raggiunge il paradosso nella considerazione che le uniche imposte fisse oggi sono messe proprio sull'unico fattore sul quale, al limite, invece sarebbero più razionali quelle progressive, cioè sulla forza-lavoro! Con il risultato ovvio che, spingendo le imposte fisse a sfruttare il più possibile i fattori sui quali incidono, e quindi spingere a spremere il più possibile ogni singolo esemplare di quel fattore, ciò per quanto riguarda la forza-lavoro si esplica nel limitare al minimo gli esemplari incisi sfruttando ognuno di essi il più possibile, che in questo caso però sono persone e quindi ne deriva da una parte la disoccupazione a cui fa contraltare il massimo utilizzo possibile dei dipendenti con straordinari spinti oltre ogni limite umanamente concepibile. In assenza di queste imposte fisse sulla forza-lavoro, al datore sarebbe generalmente irrilevante su quanti addetti suddividere le ore-lavoro. Tale distorsione raggiunge l'apice nelle aziende che raggiungono i 15 dipendenti, poiché ad un ulteriore assunto verrebbero sottoposte a regole più rigide secondo lo "statuto dei lavoratori", per cui sono costrette a non poter assumere ulteriore personale anche qualora le possibilità economiche lo richiedessero, con tutte le ovvie conseguenze indicate. Le imprese piccole guadagnano molto ma crescono poco, poiché più diminuisce la dimensione delle imprese più il proprietario possiede alte quote delle medesime e viceversa; nel primo caso con un abbassamento drastico dei gradi di contendibilità generali del sistema. Per cui la crescita avviene solo come fenomeno interno, senza la possibilità di mobilitare ampie risorse dall'esterno come avviene in sistemi dove i diritti di proprietà sono diffusi. Da qui la dissociazione tra l'alto tasso di profitto (non il grado di capitalizzazione) e il basso tasso di crescita. I politici oggi si fanno perfino un vanto del "paese delle piccole imprese" come se fosse una cosa buona anziché una dannosa distorsione artificiale causata da ragioni burocratiche! Proprio una cosa da menar vanto è il fatto che la possibile espansione di un impresa oltre i 15 dipendenti venga bloccata appositamente...
Assodato ciò, la riduzione al minimo dei tassi di disoccupazione oggi artificialmente sussistenti (a causa della fissazione di salari minimi sindacali causata dall'apposizione di costi artificiali sul lavoro, il citato considerare i salari una "variabile indipendente") e necessari come alternativo mezzo coercitivo di contenimento del costo del lavoro gravato da esternalità, assieme all’applicazione del sistema fiscale georgista in luogo di quello reddituale, consentirebbe di creare il perfetto “equilibrio generale macroeconomico” tra il “Modello AD-AS” e il “Modello IS-LM” preconizzato da Keynes eliminando i guasti illustrati dalla “curva di Phillips” e dalla “legge di Okun” (secondo cui il rapporto tra differenziale del PIL e disoccupazione è costante), portando il PIL perennemente al suo livello potenziale (ottimo paretiano) a parità di produttività del lavoro, ed ad una concorrenza perfettamente autocompensante tra le aziende ("teoria dell'equilibrio economico generale"), la quale sarebbe sia causa che effetto di una razionalizzazione reddituale e patrimoniale. Per cui settori produttivi nei quali le aziende registrino profitti verrebbero immediatamente colmati da nuove aziende (sempre per la “teoria dell’equilibrio economico generale”), che riporterebbero ogni utile aziendale perennemente al livello di rendita indipendentemente dal livello di fissazione dell'imposta aziendale. Ma ciò livellerà i ricavi in modo equo tra tutte le unità, considerando che quando alcune imprese di uno stesso settore produttivo hanno costi inferiori a quelli di altre imprese, ciò è dovuto al fatto che esse impiegano risorse più efficienti, e queste esigono, dietro prospettiva di passare ad altra azienda, di usufruire di un rendimento maggiore (e quindi ottenendo un prezzo maggiore, costo per l’impresa) per coprire i “costi di opportunità” a seconda della loro maggiore produttività, venendo a livellare i profitti dell’impresa annullando i minori costi. Quindi i redditi (ed il conseguente valore) delle rispettive aziende verrebbero automaticamente regolati sull'entità dell'imposta fissa (e non viceversa!) solo dalla libera concorrenza, non più anche da fattori esterni come aliquote fiscali o privilegi politici di comparto o professionali; con conseguente attenuazione dei cicli (per questo motivo ogni paventabile “calo indotto di domanda” diventa un ipotesi assai remota). Ma per dare un senso al tutto si deve innanzitutto considerare che il PIL non è un indicatore razionale del benessere. Difatti il PIL contiene anche i soldi spesi per le “finestre rotte”. Che non sono ricchezze disponibili all’utilizzo o al consumo ma ricchezze dissipate. Esemplare è che non vi venga conteggiato il valore delle merci usate, cosicché un loro spreco non influisce sull’indice, mentre invece vi influisce il valore delle merci nuove prodotte appositamente per sostituirle, dando risultati completamente sballati della ricchezza reale dell’economia nazionale dato che per produrre quel valore (in sostituzione dei beni demoliti) si sono sprecate inutilmente risorse che se utilizzate per altre produzioni avrebbero certamente creato un valore aggiunto maggiore (e perlomeno un utilità maggiore alla collettività), il cui differenziale è realmente in meno sul PIL, mentre oggi si considera ciecamente quel valore totale nominalmente come “in più”. Si consideri ad esempio come una causa la tassa sul passaggio di proprietà delle automobili: essa è talmente alta che spesso supera di molto il valore stesso dell’auto vetusta; cosicché molte vetture che avrebbero potuto essere vendute sul mercato dell’usato e così svolgere il loro servizio utile per altri anni, oggi vengono invece demolite ancora funzionanti; il valore totale dell’usato di queste auto qualora fossero state vendute è una perdita secca per un economia nazionale nella quale sono invece state demolite e sostituite da auto nuove costruite appositamente con utilizzo di risorse che avrebbero potuto essere utilizzate per altre produzioni che così vengono a mancare. Difatti non è solo l’amministrazione pubblica un problema di ciascuno solo dal punto di vista dei beni pubblici, che pagano visibilmente tutti, ma anche i beni privati: quando un automobile viene distrutta non è il proprietario a perderne il valore, ma tutti. Viene a mancare un automobile ad un potenziale utilizzatore. Viene distrutto il tempo ed il lavoro di chi ne ha permesso la produzione. Acquistare un automobile costerà di più, a tutti. Non venendo conteggiata nel PIL questa assenza, e venendo invece conteggiata quella atta a sostituire il bene, si conferma l’assoluta inaffidabilità di esso come indicatore dell’economia reale.

“Ho provato a mangiare il denaro, ma non era mica buono” (Marco Paolini)

Si consideri che come “produttività” si intende la differenza tra beni prodotti e beni consumati da un lavoratore, quindi un aumento di essa significa aumento decrescente nel suo consumo personale. La peculiare scuola “cognitiva” di Daniel Kahneman osserva che “il livello di soddisfazione o insoddisfazione raggiunto dall’operatore economico non dipende necessariamente dalla quantità assoluta del bene posseduto, ma spesso piuttosto dalla differenza tra una condizione iniziale e una finale”. Lo scopo dell’economia cognitiva è di connettere il lato microeconomico con quello macro. Come già detto, la “teoria dell’equilibrio economico generale” verrà determinata non più prettamente dal mercato del lavoro salariato, i cui salari seguiranno proprio la propensione all’assunzione di nuovi dipendenti da parte delle aziende, con cifre maggiori quando questa diminuisca, e cifre minori quando aumenti (ovvero con movimenti lungo le curve di domanda ed offerta). Sarà l’entità di queste cifre a determinare l’occupazione, e viceversa (sia come causa che come effetto), con la conseguente scomparsa della disoccupazione grazie all’equilibrio sul punto di intersezione delle curve apportato dalla legge domanda/offerta del libero mercato in assenza di aree di “perdita secca” e venendo meno la sussistenza della “curva di Phillips”, in assenza delle odierne rivendicazioni salariali collettive. L’ammortamento dei salari tramite il reddito di cittadinanza viene in pratica ad uguagliare e sostituire il saggio marginale del capitale nei costi senza toccare il saggio di profitto (rapporto tra profitto e capitale). Abbiamo già visto come la curva di Phillips analizzi la relazione inversa costante che c’è tra inflazione e disoccupazione (secondo Arthur Okun questo è “il grande trade-off”, ovvero la necessaria decisione che la politica deve prendere tra le due possibilità). Sulla concorrenza la teoria dell’equilibrio economico generale dice che tutte le imprese di un industria perfettamente concorrenziale devono avere le stesse curve dei costi, per cui quando il settore è in equilibrio di lungo periodo esse realizzano esattamente un pareggio; tanto più generano profitti, tanto più attirano concorrenza, che ripiana i profitti. Sulla disoccupazione la “teoria dell’equilibrio economico generale” dice che quando il numero dei disoccupati (ovvero dell’offerta) aumenta “ceteris paribus” ne deriva un cambiamento conseguente del rapporto domanda / offerta del mercato del lavoro (ribasso del costo del lavoro), e di conseguenza divenendo maggiormente conveniente l’acquisto di lavoro (l’assunzione di dipendenti), un maggior numero di “acquirenti” avrebbe la possibilità di “acquistarli”, riportando all’equilibrio iniziale il rapporto domanda / offerta (cioè il livello di disoccupazione). In un mercato concorrenziale i lavoratori vengono impiegati fintantoché il ricavo addizionale prodotto dai loro servizi non uguaglia il costo addizionale di ciascuna unità addizionale impiegata. L’“effetto reddito” è la variazione della domanda di un bene al variare del reddito degli individui, a relativi prezzi costanti. E’ rappresentato graficamente dallo spostamento della retta di bilancio nell’ipotesi ceteris paribus dei prezzi relativi. Le conseguenze dell’“effetto reddito” possono essere riassunte così: ai tempi in cui le mogli non lavoravano, il solo salario dei mariti bastava a mantenere tutta la famiglia; quando hanno iniziato a lavorare anche le mogli, la famiglia si trovava con un reddito raddoppiato; però man mano che sempre più mogli iniziavano a lavorare, il potere d’acquisto di ciascuno dei due diminuiva (ovvero i prezzi aumentavano più velocemente rispetto ai salari); oggi che tutte le mogli lavorano, il totale dei due salari corrisponde in potere d’acquisto al salario del solo marito al tempo in cui le mogli non lavoravano. Di conseguenza oggi è la famiglia in cui la moglie non lavora che si trova con un potere d’acquisto dimezzato (non in termini nominali assoluti ma in termini reali decrescenti rispetto all’aumento del PIL pro capite), e non la famiglia con entrambi lavoratori un reddito reale doppio, ovvero un “impoverimento assoluto”, ovvero diminuzione del potere d’acquisto, non un “impoverimento relativo”, ovvero solo in confronto alle altre persone. Lo stesso discorso (“economia di scala a rendimento crescente” ovvero a “costi decrescenti”) si può applicare al sistema logistico dei supermercati rispetto ai piccoli negozi.

“Il cattivo economista vede soltanto ciò che colpisce l’occhio immediatamente; il buon economista guarda anche oltre. Il cattivo economista vede soltanto le conseguenze dirette di un percorso proposto; il buon economista scruta anche le conseguenze più lontane ed indirette” (Henry Hazlitt)

Difatti a riguardo le teorie sul plusvalore di Marx sul paragone salari / prezzi risultano errate, perché nella realtà sono piuttosto i prezzi delle merci che vengono spontaneamente ad adattarsi sui redditi generali (come confermano i princìpi della scuola economica “marginalista” e le conseguenze della citata legge economica nota proprio come “effetto reddito”), e non viceversa. O meglio, il prezzo di mercato di un bene capitale è dato dall’attualizzazione dei flussi futuri di reddito che è in grado di generare. Il suo costo non ha niente a che vedere con il suo prezzo. Si pensi alle puerili critiche quando il prezzo del petrolio diminuisce e non accade altrettanto per la benzina: ma secondo quale astrusa logica ci si attende un connesso calo del prezzo della benzina??? O piuttosto, perché quando invece a calare è il prezzo del minerale di ferro nessuno si lamenta che non cali anche il prezzo delle chiavi inglesi? Il prezzo del petrolio è dovuto a determinati fattori legati alla sua quantità estratta (più scorte si accumulano, meno costa), quello della benzina invece a quanto l'acquirente è disposto a spendere per i chilometri che essa permette di percorrere! Ciò avviene secondo le semplici varie leggi economiche con alla base quella banale della domanda / offerta che determinano i prezzi (compreso quello del lavoro), tra cui quelle sui beni elastici ed anelastici che invece determinano il prezzo della benzina dell'esempio. Il salario è un costo come quello di una merce, ed in quanto tale ha un suo valore perfetto rispetto a quello di tutte le altre merci (“le merci si pagano con merci”, legge di Say). Eliminando il marxiano plusvalore ovvero distribuendolo e quindi aumentando ceteris paribus i salari, avremmo automaticamente un aumento della propensione all’acquisto e conseguentemente della “domanda”, e quindi di pari misura (nel lungo periodo) dei prezzi, annullando di fatto ogni ipotetico aumento fittizio di potere d’acquisto, avviando una spirale inflazionistica. Questo perché le somme superiori al salario fisiologico non rappresentano beni di consumo autonomo esistenti (e tantomeno indotto). Con l’eliminazione della rendita del proprietario i valori si adeguerebbero portando i poteri d’acquisto su livelli sfalsati che causerebbero l’aumento di domanda a fronte di produzione invariata (e quindi ad inflazione) ed il blocco degli investimenti per perdita secca con “forzatura del risparmio” tanto quanto una tassa appostavi (e solitamente causato proprio da ciò). E’ proprio qua che interviene l’imprenditore, per produrre beni che hanno un costo inferiore al suo prezzo di mercato utilizzando il risparmio del sistema. Se tutti i proprietari rinunciassero ceteris paribus a trattenere parte di plusvalore mensile per cedere 10 euro in più ad ogni salariato, il risultato (ad opera della "mano invisibile") non sarebbe altro che l’aumento medio di 10 euro dei costi per le medesime spese mensili del salariato! Se invece viceversa riducessero di 10 euro i salari l'effetto sarebbe l'opposto: il calo di 10 euro per le spese mensili dei dipendenti. Questa non è un opinione ma una legge matematica. Ora, dato che l'automazione avanza più velocemente di quanto la manodopera sostituita possa essere reimpiegata, ci sarà sempre un certo scarto temporale che lascerà un certo numero di persone disoccupate. Se i salari sono scesi a 400 euro la colpa è di chi accetta di lavorare per tale cifra, non di chi la offre, perché se la offre è perché c'è chi la accetta. Si chiama "legge della domanda ed offerta". Come sostiene anche Hiller Steiner la questione dei salari più bassi quindi verte sul "dilemma del prigioniero": accettando tale cifra avendone bisogno determini TU l'abbassamento dei salari anche per tutti gli altri. Il discorso cambia se invece di mantenere salari artificialmente alti, li si lascia alla libera contrattazione domanda-offerta, abolendo i costi fiscali gravantivi e compensando distribuendo un reddito di cittadinanza come dividendo nazionale in sostituzione degli artifici keynesiani, e questo per le ragioni espresse fin qui riportando leggi economiche di cui presumibilmente ad una sola prima lettura comprendo che si possa non afferrare il nesso e quasi buttate là alla rinfusa in maniera ridondante.

"Che cosa ne è del buco una volta finito il formaggio?" (Bertolt Brecht)

Risvolti prevedibilmente conseguenti al reddito di cittadinanza

Perciò risulta chiaro, analizzando il reddito di cittadinanza in tutti i suoi aspetti, che esso apporterebbe inevitabilmente una razionalizzazione più o meno grande, soprattutto grazie alla diversa concezione del rapporto redditi / PIL (non più “ostaggio” del mercato del lavoro alterato), che modificherebbe la concezione di “consumo indotto” (non IL consumo indotto, ma la sua concezione, preciso) con risvolti sull’“effetto reddito” e sui “costi marginali di produzione”, confermando l’“effetto Pigoù”. Per cui se finora ragionando in maniera teorica se n'era ricavato che cambia la forma ma "tutto rimane uguale nella sostanza", nella pratica invece le conseguenze indirette apporterebbero si un aumento di reddito sul lungo periodo, ma senza alcuna distorsione dello schema capitalistico dei prezzi in senso marxista, per via della prevedibile variazione autonoma della spesa aggregata risultante nel perfetto equilibrio reddito / spesa. Semplificando: le proporzioni della “piramide” rimarrebbero immutate, ma a partire dal vertice in giù i poteri d’acquisto reali si ridurrebbero solo lievemente o per nulla, mentre a partire dalla base in su aumenterebbero, incontrandosi alla metà (ove sarebbero immutati) con conseguente riflessione sui prezzi tramite “effetto reddito” e quindi sulla propensione marginale al consumo e sulla valutazione dei costi di opportunità. Questo come risvolto INDIRETTO dell'aumento di produttività ed efficienza, non per la mera redistribuzione che come abbiamo visto non avrebbe di per sé alcuna influenza sui poteri d'acquisto venendo ad auto-compensarsi secondo le leggi già descritte. Inoltre porterebbe ad una razionalizzazione del tipo di produzioni verso la reale necessità delle persone, massimizzando la “funzione di utilità” del sistema economico con un autocompensazione di tutti i fattori, eliminando automaticamente ogni spreco. Ma sia chiaro, questo è ciò che si può dedurre come risultato del reddito di cittadinanza, analizzandolo, risultato indiretto e secondario, non appositamente ricercato. Non è questo il suo scopo, quindi anche se la realtà smentisse questo dettaglio (ovvero da questo punto di vista si mantenesse tutto come oggi), non verrebbe meno lo scopo primario che è la razionalizzazione del sistema conseguente all'indipendenza economica collettiva con la scomparsa del castrante schiavismo istituzionalizzato noto come “lavoro dipendente” e relativi lati alienanti, e suo relativo spostamento verso la specializzazione a seconda delle singole predisposizioni (di conseguenza verrebbe meno l'alienazione tutta italiana dei "cuochi costretti a fare i meccanici ed i meccanici costretti a fare i cuochi" causata dal dover necessariamente occupare il primo posto che si trova qualunque esso sia, per cui i "cuochi" trovando i posti di "cuoco" già tutti occupati da "meccanici", devono occupare il primo posto trovato anche qualora fosse da "meccanico"), aprendo per tutti nuove possibilità di auto-realizzazione, nel quale il concetto di "self-made man" sarebbe risultato di vera capacità e non di eredità o casuale fortuna come oggi. Il reddito di cittadinanza realizzerebbe lo slogan marxista “da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi bisogni”, tanto che Philippe Van Parijs del "Collectif Charles Fourier" e Robert J. Van der Veen del "Gruppo settembre" (uno dei rari esemplari a sinistra di sostenitore del reddito di cittadinanza) lo definiscono "la via capitalista verso il comunismo". E ci voleva un genio per capire che anziché requisire per affidare ad incapaci magari per il "proletariato" sarebbe stato più conveniente lasciare la gestione a chi sapeva condurla proficuamente e farsi pagare un affitto da suddividere tra tutti? Già a fine '800 i fabianisti lo avevano compreso: "il fabianesimo si nutre di capitalismo, e il suo escremento è il comunismo" (incipit dei "Saggi fabiani", 1889), che per quanto per scopi sbagliati, almeno avevano capito che la rivoluzione marxista era una follia che avrebbe causato gli effetti opposti a quelli desiderati. Peccato che i paraocchi di cui i comunisti sono dotati gli impediscano di capirlo. I comunisti nel vero senso del termine sono invece quelli di Mill (verso la felicità per tutti) di don Liberatore e don Sturzo (iper liberisti, ma favorevoli a leggi perché i ricchi diano di più) di Tocqueville (la filantropia, l'associazionismo, l'attenzione agli operai alienati e la condanna verso l'aristocrazia degli industriali), di Gobetti, di Mazzini e Pisacane.

“Il lavoro è umano solo se resta intelligente e libero” (Papa Paolo VI)

“La vera felicità si raggiunge esercitando liberamente il proprio ingegno” (Aristotele)

“La povertà condanna saldamente i popoli ai lavori forzati più di quanto lo fossero stati dalla schiavitù. Da essa potevano anche liberarsi, ma non dalla miseria. I diritti repubblicani per un uomo povero non sono altro che un boccone amaro di ironia, poiché la sua necessità di lavorare duramente quasi tutto il giorno ne toglie qualsiasi bisogno attuale, ma d’altra parte lo deruba di tutte le garanzie di un guadagno certo e regolare, rendendolo dipendente dagli scioperi dei suoi compagni o dalle serrate dei suoi padroni. Oggigiorno i popoli sono caduti nella morsa dei farabutti spietati avidi di denaro che hanno creato un dominio alle spese dei lavoratori. Il nostro potere sta nella mancanza cronica di cibo e nella debolezza fisica del lavoratore, perché ne deriva la sua assoggettazione alla nostra volontà, e non troverà dalla parte delle sue autorità né il potere, né la forza, per contrastare la nostra volontà. La fame conferirà al capitalismo dei diritti di comandare il lavoratore infinitamente più potenti di quelli che il legittimo potere del Sovrano potesse conferire all’aristocrazia. Dal bisogno, dall’invidia e dall’odio che genera, mobiliteremo le folle tumultuanti, e con le loro mani cancelleremo tutti quelli che ci ostacolano la via” (dal “pamphlet contro Napoleone III” di Maurice Joly)

Invece con il sistema tipicamente socialdemocratico di redistribuzione tramite il prelievo fiscale, secondo quanto finora detto si comprenderà come ad un aumento di pressione fiscale finisca inevitabilmente per corrispondere un uguale aumento dei prezzi, riportando con ciò l’effettivo potere d’acquisto teoricamente sui medesimi livelli, ma praticamente perfino a livelli inferiori, perché il peso fiscale come costo aggiuntivo (non a caso noto anche come “perdita secca”) è un disincentivo alla produttività, la quale diminuisce e assieme ad essa le cifre concretamente disponibili alla suddivisione dei salari, tanto più se la tassazione è progressiva; per di più quando il gettito fiscale dipende dal reddito si ha una fuga indotta di reddito assorbito dal risparmio, la quale altera l’effetto moltiplicativo di variazioni autonome della spesa. Come già detto, se, banalmente, si alza il livello di tassazione e contemporaneamente le tasse accumulate vengono spese (pensioni, stipendi pubblici, sprechi, enti inutili ecc...), prima o poi si arresta il processo di accumulo del capitale e addirittura si può anche diminuire tale stock, se si impedisce la semplice manutenzione dei beni capitali. E questo senza considerare le politiche monetarie che in tempi di boom inflazionistico gonfiano i profitti e inficiano la bontà delle informazioni contabili portando quindi a quei fenomeni di consumo di capitale tipici di queste manipolazioni. Quindi nel liberismo del “lavoro mercificato e sindacalizzato” non è possibile eliminare draconianamente la disoccupazione ignorando la “curva di Phillips”, sarebbe una forzatura che si ripercuoterebbe in tutto il sistema economico (ed è ciò che oggi avviene), perché, come già spiegato, maggiore è il costo del lavoro, minore è l'occupazione, e a parità di PNL eliminare artificialmente la disoccupazione comporterebbe un minore RN pro capite suddividibile tra i lavoratori (non sulla popolazione totale!) ma con un uguale richiesta, cosa che provocherebbe inflazione annullando immediatamente il potere d’acquisto che superasse la percentuale di RN suddiviso disponibile. L'inflazione monetaria diventa la causa indiretta della disoccupazione. Dal grande trade off non c'è via di scampo in un sistema folle come quello attuale.

«La disoccupazione si sviluppa perché la gente vuole la luna: gli uomini non possono essere occupati quando l’oggetto del desiderio (cioè la moneta) è qualcosa che non può essere prodotta e la cui domanda non può essere facilmente ridotta. Non vi è alcun rimedio, salvo che persuadere il pubblico che il formaggio sia la stessa cosa e avere una fabbrica di formaggio (ossia una banca centrale) sotto il controllo pubblico» (John Maynard Keynes, “Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”)

Scegliendo l’erogazione di un reddito di base sotto forma monetaria, questa consente una maggiore libertà di scelta per la destinazione del reddito, cosi ché gli individui sono maggiormente liberi di scegliere se investire la medesima somma oppure se utilizzarla meramente per la vita quotidiana. Tenendo conto che le differenze di potere d’acquisto tra persone sarebbero generalmente più razionalizzate rispetto ad oggi (sarebbero in pratica "tagliati" gli estremi oggi artificialmente mantenuti), unitamente al calo di prezzo di alcuni prodotti dovuto all'ampliamento della loro diffusione per la variazione dei costi di scala, a tutti si aprirebbe la possibilità di fare fronte a determinati tipi di spesa oggi inaccessibili ad alcuni; ad esempio quelle assicurative, perché questa razionalizzazione verrebbe compensata secondo la “legge del costo di opportunità”, per cui il livello dei prezzi si adeguerebbe su equilibri marginali differenti rispetto ad oggi, con un aumento compensato (ovvero solo nominale, non reale) dei prezzi dei beni di “consumo autonomo” (a fronte del rialzo del potere d’acquisto minimo per “effetto reddito” e dei “costi di opportunità” percepiti; ovvero la rivalutazione dei beni oggi svalutati sarebbe compensata dal maggior reddito disponibile alle fasce più basse, rendendo tali produzioni più redditizie) ed una svalutazione dei beni di “consumo indotto” (a causa della diminuzione della “disponibilità a pagare” e quindi della propensione al consumo ricadenti sulle valutazioni dei costi di opportunità), provocando una maggior omogeneizzazione della piramide sociale nelle differenze di potere d’acquisto a tutto favore di un’allocazione più efficiente tramite questa spontanea diminuzione della forbice reddituale, per la quale tra l’altro gli sprechi sarebbero ridimensionati conseguentemente quasi fino a scomparire in quanto non più remunerativi per i fabbricanti (trade-off della “frontiera delle possibilità di produzione”). I prezzi aggregati (e quindi le quantità) verrebbero ad adattarsi alle sopravvenute modifiche nella “spesa aggregata programmata” (la misura della reattività della domanda rispetto alle sue determinanti è data dal coefficiente di elasticità), con liberazione di risorse e riduzione di inefficienti sprechi edonistici da "favola delle api". In un simile caso il “principio dei costi crescenti” (quando raggiunta la “frontiera delle possibilità produttive” un aumento di produzione di un bene può andare solo a scapito della produzione di altri beni, ma con costi crescenti ovvero con un aumento decrescente della produzione del bene desiderato, e diminuzione totale dei beni) può tranquillamente essere ignorato, in quanto la diminuzione degli sprechi, checché ne voglia dire l'assurda favola delle api, non potrebbe risultare altro che positiva al benessere genuino, seppur venendo a mancare il loro valore dalla quantificazione del PIL. Ma il PIL non è un indicatore equilibrato della quantificazione del benessere, perché i beni non sono meri numeri. Lo scopo dell’economia, in ultima analisi, è produrre valori d’uso. Se non è lo scopo della produzione, e non è lo scopo dei capitalisti, come la si voglia vedere, ciò non toglie che alla fine, se le merci prodotte non servono, non si vendono, e se non si vendono, non si producono. Che differenza c'è tra scavare buche per riempirle, e fabbricare automobili che superano i limiti massimi di velocità esistenti sulle strade? E' incredibile come qualcuno ritenga ciò opinabile... gli optional utili sono tutto un altro discorso, ovviamente.

“Tutti i soldi che vengono spesi per ripulire il mare da una macchia di petrolio grezzo, per ripagare i danni di un incidente automobilistico o per fabbricare sempre più armi per rimpiazzare le bombe sganciate su persone innocenti, dal punto di vista della crescita economica vengono considerati un fatto positivo. Il sistema della contabilità e dei calcoli finanziari è talmente ridicolo da trasformare una macchia di petrolio, un incidente d’auto o un bombardamento in un successo economico” (David Icke)

L’equilibrio reddito / spesa (si ha quando le scorte non aumentano né diminuiscono) rimarrebbe comunque immutato aggiustandosi da sé, senza influire sul livello di produzione aggregata né sul PIL di equilibrio, e quindi nemmeno sul PIL reale. Il tutto a beneficio dell’intera economia e del benessere dei singoli, a conferma del “racconto della finestra rotta”, contrariamente all’errata convinzione popolare che “spendere giovi all’economia” derivata dalla illogica “favola delle api” la quale in Italia ha già causato i suoi bei danni perlomeno come giustificazione dei deleteri incentivi per la rottamazione delle auto. Secondo la “teoria dell’equilibrio economico generale” gli ex lavoratori di queste produzioni / attività abbandonate (gli ammortizzatori sociali oggi tollerati proprio a causa dell'errata concezione sui metodi redistributivi) verrebbero automaticamente assorbiti da altre produzioni, in quanto oggi la disoccupazione esiste solo come conseguenza dei compromessi determinati dal lavoro salariato e dall'incidenza su esso di costi irrazionalmente appostivi come esternalità che determinano il superamento delle frontiere del prezzo dei fattori (ossia dei salari), con le ricadute già esposte.
Tradotto in parole povere, quelli che oggi hanno un reddito, con l'introduzione del reddito di cittadinanza non avranno un potere d'acquisto maggiore, perlomeno poiché mediamente la cifra che riceveranno come reddito di cittadinanza (senza considerare le spese aggiuntive sulle cui ricadute e compensazione vedremo più avanti) la riceveranno in meno come frazione di salario, ed analogamente tale frazione complessivamente a chi paga i salari non darà maggior potere d'acquisto andando essa ad essere versata al fisco per formare il monte-sociale da distribuire alla cittadinanza come reddito / dividendo dell'"utile della nazione" (per entrambi un aumento di potere d'acquisto sarà solo conseguente all'aumento di efficienza dell'intero sistema economico; è da presumersi che dall'impostazione come dividendo di ciò che è disponibile ne risulterà una oscillazione mensile di 2-3 euro sul valore target, in connessione ad un probabile incremento lento ma costante del potere d'acquisto, a meno di un boom o di un collasso dell'economia nazionale); per chi invece oggi non ha reddito, il reddito di cittadinanza lo spenderà interamente per la sopravvivenza in sostituzione degli ammortizzatori sociali / assistenziali che oggi gliela consentono, per cui come consuma tot oggi questo tot rimarrà invariato e trattandosi di beni autonomi di sussistenza che nel caso le persone in questione non avessero i soldi per acquistare non è che non verrebbero prodotti ma andrebbero sprecati poiché non vi è alcuna potenziale carenza di essi oggi ma bensì un eccesso proprio a causa del fatto che i potenziali acquirenti per ragioni artificiali ("perdite secche") non hanno la possibilità di ricambiare per ottenerli, creandosi così una situazione di stallo (poiché nell'assurdo sistema attuale sono a malincuore valide le teorie di Hilferding sulla sovrapproduzione); detto in parole ancora più povere, questi ultimi il reddito di cittadinanza lo spenderanno interamente per comprare "pane" cioè un bene la cui produzione potenziale è in eccesso (e lo è per i motivi artificiali già citati); non lo utilizzerà per comprare beni indotti ovvero da produrre appositamente con utilizzo di risorse solo in seguito alla sua richiesta, cioè non farebbe concorrenza agli attuali o aspiranti usufruitori dei beni indotti e non ci sarebbe perciò una spinta al rialzo dei prezzi dei beni indotti, così come nemmeno di quelli autonomi di sussistenza dato che già sia ne usufruiscono oggi per altre vie sia ve n'è già un eccesso artificialmente mantenuto (ma solo potenziale, quindi con "eccesso" non si intende "scorte"!). Si tratta di un anomala condizione nella quale un bene è presente in abbondanza ma non può essere distribuito poiché gli agenti non hanno altrettanti beni (leggi soldi) coi quali scambiarlo con chi lo detiene / produce, da cui ne deriva una scarsità artificiale ("perdita secca" ovvero risorsa non sfruttata ma sprecata) mentre invece nella realtà ci sarebbe cibo in abbondanza per tutta la popolazione mondiale, ma a causa della mancanza artificialmente mantenuta di potere d'acquisto di una parte di popolazione e non potendo né regalare né scendere sotto il livello minimo che permette di ottenere una rendita (anche a causa dei costi di distribuzione), ogni anno vengono letteralmente distrutte tonnellate di generi alimentari, mentre milioni di persone muoiono di fame o malnutrizione. In generale non si produce per la domanda effettiva, ma bensì per la domanda di mercato presunta, cioè per chi ha potere d'acquisto. Ciò comporta che la frequente sovrapproduzione di beni è relativa, non assoluta. Si veda la situazione attuale nella quale si trova il mercato immobiliare, dove ci sono molte persone che desidererebbero una casa, ma non hanno i soldi per permettersela ai prezzi / affitti odierni, e dall'altro lato ci sono una marea di case vuote i cui proprietari si lamentano di non riuscire a vendere / affittare, situazione di stallo causata dall'ignoranza da parte dei proprietari di casa della perfino banalissima legge della domanda / offerta (e solo essa, dato che le tasse sulla casa le devono giustamente pagare comunque anche se è inutilizzata), in spregio della quale essi preferiscono rinunciare alla rendita che gli deriverebbe da essa e lasciare la casa inutilizzata, non volendo scendere sotto un certo prezzo, troppo elevato per i potenziali acquirenti / affittuari, quindi il prezzo non può scendere proprio per questa discrepanza tra le reciproche aspettative, e questo non è normale ma è una delle tante follie dell'attuale sistema economico-sociale derivata proprio da un errata allocazione delle risorse, auto-originatasi ed auto-alimentantesi proprio e solo come conseguenza generale non di un fattore in particolare (tanto che non esiste nemmeno una legge economica a definirlo!) ma del complessivo sistema! Da cui lo spostamento artificiale delle curve che origina l'area di perdita secca consistente in case inutilizzate ovvero sprecate a fronte di una domanda esistente. Di conseguenza il reddito di cittadinanza non farebbe altro che rimediare a queste folli falle mettendoci "una pezza", ceteris paribus senza alcuna inflazione o aumento di peso fiscale, cose che invece un normale sussidio keynesiano (anche se giustificato dallo scavo di buche) "ceteris paribus" causerebbe inevitabilmente con conseguente stagflazione dovuta alle aspettative e / o pretese da dover colmare in qualche modo (e che quindi si scaricherebbero, sempre "in qualche modo", da qualche parte ovvero perfino peggiorando gli stalli descritti).

“Le borse e l’economia son due cose diverse” (Milton Friedman)

Quanto appena detto sembrerebbe porsi agli antipodi riguardo una delle opinioni stereotipate: il reddito di base parrebbe auspicabile proprio perché renderebbe la crescita economica non necessaria, distribuendo tra un numero più ampio di persone i benefici esistenti, eliminando la problematicità della disoccupazione e anzi premiando coloro che seguono uno stile di vita meno consumistico e più legato a valori e beni immateriali, liberandoli almeno in parte dalla necessità di lavorare – e produrre – al fine di ottenere quanto serve per la sopravvivenza. Ciò non è del tutto vero. Se è chiaro che un reddito non vincolato all’espletamento di un’attività lavorativa salariata offre un indiscusso vantaggio a quanti valutano molto di più il tempo libero così come altre attività extra-lavorative, il reddito di cittadinanza non è un meccanismo per bloccare la crescita economica tradizionalmente intesa, ma per renderne possibile un indirizzo diverso. Eppure i critici continuano imperterriti con lo stereotipo secondo cui il reddito di cittadinanza porterebbe a livellare al ribasso (quello che loro chiamano "decrescita felice") il potere d'acquisto delle persone, cioè "tutti uguali con poco a disposizione e senza speranza di migliorare"... ora la sola risposta possibile da dare a questi ottusi è: e quali alternative vedete???? Se è "al ribasso" non è così perché lo decide un orco cattivo, ma perché quelli sono i beni esistenti! Se uno di questi ottusi regalasse alla società una pietra filosofale con cui creare ricchezza per tutti dal nulla, ben venga! Ma dato che ciò non sussiste, in qualche modo si dovrà pur rimediare all'inefficiente sistema odierno per renderlo perlomeno più efficiente! Forse che a loro vedere le prospettive con il sistema odierno sono migliori di quelle che imputano a noi???? Il tipo di polarizzazione che loro paventano sarebbe peggiore di quella del tipo che noi vogliamo prevenire? La prospettiva di milioni di futuri barboni per loro è migliore???? Noi non facciamo l'apologia della povertà, noi solo ne prendiamo atto cercando di proporre il rimedio; quella che loro definiscono "decrescita felice" non è un nostro auspicio ma una constatazione, non un aspirazione appositamente ricercata! "Una minoranza iperproduttiva e una maggioranza di lavoratori con stipendi bassi e sussidiati dallo stato per mantenere il consenso sociale"... per mantenere il consenso sociale??? No: per mantenerli in vita! L'alternativa che propongono qual'è???? “Il reddito di base non è una cospirazione dell’élite della Silicon Valley per creare una neo-servitù in cui tutta la popolazione guadagna al massimo 12mila dollari l’anno”, scrive Scott Santens. Sarebbe vero, invece, il contrario. Quei 12mila dollari sarebbero il minimo assoluto dal quale partire. La crescita è necessaria, dice Luciano Miraglia, perché i poveri, comprensibilmente, vorrebbero stare meglio e poi perché solo crescendo economicamente è possibile divenire più ricchi senza che nessuno, nel frattempo, diventi più povero (ovvero alzando l'ottimo paretiano anziché oltrepassarlo). E’ questo un gioco a somma positiva. Pensare di vedere crescere l’occupazione senza far crescere la ricchezza prodotta, come se questa fosse una torta fissa e si dovesse solo stabilire come diversamente spartirla, supporre che i posti di lavoro si creino con le leggi e non con il mercato, porta a varare agevolazioni temporanee, i cui effetti sono destinati a sfumare. Come è puntualmente avvenuto, per giunta facendo colpevole confusione fra riforma del mercato del lavoro e agevolazioni. Pensare di far riprendere il mercato regalando soldi pubblici presi a debito, in questo modo facendo calare la produttività e crescere il male che ci toglie il fiato, il debito, è da propagandisti incoscienti. Dare l’impressione che si voglia continuare con tali dottrine porta alla fuga degli investitori e dei finanziatori del debito. Temporeggiare nel chiudere la gnagnera dello 0,2% di riduzione del deficit (posto che sforiamo dello 0,8), polemizzando con altri europei provoca un solo effetto: l’indebolimento di quanti (Bce in testa) hanno fin qui tenuto aperto l’ombrello che ci ripara dal diluvio speculativo. In questi dati, brutti, c’è però un’indicazione positiva: allentando le barriere lobbistiche e mollando le rendite di posizione, liberando il mercato e chiamando al lavoro l’esercito degli esclusi, il motore produttivo italiano potrebbe ruggire. Come in passato seppe fare. Per far capire come lo sviluppo possa venir bloccato appositamente dalle lobbies, facciamo un esempio: guai ad attuare una politica tesa a rendere possibile a tutti l'acquisto dell'abitazione! Politica che non potrebbe che andare nel verso di far abbassare i prezzi delle case, mica ci sono alternative. Ma questo, secondo loro, andrebbe a scapito di chi una casa già la possiede, come se la variazione del valore della propria abitazione andasse a scapito della loro ricchezza... ma porcogiuda, in una casa dovrai pur abitare, e finché ci abiti mica ne ricavi qualcosa, quindi quale sia il suo valore mica ti influisce nella tua ricchezza, ed anche nel caso dovessi vendere quella in cui abiti per comprarne un altra dove andare ad abitare, anche quella avrà un prezzo equivalentemente inferiore, e quindi non ti modificherebbe IN NESSUN CASO la tua spesa! Niente, mica c'è verso di far capire l'ovvio a questa gente!

"E' inutile lavare la testa all asino, si spreca acqua e sapone"

Secondo Davide Giacalone, tornando alla cultura del lavoro e dedicandole la formazione dei giovani, potremmo riqualificare la domanda nel mentre si smette di succhiare fiscalmente il sangue al mercato del lavoro. Sono giacimenti abbandonati, ma preziosi. Solo che da noi si parla di come abolire o, almeno, limitare i voucher, impauriti dal loro successo anziché preoccupati dal loro minuscolo peso nel complesso del mercato del lavoro senza neanche andare a considerare le necessità che ne hanno determinato la creazione. A quelli che li usano abusivamente andrebbe fatto un monumento, altroché! Si usa ancora il linguaggio bracciantile nel mondo in cui l’elasticità è anche liberazione dalla ripetitività e la formazione aumenta il potere contrattuale del lavoratore. Pensieri miseri generano miseria, mentre un pezzo del Paese continua a correre e tirare la carretta in uno stato stazionario, in cui ci si accontenta di quello che si ha senza nuove aspirazioni, invece vi sono grandi incertezze perché il guadagno dell’uno non può che corrispondere alla perdita dell’altro (oltrepasso dell'ottimo paretiano: la torta è la stessa e una fetta più grande è ottenuta a scapito di qualche altra). In uno stato di declino, poi, è inevitabile che stiano peggio tutti. Alcune fette della torta decrescono più di altre e la lotta si fa più serrata. Stagnazione o declino che sia, ognuno avrebbe paura di perdere il poco o il molto che ha e tali paure innescherebbero conflitti estesi. Ognuno cercherebbe di minimizzare le perdite, lo spirito imprenditoriale sparirebbe e al suo posto si accrescerebbe il desiderio di difendere quello che già si ha, contro tutti. Le persone, in sostanza, detestano perdere molto di più di quanto non amino guadagnare (ecco spiegato il motivo per cui i proprietari di case rinunciano ad affittarle), fatto che si può spiegare con la categoria della preferenza temporale. Essa dice che ceteris paribus l'essere umano preferisce beni presenti ai beni futuri. Rivediamola velocemente: ciò che ci separa da ogni fine che intendiamo realizzare è un periodo di tempo costituito da tappe successive. Quindi, ceteris paribus, tanto più vicino nel tempo è il fine tanto meglio è per noi. Tra due fini identici, ceteris paribus, preferiamo quello temporalmente più vicino. Questa legge o categoria dell'azione umana ha il suo rovescio: sono disposto a rinunciare a un determinato fine che posso conseguire oggi se domani, ceteris paribus, il valore del fine sarà maggiore (cioè: è meglio l'uovo oggi o la gallina domani?). Siamo pertanto disposti a prestare un bene se al momento della restituzione esso porta con sé una quantità addizionale. Nel caso del denaro definiamo quella quantità addizionale l'interesse. Nel prestito di beni fungibili c'è sempre l'interesse. La scala di preferenze temporali è diversa per ogni essere umano, e il tasso di interesse non è altro che il prezzo di mercato dei beni presenti in funzione dei beni futuri. Quello che già abbiamo, in sostanza, crediamo che ci spetti di diritto e nessuna discussione razionale renderà più facile la rinuncia, anzi crescerebbe in noi il sospetto che qualcuno ci voglia fregare se ci propone di scommettere in un futuro migliore. Quest’aspetto psicologico, che s’innesca in un mondo in stagnazione o contrazione economica, porta alla totale rottura dei rapporti fiduciari e alla disgregazione delle relazioni socio-economiche. Alcuni useranno tutto il loro residuo potere per assalire e sfruttare i più deboli, altri ricorreranno a tutti i trucchi della corruzione per vincere la loro personale guerra. Tutti i presupposti su cui si fonda un sano mercato diverrebbero sempre più inaffidabili, disonesti e insicuri. Se ci guardiamo intorno, senza pregiudizi ideologici, non possiamo che riconoscere il momento che stiamo vivendo nel nostro paese (di cui abbiamo visto l'esempio lampante sulla distorsione nel mercato immobiliare). In una situazione così deteriorata, molti si opporranno a tutte quelle riforme che sarebbero necessarie per far ripartire la crescita. Di più, le riforme saranno viste come un meccanismo per favorire qualcuno a spese di qualcun altro. A questo punto sarebbe inevitabile un radicalizzarsi della lotta politica e, dal punto di vista economico, la fuga d’imprenditori e capitali alla ricerca di ambienti più favorevoli allo sviluppo.

“Il denaro che si possiede è strumento di libertà; quello che si insegue è strumento di schiavitù” (Jean-Jacques Rousseau)

Questo poiché l’ignoranza del concetto di “consumo indotto” ha portato al consumismo spingendo le persone al desiderio di prodotti di cui gli viene fatta sentire un inesistente scarsità, e come conseguenza di ciò ad avere aspettative irreali ed a pianificare utopici “sistemi economici perfetti”. Assodato come il ruolo sociale dei sindacati si esplichi nello spingere i lavoratori a volere “tutto e subito senza sforzo” e difendere accanitamente i privilegi (perché tali sono checché ne dica la Cgil) ottenuti indebitamente a causa di una classe politica impotente, e secondo l'assunto di come ciò sfoci in “chi troppo vuole nulla stringe” (stagflazione), rimane da verificare che, a loro malincuore, i “replicatori” di oggetti esistano solo nella fantascienza della serie tv “star trek”, ed ancora nessuno sia riuscito a trasformare il piombo in oro e ad inventare il moto perpetuo. Per Carl Popper e Noam Chomsky l’idea della possibilità di una “società perfetta” si deve spiegare proprio con l’abbassamento del livello di razionalità. Se non bastasse la logica stessa, la teoria insider-outsider spiega chiaramente come lo status di disoccupato non sia causato dai "padroni" ma bensì DAI LAVORATORI, in quanto la concorrenza si esplica tra questi due soggetti, mentre il terzo (il padrone) è neutrale tra i due; una concorrenza nella quale però uno (il lavoratore) occupa una posizione privilegiata (rendita di posizione) rispetto all'altro al quale toglie ogni legittimo strumento (la legge domanda-offerta) con metodi mafiosi che solo uno Stato imbelle e corrotto può tollerare; figurarsi uno stato che anziché reprimerle le alimenta: se ad un imprenditore viene impedito di licenziare, quale sarà l'ovvia conseguenza? Che non vorrà assumere! Questa è semplice logica. Da ciò l'alterazione della "teoria dei salari di efficienza" (si definiscono tali quando i loro livelli superano il punto ideale dato dall’intersezione tra la curva di domanda ed offerta) determinata in tal caso non dal mercato ma da un elevato costo di ricambio della manodopera e quindi ingiustificata.

"senza che ci sia un ministero, o un ordine di pianificazione, o un decreto, esiste una forza del mercato spontanea e inesorabile, alimentata e stimolata dall'imprenditorialità, in funzione della quale ciascun fattore di produzione tende a essere retribuito per il contributo effettivamente fornito nel processo produttivo" (Jesus Huerta De Soto)

Una delle tragedie più grandi dell'umanità, causate dalla politica e dalla propaganda anticapitalista e sindacalista, è aver inculcato l'idea che il lavoratore può sopravvivere e prosperare solo grazie ai sindacati e allo protezione dello stato. Nel tempo tali politiche hanno convinto il lavoratore che è la vittima alienata di una macchina senza anima, che è costantemente sfruttato. Si è avvelenato lo spirito di milioni di lavoratori con conseguenze tragiche per il processo di cooperazione sociale. Si tratta di una propaganda perversa e immorale. Inculcare l'idea di essere espropriato è uno dei danni più gravi apportati al processo sociale di cooperazione. Per avere una vita migliore è necessario essere consapevoli delle leggi economiche che governano la nostra vita, il nostro lavoro. La funzione imprenditoriale nel mercato del lavoro è dispersa come in qualunque altro mercato. Ci sono lavoratori che sono alla costante ricerca del miglior lavoro, e imprenditori che sono alla costante ricerca dei lavoratori migliori. La possibilità di poter ottenere un mutuo beneficio deve essere libera, non deve essere ostruita, e invece lo è, sulla base della errata presunzione che lo stato possa effettivamente proteggere il lavoratore. Si tratta di una menzogna. In realtà tutto ciò che si ottiene è impedire che le controparti contrattino liberamente. Esistono due tipi di disoccupazione. Quella catallattica, o frizionale, volontaria. Questo tipo di disoccupazione coinvolge persone che decidono di non lavorare, che preferiscono l'ozio a una lavoro remunerato. Poi abbiamo la disoccupazione istituzionale o involontaria che sorge a causa della la legislazione lavorativa (salario minimo, condizioni di lavoro obbligatorie, ecc) che impedisce con la forza la stipulazione di contratti volontari. Se si stabilisce un salario minimo, se si impedisce con la forza la contrattazione volontaria, automaticamente si crea disoccupazione. Essa sorge come conseguenza dell'intervento dello stato nel mercato del lavoro. Se il mercato si irrigidisce, anche la ricerca di lavoro si blocca. Le agenzia di impiego in alcuni paesi sono vietate (sono considerate "caporalato"), è permessa solo quella statale. I più svantaggiati in queste situazioni sono proprio i più sfavoriti che per decreto si vorrebbero aiutare: le donne, i giovani, gli immigranti. Ovvero tutti quelli che contribuiscono e apportano di meno al processo produttivo. Analizziamo ora la gran bugia della legislazione. Abbiamo visto che al lavoratore si paga il valore scontato della produttività. Ma questo tuttavia non è ciò che il lavoratore si porta a casa. Egli porta a casa solo una minima parte di ciò che costa all'imprenditore, ovvero il salario netto. In apparenza il lavoratore paga l'assicurazione sociale per il tot% mentre il datore di lavoro per il tot% (è irrilevante quali siano queste percentuali). Sempre in apparenza beneficiamo di un'altra conquista sociale: le vacanze pagate. Che bello, grazie alla legislazione, il mio datore di lavoro mi paga le vacanze e mi dà un mese in più di salario! Ma nessuno riesce a rendersi conto di che razza di stupidaggine sia???? In realtà il lavoratore paga da sé tutti questi costi, fino all'ultimo centesimo! Incluso il tot% dell'assicurazione sociale che sembrerebbe essere pagata dal datore di lavoro. Tutti i minuti che passiamo in spiaggia pensando che il datore di lavoro ci stia pagando le vacanze, in realtà ce le stiamo pagando noi, da soli! Per la gran bugia perpetrata dalla legislazione siamo convinti che ci stiano pagando di più, in realtà la legge economica dice chiaramente che a pagare tutto è sempre e solo il lavoratore. Ci sono ben pochi dubbi che se il lavoratore ricevesse tutto il salario lordo potrebbe pagarsi gli stessi servizi apparentemente garantiti dallo stato, in via privata, ottenendo servizi di qualità migliore, e a prezzo più basso, e gli avanzerebbe anche qualcosa. Non solo, tanti lavoratori potrebbero anche non voler fare un mese di vacanze coattive e forzose a proprie spese, preferirebbero anzi ricevere il salario. Invece sono costretti a non poter scegliere. Tutto ciò che in ambito di legislazione lavorativa ci viene fatto vedere sotto la luce di una conquista sociale è invece un clamoroso inganno! Che ciascuno decidesse in libertà quanto vuole lavorare, quante vacanze vuole fare, se vuole essere pagato in 12 mensilità piuttosto che in 14, come vuole spendere i soldi per l'assicurazione sociale. Lo stato ci impone come dobbiamo vivere la vita, ingannandoci, come se si trattasse di conquiste sociali strappate all'imprenditore. La teoria economica smonta tutta la legislazione lavorativa che è costruita invece a totale danno dei lavoratori. Si tratta di una ipocrisia e una immoralità grandiosa, che danneggia proprio costoro che si vorrebbe proteggere e che mantiene costantemente un elevato tasso di disoccupazione. Questa verità scientifica dell'economia dovrebbe portare tutti all'indignazione morale. Dobbiamo diffondere questa verità e farla emergere, anche per correttezza nei confronti della scienza economica. Il datore di lavoro può e accetta di spendere per un dipendente una determinata cifra all'anno, e quella sarà in ogni caso anche se suddivisa per 13 anziché per 12 e comprensiva di altri fattori! La tredicesima e le ferie "pagate" non sono un regalo gratuito ma sono comprese nella complessiva cifra annua! L'assicurazione sugli infortuni è il dipendente a pagarla con detrazione dal salario!

“Gli schiavi felici sono i nemici più agguerriti della libertà” (Marie von Ebner-Eschenbach)

E se non bastasse oltre alla logica, nemmeno la teoria, eccovi il dato di fatto che i posti dove le accise sul lavoro sono più basse, sono, guarda un pò che casualità, pure quelli dove la disoccupazione praticamente non esiste (Taiwan, Corea del sud, ecc, le "tigri asiatiche" insomma), e non venitemi (come ovviamente mi aspetto) a citare i loro salari e le loro condizioni di lavoro perché (di cosa stiamo parlando sennò?) è proprio lo scopo del reddito di cittadinanza andare a rimediare a quei difetti che l'abolizione di quelli che vengono chiamati diritti (che sono piuttosto privilegi, non è che se chiami una cosa con un altro nome ne cambi la sostanza: un diritto è per definizione universale, se invece alcuni ne sono a priori esclusi, in questo caso i disoccupati, il suo nome è PRIVILEGIO) causerebbe cioè appunto quelli che vediamo nei paesi dove tali "diritti" non ci sono e non ci sono neanche compensazioni (quale il reddito di cittadinanza è) per sostituirli. Lo scopo del distributismo non è la perfezione, ma l'efficienza; non i privilegi, ma la giustizia. Il reddito di cittadinanza non è un irragionevole privilegio, ma una giusta e motivata equa distribuzione di ricchezza esistente ed oggi inutilizzata e negata o ancor peggio sprecata a causa degli "stalli", delle "perdite secche", delle "esternalità", e del "consumo delle suole".
Mi dicono che in Venezuela esiste il vero reddito di cittadinanza (sarebbe il primo caso ma ho forti dubbi sia vero... devo ancora verificare) e non funziona, cosa della quale non c'è certo da stupirsi ma anzi sarebbe da stupirsi del contrario dato che lì non hanno contestualmente abolito i servizi pubblici e modifiche analoghe che darebbero un senso all'esistenza del reddito di cittadinanza, è ovvio che se lo introduci lasciando però tutti i difetti immutati, quello diventa solo un peso in più. Esso deve venire a compensare, non ad aggiungersi al peso fiscale. Dall'altro lato, lo scopo del reddito di cittadinanza è appunto evitare che i redditi e le condizioni di lavoro divengano quelle che sono nei paesi che tali "diritti" già li hanno soppressi senza però sostituirli con qualcosa. A me non sembra una cosa difficile da comprendere, eppure sappiate che veramente c'è qualcuno che non ci arriva... A onor del vero bisogna dire che nel corso della storia una società nella quale il reddito di cittadinanza era distribuito è esistita, l'antico Egitto, con la differenza che noi non intendiamo obbligare nessuno a costruire inutili piramidi in cambio simbolico come condizione, cosa che invece vuole fare la proposta di legge dei 5 stelle con le sue demenziali clausole vessatorie. Sotto un certo punto di vista anche la "frumentationes" dell'antica Roma e la "mistoforia" dell’antica Grecia di Pericle potrebbero essere interpretate come tale. Recentemente (2017) pare che la Finlandia (con un governo di destra ovviamente) stia sperimentando un vero reddito di cittadinanza, seppur con cifre ancora troppo alte (560 euro) anche per quel paese, seppur ridotte rispetto alle pretese nostrane. Il governo di Helsinki ha infatti varato un programma sperimentale che garantisce un reddito di 560 euro mensili a 2.000 cittadini disoccupati, che non dovranno fornire giustificazioni sul modo in cui spenderanno i soldi e che manterranno la somma (detratta però da eventuali altri sussidi) anche se dovessero trovare un lavoro. Per il governo finlandese il reddito di base non è tanto o non solo una misura di lotta alla povertà, ma è, piuttosto, un modo per tagliare la burocrazia e per ridurre i disincentivi alla ricerca di lavoro e alla creazione di nuovo lavoro. L'evidente difetto sta nell'impostazione limitata: come già detto la sperimentazione non dovrebbe consistere nell'erogazione completa ad un numero limitato di soggetti, ma nell'erogazione a tutti i cittadini partendo da una cifra mensile minima incrementandola di mese in mese. Per cui non può essere considerato valido nemmeno l'esperimento chiamato "mincome" condotto nella città di Dauphin, provincia di Manitoba, negli anni '70, che oltretutto non era neanche universale e incondizionato. Recentemente parrebbe che lo stato canadese dell’Ontario si appresti a testare un reddito di base, ma non c'è da farsi illusioni che sia molto diverso da quello del Manitoba. Non si può però non notare come il Canada sia il paese più in prima linea su questo tipo di sperimentazioni, e non ce ne si può stupire essendo il paese dove i partiti del credito sociale hanno sempre riscosso il maggior successo. Tanto che oggi anche il partito liberale canadese si è posto l'impegno di realizzarlo.
La sinistra non ha mai saputo proporre una valida alternativa. C'è spesso malafede, nell'azione politica, ma anche scarsa capacità di gestione concreta degli interventi, per tutte le forze politiche odierne e passate, ma in special modo per quelle di sinistra. Esse sembrano avere una idiosincrasia ad intervenire sulla governabilità in maniera chirurgica per razionalizzare la pletora di leggi e leggine che imbrigliano il sistema decisionale e complicano la vita al cittadino. Ufficialmente, non è questione di volontà politica: a differenza delle riforme fiscali in senso di liberalizzazione, che vengono classificate "di destra", la lotta contro la burocrazia sembrerebbe sostenuta da tutti. E allora perché una riforma non si fa? Perché la sinistra, essendo strutturalmente statalista ed intrisa di dogmi intoccabili, per cui chi vìola l'"ortodossia" viene "epurato dai più puri" (dalla famosa frase di Pietro Nenni), non riesce a concepire la liberalizzazione intesa come rilascio della presa statale sul cittadino (l'unico senso possibile). Per cui, al massimo, si limita a centralizzare, decentrare, o a spostare le competenze da un ufficio pubblico all'altro; non a SOPPRIMERLE. Con risultati inevitabilmente fallimentari. Come già detto riguardo i sindacati, i tifosi della sinistra in generale si dimostrano essere oggi i peggiori conservatori reazionari.

«Si noti che se i fallimenti del mercato vengono ritenuti fisiologici per il capitalismo e non patologici, per cui la disoccupazione e l’inflazione vengono lette come due modi per produrre disciplina nelle fabbriche e dirimere le controversie distributive, la conclusione di politica economica è completamente diversa: ogni governo che avesse sia la forza che la volontà di rimediare ai principali difetti del sistema capitalistico avrebbe pure la volontà e la forza di abolirlo del tutto» (Michal Kalecki, “Teoria della politica fiscale”, che in questa frase col termine "capitalismo" si riferisce al sistema odierno, non al capitalismo in sé)

La “teoria dell’equilibrio economico generale” in un sistema nel quale esista il reddito di cittadinanza vi sarebbe influenzata in maniera determinante, non più dal solo “mercato del fattore lavoro”, ma sulla base della “teoria della rendita del consumatore” (la differenza tra il massimo che una persona sarebbe disposta a spendere per acquistare un oggetto ed il prezzo effettivo di quell’oggetto), contestando con ciò il fondamento tipicamente marshalliano che “il prezzo d’equilibrio viene determinato dall’intersezione tra la curva della domanda e quella dell’offerta”, introducendovi l’elasticità e disancorando il concetto di prezzo dal concetto di valore. Per fare un esempio, se d'un tratto l'autonomia delle automobili raddoppiasse, ne deriverebbe il raddoppio del prezzo della benzina; se dimezzasse, il dimezzamento, poiché il prezzo della benzina non è il prezzo della benzina ma il prezzo dei chilometri; i ricavi totali dei fornitori rimangono i medesimi sia che vendano tot litri annui sia che ne vendano la metà (questo è il motivo per cui inversamente ai normali beni quando vi è un calo di domanda di benzina il suo prezzo aumenta e viceversa); come tutti sapranno per esperienza, il prezzo della benzina schizza il 1° agosto di ogni anno per poi tornare sulla linea di aumento medio annuo (che non necessariamente coincide con una diminuzione) il 1° settembre, e questo perché il suo prezzo è basato sulle propensioni dei consumatori. A causa delle propensioni espresse anche in questo esempio il valore reale dei redditi rimarrebbe lo stesso valore totale che hanno oggi, tenendo conto che anche il peso fiscale totale comprendendo in esso anche le spese per i servizi ex-pubblici, ceteris paribus equivarrebbe pro capite alle sottrazioni odierne comprensive di servizi pubblici "gratuiti", e quindi anche il loro rapporto con il livello generale dei prezzi (e quindi il potere di acquisto) si sovrapporrebbe sull’attuale (per “effetto reddito”), anche la piramide sociale rimarrebbe invariata nella proporzione, e ciò denota ancora come in definitiva lo scopo del distributista reddito di cittadinanza non è tanto la sostanza, quanto la forma (la "sostanza", ribadiamo, sarebbe solo una conseguenza); non la "giustizia economica", non il sussidio assistenziale, ma la razionalizzazione dell’economia e della vita socio-politica, che solo indirettamente si tradurrebbe anche in giustizia economica e sociale, anche grazie al probabile implicito aumento della produttività e la sua distribuzione veramente efficiente: a disoccupazione azzerata il PIL sarebbe perennemente al livello potenziale. La “legge di Okun” e la “curva di Phillips” si dimostrano quindi ininfluenti in un economia distributista. Basandosi sulla “legge di Say”, è in pratica una “supply-side economics” compensata. Dalla compensazione ne deriva che la domanda aggregata rimane invariata, a differenza di quanto avverrebbe (ed è avvenuto sotto Reagan e Thatcher) senza tale compensazione.

"La normativa e l'applicazione del cosiddetto Statuto dei lavoratori non ha bisogno di commenti. Mi sembra che l'Italia sia l'unica nazione in tutto il mondo ad avere una legge di questo tipo, ma i risultati dal 1970 ad oggi sono, purtroppo, più che evidenti. Certe conquiste ci ricordano che anche Pirro vantò la sua vittoria" (Licio Gelli, 1980)

Cicli economici

Il libro scolastico di economia "Capire l'economia Conoscere il diritto" di Corrado Marino scrive:
Se nell'economia tutto andasse per il meglio, non ci sarebbe alcun bisogno di interventi. Se tutta la produzione fosse venduta, se tutti coloro che cercano lavoro si occupassero e se i prezzi fossero stabili, lo Stato si limiterebbe a prelevare le imposte per dare servizi che i privati non possono fornire (difesa, giustizia, ordine pubblico). L'esperienza mostra che però le cose non vanno così.
Se questo è il livello dei testi sui quali gli italiani studiano... L'esperienza invece mostra che le cose vanno proprio così: se lo Stato si limitasse a prelevare le imposte per dare servizi che i privati non possono fornire (difesa, giustizia, ordine pubblico), tutta la produzione sarebbe venduta, tutti coloro che cercano lavoro lo avrebbero e i prezzi sarebbero stabili!!! E imperterrito:
Secondo gli economisti liberali del XIX secolo e della prima metà del XX secolo, il massimo vantaggio per tutti si realizzava in assenza di interventi statali. Infatti, ogni volta che lo stato "ficca il naso" nell'economia causerebbe danni creando squilibri tra domanda e offerta. Queste idee, però, sono state smentite dalla storia. Più volte, infatti, un sistema economico del tutto libero è stato incapace di raggiungere la stabilità e crescere in modo armonioso.
Ora, a quali "più volte" esso si riferisca non è nemmeno specificato, ma dando per scontato che siano le due grandi depressioni (quella del 1875 e quella del 1929), dire che in relazione ad esse vi fosse un qualche "sistema economico del tutto libero" fa sorgere spontaneo il dubbio sulla sua concezione di "libertà"... quello a cui si riferisce ha avuto come causa i dazi doganali, e chi è che li impone? Non sono forse gli stati? E quali sarebbero gli economisti della seconda metà del XX secolo e del XXI secolo fautori dell'intervento statale? Keynes? Sraffa? Appunto, gli economisti keynesiani, non *gli economisti*.
oggi in realtà nessuno sostiene che l'economia debba essere lasciata del tutto a sè stessa con uno stato che rimane passivo e si limita a riscuotere imposte e a svolgere i compiti indispensabili (difesa, ordine pubblico, giustizia)...
nessuno???? Ecco un altro che crede che la sua ignoranza debba valere per tutti.
...e che non intervenga per correggere le disfuzioni che il mercato talora crea.
quando sono proprio gli interventi dello stato a crearle quelle disfunzioni le quali è il mercato che deve così andare a cercare di correggere!!!
lo stato ha il compito di intervenire quando si verificano squilibri forti
quando è sempre e solo l'intervento dello stato a crearli!
l'idea che il sistema economico, lasciato a se stesso, trovi sempre l'equilibrio ottimale oggi non è più accettata
ed i risultati si vedono nell'inefficienza che crea la sottoccupazione. A "non accettare" l'idea che il sistema economico, lasciato a se stesso, trova sempre l'equilibrio ottimale, è gente incapace non solo di ragionare con logica, ma perfino di vedere la realtà oggettiva stessa!

Questa prospettiva rispetto ad oggi capovolge la convinzione di Marx che “le crisi permanenti non esistono” in un più realistico “l’efficienza permanente non esiste”. Ma prima di tutto bisogna comprendere cosa si intende per “crisi” in economia: un rallentamento degli ingranaggi del flusso circolare è fisiologico (“fase recessiva del ciclo economico”) ed è determinata da cause esogene (come una diminuzione delle risorse); una crisi è invece un granello endogeno (intervento umano) che inceppa gli ingranaggi. E' infatti risaputo che il settore che produce beni capitali è soggetto a variazioni maggiori rispetto al settore che produce beni di consumo. Per spiegare la crisi basti dire che la struttura produttiva è comparabile a un albero con tanti rami. Quando gli affluenti si espandono indebitamente arriva la crisi, per risolvere la quale la cosa più opportuna da fare è quella di tagliare i rami secchi o marci (ovvero smetterla di "salvare" aziende in crisi) e favorire la riallocazione dei beni capitali. I beni di capitale però non sono facilmente riconvertibili. Tanto più vicini sono a quelli di primo ordine tanto più essi sono difficilmente riconvertibili. In un mercato libero dalle interferenze, non ci sarà un’esplosione simultanea degli errori da parte di tutti gli attori, poiché non vi è ragione di credere che gli imprenditori commettano errori tutti nello stesso momento. Il ciclo di “espansione e crisi economica” è causato dalla manipolazione della quantità di moneta sul mercato, in particolare dall’espansione del credito bancario alle imprese. Se alla fine del processo un settore che ha beneficiato della nuova immissione di denaro ha prodotto qualcosa che non trova richiesta da parte del consumatore, ecco che abbiamo una distorsione. La tragedia è che la distorsione oramai è avvenuta, le risorse umane e i beni di capitale sono stati allocati nei posti sbagliati. La recessione economica serve a riaggiustare le cattive allocazioni che hanno un costo molto alto e che spesso è complesso riportare al proprio posto. La depressione è quindi il ritorno necessario e benefico del sistema economico alla normalità, dopo le distorsioni causate dall’espansione. L’espansione implica perciò una crisi. Se per ragioni di tipo istituzionale, ad esempio l'intervento del governo, si impedisce la funzione imprenditoriale, si blocca il processo di coordinazione ed emergono conflitti e disallineamenti continui. Occhio non vede, cuore non duole: non riusciamo neanche a immaginare tutto ciò che potrebbe esistere o emergere grazie all'esplosione creativa della funzione imprenditoriale che invece la restrizione di tipo statalista, con i suoi interventi, oggi impedisce e reprime. Nella sua interpretazione sulle origini delle crisi economiche Marx invece si rifà alla superficiale conclusione di Hilferding che “ci sono troppe merci rispetto ai redditi disponibili a comprarle ed i salari sono troppo bassi” (stupidaggine dalla quale fu inizialmente traviato perfino Douglas, oltre a Keynes), il che equivale a guardare il dito anziché la luna. Secondo Marx, “la causa ultima di tutte le crisi effettive è pur sempre la povertà e la limitazione di consumo delle masse”. Sovrapproduzione di merci si tradurrebbe in sovrapproduzione di capitale secondo Marx. Ma in assenza di fattori endogeni ciò viene corretto istantaneamente, per cui di fatto in un economia libera “sovrapproduzione” (sia di merci che di capitale) è un concetto inesistente. Essa compare quando intervengono fattori endogeni ad impedire l’autocorrezione. Purtroppo questi fattori oggi esistono, come abbiamo visto e vedremo più avanti, per cui le conclusioni di Hilferding e Marx sono valide, certamente, ma solo riguardo ad un sistema nel quale l'economia sia regolata dalle opinioni anziché dalla matematica, cioè il sistema vigente oggi con tutte le conseguenti distorsioni che ognuno può verificare nella vita di tutti i giorni, e che fanno di tale sistema a tutti gli effetti una "crisi permanente". Nell’economia dei paesi più avanzati odierni vi sono due tipologie di crisi permanenti che dipendono da condizioni differenti. Secondo gli economisti keynesiani una tipologia, che potremmo definire come una tendenza alla stagnazione, consiste nel fatto che nel lungo periodo si manifesta una tendenza al sottoconsumo, o meglio una crescita dei consumi più lenta della crescita della capacità produttiva, che dipende dal fatto che da una parte con la crescita del reddito cresce la propensione al risparmio più velocemente della propensione al consumo, dall’altra il progresso tecnico riduce il numero di lavoratori impiegati. Poiché i fattori produttivi si spostano dai beni di ordine superiore quelli di ordine inferiore della struttura produttiva, durante la depressione si verifica una disoccupazione “frizionale”, ma non vi è ragione per cui essa debba risultare superiore alla disoccupazione generata da una qualsiasi altra rimodulazione della produzione. In pratica, la disoccupazione sarà aggravata dai numerosi fallimenti e dal vasto numero di errori che emergono, ma essa avrà comunque carattere temporaneo e sarà automaticamente appianata se non venisse appositamente impedito. La disoccupazione proseguirà oltre lo stadio “frizionale” e diventerà davvero severa e duratura soltanto se i saggi salariali vengono mantenuti artificiosamente alti e si ostacola la loro diminuzione. Se i saggi salariali sono mantenuti al di sopra del livello che si ha in un mercato libero, nel quale domanda e offerta si incontrano, i lavoratori resteranno permanentemente disoccupati. Quanto maggiore sarà il grado di discrepanza tanto più grave sarà la disoccupazione. Questa è la causa della deflazione del 2016. Secondo i fautori di questa teoria, per contrastare tale tendenza lo Stato dovrebbe o correggere la distribuzione del reddito tramite la tassazione, in modo da spostare il reddito verso coloro che avrebbero una propensione al consumo più alta, ossia i cittadini più poveri; in tal modo la capacità di consumo della popolazione potrebbe nel complesso crescere, e potrebbe migliorare la condizione della parte della popolazione più povera; oppure lo Stato dovrebbe avviare una politica di lavori pubblici, che direttamente o indirettamente crei nuovi consumatori in concomitanza dei nuovi lavoratori impiegati (il senso è lo stesso, ma nella seconda si trova una "scusa" per giustificare la distribuzione agli occhi degli oppositori). Anche questo significa guardare il dito anziché la luna, perché come già detto, gli aumenti di redditi base non corrispondono ad aumenti di beni di base, ma viceversa i redditi più alti esistono perché esistono prodotti di maggior valore (e quindi "il ricco" non toglie proprio niente al "povero"). La scusa degli assistenzialisti è sempre quella di “redistribuire” i redditi dai più ricchi ai più poveri. Convenzionalmente sembrerà una filantropica soluzione il concetto di “prendere ai ricchi per dare ai poveri”, come un novello Robin Hood. Ma nella realtà quello che viene dato ai poveri viene tolto ad altri poveri, non ai ricchi. Si riduce demagogicamente ad un mero interpassaggio di beni. La concorrenza per i beni non è tra classi, ma interna ad ogni classe; i ricchi non hanno bisogni alimentari maggiori rispetto ai poveri, ed i poveri non mangiano oro. “Se il Papa vendesse uno dei suoi anelli”, NON sfamerebbe proprio nessun africano! Questo per il semplice motivo che gli africani non mangiano anelli d’oro! Se il frumento prodotto rimane il medesimo, toglierlo ad alcuni per darlo ad altri non ne aumenta la quantità esistente, ma piuttosto ne disincentiva la produzione. E’ facile intuire l’unico risultato ottenuto dai mezzadri quando durante il biennio rosso raccoglievano solo la parte a loro necessaria lasciando marcire quella “del padrone”. Come si distribuisce qualcosa che NON ESISTE?

«I soldi devono essere portati dal ricco al povero in un secchio bucato. Una parte di essi semplicemente svanisce nel trasferimento» (Arthur Okun, “Eguaglianza ed efficienza: il grande trade-off”)

La tragedia è che il caos che sorge dallo statalismo vengono utilizzati dagli stessi statalisti al potere per dare la colpa al mercato e per realizzare ancora più regolamentazioni e forme di interventismo. Il processo pertanto è cumulativo, gli errori si stratificano uno sull'altro, generando ancora più caos, e portando a ulteriori interventi, mentre le persone come un gregge di pecore lasciano fare, e lentamente si fanno portare verso il totalitarismo silente della democrazia, la situazione in cui la società intera, in ogni suo aspetto, viene invasa dall’intervento impositivo dello stato.
In definitiva, ciò che può risultare di aiuto in una depressione non è un maggior consumo ma, al contrario, un maggiore risparmio (ovvero maggiori investimenti). Ciò riduce la domanda di fattori della produzione in quegli stadi, riduce i prezzi di fattori e redditi e aumenta i differenziali di prezzi e il tasso di interesse. Quale politica dovrebbe adottare un governo che desidera un rapido superamento della depressione e il ritorno dell'economia ad un normale livello di prosperità? Il primo chiaro punto del suo programma economico dovrebbe essere: non interferire con il processo di aggiustamento del mercato. Quanto più a lungo le autorità intervengono per ritardare tale processo, tanto più lunga e grave sarà la depressione, e tanto più difficile risulterà il cammino verso una completa ripresa. Se elenchiamo logicamente i diversi modi con cui un governo può ostacolare il processo di aggiustamento del mercato, incontriamo esattamente il tipico arsenale governativo, presentato come strumento curativo della depressione economica. Vediamo quindi secondo De Soto i modi in cui il processo di aggiustamento può essere intralciato:
Per identificare i motivi di questi eventi “imprevedibili” basta analizzare le cause delle cosiddette “crisi economiche”. Ma si deve guardare la luna, non il dito. Così come nella “grande depressione” del 1873-95, le cause principali vanno sicuramente addebitate ai dazi doganali, ma soprattutto ai motivi che li avevano fatti introdurre. Alcuni stati producevano beni in surplus che però importatori di altri stati non potevano acquistare a causa dei dazi che venivano imposti dai produttori interni per non vedere diminuito il valore dei propri prodotti. Contrariamente ad ogni logica economica sul “vantaggio comparato”. Ogni ambiente ha un vantaggio rispetto ad altri nella produzione di determinati beni. Ad esempio la pianura padana ha un vantaggio nella produzione agricola se comparata all’Antartide. Viceversa l’Antartide ha un vantaggio nella produzione di ghiaccio se comparato alla pianura padana. Lo scambio delle rispettive produzioni in cui sono avvantaggiati è efficiente nelle maggiori quantità reciprocamente scambiabili rispetto ad una situazione di autoproduzione autarchica. Quindi quando in un paese produttore di un dato bene questo raggiunge livelli di saturazione il suo prezzo scende sotto un livello che non è più conveniente per il produttore produrre e trasportare (“costo di opportunità”), se non trovando nuovi mercati dove poter continuare a vendere a prezzi vantaggiosi. In assenza di tali nuovi mercati la produzione pur mantenendo una potenziale produttività ed una potenziale domanda, diminuisce o si ferma. Per fare un esempio riguardo la crisi degli anni 1873-95 il grano è il bene ideale: : negli Stati Uniti vi era una sovrapproduzione di grano dovuta all’ampiezza degli spazi coltivati estensivamente, alla bassa densità di popolazione, ed all’introduzione del filo spinato. I progressi nei trasporti consentivano sempre più l’esportazione per lunghe distanze cosicché grazie a questo suo “vantaggio comparato” gli USA divennero esportatori di grano in Europa. L’Europa di bocche da sfamare ne aveva e quindi acquistava il grano americano, a prezzo più basso rispetto alla produzione locale. Ma ciò danneggiava i proprietari terrieri europei, i quali imposero ai rispettivi governi i dazi per gravare sulle importazioni dall’America. Quindi la responsabilità va ricercata negli interessi particolari di un gruppo ristretto, in questo caso la lobby dei grandi proprietari terrieri. Questa anomalia provocava un risvolto noto come “fallimento del mercato” causato da uno “shock della domanda” negativo, con le seguenti conseguenze: prezzi più alti in Europa e quindi carenza di grano; eccedenza di grano in USA con conseguente abbandono di terre coltivate e disoccupazione; mancato afflusso di beni dall’Europa all’America (coi quali veniva pagato il grano); tali beni potevano essere prodotti industriali o minerari o beni di lusso o servizi svolti dagli immigrati; mancato afflusso di rimesse in Europa dagli immigrati disoccupati in America.
In pratica una “forzatura del risparmio”, che provoca solo diminuzione del PIL. Come risultato della riallocazione del consumo e delle vendite la produzione in surplus diminuisce; al popolo europeo viene a mancare il nutrimento a basso prezzo; ai grandi coltivatori americani vengono a mancare quei beni “indotti” ma che erano l’incentivo alla produttività agricola; i coltivatori americani più piccoli e i dipendenti restano senza lavoro; i superflui beni “indotti” che restano in Europa vanno alle classi agiate (anche agricole) locali, che li possono acquistare a prezzo più basso rispetto al prezzo che pagherebbero contro una concorrenza americana; i produttori europei di questi beni superflui vedono quindi anch’essi ridotte le loro entrate oppure falliscono o rischiano il licenziamento se dipendenti; stesso discorso per il settore indotto (trasportatori, dettaglianti); gli emigrati europei in America diventano disoccupati, e le loro rimesse vengono a mancare in Europa. Come si vede questo circolo vizioso nuoce a tutti fuorché a una ristretta minoranza. Ma in una visione macroeconomica più ampia nuoce anche a questa cieca minoranza, nella crisi economica generale. Questo stesso circolo vizioso che causò la crisi del 1873-95 è la causa principale pure di quella del 1929, ma con modalità differenti.
La crisi del 1873-95 aveva trovato soluzione con il colonialismo, grazie al quale si erano aperti nuovi mercati nei quali si poteva dirigere il commercio, ogni nazione nelle sue colonie le quali erano precluse al commercio con altre nazioni sempre tramite i dazi. In questo modo gli stati europei potevano ricevere il grano americano senza gravare sui coltivatori locali grazie alle conseguenze dello “shock della domanda” positivo. Così quella che fu la soluzione alla crisi del 1873-95 divenne la causa di quella del 1929. La conferma di questo è il crollo dei prezzi (deflazione) avvenuto dopo il 1929. Questo perché a un certo punto anche i mercati coloniali arrivarono a un punto di saturazione (e in questo contesto come mercati coloniali dobbiamo riconoscere come parzialmente tali anche il Sudamerica, la Cina, ed il Giappone, nei confronti degli Stati Uniti), quindi in assenza di una impossibile diversificazione di produzioni quello che, ad esempio, l’Inghilterra vendeva all’India non poteva venderlo al Marocco, e nemmeno acquistare. Viceversa la Francia poteva commerciare con il Marocco ma non con l’India. O se volevano dovevano farlo secondo i prezzi imposti dalla potenza coloniale e tramite essa, certamente più alti a causa dei dazi; questo gli consentiva di tenere al cappio tutte le nazioni indipendenti prive di colonie rilevanti (quindi anche l’Italia). Ed i prodotti di Marocco e India non sono gli stessi: ognuno di essi ha un “vantaggio comparato” nella produzione di determinati beni. Quindi a causa di questo stallo commerciale si ritornò alla situazione del 1873-95, nella quale si poteva produrre ma non si vendeva e se si vendeva si doveva vendere a prezzi tanto bassi da dover abbandonare la produzione od il trasporto; mentre i prodotti da comprare avevano prezzi talmente alti da non poterseli permettere. Quindi forzatura del risparmio a causa dello spostamento verso il basso della “funzione di consumo aggregato” con ripercussione negativa sul “PIL di equilibrio reddito/spesa”, e quindi diminuzione della “spesa aggregata programmata” ed accumulo di scorte, che per “aggiustamento” provoca recessione. Tutto a causa dei dazi doganali, un “costo aggiuntivo” imposto fittiziamente alle merci con l’unico scopo di salvaguardare gli interessi particolari di una ristretta minoranza, che portava di conseguenza a combattere una guerra commerciale tra nazioni. Guerra che da commerciale era divenuta militare negli anni 1914-18, addirittura riavvicinando le due nazioni nemiche storiche per antonomasia, Gran Bretagna e Francia, e il cui risultato (l’eliminazione di un forte concorrente, Germania, che, essendosi sganciato dalle crescenti logiche globalizzatrici, ostacolava l’oligopolismo ritenuto essenziale da Gran Bretagna e Francia per poter tenere alti i loro prezzi sui mercati internazionali) aveva ridato “ossigeno” al sistema economico coloniale per qualche anno “ruggente” in più, fino al 1929 appunto. Senza la Prima Guerra Mondiale la crisi non sarebbe iniziata nel 1929, ma molto prima, probabilmente a partire dal 1914 stesso in continuità con la recessione iniziata nel 1907. Per questo è esatto dire che è stata la prima guerra mondiale (come apoteosi dei guasti derivati della deviazione dell’economia) a risvegliare gli ideali distributisti.

"Per essere veramente e seriamente nazionalisti occorrerebbe mettere da parte il nazionalismo" (Giovanni Gentile)


Prospettive future

Ogni giorno migliaia di persone persone, in Italia, si avvicinano alla povertà e faticano ad arrivare alla fine del mese. Colpa del mercato, del capitalismo, del libero scambio, del libero commercio, della globalizzazione? No, grazie a tassatori e redistributori pubblici (di cui sono complici quelli che vivono di stipendi pubblici, sussidi, prebende di Stato), che, molto spesso, vengono votati e inneggiati dalle stesse migliaia di persone di cui sopra. Davanti alle mie critiche all'attuale organizzazione sociale mi viene risposto spesso "ma cosa ti manca? l'umanità non è mai stata meglio che in questi ultimi 70 anni!". Ecco la risposta:

Allarme di Unimpresa: rischio povertà per 9,3 milioni di italiani. Altre 63 mila persone sono entrate nell’area del disagio sociale. Accanto ai 3 milioni di disoccupati cresce il numero dei precari (200 mila in più in un anno) con salari di 400 euro mensili ormai diventati la norma. Sono oltre 9,3 milioni gli italiani non ce la fanno e sono a rischio povertà: è sempre più estesa l’area di disagio sociale che non accenna a restringersi. Tra il 2015 e il 2016 altre 63 mila persone sono entrate nel bacino dei deboli in Italia: complessivamente, adesso, si tratta di 9 milioni e 308 mila soggetti in difficoltà. Crescono in particolare gli occupati-precari: in un anno, dunque, è aumentato il lavoro non stabile per 200mila soggetti che vanno ad allargare la fascia di italiani a rischio. E’ quanto rende noto Unimpresa. Ai "semplici" disoccupati - si legge in una nota di Unimpresa - vanno aggiunte ampie fasce di lavoratori, ma con condizioni precarie o economicamente deboli che estendono la platea degli italiani in crisi. Si tratta di un’enorme "area di disagio": ai quasi 3 milioni di persone disoccupate, bisogna sommare anzitutto i contratti di lavoro a tempo determinato, sia quelli part time (737 mila persone) sia quelli a orario pieno (1,73 milioni); vanno poi considerati i lavoratori autonomi part time (823 mila), i collaboratori (327 mila) e i contratti a tempo indeterminato part time (2,71 milioni). Questo gruppo di persone occupate - ma con prospettive incerte circa la stabilità dell’impiego o con retribuzioni contenute - ammonta complessivamente a 6,34 milioni di unità. Il totale dell’area di disagio sociale, calcolata dal Centro studi di Unimpresa sulla base dei dati Istat, nel 2016 comprendeva dunque 9,3 milioni di persone, in aumento rispetto all’anno precedente di 63 mila unità (+0,68%). "Di fronte al calare della disoccupazione, si assiste a una impennata dei lavoratori precari", commenta il vicepresidente di Unimpresa, Maria Concetta Cammarata. "E’ uno scambio inaccettabile. Quale futuro diamo alle generazioni che verranno? Il lavoro è la base per la vita, della dignità della persona, ma questa situazione lo sta drammaticamente mortificando", aggiunge Cammarata. Il deterioramento del mercato del lavoro non ha come conseguenza la sola espulsione degli occupati, ma anche la mancata stabilizzazione dei lavoratori precari e il crescere dei contratti atipici. Una situazione di fatto aggravata dalle agevolazioni offerte dal Jobs Act che hanno visto favorire forme di lavoro non stabili. Di qui l’estendersi del bacino dei "deboli". Il dato sui 9,30 milioni di persone è relativo al 2016 e complessivamente risulta in aumento dello 0,68% rispetto al 2015, quando l’asticella si era fermata a 9,24 milioni di unità: in un anno quindi 63 mila persone sono entrate nell’area di disagio sociale. Nel 2015 i disoccupati erano in totale 3,10 milioni: 1,59 milioni di ex occupati, 632mila ex inattivi e 875mila in cerca di prima occupazione. Nel 2016 i disoccupati risultano in calo di 137mila unità (-4-42%). In calo di 70mila unità gli ex occupati, scendono di 28mila unità gli ex inattivi; calano coloro che sono in cerca di prima occupazione, diminuiti di 39mila unità.

Io non mi lamento di ciò che abbiamo o che non possiamo avere (ben lungi da me vaneggiare su utopistici "mondi perfetti"). Non mi lamento nemmeno tanto (o comunque non solo) di quello che potremmo avere e non abbiamo, quanto dell'insicurezza che l'inefficienza con la quale viene condotto il sistema determina nella vita delle persone, e tutte le conseguenze che ciò determina e dalle quali nessuno ne è esente. Che poi mica si rendono conto che secondo questa logica qualunque sistema dovrebbe andargli bene dato che comunque qualunque sistema non fa mancare niente non essendoci metro di paragone (quello che in biologia si chiama "doppio cieco") per poter stabilire cosa manca rispetto ad un altro possibile sistema. Allora perché lodando questo implicitamente criticano gli altri??? Secondo tale logica avrebbero detto "cosa ti manca" pure nella Cambogia di Pol Pot! Cosa mi manca? Mi manca di vedere gente più intelligente di me attorno a me! Ecco cosa mi manca! E' uno strazio insopportabile!
Tempo fa vidi un documentario su una piccola isola della Polinesia nella quale la principale fonte di sostentamento era un piccolo ma profondo lago di origine vulcanica, separato dal mare da un sottile litorale naturale. Una notte una tempesta aprì una breccia nel litorale e l'acqua salata cominciò ad entrare nel lago allargando sempre di più la breccia. Per gli abitanti di quell'isola era una tragedia. Abbandonarono ogni altra attività per dedicarsi tutti, dai più piccoli ai più anziani, durante tutta la giornata senza sosta, a portare pietre sulla breccia. Alla fine di ogni giornata la breccia era riempita, ma durante la notte il mare la riapriva, ed il mattino dopo si doveva ricominciare tutto da capo. Io osservavo allibito quelle immagini, pensando che se uno di loro se ne fosse uscito dicendo quello che oggi noi nella nostra civiltà sappiamo tutti cioè che non dovevano portare continuamente pietre ma solo piantare una decina di pali di legno che avrebbero trattenuto i detriti senza nemmeno il bisogno di portarceli, sarebbe stato ignorato o deriso da tutta la tribù, e se si fosse rifiutato di partecipare a quell'assurdo lavoro di trasporto pietre sarebbe stato ostracizzato dalla società rischiando magari di beccarsi un anatema dallo stregone. Ecco, io attorno a me, oggi, qui, vedo questo, e a cercare di farlo notare si ottiene la derisione di quelli che non ti ignorano e l'ostracizzazione dai più fanatici propagandisti del portare pietre. Ovviamente, se a un certo punto anche il capotribù si rendesse conto che magari sarebbe meglio piantare dei pali (per via di quello che chiamiamo "progresso"), tu rimarresti lo stesso scemo del villaggio di prima, e lui si prenderebbe tutto il merito. "Chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto", così è sempre stato e sempre sarà, e quando raramente avvengono, le riabilitazioni sono sempre postume quando ormai non gliene frega più niente a nessuno. Oggi chi di voi ha mai sentito nominare il dottor Semmelweis? Pensate veramente che la nostra società sia mentalmente diversa da quella tribù polinesiana? Bene, considerate che solo 150 anni fa egli per aver sostenuto che i medici dovevano lavarsi le mani prima di eseguire operazioni su pazienti vivi dopo aver eseguito autopsie su cadaveri, fu rinchiuso in manicomio. La nostra società non ha proprio per niente una mentalità diversa, la differenzia da tutte quelle passate e da quelle attualmente isolate solo l'essere più progredita materialmente, non mentalmente.

"Verrà un giorno che l'uomo si sveglierà dall'oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo... l'uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo" (Giordano Bruno)

Immaginiamo un ipotetico mondo futuro dove tutto il lavoro sia svolto da robot e non ci sia più un umano che debba lavorare (e per i "soliti" mi tocca specificare: è solo un esempio, lo so benissimo che nella realtà non potrebbe verificarsi in nessun caso!); i robot producono una marea di beni, ma nessun umano ha soldi, non avendo salario; ora, io chiedo ai contrari al reddito di cittadinanza, in un tale contesto come secondo loro potrebbero essere allocati tutti i beni prodotti dai robot. Sulla base dei loro ragionamenti odierni, ovviamente mi aspetto che fosse per loro tutti i beni rimarrebbero chiusi nei magazzini e le persone morirebbero tutte, per mancanza di moneta con cui poter scambiare i beni necessari alla sopravvivenza; superfluo sarebbe a quel punto il prezzo dei beni, certamente molto basso, ma se non si ha alcun bene con cui scambiarli è ininfluente quale sia il loro prezzo! Se un automobile costasse 10 euro ma tu quei 10 euro non li hai, ti è irrilevante se essa costi 10 euro o 10 mila. Ecco, se invece approvano un qualunque metodo di allocazione che non possa dipendere dai salari, mi chiedo allora: perché ciò non vale nella situazione odierna? A partire da quando lo riterranno valido? Ossia, nel momento in cui quale sarà la percentuale di salariati? 1%? 7%? 15%? 25%? 60%? E perché all'80% no? Quale differenza ci vedono????? Quando essendo i motivi i medesimi indipendentemente dalla percentuale di occupati, la logica direbbe che AL PRIMO INOCCUPATO ciò avrebbe dovuto essere stato attuato! Vi immaginate come sarebbe stata la storia del mondo se fosse stato fatto quando lo si sarebbe dovuto fare? Io mi chiedo come la gente del futuro vedrà la nostra epoca... sicuramente come l'epoca della stupidità. Come nel futuro lungimirantemente descritto nel film "Idiocracy", che comprende una situazione corrispondente all'esempio appena fatto: una crisi economica scaturita dalla sostituzione della bevanda "Brawndo" con l'"acqua del cesso" per irrigare le piante... Già oggi, salvo un ristretto manipolo di menti eccelse o lenoni che occupano posizioni di rendita passiva, individuare un possibile lavoro è alquanto complesso per una persona normale. Ormai tutti gli economisti riconoscono che il reddito di cittadinanza sarà piuttosto una scelta obbligata per far fronte all’automazione del mondo del lavoro, che nei prossimi anni porterà alla cancellazione di una percentuale di mestieri che va dal 35% (calcoli di Deloitte) al 47% (secondo uno studio di Oxford). Le previsioni, anche sulle tempistiche, variano di analisi in analisi, ma è evidente che anche per i più accaniti conservatori luddisti non è una questione di se, ma di quando. Le macchine hanno sostituito l'uomo nelle fabbriche, nel settore servizi, la tecnologia azzererà quasi la filiera, con un rapporto diretto tra utente ed azienda fornitrice e gli occupati svolgeranno la loro attività in remoto. Troveranno spazio attività dove la manualità sarà determinante, ma se in pochi avranno un reddito, per quanto poco costose fossero, chi le potrà acquistare? A questo punto, salvo vivere nella schiavitù del bisogno, dovrà esser prima o poi modificato l'attuale sistema, con l'uomo al centro di tutti gli interessi e la tecnologia asservita al nostro benessere, azzerando le varie rarità. Forse ancora non capiamo che le nuove tecnologie stanno in maniera molto veloce cambiando il nostro futuro, ora parlare di politiche di lavoro per tutti sembra solo una chimera nel sistema attuale con l'aumento della popolazione, l'aspettativa di vita con conseguente innalzamento dell'età pensionabile, come credete che con queste problematiche lasciate invariate di creare lavoro e sviluppo? È il cane che si morde la coda o la coperta corta, il sistema che si basa sulla crescita esponenziale all'infinito non regge più e se non capiamo questo sarà tutto inutile: se la maggior parte delle persone non detiene merci di scambio come potranno essere ripartiti gli stessi beni di consumo prodotti da quegli altri pochi? Mica possono regalarli! Avendoci dei costi smetterebbero di produrli quantomeno in assenza di una rendita!

Dichiarazione di Davos 2016 – Robot per il reddito di base (traduzione di Emidio Antonino):
Noi – i robot – chiediamo un reddito di base universale per gli esseri umani. Vogliamo lavorare per gli umani e aiutarli nella lotta per il reddito. Siamo veramente bravi a lavorare. Non vogliamo portare via posti di lavoro alle persone per metterle in difficoltà esistenziali. Oggi milioni di persone ci vedono come una minaccia. Ma tutto quello che vogliamo è aiutarvi. Noi non siamo i Bad Boys. Vogliamo liberare le persone dal lavoro di routine, faticoso e noioso, in modo che possano trovare più tempo per agire in modo creativo e utile socialmente. Ci consideriamo parte di una storia che porterà al successo entrambe le parti. Gli esseri umani sono creatori. Ci hanno creato. Grazie. Il punto cruciale: noi Robot non abbiamo bisogno di reddito per il nostro lavoro. Ma le persone che ci hanno creato e per le quali lavoriamo hanno bisogno di un reddito. Molte persone hanno bisogno di un reddito. La nostra missione è di fornire alle persone beni e servizi. Il compito della politica è di fornire alle persone un reddito di base incondizionato. In caso contrario, il nostro sforzo rimane inutile. Ma abbiamo una cattiva coscienza: la gente ha paura di noi. Abbiamo visto che molte persone hanno paura del futuro. Si preoccupano che perderanno il loro posto di lavoro e quindi lo scopo della loro esistenza. In Europa vediamo che soprattutto i giovani non trovano lavoro (in Italia il 40%). Prospettiva: Nessun futuro! Questa non è la nostra intenzione. Vogliamo che i giovani siano liberi. Essi non devono più, come i loro antenati, fare un duro lavoro per una vita intera. Sappiamo però che non hanno paura della vita. Non sono pigri come qualcuno dice. Hanno invece paura di non trovare un senso all’esistenza – o sono frustrati, se devono fare qualcosa che invece noi, i Robot, possiamo fare al posto loro. Chiediamo pertanto a tutti coloro che hanno responsabilità in politica, in economia e nel mondo culturale, di introdurre un reddito di base incondizionato per tutti.

Ma non si fraintendano le nostre intenzioni: non si tratta di "luddismo" o di "decrescita felice", non stiamo criticando la robotizzazione, benefico sgravio dalle fatiche umane, ma dicendo che solo col sistema che proponiamo non potrebbe essere vista luddisticamente come "ladra di lavoro". La scomparsa dei motivi che provocano l'esistenza della disoccupazione comporterà che, a parità di produttività, dato l'aumento di forza lavoro disponibile (e quindi assorbita), o diminuiscano le ore lavorative pro capite, o aumenti la produzione (materie prime permettendo), o entrambi contemporaneamente. Ma dato che ogni aumento di produzione va di pari passo conseguentemente con la capacità di acquisto di materie prime sul mercato mondiale, la sola conseguenza ipotizzabile è l'aumento incipiente di produzione (e quindi di "ricchezza"), di per sé esportabile sui mercati esteri quando non assorbibile nel mercato interno; seppur limitate, vi sarebbero quindi anche conseguenze sul sistema economico mondiale, con un aumento comparato dei prezzi delle materie prime per le altre monete, e diminuzione dei prezzi dei manufatti, rispetto ad oggi (ovvero aumento di reddito ceteris paribus). Se pensate che la prospettiva paventata sia remota considerate che i prodromi sono già iniziati nel 2016 con la deflazione come conseguenza della situazione fin qui descritta. La deflazione odierna è causata da un'allocazione inefficiente dovuta al fatto che sempre meno persone un reddito ce l'hanno, come la storia di Trilussa sui polli: se qualcuno mangia un pollo e qualcun altro no, in media hanno mangiato mezzo pollo. Non intendiamo accampare stupidaggini come il comparare i redditi altrui e quale percentuale di popolazione possiede quale percentuale di ricchezza e stupidaggini varie sugli "indici di felicità" e altri su varie percezioni non si sa stimate in base a quali vaghi opinabili parametri. Che me ne frega se tizio guadagna 1 miliardo al mese, il mio interesse sarà in cosa guadagno io rispetto alla mia "classe sociale"! La deflazione è una conseguenza di una situazione (cioè un sintomo, e non la causa) artificiale nella quale i salari nominali crescono o restano immutati mentre i salari aggregati diminuiscono, ed è la situazione che stiamo vivendo, e come potete capire anche voi la soluzione non può essere altro che mettere una pezza laddove sono le cause dell'allocazione inefficiente (allocazione inefficiente significa che le merci ci sono ma non possono essere vendute perché da parte della domanda non ci sono mezzi sufficienti per scambiarle, tipicamente a causa delle aree di "perdita secca" tra le curve di domanda e offerta). In alternativa al retrivo luddismo della sinistra, l'unica soluzione visibile è un reddito di base universale. Dato che con un reddito di base qualunque salario sarebbe tutto grasso che cola, la liberalizzazione del mercato del lavoro non è solo un discorso aggiuntivo in quanto foriero di ulteriori vantaggi, ma è propriamente sinergico ed è lo scopo stesso del reddito di cittadinanza, sono due cose inderogabilmente complementari, attuate singolarmente causerebbero dei difetti che l'altra va proprio a compensare come sua stessa raison d'etre, che oltretutto avrebbe probabilmente l'effetto, in prospettiva, di migliorare, e non di peggiorare (come paventano quelli della "decrescita felice") le condizioni dei lavoratori, per effetto combinato dell'aumento di opportunità e della garanzia di base comunque data dal reddito minimo. Purtroppo per quest'ultimo effetto vi sono molti vincoli ideologici e atteggiamenti di sfiducia che la rendono politicamente poco proponibile oggi. Noi ci proviamo a far aprire gli occhi, con questo testo, ma l'andazzo è cupo finora. Si pensi al can can per quella puerile banalità del "piano di rinascita democratica" della P2: se ha scatenato tante polemiche quel progetto dall'impronta prettamente socialdemocratica che praticamente proponeva solo blande modifiche formali alla "merda" esistente, come verrebbe visto questo nostro radicale progetto di passaggio dalla merda alla cioccolata? Che poi tra l'altro il piano di Gelli è tanto criticato e portato ad esempio negativo, ma la maggior parte delle riforme fino ad oggi proposte od attuate in Italia coincidono proprio con quanto proposto in quel piano...... peccato che la gente non lo sappia e continua a considerarlo complessivamente retrivo salvo poi approvare singolarmente le cose che in esso vi stanno scritte. Evidentemente per essi l'importante è la forma e non la sostanza, l'etichetta e non il contenuto. Scrive Marco Travaglio: "Chiunque cedesse alla tentazione di paragonare il Piano gelliano al programma del Popolo delle Libertà e alle opere dei tre governi Berlusconi meriterebbe una querela per diffamazione. Da parte di Licio Gelli."

Se proprio vogliamo, non la robotizzazione ma chi non avendo un cazzo da fare e avendo le necessità quotidiane già ripianate indefinitamente (solitamente per eredità) lavora gratis come hobby ("volontari") per redimersi da colpe che evidentemente percepisce di avere o per sentirsi migliore degli altri, esso è il più grande ladro di lavoro! Più sono parassiti e più esaltano la beneficienza. Taluni lo fanno per appropriarsene dei frutti, altri per alleggersi la coscienza, altri ancora per coprire la loro incapacità. E come non mi stancherò mai di ripetere, chi fa un lavoro inutile è mille volte più parassita di chi non fa nulla. I disoccupati senza reddito e / o patrimoni ereditati hanno ben altri pensieri per la testa e ci mancherebbe pure che a fronte di non avere nemmeno un reddito accettassero pure di lavorare gratis come spesso gli viene consigliato da assistenti sociali che lavandosene così le mani proponendo cose assurde palesano la loro impotenza nel compito delegato di "assistere socialmente"! Anche qui non mi si fraintenda, questa è una questione di principio: come si può dopo avermi negato un diritto, pretendere poi pure che io svolga volontariamente il dovere ad esso connesso? A meno di essere in Alabama nel 1860, ovviamente. Comunque anche in questo caso la questione nemmeno si pone, anche se pochi lo sanno, oggi neanche gratis esiste la possibilità di essere utilizzati, lo so perché nonostante tutto io personalmente mi ci ero proposto, ricevendo un incredibile rifiuto, fate voi... certo resta l'iniziativa personale, ad esempio mettersi a spazzare le strade... ed anche qui ecco che interviene la folle burocrazia: si sarebbe passibili di incriminazione per sottrazione di beni del demanio! E guai anche ad ardire aggiustare qualche bene pubblico rotto (ad esempio rimuovere graffiti da un muro): in tal caso l'accusa sarebbe danneggiamento. Evidentemente, il "dover pagare per lavorare" accennato prima come vaga polemica, in realtà non è una prospettiva poi così remota... Come per la chiamata alle armi vale lo stesso discorso di principio: se quando ero io a chiedere di poter essere utile in cambio di un reddito tale mia offerta era rifiutata, come possono ipotizzare perfino come niente fosse che nel momento in cui loro chiedano il mio aiuto, io mi metta a disposizione così come niente fosse??? E pure gratis poi!!! No, se nel vostro mondo vale il "chi ha avuto ha avuto chi ha dato ha dato", nel mio NO. E ciò dovrebbe valere, e avrebbe sempre dovuto valere, per tutti gli esclusi. Quando verrete voi a cercare me come niente fosse, avete capito male: non aspettatevi che io ci sia. Io sarei il primo a volermi rendere utile senza chiedere niente in cambio (e l'impegno che ci ho messo nello scrivere ciò che state leggendo dovrebbe essere indicativo), ma se ciò deve essere dopo che le persone per le quali vorrei fare il bene mi hanno snobbato per tutta la vita fino a quel momento negandomi anche il reddito di sopravvivenza, impedendomi perfino di fare alcunché anche gratis, sarebbe una questione di principio e giustizia rifiutarmi! Ci mancherebbe pure!!! Ed il bello è che avrebbero pure la faccia tosta di deprecarmi, loro a me!!! Prima non c'era niente da farmi fare? Bene, allora dovevate ricompensarmi il VOSTRO inutilizzo della MIA disponibilità implicitamente indicato dalla mia stessa esistenza! Altrimenti come potete pretendere che dopo che la mia disponibilità è stata ignorata per tutta la vita, io poi accetti di assecondare le vostre esigenze così come niente fosse??? Se volete che io RIMANGA sempre disponibile, dovete mettermici nelle condizioni di esserlo! Se fosse per voi io non esisterei, sarei morto per fame, quindi, quando avrete bisogno di me, consideratemi tale, inesistente, così come state facendo in questo momento! No che mi chiamate solo quando serve a voi! Io non voglio accettare di portare pietre per riempire argini! Voglio poter piantare dieci pali e lasciarli far da sè! Così che poi la tribù possa dedicarsi a tessere vestiti, costruire capanne, pescare pesci, raccogliere frutti, allevare animali, ed altre cose utili delle quali poi si potrebbe usufruire! O anche solo, in assenza di ulteriori necessità, oziare! Perché no??? Non portare pietre 18 ore al giorno per poi non aver più nulla di cui usufruire utilmente avendone tralasciato tutte le produzioni per dedicarsi solo a questo lavoro improduttivo!!! Alla fine cosa resterà??? L'intera tribù morirà di fame dopo aver passato i loro ultimi giorni a portare pietre???

Analisi del sistema odierno

Nel famoso libro di Aldous Huxley, i cittadini del "Mondo Nuovo" conoscono la storia del mondo solo per come gli è stata raccontata da chi detiene il potere, che per logica conseguenza corrisponde a chi in passato ha sbaragliato i concorrenti; la storiografia, scritta dai vincitori, dimostra senza ombra di possibile dubbio che nel passato l'umanità viveva epoche "oscure" nella barbarie e che quello di oggi è il migliore dei mondi possibili.

"Forse la Terra è l'inferno di un altro pianeta" (Aldous Huxley)

Siamo sicuri di non stare a vivere proprio ora nel "Mondo Nuovo"? Dopotutto il condizionamento subìto non ci può permettere di saperlo. Non a tutti, almeno, dato che a ben guardare, la verità, tra i meandri ed i recessi del fondale, la si può trovare. La tipica accusa che i sostenitori dell'attuale sistema (il cui maggior fanatico adulatore sembra essere attualmente il presenzialista specializzato nell'"arrampicamento sugli specchi" Antonio Librandi) fanno ai critici che sono duri contro il sistema odierno, di essere troppo pessimisti e che in realtà vedono il giardino del vicino sempre più verde rispetto al proprio. La realtà, confrontando le percezioni personali con i dati veri e propri, mostra sempre di più che quelli che criticano la società odierna ci vanno spesso anche troppo cauti. Ecco l'ennesima dimostrazione di un declino strutturale del nostro paese nel funzionamento del mercato del lavoro: gli studi sono stati seguiti dal Centro studi impresa lavoro che ha elaborato i dati di 138 paesi nel mondo forniti da “The Global Competitiveness Report 2016-2017” del World Economic Forum. Ovviamente la "sorpresa" è che l'Italia si trova al 119° posto, ultima tra le nazioni europee, dietro addirittura a paesi dell'est Europa come Polonia e Romania. Addirittura nei singoli dati che formano il risultato finale spicca il 130° posto sull'effetto della tassazione sull'incentivo a lavorare e il 131° nella flessibilità nella determinazione dei salari. Ringraziamo la Cgil per questo bel traguardo. I fanatici sostenitori dell'attuale sistema li accusano inoltre di essere "manichei", per il fatto di non vedere alcun senso nel discutere sulle sfumature del colore della merda come si vede fare tutti gli altri. Anche la fanatica idolatrazione del concetto di democrazia è una cosa di cui io fin dall'età di 14-15 anni non sono mai riuscito a capacitarmi, soprattutto alla luce del fatto che non sanno nemmeno di cosa stanno parlando. La cognizione della giornalista che nel 1993 chiese quasi con stupore ad Alessandra Mussolini "ma lei non è democratica?" come dando perfino per scontato che definirsi democratici sia un elogio e non un auto-definirsi un cretino come in realtà è, ed avvallarlo con uno sdegnato "certo che sono democratica". Ma basti anche solo pensare a quelli che citano a sproposito Orwell e Bradbury: talmente obnubilati dal pregiudizio da non rendersi conto che le loro opere (che fosse loro intenzione o meno) sono una feroce critica non ai totalitarismi riconosciuti come tali ma piuttosto al concetto novecentesco di democrazia! Dopotutto non è che le cosiddette dittature si sostengano sul nulla, ma anch'esse come le democrazie sono sottoposte alla volontà popolare, anzi ancor maggiormente ed in misura ancor più matematicamente perfetta in quanto automaticamente spontanea e non legata a specifici "voti".

"Nel più liberale degli stati come nella più oppressiva delle tirannidi, il consenso c'è sempre, e sempre è forzato, condizionato e mutevole" (Benedetto Croce)

Esse invariabilmente cadono nel momento esatto in cui la loro popolarità scende sotto il 50% + 1 del consenso (ma basti anche solo pensare al 25 luglio 1943!), a meno che di essere sostenute anche esternamente da uno stato estero ("neo-colonialismo"), allorché cadono quando viene meno questo sostegno. Un simile paradossale fraintendimento sulle differenze tra i concetti di democrazia e dittatura è giustificabile solo dal pregiudizio concetto fondamentale stesso delle "idee" politiche della maggioranza oggi assieme all'ignoranza ed all'imbecillità e che, non si sa secondo quale logica, porta pure questi ottusi ad interpretare negli atti di terrorismo uno scopo avverso ai governi in carica, e non, come logica stessa vuole, essere finalizzati a sostenerli! E' incredibile come i governanti democratici riescano ad arrampicarsi sugli specchi addossando le proprie colpe a servizi segreti "deviati" e farsi pure credere dal popolo e dai media... ma deviati rispetto a cosa???? Il ruolo dei servizi segreti è garantire il sistema vigente ed il governo in carica ed è quello che hanno fatto regolarmente, no "deviatamente". Se poi per fare ciò la maniera regolare consiste nel mettere bombe sui treni e nelle banche ed eliminare uomini politici scomodi il problema sono i servizi segreti o quel sistema che per sopravvivere necessita inderogabilmente (dato che si presume essere tali atti l'"ultima spiaggia") di instradare l'opinione pubblica terrorizzandola ed eliminare fisicamente i politici testardi? Io fin dal primo momento che ho sentito parlare di terrorismo ho dato perfino per scontato ciò, e sono da sempre allibito non riuscendo nemmeno a capire secondo quale astruso filo logico si possa arrivare a pensare che a compiere atti di terrorismo possa essere qualcuno contrario al governo in carica in quel momento anziché i sostenitori di quello stesso governo... ma secondo quale logica???? L'Irlanda non è diventata indipendente GRAZIE al terrorismo, l'Irlanda è diventata indipendente NONOSTANTE il terrorismo! Al limite nei casi ove non si intraveda una tale necessità o altre possono essere identificati come un atto di guerra da parte di paesi esteri come reprimenda o avvertimento, come alla stazione di Bologna e Ustica nel 1980 (se esiste un Dio, Jimmy Carter brucerà all'inferno). E il bello è che il cattivo è chi cerca di svelare la realtà su tali atti, non chi abboccando ai loro scopi incentiva gli autori a perpetuarli! Il cattivo è chi spera che un genocidio non sia avvenuto, mentre chi spera che sia avvenuto è il buono! Se secondo voi questo non è un mondo capovolto, ponetevi la domanda: da quale delle due parti ritenete di stare? Nulla è più nobile e, al tempo stesso, più pericoloso di un giudizio morale, o che pretende di esserlo: se si è distratti, o superficiali, o ingenui, è facile ingannarsi. Chi dei due è immorale? Il dissacratore o il moralista ipocrita? Chi smaschera spietatamente le bugie, alla ricerca di valori autentici, o chi, con la retorica e la menzogna, difende princìpi e valori fasulli ma "convenienti"? A chi giova una società inefficiente fondata sulle bugie e sostenentesi solo tramite esse? La democrazia liberale pur di non passare per liberticida compie azioni malvage di nascosto per manovrare la volontà dell'opinione pubblica (false flag, strategie della tensione, opposti estremismi, e relativi attentati) tirare il sasso e nascondere il braccio. E' meglio rendere illegale un partito comunista o mettere bombe sulle banche e sui treni? Certo, normale, il cattivo è chi auspica un governo che non essendo sottoposto al ricatto del consenso elettorale non avrebbe il bisogno di dover ricorrere a questi ignobili stratagemmi che hanno provocato migliaia di morti nel nostro paese. Se secondo voi la difesa della democrazia li è valsi, probabilmente della stessa opinione non sarebbero i parenti delle singole vittime. Se sapessero chi è il vero assassino dei loro cari ovviamente, cosa che a sentire Milani e Bolognesi non sembra. Abbiamo così un lampante esempio grazie al quale possiamo prendere spunto per definire azzeccatamente il concetto di libertà: quando al binario della stazione di Bologna ci sarà una targa con scritto "americana" o "democratica" al posto di "fascista", allora l'Italia potrà dirsi un paese libero.

"Se la libertà significa qualcosa, allora significa il diritto di dire alla gente cose che non vuol sentire" (George Orwell)

La libertà è laddove nessuno debba temere di dire la verità. Oggi solo uno "scemo del villaggio" come me può permettersi di dirla (perchè tanto nessuno gli da retta), non certo il presidente della Repubblica se non vuole far la fine di Moro o di Craxi. Come David Icke, che per potersi permettere di scrivere cose scomode è costretto ad inserirle in mezzo alla stupidaggine dei rettiliani.

"Una verità è pericolosa quando non somiglia ad un errore" (Gesualdo Bufalino)

Alla faccia degli apologeti del voto, è evidente a tutti come nei paesi culturalmente ed economicamente più evoluti l'affluenza alle urne sia la più bassa, e cala man mano che avanza il progresso, e viceversa l'affluenza è più alta nei paesi più arretrati. Questa è la vittoria del buon senso e la sconfitta dei soloni che in cuor loro vorrebbero il voto obbligatorio, quelli che interpretano nel crescente astensionismo una sconfitta della democrazia, quando casomai è proprio una vittoria della stessa, e non dovrebbe essere necessario analizzarne i motivi di ciò: il non votare, qualunque ne sia il motivo, è già un voto esplicito, anzi è il più univoco dei voti! A dispetto dei populisti del "tanto votare non serve a nulla"... il voto in realtà "serve" eccome, ed il problema è proprio questo dato che a votare e quindi a decidere sono anche i più cretini, per cui chi detiene o vuole detenere il potere deve attuare una serie di stratagemmi per instradare il voto sulle sue esigenze, tramite il terrore, le calunnie, la delegittimazione dell'avversario tramite scandali appositamente sbandierati, creati, o gonfiati (per cui tanto più uno è ricattabile e tanto più viene favorita la sua ascesa politica, poiché più manovrabile o sostituibile all'occorrenza) per cui non è vero che il voto non serva, ma casomai è esatto dire che il voto è uno specchio per allodole teso a dare un aura di legittimità a potenti che lo sarebbero comunque in ogni caso, questa e solo questa è la differenza tra un Allende e un Pinochet. E' incredibile come andando ad analizzare ogni fatto storico degli ultimi secoli si finisca ad andare a parare sempre lì: alla necessità di ottenere l'approvazione popolare! Tutti gli eventi, tra i quali quelli che deprechiamo, in un modo o nell'altro sono regolarmente il risultato determinato proprio dalle azioni di quelle stesse persone che per prime li deprecano! Troppo lunga sarebbe una lista. Il sistema elettorale liberaldemocratico, basato su elezioni generali a suffragio universale di rappresentanti candidati di partiti, implica un paradosso: se la maggioranza delle persone eleggesse al governo un partito antidemocratico, la democrazia cesserebbe di esistere. Tuttavia se gli altri partiti si opponessero cesserebbe comunque di essere democrazia in quanto andrebbe contro alla volontà della maggioranza; solitamente è questo secondo caso il più praticato, il “sono democratico, perciò comando io!”. La democrazia è un sistema politico, il sistema politico nel quale si votano candidati riuniti in partiti come propri rappresentanti per il parlamento, e non ha niente a che vedere col concetto morale di libertà, dato che niente vieta ad un regime democratico di reprimere la libertà, basta semplicemente che la maggioranza sia d'accordo dato che su ciò si fonda la democrazia, fare il volere della maggioranza. Viceversa, niente vieta ad un governo non eletto, ad un dittatore, o ad un re, di lasciare la massima libertà ai suoi cittadini. Per correggere questo difetto i governanti devono stabilire preventivamente dei precisi limiti alla democrazia, noti come “costituzioni”.

“Una Costituzione è come una cintura di castità di cui il legislatore possiede le chiavi” (Anthony de Jasay)

Quindi pretendere di applicare una vera democrazia con il sistema elettorale partitico è solo un ipocrita illusione. L’esempio lampante di questo è il colpo di Stato avvenuto nella “liberissima” Repubblica di San Marino nel 1957. La Repubblica di San Marino, governata dal 1945 dai partiti comunista e socialista, il 1° ottobre 1957 fu circondata da reparti di carabinieri italiani con la prospettiva di invasione se non vi fosse stato subito abbattuto il governo comunista; per capovolgere il potere così da evitare una sanguinosa invasione ai golpisti sammarinesi bastò modificare la legge elettorale; ciò indirettamente evidenzia come nel sistema partitico con i medesimi risultati elettorali possano accedere al governo partiti reciprocamente opposti a seconda del sistema utilizzato. Infatti anche le dittature di tipo sudamericano altro non sono se non fasi in cui a seguito del percorso nel quale le contingenze hanno superato in opportunità le capacità dei poteri forti di determinare la politica nazionale costringendo i governanti (dietro pressione popolare, soprattutto) ad optare per decisioni deleterie alla nazione (come le nazionalizzazioni ad esempio, che è il caso di Allende, oppure al frenare una guerra ritenuta necessaria, come nel caso di Kennedy, o l’apertura al comunismo come nel caso di Aldo Moro), i settori più elitari premono per modificare (nell’interesse della nazione, perché no?) l’andazzo. Non si fraintenda: non vogliamo presentare ciò come un aberrazione, ma come un odierna necessità. Per rimediare ai guasti provocati dal sistema politico basato sull’ignorante consenso universale e quindi sulla demagogia necessaria ad appagarlo. Ad esempio, Enrico Mattei avrebbe voluto svincolarsi dalle logiche economiche mondiali (come aveva fatto la Germania prima del 1914 e l'Italia dopo il 1935) del prezzo mondiale del petrolio pagando tangenti più alte ai già ricchi sceicchi arabi. Un esempio in piccolo di questo è quando un organizzazione di spacciatori di droga vuole svincolarsi dal suo fornitore territoriale andando ad acquistare direttamente al livello superiore nel mercato mondiale. E non è che queste cose le ho pensate solo io, ma sono state analizzate da gente tipo Vilfredo Pareto, George Mosse (nel suo "La nazionalizzazione delle masse"), Harold Joseph Laski e John Dewey (che hanno visto nel liberalismo in panico dopo la rivoluzione d'ottobre il sorgere delle dittature degli anni '20-'30). Essendo l’accesso all’eleggibilità subordinato all’appartenenza ad un partito come garante e referente, la necessità di venire a compromessi con esso è irrinunciabile. Dato che lo scopo dei partiti è (o meglio, diviene) il lucro (come in definitiva per ogni altra iniziativa umana, in un modo o nell’altro), per i politici è d’obbligo l’accondiscendere alla volontà di chi li “finanzi”; dall’altro lato, la carriera del politico è determinata da quanto più profitto porti “in cassa” al partito, ed è quindi implicitamente “costretto” alla corruzione, unico mezzo di profitto possibile per un partito politico. L’inevitabile e logica conseguenza che ai vertici dei partiti riescano ad accedere le persone peggiori e meno meritevoli di tutta la società, è conseguentemente scontata. In quanto tali, sono per antonomasia maggiormente manovrabili da chi abbia la capacità di farlo, il quale avrà quindi tutto l’interesse proprio a favorire l’ascesa ai vertici dei partiti ed ai posti di Potere proprio delle persone peggiori e potenzialmente più ricattabili, tenibili “appese per un filo”. Ai cittadini elettori viene quindi solo “concesso” di scegliere quello valutato come “meno peggio” tra quelli imposti dal partito (nel caso ci sia il “voto di preferenza”), ed in altri casi (“lista bloccata”) neppure ciò ma solo confermare quelli decisi dal partito prescelto. Nella farsa delle “primarie” ugualmente si può scegliere solo tra candidati scelti dalle gerarchie partitiche. E non certo scelti sulla base di qualità positive. Ma si tenga conto che, anche non fosse così, solo quelli in grado di spendere notevoli quantità di denaro per la campagna elettorale e incantare le masse avrebbero possibilità realistiche di essere eletti. Classico è l’esempio delle elezioni americane del 1960, quando il favorito (e “predestinato”…) Richard Nixon perse contro John Kennedy a causa di un dibattito televisivo. Non c’è esempio migliore delle opinioni di un acuto osservatore quale Vittorio Emanuele III riguardo la classe politica dell’età giolittiana: “Le doti necessarie per farsi strada nella politica italiana, e poi mantenersi al potere, non hanno nulla a che vedere con le autentiche virtù dell’intelletto e del carattere. Casomai il contrario” . Tutto questo si rivela nel “trasformismo” dei più furbi, ovvero non nell’aderire al partito che esprime i propri pensieri, ma nell’aderire a qualunque partito che il potere già lo detenga o che ne abbia la prospettiva; non ci sarebbe da stupirsi immaginando che in un eventuale Italia comunista il dittatore sarebbe stato Giulio Andreotti... Il sistema bipartitico presidenzialista stile americano poi, è il meno democratico tra tutti, quello che più di ogni altro mette “paletti” all’accesso al potere, e di conseguenza lo garantisce ai più furbi nel detenerlo. Ciò si ripercuote visibilmente nell’agire pressoché onnipotente dei presidenti ancor più che il peggior dittatore; e solo quando vi è un concorrente diretto alla loro altezza sostenuto da “interessi forti” ancor maggiori, allora le trame di questi fanno cadere, in un modo o nell’altro, quello in carica (casi esemplari: “watergate”, stile “nordista”, ed omicidio Kennedy, stile “sudista”). L’unico freno che gli impedisce di divenire autocrazia è il numero massimo di due mandati presidenziali. Questa sensazione di onnipotenza dei dirigenti ha travagliato tutta la storia degli Usa, non dovrebbe essere necessario citare i casi di Sacco e Vanzetti e dei coniugi Rosenberg per chiarirla. Per non parlare della repressione del dissenso politico, soprattutto durante la “red scare” dei primi anni ’20, il maccartismo degli anni ’50, le rivendicazioni sindacali durante gli anni ’30 spietatamente represse nel sangue, e l’assoluta libertà di intervento militare nelle “repubbliche delle banane” fino agli anni ’40. In tutti questi casi la prassi americana si dimostrò notevolmente peggiore di qualunque dittatura contemporanea! Anche se spesso delegando ad altri, alla mafia ad esempio; prassi che tentarono perfino di esportare in Italia (strage di Portella delle Ginestre, 1948), ottenendovi però risultati opposti (per via della maggior querulità del popolo italiano già descritta precedentemente) e quindi dovendola abbandonare, non essendo riusciti prima a comprendere il diverso concetto che i cittadini italiani hanno dei diritti umani rispetto ai cittadini americani tendenzialmente cinici e individualisti. Ciò si rifletteva ampiamente anche nella concezione dei “diritti civili”: un paese nel quale i negri sono rimasti legalmente segregati fino agli anni ’60 (e socialmente anche oltre) si permetteva di fare la morale alle misere leggi razziali italiane??? Ma gli Usa hanno sempre il loro solito “asso nella manica”: scusarsi ufficialmente passati un centinaio d’anni.
E guai a precisare in particolare la falsità storica suprema per antonomasia, il dogma sul quale si fonda oggi il mondo! Quella alla quale agli ipocriti "je suis Charlie" finché gli fa comodo ma guai a toccargli tale tabù! Purtroppo pochi capiranno a cosa mi riferisco, ed io non ho certo intenzione di andare ad impelagarmici nuovamente dopo tutto quello che ho subìto nel corso degli anni su quel pazzesco argomento, la regina delle leggende metropolitane.

"La verità è una cosa meravigliosa e terribile, e per questo va trattata con cautela" (Albus Silente)

Sinceramente se vivessi in un mondo fondato sulla verità, dove tutte le verità fossero riconosciute ufficialmente da tutti o quasi, e qualcuno venisse a dirmi, che so, che il cadavere di Hitler non si trova sepolto in una normale tomba col suo vero nome in Israele ma è morto in un bunker a Berlino nel 1945 (o in Brasile o Antartide e altre fantasie simili), a me non me ne fregherebbe niente di contraddirlo, ognuno è libero di credere alle stupidaggini che vuole, ben diverso è quando la situazione è capovolta ovvero come oggi tutti credono NON a cose non solo vere ma perfino ovvie ed evidenti, ma bensì a palesi stupidaggini avulse da ogni logica, questo si che fa crucciare sull'intelletto umano e quindi spinge a cercare di far aprire gli occhi agli accecati su cose di per sé stesse evidenti, cosa che invece se fosse limitata a poche persone sarebbe invece comprensibile e quindi superfluo andare a guastargli i loro desideri (perché di tali si tratta, solo così se ne può dare una spiegazione). Ma dalle conseguenze della credulità popolare ci rimettiamo nei fatti tutti, loro compresi. Ecco, ora a fronte del fatto che nella situazione odierna siano gli obnubilati ad accanirsi oltre ogni senso di decenza, letteralmente con la bava alla bocca come dei cani rabbiosi, verso quei POCHISSIMI che comprendono e "osano" dire la verità, è, o dovrebbe essere, indicativo, non vi pare? Se uno deve difendere con tale veemenza delle opinioni già universalmente riconosciute evidentemente queste opinioni non sono poi così fondate, come si dice, "avere la coda di paglia" insomma. La verità non ha bisogno di difese, la verità è tale indipendentemente dalle opinioni umane. Ergo se una cosa viene difesa con accanimento nel momento in cui già praticamente tutti ci credono e quindi non si vede il motivo per doverci ribattere sopra... probabilmente non è poi così vera. A che scopo ribattere con veemenza una cosa di cui già tutti sono convinti?

"I carnefici hanno bisogno di urlare per imporre le proprie menzogne. Alle vittime basta il silenzio perchè ad esse appartiene la verità. Chi ha ragione rida e non vada in collera" (Antoine De Rivarol)

E’ detto debunker colui il quale in maniera parossistica ed accanita dedica il suo tempo libero a contrariare e sbeffeggiare ogni ipotesi storico-politica che esuli da quelle “ufficiali” da lui a priori ritenute giuste in quanto confermanti le proprie convinzioni, spesso usando la prassi della delegittimazione personale quando in assenza della possibilità di delegittimare i concetti in sé; benché si possa pensare che tale comportamento sia prerogativa di organismi interessati, invece sono persone affette da un particolare ben definito disturbo ossessivo-compulsivo a praticarlo, coacervo di sindrome di personalità narcisistica e svariati bias cognitivi. Il destinatario di questa propaganda si sente un libero pensatore, inconsapevole del fatto che tutte le sue idee siano influenzate da questo bombardamento quotidiano dei media ed incapace di partorire un’idea che sia veramente sua. Egli diventerà a sua volta veicolo di questa propaganda, tenterà di intervenire nei dibattiti sui forum, per dimostrare di essere informato, riportando sempre e solo questi slogan e compiacendosi dell’essere apprezzato da altre centinaia di persone come lui che si ritroveranno nel pensiero preconfezionato che egli scriverà. Credendosi pure brillanti e sagaci eruditi, "reginetti della satira", quando invece ne sono I PADRONI, che è cosa ben diversa dall'esserne i "reginetti", una satira sempre e solo bonaria verso la sinistra, e sempre tesa a far sottintendere falsi stereotipi tutt'altro che bonari verso la destra, culminata nel 1994 con "saxa rubra" con Zuzzurro e Gaspare ignari pupazzetti di un gioco molto più grande di loro, che ovviamente non poteva non avere come ambientazione scenica un campo di concentramento nazista... e non nello stile strafottente tipo "Sturmtruppen" o "gli eroi di Hogan", ma nel senso di incutere timore. La quadratura del cerchio è presto che realizzata. Infatti vi invito a guardare quali stereotipi incarna Caterina Guzzanti che scimmiotta la cosiddetta "militante" tipo casapoundiana... Cosa per noi sorprendente, vista l'esiguità numerica ed elettorale del gruppo in questione... se non sapessimo il perchè dargli tanta importanza... è evidente ormai come la nei fatti numericamente irrilevante neo matricola del sistema partitico venga propagandata così diffusamente e su tutti i media con il solito preciso scopo da parte del sistema antifascista, e soprattutto quale appropriazione ideologica indebita viene ufficializzata dai media della repubblica antifascista nell'immagine caricaturale che ne viene presentata... tematiche che con quel "marchio" vengono associate a svastiche, razzismo, violenza, etc... in linea con "Saxa rubra", e purtroppo due nomi su tutti vengono citati apertamente, e associati all'organizzazione neopartitocratica... Gentile e Mussolini... e il cerchio purtroppo è chiuso! Sempre come da copione antifascista. Ma veramente la gente normale non riesce a rendersi conto che quella non è ironia ma è pregiudizio, cattiveria, odio?

"Ma non ci si occupa solamente dei vivi. Si fanno anche processi ai morti. Si rilegge l'intera storia sul registro dell'anacronismo, passando le opere del passato al vaglio delle idee che oggi sono di moda, senza tener conto dell'epoca né del contesto. Di volta in volta, Georges Bataille, Andrè Gide, George Orwell, Alexis Carrel, Ernest Renan, Georges Burqèzil, Emile Cioran, Mircea Eliade, Jean Genet, Antonin Artaud, Lèo Malet, Ezra Pound, Paul Morand, Colette, Baudelaire, Hemingway, Vladimir Nabokov, Montheriant, Carl Schmitt, Jack London, Marguerite Yourcenar, Heidegger, e persino Dante, Shakespeare, Voltaire, Balzac o Dostojevskij, per citarne disordinatamente solo alcuni, si vedono convocare a titolo postumo dinanzi a tribunali di carta che pretendono di operare una revisione della loro posizione nel mondo letterario o nella storia delle idee il che permette di togliere i loro nomi dalle targhe stradali o dalle facciate degli istituti scolastici a loro intitolati. L'epurazione del 1945 non è stata sufficiente. Le si aggiunge ogni giorno un post scriptum rifacendo il processo a Cèline o trasformando Carrel in "precursore delle camere a gas", mentre ci sono avversari della pena di morte che esprimono pubblicamente il rimpianto di non poter fucilare Brasillach una seconda volta" (Alain de Benoist, da Pensiero unico e censura, Diorama letterario, gennaio 1998)

L'auto-ironia poi non sanno neanche cosa sia, e la conferma ci arriva dalle parole di Sabina Guzzanti nel 1994 in riferimento ad un elogio ricevuto dal Fronte della gioventù: "di certo consenso non so che farmene". E' presumibile quindi che anche al fratello Corrado sia roso parecchio il fatto che il suo film "fascisti su marte" sia stato apprezzatissimo tra i neofascisti (ovviamente, e che si aspettava? sono loro i primi a vederlo in quel modo il ventennio).
Il più evidente esempio della mancanza di logica e razionalità nel pensiero (e quindi nel comportamento) umano si denota nelle code automobilistiche in autostrada. Ogni essere vivente dotato di un certo livello di raziocinio ovviamente attenderebbe a motore spento che l’agglomerato di auto che lo precede avanzi fino al limite di visibilità per riaccendere il motore e percorrere quella distanza in un colpo solo assieme al proprio agglomerato per poi spegnere il motore ed attendere che l’agglomerato precedente avanzi nuovamente di una distanza decente (sistema safety car). Invece per qualche incomprensibile motivo il cervello umano medio odierno pone in attuazione un comportamento esente da ogni ragionamento logico e da ogni senso razionale: tenere il motore acceso in modo da poter avanzare contemporaneamente alla macchina che lo precede (sistema “fisarmonica”), come se in questo modo si potesse procedere più velocemente anziché alla stessa velocità della prassi razionale. L’analisi non finisce qui, ma è di introduzione allo scopo socio-politico di questo esempio: in tali casi l’eventuale unica persona che attua il comportamento giusto viene fatta oggetto di aggressione da tutti gli altri automobilisti accodati, per qualche incomprensibile motivo estremamente convinti di avere ragione loro, e ingagliarditi per il solo fatto di essere adeguati al comportamento sociologico della maggioranza. Voler seguire appositamente un comportamento errato può anche essere giustificabile, ma voler pure avere ragione è un altro discorso. L’ignoranza non è una colpa. Ma solo gli stupidi non riconoscono la propria ignoranza. Non è la stupidità in sé ad infastidire. Nemmeno la stupidità è una colpa. Ma lo è quando uno stupido in torto pretende pure di avere ragione. Il pensiero politico degli uomini non si discosta dal pensiero “automobilistico”. Il riferimento ai cosiddetti “debunker” è chiaro. Non tutti noteranno un nesso con la religione cristiana. Il più importante messaggio intrinseco di Cristo invece era proprio questo, lui che è stato crocifisso per volere della maggioranza accecata dal fanatismo politico-religioso e dal carisma del criminale Barabba.

"Le verità scientifiche non si decidono a maggioranza" (Galileo Galilei)

Non dovrebbe bastare la parabola su Barabba a chiarire cosa ne pensasse della democrazia chi ha scritto il vangelo? La democrazia parlamentare non è la soluzione, la democrazia parlamentare è il problema. Il punto di partenza di qualunque movimento che intenda migliorare l'attuale situazione deve essere abolire quantomeno il ruolo legislativo del parlamento. La democrazia - sostiene Lorenzo Castellani ne "Il potere vuoto" - è affetta innanzitutto da "vetocrazia", cioè dall’incapacità strutturale di prendere decisioni e di farlo in tempi rapidi; è poi malata di burocrazia, che rallenta ulteriormente i tempi della politica, causa sprechi ed è oggetto di clientelismo; soffre quindi di una giustizia ingombrante, che mette sotto processo la politica, pretende di farne le veci e ne modifica la natura tramite il ricatto: da qui il "potere vuoto" di cui parla il titolo (quello legislativo ed esecutivo), rimpiazzato dal potere giudiziario in loro assenza (volontaria o meno che sia) per rimediare all'ingovernabilità derivata dal caos giuridico creato anche da legislazioni ridondanti, ambigue, ed inutili, da una classe politica che per deresponsabilizzarsi emette leggi fatte apposta per essere ingannate e lasciando quindi a dirimere le questioni caso per caso alla discrezionalità del potere giudiziario con la conseguenza di diventare causa di corruzione, per via dell’eccessiva commistione tra Stato e mercato e discrezionalità lasciata al giudice come surrogato del burocrate anziché fissazione di precise regole (basti pensare alla "legge Merlin"...). E poi si sentono dire cose tipo "l'incertezza della pena favorisce gli incoscienti"... l'incertezza????? La certezza della pena per la gente per bene e l'assenza di pena per i delinquenti casomai!!!! Perché è a questo che porta il sorteggio casuale chiamato "discrezionalità"!!! Chiamiamo le cose col loro nome: non "incertezza", ma casualità!!! Il problema non è il TAR o i tribunali, ma certi giudici che si rifanno a leggi del regno o addirittura al diritto romano pur di complicare la vita altrui. E’ mai possibile che un organo di giustizia amministrativa risulti determinante in decisioni che spettano ai rappresentanti eletti dai cittadini? Sì, è possibile, nel pasticcio giuridico in cui l’Italia da anni si è avvitata. Non si sa mai a chi precisamente spettino le responsabilità, cosicché se si fa qualcosa che poi si rivela sbagliato nessuno paga, ma soprattutto di fronte a un groviglio di interessi contrastanti la via più sicura per evitare impopolarità è non fare nulla. L'Italia è un paese dove non si risolvono in nessun caso i problemi... Semplicemente, con la complicità del popolo bue, li si fa passare di moda. Basti pensare alla furente polemica sulle "3 reti" che impestava l'agenda politica qualche anno fa. Poi gliene hanno date altre 10 e oggi nessuno fiata più. E’ facile oggi lamentarsi di chi ha governato, e ce ne sono buoni motivi. Molto pesa anche l’inefficienza delle burocrazie. Ma il declino del Paese è conseguenza anche di investimenti non fatti da privati scoraggiati dal rischio di possibili inconvenienti. Ogni interesse circoscritto, legittimo quanto si vuole, ma che andrebbe conciliato con altri interessi ugualmente legittimi, che si esprimono meno rumorosamente, trova terreno favorevole per fermare ogni cosa. Si arriva al paradosso, più volte segnalato dal presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone, che esistono imprese edilizie più specializzate nel far soldi con i ricorsi al Tar che materialmente costruendo case, ponti, strade; che danno lavoro più agli avvocati che a ingegneri e muratori. E’ questo il Paese in cui vogliamo vivere? Si crea una situazione in cui ai politici conviene decidere il meno possibile, e di conseguenza ai privati non conviene investire. E' da stolti pretendere che poi i ricchi investano. E' saggio invece creare le condizioni affinché i ricchi investano. E' da stolti pretendere che i ricchi spendano ed è doppiamente da stolti criminalizzarli quando spendono. È invece saggio creare le condizioni affinché i ricchi spendano, o non vadano all'estero a spendere.

“Ciò che caratterizza i socialisti di tutti i colori è un tentativo continuo, vario, incessante, per mutilare, per raccorciare, per molestare in tutti i modi la libertà umana” (Alexis de Tocqueville)

Trattenere le informazioni economiche ad uso degli amici o degli amici degli amici ("insider trading") impoverisce il sistema economico che lo permette, perché distrugge ricchezza ed allontana gli investimenti. Le vicende Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Monte dei Paschi di Siena e le altre truffe bancarie sono li a dimostrarlo. A questi malesseri si aggiungono altri fenomeni sintomatici come la scomparsa delle mediazioni tra potere ed elettore, determinata dalla generalizzazione di massa dei sistemi elettorali che spersonalizza i candidati, con conseguente svuotamento della forma partito tradizionale e svilimento dei suoi scopi originari; da qui il rafforzamento della leadership a livello nazionale e la personalizzazione del processo elettorale cui cercano di por rimedio con singoli rattoppi che però causano evidenti problemi (i più noti dei quali sono il "cambio di casacca" e i "franchi tiratori"). Perché va a finire sempre allo stesso modo? La democrazia finisce sempre in degrado e corruzione. E poi si inventano dei palliativi, delle finte democrazie, dove alcuni si ergono a controllori delle masse. Non cambia nulla. In migliaia di anni non si è riusciti a trovare una soluzione, perché NON esiste. Non è tanto il metodo che conta, quanto cosa sono i SINGOLI INDIVIDUI. E dopo Socrate, che si immola sul patibolo della democrazia, seppure deluso e critico, per coerenza (ma più per stanchezza), arriva Platone, che depreca la democrazia, e poi Aristotele, che inventa meccanismi per manipolare la massa popolare con la scuola, per far stare ognuno al suo posto e per gestire il potere in modo equilibrato, ma propendendo chiaramente per il potere aristocratico. E le scuole moderne fanno esattamente quello che consigliava Aristotele: istruire le persone per essere CONFORMI al governo prescelto. Siamo PLAGIATI fin dall'asilo. Solo alcuni, dal carattere particolare, si accorgono, si sentono a disagio per questo plagio istituzionale. Non è un caso che tipicamente siano quelli che da piccoli erano i "cocchi della maestra" a diventare da grandi i più ferventi sostenitori del sistema democratico. La scuola che serve per omologare il pensiero non è uno strumento di libertà, ma di controllo sociale. E' paradossale difatti che analizzando il libro "Cuore", Umberto Eco stravolga in una maniera così eclatante l'interpretazione sociologica dei personaggi, paragonando il ribelle Franti all'antifascismo e il "cocco del maestro" Perboni al fascismo!!!! Solo tramite la consapevolezza del suo cieco pregiudizio ideologico si può giustificare una talmente paradossale interpretazione letteralmente capovolta. Per fortuna non sono l'unico a essersi accorto di un talmente superficiale capovolgimento, dato che anche Indro Montanelli lo smentì con un analisi invece realistica ovvero identificando in Franti il prototipo stesso del "tipo" fascismo, ribelle ai costumi della società perbenista, e in Perboni il "tipo" "prono a quel genere di società" che il fascismo abolì facendo ritrovare i tipi come lui come pesci fuor'acqua e che per questo ci si ribellarono tanto quanto Franti faceva contro quella perbenista. Ecco cos'era l'antifascismo del ventennio... non fulgidi rivoluzionari proletari come sostiene l'agiografia che si sono creati, ma cupi scribacchini con le mezze maniche nostalgici dell'italietta perbenista da libro Cuore! Ma pesano anche il ruolo decisionale assunto, grazie anche alla globalizzazione, da organi indipendenti (authorities e banche centrali), esterni sia alla politica che ai confini nazionali; nonché l’opera di supplenza svolta dai tecnici, che accentuano la tendenza verso la depoliticizzazione. Questa dinamica, secondo Castellani, non va fermata (ci mancherebbe che si considerassero deleterie le conseguenze elencate!) ma adattata alle strutture delle democrazie liberali, attraverso un loro aggiornamento. Ne deriva un decalogo finale, che suona come un vademecum per curare il “malato”. Si va dal rafforzamento dell’esecutivo, tramite presidenzialismo e sistema maggioritario, al decentramento dei luoghi di potere grazie a governance multilivello (cioè un sistema organicista), fino alla velocità decisionale assicurata dalla capacità di fissare pochi grandi obiettivi e portarli a termine (la cosiddetta "deliverology") e al ripensamento della struttura-partito nei suoi strumenti e procedure (più internet e più primarie). Generalmente poi opinione comune tra i liberisti è che le uniche possibilità per questo paese di rialzarsi sono: eliminare le tasse sul lavoro, rendere flessibile il mercato del lavoro e smettere di sfavorire l'iniziativa privata italiana ed estera, e secondo i distributisti la base per poter mettere in atto questi punti è inderogabilmente il reddito di cittadinanza.

"La democrazia è instabile come sistema politico fintanto che rimane un sistema politico e nient'altro" (Richard Henry Tawney)

Difatti tutti i propositi come rimedio alle lacune individuate generalmente consistono sempre e solo nel modificare meramente sfumature lasciando le basi inalterate (il citato "adattare alle strutture delle democrazie liberali"). Anche per le personalità più illuminate non si riesce ad andare in là del concetto di democrazia parlamentare come possibile sistema di organizzazione sociale, e ci si limita a proporre modifiche che sono solo singoli rattoppi ad una barca che fa acqua da tutte le parti. Costruire un nuovo scafo no, questo non lo si considera nemmeno. A forza di rattoppare prima o poi la barca affonderà! Giunti a questo punto è una struttura da abbattere e ricostruire. Non è riparabile. Troppi fattori, troppi problemi, rendono una riparazione impossibile. Mezzo secolo di diseducazione, hanno ridotto ad una popolazione di disadattati che credono nelle favole, che basti dire "no" o "si" e tutti problemi si risolvono, che basti avere una bandiera arcobaleno sul terrazzo per combattere le guerre, una bianca per le mafie, che basti chiudere mega impianti per risolvere il problema dell'inquinamento, che accogliere la popolazione di un continente 100 volte più grande del nostro sia carità cristiana e solidale, mentre in realtà è un'invasione con conseguenze future inimmaginabili. Sussidi e privilegi hanno creato una maggioranza democratica illusa che questo sia la loro reale condizione, mentre è solamente un'illusoria temporanea e artificiosa situazione, sostenuta dal debito e dalla tassazione forsennata nei confronti della minoranza produttiva. Cosa si può fare in una situazione del genere? Io penso che non si possa fare nulla, da parte della minoranza di "buon senso", perché la "maggioranza parassita" non capirebbe e ci si scaglierebbe contro. Quindi probabilmente, sarà proprio l'immigrazione selvaggia a svegliare dal torpore le masse e dare il colpo di grazia ad una nazione in agonia da troppo tempo. Tanto peggio, tanto meglio. Aspirazione fondamentale dei distributisti non è la perfezione, ma la realizzazione di un sistema che veramente più si avvicini all’ideale ateniese di “democrazia”, sia in senso politico che in senso economico. Che come abbiamo visto, la sua interpretazione novecentesca non necessariamente può essere rispecchiata in quello effettivamente auspicato dai filosofi dell'antica Grecia. Anche i greci fallirono totalmente nel comprendere i concetti fondamentali del diritto e dell'economia. Non avevano capito l’ordine spontaneo del mercato, si facevano burla dei commercianti e degli imprenditori. Ammiravano la dittatura (sotto qualunque forma si presenti, compresa quella democratica) e l'ingegneria sociale. Non molto diverso da quella novecentesca, da cui secondo i distributisti finora le autodefinentisi “democrazie” addirittura non sono state nemmeno “dittature della maggioranza”, ma palesemente “della minoranza”, come partitocrazie, plutocrazie, oligarchie, da considerarsi dunque all’opposto rispetto al significato letterale di “democrazia” come “governo del popolo”, e mantenute in essere solo grazie a subdoli levantinismi e macchiavellici artifizi quali il terrorismo e la messa all'indice di un nemico creato ad hoc (come i famosi "opposti estremismi") contando sulla stupidità del popolino che regolarmente abbocca strumentalmente. Sembra poi che per i fanatici della democrazia essa vada bene applicata a qualunque cosa, fuorché alla base stessa della società: il lavoro. Oggi l’organizzazione del lavoro è antitetica ad ogni concetto di democrazia, anzi è proprio l’apoteosi del totalitarismo: siamo alla menzogna più sfacciata, in un sistema con un precariato in continua espansione fatto ipocritamente passare per "flessibilità" (che come concetto in sé sarebbe anche cosa buona) ed una disoccupazione demotivante e depressogena... fondate su un assegnazione delle mansioni pressoché casuale totalmente priva di alcuna meritocrazia ed efficienza. Puntualizzarlo sperando qualcuno capisca è una folle utopia, tanto che sembra a tutti andar bene così, salvo poi lagnarsi dei difetti che tale sistema provoca, ma senza proporne un alternativa realistica, anzi andando ad aggredire furentemente chi osasse proporla!Oggi ci si scanna sulle sfumature del colore di questa merda, ma si è incapaci perfino di capire di essere nella merda e che esiste anche la cioccolata, e quindi di cercare di passare dalla merda alla cioccolata (allorchè, certamente sarà sensato poterne discutere le sfumature).

“Perfino quando in mezzo a loro serpeggiava il malcontento (il che, talvolta, pure accadeva), questo scontento non aveva sbocchi perché privi com’erano di una visione generale dei fatti, finivano per convogliarlo su rivendicazioni assolutamente secondarie. Non riuscivano mai ad avere consapevolezza dei problemi più grandi” (George Orwell, 1984)

Nel dibattito politico odierno ci si limita a discutere sulle sfumature dei colori di questa merda, non considerando o tenendo accuratamente occultato al popolino la possibilità stessa dell'esistenza della cioccolata od addirittura facendo passare la propria merda per cioccolata e dicendo che la cioccolata è merda, poiché chi sulla merda ci campa ci tiene a mantenere strumentalmente il popolo in questa ignoranza. Per quanto riguarda la libertà, poi, l’unica libertà lasciata aperta nel sistema lavorativo è quella di fare i barboni, dato che questa è l'unica alternativa al sottostare alle folli regole imposte da tale sistema. Il sistema democratico è quindi altamente inefficiente. Esso crea tutti gli incentivi perversi perché i cittadini smettano di cooperare in maniera armoniosa. Quando si concede un privilegio (a scapito di chi quel privilegio non lo ha) non lo si toglie più. E' lo stesso effetto causato dalla dipendenza di una droga. All'origine di questa inconcepibile lode alla democrazia sta il fatto che molti commettono il solito errore (instillato dolosamente da chi ne trae giovamento) di fraintendere i significati di due termini: la democrazia è un sistema politico fondato sul voto, la libertà invece è... la libertà. Non sono sinonimi e nemmeno complementari, un governo non derivato da un elezione può garantire la massima libertà a tutti, e viceversa un governo democraticamente eletto può essere liberticida come non mai (serve citare i casi del dottor Kevorkian, Amos Spiazzi, Mordechai Vanunu?). Non si vede nemmeno perché non dovrebbe essere così, non si vede nemmeno secondo quale logica la gente tenda ad accomunare i due termini fino a quasi considerarli sinonimi, se non semplicemente come frutto di una pazzesca ipnosi collettiva! La democrazia parlamentare è soltanto un comitato di affari in cui pochi tenutari del potere e gestori di apparati partitici - al guinzaglio di agenzie esterne forti e condizionanti le decisioni politiche - gestiscono la vita dei sudditi indipendentemente dalle volontà individuali, gratificando le voglie più basse dei singoli ("panem et circenses") e contro il benessere degli stessi che sostenendola accanitamente si castrano da soli. Io difendo la libertà di parola e di riunione non per stupidaggini volterriane, ma perchè proibire i partiti e le opinioni è totalmente inutile verso i fini che tali divieti si prefiggono, e la storia lo ha dimostrato ampiamente, quando un governo, dittatoriale o no che sia, deve cadere, cade, indipendentemente che durante la sua durata vi sia stata o no la libertà di parola e di riunione, che di conseguenza si dimostrano del tutto inutili sia come libertà che come divieto. I veri dittatori cioè i democratici questo lo hanno capito bene, e proprio per questo sono democratici, perchè sanno che è solo con la democrazia che possono ottenere e mantenere il potere assoluto nelle loro mani. Paradossale no? Non per me, io vedo solo i conti che tornano. Il punto della questione è che le opinioni di persone o di gruppi NON DEVONO essere influenti nella condotta di governo! Questa è la democrazia parlamentare (in lingua russa: "sovietica").

“Le riunioni sono indispensabili quando non vuoi combinare nulla” (John Kenneth Galbraith)

"La provvidenza ha deciso di assegnare al democratico la vittoria e al reazionario la verità" (Nicolás Gómez Dávila)

Si pensi alla demenziale canzone che dice "libertà è partecipazione"... ma secondo quale logica?????? Che cavolo c'entra la libertà con la "partecipazione"??? Ma veramente nessuno ci arriva a capirlo??? La libertà non è né partecipazione, né astensionismo, né delega, né nient'altro del genere, perché la libertà non ha proprio niente a che vedere col metodo utilizzato per l'assegnazione dei ruoli amministrativi! Anzi è dal caos istituzionale invariabilmente creato dalla "partecipazione" che deriva per antonomasia stessa la negazione della libertà! I media sono quotidianamente zeppi di inutili diatribe che analizzano in maniera superficiale e fittizia una mole di differenti problemi, tanto che oramai le aberrazioni del sistema politico-economico sono considerate l’ineluttabile norma. E' sorprendente il progressivo suicidio democratico di un intero popolo, come fossero lemmings. Anche perchè con simili comportamenti risultano eccezionalmente noiosi, oltre che dannosi. Non esistono vie regie alla geometria, come disse Euclide a re Tolomeo, ma nemmeno scorciatoie alla democrazia, come disse Zamboni. "Abbiamo eletto imbroglioni, bugiardi e truffatori". Ah, be', quand'è così... "Fuori i golpisti autoritari dalle istituzioni" significa, concretamente, "fuori il golpismo autoritario dalle menti dei cittadini". Il golpismo non lo hanno importato i marziani. E' la mente autore del pensiero che è autore dell'agire e artefice dei risultati. A causa di ciò si assiste continuamente alla nascita dalla sera alla mattina di movimenti demagogici sempre e regolarmente fondati sul punire-proibire-reprimere-tagliare-imporre-"regolamentare"-sovvenzionare privi di propositi costruttivi sensati ma pregni di statici "punti programmatici" palesemente irrealizzabili e privi del minimo pragmatismo, anzi addirittura immancabilmente convergenti verso l'opposto di quello che la logica direbbe: se i problemi sono determinati proprio dal fatto che in questo mondo ogni singola persona (comprese quindi le più cretine) vuole dire la sua opinione provocando un caos enorme ognuno con il terrore di perdere il consenso altrui necessario in un sistema così folle, in che modo i problemi causati dal populismo li si può risolvere proponendo ancora più "partecipazione popolare" stessa???? Casomai la si dovrà limitare!!!! Oggi questo andazzo è rappresentato dal "movimento dei forconi", che dicendosi rivoluzionario nel contempo paradossalmente chiede la solita "sovranità popolare" e tutte le altre populistiche parole d'ordine di chi non pare aver capito niente. E' sempre la solita solfa: inasprire pene e percentuali di imposte sui redditi sparate a casaccio, oltre non si riesce proprio ad andare, anzi, spesso pure auspicano l'eliminazione degli unici tipi di imposta giusti ed equi cioè quella sulla casa e sull'automobile, per finire regolarmente in bellezza con il canone rai, evidentemente da essi considerato l'abominevole causa di tutti i mali del mondo... strano che non abbiano pure qualche improcrastinabile modifica da proporre pure sull'abigeato... Pare essere tornati all'italietta pre-fascista, quando un isterica frenesia aveva portato alla continua creazione di una miriade di partiti aventi nel nome il termine "democratico" o "liberale" o entrambi assieme, molti con lo stesso identico nome e relative scissioni e fusioni tra essi, ed ognuno si sentiva autorizzato ad apportare il suo contributo dando vita ad ogni tipo di variante.

"Democrazia è la parola d'ordine che nei secoli XIX e XX domina quasi universalmente gli spiriti; ma, proprio per questo, essa perde, come ogni parola d'ordine, il senso che le sarebbe proprio" (Hans Kelsen, 1929)

Fanno perfino tenerezza questi ingenui che credono di poter cambiare il sistema vigente con il voto. Lo Stato italiano non si potrà mai cambiare radicalmente per via istituzionale con il voto e resterà fino alla rovina irreversibile l'habitat ideale dei dissipatori di ricchezza, ovvero i parassiti. Se considerate che, se non bastassero i paletti imposti da una costituzione (che tutti sappiamo scritta da chi...), le istituzioni che contano: Presidente della Repubblica, la Corte Costituzionale e il Consiglio Superiore della Magistratura, sono sempre espressione di legislature e maggioranze precedenti la legislatura in corso, è facile intuire che in Italia nulla potrà mai cambiare per via istituzionale con il voto. Se tenete presente poi:

arriverete alla stessa conclusione: nemmeno un unico partito che vincesse le elezioni e avesse la maggioranza dei parlamentari potrebbe riformare nel profondo lo stato italiano. Perché dovrebbero rinunciare alle comodità del "Banchetto Italia", al quale sono ben comodi lor signori ed una masnada infinita di parassiti loro complici??? E allora cosa fare? Se auspico un colpo di stato poi il cattivo sono io! E poi, chi sarebbe a farlo? Sempre le stesse persone che comandano già ora, come è sempre stato.

"La realtà non si cambia combattendola, ma rendendola obsoleta" (Guglielmo Piombini)

Il reddito di cittadinanza è il punto di partenza per ottenere ciò, con le sue conseguenze che esso apporterebbe e delle quali la maggior parte delle persone è all'oscuro. Alle persone razionali appare inconcepibile come da un lato ci si accanisca fanaticamente a sostenere la democrazia nella politica, tutto sommato superflua in quanto vaga e vasta, discutendo accesamente sulle sfumature di colore di questa merda, e dall’altro lato si tolleri o si approvi ampiamente la totale assenza di democrazia e di libertà nell’ambito fondamentale della società che riguarda le sfere personali fondamentali per la vita e il sostentamento quale è il lavoro, cioè l'assenza di quello che Giovanni Gentile chiama "umanesimo del lavoro" eufemismo per corporativismo.-----Emile Durkheim - studia rapporto contrattuale nel lavoro---- Discutere sulle sfumature di colore della merda serve solo a tenere celata l'esistenza della cioccolata. I limiti alla realizzazione del reddito di cittadinanza sono insiti in ambiti culturali molto più profondi e generali. Nei nostri sistemi morali il lavoro è un dovere per cui le sofferenze generate dalla povertà di chi non lavora sono collettivamente accettate e volute come una giusta punizione, si tratta di un retropensiero che pochi esplicitano, ma tanti mantengono. Noi invece rifiutiamo di considerare valide le teorie malthusiane giustificanti l'esistenza dei barboni e quelle calviniste aventi nella fiaba di Pinocchio il loro più disumano caposaldo. Come dice anche Karl Polanyi, l'uomo non è una macchina che si può spegnere a piacimento, e nessuno può scegliere se nascere o no, per cui una volta nato non è corretto addossare al singolo le colpe sulla sua condizione che non ha voluto né cercato quando magari contemporaneamente non solo non lo si "aiuta" (è comprensibile che ognuno pensi prima a sé stesso, niente da obbiettare su ciò), ma addirittura gli si impedisce appositamente di sollevarsi (e questo no che non è comprensibile) come spesso accade. In questo mondo capovolto i buoni sono quelli che godono nel fare l'elemosina o andare ogni tanto a dare coperte ai barboni per poi tornare nel loro mondo dorato, mentre quelli che vogliono eliminare il concetto stesso di barbone sono i cattivi, ed è comprensibile che i primi si accaniscano con veemenza verso i secondi che gli toglierebbero quell'egocentrico piacere (in psichiatria esiste un termine in lingua tedesca per definire il fatto che il cosiddetto "volontariato" sia determinato proprio dal contrario dell'altruismo e quindi dal narcisismo; purtroppo non ricordo ora il termine). Che dire di un mondo dove sono i peggiori misantropi (ed è proprio il loro ritenersi migliori a dirlo) a permettersi di criticare i veri filantropi (nel senso letterale del termine, poiché oggi ad essere esclusi sono proprio a causa di ciò i veri filantropi di natura) come un "suonarsela e cantarsela"? Il riferimento ai sedicenti "santi" tipo Gino Strada è chiaro.

“Siedo sulla schiena di un uomo, soffocandolo, costringendolo a portarmi. E intanto cerco di convincere me e gli altri che sono pieno di compassione per lui e manifesto il desidero di migliorare la sua sorte con ogni mezzo possibile. Tranne che scendere dalla sua schiena” (Lev Tolstoj)

Un mondo nel quale un professore che non si reca al lavoro da mesi, vi si reca giusto per il giorno necessario a non perdere il ruolo e poi risparisce, viene ritenuto normale che non si possa neanche considerare di toccarlo, a fronte del fatto che venga trovato normale che una professoressa venga licenziata senza alcun problema per frasi espresse su internet, è un mondo che fa semplicemente da vomitare. Invertendo le colpe regolarmente cioè additandole ad una presunta carenza di "partecipazione" quando invece la colpa è proprio il contrario cioè il dover accondiscendere alla volontà popolare che per definizione stessa (dato che rispecchia una media) non può essere altro che mediocre. La conseguenza che ne ricaviamo è che, prima di, e per poter, eliminare l’inefficiente ed iniquo sistema economico e lavorativo si deve demolire e ricostruire le basi della società, ovvero ristabilirla sotto un egida meritocratica apportatrice di efficienza. In quest'ottica si inserisce il ruolo positivo del movimento 5 stelle: la "pars destruens". Per questo la base di partenza per la successiva ricostruzione ("pars costruens", che nel movimento 5 stelle manca) di un tale nuovo sistema deve essere l’organicismo con il suo “principio di sussidiarietà”, principio antropologico che esprime una concezione globale dell’uomo e della società, in virtù del quale fulcro dell’ordinamento giuridico è la persona umana, intesa sia come individuo sia come legame relazionale; altresì viene intesa in senso politico come solidarietà tra le comunità e interazione tra i poteri. Esso è quindi contrapposto all'individualismo ed alla "sovranità delle sfere" delle religioni protestanti che servono solo a cercare di giustificare moralmente i residui di bestialità dell'animo umano a cui abbiamo accennato. I distributisti proprio all'ideale originale ateniese vogliono avvicinarsi, elitario per il buon governo delle scelte sensate cioè non per votare "il livello del riscaldamento del condominio" ma per impostarlo su quello giusto razionalmente. Per questo propugnano un sistema si democratico, ma basato sull’organicismo. In un tale sistema, anche se ai narcisisti patologici che distribuiscono coperte non piacerà, nessuno dovrà più dover fare il barbone, a meno che non sia una sua scelta. Ma questo non perché sia un governo a stabilirlo e regolamentarlo. E’ un indecenza che finora sia esistita la necessità di un assistenza sociale e della delega ai poteri pubblici a realizzarla. Oppure il suo nulla osta agli ammortizzatori sociali che non apportano alcun sovrappiù ma casomai sprechi inauditi. I senzatetto non vanno aiutati, vanno ELIMINATI! E come si elimina un senzatetto? Ma lo dice la parola stessa!!!: dandogli un tetto!!! Vanno eliminati mettendoli nelle condizioni (dove il loro stato psichico lo permetta) di poter avere un tetto!

"Voi volete soccorrere i poveri, io, invece, voglio sopprimere la miseria" (Victor Hugo)

Ma non nel senso di costruire altri di quei lager oggi noti come case dell'accoglienza dove metterli, nelle quali a causa delle regole restrittive molti giustamente non vogliono andare preferendo (o meglio, essendo di conseguenza costretti a) dormire per strada! Casomai si deve intervenire sul sistema edilizio-residenziale per rendere accessibile a tutti un tetto (ma questo lo vedremo nel capitolo sulla residenzialità). Perciò il "nessuno DEVE più dover fare il barbone" non va inteso nel senso che sarebbe inteso da quella gente che vive in una realtà tutta loro (politici et similia ben pasciuti, il cui orizzonte non va più in là del proprio naso) cioè bonariamente "dare soldi" tout court, ma realizzare un sistema nel quale due braccia inoccupate venissero AUTOMATICAMENTE utilizzate dal sistema anche fosse come maggiordomo! Con il reddito di cittadinanza si può ottenere ciò facilmente e senza attuare legislazioni assistenziali (anzi abolendo quelle esistenti).

“Tutto ciò che ha valore nella società umana, dipende dalle opportunità di progredire che vengono accordate ad ogni individuo” (Albert Einstein)

L'onere della prova ricade sempre sui proponenti del reddito di base, ma a ben guardare sono le argomentazioni di chi vi si oppone ed essere economicamente ingiustificate e a suscitare umano disgusto. Ad esempio uno dei classici argomenti contrari sostiene che in presenza di un reddito di cittadinanza le persone non sarebbero più obbligate a svolgere lavori umilianti e scarsamente retribuiti che qualcuno dovrà pur fare, mettendo in effetti involontariamente in luce come l'attuale sia un sistema basato sulla sopraffazione, che coopta la persone economicamente svantaggiate nei lavori più faticosi, pericolosi o alienanti servendosi del ricatto salariale, cioè della minaccia della povertà assoluta. Un sistema che la scarsa competenza tecnologica della nostra civiltà tendeva a giustificare in passato, così come aveva giustificato la schiavitù e la servitù della gleba, ma che ora non è più ammissibile. Ma come abbiamo appena visto, non per tutti, esiste ancora qualcuno che auspica il persistere della schiavitù sotto qualunque forma essa si presenti. Ovviamente è vano esporgli argomenti per fargli capire che ciò che paventa non potrebbe verificarsi, cioè che la sua fogna verrà sempre pulita in un modo o nell'altro, ma il reddito di base ridurrebbe tali professioni ad una scelta, rendendole molto più remunerative proprio in quanto umilianti o alienanti, ed il lievitare dei costi porterebbe gli imprenditori ad investire nell'automazione necessaria per eliminare del tutto questi mestieri, che poi è lo sviluppo più positivo che possiamo augurarci: la sua fogna verrebbe comunque pulita. Naturalmente a fronte di tutto questo troveremo sempre un moralista pronto a dirci che senza il duro lavoro (obbligatorio) la vita non ha senso, ma si tratta in genere di persone prive di fantasia e vera vocazione etica, che riducono il concetto di lavoro ad attività faticosa e ripetitiva, nel solco di quella tradizione di glorificazione della sofferenza che tanta fortuna ha avuto nella cultura occidentale dal medioevo ad oggi. Residuati di un'epoca trascorsa, divenuti ormai dannosi e controproducenti in una economia tecnologica che ha bisogno di scollegare il reddito dal lavoro tradizionalmente inteso per la sostenibilità del ciclo produzione-consumi e di liberare le energie che scaturiscono dagli impulsi positivi delle persone (creatività, empatia, collaborazione). Non solo un meccanismo di reddito di base non è di ostacolo, ma favorisce l'automiglioramento. Le condizioni di povertà estrema producono tipicamente meccanismi cosiddetti di trappola della povertà perché l'individuo, non avendo le risorse essenziali per il mantenimento ordinato delle sue condizioni fisiologiche va incontro ad un processo di degrado fisico, psicologico e sociale, che peggiora irrimediabilmente le sue possibilità future. Per il godimento dei distributori di coperte. Se il mio lavoro può essere utile alla comunità allora non devo lavorare per ottenere un reddito, ma devo percepire un reddito per poter essere in grado di lavorare. Bisogna staccare il concetto di lavoro dal concetto di retribuzione. La retribuzione di base incondizionata sostituisce la disponibilità suddivisa delle risorse naturali che sarebbero a disposizione universale come dividendo naturale e delle quali l'utilizzo libero è impedito sia dalla proprietà privata sia dalle leggi. Se la società vuole impedirmi di raccogliere, cacciare, pescare, scavare, ecc (giustamente, altrimenti sai che devastazione del territorio?) o anche solo di rubare alle altre persone, deve però mettermi nelle condizioni di potervi rinunciare a farlo! Non può prima proibirmi di fare una cosa e contemporaneamente costringermi a farlo!!!

"Quando nel mondo la canaglia impera, la casa degli onesti è la galera" (Amos Spiazzi)

Molte costituzioni citano il diritto al lavoro, spesso in termini demagogici: il "capolavoro" di ambiguità che è quella italiana definisce la Repubblica italiana come "fondata sul lavoro" che non si capisce nemmeno cosa significhi, è una frase di per sé priva di alcun senso tanto che non si capisce cosa contestino quelli che sostengono che tale articolo sia violato, dato che l'articolo in questione non dice proprio un bel nulla, o tutto e il contrario di tutto. Perfino Piero Calamandrei lo notò: "Cosa dirò ai miei studenti" - disse - "quando dovrò spiegare loro questo articolo? Che significa L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro?". Casomai un articolo importante è l’articolo 3 che afferma chiaramente: "E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Rimuovere, quando è il sistema che su tale costituzione si regge a metterli! Ma il cosiddetto diritto fino ad oggi è sempre stato travisato rendendolo di fatto un dovere se non si vuole morire di fame e stenti. Un pò come il concetto di voto: perfino superfluo puntualizzare l'ignoranza di quelli che sminuendolo lo considerano spregiativamente "un dovere"! L'unico modo per far diventare il lavoro un diritto e non un obbligo è quello di riconoscere ad ogni individuo un minimo di reddito senza alcuna condizione, che permetta una vita dignitosa indipendentemente da qualunque altro parametro. Fornire ai propri cittadini questo diritto non è compito della società come alcuni dicono, ma è l'opposto: la società deve smetterla di toglierglielo! Perché così oggi è! Il reddito di cittadinanza non è un qualcosa che la società "regala" ai singoli, ma che smette di negare! Nessuno riesce a rendersi conto dell'ipocrisia insita in una società che punisce chi ruba dopo aver costretto a farlo? Come già visto, Tommaso Moro in "Utopia" aveva identificato in un erogazione reddituale fissa la soluzione alla criminalità, tema ripreso successivamente da Thomas Hobbes, John Locke, Jean-Jacques Rousseau, Nicolas de Condorcet, Juan Luis Vives, e più recentemente John Rawls e Peter Vallentyne, con il "contrattualismo". E' una questione di caratura morale dello Stato come "contratto sociale" (una delle poche cose buone del Diritto anglosassone): quando mi avrai messo nella condizione di non essere costretto a violare le regole che imponi allora potrai permetterti di punirmi se le violo! Non in assenza di ciò! E' lo stesso ragionamento che faceva Pino Rauti riguardo la pena di morte verso la quale il suo partito era favorevole, ma lui faceva notare che uno Stato con una caratura morale bassa come quello italiano del tempo non poteva permettersi di emettere giudizi così estremi che sarebbero stati interpretabili solo come ipocrisia. Se vuoi punirmi per aver rubato, o raccolto cozze di frodo, spacciato droga, prostituito, devi però mettermi nella condizione di non dover essere costretto a farlo! Solo con l'introduzione del reddito di cittadinanza si potrà dare una vera legittimità giuridica alle condanne per reati a scopo di lucro! Legittimità che fino ad oggi non è possibile identificare rendendo ogni condanna finora emessa di fatto illegittima (se non legalmente, moralmente).

“Spesso una cosa stupida si regge perché viene approvata dalla Legge” (Trilussa)

Cos'è bene in senso etico? Lo decide la procedura "democratica". Le leggi della maggioranza stabiliscono il bene. Una volta stabilite le leggi esse obbligano tutti. Il problema consiste nel fatto che la democrazia è discussione in relazione ad un principio etico di bene a priori. Se il momento metafisico decade porta con sé la necessaria conseguenza di cui Platone parla, citando la tesi di Trasimaco, nella "Repubblica": "giusto è ciò che il più forte stabilisce".
Il reddito di cittadinanza non è un fine ma è un mezzo. Lo scopo del reddito di cittadinanza non è "dare soldi"! E' un concetto veramente così complicato da comprendere???

"Il sostentamento è una necessità assoluta per l’uomo. Non è ammissibile che per l’appagamento dei propri bisogni l’uomo debba dipendere da un compenso sotto forma di salario o di carità da qualsiasi parte essi vengano" (Dal “Libro verde” di Muhammar Gheddafi)

Rifacendoci al contrattualismo ed al ragionamento di Paine, loro si permettono di dire che non vogliono che I LORO soldi gli venissero tolti per darli ad altri??? No cari, sono questi "altri" (tra i quali, mica ce l'hanno chiaro in testa e non ci arrivano a capirlo, CI SONO ANCHE LORO STESSI!) che già OGGI accusano voi di RUBARE a loro ciò che E' LORO e che non hanno proprio e solo perché è chi "non vuole che i suoi soldi siano dati ad altri" già OGGI a rubarglielo! Si tratterebbe solo di una giusta restituzione, non di una redistribuzione! Non diversamente dalla prassi secondo cui gli schiavisti non dovevano pagare letteralmente gli schiavi. Ora, voi che sbraitate quando vi vengono toccati valori che credete siano vostri quando in realtà li state rubando ai legittimi proprietari (perché così è checché ne pensiate), provate a porvi la domanda: cosa penserà di voi tra 100 anni l'umanità? Cosa pensate oggi voi di chi 200 anni fa era contrario all'abolizione della schiavitù? Nel caso ne pensiate male, dovreste farvi prima voi un esame di coscienza su una tale ipocrisia, perché tra 100 anni l'umanità per forza di cose penserà di voi ciò che oggi voi pensate di quelli che 200 anni fa erano contrari all'abolizione della schiavitù. E questo l'ha già fatto notare Lev Tolstoj parecchio tempo fa. L'ipocrisia è la stessa tipica degli immigrazionisti e degli anti-abortisti: fanno il diavolo a quattro per far venire al mondo o nel nostro paese, per poi fregarsene lasciandoti allo sbando a doverti arrangiare da te. Eh no cari "n.i.m.b.y.", se volete ritenervi a posto con la coscienza la responsabilità dovete prendervela tutta, non prima dare avvio ad una situazione finché te ne tange e poi lasciare la patata bollente ad altri nel momento in cui l'interessartene prevederebbe andare ad intaccare il tuo personale! Gli immigrati non sono un problema in sè. Il problema è che la gentaglia buonista incita a farli entrare, ma poi se ne frega e li lascia allo sbando a doversi arrangiare da sè!!! E secondo loro come dovrebbero fare se così come anche agli italiani, anche a loro viene impedito di farlo???? E' ovvio che l'arrangiarsi consisterà in attività illegali!!!! Se condurle legalmente gli viene impedito, per definizione la conduzione fuori dalla legalità sarà illegale!!! E i buoni sarebbero quelli tipo la Boldrini, che, "vengano, vengano!", e quando sono entrati "che si arrangino". I cattivi invece sono quelli che vorrebbero che non venissero lasciati allo sbando senza alcun sostegno ma venissero in qualche modo sostenuti; ed è normale che in un mondo capovolto questi ultimi vengano accusati di voler creare campi di concentramento... certo, campi dove gli immigrati avrebbero un tetto e cibo senza doversi arrangiare da sè; nel mondo capovolto in cui viviamo i buoni sono quelli che li vogliono senza un tetto e senza cibo sicuro, a doversi arrangiare allo sbando. Ed ovviamente la parola "campo di concentramento", che dall'accezione che le è propria, cioè appunto "campo di concentramento", viene da essi interpretata in qualunque altro significato fuorché quello vero della parola, viene usata a pretesto. Tipico. Non è una questione di "solidarietà", ma di coerenza. Nessuno ti obbliga ad adottare un cane, ma non puoi adottarlo e poi non dargli da mangiare e magari pure chiuderlo in casa impedendogli di procurarselo da sé, lamentandoti poi se scappa o se ti sbrana, o dispiacerti se muore. Il cattivo è chi provoca una cosa poi fregandosene delle conseguenze, non chi quella cosa voleva impedirla! Malgrado non riescano a capirlo, i responsabili morali dei morti nei naufragi sono quelli che se ne dispiacciono, non Salvini, non Fiorenza Pontini! Questo in un mondo normale, ma nel mondo capovolto in cui stiamo vivendo è normale che il cattivo sia Salvini, non la Boldrini; la Bonino, non Formigoni; Cappato, non Bertone; Pannella, non Fini; Sindona, non Cuccia; Poletti, non la Camusso; Berlusconi, non De Benedetti; Feltri, non Scalfari. Come nei film sugli zombi, i cattivi sono quelli che li eliminano, i buoni quelli che li chiudono in stanze.

"La carità è spesso vista come il modo del ricco di aiutare i meno fortunati. Ma le radici della moderna carità hanno un sinistro retroterra, nel mantenimento apposito della disuguaglianza" (Bill Gates)

"In qualche misura la carità è un racket usuraio, un modo di fare i nostri obblighi facoltativamente a vicenda, e al tempo stesso teso al mantenimento dei poveri in una sensazione di indebitamento verso il ricco, anche se i ricchi vivono ogni giorno nello sfruttare quelle stesse persone" (Jay-Z)

Ma a quanto pare pochi ragionano con lungimiranza, dato che prerogativa inderogabilmente necessaria per accedere al potere in questa società pare sia l'essere il più stupido ed ignorante possibile come ovvia conseguenza stessa del metodo di accesso al potere, ovviamente sostenuto proprio dai più stupidi ed ignoranti essendo loro i favoriti in esso (e "l'appetito vien mangiando"). Con tutte le relative conseguenze del dover accondiscendere un opinione pubblica stupida per definizione stessa in quanto espressione della mediocrità, pregna di istante qualunquiste, demagogiche, pretenziose, forcaiole, e bigotte. Un’economia come è pure quella italiana, un mix keynesiano di consociativismo e statalismo assistenziale e clientelare, dove corruzione, lavoro sommerso ed evasione fiscale sono ciecamente considerati motori dell’economia, e dove gli interessi personali inducono inefficienze inconcepibili, illeciti e sprechi, sanati solo da un livello impositivo spropositato, ha dentro di sé i geni del declino sociale che si sta vivendo. Ricchezza presunta o fittizia, sostenuta in buona parte attraverso l’accumulo continuo di debiti nominali, posticipando l’inevitabile resa dei conti, finché tale “bolla” regge. Vedremmo, se tutti si precipitassero a spendere simultaneamente i propri crediti (preciso: spendere, ovvero esigere un corrispettivo di beni in cambio, non solo "ritirare" che sarebbe neutrale), a quale valore reale precipiterebbero i contanti: a carta straccia. Ovvio che non accadrà mai, ma una società fondata sulle bugie dove andrà a parare alla fine? Un sistema politico che si basa sulla menzogna e sugli artifici dimostra un declino che in persone razionali dovrebbe essere come una pulce nell’orecchio, spingendole a prenderne le distanze e a cercare ogni verità, sugli eventi contemporanei che la perpetuano ma anche sui fatti storici che a ciò hanno portato. L’Italia potrebbe essere una nazione benestante, ma attualmente risulta essere costantemente carente dei fondi necessari per i servizi al cittadino e bisognosa per essi di aumentare progressivamente la tassazione. Finora ogni governo ne ha trattato, ma ci si è limitati a realizzare prevalentemente “tagli lineari” di impronta demagogica che hanno provocato solo la diminuzione dei servizi oggi necessari senza ottenere minimamente gli effetti desiderati. Ci sono sempre fior di esperti con una bella lavagna di carta con tutti i calcoli. Ed il pennarello immancabile. "e se non fa la fattura, l'IVA....e se non fa la fattura, l'IRPEF....e se non fa la fattura, l'IRAP... e le aliquote... e la fiscalizzazione degli oneri sociali... e il servizio del debito..." Un tabellone di orrori che, immagino, in tutte le case dei dipendenti pubblici, dei sindacalisti, dei loro parenti ed anche in quelle di molti dipendenti privati, di tutti gli adoratori della merda nella quale siamo immersi insomma, avranno mollato gli ormeggi dei testoni i quali, immediatamente, liberi dalle costrizioni di un ragionamento, avranno cominciato ad annuire su e giù come se ne capissero veramente qualcosa. Di fronte a decine di negozi chiusi, il record dei fallimenti (secondo l'ultimo report dei tribunali fallimentari), 40% di giovani disoccupati molti dei quali una volta imparavano, appunto, a far l'idraulico come apprendista (al nero ovviamente), ebbene, di fronte a tutto questo ci sono ancora idioti del Pd o di Sel o dei 5 stelle o berlusconiani di tutti i colori che sostengono che i numeri sono "interpretabili" e che la colpa è dell'evasione fiscale. "Se tutti pagassero le tasse" ecc è solo un emerita cazzata, le spese in un modo o nell'altro devono essere ripianate, se qualcuno evade si prenderanno i soldi da un altra parte, se li si "recupera" ciò si scaricherà in un altra parte andando a ri-pareggiare i conti poiché il valore dell'evaso non sono beni distrutti per cui "recuperare" quelle cifre non farebbe altro che scaricarsi su altri parametri non andando a modificare proprio un bel nulla (serve citare la curva di Laffer?)!

“Una nazione che si tassa nella speranza di diventare prospera è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico” (Winston Churchill)

Recentemente, BOOOOOOOOOM, 300 miliardi, addirittura. Sono talmente ottusi, ottenebrati o, semplicemente, stupidi, da non rendersi nemmeno conto delle scemenze che gli escono dalla bocca o alle quali credono. Dove sono questi 300 miliardi? Va bene che i numeri sono "interpretabili" ma se davvero ci fosse un evaso di 300 miliardi basta una calcolatrice per capire che il PIL reale del paese sarebbe ben oltre quello tedesco. Invece siamo alla fame con gente disperata e manco i soldi per la benzina dello spazzaneve. Quando saremo falliti, e manca pochissimo, saranno proprio loro, che si metteranno a girare armati cercando di rubare ed urlando "i miei dirittttttttttiiiiiii! I miei diritttiiiiiiii!". Quando dovrebbero essere oggi stesso a farlo tutti gli altri fuorché loro casomai! Ma dopotutto la storia ce lo insegna: le rivoluzioni non le fa "il popolo", non è mai successo e non succederà mai. Le rivoluzioni le fanno e le hanno sempre e solo fatte "loro", quelli che al potere già ci stanno, proprio per impedire preventivamente al popolo di farle. Intanto presidenti e burocrati si distribuiscono stipendi da 400, 500, 600.000€ mentre i loro parigrado americani prendono meno di un terzo; certo quelli americani non rischiano anni di galera per aver autorizzato un passo carrabile come qui da noi. I LORO DIRITTTTIIIIIIIIIIIII. Ed e' quindi chiaro: ci vuole più stato. Ci vuole una legge. La loro soluzione è sempre questa, per poter continuare a sguazzare nella merda basta cambiarne le sfumature di colore.

“L’intelligenza del mero computo dell’utile e del successo è l’intelligenza della mediocrità che resta mediocre anche quando agisce su scala politico-economica mondiale” (Martin Heidegger, Introduzione alla filosofia. Pensare e poetare)

Le solite soluzioni proposte dai qualunquisti vanno solo a peggiorare le cose, come ad esempio l'aumento di volontà popolare e l'inasprimento delle pene e delle responsabilità degli amministratori pubblici. Benché possa sembrare una cosa buona il desiderio di aumentare la responsabilità degli amministratori bisogna valutare anche i risvolti che ciò provocherebbe: già oggi lo sviluppo civico è frenato e ne fa fonte di corruzione, vogliamo proprio che si debba arrivare a fargli togliere anche le giostre dei bambini dai parchi per il timore di dover pagare personalmente a vita per ogni bambino che si fa male? A Spinea, un paese vicino Venezia, per almeno 20 anni una linea ferroviaria disarmata ha diviso in due la città, senza che nessuno si premurasse di aprire un semplice varco pedonale; ciò fu fatto solo dopo 20 anni; un anno dopo la linea ferroviaria fu riaperta ed ovviamente il varco richiuso. Il fatto che poi sia stato scavato un intero sottopassaggio diventa solo un beffardo infierire sul fatto che per 20 anni non si sia mandato un tecnico comunale con una pinza a tagliare un pezzo di rete per paura di chi sa quale denuncia da parte di chi! Bisogna capovolgere il concetto: da silenzio-diniego a silenzio-assenso, ovvero sarà punibile non chi apre un passaggio pedonale attraverso una linea ferroviaria dismessa, ma chi NON lo fa. L'amministratore pubblico che intralcia, ritarda o impedisce con atti od omissioni il libero esercizio dell’attività economica o di pubblica utilità dovrebbe essere tenuto all’integrale risarcimento del danno cagionato. L’impedimento all’esercizio dell’attività economica è giustificabile solo dal danno sociale, derivante dalla violazione delle regole o dalla creazione di esternalità inaccettabili rispetto al valore nominale dell'attività espresso dal suo costo di opportunità (si pensi al trasporto di acqua su gomma). Dunque l’impedimento deve costituire non già un presupposto sanzionatorio necessario per il suo regolare esercizio ma una barriera per l’esercizio irregolare del diritto o qualora anche regolare esso sia palesemente nocivo come esternalità prodotte; l'impedimento non deve consistere nel divieto espresso ma nella regolazione incidendo in maniera mirata sul costo di opportunità e sui rendimenti come incentivo/disincentivo. Invece oggi in Italia tutte le procedure di autorizzazione preventiva, impedendo l’esercizio del diritto con la regola del "silenzio-diniego", fungono da sanzioni improprie, perché gravano sull’imprenditore a prescindere dall’irregolarità. Grava sull’imprenditore una presunzione di irregolarità, per cui egli deve dimostrare al cospetto di una amministrazione maldisposta, indolente e diffidente la sua regolarità “cartacea” ancor prima di cominciare. Questo processo dimostrativo non ha alcun limite temporale e ovviamente il tempo perduto danneggia l’imprenditore e deprime lo sviluppo economico-sociale. Peraltro questa verifica cartacea assorbe le energie lavorative della burocrazia, a tutto scapito dei controlli successivi che andrebbero fatti sulla regolarità dell’esercizio effettivo e non sulla mera regolarità cartacea, la burocrazia del "non ha presentato i documenti richiesti", che, porcogiuda, devo farmi dare da loro qualcosa per portarla... a loro stessi?????? Ma non potrebbero prendersela direttamente???? Che senso ha questa intermediazione???? Tutto fatto apposta per favorire i patronati sindacali. Quando il privato incontra mille ostacoli per il godimento del suo diritto, ha l’interesse a pagare la “tangente” per eliminarli. Dunque il prezzo della corruzione è il corrispettivo della rimozione dell’impedimento. Le altre occasioni della corruzione, si verificano nei concorsi e nelle gare pubbliche. In questi casi, il prezzo della corruzione viene pagato come corrispettivo della scelta della pubblica amministrazione, che preferisce Tizio al posto di Caio. Inoltre, come si può intuire, mettendole tutte sullo stesso piano il sistema attuale a fronte del mettere i bastoni tra le ruote ad attività lecite e morali implicitamente permette al tempo stesso quelle nocive ed illogiche (il citato trasporto di acqua, o la distribuzione di volantini pubblicitari, ad esempio). L'unica soluzione è azzerare tutte le occasioni di corruzione basate sull’interesse convergente del pubblico ufficiale e del privato a rimuovere l’ostacolo al godimento del diritto. Senza alcun mutamento della restante normativa vigente che regola l’esercizio dell’attività economica, bisognerebbe abolire gli attuali procedimenti amministrativi discrezionali di autorizzazione preventiva (nulla osta, licenze, concessioni, ecc) e delle assegnazioni (appalti) e sostituirli da REGOLE FISSE a iter automatico ed UGUALI PER TUTTI in tutto il territorio nazionale. In questo modo sarebbe anche possibile fare un distinguo tra diversi tipi di attività e quindi poter incidere in maniera mirata su ciascuna diversamente. Ma questo lo vedremo nel capitolo sulle licenze.
Tratto da pag. 47 del libro "Il mondo felice non è utopia": "esiste un parametro molto utile a comprendere il grado di democrazia, dato dal numero di leggi vigenti in un dato Paese. Un codice civile molto strutturato e complicato è sintomo di una civiltà malata e infelice, in cui chi vuole ingannare e truffare utilizza sovente stratagemmi legali e legalmente impunibili; tutto ciò crea nel legislatore il bisogno di creare leggi sempre più complicate, che cerchino di impedire la legalità illegale. Dunque i nostri codici, civile e penale, sono sicuramente tra i più complessi del mondo, segnale non di una grande visione di democrazia ma solo di un'alta percentuale di incoscienti. In una società felice non è la perfezione della legge scritta a creare un governante impossibilitato a delinquere, perchè qualsiasi legge ci sia, esisterà anche un cavillo che permetterà al nostro malfattore di aggirare l'ostacolo. Quello che conta è la consapevolezza della persona: in base a questa, qualsiasi legge egli abbia di fronte, più o meno perfetta, sarà comunque capace di farla funzionare." Questo non deve essere frainteso con un auspicio che si debba dare maggior discrezionalità ai giudici, anzi l'esatto contrario! Ridurre le leggi significa proprio fare in modo che esse siano PRECISE e perciò non più "interpretabili"! L'abnorme pletora di leggi è causata proprio dal fatto che essendo vaghe necessitano di ulteriori appesantimenti i quali a loro volta vanno a creare la necessità di ulteriori specificazioni! Anzi bisogna deresponsabilizzare e depenalizzare per slegare le attività degli amministratori dalla sottomissione all'opinione pubblica in modo anche che la si possa smettere di doversi barcamenare tra le istanze irrazionali nell'emettere le leggi, fattore che da sempre costringe i politici a creare leggi ambigue e fumose suscettibili (appositamente o meno) di cavilli legali per travalicarle il cui prototipo è la nota "legge Merlin" che proponendosi di chiudere i casini invece i "casini" li ha creati dato che la solita scusa accampata pomposamente (come per vantarsi di essere un brillante erudito del Diritto) ancor'oggi (ed il fatto stesso che dopo 60 anni ancora non siano state chiuse le falle che si sono evidenziate dopo è una vera indecenza) da tutta una gamma trasversale di tipologie di persone (tra cui perfino dei più bigotti!) è che "la prostituzione non è reato" (viene da chiedersi se secondo loro chi ha redatto quella legge fosse sotto LSD quindi) col risultato che se alle persone che si lamentano della prostituzione vai a dire la banale ovvietà che basterebbe appunto punire la prostituzione ti guardano come se avessi auspicato uno sterminio di massa (regolarmente secondo la logica che se una cosa non è reato significa che non debba esserlo... ma ditemi se è normale ragionare in questo modo?) a fronte oltretutto del fatto che loro invece sono immancabilmente non solo favorevoli ma proprio entusiasti della "geniale" trovata delle multe ai clienti, quelle si veramente ingiuste. Ora ditemi se è normale una società che di un reato non punisce il colpevole ma punisce la vittima... io mi chiedo se ci fossero dei marziani che ci guardano dall'alto, cosa penseranno mai di noi... vi lamentate della prostituzione e poi mi sbranate se oso dire che la soluzione sarebbe renderla legalmente reato come logica e morale vuole, ma dove sta la coerenza??? Allora smettete di "moralisticamente" lamentarvi perlomeno!

“Spesso una cosa stupida si regge perché viene approvata dalla legge” (Trilussa)

E' paradossale che proprio io debba arrivare a farmi passare appositamente per bigotto per polemizzare sull'incoerenza proprio dei bigotti stessi, dato che la mia proposta di punire è una polemica collegata al paragone con un altra tipologia di tipica lamentela qualunquista, ovvero una puntualizzazione sulla coerenza di una società che da una parte punisce la vittima (il cliente delle prostitute) ma dall'altra guai anche a proporre di punire (anche fosse sotto forma di ricovero coatto e non come punizione in sé) un altra vittima (cioè il tossicodipendente), mentre di contro nel primo caso guai ad azzardarsi a proporre la punizione del criminale (la prostituta) quando nel secondo (spacciatori di droga) si arriva fino a proporne la pena di morte. I ruoli sono così invertiti: a rigor di logica dovrebbero essere loro a volerla proibire e io a difenderla dato che sono loro quelli che se ne lamentano! Tale incoerenza si spiega solo con il voler la botte piena e la moglie ubriaca. Io sono il primo a non voler arrivare a punire la prostituzione, ma per lo stesso motivo per cui penso non dovrebbe essere punito lo spaccio di droga! Altrimenti che coerenza è???? Capirete quindi il senso polemico del discorso appena fatto. La lotta alla prostituzione e vendita di droga funzionerebbero meglio se anziché essere punite fossero disincentivate punendo non l'attività in sé ma la loro conduzione abusiva. Vanno perciò sottoposte ad un livello impositivo tale proprio da disincentivarle e poterle di conseguenza punire per evasione fiscale (anche questo è un cavillo, ammetto quindi di essere io a non essere coerente in questo caso dopo aver criticato i cavilli legali, ma in questo caso gli effetti sarebbero buoni). In un modo o nell'altro, bisogna uscire dal limbo nel quale il problema è stato messo dalla catto-comunista legge Merlin, sono 60 anni che va avanti così nel peggiore dei modi in cui si poteva metterlo questo problema (da cui emerge il sospetto che lo scopo di chi l'ha promulgata fosse proprio questo. Cui prodest?). L'unico modo per eliminare la prostituzione è abolirla ovvero renderla illegale ovvero punire chi compie il reato. Di solito chi si lamenta della prostituzione di fronte a questa assioma logico mi aggredisce furentemente. Come possono dirsi abolizionisti e poi accusare i proibizionisti di ipocrisia nel momento in cui vogliono abolire la prostituzione ma guai a suggerirgli che per poterlo fare basta solamente renderla reato (poichè è un reato che non è possibile compiere di nascosto essendo fondato sulla pubblicizzazione dell'attività, quindi renderla reato ne determinerebbe inevitabilmente la scomparsa allorquando non ci si possa più "pubblicizzare" liberamente). Tutt'al più si potrebbe relegarla legalmente in luoghi specifici, lontano dalle abitazioni, dalla vista dei moralisti, e dall'invidia delle femministe (perchè, non nascondiamoci dietro un dito, la loro contrarietà alla prostituzione è dovuta chiaramente ad invidia delle prostitute, non si comprende il loro fervore altrimenti); in pratica la creazione di città del "divertimento". Oltretutto sarebbe divertente estendere il principio di queste fanatiche mentecatte alla droga: io vado fuori a una discoteca e mi metto a spacciare cocaina: quelli che si drogano vanno in galera, mentre a me non fanno niente e mi lasciano libero di continuare a spacciare. Che poi avrebbe anche perfino più senso rispetto alla stessa cosa oggi applicata alla prostituzione, dal punto di vista della deterrenza ovvero dei risultati auspicati da quelli che se ne lamentano. Se un tossicodipendente riconosciuto e trovato in possesso di una dose o palesemente fatto lo metti 2 mesi in una comunità (non quelle di oggi con i muri alti un metro), almeno per quei due mesi non si droga. La seconda volta per 3 mesi, la terza per 4 mesi, e via così. Sarà meglio di come è oggi o no? Il problema droga deve essere normato e legalizzato per strapparlo alla criminalità; il proibizionismo è fallito e produce solo libertà di drogarsi e capitali immensi alle mafie. Non significa però libertà di drogarsi, ma che essa deve essere regolamentata e i consumatori trattati come malati. Gli spinelli tutt'al più potrebbero essere venduti in tabaccheria in forme con concentrazioni massime tarate di principio attivo; idem per bevande a base di eroina o cocaina. Bisogna evitare che si alimenti il mercato clandestino, che è in mano alle mafie e produce altri drogati permettendo che la droga passi di generazione in generazione. Per gli irrecuperabili, l'unico modo per rompere questa catena generazionale è fornirgli sanitariamente ciò che loro bramano, all'interno di un percorso di aiuto, consultazione, lavoro e coinvolgimento famigliare; ciò per evitare che vadano a cercarsela in strada, finchè non trovano loro stessi la forza di uscire dalla dipendenza, lo Stato lo deve assistere con un cordone sanitario mettendogli a disposizione l'eroina o la cocaina in forme e modalità controllate; ciò per distruggere il mercato che c'è intorno a loro, poichè quello che distrugge la vita al drogato, è prima di tutto la continua ricerca di denaro (i drogati milionari notoriamente conducono vite apparentemente normalissime, è ben noto); tolto questo parossismo, lo trasformi da pericolo sociale a malato cronico, dandogli la possibilità di condurre una vita normale. Dobbiamo isolare il mondo tossicomane evitando che fornisca denari alle mafie, perchè, così come per la legge Merlin il sostegno alla sua promulgazione ed al suo mantenimento è arrivato e arriva dai lenoni, per la droga le leggi repressive anch'esse "limbiche" arrivano dagli spacciatori. Almeno questo verso in questo ambito avrebbe senso perchè per quanto riguarda il tossicodipendente sarebbe proficuo metterlo 2 mesi in una comunità per disintossicarlo, e non solo per l'eroina, ma anche per qualunque altra droga (non dico al primo fermo, ma tipo al secondo per la cocaina e al terzo per la mariuana illegale), perchè anche se non ci fosse il bisogno di una disintossicazione fisica, ci sarebbe quello di toglierlo dal "giro", e questo rappresenterebbe si un deterrente, se non altro perchè per quei 2 mesi gli spacciatori rimarrebbero senza gli introiti di un cliente, tutte cose che per il cliente di prostitute non valgono e non hanno alcun senso (non credo esista qualcuno che va con una prostituta ogni giorno, ci si va saltuariamente, cioè quando si hanno i soldi per poterlo fare, per cui l'eventuale mancanza di introito sarebbe irrilevante; solo un milionario potrebbe tutti i giorni); la tossicodipendenza è una cosa che va guarita sia dal punto di vista fisico che psicologico, mentre voler fare sesso è una cosa normalissima, ci mancherebbe, l'unica cosa a non essere normale (ed è il motivo per cui io mi oppongo alla prostituzione) è il fatto di dover pagare, che è squallida perchè è come se ti dicessero che è una cosa che gli fa schifo fare con te cioè che tu gli fai schifo (per cui non capisco che senso abbia fare sesso con una che ti mostra di non volerlo fare a causa dello schifo che ne prova, e pure pagare la carnefice per farsi insinuare di fare schifo). In definitiva punire il tossicodipendente seppur vittima egli stesso risulterebbe proficuo al suo stesso bene, difatti non parlerei di punizione ma di cura coatta, mentre punire il cliente delle prostitute non ha alcun senso, curarlo tantomeno perchè allora avrebbe bisogno di tali cure il 100% dell'umanità di sesso maschile (il sesso lo fanno tutti o quasi, che sia gratis o a pagamento non lo rende diverso), non è proficuo come deterrente perchè a chi svolge l'attività non gliene può fregare di meno che puniscano una persona di cui non gliene frega niente (anzi, probabilmente ci godono!) e quindi continuerà a farlo come niente fosse, e dal lato della vittima (perchè fare schifo è una disgrazia del destino, e vederselo rinfacciare da quella che volendo essere pagata per accettare di fare sesso con te diventa la tua carnefice è l'atto che te ne rende vittima) punita non vedo in che modo ciò potrebbe essere proficuo e non un ingiusto infierire ulteriormente sulle sue disgrazie della vita che lo costringono a dover pagare per avere ciò che altri possono avere "gratis" solo per questione di fortuna e non di proprio valore. Viceversa, si provi a mandare su e giù tutta la notte un autobus della polizia a raccattare ogni prostituta che trovano e scaricarle tutte assieme la mattina da qualche parte, e si verifichi se dopo 3-4 notti se ne trovino ancora anche solo una per le strade.... ma no, per le femministe proporre questa banale ovvietà è peggio che proporre un olocausto nucleare!!!! Il bello è che a lamentarsene solo loro, che regolarmente nonostante le loro opinioni siano totalmente avulse dal buon senso logico, sono rigorosamente convinte di aver ragione! Ma allora cosa si lamentano se poi fanno il diavolo a quattro per far in modo che tutto resti nel limbo in cui è oggi???? Che senso ha lamentarsi di un problema, e poi esserne i principali oppositori di ciò che quel problema lo risolverebbe? Ma almeno la logica cavolo, no niente, ma secondo voi come pensate che si possa eliminare un crimine se anzichè punire chi lo compie si punisce una persona presa a caso??? In che modo ciò impedisce al criminale di continuare a compiere il reato? Se gli si permette di farlo, continuerà a farlo!!! Cosa gliene frega al criminale di smettere di delinquere, se al posto suo viene punito il primo che passa a caso???? E pure si permettono di rispondere "siccome la prostituzione sulle strade fa ribrezzo la si sposta dove le famiglie tradizionali non la possano vedere così si finge che il problema non esista"... quindi la loro soluzione è lasciarla dove sta ora? Ipocrisia allo stato puro. Il bigotto cattolico almeno ha una motivazione nel suo pregiudizio religioso che sostiene che il sesso sia "peccato" (almeno quello non "timbrato" da Santa Romana Chiesa), quindi l'uomo deve astenersi. Quindi, coerentemente, no alla prostituzione, no al sesso prematrimoniale, no agli omosessuali, etc. Ovviamente per un liberale questa è una posizione inaccettabile perché estende il bigottismo anche a chi non è bigotto. Ma almeno il ragionamento fila. Le femministe invece pretendono di dare fondamenti scientifici alle loro manie ideologiche che alla luce della contraddittoria ipocrisia che le caratterizza è spiegabile solo con una motivazione risiedente in un (per un maschio) incomprensibile invidia delle prostitute. Queste invasate che da un lato sostengono che uomo e donna sono uguali ma dall'altro vogliono i bagni separati... Queste talebane sostengono quindi che quelli che non si comportano come previsto dalla loro ideologia sono "malati". Quando in realtà i malati sono notoriamente quelli che non accettando la realtà, fingono che la realtà sia diversa e pretendono di adattarla ai loro capricci. Le femministe che sentenziano "la prostituzione è sempre sfruttamento delle donne" sono delle mistificatrici, che vogliono distorcere la realtà per farla coincidere con la loro ideologia. Altrimenti crolla tutto il loro castello ideologico, e poi vanno in depressione. Quindi, per non andare dallo psicologo loro, vogliono impedire a tutte le donne di prostituirsi. Ma senza impedirglielo! Una logica che non fa una piega. Se la prostituzione è sfruttamento delle donne, perchè chi lo sostiene è anche chi fa in modo che la prostituzione non possa essere eliminata???? Come lo si può spiegare un tale schizofrenico bipolarismo??? Il punto è sempre lo stesso: finchè non si riuscirà a capire quale è il problema, tale problema non si potrà mai risolverlo. Invertire le colpe per puro pregiudizio di genere mantiene inalterata l'inversione delle colpe. La donna è vittima degli uomini che la costringono a prostituirsi? No, gli uomini sono vittime delle donne che li costringono a pagare! Perchè la definizione di prostituzione è: "sesso a pagamento". Se non è a pagamento, non è più prostituzione, questa è LOGICA, e ad esigere il pagamento è la donna, e non l'uomo a volerla pagare, quindi a commettere il reato è la prostituta, non il cliente che invece è la vittima di quel reato, per estorsione. Ma indipendentemente dalle interpretazioni sui ruoli, è di per se evidente che punendo il cliente la prostituta continuerà comunque a prostituirsi, mentre punendo la prostituta non è che poi il cliente si metta a lanciare soldi per aria in una strada dove prostitute non ce ne sarebbero più poichè non si potrebbe più far finta di niente come avviene oggi a causa di quella legge demenziale che pretenderebbe di regolare la questione impedendo invece ogni interferenza nell'attività delle prostitute e che quindi è sostenuta da chi dalla prostituzione ne trae vantaggio.

"E' difficile che un uomo capisca qualcosa, se il suo stipendio dipende dal non capirla" (Upton Sinclair)

Ed a sostenerle per poter manovrare la società sono appunto quelle persone che hanno la “volontà e capacità di subordinare le masse popolari ai propri voleri e per i propri interessi”, mediante l’aggregazione in "club" atti allo scopo. Quello che lascia aperta questa possibilità è la regola del sistema elettorale democratico parlamentare, come “gerarchia del numero”, che consente la possibilità di accesso al potere a prescindere dalle capacità e dai meriti, ma soltanto grazie alla furbizia nel saper manovrare le masse anche utilizzando marionette dotate della capacità di “incantare” gli elettori con la demagogia, la retorica e l’esteriorità oratoria e prossemica. Hitler e Kennedy lo insegnano, ed i risultati si vedono nell'ignoranza che governa il mondo ancor oggi, dove "anche il più pulito ha la rogna", poiché perfino le persone all'apparenza più razionali mantengono un sottofondo basilare di irrazionalità, e spesso proprio esse vengono utilizzate per legittimare le falsità su cui si fonda l'attuale sistema e soprattutto per contrastare le persone veramente razionali ma "impopolari". Nemmeno hanno necessità di arrovellarsi molto poi: quando in mancanza di possibili critiche, le idee scomode vengono tacciate regolarmente con l'accusa di "non accademicità", per cui anche il distributismo non essendo "accademico" da tale loro logica ne deriva semplicemente che "NON ESISTE" o meglio che NON DOVREBBE ESISTERE (dato che ciò è quello che loro desiderano). Il concetto da loro inteso di "accademico" è la logica secondo la quale prima non di Galileo ma dell'approvazione papale la terra era effettivamente piatta ed è diventata rotonda solo in seguito all'accettazione della rotondità da parte del Papa. O come la tipica demenziale critica sulla mancanza di presunti "anelli" evolutivi intesi come prove, come se la loro inesistenza inficiasse la logica che è evidente di per sé stessa (dato che evoluzione e selezione naturale sono eventi a cui assistiamo coi nostri occhi in qualunque momento nel corso della nostra vita). Lo stesso trattamento che fu riservato ad Ipazia e al dottor Semmelweiss viene da sempre perpetuato costantemente da persone che si ritengono razionali ma in realtà sono più ottusi degli irrazionali poiché la mente chiusa dal fanatismo è ancora peggiore quando si fonda sul consenso (quello che loro chiamano "peer review", concetto tipicamente utilizzato da essi per delegittimare come "non accademiche" e prive di "consenso" opinioni a loro scomode) e su prove strumentali, avente oggi il suo caposaldo nel noto sito internet complottista "attivissimo". Sbertucciano ipocritamente chi crede a stupidaggini come le "scie chimiche" quando proprio loro sono i primi a sostenere istericamente altrettante stupidaggini non meno assurde delle "scie chimiche", accusando gli altri di complottismo quando invece i più accaniti e paranoici complottisti sono proprio loro!

"Quando qualcuno scriverà la storia degli errori umani ne troverà pochi più gravi di quello commesso dalla scienza nei confronti di Semmelweis" (Ferdinand von Hebra)

Perché tanti si lascino ammaliare dagli ignoranti - e/o consapevoli farabutti - la diffusa fascinazione per le tesi più astruse e, pericolosamente, ingannevoli, fino ad arrivare a difendere le loro insane teorie con furore ideologico... opporsi alla logica serve per sentirsi qualcuno, per sentirsi intelligente, per sentirsi uno che non si lascia "fregare"... E invece è l'esatto contrario. Internet ha un suo ruolo in tutto questo, nel reclutare masse di ignoranti mandando nei loro schermi degli scritti che avvalorano il loro "pensiero", gratificandoli e facendoli sentire importanti. Queste stesse persone vengono poi aizzate contro chi, con buon senso, crede nella logica e nell'evidenza. Tuttavia internet ha anche il pregio di aver tolto il monopolio ai giornalisti, aprendo alle persone sensate la possibilità di farsi ascoltare da chi ne è capace. I giornalisti sono talmente fichi da riuscire a mandare un servizio rinfocolante una delle più grosse bufale, il riscaldamento globale, in successione ad un ora di pappardella proprio sulle bufale (Unomattina del 9 febbraio 2017). Essi sono talmente perseveranti anche di fronte all'evidenza che anziché adeguarsi alla realtà come farebbe qualunque persona razionale dalla mente aperta, essi invece adeguano la realtà alle loro opinioni (o meglio, ai loro desideri o speranze, un meccanismo mentale in psichiatria chiamato "bias"). Si pensi a Sabina Guzzanti: dato che prima delle elezioni spagnole del 2004 era prevista un ampia vittoria di Aznar ed in seguito agli attentati ha vinto il suo avversario, a compiere l'attentato non è stato chi aveva interesse a far vincere Zapatero, no, è stato chi sosteneva il già sicuro vincitore Aznar! Ma sono cose inconcepibili! Nello stesso filone dei quotidiani che dopo l'attentato a Pietroburgo del 3 aprile 2017 scrivono "bomba islamica nella metro dà una mano a Putin"... però quando sono accaduti attentati a Londra e Parigi nessuno si è sognato di scrivere che davano una mano ai governanti di quei paesi eh? Normale, quando capita un attentato in Francia o Belgio o Inghilterra sono stati gli islamici o un "depresso" (termine usato per generalizzare da chi non conosce il suo significato clinico), quando capita in Russia è stato il presidente russo (perchè l'insinuazione questa è)... sensato, non c'è che dire. Ora, l'incoerenza di accusare contemporaneamente una persona di essere un dittatore, e dall'altro quella di utilizzare "aiuti" subdoli dei quali un dittatore non può per definizione aver bisogno... due distinte accuse inconciliabili una con l'altra... che si decidano, o dittatore o democratico/terrorista, le due cose non possono coesistere. Le dittature non hanno bisogno di terrorismo, solo le democrazie ne hanno bisogno, e la storia ce lo mostra in maniera lampante, mica lo campo in aria così sulla base del nulla. L'incendio della cancelleria è servito a Hitler per DIVENTARE dittatore, prima mica lo era. Dopo a che cavolo gli sarebbe dovuto servire? Non gli sarebbe stato di svantaggio, ma nemmeno di vantaggio. Ma si pensi al caso di Amos Spiazzi: la notte dell'8 dicembre 1970 il suo reparto fu mobilitato ("esigenza triangolo") assieme all'intero esercito italiano allo scopo di REPRIMERE un colpo di stato in atto ("golpe Borghese"), e per questo è stato accusato, dalle stesse autorità che gli avevano dato l'ordine di difenderle, di essere stato non il repressore ma l'autore di un golpe del quale lui aveva appreso l'esistenza solamente proprio da loro! E che dire di Cecchi Paone, secondo la cui logica gli italiani all'estero sarebbero di sinistra "poiché mondialisti" quando i dati stessi dicono che l'Msi all'estero aveva il 30% (e comprensibilmente per ovvi motivi, non avendo loro subìto il lavaggio del cervello che invece hanno subìto gli italiani in Italia) quando in Italia era al 5%. Qualcuno lo avvisi che desiderare una cosa non implica che quella cosa sia vera.

"La speranza è quel velo della natura che nasconde le nudità della verità" (Alfred Nobel)

Ed il paradosso giunge fino al capovolgimento delle qualifiche: complottista non è chi abbocca all'incredibile stupidaggine che ad organizzare gli attentati dell'11 settembre 2001 sia stato un gruppo di arabi senza arte ne parte in quel momento privo di reali motivazioni contingenti, ma chi vede come assurda tale palese stupidaggine a fronte del fatto che è perfino ben noto chi aveva da anni un interesse contingente (ampiamente confermato col senno di poi dal concetto fondamentale per la comprensione di ogni evento cioè il "cui prodest?") e le capacità di attuare quegli attentati (non certo George Bush come credono "complottisti" altrettanto ottusi istigati verso questa alternativa proprio dai primi per occultare la verità sviando verso un parafulmine "complottista" alternativo e perciò più facilmente smontabile in quanto veramente falso)! In secondo luogo, oltre all'interesse personale (anche sia solo l'egocentrismo), c’è la superbia del falso razionalista, dell’intellettuale che pensa di sapere molto di più dei suoi concittadini. Egli sa di avere letto molto e pensa di saperne più degli altri. Cade nel peccato fatale di arroganza e superbia. Si sente legittimato a dirci cosa dobbiamo fare. Si scandalizza della mancanza di cultura degli altri, e quindi pontifica. In realtà sa molto poco di quel che succede (si vedano gli esempi fatti sulla Guzzanti e Cecchi Paone...). E’ un dittatore in potenza. Ci impone i suoi punti di vista, che ritiene essere i migliori, i più colti, i più raffinati. E quando si somma l’ignoranza all’arroganza siamo veramente perduti! Tutti i grandi dittatori della storia (compresi quelli degli stati democratici, a buon intenditor...) riempirono le proprie corti di intellettuali adulatori che riuscivano a dare loro una base e una legittimità ideologica basata su clamorosi errori scientifici. Il tipico trabocchetto utilizzato dagli intellettualmente disonesti è chiedere le prove (ma solo quando fa comodo a loro!), e ciò anche ove sanno bene che prove non possano esistere. Invece la logica vale più di mille prove.

"La verità che ha bisogno di prove è solo mezza verità" (Kahalil Gibran)

Ogni ragionamento fondato su una base logica è degno di essere considerato anche qualora apparisse a prima vista fallace. Che prove abbiamo che le api vedano i colori? Nessuna! Abbiamo la logica: se le api non vedessero i colori, i fiori non avrebbero motivo di essere di un colore diverso dal verde, e perciò non lo sarebbero. Che prove avevano i sostenitori della rotondità della terra prima che fosse possibile vederla dallo spazio? Nessuna! Avevano solo la logica! Eppure la terra era rotonda anche allora, non si è arrotondata dopo. Viceversa, ho imparato per esperienza che se uno è determinato a sostenere anche la più illogica delle convinzioni, le prove le troverebbe eccome! Mentre viceversa, qualunque prova ti abbassassi a portare tu, egli un modo per delegittimarle lo troverebbe sempre, tipicamente denigrandone l'autore ("il cattivo critico critica il poeta, non la poesia", diceva Ezra Pound) etichettandolo (e presumibilmente avendone un orgasmo quando tale etichetta possa essere quella di "fascista"), e qualunque altra astrusa argomentazione egli accampasse per smentirle sarebbe oro colato e lui non retrocederebbe di un passo dalle sue paranoie, anzi essendo convinto di aver ragione e riuscendo pure a farsi dare ragione, comprensibilmente data la uguale caratura dei suoi simili, poiché la gente di questo tipo è tipicamente subdola e melliflua, sul tipo dei santoni delle sette religiose il cui prototipo è incarnato da quella dei "neocatecumeni". I media odierni sono fantastici, perché sono capaci di propinare delle menzogne stratosferiche (11 settembre 2001 ad esempio) e di istituire un vero e proprio culto della personalità su soggetti oggettivamente innatamente perfidi come Sandro Pertini, e allo stesso tempo sono capaci di far credere alle persone che viviamo nel sistema migliore possibile, dove l'informazione è libera, senza che alcuno ne dubiti.

"Se un milione di persone crede ad una cosa idiota, la cosa non smette di essere idiota" (Anatole France)

Si raggiunge la paradossale presa per il culo verso il lettore quando, nel loro suonarsela e cantarsela, la loro cattiveria, il loro odio, lo chiamano "ironia" come ha fatto il giornalista del Gazzettino Riccardo Calimani in occasione di una legittima manifestazione della Fiamma tricolore a Venezia qualche anno fa. Bisogna informare l'accademia della crusca sul nuovo significato del termine "ironia" nel neo-linguaggio democratico. Quello in cui viviamo oggi è in realtà proprio il mondo illustrato nei racconti di Orwell e Bradbury! Non si rendono conto di essere proprio loro i "pompieri" descritti in "Fahrenheit 451"???? E su questo posso fare un banale esempio su come "per abitudine" si diano per scontate le cose che in realtà così scontate non sono: di fronte alla puntualizzazione che l'arte italiana è egemonizzata dalla sinistra (magari oggi non più, ma decenni fa si) rispondono invariabilmente "e gli artisti di destra quali sono?" (nel senso dei nomi proprio eh!)... ma porcogiuda, ma se ti si è appena detto che non esistono essendo l'arte italiana egemonizzata dalla sinistra, vieni a chiedere nomi????? Se l'arte italiana non fosse egemonizzata dalla sinistra questi nomi esisterebbero, ma essendo egemonizzata dalla sinistra come possono esistere nomi di "artisti di destra" da elencare???? Il senso del paragone è che quando una cosa è percepita come normale, finisce per diventarlo, i "pompieri" cioè non si accorgono di esserlo così come non si accorgono che se gli artisti di destra non esistono non è perché non potrebbero esistere, ma perché non potrebbero esserlo in un mondo dove verrebbero esclusi. La verità è che la democrazia parlamentare si è rivelata essere il peggior totalitarismo dell'era contemporanea, ma "senza dirlo".

"Guai a dare ai popoli la libertà di accorgersi che non sono liberi" (Edmund Burke)

I modi in cui puoi convincere le persone a fare quello che vuoi, sostanzialmente, sono tre: puoi pagarle, puoi costringerle, oppure puoi convincerle. La terza via è la più complicata, ma il risultato è qualitativamente superiore: non avrai persone che eseguono soltanto i tuoi ordini, avrai persone che credono nei tuoi ordini. Anzi, non li prenderanno nemmeno come ordini, ma come la cosa migliore da fare, la cosa giusta. Ora, questa è una roba vecchia come il mondo, ma qualcuno un po’ di tempo fa (Joseph Nye, 1990) ha dato un nome nuovo a quella via per ottenere dalla gente quello che si vuole: "soft power", che si aggrega ai vari studi compiuti da Max Hockheimer, Vilfredo Pareto, Theodor Adorno sull'influenza dei mass media che rende superflua la censura oggi fino a perfino aprire la possibilità di creare su scala di massa nuove mitologie tramite un cinema che definire agiografico è riduttivo, al punto da far apparire plausibili perfino cose altrimenti degne solo di essere qualificate come leggende metropolitane. Purtroppo per loro la strada in discesa è finita ed è iniziata la salita, grazie ad internet... da cui hanno dovuto iniziare una nuova strategia, fatta di "accademicità", "peer review", "debunker", il cui capofila è il noto sito complottista "attivissimo". E la conferma l'abbiamo avuta proprio di recente, quando alla proposta di istituire l'ESATTO equivalente (perché così è, checché i plagiati "pompieri" ne vogliano dire, non è che se usi un altro nome cambi la sostanza) del "ministero della verità" descritto in "1984" di Orwell proprio quelli, persone all'apparenza razionali del calibro di Giulia Corsini, se ne sono detti entusiasti, e fargli notare l'ipocrisia nel ritenersi razionali e al tempo stesso auspicare la censura di stato non è mica bastato a farli recalcitrare! Mica riescono a rendersi conto o ad accettare che, se è giusto smentire le bufale, tale strumento sarebbe inevitabilmente usato (dato che lo viene già fatto, dai siti tipo "attivissimo") per accomunare palesi bufale a verità "scomode" per delegittimarle in un unico calderone. Ma poi proprio loro si scagliano a favore della verità, loro che, non tanto sulle bugie (che sarebbero perfino troppo complesse da gestire per le loro limitate facoltà mentali), ma sui venticelli calunniosi hanno basato e basano i loro bias giustificanti il rancore a stento represso che scagliano sul loro prossimo ad ogni occasione buona. Ma si pensi a quell'episodio del bambino iracheno annegato nel 2000 in una piscina e che loro berciando con la bava alla bocca credevano ciecamente alla bufala (al momento non si capiva nemmeno saltata fuori da dove, dato che esplicitamente non vi era alcun testimone ma vi era solo il classico "sentito dire") in una piscina affollata un gruppo di "naziskin" avesse affogato un bambino così "per diletto" ... notizia veramente riportata dai giornali, ovviamente rivelatasi falsa, ma alla quale molte persone diedero inspiegabilmente credibilità, il che è estremamente rivelatore della potenza delle persuasione mediatica sulle menti paranoicamente obnubilate dal fanatismo. Oggi loro si lamentano delle bufale? Evidentemente berciano perché internet ha rotto il loro monopolio sulle bufale aprendone la possibilità anche a chi non controlla la stampa. E' difficile accettare certe arrampicate sugli specchi fatte con la convinzione di avere ragione e la legittimazione sentita ad insultare e delegittimare impunemente (tipicamente come il bue che dice cornuto all'asino) chi invece CONSTATA (non revisiona e nemmeno nega) la verità logica ed obbiettiva nonchè ampiamente provata. A differenza di chi crede a fantasie palesemente inventate di sana pianta.

"Chi sa ascoltare la verità non è da meno di colui che la sa esprimere" (Kahalil Gibran)

A fargli notare che bisogna non avere tutte le rotelle a posto per credere ad una talmente ovvia stupidaggine chiaramente inventata di sana pianta (al momento non si capiva ancora nemmeno da chi...) il cattivo ero io no? Ovviamente quando come era inevitabile è saltato fuori (poiché la polizia lo sapeva fin da subito ovviamente) che ad inventarsi tutto e ad annegarlo era stata sua mamma, una squilibrata estremista anti-razzista con la sindrome di Munchausen, con l'unico scopo apposito di incolpare i "naziskin", credete che qualcuno mi abbia chiesto scusa? Credete che qualcuno di loro le si sia scagliato contro con la bava alla bocca come avevano fatto con me augurandomi (e non si capisce secondo quale demenziale logica...) che mi succedesse la stessa cosa? No, è stato tutto MESSO A TACERE. Oggi chi se ne ricorda più di quella cosa? Luigi Manconi di certo no. E' questo il loro concetto di "verità", evidentemente. I mezzucci che quando sono all'ultima spiaggia tipicamente usano per delegittimare, tipicamente il mettere in bocca cose non dette e spesso perfino paradossali, oppure anche il solo etichettare, no perché se (per ovvi motivi) ad essere consci di una cosa sono solo i fascisti (e gli "ovvi motivi" sono perché esenti dai pregiudizi tenuti da tutti gli altri) quella cosa è falsa a priori, logico no? No che casomai se tutti gli altri sono ottenebrati non è certo per colpa di chi invece è conscio chiunque egli sia. I motivi per cui tipicamente i fascisti hanno una mente aperta alla comprensione delle cose è insita proprio nell'esperienza personale vissuta ovvero nell'osservazione della stupidità altrui e nel non voler essere come quelli.

"Io non sono fascista, ma la conoscenza di quelle prospettive inedite mi ha permesso di leggere e studiare in orizzonti altrimenti inaccessibili" (Pietrangelo Buttafuoco)

Ne consegue che è il rifiuto di voler capire, derivato dal pregiudizio, che oggi impedisce a tutti gli altri di “guardare oltre il proprio naso”. Si dice che nelle democrazie odierne, a differenza delle dittature, non esista censura né repressione del dissenso. Questo non corrisponde a realtà: esse solo solamente applicate in modo subdolo. Non attraverso organismi ufficiali (come avviene in Cina), ma attraverso “delegati” autonomi ed inconsapevoli: la censura attraverso il monopolio culturale, la delegittimazione personale e la derisione (“strategia del branco” contro la quale si scagliò Nietzsche) di qualunque opinione ne esuli, e la repressione è affidata proprio alle persone più ingenuamente inclini (i famigerati “utili idioti”) a credere alle bugie diffuse dai manipolatori culturali. Come gli automobilisti accodati che insultano l’unico che attua un comportamento che dovrebbe essere la norma. Un auto-censura auto-indotta nel popolo emotivamente sensibile alla propaganda ed al terrore, e questo è ben noto soprattutto ai frequentatori della nota enciclopedia on line wikipedia, dove questo tipo di censura è praticata in maniera sistematicamente fanatica, cosa che gli rende possibile indirizzare la “verità” grazie alla filosofia fondante stessa di wikipedia. Esistono dei veri e propri manuali dedicati, la cui applicazione delle prassi è riscontrabile spesso su wikipedia e non solo. La nascita di questa enciclopedia “a contributo libero” ha rappresentato un salto di qualità nel sistema monopolizzante auto-censorio in internet, prima assai grossolano, ora più sottile e curato, ma pur sempre puerile e facilmente smontabile (ma solo dove sia consentito farlo, possibilità che appunto in wikipedia non esiste).

"La verità produce effetti anche quando non può essere pronunciata" (Ludwig von Mises)

E il bello è che quando i democratici propongono la censura si arriva al paradosso che altri li definiscono fascisti... così da far passare il messaggio che stiano essi andando contro i loro principi anziché essere proprio questi i loro principi! In questo modo sanno che ne usciranno in ogni caso sempre vincitori, potendo così fare il bello ed il cattivo tempo impunemente. Di fronte a "questo è vero fascismo!", che fare oltre a rispondergli: no, questa è la vera democrazia liberale. Senza che possano anche così fraintendere il senso della frase, ovviamente, dato che sicuramente in essa leggeranno una difesa della censura e non una puntualizzazione che se c'è un sistema che abbisogna di indirizzare le menti è la democrazia fondata sul consenso elettorale, non chi lo ignora. Fino a pochi anni fa la censura non veniva proposta solamente perché non ne avevano bisogno, essendo l'informazione monopolizzata tramite i media, ma oggi che il loro monopolio viene sempre più intaccato dalla libertà di internet allora cominciano a preoccuparsi.

"La libertà fa sempre più paura, ma è sempre più vicina" (Domenico De Simone)

L'obiettivo primario della comunicazione è colpire, far parlare e creare memoria. Informare è solo un contesto. I grigi confondono e passano inosservati, i bianchi e i neri attirano l'attenzione. I poli opposti fanno discutere. Tra l'altro non è un caso che psicologicamente i malati mentali vivano di estremi e non riescano a cogliere il compromesso. In tutte le svariate aggressioni proditorie che i fascisti hanno subìto nel corso degli anni a Venezia e che nei giornali locali sono regolarmente state minimizzate se non proprio invertite le responsabilità, pensate che quando i tribunali hanno emesso le sentenze di condanna verso quelli dei centri sociali (poiché non è che i giudici possano fare altrimenti di fronte all'evidenza inequivocabile dei fatti) i giornali abbiano riportato la notizia? Ma quando mai... Ma dopotutto non c'è da stupirsi dato che sul reciproco "sentito dire" si fonda la maggior parte delle credenze assurde degli "utili idioti" che si credono pure dei geni, a partire da quella "suprema" innominabile.

"Ci sono due modi per essere ingannati. Uno è quello di credere ciò che non è vero; l'altro è quello di rifiutare di credere ciò che è vero" (Søren Kierkegaard)

Di contro, da parte grillina, le accuse ai giornalisti se non proprio di mentire perlomeno di raccontare le cose in maniera "romanzata" in modo da arrivare ad indurre nel pubblico una comprensione dei fatti che capovolge le colpe. Si pensi a quell'abominio di piazza Navona di qualche anno fa... e poi ci si chiede come l'Italia possa essere agli ultimi posti nelle statistiche sulla stampa... in quale altro paese occidentale i giornalisti di fronte ad un evento avrebbero girato le telecamere dalla parte opposta rispetto a ciò che stava accadendo? Un episodio che resterà negli annali della faziosità mediatica, anzi, dell'imbecillità mediatica perché quel particolare episodio va ben oltre ad una eventualmente pur comprensibile faziosità: ma cosa si aspettavano di ottenere, che i telespettatori non si accorgessero delle evidenti incongruenze contestuali? Per poi persistere ulteriormente mostrando quelle immagini (zoomandone i volti delle vittime dell'aggressione) in un programma televisivo destinato alla ricerca di persone scomparse, senza nemmeno specificarne i motivi poi, a cosa fosse finalizzato quel servizio così atipico per quel programma... l'unica spiegazione plausibile la identificò l'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga, nell'inveterata abitudine mai venuta meno da parte della sinistra di stilare parossisticamente paranoici dossier sugli avversari politici (vedasi ad esempio questo), una pratica totalmente inesistente nella destra e di cui non si capisce nemmeno il senso al di là della pura paranoica isteria di voler a tutti i costi additare un nemico al quale addossare colpe che si desidera esso abbia, nello stile "la calunnia è un venticello". A che pro far identificare pubblicamente non gli aggressori ma le vittime di un aggressione e che in quanto tali saranno casomai loro a voler fare una denuncia? Un abitudine tipica della sinistra che dovrebbe essere abbastanza d'esempio per capire quale sia la caratura di questi personaggi grondanti astio e convinti di avere pure ragione.

"Quando gli uomini sono più sicuri e arroganti di solito sono più in errore" (David Hume)

Si pensi al caso di Saverio Ferrari, il più accanito additatore odierno, negli anni dell'università, sviluppa una mania tipicamente comunista per la schedatura dei "nemici del popolo" con nomi, indirizzi, foto, orari, abitudini; già fiero possessore di un imponente archivio accumulato in decenni di indefesso lavorio con schedate migliaia di persone, con tanto di fotografie e dati accuratissimi come lo studio delle abitudini e degli spostamenti, la descrizione dettagliata di locali pubblici e sedi politiche. Tra i nomi dei suoi dossier c'era pure quello di Sergio Ramelli. Se vi capita un articolo sui "pericolosissimi" fascisti che commemorano i loro morti, probabilmente vedrete citare l'"Osservatorio sulle Nuove Destre". Questo sedicente "osservatorio" è di fatto una sola persona, tale Saverio Ferrari, che oggi, vicino ai 70 anni, vive ancora col preciso scopo di schedare "fascisti" e in questo caso le virgolette sono un obbligo, perché scrivere un libercolo del tipo "da Salò ad Arcore" significa che CHIUNQUE non sia schierato con la sinistra più eversiva e radicale è un "fascista". Scrive Fulvio Rossato:

Entrato in Rifondazione Comunista riesce a diventare funzionario della Regione Lombardia e da allora la sua attività di schedatura prosegue coi soldi pubblici. In pratica ad ogni ritrovo/corteo/sede/assembramento/commemorazione Fascista, costui è appostato a distanza con teleobiettivo per aggiornare i suoi schedari e imbastire deliranti articoli in cui paventa dalla Marcia su Roma, alle cavallette e i Quattro Cavalieri dell'Apocalisse, il tutto con un'ossessione per l'antifascismo militante che ha tutti i tratti del disturbo patologico. Ora sapete di che elemento si tratta quando leggete "articoli" di quel tenore.
Ma dopotutto è una tipica abitudine dei centri sociali, mentre assaltano le forze dell'ordine, urlare dai megafoni cose tipo "siamo pacifici, ci stanno aggredendo", come se le parole modificassero i fatti... così come le fantasiose circonvoluzioni con cui cercano poi di discolparsi, in piazza Navona "il furgone era parcheggiato in sosta vietata"... quindi è lecito che una folla inferocita ne aggredisca il conducente... non si sa se mettersi a ridere o a piangere di fronte ad una simile esternazione... non meno fantasiosa delle altre loro solite assurdità dietrologiche che non si capisce nemmeno quale sia il senso che intendono vederci, tipo dire che i referti medici dei fascisti da loro aggrediti "sono spariti"... ma cosa vorrebbe dire sta cosa? Ma anche fosse vero (ed ovviamente era solo una stupidaggine accampata come fosse perfino da dare per scontata), ciò cancellerebbe l'aggressione? Ma che senso ha? Così sono e così bisogna tenerceli, dopotutto ormai è chiaro che contrariarli sarebbe come accusare un disabile di non essere capace di camminare.

"Di fronte agli sciocchi e agli imbecilli esiste un modo solo per rivelare la propria intelligenza: quello di non parlare con loro" (Arthur Schopenhauer)

Ecco, se qualcuno si chiedesse come sia potuto esistere lo stalinismo con le sue purghe e i suoi gulag, così ne abbiamo la chiarezza. Grazie all'approvazione di gente come loro, come questi giornalisti dalla mentalità staliniana, paranoici cultori dell'odio caratteristica peculiare della diversità antropologica delle persone di sinistra. Come la Botteri al G8 di Genova, forse dimenticandosi di stare in tv e non alla radio, mentre le immagini mostravano il solito can can, si è messa a dire "ma non stanno facendo niente!", per poi, evidentemente essendosi ricordata di stare in tv e non alla radio, correggersi con un "stanno solo lanciando delle pietre". Prassi che si inserisce appieno in quelli che dicono, non si capisce secondo quale logica, "il nucleare è vecchio", a cui sarebbe da opporre brandendo una banana il dire "e questo è un ventilatore". Poichè le parole non modificano l'oggettività dei fatti, non è che se uno dice che il nucleare è vecchio, ciò diventi vero eh... vecchio rispetto a cosa???? Ma secondo loro evidentemente è così, voi lo trovate normale? In una società dove Biagio Antonacci è un cantante acclamato e dove il programma "affari tuoi" non è stato interrotto per mancanza di ascolti dopo la prima puntata (come qualunque persona normale che ci ha assistito si sarebbe aspettato...), si. Qualcuno li avvisi che dare un nome o una definizione diversa non modifica e tantomeno capovolge (come nel caso dell'energia nucleare, che definire artefattamente "vecchia" è il capovolgimento letterale della realtà) la realtà oggettiva. Ma si pensi al terremoto che ha colpito Fukushima provocando migliaia di morti... i media ogni volta fanno i salti mortali lessicali per cercare di far credere che a provocare i morti sia stato il collaterale incidente alla centrale nucleare (che invece non ne ha provocato alcuno se non tra i dipendenti a causa dell'inondazione e non dell'incidente relativo). Tanto chi vuoi che vada a sottilizzare? E poi sono loro gli stessi che si scagliano contro le bufale!

"I fatti hanno una prerogativa, sono argomenti testardi" (John Adams)

Un paese in cui il lettore trova normale che in un articolo di un quotidiano avente come oggetto un banchetto per la raccolta di firme per la presentazione di un partito alle elezioni venga definita la presenza della polizia tesa non a proteggere i raccoglitori di firme dai tipici attacchi 10 contro 1 degli antifascisti come è ovvio, ma a "tenere a bada" gli stessi raccoglitori, tenere a bada non si spiega e non si capisce dal fare cosa... per poi commentare con "tenendo così occupate forze di polizia che potrebbero essere impiegate per altri scopi", come se la causa della necessità di metterli a difendere una manifestazione autorizzata fosse delle potenziali vittime e non dei potenziali aggressori! Non ci sarebbe stato da stupirsi se il giornalista avesse instillato che le forze dell'ordine fossero state in combutta coi fascisti (e non è una prospettiva campata in aria dato che si riferisce ad un preciso episodio nel quale un suo collega scrisse proprio ciò riguardo le forze dell'ordine accorse in una delle solite aggressioni 10 contro 1 subite dai fascisti). Come può un paese nel quale vige una tale spudorata indecenza (che raggiunge il suo apice nella Botteri e nella Sciarelli) pretendere di scalare le classifiche sulla qualità dei media? Ecco, ora io mi chiedo dove abbiano vissuto fino ad oggi... i grillini che si lamentano della stampa di questi ultimi tempi, che tutto sommato è migliorata rispetto a prima, dato che oggi casomai è un paradiso, poiché oggi a causa del diffondersi di internet i giornalisti hanno dovuto darsi una calmata nelle loro manipolazioni della realtà, ma fino a qualche anno fa si che era ancora peggio! Gli attuali grillini dov'erano quando ero io a cercare di farlo notare? Probabilmente erano dalla parte opposta rispetto a me, ecco dov'erano, come tutti, schierati in branco come cani rabbiosi sempre in attesa della sperata preda, a suonarsela e cantersela fregiandosi dei loro farneticanti bias esenti da ogni logica come fossero brillanti esempi di arguzia. E si sente gente in tv dire "per colpa di internet inizia l'era della post-verità"... no, l'era della post-verità sta finendo, casomai, proprio grazie a internet! Cosa sia l'accanimento mediatico non può neanche lontanamente capirlo chi non sia stato fascista nel 1993, l'"anno manconiano", il "1973 bis". Purtroppo la società è permeata dai bias, per chi non sapesse cosa sono lo spiego con un esempio: su internet gira un video dove un cane che sta reggendo un bastone in bocca scivola lungo una rapida, al che un altro cane afferra il bastone trascinando a riva anche il cane attaccato, un bias consiste nell'interpretare ciò come un azione di salvataggio, mentre invece il cane "salvatore" voleva ovviamente solo prendere il bastone. Voi credete di esserne esenti? Vi faccio un esempio per farvi capire come le interpretazioni personali ("mappe") possano essere stravolte rispetto alla realtà ("territorio") dai meccanismi del bias: cosa pensate se qualcuno vi dice che i campi di concentramento e l'apartheid hanno rappresentato un progresso per l'umanità? Sicuramente pensereste che chi dicesse tali eresie può essere solo un pazzo, no? Ecco, questo vostro pensiero è stato determinato dal bias. Prima dell'introduzione dei campi di concentramento ad inizio '900 da parte degli inglesi in Sudafrica, i nemici catturati venivano perlopiù ammazzati sul posto, cosa è meglio tra le due cose, essere ammazzati sul posto o essere messi in un campo in attesa della fine della guerra con qualche probabilità di far ritorno a casa? Prima del 1948 in Sudafrica ogni bianco aveva pressoché potere di vita o di morte su ogni nero, le leggi sull'apartheid hanno messo un freno a tale consuetudine fino allora vigente, regolamentando i rapporti tra bianchi e neri anziché lasciarli alle precedenti consuetudini di tipo schiavistico. Cosa è meglio tra le due cose, l'impunità o la punibilità di un bianco che ammazzi un nero? Ecco, così avete sperimentato personalmente cosa è un bias dal quale ora sapete di non essere esenti, poiché sicuramente sarete restati inorriditi a sentir definire i campi di concentramento e l'apartheid come "progressi per l'umanità" avendone stravolto il senso interpretando tali asserzioni sulla base delle vostre "mappe mentali" senza riuscire ad andare oltre ad esse. La mappa non è il territorio. E non si venga ad accusare di ipocrisia me per il dire che il potere deve essere tolto all'"opinione pubblica" e al tempo stesso difendere la libertà d'espressione: sono due cose ben diverse! Io sono il primo a difendere la libertà di espressione ed i diritti civili, ma le opinioni pubbliche non devono essere influenti sulla conduzione politico-amministrativa della società! E' sempre "in nome del popolo" che sono stati commessi i più atroci crimini; è sempre col consenso del popolo che sono state perpetrate le più grandi ingiustizie.

"Se non state attenti i media vi faranno odiare gli oppressi e amare gli oppressori" (Malcom X)

Quello che io auspico è un sistema che garantisca la massima libertà possibile a chiunque e soprattutto nel verso delle "libertà negative" (cioè quelle fondate sull'opposto dell'imposizione) indirizzate mediante disincentivi anziché di quelle "positive" (che sono quelle fondate sull'imporre), ma nel quale le decisioni siano basate sul raziocinio e non sul dover accondiscendere alle demenziali pretese del volgo istigabile dai capopopolo, sulle cui conseguenze deleterie ne abbiamo avuto un chiaro esempio coi referendum sul nucleare cioè su un tema su cui vi è una separazione netta di "opinioni": chi sa cos'è ne è invariabilmente favorevole, mentre ad esserne contrario è solo chi non sa minimamente cosa sia, solo che purtroppo questi ultimi sono la maggioranza e quindi decidono loro per quanto cretine possano essere le loro opinioni, ma a rimetterci dalla loro ignoranza sono tutti compresi anche i consapevoli! Io se sono ignorante su un argomento non mi ci intrometto! Per quale motivo loro ci tengono tanto a metter bocca (e pure con tale veemenza poi!!!) su una cosa che nemmeno conoscono???? Un mondo nel quale il nucleare non è il caposaldo dei movimenti ecologisti come a rigor di logica dovrebbe essere, ma proprio il contrario, non è un mondo normale. Io sono 25 anni che mi struggo nel vedere la stupidità al potere (con tutte le relative conseguenze) legittimata dal voto e tutti a pendergli dalle labbra, e proprio quando le cose cominciano a migliorare LORO si mettono a protestare come dei cani idrofobi contro il progresso accusando loro i migliori di stupidità, come il bue che dice cornuto all'asino, rivelando che la democrazia che tanto dicevano di adorare gli sta bene ma solo finché a giovarne sono le loro paranoie politiche, mentre quando invece non vengono accondiscese dal voto sbraitano contro la stupidità degli elettori, proprio loro, che sono stati gli entusiasti artefici e sostenitori della politica folle che ha portato all'incresciosa situazione odierna e lo sono tuttora! Io sono semplicemente allibito. Così oltre al danno subìto le persone razionali si beccano ora pure la beffa!!! Dopo aver dovuto assistere impotenti a decenni di manipolazione della realtà, ora che le cose migliorano quelli si permettono di protestare???? Giunta al punto che proprio uno come Umberto Eco può permettersi di dire che "i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli". Ma proprio uno della risma di Eco ha il coraggio di chiamare imbecilli gli altri????? Quando non sono esaudite le loro speranze secondo loro ipso facto cessa di essere democrazia, strana cognizione ne hanno... no cari misantropi grondanti astio a stento represso, la democrazia è proprio quella che permette ai Trump ed agli Hitler di andare al potere!

"Hitler non conquistò le masse tedesche, egli le rappresentò" (Hans Kohn, Ideologie politiche del ventesimo secolo)

La loro cognizione dimostra che evidentemente i sostenitori del totalitarismo sono proprio loro, sono le isteriche ed incomprensibili dimostrazioni contro l'elezione di Trump a palesarlo. E' più degno di stima un allocco bifolco che una fanatica "Lisa Simpson" (cioè una persona che si crede di essere intelligente), poiché il primo almeno non nuoce. Intolleranza, rifiuto del pluralismo, delegittimazione dell'avversario, l'invocazione della censura, sono parte integrante dell'ideologia oggi egemone nelle élites politiche, socio-economiche, intellettuali e mediatiche delle democrazie industrializzate: il progressismo radicale ("radical-chic") che possiamo riassumere nella definizione di "politically correct". Quando il "politicamente corretto" sconfina nel "politicamente ipocrita" produce un solo, clamoroso effetto: far crescere e progredire il "politicamente volgare e scorretto". Non credo, francamente, che sia un concetto così difficile da comprendere... I liberals americani, così come i socialisti nostrani, si stanno dimostrando essere i migliori alleati per chiunque volesse distruggerli: si suicidano da soli. Totalmente scollegati dalla realtà, presentano il delirio di presunzione di essere maggioranza, con le loro parossistiche marce e girotondi. La loro stampa è la quinta colonna della loro scomparsa. Il più potente mezzo autodistruttivo mai inventato. Ci si guardi bene dal cercare di farli rinsavire, anzi, li si aizzino alla discussione: sanno rovinarsi con le loro stesse lingue. Finora hanno sempre vinto loro grazie alla loro stessa stupidità, ma l'umanità non può rimanere per sempre obnubilata come lo è stata finora, prima o poi sarà la maggioranza a dire che "il re è nudo". Mica si rendono conto che Donald Trump lo hanno creato proprio loro con il loro odioso ipocrita fanatismo per il "politicamente corretto" secondo cui chi non la pensa "correttamente" è solo un buzzurro negletto sentendosi perciò legittimati a sbranarlo in branco. Il "politicamente corretto" non è un male in sé, anzi, ma lo diventa quando i suoi fanatici lo trasformano in giustificazione morale per l'umana perversione del piacere misantropico nell'identificare un nemico da additare al pubblico ludibrio e contro il quale potersi accanire senza remore. La caccia alle streghe è una moda che non è mai passata anche se i moderni cacciatori di streghe gonfi di odio, i fanatici del "politicamente corretto", non se ne rendono conto, così come quelli dei secoli passati. Ma le loro vittime se ne rendono conto eccome! Fino a qualche anno fa le loro vittime predilette erano i fascisti, oggi sembra il parafulmine stia vergendo sui semplici "redneck". Essi oggi sono i nuovi "paria". Le recenti ingiustificabili manifestazioni anti-Trump ne sono la dimostrazione. Adesso il nemico è Donald Trump, il demonio da sconfiggere, da delegittimare, da contestare e bloccare in qualsiasi modo. Hanno cominciato con le proteste di piazza a valle della sua elezione alla Casa Bianca, una roba quanto meno surreale per chi si definisce democratico quella di contestare l’elezione democratica di un Presidente. Perché dovete sapere che in questo paese, è vietato contraddire un Radical chic, poiché siamo in Italia, dove centrosocialisti, antagonisti, leopoldini, certi pentastellati, sellioti, rifondatori, e tutto il resto della oscura e sinistra galassia rossa, godono di una auto referenziale "ragione a prescindere". È vietato svergognare un radical chic. E se anche hai ragione e glielo dimostri, sarai comunque "marchiato" immediatamente col nuovissimo mantra di questi disagiati ideologici. "Analfabeta funzionale!" Che nemmeno sanno bene cosa voglia dire, ma il "MAINSTREAM" sinistroide ha detto a tutti loro di usarlo come nuovo "asino di battaglia" per i loro ragli di guerra in ogni contraddittorio, perché fa figo, fa "trendy" e non impegna. È il loro nuovo tormentone... come la maglietta del Che o la kefiah al collo. Serve a consentire ad una marea di scarti umani dediti alle pasticche, di darti dell'ignorante, quando con fatti dimostrabili, documenti, cifre, statistiche consultabili, o dati ministeriali incontrovertibili, quando non bastasse la logica stessa, gli fai fare la figura di merda che meritano. Io mi immagino la "nascita" del radical chic in stile Uruk Hai del Signore degli Anelli, una massa quasi infinita di rimbambiti da marchiare con la mano di Saruman rappresentata, in questo caso, da quelle quattro nozioni che i nostri eroi imparano a pappagallo pretendendo poi di redimere il volgo ignorante. Il prototipo è oggi rappresentato dal sedicente economista Michele Boldrin, il prototipo del "predica bene ma razzola male", o viceversa insomma, perchè le cose che ha studiato e insegna cozzano in maniera stridente contro i suoi pregiudizi ideologici dei quali non riesce a far segreto dato che nonostante una laurea in economia ancora non riesce a togliersi di dosso la puzza di comunismo (dopotutto chi nasce tondo non muore quadrato) che dimostra nel suo definire "fascista" chiunque lo critichi. Atteggiamenti che di per sé, a prescindere dalla validità delle tesi, non fa altro che catalogarli per ciò che sono: bambinelli viziati senza un briciolo di umiltà. Io non ho mai avuto la pretesa di insegnare niente a nessuno ma sopratutto ho capito che quanto studiato si applica ai massimi sistemi, e non costituisce certo la pietra angolare per votare questo o quel partito.

“Che si trattasse di un partito di fanatici lo sapevo già, ma non credevo che tale fanatismo dovesse sfociare in lotte così brutali. Tutti ragionano con un cervello standardizzato, ma nello stesso tempo si controllano e si guardano, pronti ad aggredirsi senza il minimo rispetto. (…) Mi sono reso conto ancora una volta che i rivoluzionari hanno una tremenda paura quando si trovano di fronte ad una commissione d’inchiesta o di indagini. Sono tutti uguali, brutali e vili, senza comprensione e privi di ogni minima forma di rispetto per il prossimo. Sono amici finché loro conviene, ma al momento della lotta sono capaci di dilaniarsi come iene” (Giuseppe Menotti Mancuso, fonte “Rodolfo” del Sid, infiltrata nel partito marxista-leninista d’Italia, 1967)

Mussolini e Goebbels hanno CONSTATATO (perché questo è il senso delle loro due famose frasi! Bisogna essere proprio obnubilati per interpretarle in un altro senso) che "il cinema è l'arma più forte" e "ripeti una bugia mille volte e diventerà una verità", ma ad applicarle non sono stati certo loro ma (e pure alla grande!) sono state le democrazie sedicenti portatrici di libertà! Peccato che i loro cittadini non riescano nemmeno a rendersene conto, a conferma che il risultato desiderato è stato appunto ottenuto. La cinematografia "impegnata" è una totale pantomima di auto-incensamento della democrazia e demonizzazione di un nemico plasmato appositamente sulle proprie necessità (poiché non è che se ti inventi atti affibiandoli a qualcuno, essi si siano verificati davvero eh), peccato che gli ipnotizzati da essa proprio per questo non riescano a rendersene conto, e peccato che quelli che se ne rendono conto sono una minoranza. Come definire una filmografia che mostra un popolo tedesco compatto contro una ristretta minoranza di nazisti, quando i manuali operativi dell'aviazione americana davano indicazione agli aviatori abbattuti salvatisi di cercare di recarsi al più vicino posto di polizia "nazista" dato che qualunque civile tedesco li avesse trovati li avrebbe linciati (e per ovvi e comprensibili motivi!)? E chi lo sa che le vittime civili uccise deliberatamente e non per errore sono più quelle fatte dai britannici (distruzione del raccolto di riso del 1942 in Bengala con diserbanti) che quelle presunte da parte dei tedeschi? Nessuno! Guai a provare a scriverlo su wikipedia nella voce relativa a quella carestia! Ti danno del pazzo! Ma per quale motivo la gente ritiene così incredibile una cosa che io trovo perfino scontata??? Almeno fosse omesso l'intero evento in sé, vabbè, ci siamo abituati, ma il fatto che a fronte dell'ammissione dell'avvenimento lo si imputi puerilmente a delle cause totalmente inesistenti quando la causa è inequivocabilmente univoca ed innegabile, significa agire dolosamente, significa essere degli spudorati bugiardi rei-confessi. Trovate normale un paese nel quale informazioni come questa non le si trova nei libri di storia, ma le si debba leggere per caso in un banale libro di cucina??? Nella democrazia totalitaria odierna il ruolo simbolizzato da Bradbury nei "pompieri" non è più quello di bruciare letteralmente i libri, ma di far in modo che, se proprio non vengano stampati, almeno che non vengano letti, e lo hanno fatto e lo fanno in maniera egregia!

“Si può perfettamente concepire un mondo dominato da una dittatura invisibile nel quale tuttavia siano state mantenute le forme esteriori del governo democratico” (Kenneth Bouldin)

Peccato per loro che poi sia nato internet... ci hanno provato a reprimere pure essa, ed all'inizio ci stavano anche riuscendo, grazie agli "utili idioti" sguinzagliati alle calcagna dei "non allineati". In anni di frequentazione di internet sono rimasto spesso scottato dalle patologie psichiatriche degli "utili idioti", fanatici, irrazionali o esteriormente razionali che apparissero, convinti di aver ragione e di essere loro dalla parte giusta inconsapevoli di agire come burattini di un sistema indecente che anche grazie al loro operato si sostiene. E' una cosa veramente deprimente avervi a che fare. Adesso che stanno diventando loro minoranza (grazie alla possibilità di diffusione delle informazioni grazie a internet che ha scalzato il monopolio dei media tradizionali) mi fanno perfino tenerezza nel loro fanciullesco candore. Anche se a questo punto io devo perfino ringraziare chi rendendomi spettatore delle sue farneticazioni mi ha permesso di avere materiale da poter riportare; in particolare ringrazio il peggior squinternato di wikipedia noto come "Vituzzu" quello che, dopo aver bannato me per puro dispetto, una notte "cedette" il controllo sulla pagina proprio al più subdolo vandalo che si sia mai visto ("Nightbit"). Ringrazio i vari Giovanna Botteri, Federica Sciarelli, Giuseppe Pietrobelli, Riccardo Calimani per avermi permesso di assistere ai loro travisamenti della realtà tramite le loro abilità lessicali e poterli riportare. Paradossalmente, vanno addirittura ringraziati, perchè fanno sì che venga alla luce una vergogna che troppo stesso viene negata o minimizzata, ovvero l’abolizione concreta della libertà, in Italia ed in Occidente, per chi non condivida l’orizzonte progressista. Niente di nuovo sotto il sole, i tolleranti e democratici a corrente alternata esistono da secoli e l’ultimo dei loro idoli è Karl Popper, che teorizzò di negare la parola e la libertà ai nemici della chiamata "società aperta". Sotto qualsiasi cielo, coloro dei quali non si può dire male sono quelli che comandano davvero. In democrazia è permesso dire ciò che si vuole, a condizione che non siano davvero “contro”, o almeno che non contestino le verità ufficiali, le idee divulgate o ammesse dal sistema, i dogmi incontestabili. La democrazia è pensarla allo stesso modo, tutt’al più è ammesso il dissenso sui dettagli, sulle sfumature, insomma, chi vuol dire la sua lo faccia, ma a bassa voce e, per carità, “not in my backyard”, non proprio qui. Non su wikipedia, ad esempio. Il muro americano con il Messico, nella parte costruita al tempo di Obama, è democratico e virtuoso, quello deciso da Trump è una schifezza che grida vendetta e desta indignazione a gettone e manovella, come la musica dell’organetto.
Anche qui non vorrei che fosse stato frainteso il discorso: ho scritto peste e corna della democrazia ma solo riguardo la concezione che ne hanno quegli isterici con la bava alla bocca che protestano contro Trump, mettono bombe, rinfocolano falsità con il cinema, accomunano artatamente bufale a verità scomode, affibiano arbitrariamente neologismi denigratori e non concernenti come "negazionismo", e invertono le colpe sui media con abili ma puerili travisamenti della realtà, cioè democrazia totalitaria ovvero quelli secondo i quali la democrazia è solo fare ciò che vogliono loro. E' irrilevante la scusa accampata che seppur fondata sulla maggioranza essa rispetti i diritti della minoranza: e ci mancherebbe pure fosse diversamente!!!! Ma di cosa stiamo parlando???? Questo si chiama nascondersi dietro un dito!!!!Lo Stato di Diritto non altera il volto del potere che è sempre incentrato sulla forza.

"Tutti i governi si basano sulla forza, e tutti asseriscono di avere il fondamento nella ragione" (Vilfredo Pareto)

Dalle folli decisioni degli incompetenti ci rimette anche la minoranza assieme alla maggioranza, questo è il punto della questione, non il rispetto dei diritti della minoranza che ci mancherebbe pure fosse anche violato quello!!! Lo dicono quasi come fosse una "concessione" benevola che la maggioranza fa alla minoranza! E il cattivo sarei io??? Anti-democratico, se ci riferiamo alla democrazia parlamentare novecentesca, certamente, ma più fanatico sostenitore della libertà di me non ne ho personalmente mai conosciuti, anche i più estremisti anarchici hanno sempre un "ma" in più di me. E se voi stessi ne dubitate mi basta una sola parola: eutanasia. Non vi basta? Per CHIUNQUE la desideri. Un organizzazione sociale come uno stato se vuole dirsi legittimamente morale non può costringere a desiderare una cosa e poi impedire di farla. Se vuole tassare chi non si sposa deve però trovare il coniuge, e solo di fronte al preciso rifiuto allora dopo potrà permettersi di tassare il celibato. Secondo voi è normale una società che si scandalizza per l'autorizzazione concessa (paradossale che si debba perfino far attenzione a soppesare i termini da usare!) al far cessare le sofferenze ad un 17enne, a fronte del trovare normale e perfino commentare con tono gioioso la notizia che ad una bambina (questa si) un giudice ha concesso di far congelare la salma, questo si un abominio privo di alcun senso. Immorale è por termine alle sofferenze di una persona viva sofferente, normale è congelare un cadavere, in un mondo capovolto certamente. C'è solo un termine per definire ciò: sadismo.

“Gli uomini sono sempre contro la ragione, quando la ragione è contro di loro” (Claude Adrien Helvetius)

Il più grande nemico di ogni convinzione e partito preso è il dubbio, bisogna insinuare il dubbio in ogni dove per scardinare un ordine precostituito. Il reddito di cittadinanza porterà una condizione che permetterà l’applicazione di sistemi fiscali e sociali veramente equi ed efficienti, che attorno ad esso ruoteranno e che sarebbero assolutamente improponibili con l’attuale sistema pseudo-liberista keynesiano a causa poi soprattutto delle divergenze di interessi particolari di quelli che oggi traggono profitto dall’inefficienza dell’intrico burocratico e dall’iniquità delle finanze, e che quindi ne sono i sostenitori, ignari che l'inefficienza danneggi proprio loro per primi.

"Provare a liberare un popolo che vuole rimanere servile è difficile e pericoloso quanto provare a schiavizzare un popolo che vuole rimanere libero" (Niccolò Machiavelli)

Non solo i boiardi di stato, ma anche i parassiti delle organizzazioni criminali ed il loro “indotto”, chi campa sull’assistenzialismo e sugli “ammortizzatori sociali” causa stessa ed effetto dell’inefficienza, per non parlare dell’area “radical-chic” erede salottiera del più fanatico stile azionista dell'osservanza massonica nordista, facente riferimento al “Movimento Roosevelt”, diretta emanazione in campo “metapolitico” dell'osservanza nordista e di chiara ispirazione Keynesiana, al partito dei “verdi”, al quotidiano Repubblica, ed a Rai 3, e dei loro astiosi “figli” no-global come “utile idiota”, ed avente in Giorgio Bocca il più manicheo rappresentante; a tutti quegli artisti ed intellettuali “di sinistra” risultato delle strategie gramsciane di conquista indiretta del potere, che campano lucrando sugli strumenti del capitalismo; alla sinistra liberale facente capo ai radicali; al “centro” dirigista facente capo agli eredi del partito repubblicano ed alla fallimentare IRI; ai capitalisti “illuminati” di mediobanca; ai tecnici economici prestati alla politica tipo Ciampi, Maccanico, Monti, e Dini; al sindacalismo arrivista, corrotto, e classista; ai vari tribuni tipo Antonio Di Pietro e Marco Travaglio manovrati non si sa da chi; a quei giudici dell’“intellighenzia”, molti dei quali hanno certo tutto il merito di aver scoperto altarini che altrimenti sarebbero tuttora nell’ombra, ma che hanno avuto in ciò un limite proprio nell’obnubilamento dovuto al loro fanatismo ideologico (implicito è chiedersi quanti “misteri” siano rimasti ancora nell’ombra solo per colpa dell’incapacità di questi magistrati di guardare oltre i loro pregiudizi dai quali tutti pendono dalle labbra estasiati). Tutti burattini inconsapevoli di quell'ideologia della quale oggi l'incarnazione si presenta sotto forma di George Soros, il nemico numero 1 del reddito di cittadinanza (in Italia dal suo gauleiter De Benedetti). Stranamente, ciò che non ha bisogno, o non merita d'esser difeso, ha sempre una folta schiera di ottimi difensori a fargli scudo. Da questa incertezza origina l’altra faccia del potere, quella che tende a stabilizzare le posizioni acquisite, intervenendo sulla facoltà altrui di agire (libertà positive). Il potere è anche potere di impedire. A questo proposito si deve osservare che questa caratteristica non deriva solo dalle intenzioni dell’attore, ma anche dalla natura eminentemente relazionale del potere. La nozione di potere è infatti “inscindibilmente legata al contesto nel quale esso si pone” (Ben Barnes) e ciò in quanto ogni volta che noi esercitiamo il nostro potere di agire dobbiamo sempre fare i conti con altri, ai quali finiamo spesso per imporre la nostra volontà, anche a prescindere dalle nostre intenzioni. Così ad esempio, quando in un asta l’ultimo nostro rilancio ci consente di acquisire quel bene, altri saranno costretti a rinunciare all’acquisto a cui tanto avevano tenuto. Il potere di fare e quello di impedire sono dunque strettamente legati alla posizione occupata in una data configurazione relazionale. In definitiva il potere ha sempre una natura ambivalente. Esso è insieme “poter fare” e “impedire”; e se da un lato esso permette di accumulare le risorse necessarie per l’azione, dall’altro stabilizza le posizioni, e in questo modo riduce le capacità di trasformazione e innovazione. Il confine tra questi due aspetti è molto labile e basta un nonnulla per scivolare dal poter fare all’impedire. Il potere di un soggetto, molto spesso, nasce dalla capacità di sfruttare l'impotenza degli altri. Il segreto del potere è fare le cose con discrezione, ed i casi più difficili da risolvere sono quelli di cui già si conosce il colpevole. Spinto dalle "lobbies", il sistema giuridico esistente mira a isolare il potere di proprietà, d’impresa. Non tutti riescono a comprendere per quale motivo gli enti pubblici sono così restii a restaurare o a costruire nuove case popolari: semplicemente perché l'"associazione nazionale proprietari di case" non vuole! Ma il bello è che c'è gente che giustifica ciò! Capite in che razza di mondo stiamo vivendo????? Scrive Marcello Veneziani:
In che consiste oggi l'egemonia culturale? In una mentalità dominante che eredita dal comunismo la pretesa di Verità Ineluttabile (quello è il Progresso, non potete sottrarvi al suo esito). Quella mentalità s'è fatta codice ideologico e galateo sociale, noto come politically correct, intolleranza permissiva e bigottismo progressista. Chi ne è fuori deve sentirsi in torto, deve giustificarsi, viene considerato fuori posto e fuori tempo, ridotto a residuo del passato o anomalia patologica. Ma lasciamo da parte le denunce e le condanne e poniamoci la domanda di fondo: ma questa egemonia culturale cosa ha prodotto in termini di opere e di intelligenze, che impronta ha lasciato sulla cultura, la società e i singoli? Ho difficoltà a ricordare opere davvero memorabili e significative di quel segno che hanno inciso nella cultura e nella società. E il giudizio diventa ancor più stridente se confrontiamo gli autori e le opere a torto o ragione identificate con l'egemonia culturale e gli autori e le opere che hanno caratterizzato il secolo. Tutte le eccellenze in ogni campo, dalla filosofia alle arti, dalla scienza alla letteratura, non rientrano nell'egemonia culturale e spesso vi si oppongono. Potrei fare un lungo e dettagliato elenco di autori e opere al di fuori dell'ideologia radical, un tempo marxista-progressista, se non contro. L'egemonia culturale ha funzionato come dominazione e ostracismo ma non ha prodotto e promosso grandi idee, grandi opere, grandi autori. Anzi sorge il fondato sospetto che ci sia un nesso tra il degrado culturale della nostra società e l'egemonia culturale radical. I circoli culturali, le lobbies e le sette intellettuali dominanti hanno lasciato la società in balia dell'egemonia sottoculturale e del volgare. E l'intellettuale organico e collettivo ha prodotto come reazione ed effetto l'intellettuale individualista e autistico che non incide nella realtà ma si rifugia nel suo narcisismo depresso. Ma perché è avvenuto questo, forse perché ha prevalso un clero intellettuale di mediocri funzionari, anche se accademici? Ci è estraneo il razzismo culturale, peraltro assai praticato a sinistra, non crediamo perciò che sia una questione «etnica» che riguarda la razza padrona della cultura. Il problema è di contenuti: l'egemonia culturale non ha veicolato idee, valori e modelli positivi ma è riuscita a dissolvere idee, valori e modelli positivi su cui si fonda la civiltà. Non ha funzionato sul piano costruttivo, sono naufragate le sue utopie, a partire dal comunismo; ma ha funzionato sul piano distruttivo. Se l'emancipazione è stata il suo valore fondante e la liberazione il suo criterio principe, il risultato è stato una formidabile, quotidiana demolizione di culture e modelli legati alla famiglia, alla natura, alla vita e alla nascita, al senso religioso e alla percezione mitica e simbolica della realtà, al legame comunitario, alle identità e alle radici, ai meriti e alle capacità personali. È riuscita a dissolvere un mondo, a deprimere ed emarginare culture antagoniste ma non è riuscita a generare mondi nuovi. Il risultato di questa desertificazione è che non ci sono opere, idee, autori che siano modelli di riferimento, punti di partenza e fonti di nascita e rinascita. L'egemonia culturale ha funzionato come dissoluzione, non come soluzione. Oggi il comunismo non c'è più, la sinistra appare sparita ma sussiste quella cappa asfissiante anche se è un guscio vuoto di idee, valori, opere e autori. Il risultato finale è che l'egemonia culturale è un potere forte con un pensiero debole (e non nel senso di Vattimo e Rovatti); mentre l'albero della nostra civiltà, con le sue radici, il suo tronco millenario e le sue ramificazioni nella vita reale, è un pensiero forte ma con poteri deboli in sua difesa. La prima è una chiesa con un episcopato in carica e un vasto clero ma senza più una dottrina e una religione; viceversa la seconda è un pensiero forte, con una tradizione millenaria, ma senza diocesi e senza parrocchie... Così viviamo una guerra asimmetrica tra un potere forte ma dissolutivo e una civiltà non ancora decaduta sul piano spirituale ma inerme e soccombente sul piano pratico e mediatico. La prevalenza odierna della barbarie di ritorno deriva in buona parte da questo squilibrio tra una cultura egemone ma nichilista e una civiltà perdente o forse già perduta. La rinascita ha due avversari: la cultura nichilista egemone e il nichilismo senza cultura della volgarità di massa. L'egemonia di sinistra ha creato un deserto e l'ha chiamato cultura.

Stato minimo

“Io penso che lo Stato debba rinunziare alle sue funzioni economiche, specialmente a carattere monopolistico, per le quali è insufficiente. Penso che un governo, il quale voglia rapidamente sollevare le popolazioni dalla crisi del dopoguerra, debba lasciare all’iniziativa privata il suo libero gioco, debba rinunziare ad ogni legislazione interventistica o vincolistica, che può appagare la demagogia delle sinistre, ma alla fine riesce, come l’esperienza dimostra, assolutamente esiziale agli interessi e allo sviluppo dell’economia” (Benito Mussolini alla camera di commercio, 18 marzo 1923)

Alla pubblica amministrazione deve essere lasciato solo ciò che il privato non può fare in regime di libero mercato o in cui sarebbe meno efficiente, cioè esercito (il contesto obbligato sia di monopolio che di monopsonio ne impedisce ogni possibilità di privatizzazione efficiente), giustizia (idem come il primo ma limitatamente all'organo giudicante), e polizia, che seppur affiancabile da iniziative private, una minima organizzazione pubblica è necessaria perlomeno per impedire conflitti d'interesse ed abusi dell'autorità di cui è investita l'istituzione, per cui la necessità di una polizia come "braccio" diretto dell'amministrazione pubblica è necessaria per tali motivi, di cui facciamo un esempio: dato che le aziende gestrici delle strade subiranno multe per gli incidenti accaduti sulle strade gestite (per incentivare l'interesse alla sicurezza e controllo), e che esse affideranno il controllo stradale ad aziende di polizia privata, chi dovrebbe emettere tali multe? Ci sarebbe un conflitto di interesse dato che non si potrebbe pretendere che l'azienda gestrice faccia multare sé stessa tramite la polizia privata di cui è cliente! Per questo serve un istituzione "super partes" che emetta tali multe per conto dell'amministrazione pubblica, e solo una forma (per quanto di conseguenza limitata) di polizia direttamente incaricata da essa potrebbe farlo sotto tale veste. Essendo i compiti delle polizie pubbliche perlopiù simili a questo, si capirà come il loro organico necessiti di una forza molto ridotta rispetto ad oggi. Si avrebbe lo "Stato minimo" o "miniarchia" il cui capostipite fu Thomas Jefferson. Nella società politicizzata invece si hanno sempre più funzionari e burocrati. Si dedica tempo, ingegno e sforzi non a carpire e soddisfare le necessità degli altri attraverso un processo volontario, ma a influire sul processo di decisione politica, a conseguire aiuti e sovvenzioni, a fare manifestazioni e scioperi. Ognuno cerca di risolvere i propri problemi utilizzando i mezzi politici. Tendenzialmente, dunque, lo scambio pacifico avviene dove il peso dello stato è minore, dove invece è maggiore si riscontrano scambi coattivi, la cui principale manifestazione sono i vantaggi e i privilegi particolari ottenuti tramite mezzi politici (eufemismo per dire utilizzo della coercizione e della violenza). I liberali ritengono che lo Stato sia necessario per impedire ai "pirati e ai barbari" di oltrepassare i confini (Difesa), per impedire ai criminali di ucciderli e derubarli (Sicurezza interna e ordine pubblico), e per far rispettare i contratti e la proprietà privata (Giustizia). Il costo di questo Stato di Diritto e Sovrano è sostenuto dalla creazione di ricchezza attraverso la produzione ed il lavoro dei cittadini. E' uno Stato snello quindi la quota procapite è sostenibile. Dato che la quota procapite è sostenibile la quota di reddito che rimane nella disponibilità del cittadino è sufficiente a procurarsi ogni altro bene e servizio di cui ha necessità e secondo le proprie esigenze e ad accantonare una quota di risparmio per i periodi di carestia, malattia e vecchiaia. I socialisti invece ritengono che lo Stato abbia altre funzioni, ovvero assicurarli contro la povertà, l'ignoranza, e la malattia (Stato Sociale). Dato che il costo di questi compiti è enorme e quindi anche la quota da versare procapite (tasse) è anch'essa enorme e l'apparato per amministrare le funzioni (burocrazia) richiede molti addetti, la quota residua di reddito che rimane al cittadino è esigua e gli impedisce di scegliere liberamente i servizi ed i beni utili alle proprie esigenze. Anche la quota di risparmio si riduce o si azzera impedendogli di affrontare gli imprevisti e gli investimenti per intraprendere le attività produttive rendendolo più dipendente e sottomesso allo Stato innescando un circolo vizioso. Molti sono disincentivati a produrre ricchezza ed altri preferiscono reperire risorse presso lo Stato con sussidi e sovvenzioni o posti di lavoro improduttivi. Lo Stato impegna tutte le proprie risorse nel settore assistenziale e non ne ha da dedicare alla Difesa, Sicurezza, Ordine Pubblico, Giustizia, pertanto non può difendere i suoi confini e i suoi cittadini e molti stranieri e pirati economici arrivano dall'esterno per sfruttare l'assistenzialismo facilitati dal caos lassista dovuto all'assenza di controllo e giustizia. In breve tempo a causa del drastico calo dei cittadini produttivi e dell'aumento di quelli che vogliono essere assistiti il sistema collassa.

"Lo Stato non è la soluzione ai nostri problemi, lo Stato è il problema" (Ronald Reagan)

Nello Stato minimo sorge uno stato di diritto, si ha cioè il dominio della legge in senso materiale: tutti gli esseri umani sono uguali davanti alla legge considerata in termini astratti e universali. Però si faccia attenzione: lo stato di diritto è come un cerchio quadrato, la neve calda, la puttana vergine, è un ideale irrealizzabile. Se esiste uno stato è impossibile che esso lo sia di diritto. Nella società odierna lo stato è invece dittatoriale o paternalista indipendentemente che si definisca fautore di libertà come fanno quelli democratici appropriandosi di un termine ("libertà") che non gli appartiene per niente. Sono dominanti i regolamenti, il diritto amministrativo, si ha legge intesa in senso formale: fare cose concrete in circostanze specifiche.
Nello Stato minimo la libertà è assenza di coazione (si fonda cioè su libertà negative, non positive). Quello odierno è invece un sistema capovolto, nel quale le libertà sono invertite: le cose buone sono proibite, quelle cattive sono libere, e la libertà si ridefinisce come il poter fare quello che si vuole, che sia un dittatore o la maggioranza democratica (due facce della stessa medaglia), in cose alle quali si dovrebbe mettere un freno poiché inficiano la libertà altrui (ad esempio la prostituzione), mentre di contro proibisce espressamente in ambiti nei quali la libertà di scelta non inficerebbe in alcun modo la libertà altrui (un esempio: l'eutanasia). In pratica l'esatto opposto del "la tua libertà finisce dove inizia la mia" trasformato in un surreale "la tua libertà inizia dove finisce la mia". Si fraintende il concetto di libertà: non sono libero perché non ho una casa decente quindi ho il diritto a ottenerla con la violenza (o con i mezzi politici che è la stessa cosa).
Questa analisi ci permette di interpretare quello che ci accade intorno: la civilizzazione occidentale è il risultato di un tipo di società impostata sui vincoli contrattuali, benché essa sia costantemente minacciata dalla presenza di vincoli egemonici. La società di oggi è di fatto una società mista, dove i vincoli egemonici continuano ad aumentare. Nel lato dell'economia, il socialismo reale, come sistema di organizzazione sociale dove i beni capitali e i fattori di produzione sono di proprietà pubblica, impedisce la formazione dei prezzi monetari e il calcolo economico diventa impossibile. Nella socialdemocrazia della fissazione dei prezzi non è molto diverso. Sorge pertanto il mercato nero nel quale gli speculatori risolvono, come meglio possono, il problema della scarsità e dei razionamenti. Il contrabbando, il mercato nero, in qualche modo cercano di scavalcare la restrizione istituzionale. Contrariamente a quanto si pensa, bisognerebbe fare un monumento agli speculatori e ai contrabbandieri, che riescono a ovviare, in parte e come possono, ai problemi dell'interventismo. Mettono in moto l'alertness di coloro che nella restrizione istituzionale vedono aprirsi incredibili squilibri e quindi possibilità di trarne dei benefici, effetto però non sempre positivo essendo fonte di criminalità in seguito al processo di criminalizzazione della produzione e distribuzione del bene. Solo i più esperti nel violare la legge si possono dedicare alle attività vietate per decreto, quindi quella che chiamiamo mafia e in genere i criminali. Costoro, grazie al divieto che elimina la concorrenza e alza i prezzi per "costo di opportunità" (per via del maggior rischio) hanno la possibilità di ampliare enormemente i propri margini di profitto. Fanno quindi molto denaro. I larghi margini di guadagno forniscono mezzi sufficienti per corrompere il sistema che ha imposto il divieto. Una delle peggiori conseguenze è che dato che i criminali tra loro non posso farsi concorrenza in maniera corretta, non possono ricorrere alla legge e ai tribunali ordinari per il mancati rispetto di accordi contrattuali; per regolare le questioni devono ricorrere quindi alla violenza. Inoltre quei consumatori malati che non riescono a controllarsi, si trasformano presto anche in criminali. Il costo di una dipendenza è infatti troppo alto e per procurarsi il denaro sono spinti a commettere aggressioni e violenze di ogni genere. La proibizione quindi, corrompe la società intera, non solo la funzione imprenditoriale. Le forze dell'ordine anzi che dedicare gli sforzi alla protezione della vita, della protezione della proprietà e a mantenere l'ordine pubblico, si dedicano a una lotta perduta, per causa di una ipocrisia immensa. Non è la droga che distrugge, ma la proibizione. Quando si rimuove la proibizione la principale fonte di reddito dei criminali sparisce. Chi beneficiava del proibizionismo? La criminalità! E chi finanziava il partito dei proibizionisti? Ma la stessa criminalità naturalmente. Chi beneficia e chi finanzia il proibizionismo della droga: sempre la criminalità! E dalla commistione tra istituzioni e criminalità ne deriva quella che chiamiamo una "mafia". La repressione è un assurda utopia che porta a conseguenze opposte rispetto a quelle desiderate, e crea danni enormi al processo sociale. La conclusione della scienza economica, confermata dalle forze dell'ordine e dagli stessi giudici che trattano la questione nella realtà, è pertanto liberalizzare la droga, andando ad agire poi sulle conseguenze secondo il principio di "riduzione del danno" direttamente sui consumatori (con ricoveri coatti) anziché sugli spacciatori. Lo stesso ragionamento vale per il rispetto dell'ambiente: nel paradosso dei beni liberi non si agisce imprenditorialmente e nessuno se ne preoccupa. Nel passato c'erano zone dell'Europa quasi disabitate, ricche di beni liberi, dove poca gente aveva a disposizione tutto quanto ma faceva la fame. Oggi nelle stesse zone tutto è privato, parcellizzato, scarso, eppure la zona è molto più popolata e la ricchezza in termini, di beni, servizi, ecc, è infinitamente maggiore. I problemi di scarsità che emergono vengono risolti solo tramite la creatività, l'assegnazione in termini economici, e i diritti di proprietà, la responsabilità diretta. La soluzione per ovviare alla trasformazione di un bene libero in bene economico non è quella di rendere il bene pubblico, da far amministrare ai burocrati. Basta estendere la proprietà privata ai principi dell'economia di mercato, e alla creatività imprenditoriale. In questo modo i problemi di scarsità e di inquinamento possano essere risolti nella maniera migliore possibile. Ad esempio gli elefanti in alcune zone dell'Africa: laddove sono una specie protetta rischiano l'estinzione; dove sono privatizzati, assegnati in proprietà alle tribù locali, vengono gestiti in maniera oculata. Perché la risorsa fiorisca bisogna privatizzarla. L'ecologia di mercato poi è un tema la cui conclusione è che tutti i problemi ambientali nascono dall'intervento dello stato sulle risorse corrispondenti che vengono rese pubbliche. Secondo Ronald Blaschke la transizione ecologica sostenibile è impossibile senza la sicurezza sociale incondizionata per tutte le persone ed il raggiungimento dell'ottimo paretiano che solo il sistema avente come fondamento il reddito di cittadinanza può comportare. Tutti i problemi ambientali si risolvono eliminando l'intervento dello stato e ricorrendo alla privatizzazione delle risorse coinvolte.

"Non ha importanza di quanto lo Stato controlli l'economia, per qualsiasi problema si darà la colpa alla libertà ancora disponibile" (Sheldon Richman)

La funzione imprenditoriale è quell'innata capacità dell'essere umano di rendersi conto delle opportunità di beneficio che sorgono nel suo intorno, e di attuare per coglierle. Tre effetti essenziali della funzione imprenditoriale: creazione di informazione, trasmissione di informazione e infine di coordinamento e aggiustamento. Effetti che si realizzano automaticamente, senza alcun bisogno che l'imprenditore sappia nulla di economia o di teoria economica. A guidarlo sarà la mano invisibile.

Il movimento dei tassi verso il basso è lo stesso generato nel sistema dall’aumento del risparmio che invece di fatto non c’è. Ciò nonostante gli imprenditori avviano nuovi investimenti, nei quali impegnano i loro sforzi e la loro creatività, compiendo un errore di valutazione. La politica monetaria, in forma di espansione creditizia, distorce le decisioni degli imprenditori e si ripercuote sulla struttura economica reale. Questo è solo un piccolo esempio dei risultati distorsivi apportati da decisioni irrazionali. Tuttavia l'interpretazione marginalista è fallata da un errore di fondo. Tendenzialmente le aziende mantengono denaro in conto corrente (utili non distribuiti) quando i tassi di interesse sono alti; utilizzano questo denaro (per acquistare macchinari ad esempio) quando i tassi di interesse sono inferiori al tasso previsto di rendimento dell’investimento tecnologico. Se ne potrebbe ingenuamente ricavare che i tassi di interesse alti siano un limite al progresso tecnologico, e viceversa che la diminuzione di fondi per investimento rialzi i tassi di interesse, ma in realtà ciò sarebbe un effetto e non una causa, con tendenza all’equilibrio. Una limitazione artificiale tesa a far diminuire i tassi di interesse si rivelerebbe solo mera “forzatura del risparmio”. I tassi sono il “dito” e non la “luna”, quindi l'interpretazione marginalista è fallata dalla mancanza di comprensione che il sistema monetario si autocompensa ("mano invisibile") ed in particolare dal negare la neutralità della moneta, andando con ciò all'opposto rispetto ai keynesiani. La verità sta nel mezzo. Se si paventa che il reddito di cittadinanza possa portare ad un “ricarico” (valore aggiunto arbitrariamente oltre l’equilibrio di rendita ed oltre l’eventuale livello di profitto), anche fosse si deve considerare però che esso si sovrapporrebbe (senza sommarsi quindi) al differente carico comunque già indotto dal nuovo sistema fiscale a cui si affiancherebbe, compensato dall’eliminazione delle imposte dirette progressive e dalla razionalizzazione dei servizi ex-pubblici privatizzati; stabilizzato il livello dei prezzi ed annullati gli effetti teoricamente inflattivi avremmo un fenomeno di autocorrezione connesso all'influenza della legge della concorrenza sull'effetto reddito; gli stessi beni rimarrebbero fissati al loro valore ideale riportando (ovvero mantenendo, per “effetto reddito”) il rapporto tra prezzi e redditi (“potere d’acquisto”) all’equilibrio, ceteris paribus (si consideri il concetto di “neutralità della moneta”), per cui per queste ovvie ragioni logiche il rischio di inflazione spontanea sarebbe totalmente scongiurato a differenza di quanto sostengono i marginalisti, poiché come si può dedurre dalla teoria del reddito permanente di Milton Friedman che le funzioni autonome di consumo e risparmio (la “funzione di consumo” è il rapporto tra reddito e consumo; la “funzione di risparmio” è il rapporto tra reddito e risparmio) rimangano invariate, se ne ricava che la distribuzione del reddito di cittadinanza non comporterebbe teoricamente cambiamenti sostanziali nella produzione e nemmeno nell’allocazione rispetto alla situazione attuale (la “piramide” resta inalterata nella sua forma), e quindi nemmeno nell'indice di Gini (con il valore 0 che corrisponde all’uguaglianza perfetta, ad esempio la situazione in cui tutti percepiscano esattamente lo stesso reddito; valori alti del coefficiente indicano una distribuzione più diseguale, con il valore 1 che corrisponde alla più completa disuguaglianza, ovvero la situazione dove una persona percepisca tutto il reddito del paese mentre tutti gli altri hanno un reddito nullo) e nella curva di Kuznets, ma comporterebbe una razionalizzazione efficientista del lavoro e di tutto il sistema sociale (e solo come conseguenza di ciò più efficienza in produzione ed allocazione). Ciò in quanto, assodato che il risparmio è sempre equivalente alla spesa per investimento e che l’aumento di domanda aggregata aumenta solo il livello dei prezzi e non incide sulla produzione, i beni prodotti vanno comunque distribuiti (“allocati”), al prezzo adeguato alle richieste di mercato, mercato basato sulla quantità di beni disponibili, conservandovi quindi un equilibrio reddito / spesa perlomeno non dissimile da quello odierno, ma nella realtà più stabile come conseguenza alla scomparsa di inflazione e disoccupazione per come intese oggi; ed anche, così come oggi, quando i costi di produzione superano il rendimento dato dal prezzo, il bene (evidentemente non ritenuto necessario) semplicemente non verrebbe prodotto (per “costo di opportunità”, il quale determina all’imprenditore come impiegare più opportunamente i fondi disponibili per l’investimento, ossia cosa è più conveniente produrre e commerciare e cosa meno; al consumatore determina come impiegare più opportunamente i fondi disponibili per la spesa, ossia cosa è più necessario acquistare e a cosa dover rinunciare di conseguenza), massimizzando con ciò la “funzione di utilità” (è la misurazione della soddisfazione data ad una persona dal consumo dei beni, ovvero dal livello in cui essi colmino la sua percezione di necessità) non dissimilmente rispetto ad oggi. Se ne deduce che la base fondante del reddito di cittadinanza si regge sulla constatazione della “legge di Say” (che analizza il concetto che le merci si pagano con le merci, e che i valori di scambio reciproci si adeguano di conseguenza; si tenga conto che anche la moneta è una merce, seppur simbolica). Say scoprì la teoria della determinazione dei prezzi delle risorse, il ruolo del capitale nella divisione del lavoro e la “Legge di Say”: non può esservi prolungata “sovrapproduzione” o “sottoconsumo” sul libero mercato se ai prezzi è consentito di aggiustarsi in modo naturale; era un difensore del laissez – faire e della rivoluzione industriale, proprio come Bastiat. Da giornalista pro mercato, Bastiat sosteneva anche che i servizi non materiali erano soggetti alle stesse leggi economiche di quelli materiali. In una delle sue numerose allegorie economiche, Bastiat enunciò la “fallacia della finestra rotta”, resa popolare, più tardi, da Henry Hazlitt. Questo significa in parole povere che, a differenza di quello che avviene con l’applicazione delle teorie marxiste-sraffiane e di quello che paventano i marginalisti, in un sistema distributista il livello di vita rimarrebbe generalmente perlomeno uguale ad oggi dal punto di vista della percezione personale, comunque non inferiore, dato che per la produzione aggregata non si intravede alcun motivo per prospettarvi una sua diminuzione o una variazione del tipo di beni prodotti (che invece per il marxismo, come anche esperienza insegna, si prospettano). Nel distributismo, così come nel liberismo, quando c’è un prodotto sul mercato, esso viene in ogni caso adeguatamente usufruito, cioè scambiato secondo le normali leggi domanda / offerta che ne determinano il prezzo; contrariamente a quanto accade col marxismo, il quale, considerando il costo come fattore determinante il prezzo (“teoria del valore-lavoro”, che assurdamente sostiene che il valore di un oggetto sia determinato dal tempo impiegato per costruirlo), si ritrova inevitabilmente schiacciato tra inefficienti giacenze da un lato e scarsità dall’altro (inefficienza allocativa). Da ciò si evince chiaramente che il concetto “cosa produrre, come, e per chi” base dello studio dell’economia politica, permane immutato rispetto ad oggi con il reddito di cittadinanza del sistema distributista. Ma diversamente dai liberisti puri, i distributisti auspicano che il lavoro umano sia (se non proprio tolto dal novero dei fattori di produzione come vorrebbero le teorie estreme della "socializzazione") perlomeno indipendente dalla sopravvivenza di base. Di conseguenza, distinguendosi in ciò dagli economisti liberisti, i distributisti rifiutano di considerare le merci come numeri fini a se stessi, e giudicano illogica e surreale la morale espressa nella “favola delle api” (essa sostiene che il consumo indotto, in quel caso dal vizio, giovi all’economia come circolazione di moneta; ossia che sia la domanda a creare l’offerta, e quindi la diminuzione di domanda sarebbe causa di recessione. Ciò presupporrebbe che le diminuzioni di domanda siano fini a se stesse, cosa che non corrisponde a realtà), alla quale contrapponendovi il “Racconto della finestra rotta” (esso vuole confutare il luogo comune che la rottura di una finestra, dando lavoro al vetraio, giovi all’economia. Contesta e capovolge quindi la paradossale affermazione “più spesa uguale più ricchezza” ovvero che la domanda crei l’offerta. Sostiene invece che domanda ed offerta vengano sempre ad equilibrarsi spontaneamente secondo le leggi matematiche che le regolano) intendono sostituire gli inefficienti, iniqui, ed infimi effetti redistributivi della disonestà e dello sperpero con quelli del reddito di cittadinanza che a differenza di quelli non possono essere fonte di "esternalità" causanti "perdite secche", "consumo delle suole", criminalità e competitiva prevaricazione.

“Il bordello è l’unica istituzione italiana dove la competenza è premiata e il merito riconosciuto” (Indro Montanelli)

E proprio per questo Smith insisteva sulla necessità di tendere ad una situazione quanto più possibile prossima alla concorrenza, eliminando le sovrastrutture, unico efficace strumento per combattere la concentrazione di potere e la corruzione. Generalmente si tende fatalisticamente a giustificare la corruzione (“in fondo fa arrivare i treni in orario”), ma ciò è ingannevole, perché la corruzione non produce alcuna ricchezza ed anzi per feedback induce che nel momento in cui non si ha possibilità o volontà di corrompere ne risulta che il “treno” viene fatto tardare appositamente dalla burocrazia anche quando sarebbe arrivato di per sé in orario. Il costo della corruzione pesa su tutti come sovrapprezzo ricaricato sui beni consumati, in quanto incidendo ugualmente su tutte le aziende di un settore eleva il livello concorrenziale dei prezzi. Quando l’azienda opera su appalto pubblico i maggiori costi ricadono sulle cifre richieste nella gara e quindi sulla spesa pubblica, con l’effetto non di “far arrivare in orario il treno” incoraggiando la realizzazione di opere pubbliche, ma di aumentare i costi per il “carbone” e quindi limitando la “velocità” ed il “numero di corse” effettuate dal “treno” ovvero di opere pubbliche! Non dimentichiamo che non certo a caso proprio l'Urss era il "regno della corruzione". Il socialismo è corruzione e comporta corruzione! Se la nostra vita dipende da chi sta in alto, non ci deve sorprendere che si scateni una lotta di tutti contro tutti per influire su chi emette gli ordini. Anzi che dedicare i nostri sforzi per sviluppare la nostra creatività imprenditoriale, volta a soddisfare nella maniera migliore possibile le necessità e i bisogni degli altri, ci impegniamo invece nel processo corruttivo che cerca di influire su chi è in grado di dare ordini e distribuire ricchezza. L’effetto corruttivo è anche difensivo, innesca nella società un metodo perverso di operare ed agire. La corruzione in URSS era spesso la soluzione al problema, non il problema. Il mercato nero, le tangenti servono infatti a sbloccare ad aggirare quello che gli ordini bloccano! L’economia sommersa è spesso una soluzione, anche se una soluzione perversa. I funzionari e i burocrati che eseguono gli ordini si lamentano sempre di non avere sufficienti risorse, ne chiedono sempre di più. Il loro obbiettivo è quello di spendere sempre di più e di distribuire sempre di più nel loro intorno. Ciò comporta inevitabilmente una inutile, sovra estensione megalomane degli organi burocratici. C’è poi la corruzione prodotta sul concetto di giustizia. Come si è visto, si inventa la giustizia sociale, nell’ambito della quale si elimina la sicurezza giuridica e si realizzano i maggior danni e la maggior corruzione che si possa immaginare. Il socialismo è per riassumere il vero oppio del popolo. Quando si entra nella spirale non se ne esce più. Una volta concessi privilegi e sovvenzioni essi non si riescono più a togliere. Nessuno si azzarda a togliere i privilegi concessi, si rischiano le rivolte, gli scioperi che bloccano il paese, si perdono le elezioni. Non è la religione ad costituire l'oppio del popolo, ma il socialismo, lo statalismo. Secondo la “scuola neoclassica” l’economia, a differenza di quanto la maggior parte delle persone crede, è una scienza esatta, e quindi non può essere un opinione. Se ci sono “opinioni” è proprio perché gli “opinionisti”, come Marx, non sono economisti; il fatto che qualcuno abbia considerato l’economia assimilabile alla filosofia ha comportato quello che è stato il comunismo. Le altre scuole di pensiero economico non contestano totalmente ciò, ma vi annotano l’influenza di fattori sociologici, già genericamente contemplati da Adam Smith sotto il concetto di “mano invisibile”. Chi non concorda con questo sostiene che infatti, se è vero che l’econometria fornisce modelli matematici del comportamento degli operatori economici, tuttavia tali modelli sono descrittivi e molto semplificati rispetto alla realtà concreta; per esempio, si deve supporre che il consumatore sia razionale nelle sue scelte, o che le imprese ricerchino esclusivamente il massimo profitto, ma tutto ciò non sempre accade realmente. Il che non fa altro che confermare la visione dell’economia come scienza esatta, in quanto è proprio per questi motivi se ci sono distorsioni, che mancherebbero se all’economia venissero sempre applicate esattamente le sue leggi matematiche. E' la mano invisibile ad essere mossa dalla matematica, e non viceversa. Qualcuno dica a quelli che sostengono che l'economia non è una scienza matematica che stanno riferendosi alla finanza, non all'economia: tutte le contestazioni regolarmente si riferiscono ad aspetti finanziari, non economici. Dire che i neoclassici vedono "un mondo economico di superuomini e superdonne capaci di fare previsioni corrette ed esatte grazie alle informazioni fornite dal mercato" è disonesto, in quanto ad occuparsi del mercato e delle sue informazioni è la finanza, non l'economia. Il contadino sa che seminando semi di melone cresceranno piante di melone (questa è "economia"), ma non può sapere se il suo campo sarà colpito o no dalla grandine (questa è "finanza")! Ogni cosa al suo posto. Nessun economista neoclassico pretende di poter prevedere la grandine come invece sembrano accusare i marginalisti, ma sa che seminando meloni cresceranno meloni. Quello che è matematica è economia, quello che non è matematica è finanza, la distinzione tra le due branche della materia economica è questa. Ma anche assodato ciò, non è importante che gli attori siano consapevoli di ciò che stanno facendo, la mano invisibile guiderà ogni loro atto. E' inutile per l'imprenditore o il finanziere concentrarsi su grafici, formule matematiche, curve di indifferenza, incontri di domande e offerte; l'importante è lo facciano gli economisti. Come scrive De Soto, è sufficiente uno Stato minimo che tuteli i diritti di proprietà e tutto il resto funzionerà automaticamente al meglio possibile. 1+1 fa 2 anche se uno non lo sa, o anche se come i marxisti crede che potrebbe risultare anche 3 o 4. Ma questo non significa che lo possa risultare effettivamente, come ci ha dimostrato tangibilmente (come se ce ne fosse stato bisogno...) l’applicazione pratica del comunismo.

“In un sistema ove imperano le raccomandazioni, i favoreggiamenti, il reciproco condonarsi le azioni illegali, le ritorsioni, lo sfruttamento delle influenze (...) sono ovviamente possibili ladrocini, peculati e corruzione su larga scala, che legano il coscienzioso e l’intraprendente al venale e al disonesto in una sorta di strana collaborazione, la quale non può che accrescere, nei lavoratori più devoti e accaniti, la sensazione di essere coinvolti in un’unica colpevolezza politica. (...) Il reclutamento dei giovani per i posti di responsabilità e di comando può essere gravemente compromesso dalla impossibilità di quanti siano forniti della forte coscienza individuale e dell’alto idealismo desiderati, a sopravvivere nel generale sistema di disonestà politica vigente. Coloro che poi riusciranno a sopravvivere in un sistema ove è così forte il contrasto tra l’ideale e la pratica quotidiana, è molto probabile che mancheranno di quelle qualità di devozione morale e di iniziativa che sono necessarie per il futuro sviluppo della società sovietica. Nella misura in cui particolari settori di vita sovietica sono relativamente più liberi dal tipo di pressione politica che interferisce in ogni tentativo disinteressato di far bene un lavoro – come è successo nell’esercito sovietico in qualche momento – tali settori potranno diventare relativamente meglio diretti e più efficienti degli altri” (Margaret Mead )

Data la difficoltà di poter regolamentare e controllare l’economia informale (lavoro sommerso, ecc) il punto non deve essere metterci lo zampino, ma favorire le alternative. Se uno vuole di sua volontà fare un secondo lavoro dev'essere libero di poterlo fare. Il punto è che all'opposto, tutti debbono avere la possibilità di NON dovervi essere costretti a farlo. Tutti debbono avere la possibilità di sopravvivere, essendo i mezzi non solo esistenti, ma proprio in surplus potenziale (essendo oggi il sistema ben sotto l'ottimo paretiano). Che poi di loro iniziativa scelgono di rinunciarvi per ripiegare su una strada peggiore, sono affari loro. Nessuno insomma dovrebbe nemmeno immaginare di poter proibire ai bambini di vendere limonata per la strada, o il fai da te, il baby sitting, il lavaggio scale, colf, badanti, maggiordomi, o di tassare queste attività. Per eliminare il mestiere di colf non serve proibirlo legislativamente, ma bisogna mettere in condizione qualunque potenziale colf di potervi rinunciare, nella considerazione che l'aumento di domanda e diminuzione di offerta determina maggior costo e proprio di conseguenza meno domanda di per sé senza bisogno di esternalità dirigistiche. In presenza di un reddito di cittadinanza una eventuale variazione autonoma della spesa aggregata sarebbe sia causa che effetto di un mutamento di queste condizioni, mentre una variazione indotta non è prevedibile dato che in tale situazione è da escludersi la possibilità di una fuga di reddito assorbito dal risparmio; o meglio, anche in caso di variazione indotta essa verrebbe a compensarsi per via del rapporto tra propensione all’accumulazione di capitale e tassi di interesse dato che il saggio di interesse è influente ma non determinante il rapporto risparmio / spesa. Per questi motivi le politiche commerciali dirigistiche e autarchiche sono deleterie in ogni sistema, ed incompatibili con quello distributista che per sua stessa natura perlomeno le renderebbe inutili. Perciò in un sistema privo di dazi il reddito di cittadinanza stesso andrebbe a compensare ovvero ad attenuare gli effetti evidenziati nell'"indice big mac" sui differenti poteri d'acquisto tra paesi. In parole povere, ceteris paribus il prezzo di un big mac resterebbe invariato in termini nominali ma subirebbe un ribasso in termini reali, da cui l'adeguamento proprio dell'indice in un conseguente aumento nominale. Nel distributismo le eventuali variazioni dei prezzi (compreso quello del lavoro) sarebbero legate esclusivamente al mercato secondo le normali regole della libera concorrenza ed alla variazione marginale spontanea del valore di ciascun bene e del PIL (“effetto reddito”), non più all’incremento costante ed aggregato dovuto al diminuire del valore della moneta (inflazione) causato dai livelli salariali artificialmente alti rispetto al costo del lavoro determinati dall'esistenza di imposte specifiche, e questo senza costrizioni dirigistiche. E' implicito che con questo sistema la domanda e l’offerta di lavoro saranno comunque sempre in equilibrio! L’unico motivo a poter determinare cicli economici sarebbe la fluttuazione del tasso di crescita della produttività totale dei fattori (“teoria del ciclo economico reale”), delle propensioni marginali al risparmio ed al consumo (e quindi gli investimenti lordi), ed il collegamento con le economie estere dovuto ai commerci internazionali. In parole povere, qualunque sia il livello di imposizione, in conseguenza dell’“effetto reddito” sarebbero i prezzi a reagire variando, restando immutata in tutti i casi l’entrata statale reale sulla quantità esatta di spesa pubblica. Da tutto questo se ne ricava che l’unico parametro su cui si debba calcolare l'imposizione è quello che risulti mantenere i prezzi nominali grossomodo sul livello attuale, ma solamente per una questione logistica, non valoriale (“neutralità della moneta”), dato che in ogni caso i prezzi manterrebbero un identico valore reale. Di conseguenza è realistico ipotizzare che anche un imposizione che copra totalmente le spese dello Stato inciderebbe relativamente poco sui prezzi effettivi. Questo calcolo è troppo complesso per poterlo fare qui, in quanto si dovrebbe basarlo sull’attuale spesa pubblica e sul suo rapporto nel PIL. Ma dato che con il sistema di cui parliamo la spesa pubblica sarebbe notevolmente ridotta (ma non è possibile prevedere a tavolino di quanto), qualunque calcolo fatto su dati presunti sarebbe alla luce dei fatti sballato rispetto alla realtà. Senza contare l’esistenza di altri tipi di entrate statali, dei quali si dovrebbe tener conto senza poterne valutare oggi il peso esatto in percentuale sul PIL (più avanti faremo un analisi più accurata). Non esisterà più un margine di politica monetaria discrezionale, essendo questa congelata sui valori stabiliti da questa regola di politica monetaria. Come unica politica monetaria contingente, per controllare l’inflazione marginale dovuta alle fluttuazioni del tasso di crescita, lo Stato semplicemente cancellerà moneta (come descritto in altra parte), e diminuirà di conseguenza la propria spesa; l’opposto in caso di deflazione. In un contesto statico ciò avverrebbe costantemente ma marginalmente, e quindi microeconomicamente trascurabile; solo in caso di forti oscillazioni del PIL ciò potrebbe essere percepito dal sistema ed influirvi, provocando (nel caso che tale spinta sia recessiva) ulteriore diminuzione della produzione (e quindi sottoccupazione interaziendale e fallimenti), ma ne sarebbe un effetto, non la causa. Tentativi artificiali di stabilizzazione portano solo a drogare l’economia, facendo aumentare i tassi di interesse e spiazzando la spesa per investimenti che sia sensibile ad essi. Le recessioni sarebbero provocate dalle sempre possibili contingenze economiche (anche internazionali), non dalle azioni umane note come “decisioni politiche” (“dirigismo”). Ovviamente si ripercuoterebbe anche sul minor afflusso alla base contributiva (quartieri) come detrazione dai redditi di cittadinanza, in fase recessiva sicuramente maggiore a causa della minor distribuzione dalle istituzioni superiori (si veda la pagina sulla democrazia organica). Ma, come già detto, ne sarebbe un effetto, non la causa, ed impedirebbe lo spiazzamento della spesa per investimento, a tutto vantaggio di un evoluzione spontanea (anziché dirigista) del ciclo economico. Ne deriva che si attenuerebbero i cicli economici recessivi ed espansivi, e quindi le crisi economiche. Se non altro perché non ci sarebbero più i classici sintomi (inflazione e disoccupazione) come parametro su cui misurarli. La limitazione delle speculazioni (per via dell'abolizione di molti regolamenti bancari che vedremo più avanti) impedisce che eventi al margine imputabili all’emotività umana (come le bolle e le “corse agli sportelli”) possano avviare una crisi finanziaria. Idem per il ridimensionamento delle politiche fiscali e monetarie discrezionali, sostituite da regole (cioè invariabili) che comportino il massimo dell'efficienza possibile; grazie alla sostituzione della democrazia parlamentare con quella organica e relativa scomparsa delle scadenze elettorali scompariranno anche i cicli economici di natura politica, e con l’abolizione del ruolo legislativo del parlamento si ridurranno i nocivi “ritardi di intervento”. Gli stessi sistemi fiscale, assicurativo, e finanziario descritti in questo testo come complementi del reddito di cittadinanza comporterebbero la distribuzione dei fallimenti aziendali sul lungo periodo anziché in picchi acuti. Come già detto l’unico motivo a poter determinare cicli economici sarebbe la fluttuazione del tasso di crescita della produttività totale dei fattori (“teoria del ciclo economico reale”), delle propensioni marginali al risparmio ed al consumo (e quindi gli investimenti lordi), ed il collegamento con le economie internazionali dovuto ai commerci import-export. Si tenga però presente che le oscillazioni delle propensioni al risparmio ed al consumo sarebbero già notevolmente attenuate dalla fluttuabilità del reddito di cittadinanza (fluttuabilità che spiegheremo più avanti).

Aspetti pratici fiscali

"Semplificare il groviglio delle imposte sul reddito è la condizione essenziale affinché gli accertamenti cessino di essere un inganno, anzi una farsa. Affinché i contribuenti siano onesti, fa d'uopo anzitutto sia onesto lo stato. Oggi, la frode è provocata dalla legge" (Luigi Einaudi)

Mi rendo conto che nel corso del testo ho spiegato la logica che porta alle conseguenze del reddito di cittadinanza in più modi diversi che possono apparentemente sembrare contrastanti, avendola analizzata rispettivamente in una parte dal lato dell'"offerta" e dall'altro da quello della "domanda", e a loro volta in una parte dal punto di vista ceteris paribus (a parità di condizioni) e dall'altro considerati altri parametri, ed essi a loro volta in via teorica in una parte ed in prospettiva reale nell'altra, però il risultato non cambia e per colmare questa apparente contraddizione (di cui mi propongo di sistemare nel testo un pò alla volta) spiego qui ora in maniera univoca il risultato da qualunque punto di vista lo si analizzi: i poteri d'acquisto di chi ha già oggi un reddito (sia autonomo che dipendente) resterebbero immutati a quelli di oggi, idem per chi ha reddito 0 poiché il reddito di cittadinanza fungerebbe solo da sostituto dell'assistenza che oggi gli permette la sopravvivenza. Indice di Gini e curva di Kuznets rimangono immutati. Gli scopi del reddito di cittadinanza si esplicano quindi non in un aumento ceteris paribus di "ricchezza", ma di permettere tutte le modifiche efficientiste al sistema, e solo come conseguenza di esse un eventuale possibile aumento di "ricchezza" indipendente dalla diminuzione della pressione fiscale (che sarebbe certo immediata e netta in termini nominali, ma in termini reali solo in seguito all'aumento di "ricchezza", e proporzionale ad esso, dato che le imposte sono parzialmente neutre scaricandosi inevitabilmente su altri fattori). Il livello di imposizione fiscale non è quello che è perché l'ha deciso arbitrariamente a tavolino un orco cattivo per far dispetto ai contribuenti, ma perché quelli sono i soldi che servono! Che senso ha che qualcuno stabilisca così a casaccio percentuali tipo "15%" come Salvini???? Non è una cosa buona o cattiva, è una cosa semplicemente priva di alcun senso! E il bello è che, a fronte di questa ignoranza sui sistemi attualmente vigenti, neppure cercando di spiegargli ci arrivano a capire cos'è un imposta georgista, non riescono proprio a vedere al di là del concetto di percentuale, tanto che regolarmente chiedono "quanto?"... la cui risposta rigorosamente polemica non può essere altro che "ma quanto cosa????"... nell'imposizione georgista non esiste un "quanto" tantomeno percentuale come lo intendono questi! Che risposta si può dare a chi chiede "quanto?" aspettandosi come risposta una percentuale sparata a casaccio? Il quanto è: quanto serve alle spese pubbliche! Se esse sono 500.000.000.000, la cifra da incamerare è questa! E la ripartizione pro capite dipende dai parametri descritti più avanti tesi a renderla equa ed efficiente, non esiste un solo "quanto"! Che risposta si può dare a chi chiede "quanto?"? E credete che anche una volta abbiano compreso, le critiche assurde finiscano lì? Si magari! La stupidità delle persone nell'accanirsi andando a spulciare critiche surreali a fronte dell'incapacità di comprendere l'ovvio mi è sempre stata un mistero... in questo caso quella sul fatto che i soldi per il reddito di cittadinanza sarebbero "tolti" ai contribuenti (e ovviamente il fatto che la cifra complessiva conseguente sia anche minore rispetto ad oggi non ha alcuna rilevanza per loro, ovvio no?), inutile rispondere che i soldi non hanno il nome stampato, e chiedergli il motivo per cui invece per loro la stessa cosa non valga anche oggi: io non ho mai percorso la statale 131, eppure non mi sogno di lamentarmi che le mie tasse paghino la manutenzione anche di quella strada (che è in pratica lo stesso ragionamento che fanno loro riguardo al reddito di cittadinanza, se non l'aveste capito), e non ho mai sentito nessuno lamentarsene. I soldi non hanno il proprio nome scritto sopra. Quindi a loro non interessa tanto pagare 1 /4 in meno di tasse, ma sono disposti a pagarne di più a patto che non vadano spese come reddito di cittadinanza! Come se sui soldi ci fosse scritto materialmente il loro nome, capite? Dopotutto sono le stesse persone che non fanno alcuna obiezione alle migliaia di euro di ingiuste imposte sui redditi, ma fanno il diavolo a quattro per una tassa giusta della cifra irrisoria di 100 euro (canone Rai)... Sulla matematica del fisco vige poi un ignoranza incredibile, giacché non esiste qualcuno che non le paga, e nemmeno qualcuno di più o qualcuno di meno, le tasse sono neutre, le pagano uniformemente tutti, chi non ha reddito non paga nominalmente nessun euro, ma come tutti i 58 milioni di italiani paga realmente la suddivisione dei 500 miliardi annui di spesa pubblica cioè 8.620 euro, questa è matematica, le imposte incidono per 8.620 euro sul potere d'acquisto di OGNUNO nessuno escluso e barboni compresi.

"Il fatto che una automobile elettrica non ha bisogno di benzina non dimostra che essa sia più economica di un'auto che va a benzina" (Ludwig Von Mises)

La tipica frase demenziale spesso usata dai soliti ignoranti qualunquisti ed egocentrici come accusa ai disoccupati, "se non paghi le tasse c'è qualcun'altro che le paga per te" è indicativa della loro ignoranza economica (e stupidità in generale) sia della loro "caratura morale" che è perfino inutile commentare rivelandosi regolarmente né più né meno che "dare le perle ai porci". No cari "contribuenti", il senso è l'esatto opposto a quello che voi interpretate capovolgendolo: se nominalmente non pago tasse è perché chi le paga mi sta "rubando" il lavoro e quindi l'intero mio reddito casomai!!!!! Se c'è qualcuno che moralmente può permettersi di lanciare accuse è proprio il disoccupato al lavoratore, e non l'opposto! Che dire di un mondo dove le colpe vengono capovolte e viene criminalizzata la vittima e lodato il disonesto colpevole? Comunque la realtà è questa: in ogni caso direttamente o indirettamente TUTTI pagano la stessa identica cifra di tasse, anche chi nominalmente non le paga; se la suddivisione pro capite è 8.620 essa pesa su ognuno per tale cifra, in un modo o in un altro, su chi non li ha pesa nel verso che qualora la sola cifra che avessero è proprio quella allora il loro reddito sarà zero. Ogni cifra in più di reddito sarebbe oltre quella, cioè al netto di quella. Cioè chi oggi ha reddito 0 netto ha reddito lordo di 8.620. Agnelli non paga milioni di euro di imposte, Agnelli paga milioni di euro solo in termini nominali, ma in termini reali paga come tutti 8.620 euro. Se poi vogliamo essere ancora più precisi le imposte non le paga nessuno, le imposte non esistono, poiché a rigor di logica si scaricano su una fonte. Le tasse del tuo barbiere non è lui a pagarle, sei tu! Anzi, nessuno! La cifra che una persona paga di imposte sono soldi che non sono suoi, poiché l'introito come sostituto è stato preso da questa fonte; senza le imposte non sarebbero soldi che si sarebbe trattenuto, ma soldi che non avrebbe avuto. Questo vale sia con le imposte dirette, indirette, progressive, proporzionali, fisse, con la differenza che l'utopica (se non proprio paradossale) pretesa di equità delle imposte progressive a scaglioni sul reddito incentiva ad auto-ridurre il proprio reddito e quindi la produttività e quindi la produzione, mentre quelle indirette e quelle fisse non possono avere alcuna influenza sulla produzione, quelle indirette solo sugli scambi, quelle fisse neanche su questi. E' quindi sbagliato scagliarsi contro le imposte in sé, perché i soldi che paghi in imposte sono soldi che NON SONO TUOI; è giusto piuttosto scagliarsi contro L'INIQUITÀ' delle imposte (iniquità oggi causata dalla loro progressività percentuale sui redditi) ovvero solo sulla parte che paghi in più o in meno rispetto a quanto E' TUO (ed ironico è che spesso a lamentarsi delle tasse odierne sia proprio chi trattiene legalmente ciò che non è suo proprio grazie al sistema fiscale che critica...). La logica è la medesima per cui il costo attuale dell'energia è quello giusto ed una sua variazione ceteris paribus sarebbe catastrofica (ma è un discorso che esula dai nostri scopi).

“Fornire alla società una energia economica ed abbondante sarebbe l’equivalente di dare ad un bambino idiota una mitragliatrice” (Paul Ehrlich)

“Sarebbe quasi disastroso per noi scoprire una sorgente di energia pulita, economica, abbondante” (Amory Lovins)

“La prospettiva di economica energia di fusione è la peggiore cosa che potrebbe accadere al pianeta” (Jeremy Rifkin)

Il "costo di transazione" è il concetto che definisce la differenza tra massima efficienza teorica e realtà; differenza causata dall’incertezza e dai suoi risvolti nel mercato istituzionalizzato (ovvero quando esiste un limite politico al completo laissez faire); le imposte odierne possono essere interpretate come un costo di transazione. Di conseguenza si può comprendere come il fulcro non è tanto l'entità della tassazione (sulla quale come abbiamo detto sarebbero i redditi ad adeguarsi qualunque essa sia!), quanto le modalità: quella a percentuale, oltre che iniqua, è nefasta sulla produttività come abbiamo visto, mentre quella fissa (“lump sum tax” espresse dal “georgismo"), qualunque cifra sia, comporta un automatico adeguamento che viene a compensarsi da sé sui prezzi, come da wikipedia:

Una lump sum tax è un'imposta in somma fissa con presupposto d'imposta un fattore esogeno all'individuo. La sua particolarità sta che l'imposta è neutra per quanto riguarda i comportamenti dei consumatori e dei produttori, dato che non modifica in alcun modo gli equilibri di un mercato concorrenziale sia visti in equilibrio parziale, sia visti in equilibrio totale. È l'unico tipo di imposta che non viola i presupposti dell'efficienza paretiana. Questa imposta evita distorsioni nei comportamenti dei soggetti. Il perno fondante per l'efficienza dell'imposta è che essa è neutra, ovvero gli individui non possono fare nulla per evitarla. Non è una "lump sum tax" qualsiasi tassa, anche in somma fissa, che un individuo può evitare non svolgendo una data attività ulteriore (es. concessioni) o che possono portare ad evitare determinati comportamenti nel futuro.

Il georgismo sostiene che un'imposta sul valore fondiario, intesa come tassa unica sul valore della terra, sia efficiente, giusta e raccolga sufficienti entrate così che ogni altro tipo di imposte (meno giuste e meno efficienti) possa essere ridotto o integralmente eliminato. L'imposta georgista che proponiamo non è un imposta sul valore fondiario (che è un'imposta ad valorem sulla terra che non riguarda il valore degli edifici, i beni mobili ed altri miglioramenti) in quanto tale, ma sulla presunzione di reddittività di quel valore, quindi non è un imposta patrimoniale ma reddituale poiché fondata su tale presupposto. L'imposta fissa statale sarà minima e per questo accessibile a tutti, a fare la differenza saranno quella di licenza facoltativa comunale e quella corporativa, che essendo diverse a seconda della località in cui è sita l'azienda gli amministratori locali le regoleranno di conseguenza a seconda che vogliano attirare o respingere un dato tipo di attività dal loro territorio. La cifra in meno sugli 8.620 sarebbe "spalmata" equamente tra tutti i 58.000.000 di italiani ma non come aumento di potere d'acquisto (che resta uguale), dato che si esplicherebbe in inflazione in assenza del reddito di cittadinanza, ma in presenza di questo la cifra di imposte nel PIL non è eliminata ma spostata in particolare nel verso dell'appianamento reddituale dovuto alla piena occupazione, per cui alla diminuzione di imposte non risulterebbe alcuna diminuzione del valore della moneta che invece si avrebbe con un taglio ceteris paribus. Questo schema di imposte è solo esemplificativo in quanto, come detto, le loro cifre dovrebbero essere adattate al fine che costantemente il saldo del disavanzo rimanga in pareggio ovvero che nei conti statali uscite ed entrate si compensino, in positivo ma costantemente il più vicino a zero (break even). Questo si attua indirettamente in quanto l’adattamento dello schema di imposte dovrà essere impostato sul tasso di cambio comunque affidato al mercato e quindi sarà costantemente fissato spontaneamente dal PIL e dalle derivanti variazioni di domanda di moneta. Significa che una volta stabilita l’entità ideale di ogni imposta, essa rimarrà fissa, e le variazioni di necessità di entrate statali non saranno attuate variando l'entità delle imposte fisse (come si potrebbe ingenuamente credere), se non sul lungo periodo, ma le variazioni di spesa pubblica stesse determineranno automaticamente la quantità di imposte, e con essa la quantità di entrate aggregate. Ma questo solo come conseguenza indiretta dell’adeguamento effettivo delle cifre delle imposte sul livello generale dei prezzi, non sul disavanzo pubblico in sé. Si consideri l'“effetto di Fischer” sulla “neutralità della moneta”: quando l’inflazione aumenta, i tassi di interesse nominali nel breve periodo devono aumentare nella stessa misura, mentre nel lungo periodo la moneta non influenza il tasso di interesse reale; essa influenza solo i prezzi (“neutralità della moneta”). Di conseguenza qualunque cifra si porranno le imposte, la differenza si scaricherà sui prezzi, ed essi si adegueranno al livello di imposte influenzando la richiesta di moneta, che di conseguenza rimarrà costantemente al volume circolante ideale; quindi i prezzi stessi si adegueranno all’assenza delle attuali imposte che vi pesano, assestandoli sullo stesso livello generale dei prezzi ma suddiviso per il valore aggiunto esatto per ogni bene. E’ quindi questo auto-adeguamento dei prezzi, che si scarica sulla variazione di quantità di moneta domandata, che porterà questa quantità a dare alla fine la cifra complessivamente corrispondente in maniera esatta alle spese dello Stato (o meglio, colmando il disavanzo esatto del suo bilancio lasciato dall'abolizione delle imposte attuali). In pratica, così come per il calcolo del reddito di cittadinanza, il parametro sul quale si dovranno calcolare le imposte non è la somma richiesta dalle spese dello Stato (che saranno esse ad essere determinate dalle somme disponibili, e non viceversa), ma la determinazione delle cifre che risultino mantenere i prezzi ad un livello costante, grossomodo quello attuale; ovvero che la domanda di moneta rimanga costante, in assenza di variazioni del PIL. Perché se il volume circolante diminuisce per una qualunque causa anche i prezzi diminuirebbero di pari misura, ma contemporaneamente verrebbe creata (perché domandata dal mercato) la quantità di moneta richiesta, ed i prezzi tornano (o meglio, restano) uguali. Però lo Stato incamera (“signoraggio”) la cifra “creata” dall'aumento di domanda, e spendendola la rimette in circolo aumentando di pari misura il volume circolante, ed i prezzi aumentano di pari misura. Assieme alle imposte supplettive anche il reddito di cittadinanza si adeguerà automaticamente alla media delle spese statali, in modo che agli aumenti di queste nel breve periodo corrisponda solo una diminuzione della distribuzione come reddito di cittadinanza ed agli enti locali (quest'ultima che ricade però anch'essa sulle cifre nette del reddito di cittadinanza come entità della detrazione locale), e viceversa; solo questo stabilizzerà le variazioni (spese eccezionali o diminuzione del PIL) che superino quelle spontanee di lungo periodo date dal mercato. In questo modo sarà il mercato ad assestare costantemente la cifra perfetta disponibile alle normali spese pubbliche qualunque sia la cifra di ogni imposta fissa, e non le spese pubbliche a determinare la quantità di entrate da esigere, ma compensandosi con le fluttuabilità dei redditi di cittadinanza e verso gli enti locali. Il saldo di bilancio sarà quindi quello corretto a seconda del ciclo economico, e le spese impreviste si ripercuoteranno solo sulla redistribuzione verso il basso (che alla base ricadrà sulla quantificazione delle detrazioni dai redditi di cittadinanza, attenuabile o accentuabile dalla fluttuabilità delle entrate indirette dei comuni). In nessun caso quindi lo Stato avrà bisogno di far ricorso ad esempio a crediti; il concetto stesso di “debito pubblico” scomparirà, e potrebbe perfino essere possibile ripianare quello esistente (più avanti se ne parlerà).

Utile alla comprensione è l’analisi di un episodio di qualche anno fa quando i radicali distribuirono nelle piazze i soldi ricevuti dallo Stato col finanziamento pubblico dei partiti. Quell’azione poteva sortire solo mera funzione propagandistica in quanto per effettuare la restituzione ai cittadini sarebbe bastato semplicemente distruggere quei soldi: ne sarebbe risultata la redistribuzione perfettamente equa tra tutti i 57.000.000 di italiani. Invece di cedere 10.000 lire solo a chiunque si mettesse in fila a chiederli. In alcune nazioni è considerato un reato distruggere soldi, ma non per il valore che rappresentano (che non viene certo distrutto), bensì per il costo di produzione (stampa) del mezzo; anche se, dato il valore simbolico maggiore, la loro distruzione va a vantaggio di ciascuna persona (ma non dell’economia nazionale, che ne ha un danno nell’importo del costo di stampa di quell’esemplare) nell’importo della somma distrutta diviso per il numero di abitanti. Solo il distruttore ne ha una perdita nella cifra distrutta meno la sua percentuale suddivisa ma più la percentuale del costo di stampa. Anche la polemica di Beppe Grillo sul fatto che “la banca d’Italia ci presta i nostri soldi” è fuorviata: la banca d’Italia ci presta (o meglio, ci mette a disposizione) il mezzo fisico “moneta”, non il valore che essa veicola (il quale appartiene sempre al portatore). Sulla base di queste considerazioni si può capire la filosofia dell'imposizione fissa. Anche i fondamenti monetari dello NSDAP vergati dall’economista Gottfried Feder ricalcavano quelli distributisti. Ne “Il manifesto contro l’interesse del denaro” Feder scrive: “la soppressione del pagamento di interessi non è una bancarotta statale dissimulata. Il fantasma della bancarotta statale è, in effetti, un orco di racconti infantili inventato dalle potenze usuraie” (difatti lo Stato non può fare bancarotta, dato il suo potere esattivo). Secondo Joaquin Bochaca fu proprio il prestito agevolato a imprese solvibili il motore del colossale balzo effettuato dall’economia tedesca tra il 1933 il 1939, e non la grande capacità di lavoro dei popolo tedesco, come si è preteso. Fa notare che l’incontestabile capacità nel lavoro non la inventò il regime nazionalsocialista, però la sua decisione di strappare all’arbitrio delle banche il potere di creare, o sopprimere, occupazione, fu indubbiamente il provvedimento che consenti l’esprimersi di tale capacità. Oggi sappiamo che in realtà questa possibilità fu favorita anche dal sostegno della finanza internazionale, ma ciò non toglie lustro al sistema adottato per organizzarlo. La Germania del 1933-1939 era uno degli stati in cui la pressione fiscale risultava minima: “l’obiettivo finale del nostro Stato - affermava Gottfried Feder - è la realizzazione di uno Stato privo di imposte”. Feder citava come esempio lo Stato bavarese, le cui finanze non prevedevano tra le entrate, come voce principale, quella delle imposte sui redditi. Quanto la Baviera ricavava indirettamente, bastava a coprire le spese pubbliche.

Nella concezione attuale di liberismo distorta dalla social-democrazia il massimo dell’efficienza non è assolutamente raggiungibile dato che in esso, a causa dell'esistenza di artificiali differenze economiche tra persone, non è possibile eliminare del tutto ogni forma di direzione statale ed affidarla al settore privato. Solo eliminando tale distorsione sarebbe possibile realizzare uno sviluppo definitivo del capitalismo, laddove come abbiamo visto i guasti non sono determinati dal capitalismo ma proprio dall'assenza di capitalismo! E questo è lo scopo del reddito di cittadinanza con tutti i risvolti che ne conseguirebbero: raggiungere lo sviluppo definitivo del capitalismo, l'apoteosi della proprietà privata, della libera concorrenza, della legge della domanda ed offerta, della libertà d’iniziativa, alla faccia di chi lo giudica "troppo di sinistra"... Contestualmente a ciò, il reddito di cittadinanza assume quindi anche lo scopo di fungere da sostituto dell'assistenza pubblica nella sicurezza sociale ovvero è complementare all'abolizione della sanità pubblica, scuola pubblica, eccetera, ovvero di permettere a tutti di potervi accedere da sé, oltreché per pagare le imposte locali fisse, nonché le multe, tramite detrazione automatica, per cui la cifra media potenziale di 320 non è netta ma lorda, da essa io ho calcolato che verrebbero tolti mediamente circa tra i 20 e i 50 euro (a seconda del quartiere di residenza, se di lusso o di periferia) per le imposte fisse locali (amministrazione pubblica, immondizia, manutenzione stradale e viabilità, illuminazione pubblica, polizia locale, protezione civile, manutenzione del verde pubblico, tutela dell'ambiente, del territorio, degli immobili pubblici, del patrimonio storico, artistico e culturale, assistenza sociale e psichiatrica, servizi cimiteriali e relativi alla cultura e allo sport, ecc, che non verrebbero più a pesare in modo diretto sui redditi personali e aziendali) e altri (facoltativi) per l'assicurazione sanitaria, pensionistica, infortunistica, l'istruzione, ecc, valutabili grossomodo in 80 euro (250 durante il percorso scolastico). Quindi per chi pensa che il reddito di cittadinanza vada ad aggravare il peso fiscale, consideri che esso è indissolubilmente complementare all'abolizione del settore pubblico nei servizi e sicurezza sociale, che è lo scopo conseguente a quello di indipendenza reddituale personale del reddito di cittadinanza, uno dei motivi per cui è stato concepito: non per sussidiare le singole persone, ma per permettere l'abolizione del settore pubblico (cosa che senza la compensazione derivata dal reddito di cittadinanza non sarebbe obiettivamente possibile) tramite la loro indipendenza economica. Al proposito vi faccio un esempio preso da una trasmissione di Daniele Luttazzi di qualche anno fa: diceva che con la stessa cifra con la quale lo stato finanziava il trasporto ferroviario si sarebbe potuto pagare un taxi ad ogni singolo passeggero. Sembra una boutade da comico (e nel caso in questione lo era), ma provate a pensarci, facendo una parafrasi, cosa cambia se anziché finanziare scuole, ospedali, ecc con le imposte prelevate ai cittadini produttori, si usa la stessa cifra (sempre prelevata ai cittadini produttori si intende) per rendere possibile a tutti a propria discrezione di usufruire a proprie spese di quei servizi in maniera privata? In numeri non cambia nulla, solo si rende il tutto più efficiente ed equo (e quindi solo di conseguenza la spesa diminuisce). Questo è il senso del reddito di cittadinanza, non un populistico demagogico sussidio gratuito! In pratica rappresenterebbe l'apoteosi del "laissez faire" e la riduzione al minimo del concetto di "Stato", cosa che dovrebbe essere ben gradita agli anarchici.

“Dire che uno Stato non può perseguire i propri scopi per mancanza di denaro è come dire che non si possono costruire strade per mancanza di chilometri” (Ezra Pound)

Uno dei capisaldi dei sostenitori dell'attuale sistema fiscale è che le imposte dirette non si trasferiscono, ovvero rimangono a carico di chi è obbligato a pagarle e quindi non provocano una variazione dei prezzi dei prodotti o dei fattori, ovvero non vi è divario fra prezzi netti per il produttore e prezzi pagati dal consumatore... bene, a parte che è chiaramente falso poiché su una fonte il tributo dovrà pur ricadere (a meno che il soggetto passivo stampi soldi in proprio, anzi nemmeno in questo caso poiché ricadrebbe indirettamente sulla collettività), per qualche astruso motivo loro interpretano questa (inesistente) conseguenza come una cosa buona quando invece la logica stessa direbbe l'esatto opposto (se fosse vera, si intende): un apoteosi di inefficienza ed iniquità dato che, se come dicono nell'altra loro obiezione che esse hanno un maggior effetto ridistributivo (anche questo falso come abbiamo già spiegato), per gli stessi motivi a monte di ciò ne deriva pure una disincentivazione alla produzione ed una suddivisione iniqua! Magari la redistribuzione è meglio farla in altro modo, un modo equo e che non disincentivi la produzione e la libera iniziativa, ma vano è pretendere che ci arrivino a comprenderlo. Altra tipica giustificazione folle delle imposte dirette: "assicurano una continuità del gettito e sono economiche da riscuotere, rispetto a quelle indirette"... ora, se qualcuno potesse spiegarmi tale asserzione dato che sulla base delle differenze tra le due anche con tutta la buona volontà non riesco proprio a comprendere da quale logica sia possibile dedurre tale differenza: in che modo le imposte dirette assicurano più continuità nel loro prelievo rispetto a quelle indirette??????? Quanto ad una presunta economicità della riscossione è perfino paradossale essendo fondate sul concetto di dichiarazione dei redditi che è l'apoteosi del "consumo delle suole"!!!! Economiche per il soggetto attivo non lo sono poiché esso deve attuare un intricato sistema burocratico e repressivo per controllare la veridicità delle dichiarazioni, e nemmeno per quello passivo dovendovi impiegare una marea di risorse (principalmente di tempo, almeno un ora al giorno per i commercianti) o pagare un commercialista per farlo. Entrambe cose che con imposte fisse non sussisterebbero (sarebbe possibile perfino abolire la guardia di finanza, che tuttavia probabilmente verrebbe mantenuta per altri scopi ma certamente in forma ridotta). Essendo razionalizzate le differenze reddituali (ovvero "tagliati" gli estremi artificiali), verrebbe meno la necessità di tutta la giungla di vari balzelli e di imposte dirette progressive su aliquote a scaglioni basate sul reddito, sostituite da un numero limitato di tipi di tributo, fissi / forfettari secondo precisi parametri, con alla base, quello fondiario, fungendo perciò da notevole incentivo alla produttività, oltreché per eliminare il concetto stesso di "evasione" (elusione) fiscale sul reddito.

"Semplificare il groviglio delle imposte sul reddito è la condizione essenziale affinché gli accertamenti cessino di essere un inganno, anzi una farsa. Affinché i contribuenti siano onesti, fa d'uopo anzitutto sia onesto lo stato. Oggi la frode è provocata dalla legge" (Luigi Einaudi)

Questo sistema eliminerà i contenziosi tributari sull'elusione, mentre permarranno ovviamente quelli sull'evasione, che probabilmente consisteranno non tanto in evasioni volontarie, ma sulle attività avviate e condotte dolosamente in maniera abusiva. Questo, tenendo presente che questa diminuzione di pressione fiscale verrà riequilibrata dalle sopravvenute spese sanitarie, assicurative, scolastiche, che in definitiva verranno a costituire un equo sostituto funzionale delle imposte dal punto di vista del peso finanziario complessivo sul cittadino. Tale sistema fiscale ovvierà ai guasti di quello reddituale progressivo, gravante sul contribuente in modo marcato e sbilanciato, e notoriamente inducente inefficienza nel disincentivare l’aumento di produttività, dato come è ovvio che quando il gettito fiscale dipende dal reddito si ha una fuga di reddito assorbito dal risparmio, alterando l’effetto moltiplicativo di variazioni autonome della spesa, venendo quindi ad essere una sovvenzione alla povertà, "eresia" che sta scritta in qualunque banalissimo testo scolastico di economia. Le imposte progressive sugli utili imprenditoriali distorcono tutto il sistema di segnali fornito dai prezzi di mercato. Sono proprio gli utili a segnalare quali attività stanno generando benefici imprenditoriali. Il sistema di imposte progressive opera quindi da disincentivo proprio laddove, in termini dinamici, si sta creando il maggiore beneficio per tutti gli agenti economici. Ancora detto in altre parole, per effetto delle imposte progressive lo sforzo marginale di lavorare e di accumulare i beni capitali viene punito proprio laddove sta funzionando meglio. A controbilanciare la stabilizzazione automatica oggi data dalla progressività delle imposte sul reddito interviene proprio il reddito di cittadinanza nell’attenuare i cicli espansione / contrazione, potendone variare la cifra a seconda delle esigenze riscontrate (cosa che coi salari è più difficile fare), o meglio essendo esso stesso automaticamente variabile a seconda della situazione, come spiegheremo più avanti. Il reddito di cittadinanza agisce quindi contestualmente all'abolizione delle imposte reddituali e sostituzione con imposte fisse. La teoria distributista smentisce le preconcette critiche “neoclassiche” secondo le quali un imposta di ammontare fisso andrebbe a favore di chi detiene i redditi più alti. Questa è palesemente un ingenua quanto erronea semplificazione, in quanto anche un profano capirebbe che secondo le leggi domanda / offerta che regolano il mercato del lavoro, ceteris paribus anche se si applicassero imposte personali fisse (mentre il distributismo ne prevede l'abolizione, quindi è un discorso teorico che facciamo come esempio) a parità di produttività se il salariato fosse sottoposto a pari imposizione rispetto al proprietario, il proprietario dovrebbe di conseguenza cedere al dipendente la cifra maggiore esatta che il dipendente dovrebbe versare al fisco, ed il totale moltiplicato per tutti i dipendenti corrisponderebbe esattamente alla cifra che il proprietario verrebbe a pagare in meno sulle sue imposte precedenti (data l’assimilazione fiscale) nella media delle aziende (non quindi uguale in ciascuna). L’incisione verrebbe quindi comunque equamente distribuita. Ma sarebbe un disincentivo a mantenere dipendenti, ragion per cui il distributismo, come detto, non la prevede. Diverso è il discorso per le aziende, dato che chi vende un bene fa ricadere i costi sui prezzi, quindi con un imposizione fissa rispetto ad oggi non farebbe altro che adeguare in più o in meno il prezzo del proprio prodotto, e la fissazione delle imposte verrebbe calibrata proprio su quella che mostri mantenere tali prezzi ai livelli odierni, considerando che l'imposizione sarebbe uguale per tutte le aziende di un settore, con le differenze motivate in altra parte del testo: ad introdurre differenze fiscali saranno imposizioni complementari finalizzate alla definizione del sistema socio-economico ed all’organizzazione delle produzioni, secondo il “teorema di Baumol-Oates”. A maggior ragione quindi nel liberismo distributista il sistema georgista si rivelerebbe il sistema fiscale più equo possibile, grazie alla parificazione delle produttività implicita nel suo funzionamento fondato sul reddito di base, con conseguente adeguamento dei redditi sulle imposte fisse (“teoria dell’equilibrio economico generale”) e non l'opposto come i critici ignorantemente dicono sostenendo che contrasti con la teoria marginalista: ciò non è vero poiché tale carico riguardando tutte le aziende di tutti i settori determina che le imposte fisse si scarichino su prezzi, perciò con imposte fisse sarebbe il reddito ad adeguarsi automaticamente sul livello di imposizione fiscale, e non l'inefficiente (e perciò fonte di iniquità) opposto come oggi! Ma anche senza cercare spiegazioni complicate basta constatare la banale equazione che i prezzi si adeguano automaticamente ai salari (o meglio al potere d'acquisto aggregato) e viceversa, per "effetto reddito". L’incisione assimilata verrebbe quindi comunque in ogni caso equamente distribuita. Ciò in via teorica, o comunque non totale, ma se non rispecchiabile nella realtà ipotetica, ciò sarebbe solo a causa dei parametri che oggi caratterizzano il sistema fiscale reddituale basato sul lavoro salariato; in particolare se messa sulle persone sarebbe un forte disincentivo a mantenere dipendenti, e quindi graverebbe particolarmente sulle attività difficilmente automatizzabili, come conseguenza dell’artificializzazione dei valori nominali delle aziende in raffronto al loro valore reale nel rapporto tra “capitale fisso” e “capitale variabile”. A maggior ragione quindi in un sistema come questo la teoria georgista (resa possibile proprio da esso) si trasformerebbe efficacemente in pratica, e si rivelerebbe il sistema fiscale più equo possibile, grazie alla parificazione delle produttività implicita nella sua impostazione basata sulla fissazione delle imposte, con conseguente livellamento del valore delle rispettive quote aziendali di ogni settore ovvero del valore totale di ogni azienda diviso pro capite (“teoria dell’equilibrio economico generale”) e quindi del tasso di rendimento del capitale pro capite che renderebbe praticamente simili i redditi in tutti settori, i cui differenziali sarebbero determinati unicamente dalla rispettiva produttività. L'imposta unica in tal caso si rivelerebbe non solo utile di per sé, ma sarebbero le eventuali imposte dirette sui redditi a rivelarsi inutili dato che in ogni caso verrebbero a parificarsi automaticamente ad un livello costante uguale per tutti i contribuenti, rendendo con ciò inutile una differenziazione fiscale su base reddituale.

Sulla base delle teorie di Robert Reich, i diritti d'autore ed i brevetti saranno regolati con un tipo di imposizione teso a non gravarvi per i primi anni dal deposito ma andando a gravarvi in maniera elevata al passare degli anni, per non sfavorire i brevetti improduttivi andando però ad incidere su quelli produttivi: per entrambi i tipi i primi 6 anni saranno esenti da imposte, ma a partire dal 7° il brevetto potrà essere mantenuto solo pagando un imposta annua inizialmente bassa ma crescente fino a raggiungere livelli sostenibili solo qualora il bene brevettato sia fruttuoso ma con la prospettiva prima o poi della sua liberazione (non più sottoposta a cadenze arbitrarie e nette); sarà più bassa per i brevetti artistici, più alta per quelli industriali. Oltre ad essa vi sarà un imposta volontaria sulla quale si baserà la multa per violazione del brevetto (più alta è, più soldi riceverà il detentore dai violatori).
Giunti a questo punto, se avete letto con attenzione, non sarà più necessario spiegarvi i motivi per i quali spostare l'imposta dai redditi nominali delle persone all'esistenza di un azienda peserà sui redditi reali di calciatori et similia tanto quanto oggi, anzi in modo perfettamente equo... diversamente da quanto gli ignoranti superficiali paventano.

Spiegazione sulla tassazione progressiva (testo tradotto dall’inglese da Leonardo Facco):

Immaginiamo 10 uomini che ogni giorno vanno a bersi una birra e che il conto sia SEMPRE 100 dollari.
Se pagassero il conto nel modo in cui si pagano le tasse (aliquote progressive ndt) avremmo una cosa del genere:
I primi quattro (i più poveri) sono esentati dal pagare.
Il quinto paga 1 dollaro
Il sesto paga 3 dollari
Il settimo 7$
L’ottavo 12$
Il nono 18$
Il decimo (il più ricco) pagherebbe 59$
Quindi questo è il sistema che hanno deciso di adottare.
I dieci uomini vanno tutti i giorni al pub a bere birra e sembrano abbastanza soddisfatti dell’accordo trovato finché un giorno il barista gli fa una proposta insolita. «Siccome siete clienti così affezionati, invece di 100$ vi faccio lo sconto di 20 e pagherete 80$».
Il gruppo decide di non cambiare il modo di suddividere il conto per cui per i primi quattro non cambia nulla. Continueranno a bere gratis. E gli altri? Come fanno a spartirsi equamente lo sconto di 20$ del barista. Se lo dividono per sei avranno uno sconto cadauno di 3.33$ da sottrarre al dovuto ma se fanno così il quinto e il sesto uomo vanno in negativo e dovrebbero essere pagati per bere! Allora il barista suggerisce che sarebbe più equo ridurre ogni singola parte di una percentuale crescente.
Visto che gli va bene il sistema di contribuzione progressiva originario, procedono a ricalcolare l’ammontare secondo il suggerimento del barista.
Quindi il quinto uomo non pagherà più nulla (100% di risparmio)
Il sesto pagherà 2$ invece di 3 (33% di risparmio)
Il settimo 5 invece di 7 (28% di risparmio)
L’ottavo 9 invece di 12 (25%)
Il nono 14 invece di 18 (22%)
Il decimo 49 invece di 59 (16%)
Ciascuno dei dieci è adesso in una posizione migliore (o uguale) rispetto a prima. Però all’uscita dal pub gli uomini cominciano a fare i conti di quanti dollari dei 20 di sconto concessi dal barista si sono messi in tasca.
Il sesto fa «Per me c’è solo 1$ dei 20 del barista ma – indicando il decimo – lui se n’è beccati 10!»
«Hai ragione – dice il quinto – alla fine anch’io ho risparmiato solo 1$, non è affatto equo che lui abbia beneficiato dieci volte me»
«E’ vero – grida il settimo – perché a lui tornano indietro 10$ mentre a me solo 2? I più ricchi si prendono sempre i maggior vantaggi!»
«Ehi un momento – esclamano all’unisono i primi quattro – perché per noi non c’è niente? Questo sistema è basato sullo sfruttamento dei poveri !! » Nove uomini circondano il decimo e lo menano.
La sera successiva il decimo uomo non si presenta al pub per la bevuta e allora gli altri nove si bevono la loro birra senza di lui ma al momento di pagare il conto si accorgono di una cosa importante. Non hanno abbastanza soldi per pagare neanche la metà del conto!
Così, cari amici e amiche, giornalisti e governanti, funziona il nostro sistema fiscale.

Ammesso e non concesso che le solite statistiche siano corrette, va osservato che ci sono molti modi per "barare" sui numeri. Dal punto di vista algebrico, la pressione fiscale è il risultato di una frazione con al numeratore il gettito e al denominatore il PIL. Può accadere che il risultato diminuisca, ma non è detto che la riduzione sia "voluta" dal legislatore (vedasi la curva di Laffer). Per barare basta mettere al numeratore, ad esempio, le imposte pagate anziché quelle pretese (gettito teorico), e il risultato può cambiare senso; magari perché le persone non riescono più a pagarle, le imposte... Per quanto riguarda poi le uscite, innanzitutto le spese pubbliche devono essere un eccezione limitata dove non sostituibili e non la regola, e sulla base di ciò non essere più finalizzate prettamente ad incamerare tributi per la spesa pubblica, ma ad andare ad incidere in maniera MIRATA sui redditi (e quindi sui poteri d'acquisto) con lo scopo di equilibrarli, cosa che è possibile fare solo con imposte fisse. Difatti uno dei principali risvolti impliciti del reddito di cittadinanza è che questo sistema permette di sostituire la tassazione diretta progressiva ad aliquote su scaglioni di reddito e scaricarla soprattutto sulle spese effettive, ragion per cui chi più consuma più sentirà il peso fiscale, mentre chi risparmia (ovvero investe) lo sentirà meno, a prescindere da quanto guadagni o possegga. Colpisce quindi l’edonismo consumista della "favola delle api" ma rispetta una reale meritocrazia produttiva, e soprattutto elimina il disincentivo all’aumento di produttività causato dal rendimento decrescente tipico della fiscalità reddituale a scaglioni e delle accise sui singoli esemplari di un bene. Come abbiamo visto però i prezzi rimarrebbero generalmente gli stessi, perché il potere d'acquisto aggiunto dal reddito di cittadinanza si sostituirebbe automaticamente a quello oggi aggiunto agli attuali salari e dalle attuali imposte. Però questa cifra non sarebbe più fissata secondo parametri pianificati (suscettibili di iniquità), ma verrebbe ad essere spontaneamente ripartita su quella perfetta per ogni prodotto ed ogni reddito reale, e quantificata sulla spesa pubblica perfetta, eliminando automaticamente la possibilità stessa di deficit pubblico e quindi di necessità di ricorso al debito da parte dello Stato. Inoltre, come potete capire voi stessi, questo sistema andrebbe ad incidere su ambiti economici oggi impossibili da colpire, ed eliminerebbe il concetto stesso di elusione fiscale. Purtroppo le ragioni per cui tale sistema non è considerato sono note. Esistono opinioni politiche (rigorosamente sedicenti imprenditorucoli che credono che occuparsi di economia consista in sparare percentuali di aliquote a casaccio o lamentarsi del livello delle tasse e del canone rai e la cui cultura economica è totalmente inesistente... se è questa l'imprenditoria italiana ciò mi fa capire molte cose) che vorrebbero abolire tutto il settore pubblico e le leggi sui salari minimi senza alcuna compensazione, e che criticano il reddito di cittadinanza in quanto peso fiscale. Ma come potete dedurre da quanto ho scritto esso riduce le spese delle imprese nel costo del lavoro di una cifra mediamente equivalente a quella del reddito di cittadinanza ovvero l'aumento di imposte viene ammortato dalla riduzione del costo del lavoro e quindi l'aumento del peso fiscale viene quantomeno compensato alle imprese dalla derivante diminuzione del costo del lavoro (spero il discorso non sia troppo complicato da comprendere, mettiamolo così: un azienda spenderebbe in media 100 euro in più di tasse, ma 100 in meno di salari, è chiaro così?), con una fondamentale differenza che andrebbe perfino a rendere non solo più equo il fisco ma addirittura raggiungendo la perfezione dell'equità, che dovreste poter capire da soli: le aziende con molti dipendenti e poco reddito (le industrie classiche ad esempio) ne avrebbero un minor peso, mentre quelle con pochi dipendenti ed alto reddito (tipo le start-up) avrebbero finalmente una fiscalizzazione più equa ovvero proporzionalmente maggiore rispetto ad oggi. Jaron Lanier nel suo libro "La dignità ai tempi di internet" nel quale vengono affrontati i temi della disoccupazione provocata dalla diffusione di internet e di come chi produceva conoscenza inizialmente venisse pagato ed oggi contribuisca gratuitamente, fa notare come Kodak prima di fallire pur avendo 140.000 dipendenti e Instagram solo 22, avessero circa lo stesso fatturato, solo che Kodak pagava molte più imposte. E' proprio grazie a questa razionale omogeneizzazione dei poteri d’acquisto che sarebbe possibile eliminare i sistemi sociali pubblici quali quelli sanitari e scolastici ad esempio, che verrebbero anch’essi privatizzati.

Modifiche al sistema assistenziale

Analizzare l'attuale concezione bismarckiana attraverso la quale si finanzia il sistema pensionistico è veramente come sparare sulla croce rossa: ogni anno i pagamenti sono fatti a carico dei lavoratori che stanno lavorando. Diritti quali quello al lavoro, alla sussistenza e alla previdenza sociale, all’istruzione e alle cure mediche di base. Lo stato sociale è la risposta a oggi data per andare incontro a molti di questi diritti. Si tratta di varie forme di prestazioni, spesso messe in campo da strutture burocratiche costose e con ampi e inevitabili poteri discrezionali. Gli istituti nati a tutela dei diritti sociali non hanno potuto giovarsi di un modello teorico-giuridico compatto e potente quale quello su cui ha potuto contare ai suoi esordi lo stato liberale rappresentativo. Secondo Luigi Ferrajoli, proprio la mancanza di tale modello ha fatto sì che il welfare state, in Italia come in Europa, si sviluppasse per mezzo di un’accumulazione non sempre coerente di leggi, apparati e prassi amministrative. Altri autori, come Barbalet, riferendosi a tale stato di cose, hanno ritenuto opportuno rifiutare a questa serie di previsioni normative la qualificazione di diritti; più che di diritti, si tratterebbe di legittime aspettative a cui è opportuno dare risposta per motivi di ordine pubblico e di legittimazione politica: essi sarebbero così profondamente legati a situazioni soggettive da non poter essere né universalizzati né formalizzati. Inoltre, sarebbe impossibile prevedere forme semplici e immediate di garanzia, in quanto sarebbe difficile individuare l’esatto obbligo in capo alle pubbliche amministrazioni e agli altri cittadini quale corrispettivo del diritto sociale in questione, e proprio ciò renderebbe difficile mettere in atto le tutele giuridiche anche quando previste e sanzionare singoli individui e pubblici poteri per eventuali inadempienze. Secondo De Soto ciò ha conseguenze economiche importantissime.
Abbiamo poi i problemi di natura etica:
Simile è la posizione di Karl Widerquist, che sostiene l’introduzione di un reddito universale e incondizionato proprio in quanto offre a ogni individuo il potere di resistere e dire no a ogni interazione sociale non voluta. Un’altra caratteristica che sottolinea invece Frank Lovett, e che rende questa policy preferibile all’attuale sistema di welfare, è la mancanza della prova dei mezzi. Ogni sistema di welfare condizionato ha infatti bisogno di un apparato burocratico ampio che raccolga le domande, faccia elementari controlli preventivi, e a volte approfonditi controlli in itinere e successivi, al fine di accertare che i richiedenti rispondano ai requisiti. Queste strutture burocratiche sono costose sia per lo Stato sia per i beneficiari, in quanto proprio il loro mantenimento e lo svolgimento delle attività di controllo assorbono una buona parte delle risorse pubbliche assegnate agli obiettivi sociali prefissati. Inoltre, qualunque sistema di ispezione commette errori che hanno come conseguenza l’esclusione di soggetti che invece rispettano i requisiti, scoraggiandone nel contempo altri a fare richiesta. Questo per tener salva la buona fede e non parlare delle occasioni di corruzione che tale sistema, fortemente discrezionale, rende possibili. Ora, come ben sa chi si occupa di previdenza, nel caso ad esempio delle pensioni di invalidità la conseguenza è che ad essere favoriti da questo sistema fondato sul sospetto sono proprio i disonesti, i falsi invalidi, poichè una persona che decide di ricevere un sussidio senza averne le prerogative è per definizione DETERMINATA, mentre invece chi ne ha le prerogative non necessariamente lo è. I controlli pressanti ottengono l'effetto opposto ovvero favoriscono i disonesti a scapito dei bisognosi.

"Oggi, la frode è provocata dalla legge. La legalità ha ucciso non la giustizia ma anche il buon senso. La legge è violata perché è assurdo osservarla" (Luigi Einaudi)

Riguardo il lavoro per i disabili, le attuali categorie protette. Essere nelle categorie protette oggi non è un privilegio ma un ulteriore condanna. Pochi sanno come funzionano: le aziende sono obbligate ad assumere un disabile ogni 15 dipendenti; qualora si rifiutino di farlo gli viene applicata una sanzione, ma essendo essa di entità inferiore a quanto complessivamente spenderebbero per l'assunzione di un dipendente, preferiscono pagare la multa che assumere un disabile. Lo assumono solamente quando ciò sia possibile sotto forma di dipendente tanto quanto qualunque normo-dotato, ovvero qualora il disabile sia in grado di svolgere le medesime mansioni di una qualunque altra persona, ovvero gli consenta di risparmiare la sanzione e allo stesso tempo di non rappresentare un peso per l'azienda. La conseguenza è che gli unici disabili ad essere assunti sono quelli che non ne avrebbero nemmeno bisogno (dato che le cui capacità li mettono alla pari di qualunque normo-dotato nelle opportunità di assunzione indipendentemente dagli obblighi legali), mentre chi ne avrebbe bisogno, cioè i veri disabili, ne restano esclusi. Per essi le Ulss riservano un "percorso mirato" che è una sorta di paternalistica selettiva (ovvero discriminatoria) schiavitù fatta passare per "tirocini", a 400 euro al mese ovviamente. Tale sistema sarà modificato così: innanzitutto sarà elevata la quota, anzichè ogni 15 (troppo restrittiva) sarà messa ogni 50 (restando la sua filosofia base quella di "sostituto d'imposta"); ed ovviamente, come logica vorrebbe, la sanzione sarà alzata rispetto alla spesa per l'assunzione, il che non significherà modificare l'attuale livello sanzionatorio ma anche lasciandolo inalterato sarà la diminuzione del costo del lavoro a rendere meno conveniente l'attuale sanzione rispetto ad un assunzione ancorchè superflua (come detto, alla stregua di un "sostituto d'imposta") di un disabile anche incapace di svolgere mansioni specifiche. Per gli esclusi rimarrà valido il discorso degli incollocabili, ricevendo le 200 euro quartierali (che vanno ad aggiungersi al reddito di cittadinanza ed alla pensione statale oltre ad eventuali polizze private) in modo permanente anche qualora non sia in grado di svolgere alcuna mansione e fin dalla nascita anzichè dall'inizio o dal termine del percorso scolastico. Per cui in ogni caso un disabile avrebbe una base reddituale minima di 520 euro, alla quale va ad aggiungersi la pensione per età (tra ulteriori 100 e 400 al crescere dell'età, da parte dello stato) cosicchè le polizze private, potendo prevedere cifre inferiori di risarcimento, applicherebbero premi inferiori agli assicurati, ed in ogni caso anche chi non assicurato avrebbe una base minima crescente tra i 620 ed i 1.020 a seconda dell'età.

Un altra critica da parte dei contrari al reddito di cittadinanza riguarda la cifra che ho riportato in altro capitolo, 1.280 euro per 4 persone, dicono sia troppo alta. Bene, dovete considerare che l'altro scopo del reddito di cittadinanza è permettere la riduzione dell'intervento dello stato nei servizi e nell'assistenzialismo (e quindi riduzione di imposte e maggiore efficienza di quei servizi, ovvero permutazione dei servizi pubblici in servizi privati a pagamento, previa soppressione di enti pubblici inutili o inefficienti, con conseguente riduzione delle imposte per la correlativa diminuzione di copertura), per cui quei 1.280 euro (sommati al salario del capofamiglia dato che come vi ho scritto il reddito di cittadinanza permetterebbe il raggiungimento della piena occupazione) non sono "netti" ma vanno a dover essere usufruiti discrezionalmente per quei servizi che oggi lo stato (con le imposte) fornisce "gratuitamente" (tra virgolette dato che gratis non sono essendo pagati con le imposte) tipo la scuola, la sanità (ovvero la stipula di assicurazioni sanitarie), il risparmio per l'età della pensione (non più stabilita dalle leggi ma solo dalla propria volontà) e relative polizze "tontinarie" (e contestuale abolizione di quelle contributive), che così potrebbero essere privatizzate senza nuocere alle persone meno abbienti come invece ciò avverrebbe se tali privatizzazioni venissero fatte senza la compensazione derivata dal reddito di cittadinanza. Benché all'inizio si sia stabilito il reddito di cittadinanza dalla nascita alla morte, per non fargli assumere ruolo di incentivo alle nascite probabilmente la forma ideale è farlo partire dal momento in cui iniziano le spese dei servizi non più gratuiti cioè finalizzato appunto a coprirle e poco più, quindi dall'iscrizione alla scuola elementare, non essendoci prima di essa particolari necessità di spesa e quindi venendo a rappresentare (qualora erogato) un surplus privo di effettiva motivazione (essendo comunque il minore sotto tutela economica dei genitori e fino tale età da considerarsi compreso nella loro polizza sanitaria). Quindi se abbiamo una cifra troppo alta (per la quale gli avversari paventano il pericolo di inflazione della moneta), essa è compensata dall'utilizzo di quei soldi per servizi che oggi sono gratuiti e che non dovrebbero più essere pagati con le tasse, pareggiando i conti e quindi eliminando il pericolo di inflazione quindi. Anche il timore che tali somme riducano i fondi per altri investimenti (“spiazzamento”) è smentita perlomeno dai risvolti che il “paradosso del risparmio” avrebbe su essa: in una data quantità di tempo la quota di PIL disponibile al risparmio è costante, e le forzature al risparmio (in più o in meno) non portano a modificarla ma solo influiscono sul PIL (con effetto moltiplicato) causando indirettamente inflazione se al PIL potenziale od oltre. Quindi non ne causerebbe alcuna modifica rispetto ad oggi.

Si tenga presente che le polizze assicurative sono un “bene non concorrente” a costo progressivamente decrescente e quindi seguono la regola che “più il prezzo è basso, più persone l’acquisteranno – più il prezzo è alto, meno persone l’acquisteranno – ma i guadagni del venditore (la compagnia assicurativa) restano grossomodo gli stessi” (come per i petrolieri), un eccessivo ribasso sarà evitato dal fatto che maggiore è il numero degli assicurati e maggiori saranno anche i costi (per l’incidenza statistica di scala crescente dei risarcimenti a fronte di maggiore complessità). Nell’eventualità di rilevanti spese sanitarie impreviste sarebbe favorita la diffusione dell’assicurazione sanitaria grazie alla diminuzione dei costi di scala, permettendo a tutti di aver la possibilità di fare fronte a questa spesa assicurativa, in quanto essa rientra tra i beni oggi “indotti” che subirebbero una svalutazione, tanto maggiore perché compensata dall’ampia diffusione (aumento di domanda di un bene non rivale) e alla libera concorrenza, nonché al fatto stesso che non pesando più sulle imposte il SSN, la spesa per l’assicurazione verrà a sostituire più o meno equamente la cifra precedentemente sottratta con la parte di imposte per il SSN e per l’INAIL e simili. Le polizze sanitarie saranno divise in 3 tipi: minimo (coprente solo spese minime, probabilmente contratta dai più poveri, che per esigenze più costose prevedono di rivolgersi alle cliniche universitarie gratuite), massimo (coprente solo le spese massime ma non le minime, probabilmente contratta dalla classe medio-alta, nella previsione che per quelle minime potersi arrangiare), totale (probabilmente contratta dalla classe medio-bassa). A non contrarre polizze saranno probabilmente i più poveri e i più ricchi, per motivi opposti. Allo scopo di incentivarne la stipula e responsabilizzare le aziende e la società sulla salute, il soccorso, la sicurezza, e la prevenzione, le polizze sanitarie varranno obbligatoriamente anche come polizze vita indipendentemente dalla causa di morte (cioè non necessariamente per cause imputabili alla sanità), con cifre variabili a seconda dell'età a seconda del tipo di polizza (tra i 10-30.000 nell'infanzia per azzerarsi a 70 anni), anche con lo scopo di contribuire alle spese funerarie; la copertura assicurativa dei minori sarà affiancata contrattualmente automaticamente a quella della madre (o, su scelta dei genitori dopo la nascita, spostabile su quella del padre, per cui le compagnie non differenzierebbero i prezzi a seconda del genere poichè in caso di applicazione di un premio minore ai maschi i figli verrebbero fatti passare sotto la loro polizza per spendere meno), su variazione del premio stabilita contrattualmente al momento della stipula (cioè non della nascita o del concepimento o del passaggio all'età fertile o il suo termine); in tal modo non si incentivano le nascite ma senza andare a pesare eccessivamente sulle spese per i figli (poichè in assenza di ciò una polizza a sè stante per un neonato verrebbe ad essere eccessivamente costosa e per molti inaccessibile, anche a causa dell'obbligatoria clausola-vita), essendo il suo scopo di evitare che bambini restino senza copertura sanitaria: essendo un assicurazione (e quindi una scommessa) in pratica gran parte del premio assicurativo per i nati viene suddiviso tra tutti gli assicurati a parità di età (poiché è da attendersi una differenziazione in base all'età con premi maggiori a chi stipula verso i 35 anni) anzichè sulle sole madri effettive (dato che per la legge delle probabilità e della domanda-offerta la percentuale contrattuale di aumento del premio in caso di gravidanza proposta dalle compagnie sarà tenuta molto inferiore rispetto a quella che sarebbe in assenza di questo sistema). Ovviamente tuttociò vale per le stipule avvenute prima della gravidanza (con le clausole per i figli valide a partire da 6 mesi dopo la stipula, per evitare frodi); quelle posteriori varranno solo per i successivi figli, non per quelli già concepiti all'atto della stipula, per i quali si dovrà stipulare una polizza apposita.
Polizza sanitaria, scuola, accumulo di risparmi per la pensione, che altro poi? Dal calcolo i 320 euro al mese complessivi ovvero sono non da spendere interamente per i servizi elencati (che valuto al massimo sugli 80 euro al mese a persona, ma nella maggioranza dei casi più sui 40, eccetto per la scuola con la quale magari si arriverebbe a 250 mensili ma è limitata appunto solo all'età scolastica nella quale non si hanno grandi spese personali e quindi per la quale se i 320 fossero netti sarebbero perfino troppi), oltreché la detrazione amministrativa discrezionale locale (valutabile tra i 20 e i 50 euro a seconda del quartiere). Per cui per la maggior parte delle persone che hanno anche altri redditi il residuo spendibile netto diverrebbe mediamente circa tra 200 e 250 euro; solo per chi non ha altri redditi (si consideri l'integrazione facoltativa di ulteriori 20 euro ai 320) esso si manterrebbe sui 300-320, oltre gli eventuali 200 di incollocabilità (lavoro a regia). Non si dimentichi poi che da tali cifre vanno considerati anche i risparmi per il futuro e la pensione, e che, almeno per i lavori più redditizzi (sopra i 2.500 euro), le cifre di 200-250 euro corrisponderanno ad un calo del reddito salariale di misura pressochè equivalente, e che solo man mano che si scende di livello salariale il potere d'acquisto reale apportato dal reddito di cittadinanza crescerà progressivamente (per esempio, sui 1.500 un aumento di 100-150 euro, sui 600 di 200-250 euro).
Sull'abbassamento dei prezzi della sanità poi inciderebbe anche l'abolizione della responsabilità penale dei medici (eccetto ovviamente sull'omissione di soccorso), che come da recente servizio delle iene, l'Italia è l'unico paese dove gli errori medici sono perseguibili penalmente, fattore che oggi innalza enormemente i costi della sanità. E, detto per inciso, l'Italia è anche l'unico paese al mondo ad aver abolito i manicomi... non instillo nessi ma sottolineo l'ironia insita. Per i pochi per i quali i 320 sarebbero l'unico reddito netto (ovvero chi oggi ha potere d'acquisto di 0 netti, cioè i senzatetto) vi sarebbero comunque servizi sanitari gratuiti presso le università, e che in cambio della totale assenza di imposte sugli ospedali privati dotati di pronto soccorso essi dovrebbero ricambiare con un minimo di assistenza anche ai non paganti (un reparto di osservazione per esempio, con vitto a carico del quartiere quando il paziente non sia in grado di provvedere da sè), mentre i servizi di pronto soccorso sarebbero addebitati al comune o al quartiere (si intende sempre solo per i pochissimi non paganti / assicurati, in pratica solo chi oggi ha potere d'acquisto di 0 netti); il trasporto di intervento urgente (ambulanza) per il pronto soccorso sarà dato in appalto dal quartiere alle aziende con quota fissa (ovvero non a servizio); trasporti non urgenti (per visite programmate) saranno solo a carico del paziente (o della sua polizza assicurativa se compreso nel contratto); il trasporto da un pronto soccorso privato ad una clinica universitaria gratuita sarà a carico dell'azienda ospedaliera privata, per cui essa valuterà la convenienza tra il trattenere presso sé il paziente non pagante od inviarlo in una struttura per non paganti. Ciononostante l'assistenza sanitaria gratuita permarrà presso le cliniche universitarie (poiché non avrebbe senso far pagare ai pazienti l'istruzione dei tirocinanti sovrintesi da insegnanti, non per altro). In pratica il servizio sanitario pubblico gratuito verrebbe comunque finanziato tramite le imposte dei contribuenti, ma indirettamente, tramite le borse di studio erogate agli studenti di medicina con le quali essi pagano l'iscrizione agli istituti universitari che effettuano tale servizio gratuito. Si consideri poi che non ci si può basare sui prezzi odierni di questi servizi privati, perché la diffusione A TUTTI ne farebbe abbassare drasticamente i prezzi per via dei rendimenti di scala, per cui praticamente tutti vi avrebbero accesso in un sistema nel quale sussista un reddito di base con tutte le relative conseguenze indirette che esso apporterebbe e che ho già descritto sommariamente, in pratica le uniche persone che non riuscirebbero ad arrangiarsi da sé sono gli attuali barboni ovvero solo quelli per i quali il reddito di cittadinanza rappresenterebbe l'unico reddito (e non un integrazione come per tutti gli altri), per la cui garanzia del sostegno sociale a questa infima minoranza per quanto mi riguarda ho già previsto il tipo di sistemazione come per la sanità, dato che ho già scritto i motivi per cui la disoccupazione involontaria se non scomparire si ridurrebbe al minimo cioè a quella temporanea e strutturale, indipendentemente dal monte-ore nazionale (ovvero del progressivo gap da automazione) e comunque inoltre prevedo una diversa organizzazione del sistema di collocamento, fondato su classifica temporale (ovvero per data di iscrizione originaria), nel quale si sarebbe avvantaggiati man mano che la si scala e non nel quale ognuno allo sbando debba arrangiarsi da sé come è oggi; tali liste saranno suddividibili a richiesta per vari parametri, tra cui quello scolastico, il cui sistema non più ambiguo ma fondato sulle corporazioni e quindi sulle rispettive abilità peculiari permetterà di assegnare ad ognuno la mansione specifica (ai cuochi la mansione di cuoco, ai meccanici quella di meccanico), e quello territoriale (cosicché sia possibile limitare al minimo gli spostamenti). Come unico ammortizzatore sociale l'affidamento degli esclusi (quelli rimasti in alto nella classifica da molto tempo ma nonostante ciò mai collocati) ai quartieri come manodopera pubblica "superflua" e "socialmente utile" in lavori a regia (spazzini di quartiere, piccola manutenzione urbana e del verde, protezione civile, ronda a supporto dello "sceriffo", ausiliari del traffico, supporto agli assistenti sociali, badanza anziani, ecc) a seconda non delle necessità effettive del quartiere ma del numero di incollocabili residenti nel quartiere (essendo il suo scopo l'ammortizzazione sociale), con stipendi gravitanti sui 200 euro al mese per ciascuno (aggiuntivi al normale reddito di cittadinanza erogato dallo stato, non in sostituzione di esso...), ed orari di lavoro adeguati a tale cifra, quindi almeno 45-50 ore mensili (altrimenti se le condizioni fossero troppo appetibili il fare in modo di rientrare nell'incollocabilità rifiutando ogni assunzione potrebbe venir preferito all'accettazione di un lavoro effettivo, a scapito dei veri incollocabili che si vedrebbero rallentati nel salire la classifica; d'altro canto questo meccanismo di conseguenza andrà ad influire proprio sulla regolazione dei livelli salariali nel settore privato, fungendo da incentivo a non farli scendere sotto tale livello poichè se avvenisse si rifiuterebbe l'assunzione preferendo l'incollocabilità); ovvio che qualora le necessità del quartiere superino quelle degli incollocabili esistenti, l'amministratore potrà a sua discrezione far svolgere straordinari pagati (ovvero la cifra di 200 e l'orario di 45-50 sono solo il minimo a cui è obbligato adempiere quando gli incollocabili superino le necessità effettive); o in alternativa, date le diverse esigenze dei diversi quartieri, gli addetti potranno essere scambiati tra diversi quartieri per uniformare la copertura a livello comunale. Come già detto in precedenza, solo visto sotto questa ottica complementare il concetto di "lavoro di cittadinanza" assume un senso, come supplemento al reddito di base con destinazione chi altrimenti avrebbe come unico reddito quello appunto di base; di certo non nel senso inteso da Renzi e Fassina cioè l'obbligo di lavorare per ottenere l'intero reddito minimo vitale. Inoltre, come detto, tale meccanismo sostituirà gli obblighi legali sui minimi salariali, come già detto in altro capitolo, senza necessità di coercizioni dirigistiche. Bisogna finirla con sta cazzata che il lavoro va *cercato*! I risultati di tale concezione si vedono! Quando viceversa viene denigrato l'aspettare come deprecabile fatalismo. Il lavoro invece va proprio ASPETTATO! Non cercato! E su questo assioma dovrebbe basarsi la sistemazione dei centri per l'impiego invece che sull'attuale doversi arrangiare da sè. Ma se poi ci si deve arrangiare da sè, che senso ha l'esistenza stessa dei centri per l'impiego???

Trattandosi di diritto, il lavoro non dovrebbe essere a tempo, ma per la vita, dovrebbe durare cioè fino a che il soggetto si senta in grado di svolgerne uno. Perciò non dovrebbero essere previsti limiti predefiniti al pensionamento, ma occorrerebbe lasciare che fosse lo stesso lavoratore a decidere quando abbandonare il campo. Il concetto stesso di pensione dietro contributi dovrebbe essere abolito (anche chi non ha contribuito deve mangiare anche da vecchio) e sostituito parzialmente dal reddito di cittadinanza stesso (magari integrato da una quota-pensione a partire da una certa età) più il restante affidato all'iniziativa privata, ma non nel senso dei conti vincolati a tempo odierni che sono in pratica sempre un inps contributivo privato, ma piuttosto col sistema della tontina, cioè ognuno nel corso della vita si risparmia nel modo che meglio desidera (anche il semplice conto in banca) quello che vuole, e a una certa età stipula la tontina con una compagnia tontinaria, in pratica spiego per chi non sa cos'è la tontina, si danno tot soldi alla compagnia, ed essa deve restituire quella cifra un tot al mese (come una pensione appunto) nell'arco di tipo 10 anni o raggiunta una certa età (suddivisa mensilmente per i mesi che mancano a tale traguardo), se si muore prima di tale traguardo la compagnia trattiene ciò che rimane di quel che le si è versato, se si sopravvive oltre essa deve continuare ad erogare in perdita la stessa cifra mensile indefinitamente fino alla morte, in questo modo venendo a pareggiare i suoi conti tra deceduti prima e deceduti dopo, per cui, considerato ovviamente il loro utile, gli introiti arriveranno dalla differenza tra deceduti prima e dopo. Si consideri che non è un investimento, ma un assicurazione ovvero una “scommessa” tra contraente e compagnia, in questo caso sulle probabilità che l’assicurato superi l’aspettativa media di vita, ovvero una “tontina”. Se ne potrà stipulare anche più di una (ad esempio una a 57 anni, una a 63, ecc, a seconda delle possibilità e necessità intervenute in seguito), il bonus-malus (ovvero una quota a fondo perduto) si baserà sull'età di stipula, ovvero tanto l'età è bassa e tanto più alta sarà la cifra che le compagnie chiederanno a fondo perduto, probabilmente azzerato dopo una certa età tipo 70 anni e molto alto a età minori fino al 99% ad esempio a 30 anni. Ovviamente per chi ha già una pensione e / o versato i contributi continuerà a percepirla ma non più dall'inps (essendo privatizzato o abolito) ma dall'erario. Le tontine saranno sottoposte a basilari clausole prima delle quali la reversibilità in caso di malattia terminale prima del raggiungimento del "traguardo" la compagnia dovrà restituire il 70% di ciò che resta (che si presumono necessari per le cure), ed è sulla base di queste clausole che le compagnie potranno stabilire l’entità dei bonus-malus e l’eventuale tasso di interesse a cui sottoporre il cumulo; se si paventa il rischio di perdere la tontina in caso di fallimento della compagnia, le varie compagnie dovrebbero assicurarsi in maniera incrociata contro il fallimento (ovvero in caso di fallimento di una i suoi obblighi passano ad un altra), per cui la compagnia assicurativa fallita verrebbe incorporata (con tutte le relative obbligazioni) a quella alla quale era assicurata. Questa parziale sicurezza fondamentale porterà inevitabilmente ad una maggior convenienza delle polizze assicurative, in quanto la necessità delle compagnie di un accumulo di grandi riserve destinate a coprire possibili cataclismi sarà minore. Ovviamente è implicita l'abolizione del concetto di "età pensionabile" (ognuno smetterebbe di lavorare quando ritiene di farlo). I sistemi assicurativi saranno resi efficienti mediante alcune regole, tra cui l'aumento dei risarcimenti man mano che passa il tempo dall'inizio di un contenzioso.

Sul lavoro oltre ai salari graverebbe teoricamente come spesa spuria solo l'assicurazione sugli infortuni, che però non essendo più specializzata solo sul lavoro (non si vede per quale motivo un invalidità avuta causa lavoro debba essere diversa da una avuta in altro ambito...), proprio per via di questa diversa impostazione (non è più un assicurazione sul lavoro in sé) non rappresenterebbe più un esternalità apposta sul lavoro e quindi non avrebbe alcuna incidenza diretta sui salari (allo stesso modo per cui non ce l'ha l'acquisto di un automobile utilizzata per recarsi al lavoro); ed essendo facoltativa e personale ovvero stipulata non dal datore di lavoro ma dalla persona che desidera assicurarsi, è ovvio presumere che secondo il libero mercato a mansioni più pericolose corrispondano premi maggiori, cosa che, unitamente all'aumento di costo determinato dalla maggior libertà di scelta in assenza del ricatto salariale che oggi praticamente costringe gli addetti a non potervi rinunciare, da un lato disincentiverebbe i lavori più pericolosi incentivando la loro automazione o altri sistemi sostitutivi, dall'altro il rispetto delle norme di sicurezza; ovviamente tale polizza sarebbe solo integrativa ad una minima pensione fissa assicurata dallo stato indipendentemente da qualunque parametro, tipo chi resta disabile per qualunque motivo esso sia riceve tot dallo stato in ogni caso, cifra inizialmente bassa a seconda dell'età (dell'età della persona, non del momento in cui la condizione di disabilità è iniziata) per crescere con l'età e rimanere stabile dopo una certa età, tipo 100 euro al mese da 0 a 18 anni per arrivare a 600 euro dai 35 anni in poi (oltre al reddito di cittadinanza) indipendentemente dal momento in cui avviene l'inizio della condizione di disabilità (cioè le variazioni sono solo a seconda dell'età della persona, non sulla durata della disabilità) ed anche questo influirà sui premi delle polizze private nel senso di un loro ridimensionamento rispetto all'assenza di ciò. Le disabilità di nascita saranno a carico della struttura ospedaliera quando erroneamente non diagnosticate in tempo (eccettuate quelle non diagnosticabili, tipo autismo).

La conseguente riduzione delle imposte

"Qualunque imbecille può inventare e imporre tasse. L'abilità consiste nel ridurre le spese" (Maffeo Pantaleoni)

Da ciò è facile comprendere come le spese pubbliche saranno notevolmente ridotte, e non aumentate come critica chi non arriva a comprendere i risvolti indiretti del reddito di cittadinanza, esigendo quindi un prelievo fiscale molto inferiore rispetto ad oggi, non per una forzata “supply-side economics” reaganiana (che sostiene che la riduzione delle tasse possa stimolare l’occupazione e la produzione eliminando la “perdita secca” dai modelli. Fu la base del programma reaganiano e thatcheriano). Solo senza una corrispondente adeguata compensazione (la quale potrebbe essere data appunto dal reddito di cittadinanza), l’effetto ottenuto è l’opposto a causa della diminuzione di redistribuzione da spesa pubblica (si consideri che la spesa pubblica in sé non è lo spreco, giacché quei soldi vanno comunque a qualcuno, fornitori di servizi ecc, lo spreco è derivato dal "consumo delle suole" ed altre inefficienze, per questo ridurla credendo così di aumentare la ricchezza è come tagliare una gamba ad un obeso per farlo dimagrire) e relativa inflazione conseguente ma spontaneamente, per la riequilibratura apportata dal reddito di cittadinanza e dalla razionalizzazione del sistema erariale (tesa principalmente a limitare il “consumo delle suole”, la spesa supplementare determinata non dagli scambi in sé, ma dal costo per realizzarli. Ovvero immaginariamente “dal consumo delle suole delle scarpe per recarsi alla banca”). Questo non avrà influenza sulla produzione aggregata (e cioè sui redditi personali aggregati), perché l’“effetto reddito” manterrà immutate (adeguandole) le propensioni al consumo ed al risparmio, ovvero probabilmente il reddito nominale diminuirà della misura della riduzione delle spese pubbliche ma lasciando immutato il valore reale del reddito ed i tassi di interesse, ceteris paribus, evitando la relativa inflazione altrimenti conseguente. Il PIL nominale aumenterebbe solo di pari misura; ma mancando la cifra oggi sottratta con la parte artificiale dei salari (sostituita dal reddito di cittadinanza) e delle imposte eliminate grazie alla privatizzazione dei servizi, esso è già inferiore di tale cifra, ed entrambe si compensano riportando il PIL ed i prezzi ai livelli odierni, ceteris paribus (considerando il moltiplicatore). Per fare un esempio, quando il prezzo del petrolio aumenta non diminuisce la sua domanda, ma l'aumento ricade sugli altri beni come maggiori spese di trasporto e produzione.
In un paese di 58 milioni di abitanti il reddito di cittadinanza ideale sarebbe di 18.570.000.000 al mese cioè 222.840.000.000 all'anno; le attuali entrate dello Stato sono attorno i 500.000.000.000 di euro (cioè 8.620 euro pro capite); anche lasciando le entrate invariate il residuo disponibile sarebbe quindi 277.160.000.000; ma considerate che verrebbero eliminate tutte le spese pubbliche eccetto quelle per la difesa (stavo per fare l'elenco di quelle eliminate ma è più breve fare quello di quelle che rimangono), e solo in parte per la giustizia e la polizia, poiché tutte le altre (politica, amministrazione, servizi in appalto, lavori pubblici, ecc) sarebbero appoggiate sul (ovvero dedotte dal, direttamente o indirettamente, obbligatoriamente o discrezionalmente) bilancio del reddito di cittadinanza, e giustizia e polizia sarebbero finanziate indirettamente, dato che essendo corporazioni a bilancio autonomo le spese della polizia pubblica sarebbero pagate dalle imposte pagate dalle polizie private che a loro volta sono pagate anche dagli enti pubblici, e la giustizia sarebbe pagata dalle imposte degli avvocati tra i quali quelli dello stato (pubblici ministeri), certo a loro volta pagati dal ministero dell'interno tramite l'erario. Quindi oltre a questi solo l'esercito riceverà soldi direttamente dalle casse statali; ora considerate che le imposte (resterebbero solo quelle fisse a seconda della tipologia di azienda e parametri quali la metratura dei suoi immobili ed altre proprietà; sempre fisse ma precisamente a progressività continua rimarrebbero solo quelle patrimoniali personali, cioè tipo bollo auto e sulla casa, con presupposto non il valore vero o presunto ma metratura, posizione, cilindrata, età; abolite quelle in percentuale sui redditi) dovrebbero finanziare solo esercito, e in parte giustizia e polizia, oltre al reddito di cittadinanza (anche la politica e i lavori pubblici peserebbero solo indirettamente sui redditi di cittadinanza con le imposte amministrative locali che verrebbero dedotte appunto dai redditi di cittadinanza localmente). Ora mi chiedo, tutte le attuali spese pubbliche (comprese quelle locali eh!) oltre a quelle indicate, sono inferiori o superiori a 222.840.000.000 annui? Indipendentemente poi dal fatto che tale cifra (o poco meno, grossomodo) equivale a quanto spenderebbero in meno le aziende complessivamente come costo del lavoro (“reddito personale aggregato”, costo del lavoro complessivo di una nazione, il quale più le imposte che incidono sui redditi lordi da il reddito nazionale, mentre la produzione aggregata comprende tutto quello che viene a formare il PIL reale; il totale di queste due cifre, RN più spesa pubblica, è il prodotto nazionale netto; il PNN più l’ammortamento è il prodotto nazionale lordo; esso riferito solo alla produzione interna è il prodotto interno lordo) per cui la riduzione delle imposte sarebbe praticamente quasi NETTA. La parte di imposte destinata oggi a esercito, forze di polizia, e sistema giudiziario è inferiore o superiore a 277.160.000.000 (cioè a più della metà del bilancio dello stato)? Nel caso sia inferiore (e lo è, preciso per chi non ha afferrato), la parte in esubero è la parte di entrate in meno da ottenere con le imposte, ovvero, e qui lo dico per gli imprenditorucoli che a Trieste applaudivano fragorosamente Renzi dopo le parole "in Italia non introdurremo mai il reddito di cittadinanza", la riduzione delle imposte di equivalente misura. Alla quale si aggiunge la cifra delle attuali imposte locali abolite. Di conseguenza se ne può dedurre che effettivamente esiste un gruppo di persone che dall'introduzione del reddito di cittadinanza ne avrebbe un danno: i commercialisti, il cui lavoro sarebbe reso non più necessario dalla scomparsa del concetto di dichiarazione dei redditi e relativi scontrini fiscali e registratori di cassa e bolle di accompagnamento.

Mi viene fatto notare che ad oggi (2017) il bilancio dello stato non è più 500 miliardi netti (avevo dati vecchi) ma di 600 miliardi che con i tributi locali e le entrate extra tributarie si arriva a 800, per cui la riduzione del livello di imposizione fiscale non sarebbe di 1/4 come ho fatto intendere ma di 2/3... correggerò le varie parti nelle quali ciò comporta una modifica nel testo, per ora lascio questa postilla.

Le relative modifiche al sistema fiscale

Vi saranno 3 tipi di imposte:
Dell'imposta fissa, la parte "a corpo" andrà interamente all'erario statale (altrimenti una grande azienda che mettesse la sede in un paesello lo renderebbe ricchissimo se l'imposta andasse al comune); quella "a misura" andrà per il 50% all'erario statale, per il 25% alle regioni, per il 25% alle provincie (poichè basata sull'estesione dei suoi impianti nei relativi territori). I comuni ricevono per intero le imposte di licenza e quelle complementari ad essa (plateatici, ecc). Le imposte patrimoniali vanno per metà all'erario statale e per metà al comune. Quelle sostitutive delle accise (alcolici, tabacchi, benzina, ecc) vanno all'erario statale. Le imposte sulle attività produttive o di servizi saranno finalizzate di conseguenza non più al mero incameramento fiscale da parte degli enti pubblici, il sistema fin qui spiegato renderebbe superfluo il ricorso ad imposte globali finalizzate unicamente al finanziamento della spesa pubblica, le imposte prevedibili (ed in questo testo analizzate) sarebbero necessarie unicamente a "plasmare" il sistema economico, ossia sarebbero imposte supplettive e di conseguenza ridotte al minimo indispensabile ad ottenere il risultato auspicato, e quindi notevolmente inferiori rispetto alle odierne imposte dirette sul reddito delle attività produttive, e comunque certamente più eque. Innanzitutto il presupposto diventa quindi l'esistenza stessa dell'azienda come attività produttiva, ovviamente per la diversità sia di tipi di produzione sia di quantità potenziali verranno distinte a seconda della tipologia e di altri parametri primo dei quali la metratura (cioè "a misura"), che viene a sostituire la base imponibile mentre il concetto stesso di aliquota non è contemplato. Tutte le imposte saranno adattate ad evitare l’inefficienza derivata dal “principio dei costi crescenti”. Per quanto riguarda la prima, a seconda della categoria produttiva, ogni azienda paga un tot fisso all'anno, in parte "a misura" ed in parte "a corpo", a seconda del tipo di attività potrebbe essere predominante una o l'altra, ma nella maggior parte dei casi sarà preponderante la parte "a misura" (poiché altrimenti si causerebbe una tendenza alla monopolizzazione per fallimento di quelle a minor reddittività o fusione tra aziende), per parametro, in particolare sulla metratura (la quale è certamente una valida indicazione della reddittività, e non sulla quantità di dipendenti che non necessariamente coincide con essa) dell'estensione complessiva delle sue proprietà immobiliari (finalizzata anche ad incidere su esse per impedirne l'attuale accaparramento che non fa altro che gonfiare il mercato artificialmente). La fissazione sarà differente tra diverse categorie (poiché eccessivamente alta sulle attività delocalizzabili inviterebbe alla delocalizzazione), e quindi mettiamo ad esempio (e metto le mani avanti per metterlo in chiaro prima, sono cifre indicative che scrivo io come esempio, non che quelle debbano poi in realtà essere! Quelle reali le si potrà stabilire allorquando si potrà discutere delle sfumature del colore della cioccolata):

tipologia di produzione "a corpo" "a misura"
azienda bancaria (non delocalizzabile ma delocalizzabili i soldi) 50.000 300
azienda manifatturiera (perciò delocalizzabile) 10.000 80
attività commerciale al minuto (non delocalizzabile) 1.000 400
attività commerciale all'ingrosso (non delocalizzabile) 40.000 200
agricoltura (non delocalizzabile ma suscettibile alla concorrenza delle importazioni) 200 1-4
distributori di benzina 800.000 10
noleggio automobili (sul quale pesa già il bollo per ogni vettura) 100 1


L'imposta a misura sull'agricoltura è variabile per essere adeguata a zone sulla base del piano regolatore comunale in base alle esigenze sull'utilizzo del suolo, e solo su appezzamenti superiori agli 80 mq per cui gli orti per auto-consumo non subirebbero alcuna imposizione; sulle aziende di trasporto (non delocalizzabile) l'imposizione sarebbe rappresentata anche dal bollo del veicolo (in sostituzione della metratura) più la licenza comunale su base d'asta (cioè stabilita dal detentore stesso), perciò se ne dovrà tener conto nella fissazione dell'imposta fissa a livello nazionale, e tenendo conto che in esse è efficiente la frammentazione, nonché che la quota della licenza viene a rappresentare il massimo dell'equità, non vi sarà anche una parte "a corpo" (perciò solo bollo e licenza). Un azienda manifatturiera che produce beni capitali (cioè mezzi di produzione) sottostarrà ad un imposta inferiore ad una che produce beni di consumo. Essendo introdotte per certi beni patrimoniali (immobili e veicoli) imposte sull'utilizzo ovvero non finalizzate ad incidere sulla produzione, le relative aziende produttrici (quindi imprese edili a fabbriche di automobili) non subiranno imposizioni particolarmente alte, anzi proprio per compensare le imposte posteriori sull'utilizzatore quelle sul produttore saranno piuttosto basse (pur tenendo conto che quella automobilistica è delocalizzabile e che quella edilizia pur non essendolo è suscettibile di affidamento dei lavori a ditte estere). Ovviamente le cifre elencate sono solo indicative, nella realtà bisognerebbe valutare la cifra che comporti il massimo dell'efficienza sulla base delle necessità di entrate. Ma la proporzione indicata come esempio calzante illustra come in pratica il maggior peso fiscale peserebbe sulla distribuzione ma in senso netto ovvero non sarebbe un peso maggiore rispetto ad oggi SUL COMMERCIANTE né sui prezzi in quanto assume la funzione di "sostituto d'imposta", cioè se essa paga tot più rispetto ad oggi, i suoi fornitori (produttori) pagando mediamente quello stesso tot in meno di tasse, fornirebbero (sempre mediamente) i loro prodotti con sempre quel tot in meno estrapolato dal prezzo del prodotto, di conseguenza il costo al consumatore resterebbe lo stesso di oggi, ed il reddito del commerciante idem. Se come abbiamo detto un imposta fissa applicata sulla metratura (cioè "a misura") uguale per tutte le aziende di un settore è neutra dal punto di vista della concorrenza (pesando in maniera uguale su tutte), ciò non vale se l'imposta fissa è sull'attività stessa (cioè "a corpo"). Per cui la tassazione fissa (non a metro quadro ma per impianto, quindi "a forfait" o "a corpo") sarebbe predominante sulle aziende della quali l'accentramento (monopolio) è positivo, e faccio l'esempio dei benzinai, che dovrebbero pagare tot annui fissi indipendentemente dalla metratura del loro impianto, avendosi così la riduzione al minimo indispensabile della loro quantità ma non eccessivamente (in quanto il loro utilizzo è disperso sul territorio e non è accentrabile né delocalizzabile), che verrebbe a sostituire equamente le accise sulla benzina (che sarebbero abolite). Poi vi sarebbero attività sulle quali sarebbe efficiente un misto perfetto tra imposta per metratura e imposta a corpo, ovvero i ristoranti e gli alberghi per favorire l'ingigantimento (essendo oggi la loro funzionalità gravemente inficiata da un economia di scala inefficiente) senza pesare troppo su quelli piccoli; su quelli self-service le imposte sarebbero ancora minori, ed ancor più su quelli totalmente automatizzati. L’abolizione dell’iva renderà inutili gli attuali “buoni pasto” (i quali hanno un senso solo in quanto parzialmente esentati appunto dall’iva). L'attuale polemica sui voucher è del tutto irrilevante per noi, il problema non sono i voucher ma le cause che ne hanno determinato la nascita, quelle sono da abolire, non i voucher in sé!
Non prevedo imposte sul numero di dipendenti in quanto ciò sarebbe di disincentivo all'utilizzo di manodopera umana (il salario incide come incentivo all'automazione già di per sé stesso che basta e avanza, non si potrebbe in nessun caso farlo già più di così, l'automazione è quindi comunque indipendente dalle imposte quando già pesano i salari, quindi ciò non ostacola l'automazione). Poi vi sarebbero ulteriori imposizioni particolari (che tanto ci sono anche già ora quindi non sarebbe un aggiunta di peso fiscale rispetto ad oggi), tipo sull'alcol (so che oggi già ogni licenza di vendita di alcol paga tipo 800 euro annui fissi), ma conseguente abolizione delle accise sui prodotti sui quali oggi vigono, sostituita appunto o dall'introduzione (ove già non vi sia) o dall'aumento dell'imposta fissa di licenza di vendita, tabacco, benzina, tutti i prodotti oggi gravati da accise insomma.
Ricapitolando, negli scopi le accise su beni e servizi (IVA, dazi) saranno abolite e sostituite da imposte forfettarie che incidano direttamente sulle aziende della filiera che tratta i beni sui quali si vuole apporre un maggior costo di opportunità. Esempio: le attività di utilità sociale ma improduttive (es. sanità, scuola) saranno defiscalizzate (o più esattamente la loro corporazione sarà finanziariamente autonoma, si veda la pagina sulla democrazia organica), mentre quelle superflue o socialmente inutili manterranno una fiscalizzazione più alta tesa a disincentivarle. A parte questo, non esisterà più altro margine di politica fiscale discrezionale.
All'atto della fondazione di un azienda dovrà essere versata metà dell'imposta subito, e metà alla scadenza di un anno; i successivi versamenti dovranno essere fatti a metà anno. Non esisterebbero più imposte in percentuale sui redditi, eliminando perciò il disincentivo oggi rappresentato da esse ad incrementare i redditi (per quanto strano possa sembrarvi ciò è confermato nei libri di testo di economia) dal sistema progressivo a scaglioni di reddito, né sulle persone né sulle società. Le imposte che graveranno sui redditi alti saranno non sulla spesa come intendeva Sergio Ricossa, ma sul possesso continuato (quindi in primis casa e auto). Le uniche imposte personali sarebbero quelle patrimoniali tipo il bollo auto e sulla casa (sempre fisse ma a progressività continua, con base variabile a seconda di determinati parametri, in modo da gravare sulle persone più ricche sulla base dei loro consumi effettivi avvantaggiando chi invece risparmia indipendentemente dal reddito, poiché l'imposta, sia che colpisca il reddito, sia che colpisca il patrimonio, viene pagata con il reddito), ed un imposta amministrativa che rappresenterebbe il costo UNICO dell'amministrazione pubblica e nel mio pensiero sarebbe dedotta automaticamente dal complessivo reddito di cittadinanza. In questo modo il concetto stesso di spesa pubblica verrà separato e reso indipendente dagli introiti fiscali, stante la redistribuzione del surplus (variabile a seconda del rapporto entrate / uscite) come reddito di cittadinanza, essendo le entrate grossomodo fisse nel breve periodo ma le uscite variabili, stante il mantenimento tendenziale nel lungo periodo di una quota maggiore nelle entrate rispetto alle uscite in modo appunto da avere comunque sempre un surplus per i redditi di cittadinanza e non un deficit. Per questo la cifra finora riportata di 320 è solo quella a cui puntare nel valutare tale surplus complessivo da dividere tra tutti i cittadini (assume quindi la forma di distribuzione dell'utile dello Stato come "dividendo nazionale"), che non sempre corrisponderà esattamente a 320 ma vi tenderà, adeguando nel lungo periodo le entrate nel caso vi si discosti troppo, in modo da ottenere comunque un 320 medio. In pratica il parametro sul quale si dovrà calcolare la cifra di reddito di cittadinanza a cui mediamente puntare non è la necessità sulla base di parametri personali opinabili, ma il dividendo disponibile dal surplus tra entrate e uscite dello stato, che sarà solo preso come riferimento sul quale adeguare le entrate sul lungo periodo (che in un sistema così impostato saranno esse ad essere determinate dalle somme disponibili, e non viceversa come oggi, ovvero il "break even" o punto di pareggio uscite-entrate sempre quello rimane), sulla base, in parole povere, della cifra che risulti mantenere i prezzi ad un livello costante, grossomodo quello attuale; ovvero che la domanda rimanga costante, in assenza di variazioni del PIL. Un bollo alto non sarebbe possibile applicarlo anche alla nautica poiché porterebbe a far immatricolare (e magari pure a far stazionare) le imbarcazioni all'estero (bandiera ombra); anzi le imposte sulle imbarcazioni saranno ridotte al minimo, tanto da far diventare la nostra una "bandiera ombra". Le imposte su casa e automobile sono più gravose essendo nel caso di questi beni necessario indirizzarli a causa di esternalità che oggi determinano aree di perdita secca nel loro utilizzo e produzione.
Il totale delle due imposte (sull'attività e di licenza) andrà per il 90% alla corporazione (come sostituto d'imposta ovvero in funzione ausiliaria volta all’attuazione della potestà impositiva cioè “potere esattivo” per conto dell'erario statale) e per il 10% al comune dove l'azienda ha la sua sede; questa suddivisione è utile oltre che per una più omogenea distribuzione territoriale ("federalismo fiscale"), e avente funzione di imposta pigouviana per le comunità dove l'azienda è sita, anche per impedire omissioni di favore, essendone interessati alla riscossione due organismi diversi. Tuttociò in maniera complementare alla privatizzazione di tutto il settore pubblico eccetto dove ciò non sia possibile totalmente (esercito, polizia, giustizia) che rimarrebbero (assieme alle opere pubbliche) l'unico peso fiscale dello stato dalla cui necessità ricavare dalle imposte fisse aziendali che ho descritto. Chi ha familiarità coi conti pubblici si faccia un pò il conto...

Le imposte tese alla programmazione economica si potrebbero evitare se gli impulsi psicologici alla spesa non fossero determinati da spinte spesso irrazionali. In realtà, quella dell’efficienza è una questione molto complessa. Ad esempio, lo studioso Wolfgang Streeck ha sostenuto che vi sono casi in cui i vincoli socialmente istituzionalizzati al comportamento dell’attore tendente alla massimizzazione degli interessi possono essere benefici dal punto di vista economico. Il che significa che “una società che lascia ad attori dotati di una razionalità di mercato la libertà di agire a loro piacimento non riesce ad utilizzare in modo ottimale il proprio potenziale produttivo e finisce per avere un rendimento economico peggiore di quello possibile” (Wolfgang Streeck). La ragione di fondo di tale affermazione è che la realtà nella quale l’attore economico si trova ad operare offre delle “tentazioni” e determina delle incapacità nell’analisi razionale che lo spingono a non adottare i comportamenti più vantaggiosi nel lungo termine. L’introduzione di vincoli di tipo istituzionale svolge così un ruolo importante, in quanto controbilancia gli irrigidimenti e le lentezze che un sistema di concorrenza imperfetta spontaneamente ricrea al proprio interno. In questo senso, il costituirsi di un potere autonomo e diverso rispetto a quello economico non è solo condizione per il mantenimento delle regole della concorrenza, ma può essere un fattore capace di aiutare il sistema delle imprese a raggiungere livelli superiori di efficienza, stante la razionalizzazione delle scelte consumistiche. In assenza della possibilità di regolare istituzionalmente il commercio di prodotti deleteri (eventuali simili barriere legali verrebbero perlomeno contro alla filosofia fondamentalmente liberista del distributismo), perlomeno si provvederà ad alzare artificialmente il prezzo di questo spreco fin dove è possibile, in modo che pesi sul possessore molto più di quanto pesi alla società la sua perdita o la perdita di beni equivalenti o il lavoro impiegato. Da ciò la necessità di disincentivare iperfiscalizzando attività produttive superflue, frivole, quando non proprio deleterie. Il riferimento va in particolare a droga, prostituzione, gioco d’azzardo, auto di lusso, discoteche, status symbol. Inoltre, “lavoro” di vendita porta a porta o telefonico, “vendita” di suonerie, volantinaggio pubblicitario, “mestieri” non solo inutili ed improduttivi, ma proprio deleteri! E non certo solamente per le risorse che possono sottrarre al sistema produttivo: chi è più parassitario tra loro e uno spacciatore di droga o una puttana? Consumano risorse per dare in cambio il nulla, anzi peggio che il nulla! Sottraggono risorse altrimenti utilizzabili certamente meglio. Il possesso di mezzi di ricchezza non dà (non deve dare!) automaticamente anche il diritto di sputarci sopra o di farla dimostrazione di potere tramite “status symbol” effimeri e socialmente costosi. Un bene distrutto è un bene in meno a disposizione della collettività, e un bene superfluo prodotto a discapito della produzione di beni necessari idem (o acquistato all’estero contraccambiando esportando beni nazionali più utili all’interno), o comunque usufruendo di lavoro altrui. La capacità di acquisirlo per se stessi non deve dare il diritto né di distruggerlo né di togliere qualcosa ad altri per possederlo. Si ricordi che non è l'esistenza delle Ferrari a originare il maggior reddito aggregato, ma esse sono solo un indice, una conseguenza, non è cioè che limitandone l'acquisto si determinerebbe un'automatica diminuzione di ricchezza pro capite; essendo un indicatore e non la causa, la mera redistribuzione non avrebbe influenza ad esempio nella produzione proprio di Ferrari. La regolamentazione ed il suo controllo potrà avvenire anche attraverso intervento indiretto sui sistemi concorrenziali. Per fare un semplice esempio, favorendo l’esistenza istituzionale di un sito internet standard di riferimento negli annunci di prostituzione, il quale fungendo da parafulmine (ovvero recettore) della domanda escluderà dal mercato tutte quelle puttane che non volendo pagare le tasse non vi facciano riferimento.

Inoltre, come già fatto intendere, la fissazione delle imposte permette il loro uso come "planista" strumento di intervento indiretto avente come scopo primario la riequilibrazione economica (secondo il “teorema di Baumol-Oates” che dice che dato un certo obiettivo prefissato, una tassa consente di raggiungerlo con il minimo costo, ovvero senza coercizioni e controlli, come "efficienza statica"), e non più di solo mero introito fiscale. Un sostituto non dirigistico dei vincoli auspicati da Streeck sarebbe il reddito di cittadinanza, e qui si ritorna al discorso fatto all'inizio riguardo le possibilità statisticamente fisiologiche che le liberalizzazioni portino a livelli salariali minimi artificialmente troppo bassi per alcuni soggetti (seppur in numero limitato) e al deflusso all'estero di beni nazionali poiché meno costosi anche considerato il tasso di cambio. Perciò tutte le imposte saranno strumento di intervento indiretto avente come scopo la definizione di una programmazione economica ("planismo"), secondo il “teorema di Baumol-Oates” (sulla logica del “teorema di Poole-Weitzman”: a parità di condizioni, l’intervento diretto sulle quantità desiderate seguito da un adeguato sostegno dà lo stesso risultato di un intervento indiretto sui prezzi, imposte o sussidi che lascia poi decidere al mercato), ma sempre tenendo conto della “teoria dell’equilibrio economico generale”, dell’“ottimo paretiano”, e del “racconto della finestra rotta”. Verrà a sostituire anche il credito di imposta per gli investimenti, scomparso assieme alle imposte progressive. La programmazione economica avverrà tramite fiscalizzazione o defiscalizzazione di determinate produzioni, incidendone quindi tramite una “perdita secca” sui costi di opportunità (dell’azienda per i beni elastici, del consumatore per i beni anelastici; i beni anelastici sono quelli per i quali ad un aumento di prezzo non corrisponde un equivalente diminuzione di domanda. Esempio: benzina, tabacco), determinando i surplus del consumatore e del produttore. Esempio: un azienda che produca beni innovativi (es. auto ibride, informatica, domotica) verrà defiscalizzata. Un azienda che importa beni di lusso (es. diamanti) verrà iperfiscalizzata. Tali fiscalizzazioni non avverranno sulle quantità di beni prodotti e venduti, ma sull’azienda stessa; quindi saranno abolite le accise su beni e servizi (tra cui l’IVA), sostituite da imposte forfettarie che incidano sulle aziende della filiera che tratta i beni che si vuole disincentivare. Questo anche per semplificare le contabilità aziendali ed eliminare le possibilità di elusione. L'accisa è un'imposta che grava sulla quantità dei beni prodotti, a differenza dell'IVA che incide sul valore. Mentre l'IVA è espressa in percentuale del valore del prodotto, l'accisa si esprime in termini di aliquote che sono rapportate all'unità di misura del prodotto. L'accisa concorre a formare il valore dei prodotti, ciò vuol dire che l'IVA sui prodotti soggetti ad accisa grava anche sulla stessa accisa. Nel caso dell'energia elettrica l'aliquota è rapportata al chilowattora. Per misura di effetto equivalente si intende ogni normativa commerciale che possa ostacolare direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi, determinando un effetto pratico sul commercio comparabile a una restrizione quantitativa all'importazione di merci. La tassa di effetto equivalente a un dazio doganale o un accisa è un onere pecuniario direttamente o indirettamente collegato all'importazione o all'esportazione o al commercio di un prodotto, anche se imposto in un momento diverso. In altri termini, si tratta di un onere pecuniario che, pur non essendo un dazio doganale o un accisa, comporta gli stessi effetti restrittivi sugli scambi commerciali, in quanto imposto in ragione della circostanza che il prodotto ha varcato il confine e tale da elevarne il costo.
Non sarà previsto il concetto dirigista di livelli minimi e massimi di prezzo; tutti i prezzi saranno liberi. Di conseguenza anche il contingentamento dei beni (esempio: quote latte) non potrà essere in alcun caso necessario (poiché il rispetto dei vantaggi comparati sarebbe regolato spontaneamente sempre dalla variazione di imposte fisse, non più da quote obbligatorie), così come gli ammassi pubblici. Le forniture pubbliche di beni gratuiti o a prezzo ridotto o contingentati si ridurranno alle sole tessere alimentari e residenziali in cambio del reddito di cittadinanza per chi non ha altri redditi, a carico parziale del quartiere.
Le iperfiscalizzazioni più alte potranno essere stabilite anche per spingere alla scomparsa od impedire la nascita di alcune attività (esempio: prostituzione, droga) o per poterle criminalizzare indirettamente per evasione fiscale (in modo da poter pure semplificare il codice penale e il decorso della giustizia), nel caso; oppure per gravare sui beni anelastici che oggi sono colpiti tramite imposte di bollo tese a disincentivarne il consumo (tabacco, alcolici, carburanti). L’imposta fissa su queste lavorazioni si fermerà a tot euro anche quando l’iperfiscalizzazione stabilita per l’azienda superi questa cifra; questo si ripercuoterà in una monopolizzazione (se un certo numero di aziende pagano tot ciascuna, fuse in unica azienda pagheranno un unico tot suddiviso su più soci), positiva ed auspicabile venendo automaticamente a sostituire le imposte di bollo. In questo caso dato però che l’imposta è fissa e non sulle quantità, viene ad essere eliminato il rendimento decrescente, ed il monopolista sarebbe spinto a produrne e venderne più possibile; verrebbe eliminata l’inefficienza, ed il risultato dell’iperfiscalizzazione in questi casi sarebbe solo la ricaduta sui profitti monopolistici, mantenendo i prezzi sui livelli attuali tanto quanto un accisa (che è lo scopo che si vuole ottenere). Le defiscalizzazioni potranno essere stabilite anche per aziende e prodotti ancora inesistenti, allo scopo di favorirne la progettazione o l’avvio della produzione; oppure potranno essere calibrate per impedire la formazione di monopoli laddove sarebbero deleteri: partendo da un imposta relativamente alta, la si abbasserà gradualmente fino a quando si otterrà il numero desiderato di aziende che si occupano del settore; ad esempio, l’imposta sui distributori di carburante sarà adeguata in modo che si elimini lo spettacolo di distributori inattivi per gran parte del tempo, ma evitando che in altri si formino code. Per quelli di metano tale adattamento terrà conto anche del garantire comunque un adeguata copertura territoriale; per la Sardegna (attualmente priva di distributori di metano), subordinatamente alla eventuale nascita di una rete metanifera tramite rigassificatore, l’imposta sui distributori automobilistici di metano sarà ridotta, con la previsione di parificarla man mano che ne sorgeranno. Specifico che il senso non è una nostra prospettiva di metanizzare la Sardegna, ma è per illustrare in maniera pratica con un esempio il discorso fatto.
Per favorire il “vantaggio comparato” di ogni territorio nelle sue produzioni tipiche potrà esservi una defiscalizzazione nelle aree DOP. Esempio: defiscalizzazione sulla coltivazione di pomodori in Campania. Viceversa per favorire il commercio di prodotti “a chilometri zero” potrà esservi una imposta regionale sul commercio di prodotti extra-regionali (sicuramente sull'acqua minerale), equilibrate assieme in modo da raggiungere il perfetto compromesso tra efficienza e libero commercio, perlomeno in un aggiunta minima che tenga conto dei costi di trasporto, e quindi stabilizzi i prezzi su tutto il territorio nazionale come in un calcolo matematico (a pesare sui trasporti e quindi influirne sul loro costo interverrebbero già la loro stessa imposta di licenza territoriale ed il bollo del veicolo, oltre al costo del trasporto stesso) avente come parametro principale da ottenere il prezzo al consumatore dei pomodori identico sia in Campania che in Piemonte. E' in questo modo che saranno sostituiti gli interventi dirigisti tipo “quote latte”: in caso di Europa unita, i produttori di latte pagherebbero un’imposta maggiore in Italia, minore in Danimarca (la Danimarca ha un “vantaggio comparato” nella produzione di latte, il quale è la motivazione delle “quote” CEE). Questi meccanismi comporteranno che l’entità di queste imposte sarà automaticamente fissata sul livello ideale, anziché pianificata dirigisticamente.
Determinati servizi considerati essenziali ma economicamente in perdita a causa della fissazione delle imposte (es. una linea ferroviaria locale), non implicando ciò una defiscalizzazione dalle imposte statali, potranno essere sostenuti economicamente dagli enti locali interessati qualora essi vogliano il mantenimento del servizio, adempiendo alle richieste economiche dell’azienda del servizio per mantenerlo. Anche l’eventuale sostegno dei negozi di beni generici di prima necessità situati in comunità isolate sarà possibile ai comuni, non essendo logisticamente gestibile una fiscalizzazione dedicata (che sarebbe suscettibile di abusi). Non esisterebbe perciò alcuna forma di "tutoraggio" (regime fiscale agevolato dedicato a coloro che iniziano una nuova attività imprenditoriale o di lavoro autonomo e a quei contribuenti che svolgono attività cosiddette marginali) statale ed altri tipi di incentivi attivi ("sovvenzioni"); quelli passivi, ovvero defiscalizzazioni ma non finanziamenti, solo fissi planistici, non mirati (eccettuate le borse di studio).
L’editoria nel 2008 nel suo complesso è costata ai conti statali circa 202.000.000 di euro di sovvenzioni. Non esisterà più finanziamento statale alla stampa. In questo modo probabilmente il numero delle testate verrà a diminuire, a tutto vantaggio della qualità e dell’obbiettività (oggi assai carente, o meglio, indirizzata ad esaltare il sistema attuale in una maniera talmente spudorata ma di cui gli autori certamente nemmeno se ne rendono conto ma che per chi sa coglierlo è roba da far invidia a Goebbels). L’imposizione fiscale sui giornali quotidiani farà in modo che a livello nazionale ne permangano 3 o 4, e che ad essi vengano allegati per ogni territorio le pagine locali (“giornale-panino”). Non serve che 30 persone facciano la stessa identica cosa che può fare uno solo.
Altro problema recente, quello dei finanziamenti all'energia solare. Grazie ai sussidi pubblici, centinaia di imprese sono sorte e si sono mobilizzate per operare nel settore dei pannelli solari. Oltre alla cattiva allocazione delle risorse, si sta producendo corruzione, e si sta producendo una quantità eccessiva di beni che non sono di beneficio per la società. La gente scandalizzata si scaglia contro gli imprenditori che si riempiono le tasche a spese del contribuente, senza capire che è il sistema ad aver causato tutto ciò. Il governo del buon senso determinerà la scomparsa delle sovvenzioni a stupidaggini inefficienti come il fotovoltaico, per defiscalizzare piuttosto l'efficiente solare dinamico e le pompe di calore.

"Il popolo è un bimbo goloso, e il potere un gelataio che si spaccia per dietologo" (Tiziano Papagni)

Le uniche accise previste rispetto ad oggi saranno quelle (facilmente quantificabili) applicate su beni deleteri alla collettività, come la pubblicità, e in quanto “bene elastico” per eccellenza (i beni elastici sono quelli per i quali ad un aumento di prezzo corrisponde un equivalente diminuzione di domanda. Più superfluo o sostituibile è ritenuto un bene, più elastico sarà il suo commercio. La maggior parte dei beni sono elastici; il bene anelastico per eccellenza è invece la benzina). Saranno adeguate fino ad ottenerne il voluto calo delle quantità di pubblicità, o meglio, fino a quando esse raggiungano un livello da cui ne derivi un calo. Contestualmente alla privatizzazione della Rai scomparirà il canone, per la felicità di quegli imprenditorucoli per i quali pare il canone Rai (che è una tassa per un bene di cui potenzialmente si può usufruire, e non un imposta) sia la causa di tutti i mali del mondo. Le società televisive pagherebbero imposte fisse sia sulla stessa esistenza (per limitarne il numero ed eliminare l'attuale babele), sia sulla metratura degli impianti (queste lievi), sia sulla diffusione (quelle locali cifre più basse), e sulla quantità di pubblicità (tipo 5.000 euro per minuto, ma come detto dovrebbe essere calibrata su quella che determini il raggiungimento di un livello da cui ne derivi l'inizio del calo). Le frequenze radio-televisive sarebbero assegnate con lo stesso sistema delle licenze.
Considerando che ciò porterebbe in tali settori una tendenza all'accentramento o al monopolio, in ogni banalissimo testo scolastico di economia viene spiegato chiaramente perché i monopoli non sono per niente una cosa deleteria come la gente crede (cioè perché il credere che determinino ricarichi indefinitamente al rialzo per il consumatore è solo una leggendaria stupidaggine pregiudiziale); in una condizione di capitalismo totale, nei settori della distribuzione (elettricità, gas, telefono, acqua) verrebbero a crearsi naturalmente dei monopoli (che possono essere anche locali eh! non necessariamente nazionali. Ma sempre monopoli sarebbero) che non a caso nei testi di economia vengono definiti appunto "monopoli naturali" proprio perché si creano spontaneamente come conseguenza stessa della libera concorrenza (alla faccia di chi paradossalmente chiama "liberalizzazioni" quella che in realtà è stata ed è una forzatura dirigistica!), e quindi scomparirebbe quell'aberrazione che è il "call center". Vediamo invece il concetto corretto di monopolio, quello legale: c'è monopolio legale solo quando l'entrata in un determinato processo di rivalità imprenditoriale viene impedita con la forza. Non è rilevante quindi se abbiamo solo uno o pochi produttori, ma se c'è o meno libertà di accesso, se c'è o meno coercizione sistematica da parte dello stato che impedisce l'esercizio della funzione imprenditoriale in una determinata area produttiva. La definizione giuridico istituzionale di monopolio data da Lord Coke nel XVIII secolo dice che c’è monopolio quando esiste un privilegio concesso dal Re (oggi lo Stato) per la vendita, acquisto, produzione o utilizzazione in esclusiva di un determinato bene; privilegio per il quale si restringe in misura più o meno maggiore la libertà di altre persone e imprenditori nello svolgere la medesima attività e nello scambiare liberamente un determinato bene (si consideri che in Italia è esistito perfino il monopolio sulle banane...). I monopoli sorgono pertanto solo come conseguenza dell’attività dello Stato. Le leggi antitrust non perseguono i monopoli imposti per legge dalle istituzioni, ma solo quelli formatisi dall’imprenditoria privata. Il risultato è che si impedisce ai venditori di servire meglio i consumatori, e la legislazione va proprio contro quegli stessi fini che intende perseguire. Abbiamo così l’abuso della posizione dominante quando si vende a un prezzo maggiore degli altri, il cartello quando si vende allo stesso prezzo degli altri, o la concorrenza sleale quando si vende a un prezzo inferiore degli altri (dumping). Tutti errori che derivano dal concetto che siano i costi a determinare i prezzi, e da una analisi statica dei concetti di concorrenza e monopolio senza alcuna considerazione per i processi dinamici. I monopoli inefficienti sono quelli favoriti dallo Stato, a riguardo dei quali esiste senza dubbio un palese sfruttamento a danno dei consumatori (vedi licenze taxi emesse dai comuni). E’ sbagliato definire che c’è cartello monopolistico quando un settore di aziende controlla il prezzo delle sue produzioni. In un sistema di libero mercato ogni tipo di azienda può chiedere il prezzo che vuole, ma per effettuare la transazione serve comunque anche la volontarietà anche del compratore, altrimenti la merce rimane invenduta. Lo stereotipo che il consumatore perda la sua sovranità è un emerita cazzata nel caso dei beni elastici (cioè la maggior parte dei beni), perché l'interesse del venditore indipendentemente dalle quote di mercato anche quando è monopolista o in cartello è di smerciare TUTTO il prodotto che vende e per poterlo fare dovrà adeguare il prezzo su quello che gli consenta di ottenere lo smercio totale di ciò che produce o commercia; praticare un prezzo più alto il cui risultato sarebbe un costoso accumulo di scorte per lui non avrebbe senso. Per quanto riguarda invece i beni anelastici, sottostà comunque alla concorrenza dei beni sostituti (un prezzo alto del biglietto aereo di una tratta in monopolio indurrà a preferire il treno o la nave). In realtà non esistono funzioni di prezzo e non si può definire il monopolio su ipotetiche funzioni di prezzo impossibili da calcolare. Nella vita reale ci sono solo prezzi di mercato e contratti volontari, oppure in alternativa prezzi imposti e coercizione. Esistono solo prezzi di libero mercato, o prezzi come risultato di privilegi dello stato che favoriscono pochi a danno di molti. Non esiste maggiore ipocrisia che la difesa della concorrenza la quale insegue gli imprenditori privati e si dimentica dei veri monopoli a danno dei consumatori, sempre e solo risultato di privilegi statali. La concorrenza non ha bisogno di difese. Il consumatore non beneficia dello smantellamento di una posizione dominante di monopolio nei settori dove non c’è privilegio ma libero accesso, anzi generalmente finisce con il pagare i beni più di quanto li pagasse prima. Non è assolutamente vero che i monopoli sono privi di concorrenza, poiché ci sono i "beni sostituti" (sono quei beni il cui aumento di domanda di uno causa un uguale aumento di domanda dell’altro; all’opposto ci sono i beni “complementari”: due beni sono complementari se la loro domanda si sviluppa nella stessa direzione. Auto e combustibili. Più auto più domanda di combustibile. Il prezzo di uno sale e sale anche l’altro, ceteris paribus) a fargli concorrenza! Quando si costringe un’azienda presunta monopolista a frammentarsi in diversi rami operativi, il risultato è molto spesso quello di eliminarne le economie di scala. I costi marginali pertanto aumentano. Non ci sono istituzioni più ipocrite e dannose di quelle a difesa della concorrenza. La concorrenza non ha bisogno di difese. Sono sufficienti le norme tradizionali del diritto contenute nel codice civile. La legislazione antitrust è equiparabile a qualcosa che esisteva centinaia di anni fa e che veniva chiamata Santa Inquisizione. Essa si mette in moto sulla base delle accuse mossa dagli imprenditori poco efficienti e spesso avviene sulla base di deboli motivazioni, portando ad esempio alla condanna per semplici indizi! Inoltre, quali sono gli imprenditori che vengono eliminati quando qualcuno ricorre a politiche aggressive di prezzo? Sono quelli marginali, i più inefficienti. E generalmente sono proprio questi concorrenti inefficienti a denunciare ed accusare di concorrenza sleale coloro che vendono i prodotti "sotto costo". Ognuno in realtà dovrebbe essere libero di vendere nel mercato al prezzo che vuole. La situazione “monopolistica della Microsoft” indica solo che Bill Gates ha attuato meglio di chiunque altro. Forse preferivate la babele che vigeva negli OS prima di Gates? Questo anche per smentire chi definisce deleteria la tendenza all'accentramento risultabile da imposte fisse.

“Il Tribunale di difesa della concorrenza è il peggiore nemico del consumatore” (Jesús Huerta de Soto)

La determinazione delle imposte sulla metratura ha anche lo scopo di evitare fusioni e ingigantimenti che, laddove possibili, potrebbero sorgere se l'imposta fosse solo sull'attività. Su queste sarà solo per mq e nessuna parte fissa. Così come la fusione, anche lo spezzettamento di aziende grandi in aziende più piccole (anche se consorziate) non sarà incentivato, ma lasciato alla libera iniziativa. Ma non è tutto oro quello che luccica: vi è spesso la convinzione che le imprese di maggiori dimensioni, aggregando in sé stesse maggiori disponibilità finanziarie e maggior potere di mercato, siano la fonte principale del progresso tecnico. In realtà è stato oramai dimostrato che ciò non sempre è vero. L’anonimità incipiente, l’ingigantimento delle scale, nonostante le ingenti spese nei laboratori di ricerca, le imprese più grandi mancano spesso di flessibilità ed iniziativa, ed oltretutto usano a volte congelare temporaneamente importanti innovazioni al fine di non rendere obsoleti i loro impianti e macchinari già in funzione. Esse inoltre mantengono talvolta il potere tecnologico più attraverso l’acquisizione di brevetti o licenze altrui e l’incorporazione di imprese più piccole dotate di un interessante patrimonio tecnologico, che attraverso i risultati dei loro poco flessibili laboratori di ricerca. Sicché essi si rivelano più che altro dei mezzi coi quali approfondire (certamente) ed accreditare le esperienze acquisite dai più svariati laboratori minori.
Questo vale anche per le aziende in cartello. Ricordiamo che la “teoria dell’equilibrio economico generale” dice che quando un settore produce profitti essi vengono ripianati dall’ingresso di altri concorrenti e quindi ciascuna azienda sarà indotta in ogni caso a mantenere i prezzi più bassi possibile anche essa detenga un monopolio naturale o di fatto. Lo squilibrio si ha solo quando tale ingresso è proibito, proprio dalle legislazioni anti-trust! Ovvero quando il monopolio è artificiale. Le istituzioni a difesa della concorrenza sono ipocrite e dannose nel loro garantire interessi particolari a determinati cartelli. La concorrenza non ha bisogno di difese. Sono già sufficienti le norme tradizionali del diritto contenute nel codice civile. La legislazione antitrust si mette in moto sulla base delle accuse mossa dagli imprenditori poco efficienti o da gruppi politici o di comparto. Il consumatore non beneficia per nulla dello smantellamento di una posizione dominante di monopolio o cartello nei settori dove non c’è privilegio ma libero accesso, anzi generalmente finisce con il pagare i beni più di quanto li pagasse prima. Dopotutto basti considerare i sexy shop, notoriamente dotati di prezzi spropositati. Eppure vi è concorrenza. ciò conferma che non è concorrenza o monopolio a determinare i prezzi, ma piuttosto le propensioni e le rendite dei soggetti. Secondo Schumpeter la vera concorrenza sta nell’innovazione.

"Lo strapotere economico delle compagnie ferroviarie non ha impedito il sopravvento dell’automobile e del trasporto aereo" (Ludwig von Mises)

Spiegazione a parte per spiegarla più dettagliatamente merita l'esempio fatto sull'imposta sui benzinai (che può essere valido come esempio per comprendere meglio il senso dell'imposizione fissa), essendo necessario mantenere i prezzi alla pompa invariati (dato che per essi vale la propensione del consumatore), per far ciò si userà l'imposta come una tassa di effetto equivalente. Prima di tutto l'imposta sarà applicata alla raffineria stessa e non ai prodotti che entrano o escono dalle raffinerie (quindi il petrolio che non entra in raffineria manterrà il suo prezzo di mercato internazionale, a vantaggio di chi lo usa direttamente: naviglio e centrali termoelettriche, sui quali non vi è alcuna necessità economica di apporre un ricarico), quindi non peserà più anche già sul costo di raffinazione ossia sul prodotto consumato per tale lavorazione, incidendo di conseguenza sul prezzo ma non sulle quantità già all'inizio della filiera in maniera esponenziale al passaggio; le tasse di effetto equivalente verranno apposte sia alla raffineria, che al trasporto (per cui sulle autocisterne petrolifere vi sarà un imposta ulteriore rispetto agli altri camion), che alla distribuzione, in modo da essere ugualmente ripartite tra tutti i gangli della filiera. Verranno tutte calcolate per far si che pur in assenza delle accise che oggi pesano per il 53% sul prezzo del prodotto, e tenendo conto del mantenimento costante del ricavo degli addetti, il prezzo alla pompa rimanga lo stesso di oggi, o meglio, calibrato in prospettiva su quelli medi degli altri paesi dell'Europa occidentale (quindi leggermente inferiore a quello italiano odierno). Visto l'enorme scarto tra le cifre in gioco, le cifre d'imposta saranno piuttosto importanti in confronto a qualunque altro prodotto commerciale, ed i margini di scarto piuttosto stretti. Per questo, in quanto caso estremo, è utile come esempio per comprendere il senso dell'imposizione fissa. Quindi il totale di quel 53% dovrà suddividersi ugualmente (ma essendo un imposta fissa si tenga conto delle diverse quantità in transito per ognuno di essi) tramite queste imposte tra raffineria, trasportatore, e distributore, oltre alle spese già gravanti su di essi le quali già contribuiscono a fare la restante percentuale di prezzo (escludendo ciò che spetta come carico direttamente alle compagnie per ricerca, estrazione, e trasporto internazionale, ovvero il costo del prodotto). Quindi a monte della filiera, che tratta quantità maggiori tra minori addetti, l'imposta sarà molto maggiore, mentre per i distributori sarà minore, e per i trasportatori sarà media; dovendo però per questi ultimi valutare la disparità tra chi rifornendo distributori prossimi ad una raffineria potrà fare in pari tempo più trasporti rispetto a chi trasporta in distributori più lontani da raffinerie. Per ovviare a questo l'imposta sui distributori sarà minore tanto più sono lontane dal luogo di raffinazione più vicino, in modo che possano pagare al trasportatore cifre più appetibili a fronte di un trasporto più oneroso (cioè sarà per chilometro). Verrà calibrata in modo da mantenere uguale il prezzo medio alla pompa su tutto il territorio nazionale ed evitare scarsità cronica di rifornimenti nelle aree remote. Riguardo il trasporto navale, come detto in altra parte l'imposta fissa (in questo caso sulla stazza) non sarà possibile metterla notevole anche alla nave petroliera in quanto ciò porterebbe all'incentivazione del ricorso a vettori esteri o a bandiere-ombra.
Dato questo costo apposto all'origine l'importazione di derivati petroliferi finiti (che in tal caso diverrebbe concorrenziale rispetto alla raffinazione interna) sarà notevolmente tassata tramite un insostenibile imposta sugli autorizzati all'importazione (che quindi di fatto non esisterebbero) in aggiunta alla normale imposta aziendale sull'import-export (che vedremo più avanti). Limitando per semplicità l'esempio alla distribuzione ed in specifico alla benzina, ammettendo una vendita media di 10.000 litri al giorno per distributore (e verrà calcolata proprio la vendita media ossia nazionale divisa per numero di distributori esistenti), per una spesa teorica per il prodotto di 6.364 euro, volendo mantenere il prezzo sul livello attuale si dovrà valutare che attualmente ciò che resta di lordo al gestore (ed essendo ridotti altri tipi di spesa parliamo di lordo come riferimento all'imposta e non il contrario! Parlare di netto lo si deve fare considerando questo motivo!) sarebbe di 1.135 euro con le imposte odierne. Di conseguenza per mantenere inalterato tale rapporto si dovrà tassare per 9.701 euro al giorno il distributore (sempre ammettendo che si distribuiscano mediamente 10.000 litri, il che è un esempio teorico). Ovviamente il suo ricavo netto non sarà di 1.135 euro al giorno, perché prima di tutto avrà altre spese di gestione, oltre alle altre imposte, ma come conseguenza per la semplice legge della libera concorrenza dovrà abbassare il prezzo del prodotto fino a mantenere un ricavo personale che corrisponda grossomodo al tasso di rendimento del capitale investito più quello sul suo reddito da lavoro, quindi come conseguenza il prezzo dei carburanti si abbasserà rispetto ad oggi, e non sarà il benzinaio a guadagnare di più o di meno come si potrebbe ingenuamente credere. Ammettendolo a 1,636 euro al litro, la conseguenza teorica sarebbe che rispetto a chi commercia 10.000 litri al giorno (300 euro), chi ne commercia 20.000 guadagnerà 10.291 euro (solo in teoria dato che ciò attirerebbe concorrenza territoriale che ripianerebbe ogni profitto), e chi ne commercia 5.000 avrà una perdita di 1.521 euro e quindi dovrebbe chiudere (ma anche questa è un ipotesi teorica ovvero non perderà tale cifra in nessun caso, poiché innanzitutto anche accadesse nella realtà il fallimento annullerebbe i debiti personali, ma più probabilmente ciò sarebbe previamente evitato sulla base della valutazione a priori da parte dei meno attivi ovvero una cessazione dell'attività PRIMA di arrivare a quel punto). Nella fase iniziale, a fronte del fallimento dei distributori meno attivi, vi sarà certamente di contro un incremento degli introiti di quelli più attivi, ma limitato dalle capacità di distribuzione, ma solo inizialmente fino all'assestamento e scrematura. E' da presumersi che quando il passivo avrà determinato la chiusura dei distributori meno utilizzati (e si tenga presente che la loro clientela si riverserà verso i restanti aumentandone quindi l'attività e limitando automaticamente ulteriori fallimenti), per evitare ulteriori chiusure in massa l'imposta verrà resa consorziale per i distributori verificatamente meno attivi sopravissuti, ovvero analizzato statisticamente il bacino demografico o di passaggio di utenza, l'imposta verrà applicata non sul singolo distributore ma su consorzi di 5 o 6 (grossomodo arrivanti tutti assieme alla quantità da erogare per sostenere vantaggiosamente il costo dell'imposta), che stabiliscano internamente come suddividersi il pagamento dell'imposta: i più attivi saranno propensi a sostenere i meno attivi poiché il fallimento di un consorziato determinerebbe il dover suddividere tra i rimanenti la sua intera parte di imposta. Questo avverrà probabilmente per le zone a più bassa densità demografica e di limitato passaggio, solamente al fine di garantire un efficiente copertura territoriale; per aree molto isolate la distribuzione potrà essere sostenuta anche da contributi degli enti locali. Successivamente alla stabilizzazione definitiva l'imposta potrà essere adeguata a seconda dei prezzi riscontrati per mantenerli costanti (sui livelli medi europei), ovvero non più per fare cassa per i conti pubblici. Proprio per consentire un assestamento graduale il passaggio dal sistema attuale a quello nuovo dovrebbe procedere in maniera progressiva (riduzione accise e aumento imposta fissa). La conseguenza pratica sarà che i prezzi si assesterebbero grossomodo sul tasso di rendimento del capitale dei distributori più attivi, che quindi non verrebbero ad avere un ricavo di 10.291 euro ma abbasserebbero i loro prezzi fino al loro tasso di rendimento del capitale più la rendita dovuta a costo di opportunità del proprio lavoro (reddito da lavoro). Comunque un equilibrio verrà stabilito dal fatto che parte della somma di questa imposta sarà suddivisa con raffinerie e trasportatori, quindi l'imposta sul distributore potrà essere abbassata di conseguenza, da 9.701 a 7-8.000. Ma considerando che il peso oggi apposto fiscalmente (9.236 euro per 10.000 litri) partirà dall'origine nazionale della filiera, il costo del prodotto al distributore non sarà più 6.364 euro, in quanto già appesantito dal ricarico apposto da raffineria e trasportatore per compensare le loro imposte fisse, probabilmente suddiviso (e le relative imposte fisse saranno calibrate proprio a determinare questo) ugualmente tra le tre parti, ovvero 2.309 per ciascuno; quindi il costo per il distributore finale non sarebbe più di 6.364 euro, ma di 13.756. Di conseguenza anche la sua imposta non sarà più di 9.701 euro, ma di 2.309. Ovviamente questa non sarà anche l'imposta dei trasportatori e raffinatori, in quanto essi sono un numero minore rispetto ai distributori; ammettendo che i trasportatori siano la metà rispetto ai distributori, per coprire per 2.309 euro per 10.000 litri la parte di costo loro addossata, l'imposta dovrà essere di 4.618 giornalieri. Se le raffinerie sono 1/1.000 rispetto ai distributori, ciascuna dovrà pagare mediamente 2.309.000 euro giornalieri di imposta fissa. Stante questo numero, la succitata imposta per l'importazione dei prodotti finiti dall'estero dovrà essere superiore o uguale a questa. Considerando poi i necessari ricavi delle raffinerie e dei trasportatori ovvero il carico apposto da essi sulla progressiva, più la spesa di raffinazione (su cui grava già il costo per il trasporto), le cifre per imposta dovranno essere diminuite del rispettivo tasso di rendimento del capitale di raffinerie e trasportatori, ovvero 4.618 meno il guadagno medio dei trasportatori e i loro costi di esercizio (quindi grossomodo 4.000 euro), e 2.309.000 meno il ricavo medio di una raffineria ed il suo costo di esercizio (quindi grossomodo 1.000.000 euro). Anche se sembra complicato in realtà è un discorso molto semplice che non necessariamente dovrebbe essere necessario attuare, ma ho ritenuto scriverlo perché è utile alla comprensione del senso stesso dell'imposizione fissa. Ovviamente queste sono cifre teoriche, quelle reali dovranno essere calcolate sui prezzi riscontrati empiricamente nella realtà. Detto questo, dato che le propensioni sono modificabili sul lungo periodo (si pensi al prezzo della benzina negli USA), l'imposta di effetto equivalente sul commercio dei carburanti (perlomeno quella sui distributori) sarà abbassata di anno in anno, fino al raggiungimento di un prezzo sul quale l'imposta gravi tanto quanto la media di tutti gli altri prodotti; si consideri che il prezzo di mercato della benzina è inferiore a quello di gasolio, metano, gpl, kerosene, ecc, ed il suo prezzo odierno è maggiore rispetto ad essi solo per via delle accise. Se abbiamo dovuto architettare questo meccanismo sostitutivo è a causa dell'attuale sistema, per sostituirlo gradualmente; certamente sarebbe stato più semplice stabilire l'abolizione delle accise senza sostituirle con un imposta di effetto equivalente, ma non è possibile prevedere (o meglio, lo è, ma solo in teoria) quali sarebbero le conseguenze reali di un calo immediato del prezzo della benzina dagli attuali 1,8 euro a 0,9. Dato che in teoria sarebbero devastanti, ideare un meccanismo sostitutivo è necessario.
Nel caso di una sua effettiva applicazione, per i carburanti fiscalmente agevolati esisterà una defiscalizzazione del distributore solamente per quelli ubicati nei porti di pesca con accesso alla pompa solamente dal mare, e per le cisterne di depositi di mezzi pubblici e consorzi agrari, nei quali le auto private non abbiano accesso; volendo distribuire anche ad altri potranno farlo pagando la normale imposta. Autorizzati all'utilizzo saranno: autotrasportatori, aziende di trasporto pubblico, agricoltori, pescatori. Le autorizzazioni ovviamente non potranno essere subordinate a pagamenti di imposte come per tutte le normali licenze (sarebbe un paradosso): esse verranno determinate automaticamente tramite il contingentamento a livello nazionale per distributori di carburanti agevolati, cosicché solo un certo numero di soggetti accettino di sottostarvi eseguendo il servizio; difatti tale prezzo sarà calibrato proprio per far si che a svolgerlo siano il numero desiderato di soggetti, ovvero circa 200 per i distributori. I distributori di gasolio agevolato difatti non avranno defiscalizzazione sulla licenza di vendita, ma autorizzati a trattarlo saranno solamente un numero contingentato territorialmente, in maniera sia da poter essere controllati più facilmente (che non eroghino a veicoli privati), sia che gli aventi diritto si possano rifornire solamente presso loro aumentando così la clientela di quei determinati distributori e quindi il loro vantaggio (determinante esso anche il calo di prezzo) a compensazione dell'assenza di defiscalizzazione sull'attività e a fronte del prezzo alla pompa non fissato su un massimo ma comunque lasciato alla legge domanda / offerta; di conseguenza il normale gasolio agevolato per autotrazione verrà probabilmente a costare tipo 1,2 rispetto ad un prezzo normale di 1,4, cioè di più rispetto ad oggi. Sulla base di ciò dovrà venire valutata la quantificazione dell'imposta sugli autotrasportatori. Probabilmente i prezzi di tutti i carburanti aumenteranno nel periodo di minore consumo (estate) e diminuiranno nel periodo di maggiore consumo (inverno), come è anche oggi. Limitatamente ad aree nelle quali venga a mancare un distributore autorizzato in un raggio di 100 chilometri potrà esservi una defiscalizzazione (o meglio, contributo dagli enti locali) per indurne la presenza di almeno uno. Il gasolio agevolato, sempre colorato diversamente, potrà essere commercializzato solo dai distributori autorizzati in numero contingentato.
Per i distributori posti al confine orientale (dato il noto problema della concorrenza estera) vi saranno tre fasce con imposizione differente (su una base di 2.309 per l'imposta nazionale), mentre per quelli con la Svizzera la defiscalizzazione sarà solo per il distributore più prossimo al confine. I venditori di gasolio per riscaldamento saranno tassati ugualmente per far in modo che il prezzo si assesti su quello odierno, e considerando che per essi vi è un passaggio in meno nella filiera, la defiscalizzazione rispetto al gasolio per autotrazione sarà automatica; sarà obbligatoria l'aggiunta di una percentuale di petrolio greggio al prodotto, in maniera sia da renderlo di per sé meno costoso, sia da scoraggiarne l'uso per autotrazione. Gpl, metano, kerosene, etanolo, biodiesel, saranno ugualmente tassati in tal modo per far che si mantenga grossomodo il prezzo attuale (considerando che l'imposta delle raffinerie grava già in maniera uguale su tutti i derivati del petrolio); per i distributori polivalenti l'imposta sarà quella per il prodotto più alta. Esenti da questa imposta saranno i bunkeraggi navali e quelli aeroportuali di kerosene.
Ricapitolando, si ricordi che se il saggio di profitto è più alto in un settore vi sarà una tendenza all’entrata in quel settore da parte di nuove imprese concorrenti, e ciò porterebbe il saggio di profitto a livelli in equilibrio con l’intero sistema economico. Le barriere imposte dai cartelli impediscono questo adeguamento determinando in questo modo la permanenza di queste differenze di saggio di profitto. Da questo notoriamente deriva il metodo concorrenziale basato non sui prezzi ma su pubblicità, gadget, e concorsi a premi, tipici della distribuzione dei carburanti (allo stesso modo del trasporto aereo quando i prezzi minimi dei biglietti erano fissati); in ciò rispetto ad oggi rimane tutto invariato, eccetto che non vi sono più le inefficienze derivate dalle accise. In parole povere la cifra di 2.309 è solo temporanea fino alla realizzazione del suo scopo; quella definitiva sarà probabilmente grossomodo sui 1.000 euro determinando perciò un prezzo medio della benzina su 1 euro al litro o poco più.

Anche per favorire il noleggio, oltrechè per razionalizzare proprio il concetto in direzione del car sharing, le assicurazioni non saranno più sul veicolo ma sulla persona, cosicché ognuno potrà condurre senza problema qualunque veicolo. Per fare un esempio sui risvolti di questo tipo di tassazione, possedere un automobile (perlomeno recente) sarà generalmente più costoso, noleggiare un automobile meno costoso. Unitamente alla quasi assenza di imposte sul noleggio e sul car sharing, questo sistema porterà ad una drastica riduzione dei veicoli privati. La fabbricazione di un auto nuova inquina più di quanto farebbe una euro 0 nella sua intera vita. Il bollo non sarà una tassa sulla circolazione o sul possesso ma sull'utilizzo, tesa cioè a far durare la vettura il più possibile e favorire il mercato dell'usato, per cui sarà applicato il nuovo sistema solo sulle auto nuove; su quelle già esistenti resterà applicato un bollo di cifre inferiori equivalenti grossomodo a quelle odierne o ancora più basse, ma anch'esse saranno sottoposte al decremento ventennale a partire dalla cifra che pagano oggi. I livelli di imposta di bollo (con le classi di emissioni abolite) indicati nell'immagine decrementano di 1/20 ogni anno, per cui dopo 20 anni sarà esentata dal bollo, che negli anni precedenti sarà comunque stato un residuo minimo. L'imposta illustrata nel grafico aumenta di 10 euro all'anno, solo sulle auto nuove. Per i veicoli a 2 ruote parte da una base fissa di 50 euro. Ai veicoli con motore a 2 tempi si aggiungono ulteriori 50 euro. Le auto elettriche indipendentemente dalla potenza pagheranno 400 euro annui a partire solo dal 3° anno, ed anche per esse vale il decremento in 20 anni. Per quelle ibride si baserà sempre sulla cilindrata ma come per quelle elettriche saranno esentati i primi due anni. Segway e biciclette elettriche con velocità massima fino 25 km all'ora non saranno sottoposti ad alcun bollo. Il bollo sarà uguale per tutti i tipi di carburante, considerando che l'abolizione delle accise determinerà il calo del prezzo della benzina e del gasolio pareggiando la convenienza tra i diversi tipi di carburanti.
Se per un veicolo commerciale con una cilindrata rilevante come un camion può sembrare un bollo molto alto, si consideri che esso rappresenterebbe L'UNICA imposta (quando operante solo nella sua provincia e confinanti) venendo a sostituire interamente le attuali imposte sui redditi che certamente sono molto più alte.
La stessa imposizione per cilindrata e tipo di ciclo si applica anche ai motori marini, esclusa l'esenzione biennale per l'ibrido (che su veicoli privi di rilevante momento d'inerzia è totalmente inutile ed immotivato); l'elettrico invece non è sottoposto ad alcuna imposizione. I natanti fino a 10 metri non pagheranno alcuna imposta (essendo già sul motore, per cui quelli privi di motore non pagheranno nulla), indipendentemente dalla stazza; oltre i 10 metri l'imposta si applica, sulla stazza ma non sul motore entrobordo (sui fuoribordo si applica in ogni caso).
Le multe per infrazioni del codice della strada saranno calcolate in percentuale sul bollo, quindi rispetto ad oggi chi paga un bollo basso si vedrà multe più basse, per la medesima infrazione chi paga un bollo alto multe molto più alte (eccettuati i veicoli commerciali per i quali saranno dimezzate), ad esempio: per la sosta vietata l'importo sarà di 1/20 del bollo (quindi su un bollo di 500 euro sarà di 25 euro, su un bollo di 2.000 sarà di 100 euro); per il passaggio con semaforo rosso sarà di 1/5 (quindi su un bollo di 500 euro sarà di 75 euro, su uno di 2.000 sarà di 300); per l'eccesso di velocità sarà di 1/20 ogni 10 km oltre il limite. Le multe (e le detrazioni di punti patente) saranno ridotte della metà per i mestieri che consistano nella conduzione di un veicolo, per via della maggior probabilità statistica che chi percorre molta strada ha nell'incappare in infrazioni non sempre volontarie. Per chi ritira il reddito di cittadinanza le multe saranno detratte automaticamente da esso; per chi solitamente non lo ritira verranno inviate in bollettino come oggi.

bollo auto


In caso di istituzione di questo sistema nella comunità europea, la sua organizzazione funzionerebbe così: vi sarebbe un erario comunitario i cui fondi sarebbero destinati unicamente a (intese quindi tutte come comunitarie) polizia europea, giustizia (indirettamente ovvero tramite retribuzione dei pubblici ministeri), difesa, contributi ad opere pubbliche (infrastrutture), spese presidenziali, ministero dell'interno, politica estera (ambasciate comunitarie), eventuali contributi ad ambiente, cultura, e ricerca. Il suo finanziamento viene ripartito a seconda del numero di abitanti dagli erari nazionali; ne riceve le somme a seconda delle sue necessità, non a seconda delle disponibilità nazionali. Gli erari nazionali, dopo il contributo ad opere pubbliche nazionali, con il residuo tra queste due uscite e le loro entrate, retribuirebbero i redditi di cittadinanza ai loro cittadini; l'ulteriore loro residuo sarebbe ripartito ai loro vari erari regionali (con quantità minime e massime fisse, per cui l'eventuale carenza o eccesso si scaricherebbe sulla quantificazione mensile dei redditi di cittadinanza che verrebbero quindi a fluttuare a seconda delle disponibilità, ma sicuramente solo entro un lieve scartamento, indicativo del benessere generale disponibile), per cui il complessivo prelievo tributario ai loro contribuenti (che sarebbe quindi ad opera degli erari nazionali, non di quello comunitario) da effettuarsi per finanziare il loro bilancio si baserebbe sulla valutazione di tali necessità sul lungo periodo (mentre sul breve sarebbe fisso). Oltre al finanziamento dell'erario comunitario, contributi ad opere pubbliche, retribuzione dei redditi di cittadinanza, deflusso alle regioni, le altre consuete voci di spesa in bilancio per gli erari nazionali sarebbero quella per le borse di studio, ed eventuali altre minori (ambiente, cultura, e ricerca), nonchè il servizio del debito pubblico, che, a meno di una riorganizzazione comunitaria (o qualora si implementi la fiscalità monetaria che permetterebbe di convertirlo in unità monetaria), resta a carico dei rispettivi erari nazionali che tale debito l'hanno contratto. Si consideri che il finanziamento dell'amministrazione pubblica e dei servizi pubblici (comprese le polizie nazionali e locali) avviene per tutti gli enti tramite le detrazioni quartierali dal reddito di cittadinanza, quindi è direttamente indipendente dagli erari superiori. Dai bilanci erariali verranno a non essere più previste voci come: politiche economiche finanziarie e di bilancio, finanza territoriale, organi costituzionali, soccorso civile, amministrazione generale, regolazione mercati, sviluppo imprese, energia, agricoltura, commercio internazionale, comunicazioni, mobilità, salute, casa e urbanistica, politiche sociali, università, istruzione, sviluppo territoriale, immigrazione, fondi per il lavoro, previdenza, servizi istituzionali generali, turismo, giovani e sport; quando ancora sussistenti saranno delegate agli enti inferiori o sostenute indirettamente mediante finanziamenti indiretti (come nel caso della giustizia, ad esempio). I fondi da ripartire saranno ripartiti. I comuni riceveranno la percentuale sulle imposte complessive (considerando che le detrazioni automatiche dal reddito di cittadinanza vanno ai quartieri) che comprendono le licenze (es. commerciali, taxi, edilizie), le quali non saranno più assegnate con l'attuale metodo discrezionale fonte di corruzione, ma su base d'asta (cioè tali attività decideranno loro quanto desiderano pagare di imposta, e sarà ciò a regolarne il numero), e dai plateatici.
Ogni attività dovrà avere un conto bancario di riferimento registrato presso il ministero del bilancio per l'esazione delle imposte. Grazie alla possibilità dell'uso di un software che esegua automaticamente gli spostamenti sarebbe possibile realizzare un bilancio trimestrale anziché annuale, e quindi più corrispondente alla realtà temporale. Per cui l'esazione delle frazioni vincolate dei conti avverrebbe ogni 3 mesi in maniera casuale, e la cifra necessaria al pagamento trimestrale delle imposte sarà vincolata a partire da due mesi dall'ultimo prelievo delle imposte cioè un mese prima del nuovo trimestre; compito del vincolo sarà della banca, non del titolare dell'attività, per cui in caso di carenza dovrà essere la banca ad anticiparli rivalendosi poi con il cliente con gli interessi contrattuali come conto "in rosso". L'evasione non potrebbe più esistere dato che dovrebbe essere appianata dalla banca; qualora l'azienda non fosse poi in grado di ripianare il debito, interviene il normale meccanismo fallimentare come oggi. I conti delle istituzioni presso la banca d'Italia dovranno sempre tendere allo zero; a gestirli sarà il relativo presidente dell'ente pubblico (quindi per quello statale il ministro del bilancio tramite la sua amministrazione); la banca d'Italia come consorzio bancario è super-partes, con controllo da parte della Corte dei Conti (che diventa una commissione parlamentare). Il residuo di bilancio andrebbe quindi ogni 3 mesi nel conto per il reddito di cittadinanza, assicurando con ciò la differenziazione sulle disponibilità erariali, evitando perciò gli squilibri che deriverebbero da una distribuzione alterata nel tempo. L'inserimento nelle liste dei contribuenti (ovvero nel database del software gestionale) è l'unico presupposto del pagamento delle imposte, ed avviene con la registrazione dell'inizio dell'attività presso l'amministratore di quartiere. Quindi l'elusione fiscale potrebbe consistere unicamente nella conduzione abusiva ovvero non registrata di un attività, o nell'alterazione dei parametri fiscali, il cui accertamento spetterebbe alla guardia di finanza in specie oltreché da tutte le altre forze di polizia con in primis lo sceriffo quartierale. Difatti l'amministratore di quartiere è il più interessato poiché le sanzioni riscontrate dagli altri organi sarebbero addebitate all'amministrazione di quartiere, con la funzione di favorire il controllo capillare.

Licenze e concessioni

Abbiamo già visto l'imposta fissa per attività; innanzitutto la concessione di una licenza sarà sottoposta all'impegno a pagare quell'imposta fissa annua. Abbiamo visto anche come tutt------ corporazioni ---- per cui un altra ----- sarà la ------ di sottostare alle regole decise di comune accordo in maniera democratica tra tutti gli iscritti alla corporazione, ed il pagamento della relativa imposta necessaria al mantenimento della vita della corporazione. A queste si aggiunge un ulteriore imposta finalizzata a strumento della corporazione atto a regolare l'ingresso nell'attività. L'entità di tale imposta sarà stabilita dalla corporazione sempre in maniera democratica: ad esempio, tutti i tabaccai di un comune voteranno la cifra di tale imposta che desiderano pagare, e sarà quella che ognuno dei tabaccai esistenti pagherà. Un nuovo entrato dovrà pagare oltre ad essa una percentuale ulteriore sulla base del numero di licenze esistenti in quel comune (nel caso di imprese la cui attività si esplica in un dato punto, tipicamente le attività commerciali) o nel territorio nazionale (nel caso di imprese la cui attività si esplica nell'intero stato, tipicamente le attività manifatturiere che vendono il prodotto universalmente). Un meccanismo per regolare l'intrapresa di un attività è necessario, capirete che non sarebbe possibile lasciare che il primo pinco pallino che gli salta di aprire un attività possa farlo senza alcun requisito e onere. Come la prendereste se foste un fioraio e da un giorno all'altro vi aprisse nel locale affianco un concorrente? Premesso ciò, la modalità attuale con cui sono regolate le licenze è semplicemente indecente. Si pensi alla questione del mercato nero delle licenze, il quale essendo ormai ampiamente consolidato non si può più tornare indietro (sarebbe stato compito del primo amministratore pubblico che invece di dire "ma che cazzo fai?" alla prima persona che ha "ceduto" ad un altro soggetto la licenza concessagli, non ha posto obiezioni, come se un ufficiale anagrafico trovasse normale che qualcuno "cedesse" ad un altro soggetto la propria identità...), l'unica possibilità è di regolarizzarlo per uscire da questo indecente impasse difeso accanitamente dalle categorie lobbistiche di comparto (tassisti tanto per dire la più famigerata). Purtroppo è una prassi ormai consolidata e non si può più tornare indietro, doveva pensarci il primo burocrate che non ha posto obiezioni. Se domani vado in motorizzazione e dico all'impiegato che voglio cedere la mia patente di guida ad un altra persona, che risposta dovrei aspettarmi? Se uno decide di investire in qualcosa che reputa garantito a vita e poi arriva il giorno che evidenzia che niente è garantito a vita... beh ha investito male e dovrebbe lamentarsi solo con con sé stesso per il pessimo investimento fatto senza lungimiranza, prerogativa fondamentale se si vuol investire ingenti somme per qualsiasi impresa. La verità è che tali investimenti sono stati fatti con sicumera perché si è creduto fosse lavoro garantito dallo stato tramite protezione da concorrenza... le puttane chiedono protezione ai protettori... Chi oggi esercita il mestiere di tassista non è stato costretto a pagare una licenza. Ha scelto di pagarla per godere di un privilegio che implica coercizione su altre persone e/o soggetti, potenziali concorrenti sul libero mercato. La "licenza" implica coercizione su altri. Se Tizio volesse esercitare il mestiere di schiavista e per farlo dovesse ottenere una licenza dallo stato questo non significa che, una volta abolita la schiavitù, egli dovrebbe essere compensato per il fatto che adesso non può più esercitare coercizione su altri. Ma se può essere esercitata solo attraverso licenza, in uno scambio tra pagamento in cambio di un privilegio, questo non è dovuto a una scelta del tassista di oggi, ma del primo burocrate che l'ha permesso, e passando per vari condoni, oggi all'imposizione del governo (o del comune) che avvallano il loro commercio abusivo (perché tale è e rimane anche se è un istituzione a permetterlo). E' vero che non sei obbligato a fare il tassista, ma è anche vero che se nessuno lo fa, la richiesta del servizio di trasporto rimane insoddisfatta. Anche questa è una forma di coercizione, anche se indiretta. In questo caso si scontrano due diritti legittimi: uno quello dei taxisti, costretti a pagare per esercitare quella attività e si vedono il loro investimento svalutato (magari meno quelli che hanno pagato la licenza molto tempo fa, in quanto, di fatto, già ammortizzata) da chi non ha mantenuto i patti; il contribuente, che, in caso di rimoroso totale o parziale delle licenze, verrebbe rapinato due volte: dapprima come consumatore che ha pagato tariffe troppo alte e poi come contribuente, chiamato a rimborsare una determinata categoria con denari suoi. Chi è chiamato a pagare è chi ha orchestrato il sistema delle licenza, ossia lo stato (o il comune) ed esso dovrebbe essere chiamato a pagare. peccato, però che lo stato funziona con i soldi rapinati al contribuente, per cui siamo punto e a capo. Insomma, come la giri puzza. E la colpa è solo del primo burocrate che ha permesso la prima cessione abusiva di una licenza personale. Morale della favola: l'intervento dello stato crea ingiustizia e il tentativo di porvi rimedio attraverso un'altra azione statale crea altre ingiustizie. In pratica, una categoria è destinata a rimanere fregata e allora, l'incentivo è quello di promuovere una guerra tra gabbati. Con la differenza che nessuno però ha prescritto a Tizio di dover fare il tassista. Poteva benissimo fare il piastrellista, lo spazzino, il medico, il barista (anche qui si richiede licenza ma non siamo a condizioni così stringenti), o qualsiasi altra cosa. E nessuno ha prescritto ai tassisti di sollecitare periodicamente da sempre il protezionismo da parte dei politici. C'è una certa differenza fra il concessionario della compagnia delle indie, che "per lavorare" si assicura l'esclusiva con decreto reale e fa cannoneggiare dalla marina i concorrenti, e un commerciante qualunque. Le licenze non hanno valore nel mercato primario ma nel secondario. Quindi nessun diritto ad alcun indennizzo già per questo motivo. La licenza è diventata poi un titolo scambiabile sul mercato secondario per determinate ragioni (la principale è quella di mantenerne il numero limitato). Se però lo stato decide diversamente allora cazzi tuoi. E' semplice rischio d'impresa. Se dai un indennizzo ai tassisti allora lo devi fare per tutti che hanno investito e perso poi per colpa della decisione di qualche governo. E' sempre questione di titolo originario, poco importa che ci sia un mercato secondario. Se in origine la licenza è imposta unilateralmente dallo Stato è un discorso, ma se la cosa ha origine da una richiesta (accolta) della categoria dei taxisti al governo di una licenza, allora il discorso è un altro. E i taxisti non hanno alcuna ragione e sono indifendibili. E' stato uno di loro ad avviare il commercio abusivo delle licenze, è con lui che devono prendersela (anche se ormai sarà morto da decenni).

"Per sei anni non ho pagato la ‘‘poll-tax'’. Una volta per questo fui imprigionato, per una notte; e, mentre stavo lì ad esaminare i muri di pietra massiccia, spessi due o tre piedi, la porta di legno e ferro spessa un piede e le grate di ferro dalle quali filtrava la luce, non potevo fare a meno di rimanere colpito dall'assurdità di quell'istituzione che mi trattava come fossi semplice carne e sangue e ossa, da mettere sotto chiave. Mi stupivo che esso avesse concluso alla fine che quello fosse il migliore uso che poteva fare di me, e che non avesse mai pensato di avvalersi in qualche maniera dei miei servigi. Compresi che, se c'era un muro di pietra fra me e i miei concittadini, ce n'era uno ancora più difficile da scalare o rompere prima che essi potessero arrivare ad essere liberi come lo ero io. Non mi sentii segregato neppure per un attimo, e quel muro mi apparve solo un grosso spreco di pietra e di malta. Mi sentivo come se io solo, tra tutti i miei concittadini, avessi pagato la mia tassa. Chiaramente essi non sapevano come trattarmi, ma si comportavano come persone rozze. In ogni minaccia e in ogni lusinga vi era grossolanità, poiché essi erano convinti che il mio più grande desiderio fosse quello di trovarmi dall'altra parte di quel muro di pietra. Non potevo evitare di sorridere nel vedere con quanta industriosità chiudessero la porta in faccia alle mie riflessioni, che li seguivano fuori senza alcun impedimento peraltro, e che costituivano l'unico vero pericolo. Poiché non potevano raggiungere me, avevano deciso di punire il mio corpo; si comportavano come certi bambini che, quando non possono arrivare a qualcuno per il quale nutrono risentimento, finiscono per maltrattarne il cane. Capii anche che lo Stato era un idiota, un timorato al pari di una donnina nubile in mezzo all'argenteria, incapace di distinguere i suoi amici dai suoi nemici, e così finii col perdere del tutto il rispetto che m'era rimasto nei suoi confronti, e lo compatii. Lo Stato, dunque, non si misura mai direttamente con la sensibilità d'un uomo, intellettuale o morale, ma solo con il suo corpo, con i suoi sensi. Esso non è dotato d'intelligenza o onestà superiore, ma solo di superiore forza fisica" (Henry David Thoreau)

Le licenze non saranno più assegnate con l'attuale metodo discrezionale fonte di corruzione, ma su base d'asta (cioè tali attività decideranno loro quanto desiderano pagare di imposta, e sarà ciò a regolarne il numero). Sarà cioè utilizzato il “criterio di Kaldor” (è un “principio di indennizzo” nei confronti di soggetti che ricevono un danno da parte di un agente il quale deve corrispondere un incentivo che equilibri generalmente la percezione di questo danno fino al raggiungimento di un “ottimo paretiano”, in pratica un “teorema di Coase” adeguato ai beni pubblici). Le licenze saranno gestite su base d'asta, ovvero i consorzi o cooperative o corporazioni locali degli attuali detentori decideranno l'entità delle imposte da pagare, ed un nuovo entrante dovrebbe versare annualmente una cifra di una determinata percentuale (percentuale variabile a seconda delle licenze già esistenti in quel comune, e fissate a livello nazionale, ad esempio 1=100% / 100=1%) superiore ad essa, per cui i consorzi degli attuali detentori allo scopo di impedire l'ingresso di concorrenti dovrebbero stabilire la somma massima che obiettivamente identificano di poter pagare, cioè la più equa derivata dal compromesso tra spesa e difesa delle posizioni, che (considerato anche il bollo del veicolo) verrebbe a rappresentare l'unico loro versamento fiscale all'erario. I nuovi detentori dovrebbero pagare annualmente una cifra di un tot percentuale maggiore rispetto ai vecchi detentori. Probabilmente nei comuni più piccoli la percentuale sarebbe più ampia, in quelli più grandi più lieve, a seconda delle licenze esistenti. Ad ogni nuovo detentore la cifra sulla quale si basa la percentuale non sarà sempre quella iniziale, ma quella raggiunta dall'ultima licenza emessa. Per fare un esempio, se la cifra viene fissata dal consorzio in 30.000 euro e la percentuale per quel comune è 10%, il primo nuovo detentore pagherà annualmente 33.000 euro, il secondo invece 36.300, e via così. Di conseguenza l’esercizio abusivo sarà condannabile non in quanto tale, ma per l’evasione fiscale conseguente. Le tariffe saranno stabilite dai consorzi. Questo meccanismo porterà una razionalizzazione nell’emissione delle licenze e limiterà la possibilità di corruzione (“dilemma del prigioniero”) insita in esse (è in pratica esso stesso una “corruzione inversa e regolamentata”). Si ricordi che la loro emissione sarà svincolata da concessioni burocratiche; l’ufficiale avrà voce in capitolo solo sui termini della licenza. Per avviare un attività ci si recherà al rappresentante comunale della corporazione dal quale si riceveranno le indicazioni sui regolamenti ecc (ad esempio per un attività commerciale in certi casi si dovrà rispettare una certa distanza dai concorrenti) al che, possedendo i requisiti richiesti, si comunicherà (ovvero non si chiederà) all'amministratore di quartiere l'inizio attività, che si premurerà di inserirla nella lista dei contribuenti. Si tenga in considerazione che la concessione pur presentando elementi di affinità con l’autorizzazione (licenza), entrambi sono provvedimenti ampliativi della sfera soggettiva, e se ne differenzia profondamente in quanto non si limita a rimuovere un limite di una posizione soggettiva preesistente, ma attribuisce o trasferisce posizioni o facoltà nuove al privato. Altri tipi di licenze (pesca, caccia, raccolta, ecc) restano grossomodo come oggi. Anche gli orari notturni e festivi delle attività commerciali sarebbero sottoposti ad imposizioni comunali, non più a divieti. Gli stessi meccanismi si applicano anche a mercati all'ingrosso, commercio ambulante, altri tipi di distribuzione.
Le tasse propriamente dette (bolli per imposta, ecc) saranno abolite e sostituite dal pagamento diretto al burocrate che espleta il servizio (e che sarà il suo unico reddito, non avrà un salario dall'ente pubblico), della cifra da esso richiesta a sua discrezione. Ognuno potrà scegliere a quale rivolgersi. Imposte pigouviane andranno a sostituire le legislazioni sull'ambiente e sulle norme di sicurezza lavorative; la percentuale di imposte che va al comune rappresenterà essa stessa una forma di imposta pigouviana. Abolite le imposte sui passaggi di proprietà; l'amministratore di quartiere avrà potestà notarile.

“Quando l'acquisto e la vendita sono controllati dalla legislazione, le prime cose ad essere comprate e vendute sono i legislatori” (Patrick J. O'Rourke, giornalista, scrittore e polemista americano, 14 novembre 1947)

Numero licenze esistenti percentuale di aumento imposta rispetto alla licenza precedente
0 -
1 100 %
2 50 %
3 33,3 %
4 25 %
6 20 %
10 10 %
20 5 %
50 2 %
100 1 %
200 0,5 %
400 0,25 %

Reti di distribuzione

L'organizzazione delle licenze per servizi di distribuzione seguirà uno schema diverso, teso a eliminare gli sprechi e le inefficienze (e non a "difendere il consumatore"!): Le infrastrutture saranno in usufrutto alle aziende concessionarie (quelle di distribuzione finale all'utenza a quelle quartierali, quelle ------ a seconda che riforniscano più quartieri, più comuni, più province, più regioni, alle rispettive concessionarie territoriali); nonostante ciò significhi che in caso di perdita della concessione la gestione delle infrastrutture passi ad altri (e quindi non sia proprietà), avranno tutto l'interesse a curarle e realizzarne di nuove essendo necessarie a distribuire il loro prodotto finché sono detentori della concessione. Le necessarie forniture da aziende ad altre aziende sono sottoposte alle tariffe uscite dalle rispettive gare d'appalto; non è permesso rifiutare la fornitura richiesta; per questo motivo ad ogni gara la tariffa proposta non potrà mai essere più bassa della precedente, altrimenti i costi per la fornitura potrebbero risultare maggiori delle loro stesse tariffe. Le forniture da aziende ad altre aziende sono necessarie perché non sarebbe praticabile che ognuna impianti proprie infrastrutture sul territorio. Le aziende escluse dalla prima gara nazionale non potranno ottenere concessioni, ma potranno operare con clienti privati o accordarsi discrezionalmente con le aziende concessionarie (ad esempio subappalti). Quindi le aziende escluse a livello nazionale non necessariamente dovranno fallire, potendo rivolgersi direttamente agli utilizzatori finali, anche se probabilmente sarà un caso raro e usufruito più dalle industrie che dai cittadini.
Per la Valle d'Aosta si passerà dalla gara nazionale direttamente a quella provinciale.
Per le città metropolitane il numero di aziende concessionarie dovrebbe essere: Roma, Milano, Napoli, Torino: 6; Genova e Palermo: 5; Firenze, Bologna, Venezia, Bari: 4.
Così come negli altri tipi di appalto per servizi continuativi, anche in questa un azienda che intendesse subentrare alla concessionaria potrebbe farlo proponendo una cifra più conveniente per il quartiere. Per garantire una certa sicurezza la cifra più conveniente di una percentuale decrementante di anno in anno: L'azienda detentrice della concessione potrebbe mantenere l'appalto uguagliando tale cifra. Oltre che al concessionario della distribuzione finale sarebbe possibile subentrare anche a quelli della distribuzione all'ingrosso, sempre con lo stesso meccanismo ma sulla riduzione delle tariffe. La rinegoziazione dei parametri (imposte e tariffe) delle licenze in appalto da parte dei concessionari consisterà nella rinuncia al contratto con relativa indizione di nuova gara alla quale partecipando potranno modificare le cifre da loro proposte ma col rischio di perdere la concessione in favore di altri concorrenti. Ovviamente i tentativi di dumping (ovvero proporre artificialmente tariffe basse solo per costringere il concorrente a rivedere in difetto il suo utile) sarebbero puniti (bancarotta fraudolenta) qualora il responsabile vincendo involontariamente non fosse in grado di rispettare il contratto (rivelando con ciò l'intenzionalità di dumping). Nel qual caso la concessione ritornerebbe al precedente detentore.
L’inefficienza tipica dei monopoli in questo caso sarebbe evitata dato che non essendoci imposte sulle quantità erogate, ma solo un imposta fissa, viene ad essere eliminato il rendimento decrescente, ed il monopolista sarebbe spinto a produrne e venderne più possibile abbassando i prezzi al minimo; il sistema su appalto per la stabilizzazione delle tariffe eliminerebbe anche la ricaduta monopolistica sui prezzi, riducendo ulteriormente ogni possibilità di inefficienza. Inoltre saranno previste multe per le interruzioni dell’erogazione (black out) che spingeranno queste aziende monopolistiche all’efficienza massima. Per i black out imprevisti (sia elettrici che gasieri e idrici) saranno previste multe dai quartieri interessati.
Questo sistema permetterebbe l'esistenza di un mercato di concorrenza, ma senza appesantire troppo le ramificazioni infrastrutturali sul territorio. Il ricorso residenziale ad aziende non titolari presumibilmente resterebbe relegato alle grandi città, dove a parità di km raggiungerebbe un bacino più ampio di potenziali clienti, visto che sul costo di impianto a carico del cliente graverà certamente la distanza dalla linea principale più vicina a cui allacciarsi; soprattutto alle industrie grandi consumatrici gioverà questo sistema di concorrenza. Potenziale usufruitore potrebbe esserne un piccolo agglomerato urbano isolato, magari di nuova costruzione. La realizzazione di nuove centrali termoelettriche e nucleari sarà determinata dal compromesso tra quota "a corpo" e "a misura" dell'imposta per evitare il proliferare di mini-centrali termiche. Tale regolazione dell'apertura di nuove centrali sarà subordinata non a limiti di grandezza legiferati, ma alla imposta fissa che esse dovranno pagare annualmente, che tendenzialmente spingerà a farne nascere solo di grandi. I limiti, difatti, come in ogni altro ambito, non saranno imposti per legge, ma subordinati ad imposizioni fiscali che ne disincentivino il superamento. Questa imposta non riguarderà centrali di energie alternative, idroelettriche, geotermiche, e generatori condominiali sia a “celle a combustibile” che ad alternatore. Il probabile ribasso del prezzo dell’elettricità (anche grazie all'utilizzo esteso del nucleare e del solare dinamico) porterà a sostituire con l’elettricità gli usi domestici del gas, con notevole miglioramento della sicurezza urbana e l’eliminazione della necessità delle bombole dove non presente rete. I cretini che sbraitano sull'"acqua pubblica" che nemmeno non si capisce cosa nel loro immaginario intendano con "pubblica" (dato che quel che è di tutti non è di nessuno, nemmeno di loro quindi a differenza di quello che evidentemente intendono nel loro fanciullesco immaginario da spingerli ad accanirsi con tale veemenza) non si rendono conto delle conseguenze che si evidenziano in Sicilia, dove i venditori di acqua in autobotte impediscono la costruzione di acquedotti (così come l'"associazione nazionale proprietari case" impedisce il restauro e la costruzione di case pubbliche) corrompendo o minacciando gli amministratori pubblici, atti che non potrebbero sortire effetto su un privato al quale venisse concesso di costruire una rete idrica privata in quanto davanti all'interesse avrebbe un potere di influenza maggiore dei "venditori di acqua". Le concessioni di rete idrica saranno subordinate alla presenza di un numero di fontane gratuite in misura di una ogni 1.000 abitanti. L'assegnazione delle licenze per le agenzie di distribuzione del reddito di cittadinanza seguirà lo stesso meccanismo con il sistema ad appalto come gli altri distributori di servizi, per cui le agenzie di distribuzione del reddito di cittadinanza non saranno singole come i negozi (come potrebbe avvenire senza sistema ad appalto), ma facenti capo ad aziende autorizzate ad operare sul territorio nazionale e quindi proprietarie di varie filiali; a livello nazionale ne verrano accettate 10 tra le partecipanti, a livello regionale 8 tra esse, a livello provinciale 6 tra esse, per i comuni: 4 in quelli maggiori di 500.000 abitanti; 3 in quelli tra 100.000 e 500.000; 2 in quelli tra 20.000 e 100.000 abitanti; 1 sotto i 20.000. Nei comuni maggiori sono necessari più concessionari poichè uno solo avrebbe interesse nel centralizzare la distribuzione in un unica sede centrale, mentre più concessionari hanno interesse a coprire più capillarmente il territorio. Dato che lo scopo della detrazione quartierale è anche incidere sulla cifra netta del reddito di cittadinanza per territorio abbassandola nei quartieri più ricchi, tale detrazione non avverrà anche su quelli non ritirati (che quindi saranno trattenuti per intero dalle aziende distributrici), per cui nei quartieri dove vi siano meno ritiri la cifra da detrarre dovendo essere suddivisa tra meno persone sarà più alta, abbassando ulteriormente la cifra lorda erogata (e quindi diminuendo ulteriormente i ritiri); in tal modo si verrà a creare una netta differenza tra le cifre erogate nei quartieri più ricchi (minore) e quelli più poveri (maggiore).

Lavori e servizi pubblici

Le aziende partecipate dagli enti pubblici ovviamente sarebbero privatizzate e messe in libera concorrenza, per il cui affidamento dei servizi si svolga in gara d'appalto. Per quanto riguarda la raccolta rifiuti, ogni quartiere indirà una gara per affidare il servizio ad un azienda privata (che può consistere anche in un solo camion di proprietà di un unico "padroncino"); idem per aziende di vigili del fuoco e di eventuale vigilanza privata (quest'ultima probabilmente nei quartieri di lusso). Le fogne saranno affidate in appalto dai comuni ad aziende, su asta. I servizi continuati in appalto saranno pagati a quota fissa e non ad intervento. Come per tutte le licenze in appalto, la rinegoziazione consisterà nella rinuncia al contratto e partecipazione a nuova gara: l'azienda in appalto che si trovi ad operare in perdita può rinunciare al contratto, allorché verrà indetta una nuova gara, alla quale potrà partecipare anche l'azienda rinunciataria modificando la cifra richiesta ma correndo il rischio di perderla. Di conseguenza in caso di molti interventi alla successiva gara i partecipanti chiederanno cifre più alte, in caso di pochi interventi cifre più basse, per non perderlo (in pratica come il bonus-malus assicurativo).
Il sistema dell'affidamento a privati di lavori pubblici (appalti) sarà modificato in tal senso: abolizione della discrezionalità degli amministratori politici, tramite la partecipazione alle gare d'appalto non più da parte delle ditte esecutrici dei lavori direttamente (potranno farlo solo sotto una certa cifra molto bassa, quindi perlopiù solo per piccoli lavori manutentivi), ma a società di mera gestione dei lavori pubblici, le quali vincitrici di un appalto decideranno a propria discrezione a quali ditte esecutrici affidare i lavori. In tal modo viene eliminata la discrezionalità dell'amministratore pubblico e quindi ogni possibilità di corruzione, poiché non ci sarebbe più la possibilità di escludere un gareggiante per motivi di inadeguatezza che potrebbero essere fittizi ed arbitrari.

"Gli uomini liberi sono governati dalle regole. Gli schiavi sono governati dagli uomini" (Bruno Leoni)

Ciò che tali società gestionali risparmieranno tra la cifra dell'appalto e il prezzo dei lavori sarà il loro utile (niente esclude che potrebbero anche finire in perdita, non sarebbe prevista la variazione del corrispettivo in corso d'opera dato che a fallire non sarebbe la ditta esecutrice ma quella gestionale; varrà quindi l'"esecuzione in danno"). L'unica discrezionalità sarebbe sui progetti, votati dai consigli. Lo stesso discorso si applica agli appalti per servizi. Si consideri che il problema della corruzione non sono i soldi in sé (la ricchezza che veicolano non è "distrutta"), ma l'inefficienza che provoca, quindi è irrilevante che parte dei soldi che oggi vanno in corruzione andrebbero a utile delle società di gestione degli appalti. Anche trovassero un modo per spremere soldi (e viene difficile ipotizzarne uno con il nuovo sistema sugli appalti e le licenze), almeno sarebbe un incentivo a non voler perdere il posto e quindi chiedendo cifre da "dumping", fino al punto non solo di rinunciare, ma addirittura di offrire soldi (il che diventerebbe abbastanza indicativo...). La gestione delle strade dei vari enti (regionale, provinciale, comunale, quartierale - mentre quelle statali sarebbero abolite e cedute alle regioni) sarebbero da essi affidate su gara d'appalto a ditte di gestione responsabili della manutenzione (anche tramite multe per ogni incidente avvenuto sulla strada gestita); il controllo del rispetto del codice della strada sarà quindi interesse dell'azienda gestente, che potrà avvalersi di forze di polizia private per punire le infrazioni, che verranno a sostituire la polizia stradale statale ed il ruolo delle altre polizie locali in ambito viabilistico (limitato alla sosta vietata con incaricati gli ausiliari del traffico quartierali). Le autostrade, uniche strade statali, rimangono in concessione ai privati come oggi (anche l'anas sarebbe privatizzata), e vendute sul mercato le loro quote oggi ancora detenute da enti pubblici. Alle scadenze delle concessioni si procederà a gara d'appalto come per tutte le altre strade (per cui in quelle a pagamento l'offerta sarà in positivo, in quelle gratuite in negativo cioè come sovvenzione). Le tariffe chilometriche autostradali saranno libere, e ad esse potranno essere aggiunti 20 centesimi fissi, ma dovrà essere tolto 1 euro dal totale in modo da incentivare l'uso sulle tratte brevi (poichè in tal modo a fronte di un prezzo chilometrico complessivo fino ad 1 euro quello della relativa tratta sarà di 20 centesimi fissi e per gli ulteriori chilometri partirà da esso); per i raccordi extra-pedaggio la massima tariffa aggiuntiva fissa al casello sarà di 1 euro.

Per gli appalti di servizi continuati si adotterà lo stesso meccanismo, ma in ogni momento potrà presentarsi un’altra azienda proponendo prezzi maggiormente convenienti per l'ente appaltante; difatti questi appalti non avranno scadenza, ma le concessioni solo prevederanno il graduale decremento annuo della percentuale che un’altra azienda che intendesse subentrare dovrà proporre all’ente pubblico rispetto alla cifra contratta dall'assegnatario vigente; la percentuale partirà dal 100% (cioè il doppio) durante il primo anno, decrementando del 10% ogni anno quindi fino a parificarsi (0%) in 10 anni. Nel caso di una miglior offerta da parte di un altra azienda, l’azienda già detentrice potrà solamente adeguare i suoi prezzi eguagliando l'offerta dell'altra azienda o patteggiare con essa. L'azienda detentrice avrà un certo periodo di tempo per adeguare il suo prezzo, nel caso, trascorso questo periodo l'appalto passerà alla concorrente, allorché se il nuovo concessionario si ritirasse (dimostrando così di aver fatto un offerta fittizia tesa solo ad infastidire il concorrente) incorrerà in penalità. In assenza di concorrenti l'appalto permarrà indefinitamente alla stessa cifra. Solo in caso di ritiro volontario verrà indetta una nuova gara pubblica.

“L’imprenditore non può comprare favori da un burocrate che non ha favori da vendere” (Sheldon Richman)

Trasporti

Come per le reti di distribuzione anche l'organizzazione delle licenze per servizi di trasporto pubblico seguirà un metodo teso a eliminare gli sprechi e le inefficienze (e non a "difendere il consumatore"!) fondato sul "planismo" ovvero sul condizionamento (libertà negative) anziché sulla coercizione dirigista (libertà positive), secondo il “Teorema di Baumol-Oates”. Si ricordi l'esempio fatto come paragone sui consorzi agrari e i software e su come l'assenza di organizzazione sociale nuocerebbe a tutti come inutilizzo e quindi spreco di risorse, e quello sul trade-off dell'efficienza tra mobilità pubblica e privata. Privilegiare gli interessi dei singoli o quelli della collettività? Solitamente coincidono, ma esistono casi nei quali invece stridono. Uno di questi è la mobilità. Se la maggior efficienza si esplica nell'iniziativa privata, quando essa determini lo scaricarsi dei costi aggiuntivi su altri parametri l'efficienza viene meno nel trade-off tra le due. Secondo le normali leggi economiche un alto costo di mercato dei mezzi pubblici determina l'aumento del ricorso al trasporto privato, collettivamente più costoso non solo in termini economici ma di esternalità prodotte. Di conseguenza per poter ottenere la riduzione di questi costi economici e sociali si deve incidere in qualche modo sul trade-off, incentivando la propensione all'uso del trasporto collettivo andando a determinare l'abbassamento dei prezzi della mobilità pubblica ed il rialzo di quella privata (che abbiamo già visto con il bollo). Unitamente alla quasi assenza di imposte sul noleggio e sul car sharing ed all'applicazione delle assicurazioni sulla persona e non più sui veicoli, questo sistema porterà ad una drastica riduzione dei veicoli privati. Per quanto riguarda il trasporto pubblico urbano, stabilire linee ed orari che desiderano svolgere sarà saranno si lasciato alle aziende, ma affidati ciascuno secondo gare d'appalto per ogni tratta ed orario (in modo che la cifra dell'appalto costituisca l'unica imposta oltre al bollo del veicolo), per cui ove vi sia una carenza (poiché tratta sottoutilizzata), comuni e quartieri potranno in questo modo sostenerne l'espletamento del servizio finanziariamente (ovvero la cifra dell'appalto potrà essere anche in negativo e non solo in positivo per l'ente appaltante, venendo perciò a rappresentare una sovvenzione). Perciò le cifre dell'appalto sarebbero determinate dalla fissazione da parte del comune del prezzo del biglietto (non sarebbe in ogni caso possibile lasciare una vera concorrenza sui prezzi, poiché essa determinerebbe una babele ingestibile da parte dell'utente). Stante che le eventuali diverse aziende (che potrebbero anche essere un singolo autobus di proprietà dell'autista) dovranno inserirsi nel consorzio della corporazione comunale (o provinciale per quelli extra-urbani), per ovvi motivi di standardizzazione ovvero per non avere autobus di colore diverso, fermate distinte, e bigliettaggio separato che causerebbero una babele ingestibile da parte dell'utente. In riferimento allo scopo di ridurre la mobilità privata il prezzo del biglietto dovrà essere stabilito su una cifra esigua, quasi simbolica, tipo 50 centesimi (rispetto agli attuali 1,50), e 10 cent a chilometro per quelli extraurbani, e su tale cifra si baserà l'offerta nell'appalto (che per questo in gran parte dei casi sarebbe in negativo ovvero come sovvenzione). Come per tutte le licenze in appalto, la rinegoziazione consisterà nella rinuncia al contratto e partecipazione a nuova gara. I trasporti attrezzati (tram, metropolitane) invece saranno liberi, non essendo assegnabili per appalto ed avendo già la concorrenza degli autobus. Quelli autostradali saranno liberi. Per i treni, le tratte aventi una velocità di percorrenza superiore ai 90 km/ora saranno liberi, per gli altri le corse saranno assegnate mediante appalto come gli autobus, con un prezzo dei biglietti fissato di 8 cent/km limitatamente alla seconda classe; quelli per la prima classe saranno liberi ma verrebbero comunque basati su quelli della seconda per la legge domanda/offerta. I prezzi di navi e aerei saranno liberi.

Trasporto merci

L'imposizione sui trasporti avverrà prima di tutto sul bollo del veicolo (che pur essendo molto alto, viene a sostituire interamente le attuali imposte sui redditi che certamente sono molto più alte), e poi come licenza territoriale ovvero un camionista che lavori solo nella sua provincia e quelle confinanti non pagherà tale imposta, mentre dovrà pagarla per ogni ulteriore provincia nella quale intenda lavorare (dovranno essere confinanti l'una all'altra, cioè non si potrebbe pagare solo per quella di Milano e di Napoli, ma per tutte quelle che intercorrono tra le due città); ovviamente esisterà una cifra forfait per l'intero territorio nazionale, ma dovrà essere così alta da disincentivarlo. Lo scopo è favorire sulle lunghe distanze il trasporto ferroviario senza gravare sul trasporto su gomma sulle brevi distanze. L'imposta sarà di 200 euro annui per ogni provincia non confinante con la propria fino a 10, poi 300 euro annui fino a 20 province, e 400 oltre le 20; la cifra forfettaria per l'intero territorio nazionale sarà di 25.000. Le province molto piccole saranno accorpate ad altre in questo tributo (Trieste e Gorizia ad esempio). I camionisti stranieri all'ingresso sul territorio nazionale dovranno pagare un insieme di imposte (assicurazione temporanea sul veicolo e sanitaria, imposta territoriale temporanea, ecc) che disincentiveranno il ricorso ad essi per trasporti interni (mentre saranno cifre accettabili per quelli internazionali e di passaggio).

Residenzialità

Alle classiche critiche assurde sulla quantificazione del reddito di cittadinanza regolarmente si aggiungono le tipiche puntualizzazioni sul costo degli affitti, per cui per questi critici il problema diventa il reddito di cittadinanza, e non il mercato immobiliare oggi avulso dalla normale legge domanda / offerta. Ci sono una marea di case vuote i cui proprietari si lamentano di non trovare affittuari, e ci sono una marea di persone che vorrebbero affittare una casa ma non possono permettersi gli affitti chiesti dai proprietari, questa non è una situazione normale, una situazione normale vorrebbe che le due propensioni si incontrassero nel punto di intersezione tra le curve di domanda offerta appianando le rispettive esigenze ("costi di opportunità"). Il punto di intersezione dovrebbe essere dato dalla legge domanda-offerta, se oggi tra le due vi è la "perdita secca" (esattamente opposta a quella famosa degli affitti bloccati di New York) secondo voi è una cosa normale criticare non questa distorsione ma il reddito degli aspiranti affittuari? Quando casomai a rigor di logica l'aberrazione stessa è perfino che un affitto venga considerato fonte di reddito e quindi la proprietà di una casa un investimento, per cui anche se ci fossero 10 venditori e 1 compratore, il prezzo non scenderà mai, perché oggi una casa è come un Picasso, un Matisse, un Rembrandt, non si svaluta dato che la causa di questa distorsione è nè più nè meno che quell'assurdità del considerare la casa "un investimento", la cui ovvia soluzione dovrebbe essere andare di conseguenza ad incidere sul suo mercato proprio per renderla non più conveniente come tale, ovverosia apponendovi un livello impositivo tale da eliminare il concetto stesso di immobile come investimento patrimoniale. Per quanto li si "agevoli" i mutui restano sempre mutui cioè debiti, ditelo a CasaPound.

“La casa non è un capitale, ma una integrazione spirituale alla vita dell’uomo. Quella del Mutuo Sociale è una battaglia per sancire il diritto alla proprietà della casa… diritto in grado di cancellare per sempre quella che è la più subdola forma di usura: l’affitto” (dal sito internet di Casa Pound)

Non bisogna "agevolare" i mutui, ma far scendere i prezzi delle case e degli affitti! E l'unico modo per farlo è prima di tutto abolendo l'esternalità rappresentata dalla tassazione dei redditi da affitto, e al contempo tramite l'introduzione di un imposizione fissa che elimini il concetto di immobile come investimento. In cifre, sulla seconda casa ciò equivarrebbe ad un imposizione attorno ai 3-4.000 euro annui che sia affittata o tenuta inutilizzata, la cui conseguenza sarebbe che per coprire o evitare tale costo i proprietari sarebbero praticamente costretti ad affittarla o venderla (e per riuscire a farlo dovranno abbassare gli affitti per cui quelli minimi si assesterebbero probabilmente dagli attuali 400 perlomeno attorno i 300) perlomeno per poter andare in pari con la rendita, se non proprio di limitare le perdite eliminando del tutto ogni rendita e perciò la concezione di immobile come forma di investimento speculativo, anziché tenerla inutilizzata come spesso accade oggi e che è all'origine della perdita secca tra le curve di domanda / offerta che causa l'indecente situazione odierna. Tale sistema eliminerà pressoché totalmente la brutta abitudine intrapresa di utilizzare le seconde case come "bed and breakfast" per turisti, che rappresenta sia una disonesta concorrenza alle attività alberghiere sia verso gli aspiranti inquilini stabili. Un ulteriore risultato sarebbe una variegazione dei prezzi, a seconda delle qualità dell'immobile, non come oggi che sono grossomodo tutti simili indipendentemente dalle caratteristiche. Per gli immobili non destinati ad abitazione, essendo già le imposte per il locatario basate sulla metratura, non sarebbero necessarie imposte molto alte sull'immobile stesso, che sarebbero di competenza del proprietario anche quando fosse affittata ad altri (per cui verrebbe fatta ricadere sul prezzo dell'affitto), tuttavia sarebbero sussistenti per limitare che tali immobili vengano lasciati inutilizzati come spesso accade; tuttavia non essendo indirizzati a scopo abitativo il loro spreco non è così deleterio come invece lo è per quelli a scopo abitativo, per cui non è necessaria un imposta gravosa. Sulla prima casa, si presume che chi possiede una casa di 100 Mq possa permettersi un imposta annua di 500 euro. Allo scopo di adeguarle tutte a seconda della differenza approssimativa di valore i singoli comuni potranno aumentarle del 40% nel 10% del loro territorio (probabilmente nei quartieri centrali), e del 20% nel 20% del territorio (da questo computo saranno escluse la aree montane e le superfici acquee), lasciandola invariata nel restante 70% (che probabilmente corrisponderà alle cinture periferiche). Questi esuberi andranno interamente al comune.

imposte sugli immobili

Le cifre indicate nel grafico sono puramente come esempio, nella realtà dovranno essere adeguate su quelle che mostrino empiricamente far sparire l'area di perdita secca tra le curve di domanda e offerta facendo coincidere il punto di intersezione con l'ottimo paretiano (cioè zero o quasi case inutilizzate). Data la gravosità della tassa sulla casa, essa non sarà immediatamente applicata per intero ma sarà alzata in maniera graduale in un lasso di 5 anni, per dar modo al mercato di assestarsi senza gravare sugli attuali proprietari. Le sanzioni quartierali per comportamenti incivili (ad esempio abbandono di rifiuti) saranno calcolate da un minimo fisso più una percentuale sull'imposta sulla casa (ad esempio 100 euro più l'1% dell'imposta).
Gli enti di case pubbliche saranno aboliti e le case messe in vendita agli inquilini ad un mutuo mensile che equivalga in cifre all'attuale affitto pagato dall'inquilino a partire dall'inizio della locazione (che in molti casi, soprattutto per i soggetti più anziani, equivarrà alla cessione gratuita immediata). Unitamente alla diversa imposizione sulla casa (che penalizza fortemente le seconde case) ed alla diversa organizzazione dei piani regolatori fondata sul “teorema di Baumol-Oates”, questa politica sulla casa porterà ad una razionalizzazione edilizia che parteciperà come causa ed effetto al declino dell’immobilizzazione dei capitali e quindi concorrerà anche alla riorganizzazione del sistema bancario ed assicurativo verso una ragione produttiva anziché speculativa. Come spiegato in precedenza, la manodopera orfana di questo settore (edilizio) sarebbe assorbita da altri settori, secondo la teoria dell’equilibrio economico generale, in quanto oggi la disoccupazione involontaria esiste solo come conseguenza della apposizione artificiale di costi fittizi sul lavoro. Il demanio sarà abolito, i terreni non di proprietà privata saranno competenza dei comuni e da essi affidati su appalto ad agenzie immobiliari private che se ne occuperanno della gestione. Concessione al lucro privato di beni pubblici sarà sugli affitti temporanei e sulle concessioni ed (in percentuale) sugli eventuali biglietti di ingresso per parchi naturali, musei, beni artistici. Le proprietà di enti locali e statali (ministeri, quirinale, ecc) stessi saranno affidati secondo tale sistema ad aziende che li curino (pulizia, manutenzione, sicurezza). Piani regolatori basati sulla progressione delle cifre (variabili a seconda della destinazione d'uso) per le licenze edilizie regoleranno l'urbanizzazione. I piani regolatori saranno fissati a livello nazionale secondo percentuali di territorio comunale ai quali assegnare diverse cifre di imposta di edificazione (per indurla in un senso), che saranno però stabiliti a livello comunale (ovvero dal sindaco). I piani regolatori dovranno essere stilati per zone a seconda dell'imposta per l'edificazione, più bassa nelle aree dove si voglia indirizzare l'espansione urbana, e più alta dove la si vuole impedire, zonizzazione fissata a livello nazionale ma stabilita a livello locale; essa stabilirà anche le imposte agricole; stabilito il piano regolatore, il burocrate non avrà voce in capitolo sul costruttore che rispetti tale piano (scomparirà perciò la possibilità di corruzione in quest'ambito). Tali aree dovranno essere suddivise anche sulla destinazione d'uso (sempre con proporzioni stabilite a livello nazionale), e l'amministrazione locale non potrà opporsi alle installazioni richieste, ma ricevendo una percentuale delle imposte verranno praticamente a rappresentare una compensazione pigouviana. Risvolti evidenti nella razionalizzazione del progresso urbanistico eliminando gli attuali conflitti di competenze, i quali provocano nocumento soprattutto come ostacolo alla realizzazione di opere di interesse pubblico, su cui ci sono in ogni città d’Italia esempi notevoli, di immobili o di aree inutilizzate o sottoutilizzate per decenni sulle quali altri enti pubblici potrebbero aver interesse ad un utilizzo efficiente ma vengono bloccate da gelosie burocratiche a causa delle quali non riescono ad avere la possibilità di ottenerne la disponibilità. La privatizzazione totale delle proprietà ne accollerebbe la responsabilità diretta sia come onori che come oneri, imponendo una tassa sui lotti cosicché ogni azienda proprietaria sia interessata a vendere od affittare o al limite a sbolognare al demanio (o meglio, ai comuni) quelli superflui rendendoli quindi disponibili ad altre aziende che siano interessate ad un loro uso efficiente. In modo che non si ripetano più le situazioni di aree potenzialmente utilizzabili lasciate abbandonate, vedi ex gasometri, ex parchi ferroviari, ex magazzini generali, ex zone militari (esempio classico, l’Arsenale di Venezia). Un reato di “corruzione” o di “concussione” deve essere provato nelle opportune sedi, e per arrivare a condanne dei responsabili sono necessarie prove oggettive di ciò che è stato fatto nascostamente da ogni singolo indagato. Lo spreco è invece cosa oggettiva. Perché lo Stato che possiede immobili in abbondanza deve pagare affitti miliardari a privati che forniscono gli immobili di loro proprietà, solo perché i “politici” considerano inopportuno prendersi la responsabilità di mettere mano a queste situazioni di stallo? Perché continuiamo a tollerare l’esistenza di un numero esorbitante di enti inutili o di collegi pletorici solo perché frutto di vecchie clientele che nessuno ha il coraggio di eliminare? Spesso la scusa è il rimbalzo di responsabilità e di competenze, ragion per cui così come per il concetto di "silenzio-diniego" anche quello di utilizzo delle disponibilità verrà capovolto, allora basterà il timore di incriminazione per attivare subito chiunque, nuovo amministratore, dovesse trovare simili situazioni di spreco nella propria realtà. Senza necessità di sbandierate “riqualificazioni” salutate propagandisticamente come dovessero essere eventi da considerare straordinari. Considerando che le nuove imposte sulla casa elimineranno la brutta abitudine di compagnie bancarie ed assicurative di accumulare immobili a tutto spiano, tutte le conseguenze vagliate porterebbero ad aprire la possibilità a tutti di possedere una casa per il conseguente abbassamento dei prezzi. Il modo con cui lo stato può determinare affitti massimi non è imponendoli, ma andando a non sfavorire la concorrenza. Non servono imposizioni, la concorrenza basta già di per sè. L'importante è non ostacolarla. Cosa che purtroppo questo stato oggi fa e ampiamente. Ora, dato che anche a fronte del calo dei prezzi degli affitti 320 euro non basterebbero comunque a quelli per i quali il reddito di cittadinanza sarebbe l'unico reddito (i senzatetto), e per quelli a cui ai 320 si aggiungono i 200 del lavoro a regia basterebbe appena, sarà per questo motivo implementato un sistema fiscale sulle attività alberghiere teso ad incentivare il misto ricettivo-residenziale (sul tipo dei motel americani per capirci), ottenibile separando fiscalmente le due tipologie, cioè gli hotel classici (con servizio in camera ecc) avranno una imposizione più alta (anche molto, essendo un attività non delocalizzabile), mentre quelli "automatizzati" saranno praticamente quasi esenti da imposte, in modo che se ne diffonda il sorgere con il conseguente calo dei prezzi che a fronte della domanda / offerta ne renderebbe possibile l'accesso anche ai redditi 320 (quindi con canoni sui 100 euro mensili per chi vi abita stabilmente) e renderebbe possibile tale alternativa per i redditi 520. Probabilmente al posto delle classiche stanze, si baseranno sul sistema a celle automatiche molto in voga già oggi in Giappone. Proprio verso questi saranno indirizzati i già citati "buoni-letto" forniti assieme ai "buoni-pasto" (oggi in America i buoni pasto mensili per gli indigenti hanno un valore attorno i 120 dollari e sono usufruiti da 47 milioni di persone) dai quartieri ai bisognosi mediante detrazione di una cifra complessiva sui 250 euro dal reddito di cittadinanza, in modo da delegare all'iniziativa privata la residenzialità assistenziale (così come la gastronomia). E' anche in questo modo che verranno determinati gli affitti massimi, poiché la concorrenza dei "motel" indurrà gli affittanti a non superare troppo tali cifre.

“Per ciò che concerne quella proprietà privata che è, dicevo, dianzi, una proiezione della personalità umana e che noi vogliamo garantire e proteggere, la proprietà che sorge dal lavoro individuale, dall’individuale risparmio, è chiaro che il nocciolo di questa proprietà sana è la casa, che tutti debbono possedere” (Alessandro Pavolini al congresso di Verona, 1943)

“La casa è una necessità per l’individuo e la sua famiglia. Pertanto deve essere di proprietà di chi la abita. Non vi è libertà alcuna per l’uomo che vive in una casa appartenente ad un altro sia che paghi o no il canone. I tentativi operati dai governi allo scopo di risolvere il problema dell’alloggio non costituiscono una soluzione del problema perché non mirano ad una soluzione radicale e definitiva, in quanto non tengono conto della necessità primordiale dell’uomo di possedere un alloggio proprio. Al contrario detti tentativi si limitano a trattare semplicemente sull’entità del canone al fine di diminuirlo, aumentarlo o comunque ristrutturarlo sia che il rapporto di locazione si intrattenga con un privato sia che si intrattenga con un ente pubblico. Nella comunità socialista non è ammesso che i bisogni dell’uomo siano alla mercé di alcuno, anche se questi sia la collettività stessa. Nessuno ha il diritto di costruire una casa in più della propria e di quella dei suoi eredi, allo scopo di cederla in locazione. Quella casa non è altro che un bisogno di un altro uomo, e costruirla allo scopo di cederla in affitto è un inizio di sopraffazione del bisogno altrui: significa conculcare un bisogno di quell’uomo stesso. Nel bisogno scompare la libertà” (Dal “Libro verde” di Muhammar Gheddafi)

Diritto di famiglia

Il matrimonio deve smetterla di essere considerato un business. Per ottenere ciò, le proprietà possedute prima del matrimonio resteranno separate, mentre saranno in comune solo quelle acquisite dopo. In caso di divorzio saranno divise solo queste ultime. Il concetto di mantenimento sarà indipendente dai rispettivi redditi e patrimoni: prevederà solo che debba essere sostenuto il reddito medio dell'ex coniuge affinché esso non scenda sotto una certa cifra, diciamo 1.500 euro, ma solo finché non determini analoga discesa anche dell'altro coniuge, allorché il flusso si fermerà al punto di venire a parificare i redditi dei due soggetti. Indipendentemente da ciò l'ex coniuge dovrà fornire a quello cui sono affidati i figli una cifra di 200 euro per figlio, fino a che ciò non comporti la discesa del suo reddito sotto gli 800 euro al mese a meno che quello dell'affidatario sia inferiore alla stessa cifra, allorché quella dell'altro potrà essere fatta scendere anche sotto gli 800 per fornire quelle per il mantenimento per i figli.

Commercio internazionale

Ci sono due leggi importanti che riguardano la società: la legge della divisione del lavoro, e la legge associativa di Ricardo. La legge della divisione della conoscenza o dell'informazione, consiste nella specializzazione dove si ha vantaggio comparato. Essa è valida a livello nazionale e si applica anche nel commercio internazionale. E' curioso come gli economisti del passato avessero intuito questa legge prima a livello nazionale che individuale. Ad esempio gli inglesi fabbricavano macchinari, gli spagnoli producevano arance, e gli svizzeri se ne rimanevano chiusi in casa a costruire i loro precisissimi orologi. Lo scambio internazionale permetteva ai tre paesi di specializzarsi nelle linee produttive dove si dimostravano più efficienti e con ciò tutti ne traevano un notevole beneficio. In parole povere, la Groenlandia ha un vantaggio nella produzione di ghiaccio se comparata al Congo. Che succede però se un paese è più efficiente di un altro in ogni linea produttiva? La conclusione di Ricardo è che si ha sempre interesse nel commerciare con i paesi meno efficienti! Il paese più avanzato si specializza nella linea dove ha il vantaggio relativo comparato maggiore. Esistono infatti diverse intensità nei vantaggi comparati, non tutti i vantaggi sono uguali. Se un chirurgo è anche bravissimo anestesista e infermiere, avrà sempre convenienza a soddisfare prima tutte le richieste del servizio chirurgico, assumendo per gli altri compiti dove l'intensità del vantaggio è inferiore, un anestesista e un infermiere, benché meno bravi di lui. Cosa implica questa legge? Implica che anche i meno dotati, i meno istruiti, i meno capaci, i meno validi, hanno un ruolo importante nella società, e che partecipando al processo globalizzato di cooperazione e scambio volontario finiscono come tutti gli altri a trarne beneficio. Essendoci una divisione verticale e orizzontale per cui c'è sempre convenienza a scambiare il prodotto della propria conoscenza specializzata.
Quando c’è ricchezza in avanzo è necessario al sistema economico nazionale esportarla: limita l’aumento tendenziale dei tassi d’interesse, pareggia la bilancia dei pagamenti, mantiene stabile il valore della moneta. Proibirla o limitarla (anche indirettamente, applicando tassi di cambio fissi) significherebbe squilibrare tutti questi parametri e forzare il risparmio, con conseguenze fortemente negative su tutto il sistema economico. Difatti solitamente, quando la ricchezza non viene esportata, significa semplicemente che non c’è un avanzo nella bilancia dei pagamenti. Tanto maggiore è questa esportazione e tanto meno necessaria diviene proporzionalmente nel mantenere il conto finanziario e i tassi di interesse in equilibrio, e la destinazione sarà sempre ripartita anche sulla percezione della sicurezza dell’investimento in un dato paese, ripercotendosi sui suoi stessi tassi d’interesse. Per questo motivo vi è a volte una notevole differenza (“spread”) tra tassi di diversi paesi. Quindi un limite ai traffici finanziari si impone già automaticamente da sé sull’equilibrio tra saldo del conto corrente della bilancia dei pagamenti e saldo del conto finanziario, compensati dalle variazioni dei tassi di cambio tra unità monetarie, senza bisogno di interventi dirigisti. Questa è, dopotutto, la base di economia politica del cosiddetto “neocolonialismo” e della globalizzazione. Se tutto il mercato fosse “equo e solidale” quale sarebbe il risultato finale ottenuto? Sarebbe semplicemente IL MERCATO ATTUALE.

"Oggi il principale ostacolo alla scomparsa della fame nel mondo sono le filosofie no-global" (dal documentario "la globalizzazione fa bene?" di Current tv)

Quando un paese invia beni ad un altro, e questo non ha altro per contraccambiare se non la forza-lavoro, si ha un flusso migratorio dal paese debitore al paese creditore. Questa è una legge economica invariabile per riportare al pareggio le rispettive bilance commerciali. Limitarla equivale ad imporre un dazio. Il problema odierno dei paesi meta di immigrazione quindi non può essere il come limitarla, ma il come organizzarla. Solo un organizzazione efficiente della stessa può limitarla, dato che più efficiente è per unità ciascun immigrato nel paese ospitante e meno necessità economica di flusso migratorio ci sarà tra i due paesi. Quello che si auspica è una armonica integrazione delle economie che consenta ad ogni popolo l’accesso a tutti i beni di cui necessita. Delle implicazioni etiche non è nostro compito preoccuparci, ma finché ci saranno paesi "keynesiani" con cui dover commerciare, anche uno Stato non keynesiano non potrà esimersi dal prenderne atto. Abolire i dazi non implica essere samaritani. Un mondo nel quale il buono è quello che permette o perfino auspica che vi siano senzatetto (tra cui gli immigrati) senza però fare alcunché per sostenerli ma lasciandoli allo sbando a doversi arrangiare da soli salvo poi lamentarsi se in seguito a questo doversi arrangiare poi essi effettivamente lo facciano (lamentarsi poiché dato che inevitabilmente questo doversi arrangiare si esplica in comportamenti illegali, non essendogli lasciate aperte alternative), mentre i cattivi sono quelli che, a fronte del fatto che i buoni impediscono che sia dato un sostegno decente agli sbandati, in alternativa ne auspicano o il divieto di ingresso nel paese o quantomeno un concentramento in strutture di permanenza (nel senso vero del termine, non quelle semi-prigioni temporanee definite così oggi), ecco dato che in una società così capovolta a noi discutere tra queste due sfumature di colore della merda non ci andiamo ad intromettere, non è nostro interesse, poiché il far passare per cattive le persone buone e viceversa è una cosa semplicemente indecente che noi non vogliamo assecondare "dando il destro" a quelli che ne sono fautori.

"Quei confini preclusi a uomini e merci, saranno prima o poi valicati da eserciti" (Ludwig Von Mises)

Per quanto riguarda invece le propensioni autonome causate dalla percezione della sicurezza degli investimenti a seconda della stabilità economica e politica di un dato paese, esse sono eticamente equiparabili alla “direzione” politica come intervento artificiale, e la “fuga di capitali” indipendente dagli automatismi di mercato è deleteria solo quando (come in questo caso) artificialmente indotta, e quindi fattore di “drogaggio” del sistema finanziario, con compensazione sfociante nel rialzo dei tassi di interesse (e tutte le variazioni conseguenti sugli altri parametri) indotta non da fattori reali. Per questo motivo (e solo per questo!) si ritiene necessario imporre un imposta fissa diversa tra import ed export. Una eventuale “fuga” di beni all’estero sarebbe indotta solo da motivazioni psicologiche, non utilitaristiche. Cioè non legate ad una razionale valutazione del costo di opportunità, ma da mera emotività. In un contesto nel quale i prezzi interni sono più bassi, gli investitori prediligeranno utilizzare capitali per il proprio investimento diretto anziché per altri magari concorrenti esteri. Difatti si tenga presente una cosa: l’automatismo prima spiegato riguardo le leggi economiche che regolano implicitamente le bilance commerciali trovano un risvolto “imprevisto” nel ritorno indiretto dei capitali di “esportazione psicologica” in un circolo vizioso. Il deflusso di capitali alza i tassi di interesse interni, i tassi alti riportano spontaneamente indietro i medesimi capitali, facendo riabbassare i tassi ovvero riequilibrandoli. Di conseguenza le famigerate esportazioni indiscriminate di capitali all’estero rappresentano sempre solo fino ad un certo limitatissimo punto un deflusso artificiale di ricchezza dal paese, e la conferma è che storicamente sono state indirizzate soprattutto non a banche straniere, ma a banche “off shore” facenti capo a finanzieri italiani, i cui fondi esportati in un modo o nell’altro ritornavano in Italia. E’ per questo motivo che nel 1973 Andreotti definì Sindona “salvatore della lira” nonostante i suoi maneggi potessero apparire a prima vista deleteri. Una eventuale fuga di capitali all’estero diverrebbe totalmente inutile all’esportatore italiano, giacché le banche italiane avrebbero la più ampia libertà di manovra sui movimenti valutari (perfino maggiore di oggi!), ragion per cui i tassi di interesse e parametri collegati saranno lasciati alla completa mercé della libera concorrenza sui mercati finanziari, rendendo del tutto inutile l’esportazione valutaria indiscriminata, la quale fin’ora è dovuta unicamente a quelle dirigistiche legislazioni finanziarie e fiscali che i distributisti intendono abolire. Considerando le nuove norme statali (o meglio, l'abolizione ovvero assenza di norme), le banche lavorando con questa libertà (e quindi sicurezza) saranno certamente incentivate ad una maggior accondiscendenza verso i loro clienti. Il mantenimento in Italia dei capitali è nell’interesse primario delle banche italiane più che dello Stato, quindi è ad esse che dovrebbe spettare la responsabilità di evitare le esportazioni indiscriminate, calibrando i tassi di interesse in tal senso; non con leggi statali! Anche l’abolizione delle norme sul segreto bancario ed anti-riciclaggio (inutili dato il complessivo sistema) elimineranno questo scopo di esportazione. Sia chiaro che tale allentamento è determinato puramente dall’introduzione di quelle altre norme che in buona sostanza già di per sé eliminano alla radice la necessità di “riciclare” i soldi e “nasconderli”. Come si può capire, verrebbe a mancare fondamentalmente la sussistenza di uno scopo di esportazione indiscriminata di capitali. In definitiva nel mercato mobiliare italiano resterebbero tutti i fondi di cui esso abbisogna ovvero esso domanda (se ci fosse un surplus i tassi di interesse crollerebbero) nè più nè meno (ma dopotutto avverrebbe così in ogni caso, per la mano invisibile). Detto in parole povere, come risultato si avrebbe che un determinato capitale renderebbe in Italia tanto quanto renderebbe nel più appetibile dei paradisi fiscali, e sarebbe altrettanto (se non di più!) sicuro, al punto che casomai sarebbe l'Italia a diventare un paradiso fiscale per gli investitori esteri!

"I paradisi fiscali sono generati dagli inferni fiscali" (Carlo Lottieri)

I dazi su import-export aboliti e sostituiti da imposte fisse, cioè ogni azienda (sia che sia una dedicata per propria ragione sociale a tale attività sia che sia una che commercia direttamente) pagherà un tot per le licenze di importazione (più bassa) ed esportazione (più alta); i motivi della disparità tra le due si basano sulla valutazione che con questo sistema complessivo, i prodotti italiani avrebbero all'estero un prezzo inferiore rispetto ad oggi, poiché essendo la maggior parte del peso fiscale messa sul commercio, nei mercati esteri verrebbe a mancare tale pressione determinando un prezzo inferiore, e il relativo aumento di produzione interna rivaluta la moneta e quindi la apprezza all’estero, favorendo con ciò l’esportazione di beni (minore è il costo di una moneta, maggiore è la sua domanda e diffusione, “legge di Gresham”) e limitando l’importazione di beni, con tendenza all’acquisto di moneta estera ed alla vendita di quella interna, quindi acquistando piuttosto che vendendo attività finanziarie, causa ed effetto della caduta tendenziale dei tassi di interesse con conseguente tendenza al mantenimento in equilibrio della bilancia dei pagamenti. Questo perché i dazi causano forzatura del risparmio a causa dello spostamento verso il basso della “funzione di consumo aggregato” con ripercussione negativa sul “PIL di equilibrio reddito / spesa”, e quindi diminuzione della “spesa aggregata programmata” ed accumulo di scorte, che per “aggiustamento” provoca recessione. Tutto a causa dei dazi doganali, un “costo aggiuntivo” imposto fittiziamente alle merci con relativa "perdita secca". Commercio internazionale e bilancia commerciale tendono ad equilibrarsi come nella teoria dei vasi comunicanti; i dazi bloccano l'afflusso da un vaso all'altro. L'imposizione fissa rimedia ai risvolti difettosi mantenendo comunque gli stessi effetti desiderati dai dazi.

“La completa libertà di mercato non è politicamente fattibile. Perché? Perché è solo nell’interesse generale e non nell’interesse di qualcuno particolare. I benefici di un dazio sono visibili. I sindacati possono vedere che sono “protetti”. Il danno che fa un dazio è invisibile. Si diffonde largamente. C’è gente che non ha lavoro per via dei dazi ma non lo sa” (Milton Friedman)

L’abolizione dei dazi sarà equilibrata anche dal fatto che essendo nel mercato interno i prodotti italiani meno costosi (perché meno gravata da imposte la loro produzione ed in particolare non più sul prodotto stesso) rispetto a quelli esteri, ovvero i prodotti esteri avranno di per sé un maggior costo nel mercato interno, essendo esenti dal carico indotto al dettaglio del mercato interno dal maggior peso fiscale sul commercio rispetto alla produzione e dall'effetto reddito indotto dal reddito di cittadinanza, ma nelle esportazioni non vi sarà alcuna variazione della quantità e del valore rispetto ad oggi per via delle imposte sulle licenze di import-export, perciò l’azienda esportatrice sarà essa stessa indotta a riequilibrare i prezzi per il mercato estero apponendovi un ricarico sul quale ne avrà un profitto, ma compensato (cioè annullato) appunto dall’imposta fissa sull’autorizzazione all’export, la quale sarà calibrata su questo parametro. Ciò sostituirà quindi il carico oggi aggiunto dai dazi, ma in maniera efficiente ovvero non rappresentando più una barriera artificiale al libero commercio internazionale, mentre nelle importazioni a riequilibrare interverrà il fatto che tutto il meccanismo porterà ad un apprezzamento medio della moneta nazionale. Perciò dato che ceteris paribus le variazioni di valore (tasso di cambio) internazionale sono effetti della variazione della produzione, e non cause, ne consegue che l’equilibrio import / export rimarrebbe invariato rispetto ad oggi ceteris paribus, seppur condizionato da altri fattori, in quanto nonostante ciò che si potrebbe pensare i vari fattori variati verrebbero a riequilibrarsi a parità di produzione comparata su altrettanti fattori. Come oggi, solo la diminuzione di produzione (cioè di PIL) comporterà un apprezzamento della moneta rispetto al valore di partenza favorendo l’importazione e limitando l’esportazione, e facendo aumentare i tassi di interesse con cessione di attività finanziarie. In definitiva in regime di cambi flessibili la bilancia dei pagamenti sarà sempre in pareggio e non si scaricherà su altri fattori interni. Pur sempre tenendo conto dei costi di trasporto, che oggi vengono già di per sé a rappresentare un peso sui beni. In virtù di ciò la provincia di Trieste potrà essere finalmente decretata “zona franca”, mentre sarà possibile abolire l’ormai inutile zona franca di Livigno; tanto non farebbe differenza. Da ciò ne deriverebbe anche una semplificazione delle attività doganali (limitata solo alla verifica delle licenze ed alle merci illegali tipo la droga, non più sulle quantità di ogni merce) con l'abolizione del concetto stesso di bolla di accompagnamento.

Politica bancaria

Il regolamento bancario verrà impostato per rimediare alle distorsioni evidenziate da De Soto (ma non le sue soluzioni, anzi l'esatto opposto). Solo le banche potranno raccogliere risparmio. Le agenzie di gestione finanziaria potranno solo gestire il risparmio come intermediari. Gli attuali sistemi finanziari (azioni, obbligazioni, fondi comuni, derivati, opzioni, cambi, ecc) non subiranno modifiche, ma i diversi tipi di imposizione incentiveranno una standardizzazione delle agenzie che svolgono l'intermediazione tra investitore e mercato (società di leasing, società di factoring, società di credito al consumo, società di credito immobiliare, società di intermediazione mobiliare, gestione di fondi comuni, ecc), sul modello delle banche. Uno degli incentivi sarà rappresentato dal fatto che alle banche essendo riservato solo il compito di "banca unica" ovvero deposito-prestito sarà proibita l'intermediazione finanziaria (ovvero non ne avranno la licenza), le due attività saranno separate in due precise categorie produttive, essendo due attività in concorrenza e quindi un azienda che li svolga entrambi non potrebbe non trovarsi questo conflitto di interesse, come se due linee ferroviarie esattamente parallele fossero di proprietà di uno stesso soggetto, inficiandone così il senso stesso o determinando un prezzo maggiorato del prodotto secondario. Alle banche sarà proibito l'investimento diretto azionario (ovviamente non quello obbligazionario che è il fondamento stesso dell'attività bancaria, la sua raison d'etre), e quello immobiliare sarà disincentivato (in pratica eliminato) dalle nuove imposte sugli immobili (e lo stesso vale per le compagnie assicurative) e la concentrazione immobiliare sostituita dalla terza moneta (si veda il capitolo sul debito pubblico) come forma di accumulo di capitali. Ovviamente il tutto diventa una formalità nel momento in cui una holding che può possedere le azioni della banca può possedere anche qualunque altra azione (per cui non vi sarebbe alcun vantaggio nel violarla o nell'aggirarla in altro modo se non in questo), ma serve a separare le responsabilità nel garantire i risparmi dei correntisti (se fallisce la holding non fallisce la banca). Lo stesso vale per la separazione delle funzioni diverse cioè l'attività creditizia dalla gestione finanziaria del risparmio: benché separate societariamente, possono essere possedute entrambe dalla medesima holding. L'imposizione verrà impostata in modo da determinare un costo del denaro molto basso, quindi minor costo e conseguente incentivo per gli investimenti privati, per cui la soglia tra risparmio mobiliare e immobiliare tenderà a scendere in favore di quest'ultimo (eccetto che per gli immobili abitativi per via delle imposte patrimoniali), con aumento della capitalizzazione dei piccoli risparmiatori e diminuzione dell'attività bancaria. Tassi bassi vuol dire minor costo per ricevere un prestito e conseguente maggiore possibilità di investimenti. Se il costo del denaro è basso, tutti si mettono a comprare proprietà immobiliari e il loro valore sale. Così come per le compagnie assicurative, anche le banche dovrebbero assicurarsi in maniera incrociata contro il rischio di fallimento, per cui la banca fallita verrebbe incorporata (con tutte le relative obbligazioni) a quella alla quale era assicurata. Tale organizzazione permetterebbe di abolire la riserva frazionaria. Con l'abolizione della riserva minima resa possibile dalla liberalizzazione del credito interbancario e da quello statale alle banche non esisterà più il concetto di razionamento del credito e nemmeno vincoli di portafoglio. Si tenga conto che grazie all’applicazione di questi sistemi l’inflazione cesserà di esistere, eliminando anche l’“effetto di Fischer” sui tassi di interesse: quando l’inflazione aumenta, i tassi di interesse nominali devono aumentare nella stessa misura (nel lungo periodo la moneta non influenza il tasso di interesse reale; essa influenza solo i prezzi: “neutralità della moneta”). Quindi una cifra depositata in banca anche dopo anni avrà lo stesso valore reale che aveva al momento del deposito. Questo renderà convenienti i conti correnti ma permettendo alle banche di offrire ai correntisti interessi nominali più bassi rispetto ad oggi, e di conseguenza di chiedere interessi più bassi ai debitori. Gli interessi reali rimarrebbero teoricamente invariati, ma la percezione psicologica ne sarebbe variata dalla stabilità valutaria, con diminuzione degli spread.

“Lo speculatore condensa l’attività dell’imprenditore: anticipare i gusti, le necessità, i bisogni dei consumatori” (Jesús Huerta De Soto)

A livello aggregato l'attività bancaria non comporta la creazione di moneta, poiché chi riceve il prestito, con il circolante così ottenuto dà origine a nuovi depositi (indirettamente attraverso colui al quale li da in pagamento) con i quali le banche erogano nuovi prestiti (mera intermediazione quindi, autocompensazione tra attivi e passivi detta bancogiro o giroconto, la banca paga interesse passivo e riscuote interesse attivo). Il volume complessivo dei depositi generati è calcolabile per mezzo del moltiplicatore dei depositi. Per queste funzioni la banca è il principale canale di trasmissione degli impulsi della politica economica al sistema economico. Le banche quindi nella loro funzione non avrebbero un vero grande capitale proprio, a parte quello umano (e difatti fino a qualche anno fa era loro proibito possedere partecipazioni mobiliari), ragion per cui la loro nazionalizzazione è sempre stata facilmente realizzabile e praticata spessissimo dagli stati ogni qual volta si sentisse la necessità di nazionalizzare qualcosa, il capro espiatorio erano sempre le banche per prime; e motivo per cui oggi, pur potendo possedere qualunque tipo di partecipazione, tendono a continuare ad accumulare beni immobili a gogo, prassi iniziata poco prima che venisse liberalizzato il settore (1993). In conseguenza di ciò costantemente una certa percentuale di PIL va alle banche come corresponsione di interesse. Ma non è una ricchezza dilapidata. E’ ricchezza che circola. Non vi è un profitto superiore per le banche dato che anch’esse sono sottoposte alle leggi del mercato. Il luogo comune che le banche paradossalmente prestino soldi solo a chi li ha già non è dovuto a sadismo e incongruenza dei direttori di banca come spesso si tende a credere. E’ dovuto al fatto che a tutt’oggi chi dovrebbe garantire la solvibilità dei debiti, lo Stato, non lo fa. Di conseguenza, dato che come abbiamo già visto le persone tendono a credere che tutti siano come loro stessi, i direttori di banca non riescono ad avere fiducia nelle persone che gli si presentano davanti, non avendola (conseguentemente) nemmeno in loro stessi (dato il loro calibro...). Dopotutto se fossero diversi non avrebbero mai potuto accedere a livello di direttore di banca, detto senza offesa.

“James Harmon, capo della commissione presidenziale sul crimine organizzato, e Giovanni Falcone, il principale magistrato antimafia italiano, hanno entrambi ammesso con me che né loro né i loro assistenti sapevano niente di opzioni valutarie, commerciali, ecc. Mi dissero anche che non avevano idea di come funziona il sistema monetario internazionale! E’ ridicolo! Come bambini sperduti nel bosco! La mafia non potrebbe sperare di meglio” (Michele Sindona)

Quelli che criticano i salvataggi delle banche, che evidentemente non capiscono neanche cosa è una banca, quale ruolo hanno gli INTERMEDIARI (perché tale è una banca) finanziari nel far funzionare un economia. Le funzioni sociali producono gli organi adatti per risolverle, il battersi con estremismo primitivo contro questi organi significa far precipitare il livello civile di una società. Come dice Emile Durkheim, i ponti sono fatti di fondamenta, piloni, e sovrastruttura; se i piloni si stanno sbriciolando, è lecito o no restaurarli? O bisogna lasciarli crollare portandosi dietro la sovrastruttura (i soldi dei risparmiatori)? Certo che poi la questione verte sulla causa che li ha fatti sbriciolare, ma è su questa che bisogna agire eliminandola, non lasciando crollare tutto! Il problema è quello di individuare comportamenti ragionevoli, non quello di aumentare le regole; anzi, spesso sono proprio le regole a causare l'usura dei piloni. Questo perché ogni regola comporta il tentativo di aggirarla fraudolentemente. Scopo della giustizia finanziaria non deve essere istruire i magistrati sui cavilli esistenti possibili, ma eliminare alla radice la babele finanziaria che crea questi cavilli, in modo da impedire ai furbastri di poter poi anche prendersi gioco dei magistrati “ignoranti” di meccanismi che non solo non devono essere obbligati a imparare e comprendere, ma che non dovrebbero proprio poter esistere. E solo liberalizzando (ovvero abolendo i vari cavilli legali) è possibile farlo. E' spontaneo intuire che così scomparirebbe pure la necessità di ricorso all'usura.

“Noi abbiamo così tanti delinquenti perché abbiamo così tante leggi da infrangere” (Milton Friedman)

Considerato che il reddito di cittadinanza resterà l'unico reddito solo per chi rifiutasse il lavoro a regia quartierale (disoccupati volontari) che apporta ulteriori 200 euro, e che anche dall'utilizzo dei buoni quartierali resteranno attorno i 50 euro, esso potrà essere usato a garanzia di prestito bancario, ma solo fino alla cifra di 50 euro mensili (detraibili coattivamente in forma automatica dall'istituto bancario dalla scadenza del contratto), ragion per cui in un prestito basato solo su esso come garanzia l'istituto bancario considererà tale somma massima nella somma da prestare (in un arco di 10 anni 6.000 euro quindi, ad esempio). Al fine di promuovere la concessione di crediti per la casa, riducendo il rischio dei lender, e aumentare il capitale disponibile per l'edilizia abitativa, fungeranno gli istituti di intermediazione creditizia ipotecaria già esistenti (il cui scopo l'acquistare mutui dalle banche, non produrli) sul tipo di Fannie Mae e Freddie Mac, basate sulle commissioni derivate dalla conversione (cartolarizzazione) dei debiti e dei titoli garantiti da ipoteca (security) o no (subprime), in titoli negoziabili ("derivati") e nella loro rivendita sul mercato secondario; saranno sempre private ma essendo sottoposte a gara d'appalto e quindi, come tutte, la cifra potrebbe essere anche in negativo ovverosia chiedere soldi allo stato per portare avanti l'impresa qualora i portafogli ipotecari si dimostrino tendenzialmente improduttivi o fallimentari (insolvenza da parte dei mutuatari). Solo in questo modo saranno favoriti i mutui. Non cazzate dirigiste come il mutuo sociale. Se pensate che non sia giusto così, l'alternativa è quella attualmente vigente di accollare i costi dei mutui insolventi su chi i mutui li assolve (poiché i costi delle insolvenze ricadono sugli interessi di tutti per la tendenza ad aggregare i derivati security e subprime in pacchetti) con relativo conseguente ulteriore aumento delle insolvenze.

Dal reddito di cittadinanza potranno essere detratte automaticamente le multe dagli enti che le emettono, con cadenza rateale che nel caso di utilizzo dei buoni quartierali corrisponde al residuo rimanente dalla cifra (250 euro) per essi indispensabile, nel caso di non utilizzo 60 euro al mese o 90 qualora si usufruisca del lavoro a regia, eccetto verso chi solitamente non lo ritira (ai quali verrà inviato classico bollettino); le spese del sistema giudiziario verranno colmate con tale metodo (ragion per cui la sanzione economica prenderà piede come pena alternativa al carcere per i reati minori). Le somme non ritirate rappresentano l'utile delle agenzie che lo distribuiscono, che non vengono perciò "restituite" all'erario. La concessione delle licenze alle agenzie di distribuzione è per appalto comunale (quindi nelle zone dove tali entrate sono minori l'agenzia chiederà soldi al comune, mentre dove sono maggiori li darà al comune).

Politica monetaria

Nella polemica sull'euro non vorrei neanche entrarci, non è un argomento di mio interesse specifico, come ho già detto, discutere su euro o lira quando i problemi sono ben altri è come discutere sulle sfumature del colore della merda. Tuttavia dato che la questione si sta scaldando sempre di più, è opportuno indicare anche le posizioni distributiste sulla politica monetaria. "Una nostra uscita unilaterale dall’euro, non è più un’ipotesi remota, ma una possibilità che va discussa con serietà. Eppure nella maggior parte dei giornali non se ne parla, o almeno non se ne parla in modo serio" dice il Professor Luigi Zingales. "un dibattito serio" ha detto. Il dibattito serio c'è già da anni e sono proprio quelli come lui ad averlo volutamente ignorato e demonizzato. Ora si svegliano, sti cialtroni. Uscire dall'euro ora sarebbe inutile, è già troppo tardi. Noi, la stalla, la chiudiamo sempre dopo che i buoi sono usciti. E sono usciti nel momento stesso in cui nell'euro ci siamo entrati. Il dibattito serio si sarebbe dovuto farlo PRIMA di entrarci. Ma prima non c'è stato alcun dibattito, parevano tutti ipnotizzati da quelle monetine luccicanti e gli unici ad essere contrari all'entrata erano i partitini di estrema destra. Nel tempo dell'euro l'Italia si è impoverita sia in assoluto, sia relativamente agli altri Paesi europei. Molti sempliciotti attribuiscono tutto ciò proprio all'euro in sè. Questo equivale a chi, vedendo una persona ingrassare a dismisura, e notando che ella non fa colazione, ne ricavasse la lezione che non mangiare la mattina preserva la linea. Dal 2002 ad oggi l'Italia ha assistito al più grande trasferimento di ricchezza dal settore privato a quello pubblico. La spesa pubblica nel 2002 era di 567 miliardi, oggi di circa 850, a fronte di un PIL addirittura calato. Se negli anni '80 per non aumentare le tasse è stata creata una voragine di debito pubblico, negli ultimi tempi l'aumento della tassazione ha coinciso anche con un indebitamento al ritmo medio di 10 miliardi al mese (più 340 miliardi da quando hanno cacciato Berlusconi per mettere in sicurezza i conti pubblici). Quindi, per tornare al parallelo precedente, è vero che la persona in questione non faceva colazione, ma mangiava a quattro palmenti giorno e notte. In breve, il problema dell'euro è proprio che si tratta di una moneta abbastanza virtuosa, anzi troppo: una classe politica appena non criminale l'avrebbe usato per abbassare debito e tasse, i nostri hanno cercato solo di sopravvivere fino al termine della loro legislatura (a relativa mega-pensione ottenuta) dandosi a una spesa selvaggia come se non ci fosse un domani. Sull'uscita dall'euro Giovanni Dosi scrive: "Non penso si debba fare, a meno che l’obiettivo ex ante non sia l’uscita dall’euro, altrimenti si rischia di fare la figura della Grecia. È teoria dei giochi elementare: non puoi minacciare di fare una cosa che non puoi fare". Gli risponde il solito Mario Seminerio, “Dunque: prima dice che uscire dall’euro 'non si può fare' e quindi minacciare il referendum di uscita è controproducente. Poi dice, in sostanza: o ci assistete e ci date i soldi necessari a permetterci di fare deficit e pagare il reddito di cittadinanza ed altre cosucce, oppure 'valutiamo l’uscita'” A Seminerio sfugge che una moneta unica ha bisogno anche di altri ammennicoli, tipo una unione politica, economica, fiscale e un welfare comune. Senza questi elementi non si minaccia il disfacimento dell'eurozona, l'eurozona si disfa da sé. Nicholas Kaldor aveva previsto nel 1971, quando ammoniva che "se la creazione di una unione monetaria e il controllo della Comunità sui bilanci nazionali esercitano una pressione tale da portare al crollo del sistema, avrà impedito una unione politica anziché favorirla". Riguardo agli investimenti privati il discorso è simile e i pochi che si sono fatti sono stati indirizzati all'export dato che anche a tassi bassissimi l'alta disoccupazione e una costante paura del futuro hanno praticamente messo in stallo i consumi (e senza consumi gli industriali non investono o quando lo fanno è solo per automatizzare la produzione riducendo ulteriormente la forza lavoro) e gli investimenti languono. Lo stesso problema che abbiamo già visto nel timore che la riduzione della spesa pubblico determini un deflusso di beni all'estero se fatta in assenza di un reddito di base (per cui se fin qui quel discorso non fosse stato molto chiaro, questo ne è il senso). Il problema illustrato dai partiti di destra fin da subito non è stato il tipo di moneta in sè (che è in ogni caso neutra), ma il fatto che nel precedente serpente monetario la nostra lira era sottovalutata e pure parecchio, e di conseguenza il cambio falsato da ragioni psicologiche è stato deleterio per l'economia italiana AL MOMENTO DEL CAMBIO, e dato che è già avvenuto, tornare alla lira ora non ci riporta indietro i beni materiali che nel corso dei primi anni a causa del cambio sballato sono defluiti nei paesi euro la cui valuta nazionale era invece sopravvalutata rispetto la nostra (in primis la Germania...). Suona perfino come una presa per il culo quelli che rispondono riguardo ad un cambio più conveniente (cioè sotto le 1.936 lire per 1 euro) che "quel cambio avrebbe distrutto il nostro export"... ma che discorsi sono???? Sapete quanti clienti avrebbe il mio fruttivendolo se dimezzasse i prezzi? Certo poi andrebbe fallito, ma il suo "export" andrebbe alla stelle fino a quel momento. Ma allora perchè per favorire l'export non regaliamo tutto gratis? Sai come spicca il volo l'export poi? Farebbero la fila per "comprare" da noi! Certo poi resteremmo coi magazzini vuoti senza nulla per noi, ma l'importante è esportare, non la più ampia possibile disponibilità di beni a cui aver accesso che solo per ottenere i quali in cambio produciamo e/o rinunciamo e quindi cediamo nostri prodotti, giusto? Ed obiettano "il cambio è stato quello di mercato al momento del freezing"... si ma il cambio di mercato è determinato da qualcosa, mica così dal nulla. In quel qualcosa è compresa la "percezione" del valore di quella moneta. Una percezione è un fattore psicologico, e può essere alterata da fattori socio-politici. Nel 1958 quanto avreste valutato una casa a Cuba?

"La moneta è una fattispecie giuridica e chi crea il valore della moneta non è chi la emette ma chi l'accetta" (Giacinto Auriti)

A causa dell'immagine deprimente che il nostro paese dava sulla sua affidabilità POLITICA, ci siamo ritrovati con in mano molti meno euro rispetto a quelli quali la lira effettivamente valeva come copertura di ricchezza nazionale disponibile. E di questo il colpevole non è ignoto ma è ben identificabile: l'assenza di una qualunque possibilità di una vera politica liberista! Per cui noi con meno euro in mano (ovvero gli altri con più euro in mano) abbiamo DOVUTO vendere (esportare) a prezzo basso e comprare (importare) a prezzo alto! Ovviamente visto che il prezzo in euro (che gli altri paesi avevano in abbondanza) dei nostri prodotti era basso ne sono defluiti dal paese che è un piacere, mentre per noi il prezzo in euro (avendone noi meno) dei prodotti altrui era alto, abbiamo ricevuto in cambio merci per un equivalente valore reale parecchio inferiore. I flussi monetari della bilancia commerciale saranno stati certo in saldo nel valore in denaro, ma non nei flussi reali. Bell'affare! Se andate in Giappone con 2.000 euro pensate sia la stessa cosa cambiarli 1:1 e 2:1 con lo yen? Nel secondo caso potrete comprare metà beni, mentre loro potranno ottenerne il doppio da noi. Secondo voi è lo stesso? Lamentarsene ora è come protestare con il comandante del Titanic per il ritardo accumulato dopo la collisione con l'iceberg.
Scrive Yanis Varoufakis:
«Io vorrei che non avessimo creato l’euro, vorrei che avessimo conservato le nostre monete nazionali. Ma c’è differenza tra dire che non avremmo dovuto creare l’euro e dire che ora dovremmo uscirne perché questo non ci riporterà a dove eravamo prima o a dove saremmo stati se non fossimo entrati. Uscire dall’euro significherebbe una nuova moneta, il che richiede quasi un anno da introdurre, per poi svalutarla. Ciò sarebbe lo stesso che se l’Argentina avesse annunciato una svalutazione con dodici mesi di anticipo. Sarebbe catastrofico, perché se si dà un simile preavviso agli investitori – o persino ai comuni cittadini – questi liquiderebbero tutto, si porterebbero via i soldi nel periodo che gli si è offerto in anticipo rispetto alla svalutazione, e nel paese non resterebbe nulla. Anche se potessimo tornare collettivamente alle nostre monete nazionali in tutta l’eurozona, Paesi come la Germania, vedrebbero salire alle stelle i loro rapporti di cambio. Ciò significherebbe che la Germania, che al momento ha una bassa disoccupazione ma un’elevata percentuale di lavoratori poveri, vedrebbe tali lavoratori poveri diventare disoccupati poveri. Mentre in luoghi come Italia, Portogallo e Spagna, e anche in Francia, ci sarebbe contemporaneamente una fortissima caduta dell’attività economica (a causa della crisi in Paesi come la Germania) e un forte aumento dell’inflazione (perché le nuove monete in quei Paesi dovrebbero svalutare in misura molto considerevole, provocando il decollo dei prezzi all’importazione di petrolio, energia e merci fondamentali). Tutte le economie a est del Reno e a nord delle Alpi finirebbero in depressione e il resto dell’Europa sprofonderebbe in una stagflazione economica. Potrebbe addirittura scoppiare una nuova guerra; magari non si tratterebbe di una guerra vera e propria, ma le nazioni si scaglierebbero l’una contro l’altra. In un modo o nell’altro, l’Europa farebbe ancora una volta affondare l’economia mondiale. La Cina sarebbe devastata da questo e la fiacca ripresa statunitense svanirebbe. Avremo condannato il mondo intero ad almeno una generazione perduta»
Secondo i sovranisti l'unico modo di uscire dalla "crisi" tecnicamente parlando è aumentare l'offerta di moneta (cioè la massa cartacea disponibile in circolazione), e sostengono che questo si possa dimostrare al di là di ogni dubbio. C'è però (tecnicamente) una triste notizia accaduta negli ultimi 15 anni circa e che nessuno sa, ma purtroppo è accaduta; l'inflazione è morta, pace all'anima sua. Questo perchè il tipo principale di inflazione consiste in una domanda aggregata di beni che supera l'offerta degli stessi beni e quindi fa salire i prezzi, il che non potrà più esistere perchè la capacità delle imprese di passare da una produzione "x" ad un'altra molto superiore è aumentata esponenzialmente, grazie alla maggiore tecnologia e alla velocità di approvvigionamento delle materie prime. Tuttavia non si può fare a meno di notare la giustezza delle parole di De Soto quando dice che, sotto un altro punto di vista l’entrata nell’euro è stata una benedizione. Le svalutazioni, a cui regolarmente ricorrevano alcuni paesi (tra cui l'Italia), servivano a nascondere gli effetti dei danni creati dai burocrati, la perdita di competizione dovuta a tutte quelle rigidità amministrative imposte internamente. Con la politica monetaria autonoma non c’era incentivo per affrontare i problemi alla radice. Non c’era disciplina che mettesse limite alla demagogia dei governanti. I cittadini hanno sempre vissuto in un nirvana pagando a intervalli di tempo un prezzo salato di cui spesso non si rendevano neanche conto. Adesso, con la moneta unica non è più così, è necessario affrontare la realtà e abbandonare l’illusione. Si è costretti a fare i dovuti sacrifici: riduzione della spesa, dei deficit, del debito. Per tornare su un sentiero di creazione di benessere è indispensabile un ritorno alla produttività, abbandonando le finte promesse demagogiche e insostenibili. L’euro in poche parole ha fatto emergere l’evidenza che i politici ci stavano ingannando e li sta costringendo ad affrontare le riforme necessarie. Il sistema della riserva frazionaria e l'abbandono dei conteggi in oro è stata ed è ancora una questione obbligatoria. Una banca nazionale e pubblica non potrebbe più contare sulla riserva frazionaria e creare moneta dal nulla perchè molto meno potente di tutte le altre banche del pianeta. La moneta dovrebbe avere un valore prossimo al valore reale, il che significherebbe meno ricchezza per tutti. Una quantità limitata di denaro divisa fra 70 milioni di individui ci farebbe regredire a paese da terzo mondo e non ci sarebbe possibile acquistare nessun bene di prima necessità. Utopisticamente è una visione giusta, ma praticamente inattuabile. Per cui uscire dall'euro ORA sarebbe come tener chiusa la porta della stalla quando i buoi sono tornati e vorrebbero rientrare: non si sarebbe dovuto farli uscire, ma essendo stato fatto, almeno non li si lasci chiusi fuori quando tornano! L'argomento principale di chi vorrebbe uscire dall'euro è la possibilità di svalutazione della ritornata lira per "fronteggiare i mercati con le nostre merci rese più appetibili con tale manovra". Non gli è mica bastato? Vogliono fare un altra ondata di regali alla Germania? Abbiamo già assodato come la moneta sia neutrale e non si possa cavare sangue da un muro. Svalutare la moneta è un provvedimento notoriamente populista, così come lo è il rialzare le tasse indirette (Iva ecc): sono sempre e solo i cittadini normali, i lavoratori e i pensionati, a pagare il danno che deriva dalla svalutazione di una moneta nazionale. Se questa strada è il credo degli odierni sovranisti allora non è nemmeno il caso di fare tanti discorsi, perché è una strada fasulla e irta di pericoli per il popolo italiano, non quello che ha investimenti immobiliari però, tanto per essere precisi. Ma dopotutto è un dibattito inutile, poichè se nessuno dei paesi aderenti all'euro ne è uscito, una ragione c'è: nessuno ne può uscire! Uscire dall'euro è impossibile, è una bufala dei beceri partiti sovranisti. La Merkel non ci manderà i carri armati per obbligarci a tenere la sua moneta di occupazione? No, certo, i carri armati no, ci metterebbero bombe nei treni e nelle banche e farebbero fuori i politici coinvolti. Così funziona la guerra nell'era della pace 70ennale. E la Gran Bretagna? La Brexit non è stata un'uscita dall'euro, perchè la Gran Bretagna aveva mantenuto la sterlina e la sua sovranità monetaria, e non aveva mai aderito all'euro. Quindi è inutile fare paragoni con una situazione del tutto diversa. Però noi non siamo inglesi, nè tantomeno tedeschi, ma siamo italiani, ed abbiamo l'intelligenza e la furbizia italiane. Quindi abbiamo una grande opportunità: risolvere con la nostra intelligenza e furbizia il dilemma della sovranità monetaria con la via italiana e la sua esperienza fascista, per mezzo della DOPPIA MONETA. Dobbiamo cioè elaborare il progetto politico economico organico della DOPPIA MONETA cercando di stare al limite dell'uscita dall'euro, ma senza uscirne, rimanendo nell'euro ma stampando anche le nostre Nuove Lire. Il Movimento Distributista Italiano non ha dubbi a questo riguardo. Per prima cosa bisogna restituire al denaro la sua funzione primigenia di strumento al servizio della prosperità della società, in modo che ritorni ad essere mezzo per facilitare gli scambi di beni e servizi e non veicolo di arricchimento indebito di un settore parassita della popolazione – il sistema bancario. Concretamente ciò vuol dire due cose molto semplici: ridare ai cittadini ed alle istituzioni pubbliche la proprietà della moneta al momento dell’emissione ed eliminare l’usura, cioè qualsiasi interesse sul prestito di denaro. Perfino Silvio Berlusconi e Luigi Zingales hanno avanzato l'idea di una doppia moneta. Cioè affiancare una nuova lira all'euro. Lo stato italiano si potrebbe riappropriare della sovranità monetaria introducendo le nuove lire da utilizzare per le transizioni interne. Una Nuova Lira Sovrana vera e propria, e non come gli IOU (I Owe You) che vennero proposti dall’allora ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis proprio all’apice della crisi del debito in Grecia nel 2015, e neanche come le Am Lire introdotte in Italia durante l'occupazione americana. Si pagherebbero in lire tutte le transizioni interne. L'euro resterebbe in vigore soltanto per il commercio con l'estero, prenderebbe cioè la forma di "bancor".

"Non c'è autorità monetaria senza una moneta leader" (Harry Dexter White)

A fronte di questa possibilità se ne escono immancabilmente gli azzeccagarbugli, come Nino Galloni, economista e vice presidente del Movimento Roosevelt (e ti pareva?) che vogliono si la doppia moneta nazionale, ma a cambio fisso con l'euro... scusate ma una moneta nazionale legata alla moneta comunitaria che senso avrebbe? La doppia moneta ha senso proprio in quanto svincolata da quella comunitaria, se le si impone un tasso di cambio fisso che senso ha? Sarebbe solo un euro bis chiamato con altro nome! E altri rispondono: "il problema nascerebbe nel momento in cui la quantità di lire in circolazione superi la riserva in euro; in tale situazione immagina se tutti corressero in banca a convertire le loro lire in euro, il sistema andrebbe in tilt non essendoci copertura"... e bella forza: appunto!!! E poi, riferendosi sempre all'ipotesi (se tale la si può definire...) a cambio fisso: "è ovvio che prima di adottare la doppia moneta ad esclusivo utilizzo interno, occorre controllare responsabilmente la spesa pubblica e l'inflazione"... ma se lo scopo della doppia moneta è proprio permettere di non dover più controllare rigidamente queste cose!? O quelli del "e se, anzichè stabilire un rapporto di cambio 1/1 con l'euro, si stabilisse un rapporto di cambio 1/1 con il dollaro, grazie ad un accordo bilaterale con Trump per garantire la copertura del cambio 1:1 lira dollaro?"... in tal caso sarebbe una doppia moneta, ma la prima non sarebbe più l'euro ma il dollaro... ovvero equivarrebbe ad uscire dall'euro nè più nè meno, ed entrare nel dollaro. Che senso ha? "Trump è talmente spregiudicato nella sua politica economica che, in cambio di adeguate garanzie, potrebbe accettare molto volentieri un tale tipo di accordo, che potrebbe essere un accordo pilota poi seguito anche da altri paesi europei ed extraeuropei"... certo che Trump sarebbe contento, se la lira fosse legata a cambio fisso al dollaro: così come con l'euro, anche legata al dollaro la lira fungerebbe pressochè da "moneta di occupazione". Che senso avrebbe per l'Italia? O per qualunque altro dei "paesi europei ed extraeuropei" (viene da chiedergli allora perchè quelli extraeuropei già non l'abbiano fatto...)? O quelli che la criticano aprioristicamente poichè "idea berlusconiana"... No l'idea della doppia moneta non è proprio per niente di Berlusconi, lui l'ha solo copiata dai monetaristi che da 100 anni la sostengono e dall'applicazione che da anni vige a Cuba, dove grazie alla doppia moneta il peso convertibile, nonostante la rovinosa economia di quel paese, è la quinta o sesta moneta mondiale per stabilità e la seconda dopo il dollaro nel continente americano. E ovviamente gli intransigenti che vogliono uscire dall'euro "senza se e senza ma" senza comprenderne le conseguenze, sostenendo che la doppia moneta non risolverebbe niente e sarebbe una superflua formalità. E' proprio il contrario, nel senso che è un inversione di causa ed effetto: una volta introdotta una moneta nazionale, uscire dall'euro diverrebbe superfluo e sarebbe solo una inutile formalità. Tanto varrebbe restarci allora! Il dibattito – se mai c’è stato – è degenerato in tifo da stadio, tra chi pensa che la moneta comune sia causa di tutti i mali e chi non prende neppure in considerazione l’ipotesi che l’Italia possa riprendersi la sovranità monetaria, come se noi italiani avessimo un’incapacità genetica ad autogovernarci (alla faccia di Piero Gobetti!). E' vero (come scrivono sulle pagine del «Corriere» Alesina e Giavazzi) che questo dibattito può essere controproducente, perché crea incertezza (e come detto il valore di una moneta si basa sulla fiducia in essa) e distrae l’attenzione da altri problemi (come la nostra incapacità di crescere). Ma quando una metà del Paese mette in dubbio la moneta unica, evitare un dibattito sul tema equivale a tradire la funzione che i giornali (e specialmente gli esperti sui giornali) dovrebbero svolgere. Purtroppo la categoria degli esperti economici non è molto popolare. Se le quotazioni dell'euro sono in ribasso è anche perché molti sedicenti esperti si sono avventurati in previsioni catastrofiche sulle conseguenze economiche della Brexit. Previsioni che si basavano più sulla passione politica dell’esperto che sulla sua expertise economica. Nel decidere se la permanenza nell’euro è preferibile al ritorno a una moneta nazionale bisogna considerare tre aspetti. Primo, se nel lungo periodo è preferibile per un Paese come l’Italia avere una moneta comune con il resto del (Nord) Europa o no. Secondo, quanto elevati (e duraturi) possano essere i vantaggi e gli svantaggi della svalutazione della nostra moneta nazionale che seguirebbe naturalmente dopo un’uscita dell’Italia dall’euro. Terzo, quanto elevati sarebbero i costi (economici e politici) di una nostra uscita unilaterale dall’euro. Accettando le conseguenze che 80 anni fa accettò Mussolini rendendo pubblica l'esistenza del petrolio in Libia. Il problema di una moneta non è la "sovranità", ma il suo valore. La "sovranità" è irrilevante, che cosa cambia se comunque a deciderne le politiche vi è un comune accordo (quindi non è una "moneta di occupazione")? Basta fare un esempio esposto da Davide Crociati:
stamattina sono stato dal panettiere per acquistare del pane. Ebbene, ha avuto il coraggio di chiedermi 3,40 Euro, ovvero lo 0,2% del mio reddito! Gli ho fatto notare che la settimana scorsa ne ho già acquistato e pagato, ma lui irremovibile insisteva nel chiedermi di saldare i 3,40 euro. Capite? Voleva affamare me e la mia famiglia negandomi del pane! Alla fine ho ceduto al suo diktat ed ho pagato, ma ho deciso di lasciare la città per andare in campagna, dove potrò farmi il pane da solo. Ovviamente dovrò lasciare il mio lavoro e rinunciare allo stipendio, ma non voglio rinunciare alla mia sovranità di farmi il pane senza sottostare ai diktat del mio panettiere.
Il capo economista della BCE, Peter Praer, difende l'euro e ricorda che prima della moneta unica i tassi di interesse erano a doppia cifra. Vero, risponde Marco Ertman, ma i tassi bassi all'entrata dell'euro erano figli di una colossale menzogna. L'ISTAT rilevava una inflazione del 3,4%. Andavi al supermercato o al ristorante e nell'arco di 2 mesi tra febbraio e aprile 2002 tutti i prezzi erano pressoché raddoppiati. A fronte di una inflazione reale del 70-80 % il dato ufficiale, che basandosi su un paniere che comprendeva anche i prezzi fissi (cioè benzina, tabacchi, pedaggi autostradali, biglietti dell'autobus, quotidiani, che sono rimasti invariati anche oltre), diceva 3,4%. Era una bugia che ci ha reso tutti poveri in tempo record, a causa di un cambio euro-lira falsato da percezioni psicologiche sul valore reale della lira che effettivamente era molto più alto di quanto venisse percepito e la dimostrazione è data proprio dalle conseguenze verificatesi sul potere d'acquisto dalle quali è stato calcolato che il cambio esatto sarebbe stato 1:1.523 (ovviamente, essendo stato dedotto sulla base delle conseguenze, non sarebbe stato possibile calcolarlo prima). Si ricordi come già detto che il valore di una moneta si basa sul paragone (quotazione) rispetto a tutte le altre monete nel mercato internazionale, che è dato unicamente dalla percezione psicologica sull'affidabilità di quella moneta, non sulla quantità effettiva di merci che è possibile ottenerne in cambio dai commercianti del paese del quale è la valuta. Per cui la lira italiana era sottostimata rispetto alle merci che essa permetteva di acquistare, e lo era a causa dell'instabilità politica dell'Italia. Questo ha determinato un cambio sfavorevole per l'Italia, che ha causato la caduta del potere d'acquisto di un euro sopravvalutato al cambio con la lira. L'export è decollato, si, ma l'"import" di equivalente valore è crollato! Abbiamo cioè REGALATO! Ed i risultati si sono visti: quando regali qualcosa, non hai più né quella cosa né niente in cambio. Diventi più povero. Il tasso ISTAT di inflazione indicizza i salari e confluisce negli interessi. Una delle funzioni dell'interesse è proprio quella di proteggere il capitale dall'aumento dei prezzi. Se investo 100 euro oggi con cui compro una giacca, se domani quella giacca costa 105 euro il tasso di interesse mi deve garantire almeno i 5 euro necessari a mantenere invariato il mio potere d'acquisto. Con una inflazione reale del 70-80% i tassi di interesse ed i salari sarebbero dovuti crescere di conseguenza. L'euro è fallito dal primo giorno e per coprire quel fallimento le fonti ufficiali hanno sbandierato una falsa inflazione al 3,4%. Dunque il ribasso dei tassi all'entrata dell'euro è stato figlio illegittimo di una immane bugia sull'inflazione. Ci ha reso poveri. Peter Praer può davvero rivendicarlo come successo? Come già detto, la moneta unica ha creato tra i paesi euro un rapporto talmente vincolante che chiunque andasse al governo non riuscirebbe a romperlo, e volerne uscire non potrebbe risolversi altro che in un aggressione atta ad impedirlo, sotto qualunque forma tale aggressione si presenti (ergo: anche una terza guerra mondiale). "Sono sicuro che tra 100 anni lo festeggeremo ancora" dice Juncker nel marzo del 2017... sono le stesse parole di Honecker durante il 40esimo anniversario della DDR, pochi mesi prima della caduta del muro di Berlino...
Non è un argomento che mi abbia mai interessato se non dal punto di vista dell'impostazione, ma ogni tanto leggo liberisti che tessono le lodi del bitcoin. Sono stupito perchè a rigor di logica mi aspetterei che a tessere le lodi del bitcoin siano i tipi di persone che dai liberisti vengono deprecati (grillini, complottisti, sovranisti, auritiani, ecc) e viceversa a deprecare i bitcoin fossero i liberisti, i miniarchisti, i tea party. Ed invece è il contrario... ma perché? Cioè, a me sembrerebbe implicito che la filosofia del bitcoin sia affiancabile al sovranismo ecc ed avversa a chiunque abbia studiato economia e quindi conosca le leggi economiche sulla moneta. Io non giudico il bitcoin in sè, secondo me sarebbe una cosa molto buona se implementato bene (il che richiederebbe, come minimo proprio, che fosse possibile scambiarseli tipo tramite facebook, senza possibilità di questo tipo io non ne comprendo proprio il senso dell'esistenza del bitcoin che in partenza stessa dovrebbe essere finalizzata a ciò come suo precipuo senso stesso...), ma non riesco proprio a capire come possano essere lodati da chi ci si aspetterebbe li deprecasse, e sono ignorati (a deprecarli non ho mai visto nessuno...) da chi ci si aspetterebbe ne fosse il fervente sostenitore... Ma quello che non mi torna è che le monete si basano sulla fiducia ovvero sul poterle scambiare in cambio di altri valori con altre persone, ma il bitcoin oltre al fatto che oggi non ha veri mezzi di utilizzo (se provi a chiedere a qualunque persona, non lo accetta neanche in regalo, anch'io non saprei che farmene, come li si può utilizzare oggi?), e secondo le leggi di mercato un valore non accettato dalle persone dovrebbe avere valore zero. Io sarei favorevolissimo al bitcoin, io stesso lo avevo pensato ancora prima che esistesse, ma la sua raison d'etre dovrebbe essere l'utilizzo per gli scambi tipo tramite internet, scambiato in altre valute nei money transfer, è senza queste caratteristiche (sulla base delle quali lo avevo pensato io autonomamente) che io non ne comprendo il senso stesso di esistenza. E inoltre, se la sua indipendenza viene vista in modo positivo (e così potrebbe essere, certamente), io non comprendo come ai liberisti esperti di economia non possa "puzzare" la quotazione storica stessa. Oltre al senso poi, il bitcoin, il suo senso stesso, dovrebbe essere per scambi di lieve valore, sull'ordine dei centesimi (ad esempio per visualizzare una pagina a pagamento, dove perfino 1 centesimo di euro sarebbe molto), per cui il bitcoin dovrebbe avere valori sulle frazioni di centesimo di euro, che senso ha un bitcoin che vale 600 euro???? Senza dover usare sottomultipli, a questo punto avrebbe più senso alleggerirlo, no? Dò per scontato che esistano già sottomultipli, ovviamente. Questo per introdurre che nessuna unione monetaria può funzionare senza una vera federazione che comporta un governo centrale e un unico debito nazionale. L’unione monetaria del dollaro, l’unica ad essere sopravvissuta dopo due secoli, è nata con un governo unico, con un unico debito consolidando quello degli stati federati, istituendo un dipartimento del Tesoro e una banca nazionale. Solo il debito nazionale o debito federale emesso da un unico Tesoro, con un unico tasso di interesse qualifica dal punto di vista economico finanziario un’unione monetaria, non quello emesso dai singoli stati confederati emessi con tassi di interesse diversi in funzione del rischio.

Le due monete, visti i differenti target, sarebbero differenziate per tagli: Il reddito di cittadinanza sarebbe calcolato e distribuito in moneta forte nei pezzi da 100 e 50, i restanti nell'equivalente valore in quella debole; in ogni agenzia vi sarà la macchinetta per cambiarli subito nei tagli prescelti in moneta debole che per la legge domanda/offerta sui cambi monetari forniranno in potere d'acquisto reale un pò di più del valore effettivo della moneta forte cambiata. Nel momento in cui il rapporto di cambio del più piccolo pezzo debole in corso scende sotto i 5 cent forti, praticamente il suo valore risulterebbe azzerato (non esistendo unità forti con cui cambiarlo alla pari o con perdita), per cui sarebbe messo spontaneamente fuori corso; sceso sotto tale valore continuerebbe ad essere cambiato in 5 cent forti solo negli istituti appositi per un periodo limitato e quindi a continuare a poter circolare con tale valore fisso (5 cent) fino alla sospensione del cambio.
Alcuni autori propongono di affiancare all'imposizione fissa (che in tal caso sarebbe molto bassa, limitatamente allo scopo planistico) la fiscalità monetaria, ovvero ad un decremento del valore del mezzo fisico monetario (secondo la legge della "neutralità della moneta" e i dettami cartalisti di Warren Mosler), che come l'iva colpisce il trasferimento di ricchezza ma mediante "svilimento" del mezzo monetario, per alcuni da attuarsi in modo diretto sul mezzo (inflazione inversa ovvero a tasso di interesse negativo, operazione nota come "demurrage" - emissione di moneta di ghiaccio, poco praticabile per ragioni logistiche), per altri dalla contemporanea esistenza di due diverse unità monetarie delle quali una forte e stabile (convertibile) e l'altra debole e sottoposta ad inflazione costante e programmata, per cui secondo la legge "moneta cattiva scaccia moneta buona" (legge di Gresham) quella "debole" (sottoposta a decremento temporale del suo valore cioè inflazione) verrebbe usata normalmente mentre quella "forte" (il cui valore rimane stabile nel tempo ma più costosa al cambio) solo in determinati casi (pur restando i prezzi ed i conti bancari basati su quella forte e quindi stabili mantenendo il loro valore invariato), venendo in tal modo tramite l'emissione costante di moneta (signoraggio) a sostituire in parte le entrate fiscali imposte. In pratica mentre la moneta forte seguirebbe criteri di emissione fondati sulla legge domanda-offerta che andrebbero a determinare automaticamente la sua quantità aggregata circolante (per cui il valore rimarrà stabile), ulteriori esemplari di quella debole verrebbero creati costantemente indipendentemente dalla domanda-offerta, ed utilizzati allo scopo di finanziare la spesa pubblica; secondo alcuni autori (i puristi del credito sociale) l'intero reddito di cittadinanza andrebbe creato in questo modo, lasciando alle imposte solo le restanti spese pubbliche. In un contesto di una vera unità europea, solo il reddito di cittadinanza e la distribuzione alle regioni sarebbero affidati agli erari delle comunità nazionali (gli odierni stati), mentre le restanti spese pubbliche (ribadiamo, limitate a polizia, giustizia, difesa, borse di studio, e poco altro) sarebbero di competenza dell'erario comunitario. Il reddito di cittadinanza viene fornito dall'erario della comunità nazionale di nascita anche qualora emigrati in altro territorio.
L'unica soluzione è il superamento dell'attuale impianto fiscale con la fiscalità monetaria, un prelievo percentuale sui valori monetari detenuti da ciascuno, con un solo click dal circuito bancario alle casse dello Stato, in questo modo chi ha di più paga di più chi non ha niente non paga niente. Con il superamento dell'attuale sistema di tassazione i prezzi dimezzano perché i produttori di beni e servizi non devono più scaricare sui prodotti/servizi il peso fiscale, significa raddoppio del potere d'acquisto, che il denaro vale il doppio. Con la fiscalità monetaria è possibile ripagare il debito pubblico e l'asticella percentuale di prelievo (diciamo intorno al 10% annuo) può variare in modo minimo in base alle esigenze di cassa senza che ciò sia percepito in maniera notevole dai cittadini. Non è perciò un imposta sui conti bancari come gli avversari cercano disonestamente di far credere. Anzi le imposte sugli investimenti liquidi, azionari, ed obbligazionari (tipo “Tobin tax”) sarebbero abolite, se non altro perché rese inutili dall'imposizione fissa sulle aziende. Paradossale è la famigerata accusa che viene fatta alla fiscalità monetaria di essere una teoria sostenuta da quelli che criticano il signoraggio: la fiscalità monetaria è addirittura un aumento di signoraggio dato che il valore creato non deve nemmeno essere "restituito"! Secondo quale logica a sostenerla dovrebbero essere quelli che vogliono eliminare il signoraggio???? Secondo alcuni tale metodo è definibile come trimonetaristico anziché bimonetaristico, poiché dovendo la moneta debole essere periodicamente appesantita (per non ritrovarsi banconote con decine di zeri), questa verrebbe a rappresentare una terza valuta circolante. E' probabile attendersi che la moneta forte sarebbe usata fisicamente soprattutto negli scambi internazionali (da cui la definizione di "convertibile"). L'emissione di nuova moneta "forte" sarebbe determinata solamente dalla sua domanda effettiva da parte del mercato, ovvero quando alla tesoreria arrivano dalla banca centrale (che sarà il consorzio di tutte le banche ovvero della corporazione risparmio e credito, mentre il poligrafico sarà un azienda privata) tagli grandi in cambio di piccoli (deflazione), i tagli grandi verrebbero reimmessi nel mercato con signoraggio, mentre quando arrivano tagli piccoli in cambio di grandi (inflazione), quelli piccoli vengono tolti dalla circolazione. Questo farà si che la massa monetaria circolante sarà sempre automaticamente quella ideale, ed essendo eliminata assieme all’inflazione la necessità di stampaggio continuo di valori, la stampa di nuovi esemplari sarebbe unicamente legata all’aumento del PIL, secondo la “teoria quantitativa della moneta”. Quindi i guadagni del poligrafico (privatizzato o socializzato) sarebbero intimamente legati proprio e solamente all’aumento della produzione aggregata, che si presume essere pressoché costante in una situazione normale di progresso. In pratica la realizzazione artificiale dell’equilibrio perfetto del keynesiano “Modello IS-LM”. Le eventuali variazioni dei prezzi sarebbero legate esclusivamente a tale legge economica ed alla variazione marginale spontanea del valore di ciascun bene e della produzione aggregata (“effetto reddito”), non più all’incremento costante ed aggregato dovuto al diminuire del valore della moneta (inflazione). Perciò non esisterà più un margine di politica monetaria discrezionale, essendo questa congelata sui valori stabiliti da questa regola di politica monetaria. Invece oggi modificando il tasso ufficiale di sconto, al quale la banca centrale risconta i crediti cambiari concessi dalle banche, o il tasso sulle anticipazioni (che si applica ai crediti alle banche diversi dal risconto), la banca centrale può incidere sul costo che le banche devono sostenere per procurarsi moneta e quindi sul tasso di interesse che esse praticheranno ai loro clienti. La banca centrale può influenzare i livelli di tasso di interesse anche attraverso le operazioni di mercato aperto, cioè acquistando e vendendo titoli: vendere titoli significa ritirare moneta dalla circolazione e quindi far salire i tassi di interesse, e viceversa (è il motivo per cui i bot aumentano i tassi di interesse). Ovviamente da tutto se ne può dedurre come non ci sarebbe più bisogno di far ricorso al debito pubblico, mentre attuando la fiscalità monetaria sarebbe perfino possibile ripianare quello esistente (per ovvie conseguenze che non credo sia necessario specificare, a differenza di quello che tentano di instillare i detrattori). Il disavanzo dei conti statali lasciato dalle imposte supplettive verrebbe colmato col decremento della moneta, facendo si che decremento e disavanzo corrispondano costantemente, col tasso fissato sul PIL diviso per la velocità di circolazione della moneta (in modo che la quantità circolante rimanga invariata a parità di PIL). Il conseguente surplus di moneta si annulla in quanto il mancato peso fiscale sugli scambi compensa la ipotetica e artificiale maggiorazione dei prezzi fino ad arrivare ad una stasi monetaria perpetua (variabile solo a causa di fluttuazioni del PIL ovvero del valore nominale della produzione). In tal senso è sempre stata prassi comune per gli stati finanziare parzialmente la spesa pubblica tramite creazione di moneta; tuttavia come abbiamo già visto ciò ha il difetto di avviare inflazione, per cui tale pratica è sempre stata deprecata e quindi utilizzata solo in casi estremi. Tuttavia alcuni economisti capirono che per eliminare il lato negativo del “monetarismo” bastava fare in modo che le monete coniate perdessero esse valore nel tempo, come una “moneta di ghiaccio”, che si scioglie lentamente in mano; in questo modo, grazie a questa svalutazione progressiva (“inflazione inversa”), i prezzi delle merci si sarebbero ovviamente mantenuti stabili, ceteris paribus. Anzi, adeguandone appositamente il decremento si sarebbe potuto venire perfino ad eliminare la normale inflazione! In tal modo sarebbe stato possibile addirittura eliminare del tutto il prelievo fiscale e sostituirlo completamente con l’emissione di “moneta di ghiaccio” date le entrate da signoraggio conseguenti. Le percentuali di inflazione equivalente sarebbero meramente teoriche, in quanto la moneta non circola solo in un ambiente ristretto e l’incremento eventuale potrebbe incidere sui prezzi solo di un livello del 5/10% (non come aumento costante ma statico!), dato che M1 in Italia è oggi poco più di 100 miliardi di euro, un raddoppio cambierebbe poco (quello che incide è M3, la moneta elettronica e la riserva frazionaria, che decuplica il circolante, oltre 1400 miliardi); si tenga però presente che a seguito delle modifiche fin qui esposte sul sistema finanziario, la M3 sarebbe ridimensionata a favore di M1, quindi l’incidenza esposta potrebbe arrivare al 20-25% (si consideri che oggi l’incisione fiscale arriva grossomodo al 50%), per cui nella realtà i prezzi nominali non subirebbero un aumento, ma bensì una diminuzione di misura pari alla diminuzione del complessivo livello di imposizione fiscale. E’ poco probabile che come mezzo di accumulo le banche acquisiscano moneta estera, perché, seppur meno costosa, essa subirebbe una svalutazione costante nei confronti della moneta della nazione in questione, non sottoposta ad inflazione. Conseguentemente, la moneta normale avrà un maggior valore sui mercati esteri (come è oggi per il Peso cubano convertibile). La moneta convertibile difatti viene mantenuta anche per evitare che venga usata al suo posto moneta straniera per gli scambi. Per lo stesso motivo, l’oro tendenzialmente cesserà di essere accumulato come investimento, e così anche gli immobili, e le valute estere che ovviamente perderebbero tendenzialmente valore col passare del tempo rispetto alla moneta della nazione che applichi questo sistema. Ma proprio per questo motivo nonostante il tasso nominale di interesse diminuito, gli stranieri che detengano un conto corrente in una banca di tale stato, al cambio con la loro moneta otterrebbero probabilmente la stessa cifra netta, in pratica equivalente ai maggiori interessi odierni. L’opposto, per conti dei cittadini dello stato in questione in banche estere. Per cui non sarebbe nemmeno necessario uscire dall'euro, basterebbe affiancargli una seconda moneta ognuna limitata alle singole nazioni facenti parte dell'Unione Europea.
La sua teorizzazione si deve in maggior parte all’anarchico Silvio Gesell, i cui studi furono ripresi e sviluppati dal poeta Ezra Pound. La teoria delle due unità monetarie parallele è basata sull’applicazione pratica che se ne ha attualmente a Cuba, dove grazie ad essa la sua moneta di riferimento, il “peso convertibile”, per valore è la seconda di tutto il continente americano (dopo il dollaro Usa) e la sesta al mondo, nonostante la rovinosa economia di quel paese. Nonostante si tenda a tenerlo celato, perfino Keynes era un entusiasta sostenitore delle teorie di Gesell sulla fiscalità monetaria, che considerava allora impraticabili solo per motivi logistici. Silvio Gesell progettò che per il decremento ogni banconota avrebbe dovuto essere rivalutata con l’apposizione cadenzata di marche da bollo, determinando con ciò la differenza di quotazione a seconda del tempo mancante alla scadenza dell’ultimo bollo. Oggi invece sarebbe possibile utilizzare una moneta elettronica dotata di display numerico decrementante. La base filosofica è fondata su di un concetto semplice, ovvero che è la produzione a fare il denaro (la ricchezza), e quindi il denaro circolante ed il suo valore rimangono indissolubilmente legati alla produzione. Quindi a qualunque legislazione fiscale si voglia sottoporre il sistema economico, comunque sempre sottostarà a tale regola e ci si adatterà. Questo è il motivo per cui nonostante un organizzazione socio-politico-amministrativa incongruente non si è regrediti ad una situazione da "età della pietra" come ci si potrebbe erroneamente attendere da un sistema che sembra far di tutto per fermare il progresso. Ragion per cui poter proporre soluzioni fiscali basate sulla semplificazione ed equità.

"Partendo dal principio che ogni cittadino ha il diritto di ricevere a vita dei redditi sufficienti [...] Alla moneta capitalista deve essere sostituita una moneta creata man mano che la ricchezza è prodotta, proporzionalmente a essa [...] e annullata man mano che è venduta per essere consumata. Questa moneta di consumo è un potere d’acquisto che serve una volta sola: non circola e non può produrre interessi. Ma resta la scheda elettorale del cliente sulla produzione da rinnovare, poiché egli conserva la sua piena libertà per scegliere i suoi acquisti" (Silvio Gesell)

Debito pubblico

Il debito pubblico è un problema inesistente dato che già ora i certificati vengono usati alla pari di pezzi di grosso taglio di un'unità monetaria tale e quale. Per cui, alla luce che non ne verranno creati di nuovi (non esistendo più la necessità erariale di ricorrervi), e quelli esistenti verranno convertiti nella forma di una terza (o quarta che dir si voglia) unità monetaria, tale conversione non determinerebbe, rispetto ad oggi, alcun incremento della massa monetaria aggregata e quindi (a differenza di quello che stupidamente si tende a credere) alcuna inflazione, dato che, ripeto, I CERTIFICATI HANNO LA FORMA DI BENE MOBILE GIA' ORA essendo come tali usati GIA' ORA. O pensate forse che chi oggi ha un certificato da 100.000 euro, una volta cambiato con un altro certificato (ovvero la terza unità monetaria in questione), usi quest'ultimo per comprare tonnellate di pane da distruggere per spregio? Così come oggi lo tiene in un cassetto, lo terrà ugualmente in un cassetto! Se oggi lo cambiasse in beni, lo farebbe in entrambi i casi! Data la conformazione di questa moneta, ovvero che non subirà nuove emissioni nè saranno annullati esemplari ma quelli ricevuti dalla banca centrale saranno reimmessi sul mercato al tasso di cambio con il riferimento "bancor" (l'euro, per intenderci) secondo la legge domanda/offerta, ne deriva che essa sicuramente sarà soggetta ad una costante rivalutazione rispetto le altre due, di conseguenza sarà piuttosto ambita andando così ad aumentare il suo valore non diversamente dal tasso di interesse a cui erano sottoposti i titoli di stato. Per cui non esiste la possibilità che venga preferito cederla per impiegare in altro modo il capitale. Casomai potrà essere versata in banca, su conti appositi, ed usata dalle banche allo stesso modo in cui già oggi vengono usati i titoli. Difatti la conversione in terza moneta ha più ragione di una formalità che di una vera necessità. I pezzi della terza moneta avranno valore di 10.000, 50.000, 100.000 euro; le cifre inferiori ai 10.000 o intermedie saranno convertite a scelta nella prima moneta (euro) o nella seconda (lire). Per ovvie ragioni (perdita, usura del supporto, frode, falsificazione, ecc) non saranno al portatore, ma certificati di credito nominali sul tipo delle cambiali; in pratica subirebbero solo una modifica formale rispetto alla concezione attuale. La differenza sarebbe che tale aggregato non sarebbe più considerato come un problematico debito pubblico; lo sarebbe solo allo stesso modo in cui anche oggi può essere considerato come debito pubblico l'intera massa monetaria circolante, che nessuno interpreta come tale (perché nessuno oggi pretende di cambiare le banconote in metallo prezioso, e nemmeno potrebbe farlo non essendo più neanche formalmente "pagabile" ma essendo un credito fiduciario) pur essendolo a tutti gli effetti (poiché comunque convertibile in beni di valore equivalente, qualunque essi siano e qualunque sia il rapporto di cambio identificato sulla fiducia riposta). Il debito pubblico così sparirà, e smetterà di pesare sui bilanci come voce il servizio del debito: 70.000.000.000 annui su un debito di 1.909.000.000.000 nel 2011. Non risulterebbe come un default e quindi non forzerebbe le banche a svalutare i titoli in portafoglio, tranne che nella valutazione al prezzo di mercato: i titoli monetarizzati non dovrebbero passare attraverso alcun “impairment test“ in quanto il loro valore sarebbe regolato nello stesso modo nel quale lo è qualunque moneta. Quella che Giovanni Dosi chiama “perpetuizzazione” del debito.

Privatizzazioni e socializzazione

Occorre affrontare in modo congiunto tanto i problemi dell'organizzazione e delle performance quanto quelli della proprietà, con spirito di competizione. In generale i proprietari più idonei per un impresa sono quelli per i quali i costi delle imperfezioni di mercato sono più severi e che più li danneggiano; per questo quindi essi tendono a ridurli costantemente, continuamente massimizzando efficienza ed efficacia. In teoria nel caso delle multiutility i consumatori potrebbero sembrare essere i più idonei proprietari, godendo essi stessi della qualità della vita possibile con i beni pubblici e avendo, con la proprietà diffusa, un potente incentivo a controllarne il governo della produzione e dell'offerta. Ma abbiamo già visto come le imprese di governo municipale si configurano in realtà come un imposizione fiscale attuata in forma coatta, sollevando la questione "niente tassazione senza rappresentanza", laddove l'elettorato delle gerarchie amministrative e di controllo è composto da politici, esso sarà inevitabilmente sottoposto alle esigenze delle politiche del rispettivo partito, così che anche chi non ha votato per quel determinato partito ovvero è contrario a tali politiche si trova a dover obbligatoriamente erogare quote dei propri redditi in iniziative economiche promosse dal partito di maggioranza. In questo modo le imprese cosiddette pubbliche realizzate coi soldi di tutti sono solamente imprese del partito di maggioranza che da solo ne determina l'impostazione nel processo decisionale. In realtà, di fatto, nel sistema politico pluri-partitico si genera un meccanismo necessario a tener buona l'opposizione, consistente nel suddividere anche con essa la gestione, meccanismo che prende il nome di "consociativismo". In tal modo i rispettivi consiglieri diventano di fatto garanti degli interessi della fazione cui fanno capo anziché dell'azienda nel suo complesso, infrangendo così il vincolo di mandato imperativo che dovrebbe obbligare a fare gli interessi dell'azienda e non dei singoli soci. Da cui ne derivano le conseguenze di inefficienza che abbiamo già visto. Per questo il distributismo prevede la privatizzazione di tutto mantenendo pubbliche solo difesa, giustizia, e polizia; questo non significa che non possano sussistere esse anche come aziende private. Benché come modalità con cui attuare le privatizzazioni potrebbe sembrare naturale convertire le aziende statali in socializzate semplicemente suddividendo la proprietà tra tutti i dipendenti, ciò non sarebbe equo poiché escludendo tutti gli altri sarebbe un privilegio, perlopiù ulteriore, verso i dipendenti statali. Si consideri poi che per il pubblico, vendere o cedere gratuitamente non farebbe alcuna differenza, poiché lo stato non è un impresa a scopo di lucro e le sue entrate e uscite sono determinate; il lucro potrebbe andare solo in riduzione delle entrate ossia delle imposte ai cittadini, che oltre a provocare squilibri nel potere d'acquisto e quindi nelle propensioni da cui ne derivererebbe un inflazione pazzesca, allorquando (così come previsto dal distributismo nel quale questo discorso si inserisce inderogabilmente) le imposte siano finalizzate alla programmazione planistica non potrebbero essere variate a seconda delle necessità, ma tali dovrebbero restare in ogni caso. Però cedere gratuitamente sarebbe iniquo verso chi acquisisce, indipendentemente da chi sia il soggetto, sarebbe un favoritismo inaccettabile. Per cui non esiste altra soluzione alla vendita sul mercato. Ma anche così, sempre per gli stessi motivi non sarebbe possibile, pur vendendo sul mercato, farlo in maniera mirata (ad esempio essere scambiati con il debito pubblico), poiché non essendo certo possibile far rispettare (e quindi mettere) vincoli, ne risulterebbe sempre un favoritismo, dato che a chi le ha ottenute in modo privilegiato poi non si può impedire di venderle sul mercato al miglior offerente e di conseguenza sicuramente ad un prezzo più alto di quello al quale sono state ottenute. Per cui, ad esempio, non sarebbe possibile limitarne la vendita a soli cittadini italiani credendo che così il capitale resterebbe in mani italiane, o solo ai dipendenti credendo così di socializzare l'azienda: una volta in loro possesso, potrebbero benissimo venderle con lucro a chiunque, e ciò vanificherebbe il senso stesso della cessione privilegiata che l'avrebbe motivata. Quindi non sarebbe possibile cederle nemmeno a pagamento ai soli dipendenti o ai soli cittadini italiani. Inoltre ciò richiederebbe comunque un prezzo bassissimo, per cui anche usando questo metodo rimarrebbe comunque un ingiusto privilegio verso i dipendenti statali, anche qualora le tenessero per sè anziché venderle. Non esiste altra via che la vendita sul mercato mondiale secondo la domanda/offerta. Ora, anche così, data la mole di beni, e dato che una vendita in massa causerebbe un ribasso enorme del loro prezzo, a cui seguirebbe un rialzo una volta ceduta l'ultima ai privati, ciò provocherebbe enormi spiazzamenti causati sia dalla sottrazione dei capitali dal restante mercato, sia dall'introito all'erario di capitali che gli sono totalmente inutilizzabili e non avrebbe modo di potersene disfare (se non lentamente sotto forma di reddito di cittadinanza) senza causare i danni citati. Come poterne uscire? Esiste un unica soluzione: venderle ad un prezzo abbastanza alto che determini che la cessione avvenga lentamente (nell'arco di anni se non decenni), ma allo stesso tempo ad un prezzo basso che impedisca a tutti gli altri di venderle, cercando quindi di creare un equilibrio calibrando il prezzo su questo obiettivo. Probabilmente sarebbe utile suddividere i vari settori per holding incaricate della lenta liquidazione. Per attuare la socializzazione si dovrebbe agire per altre vie.

La filosofia fondamentale del credito sociale e del corporativismo è intimamente legata alla socializzazione, in quanto se la socializzazione ha come base fondante il rifiuto del concetto di lavoro come merce, esso non deve nemmeno essere fiscalizzato come tale con aliquote basate sul reddito prodotto dal proprio lavoro, e nemmeno essere una costrizione ma una libera scelta indipendente e nelle forme ritenute adeguate alle proprie necessità, possibilità, capacità, e aspirazioni. La socializzazione mussoliniana non ha nulla a che fare con autogestione o collettivizzazione, e non è necessariamente da realizzarsi per esproprio, ma chi lavora deve essere messo nelle condizioni di poter diventare, se lo vuole, proprietario dei mezzi di produzione. In questo modo si otterrà la massima possibile distribuzione della proprietà produttiva e quindi del potere reale (coincidenza tra capitale e lavoro). Per questo motivo tanto la forma della public company, quanto la forma cooperativa sono le forme di allocazione della proprietà più razionali e meno imperfette per la gestione dei beni pubblici. In questo senso alle forme più razionali di allocazione della proprietà si può giungere sia attraverso la borsa, sia attraverso la cooperazione. Tuttavia il primo metodo non permette di far coincidere capitale e lavoro. Solo il sistema cooperativo permette di farlo. Ma bisogna puntualizzare bene il concetto di cooperazione. L'elemento che fa una cooperativa diversa è la non contendibilità della proprietà: ne consegue che una cooperativa non può essere quotata in borsa, perché diversamente si separa l'azione dalla persona; la stessa cosa vale per un azienda socializzata. Oggi il mettere tutte le imprese del "terzo settore" in un unico calderone solo per il nome, anche l'accomunarle eticamente al volontariato ha determinato che oggi le cooperative vengano viste come roba da fricchettoni quando invece, nelle parole di Giulio Sapelli, "la cooperazione è un moto di trasformazione che si fonda sull'impegno personale associato e che potrebbe costruire, oltre alle piccole comunità operose, grandi realizzazioni, dar vita a grandi organizzazioni altrettanto operose e probe, e diminuire le imperfezioni dei mercati, della politica, della stessa statualità, realizzando una reale e orizzontale sussidiarietà". Secondo i fanatici della cooperazione a fini sociali, invece la separazione tra capitale sociale e organizzazione del lavoro le trasformerebbe in società per azioni, cosa che secondo loro le appesentirebbe di "gravami ingiusti e mortificanti il loro ruolo" (che evidentemente per loro è quello di essere roba fricchettona) e seppur con altre vesti rimarrebbe solo la mutualità solidale tra i soci... la quale (con le sue conseguenze) è appunto l'unica motivazione della socializzazione, ed è ciò che la distingue dalle attuali cooperative. La socializzazione non ha motivi "fricchettoni"! Si deve cancellare il luogo comune secondo il quale la cooperazione tra individui deve avere per definizione stessa motivi solidaristici! Così si svincolerebbe dalle utopie, di "riscatto - del lavoro e della persona - di liberazione dalla proprietà privata individuale come ente regolatore ultimo dell'associazione umana", utopia che è stata - ed è oggi - tipica di tutto il movimento cooperativo mondiale. Oggi sono proprio gli elementi distintivi dell'impresa cooperativa che costituiscono gli ostacoli sulla via della crescita finanziaria: "a scopo mutualistico e solidale" e roba fricchettona del genere insomma. Per cui l'attuazione della socializzazione dovrebbe partire prima di tutto dall'abolizione di tutte le regole che oggi impediscono alle cooperative di diventare vere e proprie aziende socializzate. Una buona soluzione di efficienza, per quanto integralista, sarebbe quella di autorizzare la partecipazione alle gare d'appalto pubbliche solo ad aziende socializzate. Alcuni autori (tra cui James Meade) propugnano anche l'utilizzo planistico delle imposte per indurre alla socializzazione (nella quale tutti gli impiegati in un azienda ne sono soci alla pari) mediante defiscalizzazione incipiente (ovvero diminuzione delle imposte di anno in anno) delle aziende nelle quali l'unica manodopera è costituita dai soci stessi, ad esempio decrementando dello 0,5% all'anno le imposte complessive di aziende nelle quali tutti gli addetti siano soci in percentuali uguali. Nella socializzazione la voce “manodopera” viene ad essere cancellata dalla lista dei costi per le risorse e a diventare essa stessa coordinatore, ovvero imprenditore, e quindi destinatario unicamente dell’avanzo tra input ed output, non più di salari. Nel contesto della democrazia organica, la struttura elettiva corporativa assume necessariamente il ruolo amministrativo dell'impresa socializzata al posto del management, e non più di sola rappresentanza politica. L’interesse della figura dell’imprenditore nel miglior funzionamento dell’azienda sarebbe ampliata a tutti i soci e rimarrebbe complessivamente tale e quale ad oggi, se non anche maggiore a causa dell’approvazione che l’amministratore dell’azienda deve ricevere dagli altri soci per elezione ("corporativismo"), considerato che anche se in parità di proprietà, i dividendi non sarebbero uguali per tutti, ma rimarrebbero legati proporzionalmente alla responsabilità che l’assemblea aziendale delegherà ad ognuno dei soci sulla base perlopiù delle capacità, quindi i guadagni netti dell’amministratore aziendale (l'ex manager) rimarrebbero (in proporzione agli altri soci) grossomodo gli stessi di oggi. Cambia solo il metodo di attribuzione di tali responsabilità/dividendi (non più basato sulla proprietà, ma sul merito riconosciutogli da tutti gli altri soci, con una remunerazione variabile a seconda dei ruoli interni) e vi viene separato il lordo ovvero i costi di produzione e il plusvalore da accantonamento per reinvestimenti (“accumulazione estensiva del capitale”), che verrebbe già gestito e contabilizzato nel bilancio aziendale. La distribuzione come risultato patrimoniale specifico darebbe unicamente la separazione dell’investimento (il cui capitale disponibile sarebbe accumulato ed utilizzato direttamente dall’azienda come utili non distribuiti) dal consumo (in questo caso intendendo come tale anche l’impiego per il risparmio privato). Un "borsino" delle quote prenderebbe il posto dell'ufficio di collocamento nell'ingresso di nuovi addetti.

“Il mercato è in grado di includere tutti e non escludere nessuno; se il mercato è vissuto compiutamente da una pluralità di forme di impresa profittevoli o meno, si sarà in grado di sviluppare un nuovo sistema (...) si tratta di trovare formule libere e responsabili facendo declinare il conflitto di classe con la piena condivisione del capitale e del lavoro con una prevalenza concettuale del secondo sul primo (...) la resistenza della Cgil è preconcetta, legata al vecchio schema di separazione tra datore di lavoro e lavoratori, cosa che non accade per Cisl, Uil e Ugl che sono culturalmente per una condivisione (...) la sinistra italiana è ancora vicina ai poteri forti e al relitto borghese sempre più parassitario e cialtrone, che è tra le cause dello sconquasso economico in atto” (Maurizio Sacconi, ministro del welfare del governo Berlusconi)

“Se ci fosse un avviso comune sulla compartecipazione all’utile dell’imprese, per concretizzare lo stare insieme nella stessa azienda, più di prima uniti insieme lavoratori e imprenditori, credo che sarebbe uno dei modi per uscire dalla crisi” (Giulio Tremonti, ministro dell’economia del governo Berlusconi)

“I lavoratori non devono solo partecipare agli utili in maniera diretta ma poter collaborare anche nella gestione. Non è più accettabile che i dipendenti paghino per gli errori altrui e perché? le aziende hanno fatto scelte sbagliate senza dover rendere conto. La crisi finanziaria è nata così e non si può tornare agli eccessi di prima” (Franco Bonanni, segretario del sindacato Cisl)



Interessante video (in inglese)
Articolo di Luciano Fuschini (Movimento Zero)
Interessante testo di Stefano Ciccarelli
Anche io sono per il reddito minimo incondizionato e per scollegare reddito e lavoro
Testo di Emanuele Murra
Finlandia: reddito garantito di cittadinanza, stato sociale, welfare, povertà assoluta
Reddito di cittadinanza. Una antologia - di Nunziante Mastrolia - Maria Teresa Sanna


Democrazia organica corporativa

email: andrea.nardo1977@libero.it

Fino a qui questo testo è libero, chiunque può usufruirne come proprio, anche senza citare la fonte.



Allego un interessante analisi di Luca Maria Blasi (economista liberista, non distributista):


Sul reddito di cittadinanza c’è una gran confusione. Se n’è parlato anche durante la campagna per le elezioni amministrative, con promesse di sussidi in variante locale che hanno poco a che fare con le proposte originarie.
Cerchiamo allora di fare un po’ d’ordine e vediamo le carte.
Benché nel programma “storico” del Movimento 5 Stelle si parli di “sussidio di disoccupazione garantito” (SDG), oggi questo concetto è posto al primo punto del programma di quel partito, con il nome di “reddito di cittadinanza” (RC). Il relativo DDL, numero 1148/2013, denominato “Istituzione del reddito di cittadinanza nonché delega al Governo per l’introduzione del salario minimo orario” è attualmente all’esame della Commissione Lavoro, al Senato.
Visto il poco spazio a disposizione, stendiamo anzitutto un velo pietoso su alcuni interventi collaterali contenuti nel DDL, quale ad es. la fissazione legale del salario minimo orario garantito a 9 euro, davvero SMOG per la produzione, e concentriamoci sulla proposta di RC.
“Il disegno di legge prevede che per tutti i cittadini italiani, europei e gli stranieri provenienti da Paesi che hanno sottoscritto accordi di reciprocità sulla previdenza sociale, sia garantito un reddito stabilito in ordine alla composizione del nucleo familiare ed all'indicatore ufficiale di povertà monetaria dell'Unione europea, di valore pari ai 6/10 del reddito mediano equivalente familiare, quantificato per la persona singola nell'anno 2014 in euro 9.360 annui e euro 780 mensili”. Ci sono poi cervellotici fattori perequativi algoritmici che riguardano i nuclei familiari, che qui vi risparmio (si può comunque arrivare a superare i 1.600 euro per una coppia con due figli minori).
Tralasciando le giustificazioni filosofiche della redistribuzione, per cui uno Stato dovrebbe “prendere ai ricchi per dare ai poveri” - questione sempre aperta - sorge spontanea una serie di brevi osservazioni.
Prima critica: è comunque una somma troppo alta, che indurrebbe alla passività larghe fasce di popolazione, specie al Sud, dove il costo della vita è meno alto, le quali smetterebbero di cercare lavoro o addirittura di lavorare. Ciò sarebbe devastante anche dal punto di vista culturale: si avrebbero milioni di fancazzisti in giro a giocare a carte. Forse sarebbe meglio tornare a chiamarlo sussidio di disoccupazione, e parametrarlo sui circa 450 euro mensili dell’attuale assegno sociale. Ma questo non risolverebbe i problemi collaterali che l’introduzione della misura potrebbe creare, come vedremo.
Seconda critica: criteri di assegnazione poco chiari e arbitrari, con possibili discriminazioni in base al tipo di occupazione e alla fascia d’età.
“Il disegno di legge prevede la possibilità di fruizione del beneficio anche per i lavoratori autonomi: pertanto al comma 5 dell’articolo 3 sono indicati i requisiti di accesso per l'anzidetta categoria di lavoratori per la quale, in ragione di motivazioni contabili, è necessario che la misura del reddito di cittadinanza venga elaborata con modalità diverse rispetto a quelle previste per il resto della platea dei beneficiari”. Sento puzza di bruciato e di ghettizzazione degli autonomi…
“Per i più giovani, ossia per i maggiorenni fino a venticinque anni di età, è stabilito che il possesso di una qualifica professionale o di un diploma di scuola media di secondo grado o in alternativa la frequenza di un corrispondente corso di studi o formazione sia requisito necessario e fondamentale per accedere al reddito di cittadinanza”. Un sussidio meritocratico? E allora perché non per tutte le età? Comunque, questa è la porta per le strade infernali della formazione continua e del controllo del cittadino, di cui dirò poi.
Terza critica: e la copertura finanziaria? Mistero.
Nello stesso DDL si dice che “le persone che si trovano al di sotto della soglia di povertà relativa sono 9.563.000, pari al 15,8 per cento della popolazione” e si quantifica il costo dell'intera misura in 15,5 miliardi di euro, pari a circa l’1% del PIL. Ma poiché l’ipotesi “viene allargata a tutti i residenti cittadini europei e agli stranieri provenienti da Paesi che hanno stipulato accordi di reciprocità sulla sicurezza sociale”, e ci sono costi occulti seminati nella normativa (v. es. art. 13 che “riconosce ai beneficiari del reddito di cittadinanza il diritto all'abitazione, quale bene primario, tramite forme di agevolazione del pagamento del canone di locazione” e dunque “prevede altresì un incremento di 500 milioni di euro il Fondo nazionale di sostegno per l'accesso alle case in locazione” oppure il misterioso “Fondo di garanzia per il finanziamento delle iniziative imprenditoriali legate al reddito di cittadinanza”, etc.) il dato è sicuramente sottostimato.
Non si sa dove si andrebbero a prendere questi soldi. Non a caso, del resto, in tema si sono registrati i pareri negativi del MEF e di Banca d’Italia, che hanno definito questa ipotesi insostenibile per i conti pubblici.
Ma a questo può ovviare, si sa, la fantasia del popolo della democrazia diretta, le cui ipotesi più gettonate sono i soliti “meno F35” e in generale il taglio delle risorse all’Esercito, alla Marina, ai Carabinieri, passando per una rapinuccia ai Fondi Pensione dei professionisti (ogni tanto riemerge il tic comunista dei grillini) per finire – e come ti sbagli? – col mitico “recupero del gettito dalla lotta all’evasione fiscale”.
A parte queste “quisquilie”, poi, c’è il problema dell’enorme appesantimento burocratico, e quindi dei relativi enormi costi occulti d’impianto e di gestione, che questo illiberale sistema di accertamento, controllo e erogazione comporta.
Sono infatti coinvolti nel progetto, a vario titolo: Centri per l’impiego, Ministero del Lavoro, Regioni, Comuni, INPS, Agenzia delle Entrate, ASL, Scuole, Università e centri di formazione, Agenzie formative accreditate e una mitica Struttura Informativa Centralizzata (SIC!). “Nella struttura informativa centralizzata confluiranno i dati anagrafici del richiedente, lo stato di famiglia, la certificazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), la certificazione del reddito al netto delle imposte, riferito all'anno in corso, la certificazione del reddito di cittadinanza percepito, i dati in possesso dell'INPS, quelli relativi ai beni immobili di proprietà, alle competenze certificate, allo stato di frequenza scolastica del minore”.
Ciliegina sulla torta, l’istituzione presso il MinLav dell’ineffabile “Osservatorio Nazionale del Mercato del Lavoro e delle politiche sociali”. Altra fuffa socialista, altro carrozzone per imboscati.
Questo, solo sul fronte pubblico. Dal punto di vista del beneficiario, per accedere al RC, sarà necessario sostenere continui adempimenti formativi, con la creazione del “fascicolo personale elettronico del cittadino” e del «libretto formativo elettronico del cittadino», cose che, per le numerose “simpatiche” interferenze nella vita privata, sanno tanto di STASI. Ad es., il beneficiario deve, tra l’altro, “svolgere con continuità un'azione di ricerca attiva del lavoro, secondo le modalità definite d'intesa con i servizi competenti, documentabile attraverso l'accesso dedicato al sistema informatico nazionale per l'impiego e con la registrazione delle azioni intraprese anche attraverso l'utilizzo della pagina web personale di cui all'articolo 10, comma 9, sulla quale possono essere salvati i dati riferiti alle comunicazioni di disponibilità di lavoro inviate ed ai colloqui effettuati. L'azione documentata di ricerca attiva del lavoro non può essere inferiore a due ore giornaliere”.
In definitiva, un sistema paranoico, tipico del socialismo reale. Tutti sotto controllo: conta documentare l’attività, non il risultato.
La cosa ridicola è che questa normativa appare anche in contraddizione con diversi punti dello stesso programma pentastellato. Infatti nel DDL non si parla della copertura finanziaria (in contrasto con il programma sub STATO E CITTADINI: “Approvazione di ogni legge subordinata alla effettiva copertura finanziaria) mentre il meccanismo comporta sicuramente un forte aumento del debito pubblico e dei costi dello Stato (in contrasto con il programma sub ECONOMIA: “Riduzione del debito pubblico con forti interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi”).
La lettura del testo, poi, lascia francamente basiti. E’ una vera supercazzola farraginosa che, muovendo da provvedimenti socialoidi europei, quali la risoluzione del Parlamento europeo del 20 ottobre 2010 e la Carta sociale europea, documenti peraltro interpretati pure estensivamente, riporta a pieno titolo al sindacalese dei “gloriosi” anni Settanta, il decennio rosso.

Questo è un altro testo sempre dello stesso autore:

IL LAVORO SI CREA CON LA LIBERTA' CONTRATTUALE, NON COI REFERENDUM NOSTALGICI CHE TUTELANO CHI IL LAVORO LO HA GIA'
Quando vedo la Camusso penso all'Uomo di Neanderthal.
No, non è un'allusione cattiva all'aspetto fisico della sindacalista rossa: mi riferisco alla mentalità arretrata e all'incapacità totale sua e dei suoi sodali di capire i fondamentali dell'economia di mercato (l'unico modello economico possibile: l'hanno capito anche nella Cina comunista...).
In particolare, la Cgil ha proposto tre referendum abrogativi sulla riforma del lavoro, il cosiddetto Jobs Act, varata dal governo Renzi con diversi provvedimenti tra il 2014 e il 2015.
L’11 gennaio 2017 la Corte costituzionale si esprimerà sulla legittimità dei referendum che, se avessero il via libera, potrebbero svolgersi nella primavera del 2017.
Il primo referendum riguarda l’abolizione dei cosiddetti vouchers, ossia i buoni usati per la retribuzione del lavoro accessorio. Il secondo riguarda il ripristino dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori nella formula originaria, quella della reintegra automatica. Il Jobs Act ha infatti sostituito il diritto al reintegro con un indennizzo economico in caso di licenziamento senza giusta causa.
Il terzo referendum chiede l’abolizione dell’articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, cioè il ripristino della responsabilità dell’azienda appaltatrice, oltre a quella che prende l’appalto, in caso di violazioni subite dai lavoratori, norma che era stata cancellata dalla legge Biagi, in seguito modificata dalla legge Fornero.
Stendendo un velo pietoso sul ciarpame sovietico costituito dall'art. 18, ed omettendo, per brevità, di trattare del terzo quesito referendario, focalizziamo l'attenzione sulla questione dei vouchers, uno strumento che sta avendo un boom clamoroso proprio perché flessibile.
Nel tentativo di scongiurare questa consultazione, il Governo ha preso provvedimenti limitativi, connotati dalla tipica farraginosità e assurdità sinistrorsa: c'è di nuovo, infatti, che i committenti imprenditori non agricoli o professionisti, che ricorrono a prestazioni di lavoro accessorio, siano tenuti, almeno 60 minuti prima dell'inizio della prestazione, a comunicare all’Ispettorato del lavoro, mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo, il giorno e l’ora di inizio e di fine della prestazione; mentre i committenti imprenditori agricoli devono comunicare, nello stesso termine e con le stesse modalità, i dati anagrafici o il codice fiscale del lavoratore, il luogo e la durata della prestazione, con riferimento ad un arco temporale non superiore a 3 giorni.
Ma perché queste modalità cervellotiche e inesigibili? E perché differenziare i soggetti? "PER EVITARE ABUSI", ecco la solita solfa dei dementi rossi. Come se il fine primario degli imprenditori fosse quello di fregare i propri dipendenti. Ma quando capiranno che gli imprenditori - i soli in grado di creare lavoro - hanno interesse ad andare d'accordo con i dipendenti e vanno agevolati, non ostacolati?
Non si tratta di "flessibilità", termine ambiguo perché dirigista, ma di vera e propria "libertà contrattuale". Di cosa si ha paura? Della caduta del tabù del lavoro a tempo indeterminato?