Il Viaggio

Siamo finiti a Burkina Faso per caso.

Dieci anni fa, nel 1989, abbiamo fatto un’adozione a distanza per assistere agli studi un giovane di 20 anni, terzo di dieci figli legittimi più un undicesimo aggregato alla famiglia perché non aveva più la propria.

Dopo cinque anni di adozione, durante i quali il nostro adottato proseguiva con profitto negli studi, le Suore Apostole del Sacro Cuore che ci avevano proposto l’adozione ci hanno invitati a fare un viaggio in Africa, in Burkina Faso, appunto, per andare a trovare Alain, questo il suo nome, e farne la conoscenza.

In verità l’idea di un viaggio in Africa presenta un fascino particolare per noi europei, ma assieme ad esso fa nascere delle perplessità per le difficoltà oggettive di adattamento che si debbono superare. La vita nel villaggio per noi è inconcepibile e ciò ci scoraggiava, ma quando ci è stato precisato che nel villaggio di Nanoro, a 100 km dalla capitale del Burkina, Ouagadougou, c’era la missione della suore che ci avrebbe ospitati, le perplessità si attenuarono e dopo i preparativi di rito, preparativi sanitari, burocratici ma soprattutto psicologici, il primo agosto del 1994 partimmo alla volta di Nanoro, dove la direttrice della Missione, suor Ester, ci aspettava.

 

 

Il viaggio è avventuroso, ma per noi della Sicilia lo è di più per la sorte che abbiamo di trovarci ai confini dell’Europa. Siamo partiti da Catania alla volta di Roma; da qui siamo partiti alla volta di Parigi, dove abbiamo dovuto pernottare ed il giorno successivo siamo partiti da Parigi alla volta di Ougadougou, con un aereo diretto a Cotonou.

Mette conto aprire una parentesi per parlare delle difficoltà di imbarco che abbiamo dovuto affrontare a Parigi a causa dei nostri numerosi e pesanti bagagli. All’accettazione sulle prime ci usarono la gentilezza di abbonarci metà del sovrappeso, tanto che noi pensammo che i francesi fossero davvero gentili !, ma presto la nostra gioia, e il nostro giudizio, mutarono quando per 25 kg di sovrappeso ci chiesero di pagare circa un milione di lire. Dopo qualche momento di smarrimento per l’esagerazione della richiesta, tentammo di spiegare che il nostro era un viaggio umanitario e che i nostri bagagli contenevano indumenti e medicine, il cui valore non poteva mai raggiungere la cifra richiestaci. La logica del burocrate non voleva sentire ragione, nonostante i nostri bagagli fossero stati già imbarcati. Allora ricorremmo al primo nostro tentativo di superare la difficoltà richiedendo indietro i bagagli per eliminare il sovrappeso. Volevamo bluffare ritenendo che in un aeroporto come lo Charles de Gaulle di Parigi sarebbe stato difficile, se non impossibile far tornare indietro un bel numero di valigie e borsoni di ogni forma e peso. Era difficile infatti ma non impossibile per il Tizio dell’accettazione che si mostrava ostinato a non transigere. Infatti i bagagli risalirono dal grosso ventre dell’aeroporto parigino dopo tre ore, durante le quali avevamo tentato con ogni mezzo e in ogni forma di far capire che il contenuto non valeva assolutamente il prezzo richiestoci. Una volta svanito il primo bluff ne tentammo un altro. Comunicammo che avremmo abbandonato la valigia eccedente nel bel mezzo dell’aerostazione creando non indifferenti problemi di sicurezza.

Questa nostra decisione stavolta ebbe l’effetto sperato e le nostre valigie partirono tutte. Erano passate circa quattro ore, durante le quali avevamo constatato che la nostra avventura era già cominciata.

Questa premessa riteniamo sia sufficiente ad anticipare il senso del nostro viaggio con tutto quello che ne conseguirà

 

 

 

Arrivo a Ouagadougou

 

L’impatto con la realtà africana in generale e con quella di Burkina Faso in particolare superò ogni nostra aspettativa nel bene e nel male. Suor Ester che ci aspettava semplificò gli adempimenti dello sbarco, ma una volta fuori dal piccolo aeroporto un nugolo di giovani negri prese letteralmente d’assalto le nostre valigie impossessandosene. Noi abituati a vivere in città come Catania o Napoli o Roma e ancora inconsapevoli della nuova realtà, ci preoccupammo seriamente quando le vedemmo sparire. Ci tranquillizzò suor Ester quando ci fece notare che erano tutte sulla camionetta Toyota che da quel momento sarebbe stata la fedele compagna del nostro soggiorno africano.

Dopo essere passati da Roma e da Parigi spalancammo gli occhi di sorpresa e di meraviglia quando attraversammo le strade polverose e maleodoranti di Ougadougou, spesso costeggiate da casupole o da muri che non lasciavano intravedere nessuna forma di abitazione. Non mancava qua e là neppure qualche rigagnolo che scorreva tranquillamente a cielo aperto.

La prima cosa che ci colpì fu uno strano monumento che si stagliava variopinto in un largo incrocio di cinque strade. Una serie di cilindri di varie dimensioni e colori che si elevavano su due colonne, sormontati da due tronchi di cono rovesciati. Chiedemmo cosa fossero e ci fu risposto che era il monumento ai cineasti ed il simbolo del FESPACO, il festival del cinema africano che si celebra ad anni alterni nel mese di febbraio. Restammo stupiti di quella notizia dopo il primo impatto con la realtà di Ouagadougou e proseguimmo. Passando davanti la piazza della stazione notammo un altro monumento particolare che rappresentava la silhouette di una donna snella e slanciata con una tazza in mano. Apprendemmo che quella donna che offriva a chi arrivava la bevanda nazionale del Burkina Faso, era il simbolo dell'accoglienza ad Ouagadougou.

 

 

Verso Nanoro

 

Usciti dalla città dopo avere solcato un nugolo di motorette scarburate che appestavano l’aria rendendola irrespirabile anche a causa del forte caldo, il paesaggio si fece più piacevole. Eravamo nel periodo delle piogge e la natura era verdeggiante; la savana aveva un aspetto piacevole con le coltivazioni di miglio e di mais che si alternavano agli inutili arbusti verdi che in quel periodo facevano inutile pompa di sé. Quando lasciammo la strada asfaltata per entrare nella pista in terra battuta, il rosso del deserto costeggiato dall’interminabile verde dei cespugli ci diede l’impressione di percorrere un lungo campo da tennis che ci inghiottiva portandoci dentro il cuore dell’Africa. Arbitri di questa strana ed inconsueta partita di tennis erano grossi alberi di baobab che, a destra e a sinistra si stagliavano come giganti buoni con la loro buffa sagoma.

 

Soggiorno a Nanoro

 

Il nostro soggiorno a Nanoro fu assai intenso e ricco di sensazioni e forti emozioni. Entrare nelle capanne di fango e di paglia e constatare che dentro di esse non esisteva nessuna suppellettile e che si era fuori da qualsiasi forma di civiltà, incontrare tanti bambini con la pancia gonfia e gli arti sceletriti giocare per terra assieme al maialino o al capretto e alla gallina, in mezzo ad escrementi di vario genere, incrociare verso sera tante mamme con un figlioletto dietro le spalle, un altro per mano e una fascina di legna da ardere sulla testa, in bilico tra il bimbo che stava dietro e quello che conduceva per mano, produceva dentro di noi un senso di sconcerto che col passare dei giorni saturava la nostra curiosità e ci rendeva increduli e pensosi.

 

 

. Scoprire quella nuova realtà sulle prime ci riempiva di commozione ma col passare dei giorni quella commozione si trasformava in angoscia: angoscia di constatare l’assoluto abbandono che regnava in quel villaggio, che in fondo, come constatammo poi, era più fortunato degli altri perché aveva tre Missioni; angoscia di vedere tanti e tanti bambini scorazzare in assoluto abbandono per i viottoli della savana in attesa di ricevere qualche caramella; angoscia di rilevare tanti corpicini deformati dalla malnutrizione, con pancini gonfi e arti scheletriti; angoscia di vedere scorrere il tempo senza senso.

Il massimo dello choc però lo provammo quando visitammo il padiglione dei malnutriti, uno stanzone all’aperto dentro cui soggiornano per otto ore al giorno, dalle otto alle sedici, 14 bambini con le mamme per un corso-terapia di recupero ed educazione nutrizionali.

Quivi giungono i bambini malnutriti, affetti da marasma o da Kwashiorkor contratti a causa di un’alimentazione a base di farina di miglio o di mais e priva di proteine e di vitamine. Arrivano con la pancia gonfia e spesso non riescono a reggersi in piedi; alcuni addirittura coperti di piaghe, tutti in bilico tra la vita e la morte che in ogni momento della giornata si toccava per mano e dinanzi alla quale noi ci sentivamo inutili in mezzo a tanta sofferenza per non sapere cosa fare.

 

Frequentando per trenta giorni il centro e nutrendosi quattro volte al giorno con pasti completi di tutto ciò di cui ha bisogno l’organismo, in genere tutti i bambini si riprendono e tornano ad una certa normalità.

Il padiglione è gestito da suor Paola della Missione delle Suore Apostole del Sacro Cuore che ci ha ospitati a Nanoro. Suor Paola nel corso della giornata tiene delle lezioni alle mamme, insegnando loro come preparare le pappe, come utilizzare al massimo i prodotti che la natura offre, come curare i figli malati e come salvaguardare l’igiene dei bambini.

L’impatto con quell’ambiente per noi fu traumatizzante. Se prima ci sembrava di avere toccato con mano l’Africa dell’immaginazione, adesso constatammo di averne toccato la parte più intima del suo cuore.

 

È stato il nostro un soggiorno vissuto nell’apprensione e nell’afflizione, continuamente a contatto con bambini che ti chiedevano tutto e che necessitavano di essere tirati fuori da quell’abbandono istituzionalizzato dall’indifferenza generale dinanzi alla quale però noi non riuscivamo a restare indifferenti.

Ci chiedevamo cosa si potesse fare ma non andavamo al di là di soluzioni elementari quali quella di offrire un aiuto economico, un vestito, una maglietta. I più fortunati provavano un momento di gioia, un attimo di sollievo perché divenivano oggetto dalla nostra attenzione, e gli altri ? Per i tanti altri che spuntavano improvvisamente dalla savana quando offrivamo qualche caramella che sembrava fare l’effetto di una campanella, non trovavamo nulla da fare. Questa impossibilità ci tenne sovrappensiero fino al nostro rientro a casa.

Quivi portammo tanti filmati e tante foto che mostrammo agli amici accompagnati dal racconto delle nostre sensazioni.

 

 L'idea dell'asilo

Dopo qualche giorno dal rientro divenimmo il centro dell’attenzione e della curiosità. Tanti ci chiedevano notizie e particolari della esperienza africana che noi proponevamo con emozione e calore. Evidentemente ciò che noi raccontavamo produceva tanta sensazione che ogni giorno richiamava verso di noi altre persone e altra attenzione.

Incoraggiati da ciò e dalle continue richieste di adozioni a distanza che ci venivano fatte continuamente, allora pensammo di dare a noi stessi una risposta all’interrogativo che spesso ci eravamo posti a Nanoro, a contatto con quella realtà sventurata e a quei bimbi sfortunati: Cosa si può fare.

Ci dicemmo che con una, dieci, venti adozioni a distanza avremmo potuto se non risolvere almeno attenuare la situazione di poche persone, con la costruzione di una struttura invece avremmo potuto aiutare invece un’intera comunità. Da docenti pensammo che la costruzione di un asilo avrebbe trasformato l’esistenza di tanti bambini che di fatto noi trovammo sparsi per i viottoli della savana, sporchi e abbandonati, col rischio di vederli morire di fame.

Ipotizzammo una spesa di 250 milioni per costruire una struttura capace di accogliere fino a 500 bambini secondo gli standard del luogo e per reperirli sensibilizzammo un gruppo di amici perché ci impegnassimo a trovare 200 adozioni di 600 mila lire annue per due anni, da pagarsi in 26 rate da 50.000 lire mensili o in 13 rate da 100.000 lire.

In poco tempo si mise in moto una catena di solidarietà che fece fioccare le adesioni in grande quantità. Allora per formalizzare l’iniziativa e la conseguente gestione delle somme che ogni giorno aumentavano considerevolmente, IL 21 gennaio 1995 costituimmo L’ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO PRO " UN ASILO IN BURKINA FASO " con sede a Ravanusa, coinvolgendo amici e conoscenti non solo di Ravanusa ma anche di Canicattì, Campobello di Licata, Licata, San Cataldo, Caltanissetta, Palermo, Roma. Genova, Milano e tanti altri centri dove potesse esserci un amico che si potesse sensibilizzare. La soddisfazione più grande dell’Associazione è stata il coinvolgimento nell’iniziativa di alcune Scuole, associando così migliaia di giovani studenti e scolari in uno slancio di solidarietà che ancora oggi si manifesta attraverso l’adozione che alcune classi stanno curando.

 

La posa della prima pietra

In poco meno di un anno avevamo raggiunto la quota di 200 soci che crescevano sempre più e nell’agosto del 1996, a distanza di due anni dal nostro viaggio, ritornammo a Nanoro per porre la prima pietra del costruendo Asilo che è stato ampliato nel progetto in relazione alle somme raccolte che alla fine hanno superato le nostre previsioni e le nostre aspettative.

 

 

 

L'inaugurazione

Il 13 dicembre 1998, a quattro anni dalla costituzione dell’Associazione, i coniugi Gina e Diego Termini, accompagnati dai loro figli Lisa e Sergio e da altri sei amici, hanno inaugurato l’Asilo che hanno denominato ECOLE MATERNELLE DE LA SOLIDARITÉ – CADEAU DE LA SICILE.

 

 

 

La cerimonia ha coinvolto le autorità civili, politiche e religiose dello stato di Burkina Faso ed ha raccolto la gioia e il tripudio dell’intera collettività del Villaggio di Nanoro che già sin dall’apertura ufficiale dell’Asilo, avvenuta il 23 novembre 1998 ha cominciato a vedere i propri figli trasformati nel corpo e nello spirito, ordinati in un’aula scolastica con igiene e nutrizione ed avviati ad un avvenire più umano e più civile di prima ed al riparo di malattie e di deviazioni.

Dall’apertura l’Asilo ospita già 120 bambini, molti dei quali si sostengono con le adozioni a distanza. Tale numero deve aumentare fino a 500 ma ciò richiede che le adozioni aumentino. Con 300 mila lire annue, pari a circa 900 lire al giorno, si può salvare un bambino dalla fame, dalle malattie e dall’abbandono.

 

 

 Appello

Da questo mezzo noi vogliamo lanciare un appello a tutte le persone di buona volontà di volere sottoscrivere un’Adozione a distanza, o provvedendo direttamente inviando la somma di lire 300.000 in euro alla direttrice della missione delle Suore Apostole del Sacro Cuore, Suor Ester Carolina De Falco - B.P. 3512 – 01 OUAGADOUGOU, Burkina Faso Africa, con vaglia internazionale, in unica soluzione od anche in due, o tramite L’ASSOCIAZIONE " UN ASILO IN BURKINA FASO, Corso A. Moro 69, 92029 RAVANUSA (AG) a mezzo c.c.p. n. 10504926.

Se lo slancio di generosità fino ad ora riscontrato continuerà tanti bambini indifesi potranno ritrovare quel sorriso che fino ad oggi la sorte a loro negato.

 Per maggiori informazioni è a disposizione il seguente

e-mail : Lisatrm@mailcity.com