Il Sole 24 Ore, 28 aprile 2002

 

Socialisti e liberali non sanno cos’è l’uomo

di Mario Ricciardi

 

Per J.S. Mill i conservatori erano «il partito più stupido». Non si può dire che questa affermazione, ancora oggi citata, fosse del tutto accurata. Alcuni dei leader conservatori dell’epoca erario tutt’altro che degli sciocchi, basti pensare a Lord Salisbury o, più di recente, a A.J. Balfour. Del resto, lo stesso Mill era consapevole dell’esistenza di limiti a questa generalizzazione, e precisò il suo pensiero aggiungendo che «non tutti i conservatori sono stupidi, anche se gli stupidi tendono a votare conservatore», C’è qualcosa, oltre La polemica politica, che può spiegare, e rendere in parte plausibile, l’affermazione di Mill? La lettura delle difese dei conservatorismo, da quella di Hugh Cecil a quella di Lord Hailsham, sembra motivare una risposta affermativa. In effetti, i conservatori inglesi hanno sovente rifiutato di articolare una filosofia del conservatorismo, per ricorrere piuttosto a un appello — non sempre persuasivo — alla tradizione, all’identità o alla religione come fattori che dovrebbero in qualche modo produrre un atteggiamento conservatore. L’unica eccezione nel novecento è Michael Oakeshott. che però ha presentato i suoi argomenti in un lessico in buona parte di sua invenzione, rifiutando di confrontarsi con la filosofia politica contemporanea. La pubblicazione di The Meaning of Conservatism di Roger Scruton è dunque una novità da salutare positivamente perché riempie un vuoto significativo. Il libro di Scruton (pubblicato per a prima volta nel 1980, ma interamente riscritto per questa edizione) si presenta come una difesa del punto di vista conservatore. che cerca di distinguerlo non solo (come sarebbe ovvio) dalle diverse versioni del socialismo, ma anche (e questa è la parte più interessante) dal liberalismo.

L’idea di fondo di Scruton è che socialismo e liberalismo dipendono entrambi per la loro plausibilità da un resoconto inadeguato della natura umana, e in particolare dal mancato riconoscimento dell’importanza del legame sociale per una vita dotata di significato. Conservatori e liberali sono alleati solo contingenti, perché entrambi si oppongono alle utopie totalitarie. Ma quando l’enfasi liberale sulla libertà di scelta degli individui come valore fondamentale li porta a sostenere politiche che minacciano i presupposti stessi delta vita comune, le strade devono dividersi. Per il lettore italiano è di particolare interesse il capitolo sull’alienazione e l’economia di mercato, dove Scruton mostra in modo persuasivo la valenza conservatrice (dunque positiva, dal suo punto di vista) di alcuni argomenti contro quei liberisti che non ammettono limiti morali per lo scambio. Di molto altro si discute nel libro, dalla costituzione alla proprietà privata, dalla teoria della pena all’importanza delle società intermedie. Non c’è dubbio che, in una situazione come quella attuale, una traduzione italiana sarebbe benvenuta e potrebbe contribuire alla chiarificazione delle idee più di decine di talk show.

 

Roger Scruton, «The Meaning of Conservatorism», Polgrave, London 2001, pagg. 206 £14.99