Il Tempo, lunedì 10 gennaio 2000
di Giuseppe Sermonti
Sono anni che mi batto contro l’Evoluzionismo, e per
necessità dialettica ho fatto quasi
finta di credere che si trattasse di una Teoria Scientifica. In realtà
all’Evoluzionismo manca una cosa per essere oggetto scientifico: una
formulazione. Le definizioni di Evoluzione, che si trovano nei vocabolari
letterari, sono esattamente quello di cui gli scienziati non vogliono sentir
parlare. Il Devoto-Oli ha: “…passaggio lento e graduale degli organismi
viventi da forme inferiori e
rudimentali a forme sempre più complesse”. Sbagliato, dichiarano gli scienziati
di Harvard; l’evoluzione organica è una forma di adattamento locale che non
implica alcuna forma di progresso. Poi ci ripensano e concludono che
“adattamento” non significa nulla. Vuol dire “sopravvivenza”, così che la
migliore definizione dell’Evoluzione è la “sopravvivenza dei sopravvissuti”. Se
cercate nei glossari dei testi scientifici una definizione di Evoluzione potete
trovarvi di fronte qualcosa del genere: “cambiamento di frequenze geniche in
una popolazione, a buon diritto vi sentirete presi in giro, convinti come siete
che l’evoluzione è qualcosa che dovrebbe consentire di passare da un batterio a
una tigre, e non un’operazione statistica.
Ma allora che
cos’è l’Evoluzionismo? E’ l’ovvietà secondo cui, se le cose ci sono, e un tempo
non c’erano, in qualche modo e a un certo punto devono pur essersi formate, e
il modo più banale e inoffensivo è quello di essersi formate un po’ per volta,
gradatamente, passando dall’una all’altra. Questo vale per le nebulose, per gli
organismi, per le lingue, per le culture, per gli strumenti musicali, per la
tecnica, per tutto. Tale convinzione contiene l’ottimismo dell’ignorante,
secondo cui all’inizio c’era l’amorfo e l’approssimato e poi è venuta l’opera
raffinata; cioè l’idea che l’uomo sia nato dalla scimmia, un po’ per volta, per
adattamenti, per tentativi. Fatto di cui non esiste l’ombra d’una prova, e non
esiste la facoltà di dubitare.
Ma veniamo
alla inveterata abitudine verbale dell’evoluzionista ad usare locuzioni come “ancora non c’era”, o “già c’era”, o “in
via di sviluppo”, che presuppongono un fatale e progressivo svolgersi
dell’essere verso il meglio, ancorché
la teoria non lo preveda. Trasferendo alla nostra cultura la sua fede,
l’evoluzionista si scandalizza che nel duemila “siamo ancora a questo punto”.
Di fronte ad
ogni problema, è sempre stato un buon precetto quello di non adottare la prima
soluzione, quella a portata di mano, la più felice. Ebbene, proprio l’adozione
dell’ovvio “è” la ricetta dell’evoluzionista. Non richiede alcuna conoscenza,
cultura, acume, può essere sostenuta da un analfabeta che di Darwin sappia solo
che aveva la barba… Egli è autorizzato a sorridere con sufficienza se uno
scienziato dubita che l’uomo discenda dalla scimmia. E da dove sennò? L’idea
del progresso automatico esime dal problema di come improvvisa e solitaria
emerge la grandezza. Giorgio De Santiliana (Il Mulino di Amleto) accusò questo
“soporifero” gradualismo di essere la tenda sotto la quale nascondiamo la
nostra ignoranza della storia.
Forse la più
grave responsabilità culturale dell’evoluzionismo è proprio la generale opacità
che esso ha disteso sulla realtà. Esso ha adottato il malvezzo, che Darwin ha
inaugurato e i suoi seguaci sviluppato, di introdurre le affermazioni con
dubitativi. “Forse”, “potrebbe anche essere”, “non si può escludere”, “si può
suggerire”, “sarebbe ance possibile”, e così via. Questo fraseggiare esonera
dal portare prove, dal presentare argomenti. In questo modo la nostra povera
immaginazione oscura tutto il meraviglioso, tutta l’imprevedibilità, tutta
l’inaudita sfrontatezza con cui la natura compie le sue opere. Il mondo è
andato come è andato, ma avrebbe potuto andare in qualunque altro modo,
naturalmente anche senza di noi, senza la Terra e senza il mondo. Per questo,
poco ci sorprende e poco ci interessa di come sia realmente andato. Il mondo
degli evoluzionisti è un mondo in cui
tutto cambia, senza che succeda mai nulla. In cui i problemi non si risolvono
perché non ci sono, e questa è la soluzione di tutto. Un mondo virtuale.
Il duemila si apre con l’Ingegneria Genetica, che è una distruggitrice di misteri e di incanti molto superiore ai “potrebbe essere” dell’Evoluzione. Il Faust che costruisce l’uomo in provetta se la ride di come Iddio o la Natura si siano industriati a costruire Adamo. Un’autorevole rivista inglese (New Scientist) ha intestato il suo fascicolo “Evolution is dead” (l’Evoluzione è morta). E argomenta così: che cosa può importarci più della decrepita Evoluzione quando le specie cambiano sotto le nostre mani in pochi giorni? Non abbiamo più bisogno di Dio, ma neppure della Natura, cioè di quella dea baschereccia, che abbiamo tenuto in carica in attesa di prendere il potere direttamente in pugno? Ma l’Ingegneria Genetica funzionerà? Personalmente, ne dubito. I biologi stanno imparando ad usare i computer, e si prepara il trionfo di un altro tipo di ingegneria: la realtà Virtuale. L’evoluzione degli organismi virtuali è la biologia del futuro. Senza Dio, senza natura, senza Realtà.