Petroliere e disastri ecologici

Alcuni fatti noti e meno noti.

Antonino Rallo, dicembre1999

Alle  sei del mattino di domenica 12 dicembre 1999, a 60 miglia al largo della Bretagna, la petroliera Erika, 26 uomini di equipaggio, di nazionalità indiana, si è spezzata in due ed è affondata assieme a 26.000 tonnellate di greggio. La nave, registrata sotto bandiera di comodo maltese, era gestita dalla Pan Ship di Ravenna ed apparteneva alla "Tevere Shipping",  con uffici alla Valletta e il cui controllo farebbe riferimento ad un paio di società di Monrovia, Liberia. Dietro questa serie sconcertante di scatole cinesi sembra si nasconda un armatore semiconosciuto,la famiglia Savarese di Meta di Sorrento.  Conosciutissima è invece la compagnia petrolifera che aveva noleggiato la carretta: la Total-Fina. La multinazionale, come da copione, ha prontamente dichiarato di non essere responsabile del disastro, scaricando tutte le responsabilità sul malcapitato comandante della nave, prontamente arrestato non appena tratto in salvo assieme al resto dell'equipaggio. In un comunicato stampa di due giorni dopo, il WWF sottolineava come " cinque degli ultimi dieci disastri ambientali di dimensioni planetarie provocati da petroliere sono accaduti nella fascia costiera che si estende dalle isole Shetland alla costa nord occidentale della Spagna."

Nel 1967, ad esempio, la Torrey Canyon riversò 119.000 tonnellate di petrolio greggio tra le isole Shelley e la costa britannica. Non andò meglio nel marzo del 1978, quando l'Amoco Cadiz, con equipaggio italiano, scaricò ben 230.000 tonnellate di greggio sulla costa brettone. L'incidente sembra essere stato provocato dalla esitazione del comandante a chiedere soccorso ai rimorchiatori. Per risparmiare poche migliaia di dollari per la propria compagnia, l'ufficiale provocò un pauroso danno ambientale di diverse migliaia di miliardi, rimborsato solo in minima parte alle comunità che lo avevano subito. Nel dicembre 1992 l'Aegean Sea riversò in mare 80.000 tonnellate di greggio al largo di la Coruna, nella Spagna nord occidentale. Lo scempio causato alle coste ed alla fauna marina non si arrestò nemmeno allora: nel gennaio 1993 la Braer  vomitò 84.500 tonnellate di petrolio a sud delle isole Shetland, uno dei più importanti santuari della fauna marina del Mare del Nord. Ancora petrolio in mare nel febbraio 1996 uscì dalle cisterne della Sea Empress ( 65 milioni di litri), incagliatasi vicino al porto di Milford, in Galles. Altri danni inestimabili, altra fuga dalle responsabilità da parte delle società petrolifere, che ancora una volta si rifugiarono dietro il nome di compagnie di navigazione semisconosciute che operano con equipaggi sottopagati e stressati sotto bandiere ombra di paesi compiacenti come Panama, Liberia, Cipro ed ultimamente anche Malta. Il piccolo paese mediterraneo, infatti, è diventato  l'approdo di un numero crescente di armatori, per lo più italiani, senza scrupoli e spesso senza mestiere, che sotto quella bandiera immatricolano scafi malconci spesso  certificati da enti come il nostro RINA (Registro Italiano Navale).  Nel caso della Erika,  la nave era stata ispezionata e  dichiarata in grado di navigare nel porto di Varna, in Bulgaria agli inizi di novembre da ingegneri che avevano lavorato con una certa superficialità, ad essere generosi. Per loro la nave era a posto.   Tanto a posto che poche settimane dopo lo scafo si è spezzato in due. Vale la pena di ricordare che, secondo fonti tedesche, la nave era stata già scartata dalla Shell per problemi strutturali e carente manutenzione. Dopo aver tentato di lavarsi le mani, la Total-Fina, dietro pressione di un'opinione pubblica esasperata, ha promesso di pagare i danni. In che misura, si vedrà.

Negli anni passati gli avvocati delle multinazionali del petrolio che avevano noleggiato le navi incriminate sono riusciti a scaricare la colpa dei disastri ecologici su armatori sfuggenti che operano in paradisi fiscali. La cosa non è più sostenibile. Da quando gli Usa hanno imposto alla Esso di pagare in toto i danni per la distruzione di un intero ecosistema di un'ampia zona dell'Alaska nel 1989 da parte della petroliera Exxon Valdez, la strada è aperta. Ai governi europei spetta la responsabilità di individuare e punire i mandanti dei continui disastri ecologici che stanno massacrando le coste europee: le stesse società petrolifere. Solo allora gli armatori di vecchie carrette, le assicurazioni compiacenti, gli enti di certificazione faciloni ed i paesi che mettono le loro bandiere a disposizione di avventurieri senza scrupoli si metteranno in riga.Senza  questa tardiva presa di responsabilità , assisteremo impotenti allo scempio delle nostre coste. E' uno spettacolo che non possiamo continuare a permetterci.

petrol1.jpg (18399 byte)