L’ultrasonografia ossea nello studio dell’osteoporosi

Mondavio M., Giuso R., Ragusa G. Medicina Subalpina ,1998; N. 3, ottobre, pag. 11.

 

Introduzione

 

L’osso è costituito da una parte minerale che rappresenta il 65% e da una parte organica che rappresenta il 35%.

Le indagini strumentali classiche (densitometria a singolo raggio fotonico, DXA, QCT ecc.) valutano quantitativamente la parte minerale ma non la parte organica che sicuramente svolge un ruolo importante nella resistenza al trauma in quanto è fondamentale per l’architettura globale e per l’elasticità dell’osso.

Numerosi studi hanno dimostrato che esiste una elevata correlazione fra densità minerale ossea e rischio di frattura, ma alcuni pazienti con normale massa ossea vanno incontro a fratture di tipo osteoporotica, mentre altri con densità minerale ossea  nettamente ridotta non presentano fratture.

E’ probabile, quindi che una combinazione di informazioni sulla struttura dell’osso (anche sulla componente organica e sulla qualità) possa essere un più sensibile indicatore del rischio di frattura rispetto alla sola valutazione quantitativa della densità minerale.

L’uso dell’energia acustica sotto forma di ultrasuoni è stata proposta negli ultimi anni come metodica utile per il raggiungimento di questi obiettivi.

 

Natura degli ultrasuoni

 

Gli ultrasuoni hanno la capacità di fornire informazioni su diverse proprietà dell’osso in quanto interagiscono in maniera totalmente differente rispetto agli altri tipi di radiazioni.

Gli ultrasuoni differiscono dalle radiazioni elettromagnetiche in quanto sono di natura meccanica e come tali non si propagano nel vuoto ma solo attraverso mezzi materiali.

L’ultrasonografia ossea o ecografia ossea quantitativa (QUS) misura la velocità degli ultrasuoni attraverso l’osso e le variazioni dell’onda ultrasonica valutando la resistenza meccanica dell’osso in base alla formula (V2=E/M) che mette in relazione il modulo elastico dell’osso (E) con la massa (M) e la velocità di propagazione del suono (V).

L’ultrasonografia viene utilizzata per studiare l’osso in alcune sedi periferiche  caratterizzate da un elevato contenuto di osso trasecolare e da un ridotto spessore delle parti molli soprastanti: calcagno, falangi, tibia, rotula ecc. Lo studio del femore e del rachide presenta dei problemi tecnici: a livello del collo femorale è difficile discriminare la struttura ossea dalle strutture muscolari circostanti; le onde ultrasoniche quasi totalmente riflesse dall’aria per cui inizialmente non era possibile studiare con questa metodica la colonna dorsale e lombare (l’aria contenuta nei polmoni e nell’intestino costituiva un ostacolo insormontabile alla trasmissione degli ultrasuoni).

 

La “Densitometria” ossea ad ultrasuoni

 

A differenza delle altre tecniche gli ultrasuoni non misurano la densità minerale dell’osso quindi quando viene associato agli ultrasuoni il termine “densitometria” non è corretto mentre appare più appropriato il termine “ultrasonografia ossea”.

Le densitometria classiche si basano sull’assorbimento di radiazioni e dosano il contenuto a livello delle ossa di elementi ad elevato peso atomico (prevalentemente il calcio) mentre non danno informazioni sulla componente proteica ossea.

L’ultrasonografia ossea può essere utile per una valutazione qualitativa dell’osso oltre che quantitativa. La disposizione delle lamella ossee e la loro elasticità dipendono principalmente sulla componente proteica (fibre collagene immerse nella matrice fondamentale).

L’ultrasonografia ossea misura:

-         la velocità degli ultrasuoni attraverso l’osso espressa in m/s

-         l’attenuazione delle onde ultrasoniche espressa Db/mhz

-         la stiffness o “quantitative ultrasound index” (QUI) che rappresenta una combinazione degli altri due parametri.

L’ultrasonografia ossea non è dannosa per il paziente e per l’operatore in quanto non utilizza radiazioni ionizzanti ; l’esecuzione dell’esame è rapida semplice ed economica; lo strumento è trasportabile; il costo d’acquisto e di gestione dello strumento è contenuto rispetto ai densitometri classici.

Si tratta quindi di una tecnologia diagnostica non invasiva ed accessibile potenzialmente adatta allo screening della malattia osteoporotica.

 

Apparecchi ad ultrasuoni: strumenti e precisione

 

Gli strumenti utilizzati nell’ultrasonografia ossea sono numerosi per la notevole varietà tecnologica rispetto alle classiche metodiche di densitometria ossea; questo fatto mentre da un lato è un indicatore di elevata potenzialità degli ultrasuoni, dall’altro rappresenta un problema nella standardizzazione dei risultati.

Come già accennato anche le sedi di effettuazione dell’esame sono diverse.

Le apparecchiature in commercio sono:

-         sistemi fissi a trasmissione in un singolo punto, che studiano il calcagno immerso nell’acqua o con gel come mezzo di trasmissione;

-         sistemi a trasmissione che studiano il calcagno nell’acqua con possibilità di visualizzazione dell’immagine;

-         sistema che studia le falangi della mani a livello della metafisi distale con un gel come mezzo di trasmissione;

-         sistema che valuta la velocità del fascio ultrasonografico nella tibia corticale utilizzando come mezzo di trasmissione un gel.

Altre apparecchiature, meno diffuse, utilizzano l’osso a livello della rotula, dell’ulna ed infine anche segmenti assiali come la colonna vertebrale ed il collo femorale.

La precisione di queste metodiche è buona a breve termine anche se presenta un coefficiente di variazione superiore rispetto alle tecniche densitometriche.

Gli studi sulla precisione a lungo termine sono scarsi come pure limitati quelli sul comportamento dei parametri ultrasonografico nel tempo (curve di normalità nella popolazione).

Sono necessari quindi ulteriori studi di precisione e di confronto tra le varie apparecchiature, poiché attualmente i dati ottenuti da uno strumento, in analogia alle varie tecniche densitometriche, non sono confrontabili con quelli ottenuti da apparecchiature differenti.

 

Applicazioni cliniche dell’ultrasonografia ossea nell’osteoporosi

 

Gli studi sugli ultrasuoni nell’osteoporosi sono notevolmente aumentati in questi ultimi anni ed hanno consentito di acquisire un gran numero di dati caratterizzati da risultati incoraggianti ma non conclusivi.

Gli strumenti utilizzati per questi studi sono vari ma i dati più significativi sono stati raccolti con quello che prende in esame il calcagno immerso in acqua.

Lo strumento è costituito da una vasca in cui viene posizionato il calcagno e da due trasduttori, uno emittente e l’altro ricevente tra i quali viene posto il segmento osseo che deve essere esaminato (la distanza tra i due trasduttori è fissa).

L’esame viene effettuato in acqua a temperatura costante (37°) per evitare variazioni nella trasmissione dell’onda ultrasonica che viene influenzata dalla temperatura.

Le aree potenziali di applicazione clinica degli ultrasuoni sono tre:

  1. Diagnosi di osteoporosi
  2. Previsione del rischio di frattura
  3. Monitoraggio

1)      Studi cross sezionali e prospettici hanno evidenziato una stretta associazione tra parametri misurati con gli ultrasuoni ed osteoporosi ma non c’è accordo su come devono essere interpretati i risultati. In futuro è possibile che siano escogitati criteri simili a quelli utilizzati per la densitometria ossea (confronto con giovani adulti al picco di massa ossea T-score e con coetanei Z-score).

2)      L’ultrasonografia ossea a livello del calcagno può essere utilizzata per la previsione del rischio di frattura del collo femorale nella donna anziana. La previsione del rischio è simile a quella che si ottiene con la DXA ed è indipendente dal rischio previsto con la misurazione della densità minerale. Utilizzando congiuntamente gli ultrasuoni e la DXA migliora la previsione del rischio di frattura. Per la validazione della ultrasonografia ossea sono necessari altri studi sulla previsione del rischio di frattura nelle donne in età post-menopausale.

3)       A causa della limitata esperienza l’uso dell’ultrasonografia nel monitoraggio dell’osso nel tempo (variazioni spontanee o in rapporto alla terapia) non può ancora essere raccomandato. Alcuni studi preliminari hanno evidenziato miglioramento dei parametri misurati con gli ultrasuoni in seguito a terapia estrogenica o con calcitonina, altri hanno evidenziato diminuzione significativa dei parametri con l’età e nel corso della gravidanza, altri ancora un incremento progressivo durante l’età evolutiva. Per una validazione dell’uso degli ultrasuoni nel monitoraggio è necessario però che vengano portati a termine studi più ampi. Il monitoraggio dell’osso nel tempo deve essere effettuato con la stessa metodica in quanto al momento attuale, nonostante alcuni studi con dati preliminari spesso favorevoli, non è possibile correlare tra di loro i risultati ottenuti con le varie apparecchiature. Questo è in rapporto al fatto che le varie metodiche ultrasonografiche anche tra di loro, ma soprattutto nei confronti delle varie tecniche densitometriche misurano parametri diversi in segmenti scheletrici quasi sempre diversi.

 

Conclusioni

 

Allo stato attuale delle conoscenze gli ultrasuoni possono essere utilizzati nella previsione del rischio di frattura nelle donne anziane. Le altre applicazioni cliniche necessitano di ulteriori studi e conferme. L’ultrasonografia ossea nonostante i promettenti risultati deve essere considerata una metodica diagnostica in corso di validazione attualmente complementare alle tecniche densitometriche (DXA in particolare).