Endocrinologia – Centro
Osteoporosi (dr. Ragusa Giorgio)
U.O. Medicina
Interna
P.O.
Scicli (RG)
Progetto Prevenzione
Osteoporosi
Ragusa, G. S.: Progetto prevenzione
osteoporosi. Sanità Iblea Anno III N° 5, 2004
Primi dati del Centro OP ad un
anno di inizio dello screening.
L’OP è considerata una delle
emergenze sanitarie più importanti da affrontare nei primi dieci anni del
Sono 4 milioni le italiane
colpite da OP, e più di 10 milioni quelle ad alto rischio di ammalarsi; per cui , specie per le conseguenze cui può esporre, sta
assumendo le caratteristiche d’una vera piaga sociale.
La parola d’ordine è
diagnosi precoce, per evitare fratture invalidanti tra cui quelle
vertebrali, che sono le più gravi, mentre le più frequenti sono quelle del
femore e polso ( il 12% in Europa le fratture
vertebrali).
L’OP può essere classificata in
due grossi gruppi: la primaria e la secondaria.
L’OP primaria è caratterizzata
dall’assenza di altre malattie ( o terapie ) in grado
di provocare riduzione della resistenza ossea e quindi le fratture: in questo
gruppo è compresa l’OP postmenopausale, l’involutiva (senile) e l’idiopatica
giovanile.
L’OP
secondaria è conseguenza dell’impiego di farmaci o della presenza di numerose
malattie, quali quelle dell’apparato gastroenterico, endocrine,
immuno-reumatologiche, deficit nutrizionali, polmonari, renali, ematologiche;
oltre ad altre condizioni quali l’ipercalciuria idiopatica, l’immobilizzazione
prolungata; tra i farmaci in primo luogo sicuramente i cortisonici, poi la
tiroxina in dosi soppressive specie in postmenopausa, i chemioterapici, gli
anticonvulsivanti.
Sono per la maggior parte
patologie evidenti clinicamente, ma ne esistono altre o
le stesse allo stadio preclinico che per essere evidenziate sono sufficienti
pochi semplici esami ematici economici e di largo utilizzo , quali in primo
luogo la calcemia, fosforemia, fosfatasi alcalina e
calciuria delle 24 ore o quella del mattino a digiuno
corretta con la creatinina.
Casi di
iperparatiroidismo primitivo sono stati evidenziati proprio con il
semplice esame della calcemia e fosforemia, dove
all’anamnesi può esserci ,ma solo in pochi casi, una calcolosi renale
recidivante, spesso è clinicamente silente ma ha già provocato dei danni osteoporotici fin’anche la frattura vertebrale.
La fosfatasi alcalina, specie
se elevata in modo isolato, deve portare il medico ad indagare verso patologie
sottostanti che spesso sono facilmente curabili.
Da aggiungere,a questi esami del metabolismo osseo, il protidogramma,
Questa semplice procedura permette di
fare un buon inquadramento clinico, evitando di incorrere in diagnosi affrettate
ed in trattamenti terapeutici impropri.
Questo è l’approccio adottato,
che è poi quello indicato dalle Società Internazionali di
Osteoporosi fra cui anche
Dai dati raccolti in questi
primi mesi di attività di screening, le condizioni patologiche
più frequenti associate all’osteoporosi sono in primo luogo la menopausa precoce
(spontanea o chirurgica), le affezioni del sistema digerente ( epatopatie e malassorbimento),
seguite dalla magrezza e
dall’ipertiroidismo.
Alla prima osservazione clinica
una buona percentuale di donne presentava riduzione di statura e fratture
ossee.
Dei farmaci a rischio per OP
di gran lunga quelli più utilizzati sono i cortisonici
per lungo periodo e a dosaggi elevati, seguiti dagli anticoagulanti,
chemioterapici e dalla tiroxina a dosi soppressive quasi sempre per noduli
tiroidei.
Delle donne di Scicli esaminate
sono quasi la metà quelle interessate da una riduzione più o
meno grave della densità minerale ossea (397 su
904).
Le affezioni gastroenteriche
sono quelle a cui si pensa meno essere responsabili di
osteoporosi, ed ancor meno viene presa in considerazione una malattia, la
celiachia, che purtuttavia
in Italia ha una frequenza di 1: 100 – 1: 150 abitanti e circa ½ milione di persone ne soffrono; si auspica che una maggiore sensibilità
porti all’aumento delle persone a cui venga diagnosticata ( 9/10 non sanno di
esserlo) in modo da attuare una diagnosi precoce e prevenzione delle complicanze
( osteoporosi precoce, linfoma intestinale, sterilità ed aborti
ripetuti).
Ciò richiama l’attenzione
all’importante condizione patologica che è l’ipovitaminosi D, molto frequente ma
altrettanto misconosciuta, specie nella popolazione più anziana; oltre al malassorbimento intestinale entrano in gioco l’inadeguata
esposizione solare, la malnutrizione, le malattie renali, la grave insufficienza
epatica, i farmaci anticonvulsivanti.
Tra i farmaci
i corticosteroidi sono sicuramente i più nocivi all’osso; sono impiegati
in svariate malattie immunitarie quali l’artrite reumatoide, il LES, le collagenopatie; ma anche nell’asma bronchiale, la broncopneumopatia cronica ostruttiva, i trapianti d’organo.
Sono colpiti sia uomini che donne anche in età giovanile contrariamente all’OP
postmenopausale, se utilizzati a dosi elevate e per lunghi periodi ( > 5
mg/al giorno di prednisone equivalente per più di tre
mesi), con rapida perdita della massa ossea; riducono l’assorbimento di calcio a
livello intestinale e a livello renale, riducono l’attività degli osteoblasti (
cellule che formano l’osso) ed aumentano quella degli osteoclasti ( cellule che
distruggono l’osso); inoltre a parità di risultato densitometrico, i pazienti
trattati cronicamente con cortisonici hanno un rischio di frattura molto
maggiore.
I farmaci più efficaci si sono
dimostrati i bisfosfonati da utilizzare il più precocemente possibile e
continuando per tutto il periodo del trattamento cortisonico, monitorando il
quadro osseo con l’esecuzione di un esame densitometrico
annuale.
La tiroxina a dosaggi
soppressive ( in casi di Ca tiroideo o per rallentare la crescita di noduli
normofunzionanti) ed uno stato tireotossico eclatante o anche subclinico,
determinano un’osteoporosi ad alto turnover dove è
aumentato sia il riassorbimento osseo ed in grado minore la neoformazione, oltre
a provocare aritmie cardiache specie nelle persone in postmenopausa ed
anziane.
Che l’ipertiroidismo
clinicamente eclatante aumentasse il turnover osseo ed il rischio di fratture
era ben conosciuto da tempo, solo recentemente invece
si è data attenzione al fatto che anche la terapia soppressiva con tiroxina, che
determina uno stato tireotossico subclinico, abbia lo stesso
effetto.
La tireotossicosi subclinica
presenta bassi livelli ematici di TSH con normale FT4 e FT3, che può essere dovuta oltre alla terapia soppressiva anche a malattia
tiroidea.
La terapia con tiroxina a
dosaggi tali da mantenere il TSH ai livelli bassi della norma viene utilizzata ,fra l’altro, nei noduli tiroidei; il
razionale di questo trattamento è basato sull’evidenza che il TSH è il
principale stimolatore della funzione e crescita della tiroide, quindi ci si
attende che la sua soppressione rallenti la crescita o riduca la dimensione dei
noduli.
Ma non è sempre così, anzi
nella maggior parte dei casi non si ha alcuna riduzione dei noduli e spesso si assiste
anche al loro graduale accrescimento. Comunque, questo
tema, sull’efficacia della terapia soppressiva, è molto controverso; ed in
letteratura sono molti gli studi che supportano ambedue queste
posizioni.
In una metanalisi di tutti gli studi pubblicati dal 1986 al 1996
(Mazzaferri) si vede che i noduli rispondono al
trattamento solo nel 10 – 20% dei casi, ed i dati non mostrano che la tiroxina
arresti l’ulteriore crescita o prevenga l’insorgenza di
nuovi noduli e non sembra che prevenga la ricorrenza di nuovi noduli nel postintervento, eccetto in pazienti con storia di
radioterapia.
Inoltre recenti studi indicano
che non è infrequente la spontanea riduzione dei noduli fino alla completa
scomparsa.
L’utilizzo della terapia con
tiroxina a dosaggi soppressivi per breve tempo ha suggerito questo
comportamento: i noduli che si riducono con la tiroxina sono benigni. Tuttavia,
per la presenza di recettori per il TSH nel tessuto tiroideo maligno, questo
tessuto può rispondere alla terapia soppressiva; ed
infatti il 13 – 15% dei carcinomi si riducono con la tiroxina, come la
mancanza di risposta non implica la presenza di malignità.
L’agoaspirato tiroideo con ago
sottile è considerato superiore alla tiroxina per distinguere i noduli benigni
dai maligni; in un’analisi di 18.000 casi l’agoaspirato ha mostrato una
sensibilità del 83%, una specificità del 92% ed un’accuratezza del
95%.
E’ importante tenere presente
che la tiroxina a dosaggi soppressivi utilizzata per lungo tempo può portare a
deleteri effetti sullo scheletro e sul sistema cardiovascolare; quest’ultimi consistono in aumento
della massa del ventricolo sinistro, aumento della contrazione, disfunzione
diastolica ed induzione di battiti ectopici atriali o aritmie.
L’AACE ( Associazione
Endocrinologi Clinici Americani) raccomanda di adottare un giudizio clinico
individuale circa il trattamento con tiroxina a dosaggi soppressivi, sempre
nell’interesse del paziente dopo aver considerato i rischi e i benefici e
ricorda che i meno candidati alla terapia sono i pazienti anziani specie in
postmenopausa e/o in presenza di
cardiopatie.
OP, vertebre deboli, fratture:
le pregresse fratture e la riduzione di statura sono state le manifestazioni più
frequenti pervenute alla nostra osservazione durante questa prima fase di
screening, ed al 14% circa delle donne sono state diagnosticate fratture
vertebrali; se si tiene presente che chi ha già subito una frattura è più
soggetto ad averne altre entro l’anno e successivamente
ad effetto domino, e che dal 50 al 65% delle fratture non arrivano ad una
valutazione clinica perché asintomatiche, che le donne in postmenopausa hanno un
rischio del 16% di subire una frattura vertebrale; che queste, specie se
multiple, si accompagnano ad una riduzione della qualità della vita a causa di
disabilità funzionali e ad aumento della mortalità valutata a 5 anni dall’evento
fratturativo rispetto alla popolazione di controllo, ci si rende conto della
enorme gravità e come sia importante individuare in tempo le deformità
vertebrali indipendentemente dalla sintomatologia clinica, oltre che
naturalmente all’auspicio di non arrivare mai alla frattura attuando una buona diagnosi
precoce.
Per le condizioni fratturative
già in atto e per interrompere la spirale : OP,
vertebre deboli, fratture, dolore, c’è una nuova cura; un’iniezione di cemento
con cui si ottiene la scomparsa del disturbo: è la metodica vertebroplastica
percutanea, si pratica un’iniezione attraverso un ago
metallico appositamente conformato di cemento a bassa viscosità, che si diffonde
all’interno del corpo vertebrale fratturato, prevenendo ulteriori cedimenti; si
ottiene una diminuzione del dolore con la possibilità di riacquistare la
mobilità, smettere di indossare il busto, ridurre o sospendere i farmaci
analgesici.
Un’altra metodica è la
cifoplastica, che rappresenta un’evoluzione della vertebroplastica; la tecnica
prevede prima della stabilizzazione del corpo vertebrale fratturato, la
correzione della deformità ottenuta mediante un palloncino sintetico che viene gonfiato all’interno del corpo vertebrale; si procede
quindi alla estrazione del palloncino e alla cementazione come nella
vertebroplastica.
Nell’isola del sole,
La parola d’ordine è diagnosi
precoce e correzione delle componenti modificabili:
supplementazione di calcio e vitamina D, buone
abitudini di vita, eliminare i fattori di rischio, apportare calcio nei primi 30
anni di vita perché influenza l’entità della massa ossea ed anche l’apporto di
calcio nell’età adulta.
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