LINEE GUIDA OSTEOPOROSI SIOMMMS 2006


Dr. Giorgio Ragusa

Endocrinologia: Diabete, Osteoporosi, Tiroide

Ospedale Scicli – (Ausl 7- Ragusa)


L’osteoporosi è una malattia sistemica dello scheletro caratterizzata da riduzione e alterazioni qualitative della massa ossea che si accompagnano ad aumento del rischio di frattura. Sono considerate “primitive” le forme postmenopausalie senili. Osteoporosi “secondarie” sono determinate da un ampio numero di patologie e farmaci.



Osteoporosi primitive: individuazione dei soggetti a rischio

L’osteoporosi e la frattura osteoporotica hanno una patogenesi multifattoriale.

Alcuni fattori aumentano il rischio fratturativo mediante la riduzione della

massa ossea (BMD) (sesso femminile, inadeguato apporto di calcio con la

dieta, scarsa attività fisica, menopausa precoce) altri aumentano il rischio o

le conseguenze di cadute (disabilità, abuso di benzodiazepine, fattori ambientali,

abuso alcolico) altri ancora agiscono sia sulla massa ossea che sul

rischio di cadute (età, fumo, basso peso corporeo, carenza di vitamina D).

Peraltro i fattori genetici giustificano circa il 70% del rischio di osteoporosi.

Tuttavia l’utilizzo di polimorfismi genetici per l’individuazione di soggetti geneticamente

a rischio appare al momento ingiustificato.





Fattori di rischio di fratture osteoporotiche

*Queste caratteristiche aumentano il rischio di frattura anche indipendentemente dalla densità minerale ossea


Sesso femminile

Menopause prematura

Età*

Amenorrea primaria o secondaria

Iogonadismo maschile primitive o

secondario

Etnia europea o asiatica

Storia di fratture atraumatiche*

Bassa densità minerale ossea

(BMD)

Trattamento cortisonico*

Elevato turnover osseo*

Famialiarità per frattura di femore*

Scarsa acuità visiva*

Basso peso corporeo*

Malattie Neuromuscolari*

Fumo di sigarette*

Eccessivo consumo di alcolici

Immobilizzazione protratta

Basso apporto di calcio

Carenza di vitamina



Elenco delle condizioni associate ad osteoporosi


Malattie endocrine

Ipogonadismo

Ipercortisolismo

Iperparatiroidismo

Ipertiroidismo

Iperprolattinemia

Diabete mellito tipo I

Acromegalia

Deficit GH

Malattie ematologiche

Malattie mielo e linfoproliferative

Mieloma multiplo

Mastocitosi sistemica

Talassemia

Malattie apparato gastro-enterico

Malattie croniche epatiche

Morbo celiaco

Malattie infiammatorie croniche

gastro-intestinali

Gastrectomia

Intolleranza al lattosio

Malassorbimento intestinale

Insufficienza pancreatica

Malattie reumatiche

Artrite reumatoide

LES

Spondilite anchilosante

Artrite psoriasica

Sclerodermia

Malattie renali

Ipercalciuria idiopatica renale

Acidosi tubulare renale

Insufficienza renale cronica


Altre condizioni

Broncopneumopatia cronica

ostruttiva

Anoressia nervosa

Emocromatosi

Fibrosi cistica

Malattie metaboliche del

collagene (osteogenesi

imperfecta, omocistinuria,

Ehlers-Danlos, Marfan, ecc.)

Trapianto d’organo

Alcoolismo

Fumo

Tossicodipendenza

Farmaci (oltre ai cortisonici):

ciclosporina, diuretici

dell’ansa, ormoni tiroidei a dosi

soppressive in postmenopausa,

anticoagulanti, chemioterapici,

anticonvulsivanti, agonisti

e/o antagonisti del GnRH

Immobilizzazione prolungata

Grave disabilità



Le osteoporosi secondarie

L’osteoporosi postmenopausale-senile va sempre distinta dalle forme secondarie

di osteoporosi. Le principali condizioni potenzilamente in grado di provocare

la comparsa di osteoporosi sono:

Malattie endocrino metaboliche (ipogonadismo, ipercortisolismo, iperpara-

tiroidismi, ipertiroidismo, anoressia mentale).

Malattie mielo e linfoproliferative.

Condizioni associate a malassornìbimento intestinale.

Malattie reumatiche (artrite reumatoide e psoriasica, LES).

Malattie renali ( ipercalciuria idiopatica, insufficienza renale cronica).

Malattie metaboliche del collageno (osteogenesi imperfetta).

Trapianto d’organo.

L’osteoporosi può conseguire all’uso di molti farmaci. Tra questi il più rilevante

è rappresentato dall’uso di dosi medio elevate di corticosteroidi. Possono

avere un ruolo rilevante anche gli immunosoppressori e la terapia cronica con

eparina.







Iter diagnostico per escludere forme

secondarie di osteoporosi



L’osteoporosi può essere secondaria a

molte patologie. La normalità dei semplici

esami riportati nelle tabelle esclude nel 90%

dei casi altre malattie o forme di osteoporosi

secondarie.

La scelta delle indagini per escludere forme

secondarie di osteoporosi è spesso irrazionale

(molti esami costosi del tutto inutili) e

non efficacemente concentrata sulle forme

secondarie più comuni e per altro verso

asintomatiche.




Esami di 1° Livello

VES

Emocromo completo

Protidemia frazionata

Calcemia

Fosforemia

Fosfatasi alcalina totale

Creatininemia

Calciuria 24h


Esami di 2° Livello

Transaminasi

TSH, FT4, FT3

Paratormone sierico

25-OH-vitamina D sierica

Cortisoluria/24 ore

Testosterone libero nei maschi

Elettroforesi proteine urinarie

Anticorpi anti-gliadina o anti-endomisio

o anti-transglutaminasi

Esami specifici per patologie associate

Marker specifico di turnover osseo


TABELLA 4.1

Il dosaggio dei markers del turnover osseo non appare al momento giustificato

per una valutazione clinica routinaria. La scelta delle indagini per escludere

forme secondarie di osteoporosi è spesso irrazionale (molti esami costosi del

tutto inutili) e non efficacemente concentrata sulle forme secondarie più comuni

e per altro verso asintomatiche.



Valutazione del trofismo osseo: tecnica DXA

Il trofismo scheletrico viene oggi valutato con diverse tecniche. La Densitometria

ossea valutata con tecnica DXA è da considerarsi la tecnica di elezione

nella valutazione della massa ossea. Questa tecnica consente di misurare la

BMD in tutti i siti scheletrici.

Una buona stima del rischio di frattura in donne in postmenopausa può essere

ottenuta dalle valutazioni DXA a livello di radio, calcagno, colonna e femore

prossimale. La valutazione densitometrica “total body” non ha sufficienti documentazioni

di predittività del rischio di frattura. Per ogni variazione di una

deviazione standard (circa il 10%) il rischio di frattura in ogni sito aumenta di

1.5-3 volte. In generale ogni sito misura più accuratamente il rischio di frattura

per quel sito. Tuttavia i valori densitometrici da soli non risultano al momento

sufficienti per identificare una soglia di trattamento; essi vanno correlati con

altri dati clinici e con fattori di rischio.



Valutazione del trofismo osseo: tecnica ultrasuonografica e QCT

Oltre alla DXA sono disponibili altre due tecniche di valutazione della massa

ossea: l’Indagine ultrasuonografica (QUS) fornisce due parametri (velocità ed

attenuazione) che sono indici indiretti di massa e integrità strutturale ossea ed

è misurata prevalentemente in due siti, le falangi ed il calcagno; la Tomografia

computerizzata quantitativa (QCT) consente di misurare oltre che BMC e

BMD anche la densità vera (g/cm3 di tessuto) a livello di substrutture ossee

(ad esempio componente trabecolare o corticale) e l’area sezionale.

La QCT non ha ancora sufficienti documentazioni in termini di predittività del

rischio di frattura perciò il suo utilizzo diagnostico non è giustificato.



TABELLA 5.2

Eventuale controllo densitometrico

non giustificato prima di:

Metodiche con CVs < 1 • DXA spina 1,5 anni

Metodiche con CVs = 1-2 • DXA femore 1,5-2 anni

Metodiche con CVs > 2 • Densitometrie periferiche

a raggi X o ad US (polso, calcagno, falangi) > 2 anni


TABELLA 5.3

individuazione dei soggetti a cui eseguire la densitometria ossea

Questa indagine è generalmente ritenuta utile nelle donne oltre i 65 anni. Nei

maschi e nelle donne di età inferiore l’indagine può essere di utilità solo in presenza

di determinati fattori di rischio o condizioni come: Menopausa precoce

(<45 anni), magrezza (<57 kg), tabagismo, uso di farmaci osteopenizzanti,

condizioni morbose potenzialmente in grado di provocare osteoporosi.



Monitoraggio dell’indagine densitometrica

La valutazione delle variazioni della massa ossea può essere utile per monitorare

l’efficacia di alcune terapie o per individuare soggetti che stanno

perdendo osso ad una velocità eccessiva. In considerazione della imprecisione

delle metodiche, la ripetizione dell’indagine è raramente giustificata

prima di 2 anni per l’indagine DXA. La QUS è ancora ritenuta non idonea al

monitoraggio del trofismo osseo.



Morfometria vertebrale (identificazione delle fratture vertebrali da fragilità)

Le fratture vertebrali da fragilità possono essere diagnosticate con il metodo semiquantitativo (SQ) o quantitativo, cioè con la morfometria vertebrale.

Il metodo SQ si basa su una prima fase di valutazione visiva delle immagini radiografiche del rachide per la diagnosi differenziale delle deformità vertebrali e, quindi, sulla gradazione visiva della frattura vertebrale osteoporotica in lieve, moderata o grave.

La morfometria vertebrale è la misurazione dei corpi vertebrali al fine di accertare la presenza di una nuova frattura vertebrale sulla base del valore soglia di 4 mm od del 15% di riduzione di una delle altezze del corpo vertebrale.

La morfometria viene eseguita sulle immagini del rachide dorsale e lombo-sacrale ottenute con la radiologia convenzionale (MRX) o con la metodica DEXA (MXA).

In ogni caso la morfometria vertebrale non può prescindere da una precedente analisi qualitativa delle radiografie per poter escludere cause di deformità diverse dall’osteoporosi.




Prevenzione dell’osteoporosi


La prevenzione dell’osteoporosi

consiste nelle misure tese ad

impedire o rallentare la comparsa

dell’osteoporosi, e si attua mediante

la correzione dei fattori di rischio.

Interventi non farmacologici (dieta,

attività fisica) o la eliminazione di

fattori di rischio modificabili (fumo,

igiene di vita) possono essere consigliati

a tutti. Una dieta adeguata

con giusto apporto di vitamina D,

ma anche equilibrata con corretto

apporto di proteine, carboidrati e

lipidi possono essere utile per ottimizzare

il picco di massa ossea

anche in età giovanile.

L’utilizzo di farmaci per la prevenzione

dell’osteoporosi non è quasi

mai giustificata.



Il ruolo di un corretto apporto di calcio e vitamina D

L’introito medio giornaliero di calcio nella popolazione è insufficiente, specie

in età senile. A queste carenze alimentari è ascritto un largo eccesso di

osteoporosi, fratture osteoporotiche e morbilità generale.

Nel caso in cui l’apporto di calcio e vitamina D sia insufficiente, supplementi

sono in grado di ridurre significativamente il rischio di frattura. Le dosi consigliabili

di supplementi di calcio vanno commisurate al grado di carenza

alimentare (in generale tra 500 e 1.000 mg/die).

La supplementazione con calcio (specie se si superano i 1.000 mg/die) è controindicata in presenza di condizioni associate a rischio di ipercalcemia.

La vitamina D può essere somministrata a dosi giornaliere di 400-800 U/die o a dosi settimanali di 2.800-6.000 U o a dosi di 100.000-300.000 U ogni 4-6 mesi oppure a dosi

uniche di 400.000-600.000 U/anno.

L’uso dei metaboliti attivi della vitamina D non è indicato per la prevenzione

dell’ipovitaminosi D, presenta maggiori rischi di ipercalcemia ed ipercalciuria

ed è ora giustificato solo in casi selezionati (grave insufficienza renale od

epatica, grave malassorbimento intestinale, ipoparatiroidismo).

In tutte le sperimentazioni cliniche condotte sinora sulla attività anti-fratturativa

(bisfosfonati, SERMS, PTH, stronzio), sia ai pazienti trattati con placebo

che quelli in trattamento attivo era raccomandato un adeguato apporto di

calcio e vitamina D. Al momento quindi non è noto l’effetto terapeutico di

farmaci per l’osteoporosi in condizioni di inadeguato apporto di calcio e

vitamina D.



Prevenzione e trattamento

dell’osteoporosi

La prevenzione dell’osteoporosi consiste

nelle misure tese ad impedire o

rallentare la comparsa dell’osteoporosi.

Per trattamento si intendono invece

i provvedimenti rivolti ai soggetti

già osteoporotici, con o senza fratture

preesistenti, ad elevato rischio di prima

o ulteriore frattura. I provvedimenti

di prevenzione e trattamento sono

sovrapponibili. La prevenzione dell’osteoporosi

(in soggetti quindi ancora

a basso rischio di frattura) si deve

basare su provvedimenti di igiene di

vita ed in primo luogo eliminazione

del fumo, attività fisica, correzione

dell’apporto di calcio e vitamina D.

L’utilizzo di farmaci per la prevenzione

dell’osteoporosi non è quasi mai

giustificata.





Finalità del trattamento dell’osteoporosi e individuazione

dei soggetti da trattare

Il trattamento dell’osteoporosi deve essere finalizzato alla riduzione del rischio

di frattura. I provvedimenti non farmacologici (dieta, attività fisica) o la eliminazione

di fattori di rischio modificabili (fumo, igiene di vita) possono essere

raccomandati a tutti. L’utilizzo di farmaci specifici appare giustificato quando

il rischio di frattura a 10 anni supera il 20-30%. Condizioni di rischio di questa

entità sono quelli associati a precedenti fratture osteoporotiche ed alla terapia

cortisonica (almeno per dosi >5 mg/die, prednisone equivalenti assunti per

più di tre mesi in persone di età >50 anni). In questi ultimi due casi il rischio di

frattura è così elevato che la decisione di avviare una terapia farmacologica

può prescindere dai valori densitometrici.

La definizione della soglia di intervento farmacologico in prevenzione primaria

risulta più complessa.

Non esistono al momento sufficienti dati per identificare una soglia di trattamento

basata solo sui valori densitometrici.


I Bisfosfonati

L’alendronato e il risedronato sono i due bisfosfonati con sicura documentazione

di efficacia nel ridurre il rischio di fratture vertebrali e non vertebrali

(femore, polso, ecc). L’assunzione di alendronato e risedronato può provocare

importanti lesioni ulcerative esofagee specie in pazienti con disturbi del

transito esofageo o quando assunti in maniera impropria. Questi composti

debbono quindi essere usati con cautela in soggetti con disturbi esofagei o

con una storia di malattie peptiche.

I risultati di studi randomizzati e controllati indicano che Alendronato e Risedronato

sono efficaci sia nella prevenzione sia nel trattamento dell’osteoporosi

indotta da glucocorticoidi.

Per etidronato e clodronato l’efficacia anti-fratturativa

è stata documentata in studi non conclusivi e limitatamente alle fratture

vertebrali. Sono farmaci di seconda scelta che hanno trovato utilizzo nella

prevenzione primaria per il loro basso costo. L’alendronato è l’unica molecola

approvata per il trattamento dell’osteoporosi maschile.(è stato aggiunto il risedronato a somministrazione settimanale)

Il neridronato è l’unico farmaco approvato per il trattamento della osteogenesi

imperfetta.






Altri farmaci proposti per

il trattamento dell’osteoporosi


I farmaci studiati nell’osteoporosi includono:

calcitonina (sia parenterale che per spray nasale), ipriflavone, flavonoidi (o fitoestrogeni), fluoruri, diuretici tiazidici, calcitriolo.

Sulla base dei dati oggi disponibili

nessuno di questi farmaci può

essere raccomandato per il trattamento

dell’osteoporosi o perché

scarsamente studiati (calcitonina

parenterale, vitamina K, calcitriolo,

diuretici tiazidici) o perché rivelatisi

poco efficaci (calcitonina spray

nasale) o perché rivelatisi inefficaci

(fluoro, fitoestrogeni).



I farmaci che promuovono la neoformazione ossea


Il frammento 1-34 del paratormone (teriparatide) è registrato per la terapia

dell’osteoporosi postmenopausale grave. La terapia con teriparatide determina

i maggiori incrementi della massa ossea trabecolare, mentre l’effetto

sull’osso corticale è lievemente inferiore a quello dei bisfosfonati. È in grado

di ridurre drasticamente il rischio di fratture vertebrali e non vertebrali. Al momento

teriparatide è indicato solo nelle forme più severe di osteoporosi, non

responsive alla terapia con anti-riassorbitivi (ormoni, raloxifene, bisfosfonati)

e solo per un massimo di 18 mesi.

La terapia con ranelato di stronzio (2 g/die) è stato recentemente approvato

per la prevenzione delle fratture vertebrali e di femore. Lo stronzio ranelato

riduce il rischio di fratture vertebrali e non vertebrali in maniera abbastanza

vicina a quella di alendronato e risedronato. La componente attiva è rappresentata

dallo stronzio che si sostituisce agli atomi di calcio a livello osseo. Gli

incrementi densitometrici (BMD) osservabili in corso di terapia con stronzio

sono legati per il 50% ad un artefatto (peso atomico dello stronzio superiore

a quello del calcio).





Terapia ormonale sostitutiva


Il ruolo della Terapia Ormonale Sostitutiva (TOS)

La somministrazione di estrogeni, soli o in combinazione con progestinici (Terapia

Ormonale Sostitutiva o TOS), è in grado di ridurre il rischio di ogni tipo

di frattura osteoporotica.

L’effetto positivo sulle fratture, a cui si aggiunge la riduzione del rischio di carcinoma

colon-rettale è controbilanciato dall’aumentato rischio di carcinoma

della mammella, ictus, cardiopatia ischemica, ed eventi trombo-embombolici,

con un rapporto rischio/beneficio sfavorevole specie per trattamenti di

lunga durata e dove sussista la necessità della terapia combinata con progestinico

(donne non-isterectomizzate). Per questi dati la terapia estrogenica

o estro-progestinica non è più indicata per la terapia o la prevenzione della

osteoporosi.

Per donne sofferenti di sindrome climaterica, soprattutto se ancora entro i

50-55 anni di età, la somministrazione temporanea (uno-tre anni) di estrogeni

o di estro-progestinici (a seconda che siano isterectomizzate o meno), può

essere considerata in qualche modo fisiologica e quindi ancora proponibile,

anche per la prevenzione dell’osteoporosi.



Modulatori selettivi del recettore

estrogenico (Serm)


Il Raloxifene

Il raloxifene è un legante del

recettore estrogenico in grado

di produrre effetti agonistici

a livello osseo ed epatico ed

antagonistici per mammella ed

apparato genito-urinario.

L’efficacia antifratturativa del

raloxifene è stata documentata

per le fratture vertebrali, mentre

manca la documentazione

di efficacia per quelle non-vertebrali.

Il raloxifene, al pari di ogni terapia

con estrogeni, si associa

ad aumentato rischio di eventi

tromboembolici e può accentuare

i fenomeni vasomotori

postmenopausali.






Vertebroplastica in caso

di frattura vertebrale


Per le fratture vertebrali accompagnate

da dolore intollerabile è stato

proposta la iniezione di cemento

(metilmetacrilato) all’interno del

corpo collassato (vertebroplastica).

Più recentemente è stata sviluppata

una nuova tecnica di espansione

del corpo vertebrale, promossa

come più sicura ed efficace

(Kyphoplastyrm®).

La vertebroplastica o la kifoplastica

possono essere raccomandati solo

per pazienti con un dolore intrattabile

da settimane, visti i rischi connessi

alle procedure ed agli incerti

benefici nel lungo termine.


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