DROGA: GIANFRANCO FINI VA ALLA GUERRA

di Maurizio Bolognetti
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Finalmente ci siamo! l'On. Gianfranco Fini, ha annunciato "La soluzione finale" contro droghe e drogati. Si va alla guerra e non si fanno prigionieri.

Nessun dubbio, nessuna incertezza nelle parole del vice-premier, questa guerra "sa da fare" e poco importa se a pagarne le conseguenze saranno in primis coloro che Fini and Sirchia vorrebbero "salvare"; poco importa se il preannunciato giro di vite andrà contro la volontà espressa dal popolo italiano nel referendum radicale del '93.

Le parole d'ordine sono tre: "Credere, Obbedire e Combattere", pardon: prevenzione, recupero e repressione, soprattutto repressione, tanta repressione, un'orgia repressiva che avrà come unico effetto di mandare nelle patrie galere centinaia o migliaia di consumatori di droghe leggere e pesanti.

Poco importa se l'atteggiamento iper-proibizionista, che si preannuncia, renderà ancora più difficile il recupero e l'attuazione di efficaci politiche socio-sanitarie. Perché si sa, il proibizionismo, la repressione, hanno trasformato un problema socio-sanitario in una questione di ordine pubblico.

Signor generale, pardon signor vice-presidente, ma il fiume di denaro investito nell'antidroga non potrebbe essere utilizzato proprio per la prevenzione e il recupero?

La legalizzazione, che tanto vi terrorizza, non ci consentirebbe di indirizzare verso altre attività il lavoro di migliaia di tutori dell'ordine, oggi costretti ad inseguire i fumatori di spinelli?

La legalizzazione non toglierebbe alle narcomafie un mercato che nella sola Italia vale decine di migliaia di miliardi delle vecchie lire? La distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti sarebbe ipocrità, pericolosa e controproducente. E la distinzione che di fatto c'è tra alcol e droghe leggere e pesanti, cos'è? La pubblicità del Gran Marnier o del Chivas Regal, trasmessa subito dopo gli spot "antidiscoteca", cos'è? Ha mai sentito parlare di alcolismo, signor vice-premier, e ci dica, anche in questo caso pensa di risolvere il problema con una giro di vite, stile proibizionismo americano anni '20?

La distinzione tra droghe leggere e pesanti non è un'invenzione di demagoghi e cattivi maestri, ma questione scientifica; infatti, l'alcol da dipendenza fisica, la cannabis no, l'alcol ha una dose letale, la cannabis no.

Ci dica, signor vice-premier, perché vuole perseguire i consumatori di droghe illegali? Per salvaguardare la loro salute? Ma allora perché non proporre una dieta di Stato per evitare obesità, colesterolo alto, rischio d'infarto?

Anzi, insieme alla dieta di Stato imponiamo anche il moto di Stato, perché, si sa, la ginnastica fa bene al corpo e alla mente.

Non riesco a comprendere perché mai la necessaria informazione, la prevenzione sui danni derivanti dall'uso e dall'abuso di droghe, debba viaggiare a braccetto con la proibizione. Signor vice-premier, se si prendesse la briga di analizzare gli ultimi cento anni di proibizionismo planetario, si troverebbe di fronte ad un colossale fallimento, di fronte a leggi in grado non di contrastare la produzione, la diffusione, il consumo di droghe, ma produttrici, in compenso, di crimine, illegalità, leggi lesive dello stato di diritto, morte e distruzione.

Ma, allora, perché, perché insistere con leggi illiberali, inutili; perché è giusto? Perché è peccato? Perché è immorale? Ma in una moderna liberaldemocrazia il peccato può essere considerato reato? Si può punire un uomo per comportamenti che non coinvolgono terzi? Quando non c'è vittima non c'è reato.

Le war on drugs non servono, ma soprattutto ritengo che una società che non lasci ai suoi cittadini la libertà, dopo averli adeguatamente informati, di alzare il gomito o di fumare, è una società illiberale. Signor vice-premier, la storia dell'uomo è anche la storia dell'uso e dell'abuso di droghe e degli inutili tentativi di proibirne il consumo.

Ma il fallimento e l'inutilità di una secolare guerra, a quanto pare, non sono serviti ad evitare il riproporsi di ricette avvelenate.

22 settembre 2003
 
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