FIAT, i regali di stato e la giusta analisi dei radicali.
di Gianfranco Blasi
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"Durante il colloquio di ieri con il Ministro Antonio Marzano, l'Amministratore Delegato della Fiat, Gabriele Galateri non ha parlato esplicitamente di "tagli", ma ha chiesto al governo di porre "attenzione all'impatto occupazionale".
Ha poi aggiunto: "l'obiettivo è quello di riposizionare l'azienda sul mercato e di rilanciare la domanda dopo una fase iniziale di forte riduzione dei costi e di rilancio della gamma dei prodotti".
Un modo diplomatico per dire al governo: o ci aiutate o la crisi scoppierà in mano soprattutto a voi.
Un linguaggio questo che sembra quasi un ricatto, peraltro non nuovo alle strategie Fiat. Sono anni che lo Stato prima finanzia e poi tappa i buchi dell'azienda di Torino.
Dal "Financial Times", intanto, arriva un giudizio secco sulla gestione Fiat. Banchieri e analisti finanziari dicono che i "tagli" dovevano essere fatti molto tempo fa.
Dicono anche che forse è troppo tardi per evitare che la Fiat "diventi una filiale della General Motors". "L'azienda soffre da anni di un eccesso di capacità produttiva e di organico. Erano abituati ad utilizzare la politica per finanziarsi e per mantenere i posti di lavoro. Adesso le perdite sono così grandi da non poter più giustificare questa pratica".
Un'analisi oggettiva, analitica e spietata fatta però su dati talmente evidenti da non poter essere contestati.
Due settimane fa i Radicali hanno reso noto uno studio nel quale calcolavano i soldi versati dallo Stato nel calderone di casa Agnelli.
6.372.929.914 ore di cassa integrazione guadagni straordinaria erogate dal 1 gennaio 1997 al 28 febbraio 2002, - si legge nella relazione scritta da Michele De Lucia, Dirigente di Radicali Italiani, - sono costate allo Stato 238.000 miliardi di vecchie lire, ovvero circa 120 miliardi di euro e non hanno contribuito a salvare nemmeno un posto di lavoro. A nostro giudizio il governo, valutando i numeri di questa relazione, non può e non deve subire le pressioni dei dirigenti dell'azienda torinese i quali altro non vogliono che scaricare i costi sociali del fallimento della loro gestione aziendale su tutti gli italiani.
Ciò premesso bisogna chiarire che lo stabilimento di San Nicola di Melfi non corre nessun rischio nel breve e nel medio periodo posto che quelli minacciati di chiusura sono gli stabilimenti di Termini Imerese in Sicilia e di Arese in Lombardia.
Bisogna anche spiegare all'opinione pubblica lucana e nazionale che il governo interverrà sicuramente per facilitare una soluzione magari finalizzata semplicemente a creare le migliori condizioni per formalizzare la cessione alla General Motors e favorire l'uscita della famiglia Agnelli dal settore automobilistico.
Lo stabilimento di San Nicola di Melfi non corre alcun rischio per la semplice ragione che, anche grazie agli investimenti pubblici concessi, la tecnologia utilizzata in quell'azienda è assolutamente competitiva sul mercato internazionale.
Va anche evidenziato in questa circostanza come gli accordi sindacali siglati a Melfi consentono una ulteriore competitività grazie ai criteri di flessibilità aziendali utilizzati, che oggi risultano virtuosi anche per il mantenimento dei livelli occupazionali.

9 Ottobre 2002
 
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