I “DISOBBEDIENTI” E L’INDULTO

OVVERO CARUSO IN VISITA A POGGIOREALE

di Maurizio Bolognetti
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Anche stavolta, anche sulla questione delle carceri, dell’indulto, l’ottimo disobbediente Caruso (si fa per dire), sta mostrando tutta la sua irresponsabilità e l’irresponsabilità del movimento che rappresenta.

Non sono abituato al turpiloquio e quindi evito di dire cosa realmente penso delle dichiarazioni rilascite dal nostro “Disobbediente”, fuori a quella autentica polveriera che è il carcere napoletano di Poggioreale.

Caruso ha testualmente dichiarato - “promuoveremo la rivolta nelle carceri” - nel caso in cui non si approvi un provvedimento d’indulto.

Siamo di fronte alla evidente volontà di cavalcare il disagio e il dramma del sovraffollamento delle carceri italiane, magari nella speranza che, come a Genova, ci scappi pure un bel morto.

Naturalmente sarà compito dei coccodrilli di professione, poi, piangere e produrre videocassette da vendere allegate a qualche giornale, che ci raccontino della dura lotta condotta dai no-global-disobbedienti e dai “compagni detenuti”, che magari farebbero volentieri a meno di questa triste compagnia anelante morte e distruzione.

Lì, in quelle carceri, di cui Caruso ha sentito solo l’odore, migliaia di detenuti hanno negli ultimi mesi lottato con i radicali per le donne Afgane, per la legalità costitituzionale e, oggi, per chiedere un voto sull’indulto, usando la nonviolenza.

Si badi bene, un voto e non un voto favorevole o contrario.

Scrive Marina Belloni, detenuta nel carcere di Opera: “A questo punto, a conti fatti, credo di avere il diritto non di pretendere, ma almeno di chiedere che ogni gruppo politico prenda una posizione, qualunque essa sia, mettendo fine a questa querelle che da troppo tempo ci vede come merce di scambio.”

Temo però che le parole della Belloni siano troppo chiare per le dure orecchie dei disobbedienti, abituate ad ascoltare ben altra musica.

Ho la sgradevole sensazione che ai “nostri” interessi più il fascino della “rivolta” fine a se stessa, che il successo di una lotta in questa eterna ricorsa che hanno intrapreso e che li porta ad essere contro tutto e contro tutti, soprattutto contro se stessi.

Non potevamo aspettarci di più, non potevamo aspettarci di meglio, da un movimento che stancamente continua a portare in giro i logori simboli della rivoluzione marxista, da chi inneggia a Fidel e a Che Guevara.

Ai nostri parvenu della disobbedienza dico: “a quando una rivolta contro il 41bis, la separazione delle carriere, la giustizia dei teoremi e dei pentiti, delle testimonianze de relato e de audito, che riecheggiano nelle nostre aule di giustizia, facendole assomigliare ai tribunali dell’inquisizione?”

A quando la “rivolta” contro gli arresti per omonimia, le incompatibilità negli uffici giudiziari, l’inversione dell’onere della prova ed i magistrati che inviano diktat al Parlamento, manco fossimo l’ultima repubblica delle banane?

A quando la “rivolta”contro chi minaccia di manifestare, sventolando una copia di quel dettato Costituzionale che ha ripetutamente tradito?

A quando una parola, una soltanto, contro i privilegi di una casta d’intoccabili, a cui è stata concessa finanche l’impunità per errori dovuti a dolo o colpa grave, che vive, agisce e opera concedendosi ciò che a nessun cittadino è concesso.

Ma forse tutto ciò non ha sufficiente fascino per chi si nutre del conformismo degli anticonformisti.

Personalmente sono favorevole ad un provvedimento d’Indulto, ma la mia lotta è una lotta per la legalità, per ottenere dopo due anni di declamazioni una decisione parlamentare che evada le oltre 30 proposte di legge depositate in Parlamento.

Provo non poco fastidio nello stare seduto accanto al disobbediente Caruso, a cui sta più a cuore la rivolta nelle carceri che la risoluzione dei problemi che stiamo sollevando da decenni.

Una decisione favorevole all’indulto potrebbe far guadagnare al Paese il tempo necessario all’approvazione di importanti provvedimenti, che vanno dall’edilizia carceraria alla questione della carcerazione preventiva.

Già, perché in questo Paese, dove una parte della magistratura spreca il denaro dei contribuenti per i processi Andreotti, Contrada, Dell’Utri, il 50 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio e il 95 per cento dei crimini, di fatto, non è perseguito.

10 gennaio 2003
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