dalle Casse Rurali 

 

alla Banca di Forlì

 

110 anni di storia al servizio delle comunità locali

ne parla Mario Russomanno

Dopo la istituzionale presentazione degli ospiti da parte de' minestar Marino Monti, ha preso la parola Domenico Ravaglioli, Presidente della Banca di Forlì Credito Cooperativo. Egli ha ringraziato dell'invito che, ha affermato, è stato accolto con piacere poiché compito della Banca e di coloro che la rappresentano è quello di stare in mezzo alle persone, alla città, ai nostri paesi, e farsi conoscere sempre più è costante motivo di soddisfazione. Si è poi complimentato con e' minestar e con tutti i soci per gli indirizzi  che sono alla base del Sodalizio, e la sua sensibilità di diffondere la cultura, ma anche l'amicizia tra le persone, un valore che rischia di essere perduto in questo tempo, all'insegna della velocità ma anche della superficialità dei rapporti.

Ha quindi preso la parola Mario Russomanno, autore del libro protagonista della serata. Prima di entrare nel vivo della conversazione, siparietto molto affettuoso, Russomanno ha voluto salutare la nostra socia Maria Bulgarelli, vedova del compianto segretario Urbano Bezzi, ricordando che  una decina di anni fa entrambi furono i protagonisti di un suo "pezzo" all'interno della Rubrica settimanale sui Personaggi della Romagna che teneva sul Resto del Carlino. Nell'occasione Russomanno scrisse appunto di questi due giovani che si erano conosciuti ed innamorati facendo i 

maestri sulle nostre montagne, quando ancora fare il maestro elementare era una missione.

Ha quindi iniziato la conversazione sul libro, sottolineando che esso è frutto della forte volontà del Presidente Ravaglioli che ha assolutamente voluto che fosse scritto tale libro che ripercorresse le origini della Banca affinché i forlivesi potessero ritrovare nella storia, il forte legame tra la Banca ed il territorio. Russomanno e lo stesso Presidente hanno così scoperto, durante le ricerche e la stesura delle bozze, che la storia che si dipanava era più affascinante di ciò che si poteva supporre. Riguardo le ricerche che ha effettuato, lo scrittore ha precisato che gli unici documenti che ha potuto utilizzare sono stati verbali di piccole banche nate nel primo Novecento, scritti a mano da parroci, molti di quali reperiti presso la Camera di Commercio di Forlì. Il testo si sviluppa scandagliando la Forlì di quel periodo appunto, del primo Novecento, molto diversa da quella che molti di noi hanno potuto conoscere, ricordare. Il 70 % dei forlivesi abitavano nelle campagne, c' era allora una divisione sociale molto rigida, per cerchi concentrici. Il ceto più abbiente viveva in città, entro le mura, e gradualmente dalla immediata periferia verso le campagne si distribuiva il ceto più povero, che non possedeva praticamente nulla. L'agricoltura era dominata dai grandi latifondi, le grandi proprietà agrarie, dove lavoravano centinaia di braccianti. La piccola proprietà contadina che si diffuse dopo gli anni 30-40, era allora inesistente. Naturalmente ch lavorava in campagna aveva il problema del credito, era escluso dal credito poichè non dava alcuna garanzia, vi era una totale dipendenza economica dal padrone; il contadino che voleva, ad esempio, acquistare l'abito da sposa per la figlia, si rivolgeva al padrone restandone debitore per tempi lunghissimi. Questa è la Forlì di allora, dove esisteva una grande spinta sociale, derivante soprattutto dalle grandi tradizioni politiche forlivesi, quella socialista e quella repubblicana, ma vi era pure una grande resistenza a questa da parte del mondo agrario. Ma la Forlì di allora non era solo questo, Russomanno ha ricordato Leonida Bonavita, tra i primi Cavalieri del Lavoro nominati, che divenne Presidente della Camera di Commercio e diede vita al Bollettino mensile della stessa; egli intendeva dare una vigorosa accelerazione allo sviluppo industriale della città osservando l'immobilismo che esisteva nelle campagne. Ecco che allora si evidenzia l'azione del movimento cattolico, in risposta alla enciclica Rerum Novarum di  papa Leone XIII che invitava i cattolici ad impegnarsi nel sociale. 

Alcuni coraggiosi preti assunsero l'incarico conferito loro dal Pontefice, nel 1897 venne a Forlì, a San Biagio, dove realizzò una storica riunione di parroci forlivesi, circa una ventina, don Luigi Cerutti, veneto, apostolo del movimento delle casse rurali d'Italia, per fare proselitismo a favore del progetto. I sacerdoti forlivesi si sparsero quindi nelle campagne per illustrare e dare vita a questo progetto. 14 furono che Casse rurali che nacquero nel forlivese, la prima fu quella di Meldola nel 1899, voluta da don Giuseppe Panzavolta; il suo braccio destro, don Michele Alessandrini fu poi nominato parroco di San Varano, che allora aveva poco più di 500 parrocchiani, dei quali, escluso i componenti della famiglia Saffi, nessuno possedeva un titolo di studio, non solo, ma tutti sono coloni o mezzadri. Qui don Alessandrini realizza questa specie di  piccolo volano di ricchezza dove ricchezza non c'è, alimentato dalla piccola disponibilità del parroco, dai sacrifici di ognuno degli amministratori, dando vita ad un modello basato sulla responsabilità "illimitata" degli amministratori che rispondevano direttamente e totalmente con i loro beni ad ogni rischio dell'organizzazione. Tale modello è esistito nelle Casse rurali sino al 1971. Ma occorre dire che un'altra caratteristica era la grande fiducia e la grande amicizia che esisteva tra tutti i componenti; tutto ciò permise di realizzare 14 piccoli volani, Casse rurali attraverso le quali molti coloni e mezzadri poterono essere sottratti ai ceppi dell'usura, alla fame quando i raccolti non erano sufficienti o nulli. Le Casse rurali al loro interno, infatti, avevano strutture di Mutuo Soccorso ed altri sistemi di solidarietà. Ma di queste piccole banche solo pochissime sopravvissero oltre al 1831, soffocate dai ritorni della grande crisi mondiale del 1929. Un altro grande ostacolo allo sviluppo di tali iniziative fu il Fascismo che non vedeva con occhio benevolo iniziative ove il grande senso di appartenenza, coesione, solidità mal si coniugavano con lo spirito di accentramento del regime. Solo le Casse di Malmissole e di San Varano uscirono indenni da questa bufera, per la tenacia e lungimiranza degli amministratori, per il loro coraggio, appartenenza al proprio territorio. Quella che il libro narra è la storia meravigliosa di classi dirigenti che ancora oggi sarebbero auspicabili, non solo del mondo cattolico, ma  anche di quello laico, repubblicano e socialista. La storia di uomini come Pietro Morgagni che fu per 35 anni Presidente della Cassa Rurale di Malmissole, un uomo, analfabeta, che per assolvere a tale incarico imparò a leggere e alla domenica leggeva il giornale mentre i familiari lo deridevano dicendogli "ma cosa leggi a fare il giornale, lo scrivono i furbi perché lo leggano i patacca!". Ma lui era conscio del suo ruolo, della sua missione, e a questa si voleva preparare; così, da una famiglia contadina analfabeta fu generata una nuova classe dirigente. Negli anni '70 del Novecento, queste due piccole Casse Rurali si fusero nella Cassa Rurale ed Artigiana di Forlì, per la grande lungimiranza dei due presidenti, Dino Cappelli per quella di San Varano e Elvio Camorani per quella di Malmissole. Questa Cassa Rurale fu la prima in Romagna che fu insediata al centro della città, quasi a testimoniare la centralità della sua azione. Ecco, ha concluso Russomanno, una storia indimenticabile, dove troviamo i nostri nonni, il cambiamento, persone che nel momento in cui raccolgono il testimone di una scelta di dignità, vivono per gli altri, lo fanno formandosi alla necessità, attraverso anche a grandi sacrifici, lavorando senza distinguere giorni di festa da quelli di lavoro, a titolo totalmente gratuito. Semplici persone che pian piano sono divenute classe dirigente, portando alla disponibilità di tutti l'importante contributo del mondo cattolico, quello della dottrina sociale della Chiesa, a concorre con le altre grandi tradizioni, quelle repubblicana e socialista; tutto questo ha fatto sì che nel dopo guerra Forlì diventasse la grande città che noi conosciamo, con tutte le opportunità relative. 

E' stata quindi la volta del Presidente, Domenico Ravaglioli che ha esordito con le motivazioni che hanno portato alla pubblicazione del libro. Ha però voluto precisare che, se il libro è uscito solo ora, non è perché già non vi fosse il desiderio di realizzarlo, ma solo il grande impegno primario che i vertici della Banca devono assolvere, e le contingenti gravi difficoltà del mondo economico sono all'origine di ciò che si può definire ritardo nell'edizione. L'idea del libro era nata da tempo, parlando con i testimoni, i propri genitori, quella generazione che sta inesorabilmente sparendo,  rendendosi conto che dietro a queste persone, a queste storie vi erano motivazioni, valori incredibili. Si è allora deciso di scrivere il libro per recuperare tali testimonianze, per rendere il giusto merito a queste persone che non sono più tra noi o che, giorno per giorno, vengono a mancare come è il caso del presidente Camorani, perché, più passa il tempo e più si perdono gli elementi, le tracce di questa storia. Il motivo del libro è quindi la volontà di dare la parola, ricordandole, onorandole a queste persone, che sino al 1970 hanno messo in gioco tutto il loro capitale per il bene comune, prima che il tempo potesse cancellare ogni traccia di questa epica avventura. Ravaglioli ha ringraziato per l'impegno profuso Russomanno e ha sottolineato il grande successo dell'iniziativa tra i soci e sostenitori della Banca, molti di loro, leggendo il libro, hanno rivissuto le emozioni, le tensioni di quel tempo, hanno rivisitato un poco la loro vita. La Banca oggi ha 22 filiali e 180 dipendenti, ma ancora nel 1971 erano solo 7 le persone impegnate tra la sede di Via Volturno, Malmissole e San Varano, si può quindi immaginare quanto coraggio, quanta fiducia e speranza fossero necessarie per affrontare lo sviluppo che ha portato la Banca ad essere ciò che ora è. Ravaglioli ha affermato che lui stesso, durante la elaborazione del libro, è stato felicissimo di incontrare i vecchi presidenti, lo stesso Morgagni, perché parlando con queste persone ha trovato maggiore forza e coraggio da profondere nel suo quotidiano lavoro; "oggi le difficoltà sono tante - ha proseguito Ravaglioli - ma se si pensa a quelle che i nostri predecessori hanno affrontato, tutto diventa molto più relativo. Se si pensa a quei momenti, al Fascismo, alla guerra, quando dal finanziamento per acquistare un maiale dipendeva la sopravvivenza di una intera famiglia, ben si comprende che chi operava in quei momenti aveva certamente difficoltà maggiori di quelle di oggi. Da ciò troviamo la forza, la speranza per fare con la stessa convinzione, ma con più speranza e con più determinazione, consci che come sono trascorse quelle, passeranno pure le attuali difficoltà, e superando queste costruiremo un'economia che saprà portare ricchezza e sviluppo al nostro territorio. Ecco il rammarico di non aver potuto realizzare tale documento prima, raccogliendo altre testimonianze andate ahimè perdute nel tempo trascorso. Quindi un libro, storia di una Banca, ma prima di tutto storia di persone che, ci tengo a dirlo, non hanno mai assunto la posizione da protagonisti, non c'è mai stato un presidente che abbia detto io ho fatto, la Banca l'ho fatta io, mai, ognuno ha portato il suo contributo, la sua testimonianza, perché il Credito Cooperativo è un modello più che un'azienda realizzata da una persona. Le nostre banche sono nate dalle sagrestie delle chiese, la storia parte di lì, e per 30-40 anni è rimasta dentro alle chiese; ogni parroco, nel cassetto della sagrestia teneva la contabilità della banca.

Queste banche hanno superato il disastro della guerra, è nata un'altra storia, ma queste banche restano custodi certi valori. Ancora oggi, quando una persona entra in una nostra banca, può parlare con il direttore, con il presidente in 10 minuti, anche senza appuntamento; le persone vengono ascoltate, anche se tutte le risposte non possono essere positive, e questo è un bene per tutti. Ma la persona per noi ha ancora un valore, perché ci rendiamo conto che, se davanti a noi abbiamo una persona onesta, ci si può fidare, ma se i bilanci della società sono in ordine ma la persona, che la rappresenta, disonesta, meglio non fidarsi. Il nostro è un mestiere molto difficile- ha concluso Ravaglioli - facciamo tutto ciò che è possibile, ma cerchiamo di farlo seguendo quella tradizione, quei valori che non vogliamo perdere. Vogliamo che anche in futuro, quando sarà scritto un altro libro sulla banca, si abbia la possibilità di dire che il mondo è cambiato, le banche sono cambiate, ma è rimasta immutata la coerenza con i valori per i quali questa banca è nata, e che difendiamo e rispettiamo ogni giorno nel nostro lavoro".

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