Caterina Sforza

Decadenza e fine della gran Donna che era stata una temuta “Tiranna” di Romagna

ne parla Vittorio Mezzomonaco

L’assessore Gabriele Zelli ha introdotto il relatore della serata facendo riflettere i presenti come la temuta peste suina, sviluppatasi recentemente in Messico e che tanto preoccupa tutti i Paesi del mondo, porta alla memoria quella che nel 1499 imperversò in tutt’Europa e quindi nella nostra città.

Caterina Sforza, Signora di Forlì, della quale quest’anno ricorre il quinto centenario della morte, nell’agosto di quell’anno, mentre Cesare Borgia, il duca Valentino, e le truppe francesi stavano già movendo contro la città, non abbandonò Forlì, affrontando i nemici e la peste che faceva strage della popolazione romagnola.

La Signora, mentre potenziava le difese della città, si profuse pure nel mettere in atto ogni misura possibile contro il nemico invisibile: tra le misure di prevenzione proibì assembramenti, mercati, chiuse le porte della città, che fu divisa in settori per un miglior controllo sanitario del territorio. Agli infetti fu data assistenza, mentre le loro cose, abbigliamento, arredi, le stesse case, furono bruciate per contenere lo sviluppo del morbo, e ciò spesso produsse gravi incomprensioni e disordini.

Per l’assistenza agli infetti allestì lazzaretti fuori dalle mura e distribuì bevande e medicinali ai più poveri; attirò in città dai paesi vicini medici offrendo loro alti emolumenti.

Caterina diresse personalmente i vari interventi.

 

Ha preso quindi la parola Vittorio Mezzomonaco che ha rilevato come Caterina, anche negli anni precedenti a questi episodi, avesse messo in atto interventi del genere.

Prima di proseguire nella sua brillante conversazione, ha voluto però ricordare come fosse la prima volta che era ospite de’ Racoz dopo il cambio della guardia ai vertici del Gruppo ed ha espresso il suo apprezzamento verso la scelta di Marino Monti e Alvaro Lucchi rispettivamente come Minestar e Segretario, ma ha rinnovato pure la riconoscenza e la stima verso chi aveva egregiamente ricoperto in passato tali incarichi, Sanzio Zoli e Urbano Bezzi.

Vittorio Mezzomonaco ha ricordato come Zoli e Bezzi alla sua uscita, o meglio “cacciata” dagli Istituti Culturali forlivesi, quando fu deciso che lo si doveva rendere “invisibile”, “farlo dimenticare ai forlivesi”, mentre nessun altro si esprimeva per protestare contro il sopruso, furono i primi a prendere posizione a suo favore.

Ma ritornando al tema della serata e alla sensibilità degli Amministratori, Mezzomonaco ha proseguito ricordando come, mentre fra gli Ordelaffi ce ne furono di quelli che abbandonarono la città allo scoppiare dell’ epidemia, come ricorda, nel capolavoro che è la sua “Cronica, Giovanni di Mastro Pedrino, che solo nella sua famiglia ebbe dieci morti per la peste, Caterina invece, mentre infuriava la peste, tra il 1496 e 1497, rimase in Forlì, al suo posto di comando, assumendosi la responsabilità delle azioni sanitarie.

 L’evento che segnò la vita di Caterina fu la morte, l’assassinio del secondo marito, Jacopo Feo di Savona, sposato segretamente per non perdere la tutela del figlio Ottaviano e con questa pure la Signoria. Jacopo fu assassinato da sette sicari mentre rientrava in città sul ponte dei Morattini.

La vendetta di Caterina fu altrettanto violenta e sanguinaria, fece passare per le armi trentaquattro tra congiurati della famiglia Ghetti di Imola, esecutori materiali, parenti e amici, pure dei bambini (addirittura 18 innocenti).  

Altri furono rinchiusi in galere o inviati in esilio, le case furono bruciate, i beni confiscati. Dell’episodio parla anche Leone Cobelli ricordando che i sicari erano solo sette, ma il dolore che sconvolse Caterina e che la rese così crudele fu enorme, contrariamente a ciò che era accaduto per il primo marito, Girolamo Riario, che le era stato imposto, che l’aveva stuprata per “assaggiarla” prima delle nozze, e che lei non aveva mai amato e stimato. Del Feo invece si era veramente innamorata: era stata davvero passione quella che li aveva uniti, una vera attrazione fisica, carnale. Il Feo era uno stalliere, lontano parente di Girolamo Riario, più giovane di lei di 8-9 anni, ma a lui è concesso tutto, anche qualche modo violento, perfino uno schiaffo in pubblico a Ottaviano, l’erede Riario, di cui Caterina ha solo la tutela, e i congiurati, uccidendo Jacopo, inneggeranno a Ottaviano, non a Caterina.

Nel 1496 giunse alla corte di Caterina Giovanni de’ Medici; costui si fa chiamare il Popolano rinnegando il nome di famiglia, oggi si potrebbe definire di sinistra,  di fatto è l’ ambasciatore della Repubblica di Firenze. Figlio di Pierfrancesco il Vecchio, apparteneva al ramo collaterale della famiglia Medici. Con il fratello Lorenzo era stato mandato in esilio a causa della sua aperta ostilità verso il cugino Piero de' Medici, succeduto al padre Lorenzo il Magnifico nel governo di Firenze. Quando nel 1494 il re Carlo VIII di Francia era calato in Italia, Piero fu costretto a una resa incondizionata che permise ai francesi di avanzare liberamente verso il Regno di Napoli. Il popolo fiorentino si sollevò, scacciò Piero e proclamò una Repubblica teocratica, il cui capo riconosciuto è il frate domenicano Gerolamo Savonarola. Giovanni e il fratello in questo frangente poterono fare ritorno in città. Come detto, essi rinunciarono al cognome di famiglia e assunsero quello di Popolani. Il governo repubblicano nominò Giovanni ambasciatore a Forlì e commissario di tutti i possedimenti romagnoli di Firenze. In sostanza Giovanni, che era, in effetti, null’altro che un mercante, ebbe il compito di monitorare Forlì e riferire a Firenze ciò che Caterina faceva, la strage successiva all’assassinio di Jacopo Feo aveva oltrepassato i confini di Romagna e aveva sollevato l’apprensione e lo sgomento di tutti. Si ricordi che il territorio della Repubblica Fiorentina giungeva fino a Cstrocaro. a pochi chilometri da Forlì.

Caterina s’innamorò di Giovanni e lop accolse nella residenza del “Paradiso”, ma non si poteva sposare, pena la decadenza della reggenza, e della Signoria di Forlì, la perdita del potere dunque, e a lei il potere piaceva. Si sposerà segretamente a Castrocaro, acquisendo così il diritto alla cittadinanza di Firenze.

L’amore che Caterina prova per Giovanni è vero, non è solo attrazione fisica; è un amore romantico e questo fa sentire la Signora più buona, al punto che lo vuole dimostrare, non sfugge quindi alla peste ma resta in città per coordinarne le difese; Caterina fece questo forse anche per espiare la sanguinosa strage perpetrata dopo l’assassinio di Jacopo Feo.

Giovanni la consigliò probabilmente di mettersi in contatto Savonarola, cosa che la Signora fece certamente: testimonianza di ciò è la lettera che Savonarola le scrisse il 17 giugno 1497, lo stesso gionro in cui giunse a Firenze la notizia che era stato scomunicato da papa Alessandro VI; nella lettera Savonarola consigliava a Caterina di fare “come l’acqua fa sul fuoco”, con opere buone poteva spegnere le colpe commesse e la rassicurava promettendole di mandarle in aiuto un confratello, ma Savonarola sarà mandato al rogo un anno dopo.     

Sempre nel 1498, dal matrimonio segreto tra Caterina e Giovanni nacque il figlio Ludovico, pochi mesi dopo Giovanni, mentre passava le cure termali a San Piero in Bagno, si ammalò e morì, e la moglie diede il suo nome al figlio, che divenne poi Giovanni dalle Bande Nere, il famoso capitano di ventura.

Quella che seguì fu una Caterina nuova, fece di tutto per non far sposare Ottaviano, uomo buono e mite, che mostrava impegno ma che era completamente soffocato dalla madre; se si fosse sposato si sarebbe emancipato, acquisendo il diritto di agire autonomamente, senza alcun tutore, ecco perché Caterina voleva che non si sposasse.

Ottaviano ha, però una figlia naturale (Cornelia) da una donna di Imola, ma papa Alessandro VI che voleva mettere tutta l’Italia centrale sotto il suo dominio, gli propose di sposare Lucrezia Borgia, che aveva già due mariti alle spalle, il primo fu Giovanni Sforza di Pesaro, cugino della stessa Caterina, al quale era seguito nel 1498 Alfonso d’Aragona duca di Bisceglie, morto poi per le ferite riportate in un agguato (15 luglio 1500).  Lucrezia in seguito sposerà Alfonso d’Este, e morirà in odore si santità dopo una vita condotta con decoro; la sventurata sorella del Valentino fu forse più vittima che complice della malvagia saga dei Borgia.

Mezzomonaco quindi ha ripreso la narrazione della caduta della Rocca di Ravaldino fino alla cattura di Caterina che fu condotta prigioniera a casa di Luffo Numai, dove alloggiava Cesare Borgia e la sua corte. In realtà non doveva essere considerata prigioniera poiché Caterina  dichiarò di arrendersi ai francesi di Luigi XII, sapendo che vi era una legge in Francia che impediva di tenere come prigionieri di guerra le donne; i Francesi quindi la diedero in custodia, “in deposito”, a Cesare Borgia. 

Mezzomonaco ha pure narrato ciò che seguì alla presa della città a partire dal 19 dicembre del 1499: i soldati cominciarono a uccidere e depredare, neanche la notte portò un poco di pace, le donne venivano stuprate, anche alcune suore non ebbero scampo. Forlì sembrava un cimitero dopo le scorribande e le violenze dell’esercito invasore che si ripeterono per trentasei giorni. Il Valentino, preso possesso della città, pose l'assedio alla rocca.

Caterina non cedette ai tentativi messi in atto per convincerla ad arrendersi, aveva raccolto “ostaggi” entro la rocca i rampolli delle maggiori famiglie forlivesi sperando che ciò stimolasse a maggiore tenacia nella difesa i parenti rimasti in città, ma quando i forlivesi aprirono le porte ai francesi, rivolse verso la città i cannoni rispondendo alle artiglierie avversarie e infliggendo anche considerevoli perdite all'esercito francese, ma tutto fu vano e la rocca cadde il 12 gennaio del 1500.

I forlivesi avrebbero potuto accusare Caterina di aver resistito e di essere rimasta a Forlì per opporsi ai nemici, mentre aveva mandato i figli al sicuro, a Firenze; tutte quelle sofferenze forse sarebbero state risparmiate alla città o sarebbero state minori se lei invece si fosse arresa senza resistere.  Alessandro VI si era alleato con il Re di Francia Luigi XII per avere in cambio il suo appoggio nella costituzione di un Regno per il figlio Cesare Borgia nelle terra della Romagna. Quest’ultimo, dopo aver conquistato Imola e Forlì voleva raggiungere Pesaro, dove si trovavano altri Sforza.

Pur con la sua resistenza eroica, Caterina perse la guerra ma divenne protagonista, eroina del Cinquecento.

Portando con sé “in deposito” Caterina il Borgia quindi si rivolse verso Pesaro, avviandosi alla conquista della città marchigiana, ma un fatto nuovo fece rivolgere il suo esercito nuovamente verso nord: Ludovico Sforza, detto il Moro, zio di Caterina, aveva riconquistato Milano e contro la città lombarda le truppe francesi si diressero, mentre Caterina fu condotta a Roma dal Valentino e dalle truppe pontificie, dove giunse nel febbraio del 1500.

Caterina venne in un primo tempo sistemata nel palazzo del Belvedere e, successivamente alla sconfitta definitiva di Ludovico il Moro nell’aprile successivo, fu imprigionata a Castel Sant'Angelo. Qui rimase un anno e fu un anno di dura prigionia. Caterina era ormai una povera donna senza più amicizie e alleati potenti, e aveva pure i figli contro; lei ne aveva odiato il padre Girolamo, non lo aveva mai stimato e i figli putroppo assomigliano a lui; l’unico conforto per la donna è il piccolo Giovanni figlio avuto dal Medici, che ha quasi tre anni. I figli, poco più che ventenni, non s’impegnano per il riscatto della madre che li aveva sempre dominati: Ottaviano avrebbe voluto liberarla ma senza però rischiare di ridursi sul lastrico; egli non è certo un’aquila, papa Giulio II (cugino da parte di padre) gli donò una diocesi e divenne vescovo di Viterbo e Toscanella.

Il 20 giugno del 1501 Ivo D’Allègre passò da Roma marciando contro Federico di Napoli: Luigi XII, erede di Carlo VIII ne rivendicava il trono. Egli s’indignò scoprendo che Caterina era tenuta prigioniera a Castel S. Angelo e con tre cavalieri si presentò dal papa intimandogli di liberarla: l’ antica Signora di Forlì, quale suddita ora del Re di Francia, non poteva essere considerata una prigioniera. Cesare Borgia, ritenendo Caterina ancora pericolosa, insistette perchè non fosse liberata ma, dietro alla minaccia di un intervento del francese in armi, dovette cedere.

Per la sua libertà, Caterina dovette firmare la rinuncia a Forlì e Imola, a favore del papa e versare duemila ducati di cauzione; tuttavia non volle intraprendere il viaggio di ritorno via terra, troppo pericoloso per lei: con uno stratagemma si imbarcò a Ostia e giunse via mare a Livorno e da lì a Firenze, dove si riunì ai figli, con i quali si era finalmente riconciliata.

Il Borgia fu travolto dalla morte del padre-papa Alessandro VI, morto di malaria nel 1503. Era riuscito  a sottomettere le Romagne ( Faenza, Forlì, Rimini, Pesaro) e già meditava di estendere il suo potere alle città toscane di Siena, Pisa e Lucca. Imprigionato fuggì; tornò in Francia dove morì in un agguato il 12 marzo 1507 mentre combatteva  per il cognato Giovanni III d'Albret, re di Navarra  all'assedio di Viana.

Ritornando alle vicende di Caterina, Mezzomonaco ricorda come a Firenze non fu accolta benevolmente dal cognato Lorenzo di Pier Francesco de’ Medici. I primi tempi furono difficili: in realtà ormai non aveva più nulla, né beni, né potere, “ neanche le posate per mangiare!” Lorenzo fu costretto a consegnarle i restanti beni del marito e ciò la risollevò un poco; le fu concesso di vivere nella villa medicea di Castello, già appartenuta al marito, tra le magnifiche opere d’arte che la arredavano (opere oggi famosissime del Botticelli: Pallade Atena e il Centauro, “La nascita della Primavera…”), che però sembrarono lasciarla del tutto indifferente, presa dai suoi pensieri, dalle sue angosce.

Vittorio Mezzomonaco, avvicinandosi alle conclusioni, ha poi riflettuto come Forlì non abbia risentito per nulla o quasi dell’ influenza del Rinascimento, contrariamente a Cesena, Rimini, se non in pochi esempi come l’Oratorio di San Sebastiano, mirabile opera dell’architetto Pace Bombace, che per il suo stile e per la struttura ricorda immediatamente la genialità di Leon Battista Alberti. Colpa anche degli Ordelaffi, Caterina era indirizzata più a un’economia agricola e di allevamento, la cultura e l’ arte non erano di sicuro fra i suoi primi obiettivi.

Caterina trascorse gli ultimi anni della sua vita dedicandosi ai figli, in particolare a Giovanni che era il più piccolo, e ai suoi nipoti, ai suoi "experimenti" e alla sua vita sociale, continuando ad avere un’intensa corrispondenza sia con le persone che le erano rimaste affezionate in Romagna che con i parenti che risiedevano a Milano.

Nell'aprile del 1509 Caterina fu colpita in modo grave da una polmonite. Sembrò riprendersi, tanto da essere dichiarata guarita, ma un improvviso peggioramento della malattia la portò alla morte il 28 maggio. Dopo avere fatto testamento e disposto per la sua sepoltura, moriva all'età di quarantasei anni.

Giovanni dalle Bande Nere aveva undici anni, e sarà lui a portare avanti la stirpe dei Medici; Ottaviano voleva diventare cardinale, in fondo papa Giulio II era suo cugino, ma la sua inettitudine fu tale che non fu mai considerato, e l’ essere ignorato lo lasciò frustrato e insoddisfatto.

Mezzomonaco ha illustrato l’importante biografia di Caterina Sforza scritta dal patrizio ravennate Pier Desiderio Pasolini, che, come tutti i biografi, s’innamorò del personaggio, descrivendo Borgia vile e cattivo, Caterina bella, buona e sincera. Testo in due volumi comunque importantissimo perché ricco di documenti originali. Molti altri hanno scritto su Caterina ma spesso si sono limitati a  realizzare riassunti di tale principale biografia, rimanendo influenzati quindi dalla stessa ottica non reale, non obiettiva di Pasolini.

Caterina in fondo, definita “leonessa di Romagna” era in realtà una straniera, una milanese, in quanto era romagnolo il bisnonno Giacomo degli Attendoli. Giacomo, poi Giacomuzzo, poi Muzio, nacque a Cotignola il 28 maggio 1369. Sin da ragazzo fu dotato di un aspetto marziale e di una forza erculea che gli meritò il soprannome di “Sforza”, mentre secondo altri questo soprannome lo avrebbe avuto per la violenza con la quale reclamava una parte maggiore di bottino di quella che gli era stata assegnata. La fortuna di Giacomo fu legata alla sua partecipazione a una compagnia di ventura che appoggiò i Visconti. Tra i numerosi figli che ebbe, il più celebre fu Francesco, che si unì in matrimonio con Bianca Maria Visconti, figlia di Filippo Maria, Duca di Milano. Solo alla morte del Duca, Francesco ebbe l’onore di appropriarsi del titolo e il 22 marzo del 1450. Francesco e Bianca Maria Visconti furono i nonni di Caterina, che resta quindi estranea alla cultura e alla mentalità romagnola. Quando voleva ritornare a Forlì, i forlivesi si opposero. Era divenuta Signora di Forlì per la sola volontà di papa Sisto IV, padre naturale (probabilmente, e non zio) di Girolamo Riario al quale donò la città di Imola, e per ridurre il potere degli Ordelaffi gli offre pure la città di Forlì. Fu per questo che Girolamo dovette abbandonare il mondo dorato romano del quale era considerato “principe”, per venire a Forlì nel 1481. Caterina, donna cresciuta tra Milano e Firenze, costretta dagli avvenimenti spesso funesti che hanno contrassegnato tutta la sua vita, rimane a Forlì, Signora della città romagnola fino al 12 gennaio del 1500, quando fu sconfitta dal Borgia, dopo l’ epica resistenza di Ravaldino.  

Caterina resta un personaggio non del Cinquecento, ma del Quattrocento, ultima grande donna del Medioevo. La sua epopea si chiude nel gennaio del 1500 per opera di Cesare Borgia e la sua vita si concluderà  qualche anno più tardi a Palazzo Medici di Firenze nel 1509.

Fu sepolta in Firenze nella chiesa delle Monache Murate, sulla sua tomba il nipote Cosimo de’ Medici fece porre questa lapide:

D.O.M.

Catherina  Sforthia

Medices

Comitissa et domina

Imolae forolivii

Obit IV Kal. Junii

MDIX

 

Ultima beffa della sorte, questa lapide e le stesse ossa di Caterina, casualmente ritrovate e riconosciute, andarono perdute nel 1835.

 

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