Pierluigi Moressa e Gabriele Zelli

Presentano   

Regina nel silenzio

- Guida storico-artistica di Ravenna-

 

Il fascino di Ravenna è sfuggente e mutevole, antico e sempre vivo. È difficile fissare in parole ed immagini una città attraversata da memorie e bagliori di un'arte immortale, una città fatta di luci, acque e silenzio. Con sapienza e sguardo ammirato l'autore, Pierluigi Moressa, e l'illustratore Sauro Rocchi hanno disegnato il profilo regale della Ravenna del passato e del suo splendore presente, fornendo al lettore una guida che non è soltanto il prezioso strumento per una visita ai monumenti della città, ma soprattutto un'affascinante evocazione di luoghi, personaggi, emozioni che segnano l'atmosfera di uno dei maggiori gioielli urbani italiani.

In una piacevolissima conversazione con Gabriele Zelli, Pierluigi Moressa ha presentato il suo lavoro tracciando la parabola che ha portato Ravenna dalle incerte origini ai giorni d’oggi, dai primi insediamenti dei Tessali  che in tempi antichissimi, spinti fuori dalla Grecia da altre ostili popolazioni, giunsero in  quei luoghi a bordo delle loro navi.  Nel territorio in cui si sarebbe sviluppata Ravenna seguirono poi popolazioni etrusche, umbre, pure tribù di Galli. L’acqua ha sempre avuto una grande importanza per Ravenna, fu l’ambiante sul quale si sviluppò; il primo agglomerato infatti fu senza dubbio composto da capanne su palafitte distribuite su piccole isole, come accadrà a Venezia secoli dopo. Ravenna per tutta l'antichità fu circondata dalle acque ed accessibile solo dal mare. Moressa ha ricordato la complessa storia di Galla Placidia, ostaggio di Teodorico, sposa del cognato di questi  Ataulfo. Rimasta vedova sposò il patrizio romano Costanzo ricevendo con questi dal fratello Onorio, imperatore d’ Occidente, il titolo di Augusta. Il suo esilio a Bisanzio e alla morte di Onorio la reggenza del regno a nome del figlio divenuto imperatore con il nome di Valentiniano III ancora fanciullo. Si è quindi parlato del Mausoleo che porta il suo nome, fatto costruire come ex voto da Galla Placidia per essere sopravvissuta ad una tempesta in mare. Entrando nel piccolo edificio a croce latina, si è colti immediatamente da una atmosfera magica, si rimane colpiti dall'improvviso passaggio dalla luce del giorno alla riproduzione dell'atmosfera notturna, dove dominano le innumerevoli stelle sulla cupola. I temi iconografici sviluppati nelle decorazioni rappresentano il tema della vittoria della vita sulla morte, in accordo con la destinazione funeraria dell'edificio. Affascinanti sono pure i numerosi richiami a simboli cristiani negli splendidi mosaici, come le colombe che bevono alla fonte, significanti delle anime cristiane che si abbeverano alla grazia divina, i cervi tra tralci di arbusti, derivati da un passo dei Salmi “come un cervo cerca l'acqua, così l'anima cerca Dio”. Il tema dell'acqua stesso simboleggiava il refrigerio dell'oltretomba, che per gli antichi era un luogo "fresco". Si è poi parlato della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, con il suo portico di marmo ed il campanile cilindrico, realizzata all’inizio del VI secolo per volere dell’imperatore Teodorico per il culto ariano della sua gente. Fu poi consacrata al culto cattolico dall’arcivescovo Agnello nel 560 ed in quella occasione il ciclo di mosaici con temi legati alla religione ariana presente nella fascia sopra gli archi che dividono le navate fu cancellato e ridecorato. Si salvarono solo gli ordini più alti della decorazione con le Storie di Cristo e con i santi e profeti, e le ultime scene con le vedute del Porto di Classe e del Palatium di Teodorico epurate di tutti i ritratti.

Un luogo ricco di storia è pure Classe, Moressa ha ricordato come già Cesare aveva proposto la costruzione di un porto, ma fu l'imperatore Cesare Ottaviano Augusto a realizzare quello di Classe (dal latino CLASSIS che significa FLOTTA). La città, protetta ad Occidente dalle paludi e ad Oriente dal mare, offriva un’insenatura naturale, inoltre le vicine pinete fornivano legname per i cantiere navali. 

Nei pressi della città scorreva il fiume Bidente, dall'andamento sinuoso. Esso fu usato per la costruzione del porto di Classe, eliminando alcune anse e collegandole con specchi vallivi: così si scavarono i bacini del porto. Le lagune, interne rispetto alla costa, erano unite al mare tramite un sistema di dune costiere sopraelevate tagliate da un canale, la "Fossa Augusta",,  un canale che collegava il Po con l'ampio specchio di acqua a sud di Ravenna dove nacque il porto, che prolungato verso nord, congiungeva Ravenna alla laguna veneta e al sistema portuale di Aquileia.

L'imperatore Augusto diede grande impulso alla vita della città con lo stanziamento a Classe, della flotta da guerra dell'Adriatico.

Così a distanza di pochi chilometri da Ravenna sorse un'altra città, con una sua amministrazione, distinta da quella di Ravenna. Una città protetta da mura, entro le quali c’erano: il cantiere navale nel quale venivano costruite o riparate le potenti navi romane, l'insediamento  militare, i magazzini, le botteghe artigiane, le abitazioni, i luoghi pubblici, i templi. Un abitato con caratteristiche militari, in cui prevalevano cittadini provenienti da ogni parte del mondo: soldati, marinai, operai dei cantieri, magazzinieri, sacerdoti dei vari culti. Da allora in poi, la vita di Ravenna fu accentrata intorno al porto e alla flotta. Moressa ha quindi ricordato come nei secoli bui del Medioevo nelle Pievi, che si sviluppavano in tutto il territorio, si conservarono la dottrina e la cultura cristiana.

È stata la volta quindi della basilica di Sant'Apollinare in Classe costruita nella prima metà del VI secolo, a cura di Giuliano Argentario, un banchiere di origine bizantina, per il vescovo Ursicino. Splendida è la decorazione musiva del catino absidale ricca di simboli nelel due zone in cui è composta: la parte superiore, dove un grande disco racchiude un cielo stellato nel quale campeggia una croce gemmata, che reca all'incrocio dei bracci il volto di Cristo. Sopra la croce si vede una mano che esce dalle nuvole: è la mano di Dio. Ai lati del disco vi sono le figure di Elia e Mosè. I tre agnelli, che si trovano spostati un po’ verso il basso, proprio all'inizio della zona verde, con il muso rivolto verso la croce gemmata, simboleggiano gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni: è chiaro il riferiemento alla rappresentazione della Trasfigurazione sul Monte Tabor. La zona più bassa, dove si allarga una verde valle fiorita, dove ci sono rocce, cespugli, piante e uccelli. Al centro si erge solenne la figura di sant'Apollinare, primo vescovo di Ravenna, con le braccia aperte in atteggiamento di orante: egli in pratica è ritratto nel momento di innalzare le sue preghiere a Dio perché conceda la grazia ai fedeli affidati alla sua cura, i quali sono qui rappresentati da dodici agnelli bianchi. In questi luoghi, nellel chiese si ritrova l’armonia, quell’armonia che andò perduta nelal caduta dell’impero romano.

Arrivando all’inizio del XVII secolo si giunge all’epoca delle grandi opere idrauliche, nel 1601 viene aperto il canale navigabile  che, prenderà il nome di Panfilio in onore di papa Innocenzo X Pamphili. Nel 1632, a seguito a un’improvvisa inondazione delal città si procede alal diversione dei fiumi Ronco e Montone entro il canale navigabile, facendo perdere ad esso la funzione portuale che sarà ripristinata per opera del cardianle Giovanni Stefano Donghi all’inizio del 1651. Passeranno quasi cent’anni attendendo che nel 1739 il cardianale Alberoni faccia scavare il letto dei Fiumi Uniti entro cui confluiranno a sud delal cità il Ronco ed il Montone. Negli stessi anni fu costruita la Chiusa sul corso del Montone  ad ovest dell’abitato  ed iniziano i lavori  del Candiano, il nuovo porto di Ravenna  che sarà completato nel 1780.

È stato quindi ricordato il forlivese Luffo Numai, uomo politico molto in vista che ricopriì cariche di rilievo e condusse una vita molto agiata. Forse voleva divenire signore di Forlì ma non vi riuscì, fu pronto quindi a celebrare i potenti di turno, dando pure il nome di questi ai numerosi figli. Fu segretario di Pino III Ordelaffi, e consigliere di Sinibaldo II Ordelaffi  e di Caterina Sforza. Caterina affidò a lui il figlio Giovanni dalle Bande Nere, rimasto orfano in tenera età. In rappresentanza della cittadinanza forlivese, partecipò alle trattative con Cesare Borgia, mentre questi tentava di conquistare la città e la sua principale rocca, quella di Ravaldino, difesa da Caterina Sforza. Ospitò perfino Cesare Borgia in casa propria.  Come in vita, anche in morte, per non incorrere nelle ire o vendette di alcuno pensò bene di far erigere, per sé e sua moglie, Caterina Paulucci, due tombe, una a Forlì, nella Basilica di San Pellegrino Laziosi, pregevole monumento funebre opera di Tommaso Fiamberti e Giovanni Ricci del 1502, l’altra a Ravenna, in uno spazio appartato ed oscuro in fondo alla navata sinistra della basilica di San Francesco, opera dello stesso scultore campionese morto a Cesena nel 1525.

Zelli ha quindi ricordato Dante Allighieri che giunse a Ravenna nel 1518, espulso da Firenze  per baratteria, ma in realtà per motivi politici. In Ravenna ritrovò una seconda patria.

Il sacello di Dante, piccolo tempio neoclassico che conserva le ossa del poeta,è accanto alla Chiesa di S. Francesco; alla morte avvenuta a Comacchio il 13 settembre 1321 per malaria, mentre tornava da una ambasceria. Il sommo poeta fu inumato  in una tomba di pietra in una antica arca sotto il portico esterno a nord della chiesa. Nel 1483 il podestà veneziano Bernardo Bembo commissionò allo scultore ticinese Pietro Lombardo (1435-1515) il bassorilievo che ancora oggi orna la toma di Dante  nel quale il poeta è raffigurato intento alla lettura.  Successivamente, per vanificare il piano dei fiorentini che già nel 1519, con l’approvazione di papa Leone X, tentavano di riprendersi le spoglie del poeta toscano, i monaci francescani esumanorono i resti di Dante e li nascosero in un luogo pratetto del loro convento dal quale li trasferirono ancora una volta, nel 1810, all’atto della soppressione  del convento a seguito delle disposizioni napoleoniche. I resti mortali del poeta furono infine ritrovati nel 1865 durante lavori di restauro nel quadrarco di Braccioforte, sotto una porta murata racchiusa  da una cinta di sasso d’Istria. Fu il legato pontificio, cardianale Luigi valenti Gonazaga,   che nel 1780 commissionò all’architetto Camillo Morigia la costruzione del sacello. Moressa è quindi intervenuto precisando che ben presto i ravennati indicarono il monumento col nome di “zuccheriera” per le inconsuete, ridotte, leziose forme.  Qui furono infine deposti i resti del sommo poeta.  La Società Dantesca Italiana offrì la lampada ad olio che illumina il sarcofago, opera dell’argentiere toscano Vittorio Manetti. Accesa il 13 settembre 1908, tuttora è alimentata  dall’olio offerto ogni anno dal Comune di Firenze, mentre  le province della Venezia Giulia  e del Trentino, all’epoca terre irridente, offritono l’ampolla d’argento per l’olio ed il piedistallo  in calcare delel Alpi Giulie. La figura di Dante veniva quindi celebrata  quale segno concreto, idealizzazione del desiderio di unità della nazione. Moressa ha quindi riflettuto sul perché Dante abbia scelto Ravenna, precisando che il poeta voleva in effetti venire a Forlì ma fu dissuaso dalle lotte tra neri e bianchi, guelfi e ghibellini, solo quando saranno disperdi bianchi e ghibellini dai De Calboli Dante verrà a Forlì e quindi a Ravenna, dove tenne pure la cattedra di Etica.

Zelli ha poi introdotto un altro importante poeta romantico che Ravenna ospitò,  George Byron (1788 – 1824). Il poeta, dopo uno sfortunato matrimonio ed aver girovagato per l’Europa visse qualche tempo a Ginevra  ospite dell’ italiano Diodati. Qui lo raggiunsero il poeta Percy Bysshe Shelley con la fidanzata Mary Godwin Wollstonecraft e la sorellastra di lei Mary Jane Clairmont, detta Claire. Da quest'ultima, già conosciuta in Inghilterra poco prima di partire e con la quale aveva avuto già una breve relazione, durante il soggiorno in Svizzera  ebbe nel gennaio 1817 una bambina, Allegra che mise nel convento di Bagnacavallo, in Romagna. Nel 1817 si trasferì a Venezia, dove risiedette per tre anni. Qui conobbe la diciottenne Teresa Gamba in Guiccioli, moglie di un ricco ravennate: Teresa divenne un'inseparabile compagna. Ecco che allora Byron si trasferì a Raavenna. Moressa si è inserito nel ricordo del poeta inglese, ricordando quanto fu caro ai carbonari italiani; egli infatti tra il 1820 e il 1821 entrò nella carboneria attraverso i contatti del fratello di Teresa, il conte Gamba. Il fallimento delle agitazioni e la confisca dei beni dei Gamba, cui si aggiunse la separazione di Teresa dal marito, costrinsero i tre a rifugiarsi a Pisa. In seguito ad una rissa tra un suo domestico e un sottufficiale dei dragoni per questioni di uniforme di fronte al Caffè dell?Ussero, Byron fu poi costretto a trasferirsi a Livorno, soggiornando nella Villa Dupouy. Byron abbandonò il Granducato di Toscana per Genova allorché i Gamba vennero espulsi, e convinta Teresa a tornare a Ravenna, benché reduce da una malaria nel 1823 egli s'imbarcò con il conte Gamba e Trelawney per Cefalonia. Qui si andava formando tra aspre divergenze d'idee una compagine inglese a sostegno della guerra d'indipendenza greca contro l'Impero Ottomano. Byron lasciò l'isola su invito di Alessandro Maurocordato, liberatore della città di Missolungi dall'assedio ottomano. Sbarcò a Patrasso nel gennaio del 1824, dove visse gli ultimi mesi della sua esistenza, tra gli aspri contrasti dei ribelli. In seguito ad una febbre reumatica tramutatasi in meningite, morì delirante a Missolungi, il 19 aprile. Fu il poeta Percy Bysshe Shelley, legato da profonda amicizia a Byron, che si curò di Allegra, ancora nel collegio di Bagnacavallo, egli la prese con sé ma la bimba morì giovanissima,  a  sei anni.

Zelli ha  citato un’altra figura famosa ravennate ma forlivese di nascita, Olindo Guerrini (1845-1916) più noto sotto lo pseudonimo di Lorenzo Stecchetti. « Sono nato (ahimè!) a Forlì; ma la mia vera patria è Sant'Alberto, 15 km al nord di Ravenna, dove i miei avi hanno sempre vissuto » scriveva ne  La mia giovinezza, Zanichelli, 1916. Nacque a Forlì[ poiché la madre era forlivese e riteneva di essere meglio assistita nella sua città. Dopo il primo anno si trasferì a Sant'Alberto di Ravenna, dove il padre era farmacista.Poeta,  scrittore, bibliofilo e studioso di letteratura, i suoi sonnetti sono colmi di sarcasmo, bonomia e denuncia sociale. Moressa ha quindi aggiunto  che Guerrini è stato grande e ha colto un notevole insegnamento dal romanesco Belli. La sua curiosità era senza confini, lo portò ad organizzare un viaggio in bicicletta che lo portò su Monte Rosa; egli descrisse quella Romagna  conosciuta da convittore anticlericale, contrario a quella Chiesa che prometteva giustizia e nulla manteneva delle vane promesse.

La sua formazione fu affidata ai religiosi del collegio municipale di Ravenna. Espulso per indisciplina, Guerrini passò nel 1859 al Collegio Nazionale di Torino. Ottenuto a stento il diploma, si iscrisse a Giurisprudenza all'Università di Bologna, città dove trascorse quasi tutto il resto della sua vita. Si laureò ed entrò in uno studio di avvocati, ma riconobbe ben presto che la pratica forense non faceva per lui. Invece partecipò attivamente alle lotte politiche locali. Fu consigliere ed assessore al Comune di Ravenna, fondò una biblioteca popolare a Sant'Alberto. Dopo aver preso moglie entrò nella Biblioteca Universitaria di Bologna, della quale divenne in seguito direttore. Il 28 novembre 1914 Guerrini si trasferì a Genova poiché, essendo scoppiata la guerra, ed essendo troppo anziano per prendervi parte attivamente, aveva offerto il proprio servizio ove occorresse ed era stato nominato bibliotecario nel capoluogo ligure; vi rimase sino al 1915. Morì a Bologna di cancro alla gola il 22 ottobre 1916.

La conversazione tra Zelli e Moressa è proseguita  ricordando come Ravenna nel primo conflitto mondiale fu bombardata dal cielo e cannoneggiata dal mare, una ritorsione  per le incursioni aeree dei valorosi Ridolfi e Baracca. In quell’occasione Sant’Apollinare  subì gravissime distruzioni, ma ben presto i ravennati seppero come reagire e mettere al sicuro opere d’arte e monumenti.

Moressa ha aggiunto che il primo caduto della Grande Guerra fu un forlivese morto in mare a Senigalia; anche Castelli, il capotreno del tranvai morì durante un bombardamento. Il relatore ha ricordato il monumento a Farini davanti alal stazione di Ravenna. Il monumento ricorda Luigi Carlo Farini, medico, patriota, uomo di Stato e storico. Nato a Russi il 22 ottobre 1812 da famiglia di sentimenti liberali, conobbe l’esilio per aver preso parte ai moti del 1831; ritornato in patria, si trasferì a Ravenna con la famiglia, dove esercitò la professione di medico privato, dal 1835 al 1839. Si ritirò poi nella natia Russi a fare il medico condotto fino a che non si diede completamente alla politica. Fu Segretario del primo Ministero costituzionale pontificio dopo le Riforme di Pio IX; indi fu deputato e Direttore Generale della Sanità con Pellegrino Rossi. Dopo l'uccisione di questi, riparò in Piemonte dove fu deputato e, nel 1849, fu Ministro dell'Istruzione del gabinetto D'Azeglio. Nel 1859 fu nominato Dittatore dell'Emilia della quale affrettò l'annessione al Piemonte.
Il 19 febbraio 1860 venne a Ravenna dove fu ricevuto con grandi feste, e vi rimase tre giorni. Durante questa permanenza ebbe anche modo di compiere una visita attenta al nostro Porto Corsini. In seguito a ciò questo porto venne dichiarato d'importanza nazionale e ne fu assicurata la regolazione a spese dello Stato.

Farini morì a Quarto, presso Genova, il 10 agosto 1866. Il 9 giugno 1878 fu posto nel luogo il monumento marmoreo che presentava lo statista romagnolo del momento in cui faceva il gesto di strappare il foglio che riportava la stesura dell'Armistizio di Villafranca. Oggi il monumento a Luigi Carlo Farini non figura più nel luogo in cui fu posto; nella notte del 4 settembre 1944, un micidiale bombardamento aereo portò distruzione e morte in città. Tra i gravissimi danni si deve rammentare la distruzione delle antiche chiese di S. Vittore e dì S. Nicandro oltre ai gravissimi danni alla basilica di S. Apollinare Nuovo e l'Istituto Salesiano. La statua di Farini, colpita più volte, crollò a terra con la testa staccata.

È stato quindi ricordato il monumento a Giuseppe Garibaldi che sorge di fianco al teatro nella omonima piazza, scultura del ravennate Giulio Franchi (1855-1931), Il monumento, dedicato a tutti gli eroi del Risorgimento ed al loro generale, un tempo collocato di fronte alla chiesa di San Francesco, fu qui collocato nel 1936. L’eroe è presentato stante, con le mani sull’elsa della spada. Nel basamento quattro formelle rappresentano vicende garibaldine: la fuga con Anita morente, la battaglia di Roma, il figlio Ricciotti che gli consegna la bandiera strappata ai Prussiani e la battaglia di Sant’Antonio. Il monumento fu inaugurato una seconda volta dopo la prima alla presenza di Umberto I, re d’Italia, il 4 giugno del 1892; dopo lunghe discussioni su dove collocarla, si decise in un primo momento di sistemarla davanti al "ricovero di mendicità" Garibaldi e Zarabbini (una volta le "case protette" si chiamavano più realisticamente così), dove si sarebbe creata una apposita piazzetta, ma l'idea non piacque al conte Pergami Belluzzi, proprietario dello spazio.
Si ripiegò allora sull'attuale Piazza S. Francesco, che all'epoca si chiamava Piazza Byron, dove la statua rimase fino al 1935, per consentire i lavori che avrebbero portato alla costruzione della cosiddetta "Zona dantesca".

Ci furono anche curiose proposte. Qualcuno suggerì di regalare al Comune di Russi la statua di Farini posta davanti alla stazione ferroviaria e di mettere al suo posto Garibaldi. Altri ancora di sistemarla in Piazza dell'Aquila, ma alla fine fu il prefetto Guerresi a decidere di collocare la statua nella Piazza Alighieri. E Garibaldi - dopo essere stato per 45 anni davanti a San Francesco - fu dunque trasferito nella attuale sede.

È stato poi fatto cenno a Napoleone III presidente della Repubblica Francese dal 1848 al 1852 quindi imperatore dei francesi dal 1852 al 1870 che a Ravenna soggiornò all’Albergo Cappello, ricordiamo che suo fratello Napoleone Luigi, (18031831), affiliato alla carboneria, morì a Forlì il 17 marzo 1831. In seguito alla restaurazione, Carlo Luigi, così si chiamava il futuro imperatore,  si era trasferito, in tenera età a Roma, dove trascorse la giovinezza e, divenne, come il fratello maggiore, membro della carboneria, correndo qualche rischio nel 1831 a Bologna, durante i moti insurrezionali e divenendo pure un  ricercato dalla polizia austriaca. Colui che fu carbonaro però, dopo essere stato eletto Presidente della Seconda Repubblica francese (20 dicembre 1848 - 2 dicembre 1852) ben presto assunse  poteri dittatoriali proclamandosi Imperatore e dando origine al Secondo Impero francese. Da critici come Victor Hugo fu appellato Napoleon le petit e cominciò a perseguitare ogni avversario politico, ricordiamo come il 14 gennaio 1858, sopravvisse all’attentato organizzato da Felice Orsini che riteneva Napoleone III reo di aver tradito il giuramento carbonaro di dedicare la propria vita alla causa dell'unità d'Italia. Infatti quando fu costituita la breve Repubblica Romana, diretta dal triumvirato composto da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini, Pio IX si appellò alle potenze straniere, ai francesi affinché gli fosse restituito il potere temporale e la Francia repubblicana di Bonaparte si affrettò ad inviare un corpo di spedizione di 7000 soldati al comando del generale Oudinot che, dopo le prime sconfitte, anche grazie ai copiosi rinforzi che nel frattempo aveva ricevuto, nonostante la gloriosa resistenza dei garibaldini, riuscì a far breccia nelle mura del Gianicolo e a conquistare Roma  ove entrò il 3 luglio 1849. Il Papa fece ritorno a Roma il 12 aprile 1850 ed abrogò la Costituzione concessa nel marzo di due anni prima.

Zelli ha quindi ricordato che Ravenna fu pure la città natale di un protagonista del Ventennio, Ettore Muti (1902 –1943) militare, aviatore e politico italiano. Gerarca fascista fin dagli esordi, ricoprì la carica di segretario del Partito Nazionale Fascista dall' 1939 fino al 28 ottobre 1940 e si distinse per la sua spericolatezza in numerose operazioni militari e per la partecipazione ad azioni . Partecipò con Gabriel che gli impose l'appellativo di «Gim dagli occhi verdi», all'. Fu in quel periodo che incontrò Mussolini del quale rimase subito affascinato. Aderì quindi al fascismo comandando diverse azioni e venendo arrestato alcune volte. Prese d’assalto le sedi delle Cooperative “rosse” di Nullo Baldini, quasi una prova generale di quella che fu la marcia su Roma e il 29 ottobre 1922, a seguito di questa, guidò le squadre di fascisti nell’occupazione della prefettura di Ravenna. Muti fu l’eroe più decorato del Ventennio.

Ma sono tanti i personaggi ravennati che si possono ricordare, Zelli ha ricordato il tenente colonnello dei carabinieri Giovanni Frignani, che arrestò Mussolini e Arrigo Boldini, medaglia d’oro dell’esercito inglese per la sua attivita a favore della lotta di liberazione. Moressa ha proseguito ricordando Frignani, nato a Ravenna l'8 aprile 1897, egli fu una delle vittime della ritorsione nazzista delle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944, Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.Era partito come volontario, nel 1915, per la Prima guerra mondiale, partecipandovi prima nel Corpo Nazionale Volontari Ciclisti e poi, come tenente, nel 28° Reggimento fanteria. Nel 1918 combatté sul Piave e fu decorato con Medaglia di bronzo al valor militare. Nel 1919 il giovane ufficiale passò nell'Arma dei carabinieri, prestando servizio a Parma, a Medicina e a Trieste. Promosso capitano, nel 1929 Frignani fu chiamato a Roma come capo del servizio informazioni del Corpo d'Armata, incarico che rivestì per cinque anni. Comandò in seguito la Compagnia Tribunali e, con il grado di tenente colonnello, il Gruppo interno dei RR.CC. di Roma. Nel giugno del '43, entrato in possesso di documenti segreti tedeschi da cui risultava che Hitler considerava l'Italia come zona di occupazione, l'alto ufficiale ne informò Mussolini, che non trovò di meglio che ordinare il trasferimento di Frignani in Francia. Il provvedimento non fu però mai eseguito. Il 25 luglio, infatti, su ordine del re, lo stesso Frignani arrestò Mussolini, all'uscita da Villa Savoia e ne curò il trasferimento a Ponza a bordo di una autoambulanza. Dopo l'armistizio, Frignani, entrò nel Fronte militare clandestino di Montezemolo. Raccolti al suo fianco numerosi carabinieri, li organizzò nella banda "Generale Caruso", della quale divenne uno dei capi con il maggiore Ugo De Carolis e il capitano Raffaele Aversa. Il 23 gennaio 1944 l'ufficiale fu catturato dalla Gestapo, in seguito a delazione, nella casa di una signora romana.
Tradotto dai nazisti nella sede del Comando tedesco di via Tasso, insieme alla moglie Lina e ai commilitoni Aversa e De Carolis, Frignani fu rinchiuso nella cella n° 2, in compagnia del generale Martelli Castaldi. Più volte torturato, anche in presenza della moglie, l'ufficiale dei CC fu fucilato, due mesi dopo, alle Fosse Ardeatine. Così è ricordato nella motivazione della massima ricompensa al valor militare: “Ufficiale superiore dei carabinieri riuniva attorno a sé numerosi carabinieri sottrattisi alla cattura dei nazifascisti, organizzandoli, assistendoli moralmente e materialmente, inquadrandoli e facendone un organismo omogeneo, saldo, pronto ad ogni prova. Arrestato sopportava per due mesi, nelle prigioni di via Tasso, torture e sofferenze per non tradire la sua fede di patriota ed il suo onore di soldato con rivelazioni sull'organizzazione militare clandestina. Martoriato, con lo spirito fieramente drizzato contro i nemici della Patria, piegava il corpo solo sotto la mitraglia del plotone di esecuzione”.

Anche Arrigo Boldini ricoprì un ruolo di grande importanza nella lotta di liberazione, tanto da essere decorato dall’Esercito inglese. Il leggendario comandante Bulow, questo era il nome di battaglia di Boldrini, un giorno disse « Abbiamo combattuto assieme per riconquistare la libertà per tutti: per chi c'era, per chi non c'era e anche per chi era contro... » Arrigo Boldrini era nato Ravenna il 6 settembre 1915 fu partigiano e politico italiano.

Figlio di una popolare figura di internazionalista romagnolo, spirito inquieto (viene espulso per turbolenza e sobillazione dal collegio della Scuola Agraria di Cesena), dopo il diploma di Perito agrario fu chiamato alle armi nel 1935, frequentando la scuola allievi ufficiali.

Successivamente lavorò come impiegato a Cesena fino al suo primo richiamo alle armi nel 1939, ove egli si arruolò volontario per circa un mese nella MVSN, la Milizia fascista, con il grado di "capomanipolo" (corrispondente a Tenente nell'Esercito Regio).

Nel 1940-1941 lavorò a Napoli, ove conobbe il poeta Libero Bovio, entrando in contatto con ambienti antifascisti. A seguito dell'entrata in guerra dell'Italia a fianco della Germania venne richiamato nuovamente alle armi con il grado di tenente di complemento del 120° Reggimento fanteria "Emilia" di stanza alle Bocche di Cattaro in Jugoslavia (dove, tra l'altro, conobbe il futuro primo comandante della Brigata Garibaldi Romagnola Riccardo Fedel). Rientrato in Italia per una licenza di convalescenza nell'estate del 1943, nell'agosto dello stesso anno aderì al clandestino Partito Comunista Italiano e, dopo l'8 settembre, fu tra i principali organizzatori della Resistenza in Romagna. Pur operando come dirigente partigiano si mosse liberamente nel territorio ravennate fino all'8 gennaio 1944, data dalla quale entrò nella clandestinità a seguito di un attentato in cui, durante il ritorno a casa dalla consueta cena col padre, fu fatto segno da alcuni colpi d'arma da fuoco da parte di ignoti fascisti, che gli bucarono la manica del cappotto e una falda del cappello. Ufficiale di collegamento del CUMER (Comando Unico Militare Emilia Romagna) e responsabile militare per il C.L.N. della zona di Ravenna, partecipò di persona a numerose azioni di guerriglia rimanendo ferito durante una di esse. Le spiccate capacità di stratega e la sua teorizzazione della "pianurizzazione" della guerra partigiana (fino ad allora immaginata possibile solo sulle colline o sulle montagne) gli valsero il soprannome di Bulow, in ricordo del famoso conte Friedrich Wilhelm von Bülow. Dopo mesi di intensa guerriglia condotti nelle zone della Romagna alle spalle della Linea Gotica ed i successivi combattimenti per la liberazione di Ravenna, svoltisi secondo il piano proposto da Boldrini durante incontri segreti con presso il comando dalle forze alleate, il 4 febbraio del 1945 il generale Richard McCreery comandante dell'VIII Armata appuntò al petto del comandante "Bulow", nella gremitissima Piazza Garibaldi della città liberata due mesi prima, la Medaglia d'oro al valor militare quale riconoscimento dello status di comandante di unità combattente riconosciuta dal Comando alleato e per il contributo dato alla liberazione dal comune nemico nazi-fascista (a cui farà seguito, significativamente, la consegna di una antica medaglia garibaldina da parte dei suoi partigiani).

Nominato comandante della 28ª Brigata Garibaldi "Mario Gordini" in sostituzione di Falco, partecipò in concorso con le forze alleate e con il ricostituito Esercito Italiano ai combattimenti lungo il fronte del Fiume Senio ed alla conquista delle zone attorno al Delta del Po, fino alla definitiva capitolazione delle forze nazifasciste. Arrigo Boldrini ha impersonificato i motivi etici e politici alla base della lotta della Resistenza italiana, costituendone uno dei più autorevoli e credibili rappresentanti a livello istituzionale: in questa veste, a partire dal 1947, rappresentò l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia, di cui fu Segretario nazionale dal primo congresso (1947) fino al quattordicesimo (2006), nel quale fu proclamato per acclamazione Presidente Onorario.

Membro della Consulta Nazionale prima e dell'Assemblea Costituente poi, venne eletto alla Camera dei Deputati nella I, II, III, IV, V legislatura, nella XII Circoscrizione (Bo-Fe-Fo-Ra), nonché Senatore nella VII, VIII, IX, X, XI legislatura, in Emilia-Romagna nel Collegio di Ravenna.

Boldrini, a partire dall'immediato dopoguerra sino agli anni '90, fu personalmente accusato di essere stato mandante come comandante di Brigata di episodi criminosi avvenuti nelle settimane immediatamente successive alla resa di Caserta (3 maggio 1945), quali l'eccidio di Codevigo e di Schio, ma nei processi che ne seguirono verrà sempre assolto.

Nel luglio 1960 un gruppo di neofascisti incendiò la sua abitazione a Ravenna, ma Boldrini ne uscì illeso.

Dirigente regionale e nazionale del Partito Comunista Italiano, è stato membro del Comitato Centrale e della Direzione Nazionale del Partito. Nel 1989 ha aderito al Partito Democratico della Sinistra (PDS) e successivamente al Partito Democratico. Tra le altre Boldrini è stato insignito del titolo di  Cavaliere di gran croce decorato di gran cordone, titolo conferito eccezionalmente ai cavalieri di gran croce per premiare altissime benemerenze di uomini eminenti, italiani e stranieri; di solito è riservato ai capi di stato, è la massima onorificenza prevista dalla Repubblica Italiana. Boldrini si è spento all'età di 92 anni nell'ospedale della sua città natale.

 

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